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Frencio

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Tutti i contenuti di Frencio

  1. non scordiamoci gli indimenticabili SM.85/86!!
  2. Frencio

    Guerra dei Sei Giorni

    Le neonate aviazioni egiziane e siriane dopo la II GM annoveravano fra le loro fila i nostri Centauro!
  3. Frencio

    Nose Art

    Un po' di immagini teutoniche (i primi ad aver usato lo "Sharkmouth") Vespa sul muso di un Bf.110 Esempio di Sharkmouth della LW Teschio Un esempio a Stella Rossa (Lavochkin La-7)
  4. Frencio

    CRDA CANT Z.515

    CANT Z.515 Tra il 1937 e il 1939 l’ing. Zappata propose agli enti militari l’adozione di un nuovo idro bombardiere e ricognitore leggero nel giugno 1937 a favore de il CANT. Z.510 e nel febbraio del 1939 con un derivato del CANT Z.1018, denominato CANT-Z. 514. Pari classe e coevo dello CMASA RS.14, il CANT. Z.515 ha la curiosa prerogativa di sem­brare nettamente più piccolo del diretto con­corrente, mentre è in effetti esattamente l'op­posto. Sviluppo L’aereo non incontrò il favore della Regia Aeronautica, ma alla ditta venne richiesta la realizzazione di un velivolo da Ricognizione Marittima Veloce con cui sostituire il CANT Z.501. La risposta di Zappata si concretò in una macchina dalle linee particolarmente eleganti, bimotore a galleggianti ad ala bassa e deriva verticale doppia, in pratica le stesse del simulacro volante del CANT Z.1018. La fusoliera, priva della gondola ventrale, accomodava quattro uomini di equipaggio (due piloti, l’osservatore nella prua ampiamente vetrata, e il marconista/armiere) che accedevano alla cabina da una comoda scaletta incernierata nella parte centrale della carlinga, immediatamente dopo il raccordo con la fusoliera dell’estradosso alare. Molti comandi interni (messa in bandiera delle eliche, manette giri-motore ecc.) sono indifferentemente impiegabili sul CANT Z.1018/Piaggio P.XII e sul CANT Z.515. Essendo sufficienti propulsori nell'ordine degli 800 cv, Zappata si rivolge a motori erano due Isotta Fraschini Delta R.C.35 da 700 cv dal limitato ingombro, grazie a pesi e dimensioni ridotte. L’armamento difensivo consisteva in una mitragliatrice Scotti da 12,7 mm. montata nella consueta torretta superiore Caproni-Lanciani Delta E, da una seconda 12,7, ma SAFAT, fissa in caccia, che trovava posto alla radice dell’ala destra, e da due SAFAT da 7,7 brandeggiabili a mano, sparanti dai due lati della fusoliera. Era previsto anche un eventuale armamento di caduta, costituito da sei attacchi alari per bombe del peso massimo di 100 kg cadauna. Nel 1939 venne ordinata la costruzione, analogamente a quanto accaduto al 1018, di un simulacro volante in legno, con l’obiettivo di realizzare le macchine di serie con struttura interamente metallica. Il 515 volò per la prima volta l’8 luglio 1940 collaudato da Mario Stoppani il quale il 3 dicembre successivo provvede al suo trasferimento al Centro Sperimentale Idrovolanti di Vigna di Valle per le prove di accettazione. Nel febbraio 1941 i piloti del Centro hanno modo di valutare comparativamente il prototipo del CANT Z.515 e l'RS.14 MM.35386. A maggio 1941 il CANT Z.515 è ormai com­pleto della torretta dorsale con l'arma difensi­va e di altri apparati, di cui sono eseguiti le consuete prove di collaudo. Gli esiti furono più che positivi e il 19 dello stesso mese ne furono ordinati tre esemplari di Serie, portati a 50 il 6 dicembre dello stesso anno. Sempre il 19 maggio una commessa per 52 esemplari (da realizzarsi su licenza) venne assegnata all’Aeronautica Sicula, seguita da una seconda per i CRDA (14 apparecchi) e una, sempre per 52 esemplari, alla Piaggio. Nel frattempo ha positiva conclusione la trattativa con l'industria giapponese per la riproduzione su licenza e nel 1941 quest'ultima venne ceduta alla Marina giapponese e i piani costruttivi del velivolo raggiunsero la terra del Sol Levante a bordo di un Savoia-Marchetti S.M.75 a Grande Automia autore di uno storico volo andata e ritorno dall’Italia a Tokio. Decollato dal campo di Saporozhe, l’aereo raggiunse, dopo un volo di 21 ore, il territorio cinese occupato dai giapponesi, percorrendo oltre 6.000 km, quasi tutti in territorio sovietico. Ciò nonostante, in Giappone l’aereo non entrò mai in produzione. I lavori che obe­rano la Ditta di Monfalcone però ritardano notevol­mente lo sviluppo e la produzione del primo velivolo. Una sua versione terrestre, destinata al sondaggio meteorologico e richiesta alla fine del 1941, viene sconsigliata dal progettista in quanto comporta la definizione di un nuovo velivolo. Il tempo passa e si giunge all'autunno del 1942; qui tutti i precedenti ordini vennero annullati nel novembre di quell'anno per concentrare la produzione sui ben più necessari velivoli da bombardamento (la Piaggio si stava già attrezzando per produrre su licenza il CANT Z.1007ter e il 1018) e in luogo del 515 fu ordinato il secondo classificato al concorso, il CMASA R.S. 14. Ci si accorda allora per il ricondizionamento dei CANT Z.1007/I.F. Asso con motori I.F. Delta. 31 luglio 1943 la Regia Aeronautica ha in carico 3 CANT Z.515 sperimentali, di cui uno destinato alle prove con il carico di caduta e due allestiti come ricognitori marittimi, mentre i restanti velivoli risultano completi all’80%. Do­po l'armistizio, e quindi sotto il controllo te­desco, dato lo stato d’avanzamento dei lavori ne viene autorizzato il completamento. Tale piano viene bloccato dai bombardamenti subiti nel 1944 che distruggono gli esemplari MM. 35790/7, mentre i restanti sei subiscono la demolizione. Scheda tecnica Motore: 2x Isotta Fraschini Delta R.C. 35 Potenza: 700 cv a 3.500 m. Apertura alare: 22,50 m Lunghezza totale: 16,29 m Altezza totale: 5,84 m Superficie alare: 63,00 mq Peso a vuoto: 6.390 kg Peso a carico massimo: 8.640 kg Velocità massima: 382 km/h a 4.300 m Velocità di crociera: 304 km/h Tempo di salita: 17’48” a 5.000 m Tangenza massima: 7.200 m Autonomia: 1.900 km Armamento: 4 mitragliatrici: 1 da 12,7 mm. dorsale, 3 da 7,7 mm. (1 alare, 1 laterale destra, 1 laterale sinistra) Carico bellico: 6 bombe da 100 kg cadauna Progettista: Filippo Zappata Pilota collaudatore: Mario Stoppani Primo volo prototipo: MM. 466 l’8 luglio 1940 (Monfalcone)
  5. Frencio

    Breda Ba.201

    si ovvio; mi è partito un plurale ,ma pensavo al Re.2002 che montava il Piaggio P.XIX! d'altronde,del Re,2001 CB ne hano fatti solo 37!
  6. Frencio

