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Penso che la Polizia di Stato abbia (e/o abbia avuto) in dotazione solo il modello 6614: non so se sia stato utilizzato a Genova durante il G8. Ecco il link ad alcune foto del 6614 della Polizia: http://www.fiammeblu.it/thumbnails.php?album=2628
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Informati prima di dire cavolate! Dal link http://fazioso.wordpress.com/2008/12/28/il...iro-della-rete/ riporto: Il Caso Porfidia (IDV) indagato per camorra fa il giro della rete 28 12 2008 Ads by Google Antonio di pietro Articoli, notizie, approfondimenti Leggili gratis su affaritaliani.it www.affaritaliani.it L’eco del caso di Americo Porfidia, deputato dell’IDV, incomincia a essere segnalato ovunque. Ieri Il Fazioso Liberale ha denunciato, prendendo spunto da alcune righe di 2 quotidiani, l’incredibile notizia di un presunto mafioso nel partito che professa un’onestà totale. Oggi altri blog ( Camelot Destra Ideale e Simone Casadei ) rilanciano la notizia, che viene discussa anche sul forum di Politica Online, dove ovviamente i giustizialisti diventano negazionisti. Altri giornali danno oggi nuovi particolari e si vengono a sapere anche le opinioni di Di Pietro stesso e Travaglio. Ecco la cronaca de Il Giornale È uno del gruppetto di esponenti Idv, guidati da Cristiano Di Pietro, con i quali l’ex provveditore alle Opere pubbliche di Campania e Molise Mario Mautone aveva rapporti. Il nome del deputato dell’Italia dei valori Americo Porfidia salta fuori nella stessa informativa della Dia che racconta dei favori che il figlio di Tonino chiedeva all’ex provveditore. Ma in quel documento su Porfidia si dice qualcosa in più. Ossia che alla data dell’informativa, febbraio scorso, il parlamentare, che è anche sindaco del comune di Recale, in provincia di Caserta, era indagato per camorra. «Nei confronti di Porfidia Americo - scrivono gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Napoli - sono stati effettuati accertamenti effettuati da personale dipendente dai quali è emerso che presso la squadra mobile di Caserta (l’istruttoria è tuttora in corso) esiste un procedimento penale in carico alla Dda di Napoli, dottor Cantone». La Dia cita un’informativa del 2005 «con la quale sono state riferite risultanze investigative attinenti all’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 416 bis c.p. e ai reati aggravati ex art. 7 L. 203/91 (ossia l’aggravante del dolo specifico di agevolare l’associazione di stampo mafioso, ndr)». «Nell’informativa della squadra mobile di Caserta - conclude la Dia - il sindaco di Recale Porfidia Americo è stato denunciato all’autorità giudiziaria unitamente ad altre 16 persone» Il Tempo rilancia la paternità dell’inchiesta da parte dal giudice favorito di Saviano L’inchiesta sul deputato dell’Idv Americo Porfidia, indagato con altre 16 persone per il reato di associazione a delinquere di stampo camorristico, porta la firma di Raffaele Cantone, il pm antimafia che il clan dei Casalesi voleva far saltare in aria con il tritolo. È a lui che fu inizialmente affidato il fascicolo della Dda di Napoli contrassegnato dal numero 4883/04. Un fascicolo «madre» dal quale il 5 gennaio 2006 scaturì un’informativa della squadra mobile di Caserta in cui compare il nome del politico dipietrista. Raffale Cantone oggi non si occupa più di camorra. Dopo le minacce dei Casalesi (un pentito rivelò che era pronto un attentato per ucciderlo) e dopo ben otto anni trascorsi in trincea, da un anno è stato trasferito a Roma al massimario della Corte di Cassazione. Sulla Stampa Di Pietro fa finta di non sapere nulla, evidentemente molto imbarazzato Nelle carte della Procura di Napoli si rivela anche che il sindaco di Recale, Amerigo Porfidia, Idv, è indagato in una inchiesta per mafia. Sarà sospeso? «Non so nulla. Lui l’avrò visto una decina di volte. Naturalmente sarà sospeso, se la notizia sarà confermata, immediatamente da Idv. Può capitare che in un cesto di mele vi sia quella marcia, che va isolata e cacciata. Sottolineo, però, che capita sempre che per i propri esponenti finiti sotto inchiesta gli altri partiti reagiscono difendendoli. Insomma, scatta la