    Savoia-Marchetti S.M.89

    Savoia-Marchetti S.M.89 Il Savoia-Marchetti S.M.89 era un bimotore da attacco al suolo ad ala bassa bideriva, sviluppato dall'azienda italiana Savoia-Marchetti e rimasto allo stadio di prototipo. Estrapolato dal trimotore SM.84, questa versione bimotore rappresenta uno degli aerei di più poderoso armamento che siano stati realizzati per la Regia Aereonautica. La struttura era sempre di tipo misto, ma i motori erano stati ridotti a 2, i potenti Piaggio P.XII Tornado da 1.500 hp. Il passaggio da tre a due unità motrici consentì la completa rielaborazione della sezione prodiera della fusoliera: nella parte superiore vi era la cabina di pilotaggio, dall’ottima visibilità, nettamente migliorata rispetto all’SM.84; sotto era alloggiato un vero e proprio arsenale, formato da due cannoni Breda da 37 mm. e da tre mitragliatrici Breda da 12,7. Per l’ispezione di queste armi l’intera sezione del muso, sia frontalmente che ventralmente, era fornita di carenature facilmente asportabili. Il velivolo ha subito varie modifiche nel corso della messa a punto, quali, ad esempio quella dei portelli del carrello con l’abolizione dei grembiuli anteriori, sulle gambe di forza, e la riduzione delle prese d’aria sopra i motori Piaggio P.XII; egualmente solo in avanzato stato di collaudo vengono montate la torretta dorsale e quella ventrale, entrambe tipo Breda, già previste in sede di progettazione. Non si sa bene quando l'aereo volò per la prima volta: forse l'autunno del '41 o la primavera del '42; quello che è certo è che è trattenuto presso la ditta sino al settembre 1942. Aldo Moggi lo porta a Guidonia nel successivo mese di ottobre e di lì il velivolo compie la consueta serie di prove, comprese quelle di tuffo, in quanto l’aereo è predisposto per compiere attacchi anche in questo assetto. L'S.M.89 prometteva bene quanto a potenza. Di fatto era molto simile, come concezione, ad un grosso Henscel Hs.129. Come questo era dotato di un abitacolo minuscolo, con il muso abbassato e piuttosto piccolo per migliorare la visibilità dell'abitacolo. La corazzatura era impressionante: 300 kg di acciaio per parte anteriore più il parabrezza blindato, 300 kg per i motori, 80 kg soltanto per la corazza posteriore. V'erano poi anche i serbatoi semapizzati (autostagnanti), sei da 2.700 l. Successivamente il velivolo è trasferito a Furbara ove svolge le prove di tiro contro bersagli a terra (carri armati); I collaudi dell'aereo iniziarono con un solo cannone, l'altro venne poi prelevato da un FC.20 presente. I risultati di questi cicli di valutazione sono molto promettenti, anche se il velivolo, di dimensioni e peso notevoli, soffre di una certa limitazione di potenza con l’impiego dei Piaggio da 1500 cv. L’adozione di unità motrici più potenti, come il previsto Piaggio P.XV da 1650 cv., avrebbe senz’altro dato maggiore esuberanza e migliori prestazioni al velivolo, che tuttavia resta il più brillante tra quelli che hanno portato le armi da 37 mm. Nel luglio 1943, il prototipo dell’SM.89 viene assegnato, per la valutazione in condizioni operative, alla 173a squadriglia. Questo reparto, dopo un lungo periodo passato in Sicilia con gli ottimi CR.25, è ora basato sull’aeroporto di Cerveteri e và considerato una unità sperimentale: infatti riceverà anche esemplari di pre-serie del CANSA FC.20. I piloti del reparto che lo hanno pilotato sono estremamente critici verso l’SM89; il ten. Bertuzzi, infatti è costretto a far zavorrare l’aereo per correggere la tendenza ad abbassare la prua, mentre il cap. Rindone la definisce una macchina pesante malgrado la notevole potenza motrice a causa del peso dell’armamento e della corazzatura (anche le NACA dei motori e il posto di pilotaggio) e pertanto poco veloce e maneggevole, necessità di viaggiare con oltre l’80% della potenza e mantenere un assetto cabrato per non perdere quota, avvicinamento finale e atterraggio avventurosi dovendo levare motore poco prima di toccare terra per impedirgli di mettere giù il muso. Giova rammentare che nella lotta ai mezzi corazzati sovietici sul fronte dell’Est l’utilizzo dello Ju.88P, apparecchio di peso e dimensioni paragonabili all’SM 89, vide il totale annientamento dell’unità che lo utilizzava mentre positivo e proficuo utilizzo ebbe lo Ju.87 che in tale ruolo venne utilizzato sino alla fine del conflitto. Malgrado lo Stato Maggiore voglia impiegarlo per contrastare lo sbarco alleato a Salerno, per fortuna dei due piloti, l’aereo non vedrà mai l’impiego operativo. Anche per questo velivolo ogni ulteriore sviluppo viene interrotto dall’armistizio. Dopo che i Tedeschi presero possesso dell'aeroporto di Foligno, nel settembre '43, dell'aereo se ne persero le tracce. Scheda Tecnica Motore: 2 x Piaggio P.XII RC.35 Potenza: 1500 cv Apertura alare: 21,04 m Lunghezza totale: 16,85 m Altezza totale: 4,50 m Superficie alare: 61,00 mq Peso a vuoto: 8.800 kg Peso a carico massimo: 12.635 kg Velocità massima: 440 km/h a 4.280 m Tempo di salita: 9’14’’ a 3.000 m Tangenza massima: 6.700 m Autonomia: 1.600 km Armamento: 2 cannoni da 37 mm. e 3 mitragliatrici da 12,7 nel muso, 1 da 12,7 dorsale, 1 da 12,7 ventrale (tipo IX telecomandato e tipo V) Progettista: Alessandro Marchetti Pilota collaudatore: Guglielmo Algarotti Primo volo prototipo: MM. 533 nell’autunno 1941(Vergiate -VA-)
  7. Frencio

    Breda Ba.201

    Concordo. A quell'epoca, inoltre, vi erano già Re.2001 CB e Re.2002 che, oltre a portare un carico maggiore, erano dei caccia adattati, quindi caccia-bombardieri all'inizio e caccia "puri" alla fine! inoltre montavano motori radiali e non i preziosi DB.601. Rimane comunque un aereo degno di nota e sicuramente uno dei migliori della categoria (almeno dal punto di vista del profilo alare e del velivolo in generale -non andiamo a toccare il discorso delle tecniche costruttive ed industriali italiane dell'epoca-). Si può inoltre spezzare una lancia a suo favore parlando del carico di caduta; non il peso complessivo che l'aereo poteva trasportare (ove risulta inferiore ai velivoli Reggiane), ma dal peso del singolo ordigno. Il Ba.201 infatti poteva portare una bomba da 500 kg, ben più efficace di 3 ordigni da 640 kg in totale! A mio avviso, un piccolo spazio se lo sarebbe potuto ritagliare come assaltatore imbarcato, in una versione con le ali pieghevoli, date le prestazioni non troppo inferiori o dissimili da altre versioni imbarcate dell'epoca e visto che, nella guerra aerea contro il naviglio nemico, si siano dimostrate molto più efficaci bombe il più pesanti possibile. (rimane comunque una mia opinione, fortemente vincolata al mondo dei "se" quali -"se fosse entrato in produzione" e "se avessimo avuto delle portaerei"-)
  8. Frencio

    Breda Ba.201

    Breda Ba.201 Nel luglio 1939 una nostra Missione si reca in Germania a visitare alcune industrie aeronautiche, quali la Heinkel e la Junkers. A Dessau è attentamente esaminato lo Ju.87 “Stuka” e dello stesso velivolo si ottiene, tramite il nostro Addetto aeronautico aggiunto, una completa documentazione tecnica. Il 28 agosto 1939 lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica bandisce un Concorso per bombardiere a tuffo, monomotore, monoplano e monoposto. Ad esso si dedica con particolare impegno la ditta Breda, attraverso un gruppo di lavoro costituito dall'ing. Vittorio Calderini per la progettazione strutturale e dall'ing. Mario Pittoni per l'impostazione e le verifiche aerodinamiche. I progettisti della Breda avevano da tempo rivolto i loro studi alla realizzazione del velivolo d'assalto, o da appoggio tattico, come diremmo oggi. Dopo la delusione parziale con il Ba.65, robusto aereo d'attacco -teoricamente- multiruolo (ma con vari inconvenienti, specie con il motore A.80 da 1.000 hp), e sopratutto con il flop del suo successore bimotore Ba.88, c'era poco da fare per la Breda nel settore aeronautico. Il nuovo velivolo, ribattezzato Ba.201, doveva essere quello che avrebbe permesso alla Ditta e alla specialità stessa dell'aviazione d'assalto italiana di risorgere dalle ceneri. Sviluppo Pur essendo bene a conoscenza del velivolo tedesco, i tecnici della Breda ne conservano solo l'impostazione generale, abbinando alla caratteristica soluzione dell'ala a gabbiano elementi del tutto nuovi quali il carico di caduta portato all'interno di una gondola ventrale, il carrello retrattile, la configurazione monoposto. L'ala a gabbiano è peraltro l'unica a garantire perfetta stabilità nel tuffo, impedendo quegli assetti derapati che determinano collimazioni non reali dell'obiettivo. Il carrello retrattile è una innovazione coraggiosa in quanto nello Stuka le ingombranti carenature hanno una precisa funzione stabilizzatrice che nel Ba.201 rimane esclusivamente affidata all'ala. Quest'ultima è una struttura a cassone, con profili NACA molto avanzati, completata da freni di picchiata che si aprono a “forcola” sopra e sotto al bordo d'uscita alare. Mediante il modello aerodinamico ed i fili di lana, Pittoni verifica in galleria del vento la posizione dei piani orizzontali di coda in modo che non siano in zona d'interferenza, a freni aerodinamici aperti. Un primo studio prevede l'abitacolo in posizione alquanto arretrata ma poi esso è avanzato per migliorare la visibilità del pilota e soprattutto per portare il baricentro del velivolo dal 27 al 21% della corda media alare: il baricentro spostato verso il muso migliora infatti le caratteristiche di tuffo. In quanto all'unità motrice sono prese in esame quattro soluzioni con i propulsori Isotta-Fraschini L.121 RC.40 da 960 cv, Daimler-Benz DB.601 da 1.175 cv, Isotta-Fraschini Zeta da 1.125 cv, Fiat A.38 RC.15-45 da 1.200 cv. Il 28 maggio 1941 il maresciallo Luigi Acerbi lascia in Puglia la sua 209a squadriglia di Ju.87 e passa in carico al Centro Sperimentale di Guidonia. Per le ottime qualità di pilota e per l'esperienza operativa acquisita, egli è assegnato alla ditta Breda per collaudare il nuovo aereo. Il primo volo del Ba.201 MM.451 avviene nel pomeriggio del 3 luglio 1941 ed entro il 25 settembre 1941 si giunge a 13 h e 30' di volo nel corso di 34 prove di collaudo. Il 26 settembre l'aereo è esaminato dal gen. Mario Bernasconi e quindi Acerbi effettua una lunga presentazione in volo e la prova di atterraggio che l'aereo, privo di flaps, esegue utilizzando gli aerofreni. L'8 ottobre, il collaudatore trasferisce l'aereo al Centro Sperimentale di Guidonia, impiegando 90' tra Sesto S. Giovanni e l'aeroporto romano. Qui Acerbi esegue le caratteristiche di salita e di velocità in quota (17 ottobre) e dimostra le possibilità dell'aereo al gen. Francesco Pricolo. Fanno seguito le prove di velocità minima (20 ottobre), affondata (24-25-28 ottobre), velocità massima (29 ottobre). Fin dall'inizio il Ba.201 si dimostra un velivolo ben riuscito. L'ala gli conferisce ottima stabilità ed i freni aerodinamici si rivelano talmente efficaci da prevedersene una parziale apertura, in condizioni operative, per non causare una discesa troppo lenta che faciliterebbe il fuoco contraereo nemico. Il 31 ottobre, Acerbi riporta l'aereo a Sesto ed il 1° novembre lo presenta a Lonate Pozzolo, sede del Nucleo Addestramento Tuffatori. Dalla fine dello stesso mese egli inizia intensa attività di collaudo dei velivoli costruiti dalla Breda su licenza: entro il luglio 1942, Acerbi collauda ben 61 Macchi C.202 e 52 C.200. I voli del Ba.201 MM.451 sono ripresi il 20 gennaio 1942 ed esattamente un mese dopo Acerbi effettua sul poligono di Lonate Pozzolo 4 lanci della bomba, rientrando in giornata a Sesto S. Giovanni. Qui il collaudatore incontra spesso in volo i piloti militari che vengono a ritirare i C.202. Sono così inevitabili finte cacce durante le quali il Ba.201 è solito buttarsi in affondata seguito dal velivolo Macchi. A questo punto l'estrazione degli aerofreni ferma in tale misura il Ba.201 che i C.202 finiscono per superarlo e quindi trovarselo in coda. Del resto l'aereo è molto manovriero ed Acerbi effettua puntate sul campo a quota minima con la stessa disinvoltura di un velivolo da caccia. Tentativo d'impiego operativo nel corso della battaglia aereonavale di "mezzo giugno" e verdetto della Regia Acerbi si offre volontario per provare il velivolo in condizioni operative nell'ambito della battaglia di “mezzo giugno”. Il giorno 14 egli parte da Guidonia, fa scalo a Reggio Calabria e quindi giunge a Trapani Chinisia. Il 15 giugno egli si porta a Gela ove con grande amarezza constata di non poter agganciare il carico di caduta per la mancanza su quell'aeroporto delle apposite fasce porta-bombe impiegate dai tuffatori. Il giorno seguente Acerbi rientra a Guidonia. Qui egli effettua ancora la prova di consumo (23 giugno) e quindi il 26 giugno lascia l'aereo al Centro Sperimentale: le sue prove della MM.452 hanno contemplato un totale di 27 voli per 19 h. e 35'. E' da notare che sui Ba.201 si è scartata, dopo il periodo iniziale, la gondola ventrale. I collaudi a Guidonia manifestano disparità di vedute. Il cap. Renzo Busnengo, memore dell'esperienza con l'infelice SM.85, è un entusiasta assertore del velivolo per la stabilità e le buone caratteristiche, mentre i piloti provenienti dalla caccia ne lamentano alcune deficienze acrobatiche durante tonneaux ed imperiali. Naturalmente il tipo di velatura incide sulla velocità massima raggiungibile. Ma il vero motivo che porta a scartare la produzione di serie è nel fatto che il Ba.201 monta quei motori Daimler-Benz DB.601 indispensabili alla linea-caccia e già ad essa consegnati in quantità non sufficienti. Il programma venne così cancellato; vi erano già disponibili i Ju.87 tedeschi, fin dal '40 comprati per rimpiazzare gli SM.85 e, a quel punto, divennero disponibili una seconda serie, stavolta gli Ju.87D potenziati e capaci di 1.800 kg di bombe. Tecnica Velivolo da bombardamento in picchiata, monoplano ad ala bassa a “gabbiano”, monomotore, monoposto, a struttura interamente metallica. Ala bilongherone a pianta trapezoidale, in tre parti, con struttura e rivestimento in duralluminio; alettoni e freni aerodinamici a doppia apertura sul bordo d'uscita alare in duralluminio; alette Handlet-Page sul bordo di attacco dell'ala. Piani di coda a sbalzo in duralluminio, tranne le superfici mobili rivestite in tela; stabilizzatore ad incidenza variabile in volo. Carrello retrattile a scomparsa totale per rotazione verso l'interno e leggermente indietro, a comando idraulico; freni idraulici. Ruotino di coda orientabile, non retrattile, carenato. Fusoliera a sezione ellittica con struttura e rivestimento in duralluminio, in due parti. Motore con elica tripala metallica Alfa Romeo, a passo variabile in volo. Serbatoi del carburante alle spalle del pilota per totale di 650 l. posto di pilotaggio con cappottina vetrata ribaltabile lateralmente, protetto da corazzatura; apparecchiatura radio rice-trasmittente, macchina fotografica con asse verticale in fusoliera, dietro vano bombe; inalatore di ossigeno. Strumenti per i parametri di volo e del motore, orizzonte artificiale, collimatore S. Giorgio. Circuito oleodinamico per il riarmo, lo sparo, il caricamento e lo sgancio di bombe. Due mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm alari con 350 colpi cadauna e tiro al di fuori del disco dell'elica. Vano in fusoliera per un carico massimo di 500 kg (la bomba viene estratta da un parallelogramma a compasso). E' da notare che tutti i bombardieri in picchiata impiegati dalle varie nazioni impegnate nel conflitto erano muniti di postazione dorsale per la difesa del settore posteriore (Dauntless, Helldiver, Stuka, per citare i più noti), questo a causa della velocità, sempre relativamente bassa in aerei di questo tipo. Il Ba 201, al contrario, era monoposto: questo, in mancanza di dati, lascia ragionevolmente supporre che la sua velocità orizzontale fosse tale da permettere l'assenza di una postazione dorsale. Caratteristiche Motore: Daimler-Benz DB.601 Aa Potenza: 1.175 cv Apertura alare: 13,00 m Lunghezza totale: 11,09 m Altezza totale: 3,10 m Superficie alare: 24,84 mq Peso a vuoto: 2.380 kg Peso a carico massimo: 3.650 kg Velocità massima: 460 km/h a 4.000 m Velocità minima: 110 km/h Tempo di salita: 7'50" a 4.000 m Autonomia: 1.200 km Armamento: 2 mitragliatrici alari da 12,7 mm (350 cp. per arma) Carico bellico: 500 kg Equipaggio: 1 Progettisti: Vittorio Calderini e Mario Pittoni Pilota collaudatore: Luigi Acerbi Primo volo prototipo: MM. 451 il 3 luglio 1941(Bresso -Milano-) * Fonti rilevate da "Dimensione Cielo 6 - Bombardieri"
  9. Frencio