difesa della casta». e Travaglio stesso, intervistato da Il Tempo, forse per la prima volta, nonostante i penosi distinguo, critica l’amico trebbiatore In questa rete di potere dell’Italia dei valori ci sarebbe pure Americo Porfidia, deputato dell’Idv e sindaco di Recale, in provincia di Caserta, su cui si indaga per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Un’altra brutta storia, non è un po’ troppo per il partito di un ex magistrato di Mani pulite? «Quando è stato candidato Porfidia non era ancora indagato. Certo è colpa grave che Di Pietro sapesse così poco di lui. Però, penso che a Napoli si volevano fare affari con il condannato Alfredo Romeo, e a Firenze con il pluricondannato Salvatore Ligresti. Ecco, di loro si sa tutto e penso che gli amministratori del centrosinistra dovevano tenersene assolutamente alla larga, e invece… Amerigo Porfidia è un’altra storia, non è certo un big della politica. Sinceramente, finora era un totale sconosciuto pure per me» e tra le righe incomincia a segnalare che il partito di Tonino inizia ad avere troppi personaggi non limpidi nelle proprie fila Difende Di Pietro, ma consiglia più attenzione: «Antonio prende voti perché è considerato diverso dagli altri, onesto e incorruttibile. Se finisce questa diversità, chi lo vota più?» A Napoli i giudici parlano di un sistema di potere manovrato da diversi esponenti dell’Idv, ci crede? Lei con chi sta: con i pm o con Tonino? «Di Pietro è il primo che difende l’operato dei giudici. Il problema è che l’Idv non è un partito, ma un movimento, in cui chiunque può entrare. Finché non si trasformerà in un vero partito con un cerbero che fa da buttafuori, il rischio di imbarcare persone sbagliate rimane. Insomma il caso Porfidia incomincia a essere seriamente fonte di difficoltà per l’Italia dei Valori. E nonostante un’incredibile scarsa copertura mediatica il partito dei giustizialisti incomincia a sgonfiarsi, colpito proprio dalla presunta superiorità morale sbandierata
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Conflitto Israelo-Palestinese - Discussione Ufficiale
picpus ha risposto a Berkut nella discussione Discussioni a tema
La grande, immensa, eccelsa, Fiamma Nirenstein, ha già lanciato l'idea: http://www.fiammanirenstein.com/articoli.a...a=6&Id=2079 -
Conflitto Israelo-Palestinese - Discussione Ufficiale
picpus ha risposto a Berkut nella discussione Discussioni a tema
Manifestazione (di cui non si parla!) a favore di Israele, a Parigi!!! Eccovi il link al video: http://www.euronews.net/it/nocomment/05/01...emo-pro-israel/ e non dalla parte dei terroristi!!! -
E intanto avanza l'inchiesta-bis!!! Dal link http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=318792&...ART=0&2col= riporto: Martedì 06 gennaio 2009 Ora Di Pietro insulta il Giornale. Mautone nel mirino dei giudici di Massimo Malpica Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica Napoli - Un’altra inchiesta starebbe per tirare nuovamente in ballo Di Pietro junior e più esponenti dell’Idv. La Dda di Napoli, dopo aver concentrato le sue attenzioni sul «sistema-Romeo», avrebbe cominciato a muovere i primi passi di un filone parallelo. Quello iniziale, incentrato sul sotto-sistema illecito collegato alle attività particolari dell’ex Provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise, Mario Mautone. Sì, proprio lui, l’uomo che Antonio Di Pietro portò con sé al ministero delle Infrastrutture rimuovendolo dall’incarico napoletano non appena seppe (non si è ancora capito da chi) delle prime avvisaglie dell’inchiesta che coinvolgeva lo stesso Mautone e il figlio Cristiano, consigliere provinciale Idv a Campobasso, intercettato mentre a Mautone chiedeva «favori» per persone a lui vicine. Nelle «nuove» indagini, ancora in fase embrionale, sarebbe dunque finita l’allegra gestione della cosa pubblica da parte di Mautone e il conseguente «sistema di potere illecito» di cui si trova iniziale cenno nel procedimento penale (numero 30624/06) avviato per «verificare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nei rilevanti e onerosi lavori pubblici in corso d’opera nel bacino idrografico del fiume Sarno, con particolare riferimento alla zona