    I.M.A.M. Ro.58

    Un velivolo indiscutibilmente valido, sebbene, all'epoca dei suoi primi voli, non si potesse dire lo stesso della Regia Aeronautica. Nonostante si fosse dimostrato all'altezza dell'Hornisse, che montava ben 1.200 cv in più, purtroppo era assai più complicato da pilotare rispetto ad un normale monomotore ed un suo utilizzo avrebbe richiesto un gruppo di piloti specializzati, cosa che, nell'estate del '43, avrebbe decimato le fila dei (pochi) piloti veterani della RA. P.S. il Ro.58 montava una coppia di Alfa Romeo Re.1000 RC41 (Daimler Benz DB601 Aa), dalla potenza di 1.175 cv cadauno, non dei DB 605! (errore delle 2 di notte! )
  10. Frencio

    Piaggio P.119

    Purtroppo quella del motore-ariete è una triste verità. Immagino che, in caso di atterraggio d'emergenza, il pilota avrebbe seriamente rischiato di fare la fine del collaudatore della Ambronsini, l'ingegner A. Colombo, il quale, mentre compiva un volo di collaudo con l'SS.4, che montava anch'esso un motore dietro l'abitacolo, fu costretto ad un atterraggio di fortuna; quest'ultimo si trasformò in incidente fatale perché l'aereo si schiantò contro un albero. Il pilota morì in quanto il motore nell'impatto venne proiettato in avanti nella cabina di pilotaggio, schiacciando l'occupante contro la parte anteriore.
  11. Frencio

    Piaggio P.119

    lo si estrapola dal sito Уголок неба, le cui fonti sono: Aerei Italiani - Scheda Tecnica. Piaggio Р.119 Andrew Krumkach. Caccia Piaggio p.119 Dimensione Cielo (3 - Caccia Assalto) non ne parla
  12. Frencio

    Piaggio P.119

    errore delle 3 di notte! chiedo venia!!
  13. Frencio

    Piaggio P.119

    Piaggio P.119 Il Piaggio P. 119, pur presentando una breve e travagliata carriera, è indubbiamente uno dei velivoli più originali che siano stati costruiti in Italia nel periodo bellico. Esso si basa sull'impiego di una grossa unità motrice radiale disposta in fusoliera, che trasmette il movimento all'elica mediante un lungo albero-motore: il raffreddamento del propulsore è ottenuto con una presa d'aria sistemata in posizione ventrale. Il significato di questa impostazione è nel far coincidere la dislocazione del motore col centro di gravità del velivolo, a tutto vantaggio della manovrabilità. La disposizione del propulsore alle spalle del pilota porta, come ulteriore risultato, ad un abitacolo dalla buona visibilità, non essendo afflitto dalla presenza di grossi ingombri frontali. Sviluppo Nel 1938, presso la Piaggio, l'ing. Casiraghi iniziò gli studi relativi ad un velivolo propulso da un motore installato al centro della fusoliera. Nasceva così il Piaggio P.119, concepito come monoplano mono-motore monoposto impiegabile per la caccia, l'assalto, l'accompagnamento di bombardieri a notevoli distanze. Completati gli studi preliminari, nel marzo 1939 la Piaggio sottopose il progetto al Ministero dell'Aeronautica che solo dopo un anno commissionò la costruzione di un prototipo. Le prime prove a terra avvennero il 12 ed il 16 novembre 1942; il primo volo fu effettuato il 19 dicembre dello stesso anno. I voli di prova si protrassero fino all'agosto 1943; nel mese successivo, con l'armistizio, ogni studio venne sospeso ed il P. 119 segui la sorte di numerosi altri brillanti prototipi, scomparsi nel precipitare degli avvenimenti. La caratteristica costruttiva principale del P. 119 era data dalla collocazione del motore al centro della fusoliera; l'elica veniva comandata per mezzo di un albero che girava allo stesso numero di giri del motore e di un riduttore situato in corrispondenza del muso dell'aereo. Una tale sistemazione consentiva notevoli vantaggi pratici: sotto il profilo dell'impiego bellico, permetteva di raccogliere l'armamento nel muso della fusoliera, realizzando un'ottima concentrazione di fuoco e consentendo una facile ispezione e manutenzione delle armi; la visibilità del pilota, posto avanti al motore, risultava notevolmente migliore dei normali apparecchi da caccia. Sotto il profilo delle caratteristiche di volo, la vicinanza della massa del motore al baricentro dell'apparecchio aumentava notevolmente la manovrabilità. Seguono pochi altri voli che tuttavia presentano le stesse ricorrenti difficoltà. Il motore dimostra gravi insufficienze nel raffreddamento ed obbliga a tenere i flabelli costantemente aperti; questi sono anche causa di probabili interferenze aerodinamiche che si manifestano con la tendenza del velivolo a cabrare; impossibile dare motore a causa delle violente vibrazioni che esso comunica alla cellula; da ultimo il P.119 presenta problemi di centraggio non diversamente da quanto avvenuto per il similare Bell P.29 "Aircobra". Così l'attività di volo del P.119 si limita al solo aeroporto di Villanova d'Albenga, ove peraltro non vengono rilevate le caratteristiche (tempi di salita, velocità massima, ecc.) non essendo possibile determinarle con i limiti dei sopracitati inconvenienti. Egualmente non si effettuano prove di tiro, pur essendo istallate sul velivolo due armi da 12,7 mm. lo stesso collaudatore rinuncia ad ogni tentazione acrobatica per impegnarsi in una condotta particolarmente attenta. Ciononostante durante un atterraggio, complice il cattivo funzionamento dei freni, il P.119 è vittima di una imbardata che comporta danni all'elica e ad una estremità alare (2 agosto 1943). L'ammontare dei danni è limitato ma comunque si rinuncia a riparare l'apparecchio, data la gravità della contingente situazione bellica abbinata agli evidenti limiti di questa macchina sperimentale. Tecnica Poichè il motore adottato era del tipo radiale con raffreddamento ad aria (il progetto iniziale prevedeva l'installazione di un motore Piaggio P. XXII, sostituito poi con Piaggio P. XV data la scarsa disponibilità del primo), particolari studi furono compiuti per ottenere una soddisfacente soluzione al problema del raffreddamento; problema brillantemente risolto con l'adozione di una larga presa d'aria ventrale che per mezzo di due condotti adduceva l'aria al motore; una serie di alette regolabili poste immediatamente dietro al motore permetteva il deflusso dell'aria. Esteriormente il P. 119 si presentava con linee compatte e nella stesso tempo notevolmente pulite; la caratteristica presa d'aria risultava bene incorporata nel profilo della fusoliera. La costruzione era interamente metallica. L'ala, con struttura bi-longherone, era costituita da tre parti: due semiali esterne ed una parte centrale in comune con la fusoliera, unite fra loro con bulloni. Alettoni in duralluminio, rivestiti in tela, equilibrati staticamente e dinamicamente. Il carrello d'atterraggio, munito di ruote tipo III (700 x 235 mm.), rientrava per mezzo di martinetti idraulici verso l'interno del bordo d'attacco dell'ala. La parte interna al carrello, fra i due longheroni, conteneva un serbatoio di benzina da 330 litri. La fusoliera, con struttura a guscio in durall, era costituita da tre parti, munite fra loro con bulloni. Nella parte anteriore erano collocati il gruppo riduttore dell'elica con relativo supposto, un cannone da 20 mm. sparante attraverso il mozzo dell'elica con relativa scatola di munizioni (estraibile dall'aereo), 4 mitragliatrici da 12,7 con scomparti per le munizioni (fissi all'aereo),posto di pilotaggio e relative installazioni. Per l'accessibilità al cannone esisteva una larga apertura inferiore; le mitragliatrici erano invece montate su un pianetto superiore che si scopriva completamente con l'asportazione di due grandi pannelli di lamiera. Il posto di pilotaggio era munito di una struttura para-cappottata in tubi d'acciaio; in caso di cappottata il pilota poteva uscire da un'apertura praticata sulla destra della fusoliera, sufficientemente ampia da permettergli l'uscita anche se la struttura superiore del parabrezza si fosse notevolmente deformata. Nella parte centrale della fusoliera trovava posto l'incastellatura del motore, gli attacchi del quale poggiavano su tamponi di gomma per assorbire le vibrazioni e la coppia motrice. Sempre nella parte centrale trovavano posto il radiatore dell'olio, posto inferiormente dietro al motore, e tutti gli impianti (pompe benzina, olio lubrificante, olio per l'impianto idraulico, aria compressa). Nella parte posteriore si trovavano un serbatoio di benzina da 340 litri ed uno di olio da 90 litri, estraibili dalla parte superiore della fusoliera. Il ruotino di coda, non retrattile, era munito di ammortizzatore oleo-pneumatico ed era orientabile, con sistema meccanico di ritorno a zero. E' interessante notare che erano previste delle modifiche all'armamento: per l'impiego anticarro si pensava di adottare un cannone da 37 mm.; inoltre, per l'impiego come caccia-bombardiere si prospettò l'impiego di tre attacchi porta-bombe, uno sotto la fusoliera ed uno sotto ciascuna semiala. Si pensò, infine, di aggiungere altre quattro mitragliatrici da 7,7 mm., due per semiala. Scheda Tecnica Motore: Piaggio P.XV RC.60 Potenza: cv 1650 al decollo Apertura alare: m 13,00 Lunghezza totale: m 13,00 Altezza totale: m 3,00 Superficie alare: mq 27,80 Peso a vuoto: kg 2.670 Peso a carico massimo: kg 4.100 Velocità massima (prevista): km/h 640 a 6.800 m Velocità minima: km/h 130 Tempo di salita (previsto): 7' 15'' a 6.000 m Tangenza massima: m 12.500 Autonomia: km 1.500 Decollo: m 250 Atterraggio: m 300 Armamento: 1 cannone da 20 mm e 4 mitragliatrici da 12,7 mm nel muso Progettista: Giovanni Casiraghi Pilota collaudatore: Nicolò Lana Primo volo del prototipo: MM. 497 il 19 dicembre 1942 (Villanova d'Albenga)
  14. Frencio

    I.M.A.M. Ro.58

    I.M.A.M. Ro. 58 L'IMAM Ro.58 fu un prototipo di caccia pesante bimotore ad ala bassa prodotto dall'azienda italiana I.M.A.M. (Industrie Meccaniche Aeronautiche Meridionali) nel corso del secondo conflitto mondiale. Esso testimonia la felice integrazione del lavoro di un gruppo di progettisti (Giovanni Galasso, Pietro Callerio e Manlio Fiore) e l'esperienza di un pilota collau­datore: Adriano Mantelli. La realizzazione dell’aereo era in risposta al concorso indetto nel 1939 per un caccia pesante da integrare nei reparti della Regia Aeronautica. La progettazione del velivolo ebbe inizio come seguito, con formula bideriva, del precedente Ro.57. Di quest'ultimo conservava la tecnica costruttiva, ovvero una fusoliera in lega leggera con rivestimento in duralluminio, ala bassa a sbalzo e carrello d'atterraggio anteriore completamente retrattile nelle gondole motore completato da un ruotino d'appoggio posteriore. La definizione del posto di pilotaggio e la relativa disposizione di comandi e strumenti vennero elaborate, da progettisti e collaudato­re, coll'impiego di un simulacro in grandezza naturale. A completamento vi era l’utilizzo di unità moderne come i Daimler Benz DB.601A da 1.175 hp, in sostituzione dei precedenti Fiat A.74 RC.38 da 840 hp ma, a questi avanzati criteri, corrisponde una povertà di mezzi complicata dalle difficili situazioni contingenti: i propulsori del velivolo sono motori originali tede­schi, già ampiamente usati e passati attraverso una semplice revisione. Il Ministero dell'Aeronautica autorizzò la costruzione di due esemplari a cui vennero assegnate le matricole MM.431 ed MM.432 e la commessa risultava per l’importo di £. 6.000.000, ma inizialmente l'azienda si concentrò su un unico esemplare la cui costruzione venne conclusa con notevole ritardo all'inizio del 1942. I Primi voli di collaudo Così, a stretto contatto colla realizzazione del prototipo, Mantelli si prepara al primo volo: in decollo, col velivolo ormai in aria ed i limiti del campo in rapido avvicinamento, si verifica la piantata di uno dei motori. L'aereo butta giù la relativa ala, ma il collaudatore non è meno veloce nel togliere l'altro motore, raddrizzare il Ro.58 ed atterrare, non senza qualche fatica, nel perimetro dell'aeroporto. Dopo l'episodio, si arriva alla ipotesi che la piantata di motore è stata probabilmente cau­sata da un mancato afflusso del carburante per insufficiente funzionamento della pompa elettrica durante l'assetto di decollo: si ripara all'inconveniente cambiando la posizione del pozzetto di alimentazione. Secondo decollo e primo volo: tutto si svolge regolarmente, ma per poco. Il pilota nota le lancette dei due teletermometri della temperature motori, che si avviano velocemente verso i valori massimi. Entrambi i radiatori contenuti nello spes­sore alare sono soggetti a qualche fenomeno di ombra aerodinamica. Non resta che rientrare al più presto, ma quando il pilota va ad azio­narli i flaps causano interferenze aerodinamiche sul funzionamento dei piani di coda, tanto che l'ae­reo punta il muso verso terra. Mentre Man­telli si porta all'atterraggio, il cielo dell'aeroporto di Ca­podichino si riempie di un aero-convoglio di Ju.52 che ha subìto un violento attacco, a largo della Sicilia. Il nostro pilota compie una manovra estrema­mente fortunosa, in mezzo agli Junkers, che con morti e feriti a bordo si portano confusamente all'atterrag­gio, riesce ad evitarli uno ad uno, e termina la corsa a pochi metri da una pattuglia di C.202, pronti a partire su allarme. I risultati di questo primo volo portano ad importanti modifiche. Si ristudia la posizione dei radiatori alari che, ricollocati, non daran­no più luogo ad inconvenienti e si compie un ancor più radicale intervento per la sezione di coda del velivolo. I progettisti fanno se­gare la fusoliera nel settore di poppa e dispon­gono due nuove ordinate combacianti, in cor­rispondenza al taglio: in questa superficie di contatto, pongono una cerniera sul dorso della fusoliera ed un martinetto oleopneumatico nel punto diametralmente opposto. La modifica, egregiamente effettuata dai tecnici della Ma­gnaghi, fa sì che l'intero complesso di coda possa ruotare verso l'alto di alcuni gradi, pro­porzionalmente all'uso dei flaps, in modo da uscire da quell'effetto di ombra aerodinamica, constatato nel primo volo. Tutte le successi­ve prove ne confermeranno la piena validità. Un altro intervento viene condot­to sui due dischi della deriva che vengono mag­giorati di superficie, al fine di aumentarne l'ef­ficienza: invece di ricostruirli, si realizzano due cappucci aggiuntivi che vengono oppor­tunamente rivettati sugli elementi preesistenti. La soluzione riceverà un significativo collaudo, senza dar luogo ad inconvenienti, nella prova di velocità massima in affondata. In essa si verifica invece un ulteriore incidente che crea qualche problema al collauda­tore. Buttato in candela il Ro.58 rag­giunge facilmente la velocità prescritta per la prova (del 50% superiore a quella massima in volo orizzontale). Quando il pilota comincia a ri­chiamare l'aereo, dato che questo ha an­cora una fortissima velocità da smaltire, pensa di ridurla coll'esecuzione di un « tonneau ». Alla manovra, il portellone di uno dei vani per i semicarrelli schizza via sotto la violenta pressione della gamba di forza che, non mu­nita di ganci di arresto per la posizione retratta, è stata centrifugata sino a fuoriuscire. Il pilota vede l'elemento di chiusura perdersi nel cielo e deve pensare all’atterraggio. Infatti la gamba del car­rello, uscita in folle, si è semincastrata tra quanto rimane dei pannelli di chiusura. Il successivo intervento sui due sistemi di emer­genza per l’estrazione, porta addi­rittura allo scoppio delle tubazioni del cir­cuito idraulico colla conseguenza di non po­ter retrarre l'altro elemento. Mantelli tiene su l'aereo, dando motore dalla parte ove manca l'appoggio, il più a lungo possibile: descrive così, sul campo, una curva a raggio molto ampio alla fine della quale si ferma con una leggera imbardata: danni lievissimi ad una estremità alare e ad un'elica, che poi sarà raddrizzata e utilizzata sullo stesso velivolo. Questi episodi non deb­bono essere considerati prerogativa del Ro.58: ogni messa a punto e collaudo presentano difficoltà ed incognite. In effetti Mantelli conserva un ottimo ricordo del Ro.58 e lo considera un velivolo d'eccezione. Il confronto con l'Me.410 a Guidonia Risolti i problemi di gioventù, da Capodichino, il collaudatore porta l'aereo al Centro Sperimentale di Guidonia. Durante la presenza su questo aeroporto, avviene un singolare confronto tra il Ro.58 ed un Messerschmitt Me.410, propulso da due motori Daimler Benz DB.603 da 1.750 cv. Mantelli ha occasione di provare il bimotore tedesco e ne riporta l'impressione che la velocità al suolo sia analoga a quella del Ro.58. Così un giorno, mentre il Me.410 è circondato da alti Ufficiali italiani e tedeschi, assai convinti delle sue doti, al gruppo si avvicina “per caso” Mantelli ed esordisce affermando che lì a Guidonia c'è già un velivolo migliore. Quella che pare una battuta causa prima un animata discussione e poi un confronto diretto tra il Ro.58 ed il Me.410. Mantelli sale sul primo mentre il secondo è portato in volo dal cap. Paolo Moci, che ha già al suo attivo una buo­na conoscenza del bimotore tedesco. Moci de­colla per primo e svolge un nutrito program­ma acrobatico, di raffinata qualità: Mantelli non è da meno e ricopia, manovra per mano­vra, tutto quello che fa l'altro. Si passa quin­di alla seconda fase del confronto: una prova di velocità in volo orizzontale dall'aeroporto di Guidonia al vicino monte Soratte, e ritorno. Alla fine della quale, il Me.410 risulta attardato di circa un chilometro. Lo stesso risultato non si sarebbe comunque ottenuto né a quote superiori, a causa delle migliori caratteristiche di ristabilimento della potenza dei DB.603 rispetto ai DB.601, né senza la momentanea chiusura dei flabelli dei radia­tori del Ro.58. La sorte del velivolo Il giorno successivo un vertice al Ministero dell'Aeronautica, ne decide la sorte. L'aereo, per la for­mula bimotore, l'alto carico alare (250 kg./m2), le cinque ore di autonomia, richiede piloti mol­to esperti con precise cognizioni di navigazione aerea: formare un nuovo reparto con questa élite di piloti vuol dire mettere in crisi tutti gli altri reparti da caccia in cui l'esperienza e la guida dei veterani sono ancora più ne­cessarie. Tutto ciò limitava l'uso del velivolo, e dovendolo destinare a piloti esperti determinò l'accantonamento del progetto, anche in relazione alla lentezza dello sviluppo che, giunto oramai al 1943, doveva scontrarsi con le nuove esigenze dovute alle avverse sorti belliche italiane nella seconda guerra mondiale. Mantelli continua a svolgere attività di volo sul Ro.58, in preparazione di un singolare impiego. Parallelamente a quanto previsto per i RE.2005, si pensa di utiliz­zarlo per « bombardare » le formazioni nemiche. Ma a differenza dei “Sagittario”, Mantelli ha maggiori possibilità di successo. Agganciata la formazione da bombar­damento e portatosi a quota superiore, il secondo, munito di strumento telemetrico, deve sganciare bombe con spolette già regolate per esplodere a livello dei velivoli nemici, provocando lo scoppio, per « simpatia », del carico bellico trasportato. Tale missione, inizialmente ritenuta valida, venne poi rinviata, quando al Ro.58, trasferito sull'aeroporto di Ciampino, sono asportati i mo­tori col pretesto di doverne approvvigionare dei velivoli da caccia. Probabilmente è una mi­sura precauzionale per eliminare in maniera definitiva le possibilità di uso operativo; oramai l’armistizio è in vista. Dell'unico esemplare realizzato, dato che il secondo prototipo non fu mai costruito, se ne perse traccia dopo l'Armistizio di Cassibile. Scheda Tecnica Motore: FIAT RA50 RC.58 Tifone (Daimler Benz DB605 A-1) Potenza: 1.175 cv. al decollo Apertura alare: 13,40 m Lunghezza: 9,89 m Altezza: 3,39 m Superficie alare: 26,20 mq Peso a vuoto: 4.350 kg Peso a carico massimo: 6.100 kg Velocità massima: 605 km/h a m. 5.120 Velocità minima: 220 km/h Tempo di salita: 6’ a 6.000 m. Tangenza massima: 10.500 m Autonomia: 1.500 km Armamento: 5 cannoni da 20 mm. (3 posti nella parte prodiera della fusoliera; 2 in un pacco ventrale), 1 mitragliatrice da 12,7 mm. dorsale Progettista: Giovanni Galasso, Pietro Callerio, Manlio Fiore Pilota collaudatore: Adriano Mantelli Primo volo del prototipo: MM. 431 nel maggio 1942 (Napoli-Capodichino) *tutti i dati sono forniti da "Dimensione Cielo 3 - Caccia Assalto"
  15. Frencio

    Piaggio P108

    Bisogna anche tener conto della situazione geo-politica delle nazioni di cui stiamo trattando: - Gli USA sono una nazione in alcun modo minacciata dagli stati limitrofe e separata dai restanti da ben due oceani; è logico che la dottrina d'impiego dell'arma (offensiva) aerea statunitense punti maggiormente sulle lunghe distanze. Se poi ad essa unisci un'apparato industriale moderno e una disponibilità di mezzi, materiali e liquidi colossali, è normale che un progetto, anche se prematuro, abbia maggiori possibilità di riscuotere un adeguato successo. - in Italia, così come in Germania o i ogni altra nazione dell'Europa, la situazione era ben differente: tutte le nazioni che poi presero parte direttamente o meno al conflitto mantenevano più che altro una dottrina incentrata sull'annientare le nazioni vicine. In Italia, ad esempio, gli obbiettivi primari (prima dei contratti sorti con gli inglesi dopo l'embargo economico successivo alla guerra in Etiopia e la guerra civile in Spagna) erano la Francia, la Germania e la Jugoslavia, i "vicini d'oltralpe". Fu solo dopo le discordie con l'Inghilterra che nacque l'idea di vedere quest'ultima e tutte le sue -lontane- basi sparse per il Mediterraneo come degli obbiettivi militari! Così come la Germania, la cui aeronautica fu incentrata sul bombardamento tattico e/o comunque a medio raggio unicamente perchè il Reich non poteva permettersi una guerra prolungata e quindi contava di folgorare -letteralmente- il nemico colpendolo da vicino. Non fu però solo una prerogativa dell'Asse: prima dello scoppio del conflitto non vi fu una grande corsa al bombardiere strategico. Gli unici progetti che volarono prima del '40 furono il P.50, il P.108, l'Halifax, lo Stirling e l MB.162!
  16. Koolhoven F.K.58 Il caccia Koolhoven F.K.58 venne completato nel 1938; la costruzione del primo prototipo venne effettuata in soli due mesi dopo il completamento del lavoro di progettazione. Lo F.K. 58 aveva ali e piani di coda di costruzione lignea con rivestimento di compensato, la fusoliera era in tubi di acciaio ricoperta in metallo e tela e superfici mobili controllo con ordinate metalliche ricoperte di tela Il primo prototipo, con la sigla di registrazione civile PH-ATO ed il numero di costruzione 58-01, effettuò il primo volo il 22 settembre 1938, con motore Hispano Suiza 15 Aa 10 da 1080 cv. radiale raffreddato ad aria, raggiungendo nella prova di volo inziale una velocità di 560 km/h. Il secondo prototipo (PH-AVA) effettuò le prove di volo nel febbraio 1939 con un motore simile a quello installato nel primo velivolo. In precedenza, il 10 ottobre 1938, il primo F.K.58 aveva effettuato delle domostrazioni alla presenza di autorità Francesi a Villacoublay; nel mese seguente, dopo il completamento delle prove di tiro a Cazaux, era stato stipulato dal governo Francese un contratto d'acquisto. Il contratto, che comprendeva un totale di 50 velivoli, venne effettuato per conto del Ministero delle Colonie, poiché i caccia avrebbe dovuto essere impiegati nei territori coloniali Francesi quali l'Indocina. Vennero ordinate due varianti, l'F.K. 58 A con lo Gnome-Rhone 14 N/16 radiale a 14 cilindri da 1080 cv. e l'F.K. 58 con l'Hispano-Suiza 14 Aa 10 a 14 cilindri radiale di uguale potenza. Le consegne alla Francia ebbero inizio il 17 giugno 1939 ed il 24 settembre 1939 ne erano stati consegnati 18: di questi, 11 erano F.K. 58 A con motore Gnome-Rhone, i rimanenti con l'H-S. Nel marzo del 1939 il governo Olandese ordinò 40 caccia F.K.58 equipaggiati con il motore Bristol-Taurus e poiché la fabbrica N.V. Koolhoven Vliegtuigen non aveva un'adeguata capacità produttiva, la produzione di 10 velivoli F.K. 58 A dell'ordinativo Francese venne subcommissionata alla Società Belga SABCA. Al momento dell'invasione tedesca del Belgio, la fabbrica aveva completato otto cellule mentre le rimanenti due erano in fase di completamento, ma il governo francese non aveva consegnato nessun motore Gnome-Rhone. Oltre ai 18 F.K. 58 consegnati nel periodo Giugno-Settembe 1939, la N.V. Koolhoven Vliegtuigen non completò la consegna del contratto Francese, e nessun velivolo di questo tipo venne consegnato alla Luchtvaartafdeling. il primo prototipo precipitò il 4 gennaio 1940 presso l'aeroporto di Waalhaven (Rotterdam), mentre il secondo fu distrutto al suolo nella stessa base da bombe tedesche nel Maggio 1940. La maggior parte dei 18 F.K. 58 consegnati alla Francia furono assegnati alle "Patrouilles de Protection" nel maggio 1940, ed il loro piloti erano profughi polacchi addestrati a Lyon-Bron. I piloti polacchi trovavano la situazione per qualche verso comica, in quanto avevano "cellule olandesi, motori francesi, mitragliatrici belghe, piloti polacchi e cieli francesi". Ogni "patrouille" venne assegnata alla difesa di una città francese; comunque non ci sono tracce della loro attività operativa. per info: http://en.wikipedia.org/wiki/Koolhoven_F.K.58#Specifications_.28F.K.58.29 Tutto il materiale deriva da "Dimensione Cielo n. 23 II".
  17. Volevo proporvi due modelli di velivoli olandesi: il Fokker D.XXIII e il Koolhoven F.K.58: Fokker D.XXIII Il Fokker D.XXIII era un caccia monoposto di costruzione inconsueta essendo essendo equipaggiato con due motori montati l'uno anteriormente e l'uno posteriormente rispetto alla cabina di pilotaggio, con eliche tripale rispettivamente traente e spingente . Il principale scopo del progetto era di ridurre la resistenza aerodinamica, ma la sistemazione attuata per i motori offriva altri vantaggi secondari, incluso quello di poter volare con un solo motore evitando effetti di asimmetria nonchè la maggior protezione del pilota, che eliminava la necessità di piastre corazzate. Il D.XXIII inoltre era il primo caccia a carrello a triciclo retrattile. il prototipo venne esposto al pubblico al Salone dell'Aeronautica di Parigi del 1938 sebbene il velivolo non avesse effettuato prove di volo, che ebbero luogo nel giugno del '39. Esso era equipaggiato con due motori Walter Sagitta 1-SR da 540 cv. con 12 cilindri raffreddati ad aria, l'armamento era composto da due mitragliatrici gemelle da 7,9 nella fusoliera e un'arma da 13,2 all'attacco di ognuno de due travi di coda. In sede costruttiva vennero affrontati diversi problemi relativi al raffreddamento del motore posteriore. Furono presi in esame in alternativa diversi motori, fra i quali Junkers Jumo 210 G, l'Hispano-Suiza Cxr ed il Rolls Royce Kestrel XV. Nel dicembre 1938, anteriormente al primo volo del prototipo, vennero effettuati studi riguardanti la instaurazione di questi motori raffreddati a liquido, ma all'inizio della II GM erano in esame quali possibile alternative per la versione destinata alla riproduzione il Rolls Royce Merlin ed il Daimler-Benza DB 601, con una velocità massima prevista per ognuna delle versioni di 675 km/h. Sfortunatamente l'unico prototipo del D.XXIII venne distrutto nell'Hangar della Fokker a Schipol nel corso del primo attacco della Luftwaffe il 10 maggio 1940. per info: http://ww2drawings.jexiste.fr/Files/Site.htm http://it.wikipedia.org/wiki/Fokker_D.XXIII
  18. Frencio

    Piaggio P108

    Comunque il P.108 sarebbe stato un buon velivolo, salvo l'inaffidabilità dei motori, perenne croce dell'aviazione italiana nella II GM, così come di certe soluzioni adottate da Casiraghi per rendere il suo velivolo un mezzo all'avanguardia ma che, in un paese come l'Italia dell'epoca, erano pura fantascienza, come le torrette alari meccanizzate, perennemente afflitte da problemi elettrici e impossibili da ricaricare una volta finiti i nastri. A parer mio sarebbe stato interessante vedere in azione anche il suo "antenato" P.50 (II), che sarebbe potuto entrare nella fila della Regia anche nel '39, e almeno uno dei concorrenti del concorso per il BGR originale, anche se per quello avremmo probabilmente aspettato almeno il '43....
  19. Frencio

    Piaggio P108

    Il passaggio da "quantità" a "qualità" intrapreso dai tedeschi a partire dal '43 si dovette in gran parte anche al sogno sempre più pressante di Hitler di disporre di materiale nuovo e di rovesciare la sempre più disperata situazione bellica con delle "armi rivoluzionarie"; In sostanza i tedeschi spesero ingenti somme di tempo e denaro cercando di vincere una guerra in cui, in sostanza, si vinceva con un gran numero di mezzi, alla fine anche mediocri, piuttosto che con armi come quelle che saranno i pilastri dei conflitti successivi - quelli moderni, come i missili balistici, cruise, jet, nucleare, ecc. -. Comunque, tanto per non andare OT, come esposto precedentemente in questo forum, mentre i tedeschi erano focalizzati su di una guerra lampo, evitando i due fronti e travolgendo il nemico, per l'Italia la situazione, per un possibile intervento armato in Europa, era ancora piuttosto incerta; non va dimenticato che la Guerra è uno strumento della Politica e che, come essa, è costantemente in evoluzione. Il P.108 nasce da un progetto -INDIPENDENTE- dell'ingegner Casiraghi, il quale mise inchiostro su carta in seguito alla sua permanenza negli States. Prima di esso il primo bombardiere che si possa definire "strategico" nel Belpaese era stato il P.50 - a mio avviso un ottimo velivolo prebellico -, sempre della Piaggio, progettato da Pegna ma ridisegnato da Casiraghi in versione quadrimotore (P.50 II), sebbene, in entrambi i casi, non vi fosse stata una richiesta da parte del Ministero. Questo perchè in Italia non era ancora presente un quadro chiaro dei nemici che avrebbero dovuto o potuto affrontare in caso di conflitto: durante la seconda metà degli anni '30 avevamo sempre guardato ai nemici d'oltralpe, quali alla Francia, alla Germania -non dimentichiamo quando mussolini schierò le truppe nel Brennero nel 1934 - e alla Jugoslavia. Fu solo dopo la Campagna d'Etiopia che, con la denuncia della Società delle Nazioni per l'operato italiano nel Corno d'Africa ed il successivo embargo, che in Italia si cominciasse a vedere sempre di più l'Inghilterra come un probabile avversario. è proprio qui che nasce la necessità di fornire la Regia di uno strumento in grado di colpire la città di Londra cosi come delle varie basi britanniche disperse per il mediterraneo, quali Gibilterra, Alessandria e Kirkuk. Nel '38 lo SMG promulgò un concorso per un Bombardiere a Grande Raggio (BGR) - per i dettagli vi è un altro topic con il medesimo nome in questo forum -. Di tutte le aziende che parteciparono al concorso - CRDA, Fiat, Caproni, Piaggio e Ambrosini-, risultò vincitore il CANT Z.1014; era il 1939. Casiraghi, a questo punto, visto sconfitto il sul P.112, usò il suo ultimo asso nella manica: il P.108, il cui prototipo era già in costruzione. Esso costava la metà di uno Z.1014, era frutto di un progetto molto più moderno rispetto al B-17 (che in quel periodo era fra i possibili candidati per gli acquisti dall'estero) e, soprattutto, avrebbe volato di li a poco, 2 anni prima di qualunque ipotetico concorrente del concorso e non. tempo=denaro e il P.108B vinse il concorso, pur non partecipando, e dando così fine allo sviluppo degli altri velivoli, di cui non fu prodotto nemmeno un esemplare (se non per il velivolo CANT, mi sembra).
  20. Frencio

    Elicotteri Russi....

    Concordo con Agustman... non mi ricordo bene dove ma l'anno scorso lessi qualcosa riguardo al progetto presente in Russia per il rinnovamento completo delle linee per quanto riguarda gli elicotteri, in quanto almeno il 70 % di essi era risalente agli anni '60-'70...
  21. Frencio

    Ariete

    Quoto quanto detto da madmike... bisogna dimenticarsi Ein El Gazala e Kursk... per i conflitti odierni, ovvero quelli "non convenzionali", in cui anche l'Italia fa la sua parte (A.stan), il C1, opportunamente rimodernato, è più che sufficiente (o, per meglio dire, "lo sarebbe" se venisse impiegato!!). In un momento di recessione economica come quello odierno, impelagarsi in un progetto per un nuovo MBT tutto italico sarebbe uno spreco di denaro, dato che comunque non verrebbe usato e potrebbe facilmente affondare nella marea dei tagli imposti (giustamente, a parer mio) alle spese militari dell'Arma (basti vedere il polverone tirato su dagli F.35). Si avrebbe un "Ariete II" con le medesime linee del predecessore: sulla carta un buon MBT moderno pronto alla realizzazione negli anni '80 e poi Tak!! tagli militari post caduta URSS e il carro esce dalle fabbriche 10 anni dopo, quando ormai ha perso anche l'ultimo alone di modernità. Per il mercato estero non andrebbe bene, visto che: A. è stato prodotto in un numero irrisorio (200 unità) e riaprire le linee di produzione non avrebbe senso a distanza di anni dalla loro chiusura; B. il mercato estero è saturo di carri di qualità ben maggiore e ad un prezzo migliore (o per meglio dire con un migliore rapporto qualità-prezzo ), vedi Abrhams e Leo 2. C. gli Stati prima nominati (quelli del "dopo Varsavia"), così come i turbolenti stati africani, di sicuro si tengono ben stretti i loro carri ex-sovietici, molto più diffusi e soprattutto molto meno costosi. A mio avviso l'EI dovrebbe rimanere (come sta facendo tuttora) incentrato sui ruotati, come ha fatto per il "freccia", molto più adatti ai conflitti odierni, dai costi ragionevolmente più contenuti e con una predisposizione maggiore a svolgere le più disparate missioni grazie alla loro multiroleicità
  22. Grazie MC72, Hai sempre un coniglio nel tuo cilindro!
  23. Frencio

    Piaggio P108

    Un bombardiere strategico sarebbe stato utile all'Italia per colpire zone lontane da qualunque forma di aeroporto nostro, come Gibilterra o i pozzi in Qatar (gli Urali non li conto neanche, in quanto reputo la dichiarazione di guerra agli USA e all'URSS una completa pazzia). Il P.108 non era di certo il migliore della sua categoria; non brillava particolarmente, ma a mio avviso era un velivolo "sufficiente" allo scopo per cui era stato preposto, nonché decisamente superiore a quanto fatto prima da parte degli italiani, ovvero un SM.82 con il vano bombe!! Per quanto riguarda la sua efficacia, inutile ricordare tutti i problemi di cui era afflitto, non da pregiudicarne però l'operatività (anche perchè l'alternativa era il P.50!)..I tedeschi non lo scelsero, se non come velivolo da trasporto, probabilmente perché: 1. ce ne erano troppo pochi e che avrebbero fatto troppo pochi danni; 2. riaprire una linea di montaggio che in 3 anni aveva dato 24 esemplari, sembrerebbe stata una follia. 3. quando "rilevarono" i mezzi di ciò che restava dell'arsenale d'Italia, nel settembre del '43, i tedeschi non erano di certo più impuntati su di una strategia offensiva, quanto più su di una difensiva. In quel periodo la capacità produttiva degli alleati incominciava a manifestarsi in tutte le sue forme e, come detto su, di fronte a tutto questo numero, un bombardiere strategico non faceva produrre 5 caccia (forse anche di più) Non bisogna anche dimenticare la complessità che comporti la progettazione e la produzione di un velivolo quadrimotore da bombardamento, che si traduce nella dilatazione dei tempi di costruzione e messa in produzione;non dimentichiamoci che gli inglesi ci misero anni a far uscire dalla fabbrica il Lancaster. Inoltre è anche una questione di costi: produrre in P.108 costava quanto produrre 26 Sparvieri (un divario troppo grande, nella Guerra dei Numeri!)... almeno risparmiavano sul numero dei piloti!
  24. Ne approfitto per citarvi un passo per quanto riguarda la razionalizzazione sulla produzione in scala del G.55, il "Progetto Centauro" (da Ali d'Italia N°10): "L'allestimento delle officine dello stabilimento dell'Aeronautica d'Italia per la riproduzione in serie parte abbastanza alacremente e la conferma degli interessi riguardo al G.55 spinge la Fiat a stringere i tempi e a coinvolgere altre aziende per la costruzione di segmenti. in questa prima fase vengono inserite le Officine Savignano, le Officine Moncensio, la CANSA e la AVIA. In ambito ministeriale, in dicembre (1942), nel momento di delineare la futura strategia produttiva, viene scelto il G.55 quale velivolo base per la caccia, da costruire in 1.800 esemplari anche fuori dall'ambito Fiat, affiancandolo con serie di Re.2005 e MC.205V. [...] Nel febbraio vengono stabiliti i criteri di produzione, per tre serie di 600 esemplari, da realizzarsi in tre "anelli" industriali articolati secondo il seguente schema: 1° Anello: Aeritalia-velivolo completo 2° Anello: SIAI-Capogruppo e responsabile del montaggio finale SIAI- fusoliera e vari gruppi CANSA- ali AVIA- impennaggi 3° Anello: CMASA-Capogruppo e responsabile del montaggio finale CMASA- fusoliera Aer. Firenze- ali Off. Savigliano- impennaggi Ditte minori- gruppi vari Il programma prevede, a regime, una produzione mensile rispettivamente di 45-60-60 esemplari. il 2° e 3° anello dovrebbero iniziare le consegne a novembre '43. Per meglio coordinare questa non semplice attività produttiva, di ampiezza mai sperimentata fino ad allora in Italia, viene creata contemporaneamente la "Direzione Produzione Aeronautica Centauro" sotto la responsabilità del Col. Gari ing. Prospero Nuvoli, per anni responsabile della DCA di Torino e progettista, negli anni '30, di alcuni velivoli da turismo. Ma questa situazione è di breve durata: a fine febbraio la SIAI esce dal programma ed il Ministero vi fa entrare Macchi e Piaggio, ognuna responsabile di un "anello" con commesse da 600 velivoli, aumentando nel contempo a 1.200 la quota di Aeritalia. in questo modo il totale di G.55 previsti in produzione per il biennio '44/45 sale a 3.600 unità (!!)" questo riguarda l'interesse tedesco: "Nell'ambito di questa operazione (interesse per la produzione in Germania del G.55) una delegazione italiana tra il 17 e il 20 marzo si reca in visita agli stabilimenti della Henschel e della Messerschmitt per studiarne le metodologie di lavoro. Per la Fiat ne fanno parte Savoia, responsabile di tutte le attività areonautiche, i progettisti Gabrielli e Rosatelli e Nardi, direttore dello stabilimento Aeritalia. Quale risultato dell'incontro nasce un piano di lavoro comune per rendere il progetto G.55 più adatto alla produzione in grandi serie. In maggio una commissione tecnica tedesca visita con attenzione alcuni stabilimenti italiani ed in particolare quelli Fiat di Torino. Nella propria relazione conclusiva il giudizio su alcuni stabilimenti è positiva, mentre parere decisamente negativo viene espresso per quanto è stato sviluppato per la serializzazione del G.55, in particolare criticando la complessità strutturale di questo velivolo. La commissione stima che il caccia Fiat richieda, nella prima fase della produzione, almeno tre volte le ore di lavoro necessarie a produrre un Bf.109, valutati in 5.000 ore, (in realtà il Gustav ne impiegava più di 6.000), con previsione di scendere a 9.000 ore al millesimo esemplare." Spero che vi sia stato utile!
  25. Frencio

    SAI Ambrosini S.S.4

    I sedili eiettabili vennero creati appositamente per questi velivoli (ad elica)
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