costiera». Tantissimi gli input investigativi e i personaggi sott’osservazione: funzionari pubblici, politici locali, imprenditori, esponenti delle forze dell’ordine (tra cui l’ex questore Oscar Fioriolli). Tra i nomi dell’indagine-bis spunta anche quello di Cristiano Di Pietro, figlio dell’ex pm di Mani Pulite, che al momento risulta non ancora indagato secondo quanto ha riferito ieri il quotidiano Il Mattino (non smentito dalla Procura). L’inchiesta-bis sul «sistema» del Provveditore avrebbe origini lontane, e se ne trova una timida traccia nell’informativa 15 febbraio 2008 laddove si fa anche cenno a una precedente indagine sul rifacimento del Sarno, riguardante il versante Nolano-San Giuseppe. «È d’uopo rappresentare - sottolinea la Dia - che il ruolo ambiguo del Provveditore (Mautone, ndr) era già emerso in pregresse attività di indagini condotte da questo Centro Operativo nell’ambito del procedimento 14451/03 (...) in relazione ad infiltrazioni della criminalità organizzata nella S.O.A. nazionale Costruttori spa». L’indagine sul «sistema-Mautone» è dunque figlia di più indagini, in parte confluite in quella sul «sistema-Romeo». Scrive la Dia: «Dalle conversazioni registrate sul numero di Mautone è emerso da subito, in modo inequivocabile, un quadro generale nel quale il Provveditore risulta essere al centro di un sistema di potere molto forte e costituisce il volano di una serie di raccomandazioni in tutti i settori pubblici, e in particolare, naturalmente, in quello delle opere pubbliche». Secondo le prime indiscrezioni l’inchiesta-bis sul «sistema Mautone» avrebbe avuto un’accelerazione con l’ascolto di alcune conversazioni inerenti lotti di opere proprio sul risanamento del fiume Sarno. Tra le più significative quella in cui l’ex provveditore chiede al senatore Formisano di presentare un emendamento alla Finanziaria per un contributo alla «casa per gli anziani». Nell’intercettazione Mautone fa presente al suo interlocutore di insistere sul sociale arrivando «a inserire in graduatoria il nome della città» anche attraverso lo specifico stanziamento di 15-20 milioni di euro «per finanziare un progetto con impatto mediatico positivo» (Formisano, però, si mostra scettico). Quando Mautone si interfaccia telefonicamente con Nello Formisano, è presente il consigliere regionale dell’Idv, Francesco Manzi. Ulteriori riscontri avrebbero portato gli investigatori a focalizzare l’attenzione su più iniziative «operative» di Mautone mirate a sbloccare fondi pubblici per una serie di «varianti» per orfanotrofi, edifici giudiziari, chiese, caserme, facoltà universitarie, strutture sanitarie. Iniziative messe in crisi con il trasferimento di Mautone a Roma. Illuminante, a tal proposito, la telefonata in cui l’ex provveditore parla con il deputato dell’Idv Amerigo Porfidia (indagato per camorra, si è autosospeso) della necessità di «tenere ben presente le esigenze di continuità», e dunque di rimanere a Napoli. Il 29 luglio 2007 Mautone la mette così: «Deve essere una posizione di voi politici a sostenermi. Noi abbiamo tante cose avviate insieme... ma come si fa... Poi è vero che è interesse mio, ma l’interesse è di tutti».
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Sperando che qualcuno voglia e sappia replicare al testo dell'articolo e non ... sparare a vanvera come al solito! Dal link http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=318785 riporto: Martedì 06 gennaio 2009 L’ITALIA DEI LIVORI di Mario Giordano Dall’Italia dei Favori all’Italia dei Livori. Di valori, evidentemente, ne devono essere rimasti davvero pochi: sul sito ufficiale del partito di Di Pietro, infatti, è comparso un articolo intitolato «Il paranoico direttore». Sotto, modestamente, la mia foto. Nel testo mi si accusa di «infermità mentale», elaborando una fulminante diagnosi psichiatrica che intravede in me «quadri di delirio sistematizzato», «azione coartata all’idea delirante che prevale» e dunque «incapacità, se non di intendere, certo di volere». Di fatto sarei, in virtù della mia pazzia, «pericoloso per me e per gli altri». La ragione della pericolosità, s’intende, è il fatto che il Giornale abbia osato porre a Di Pietro alcune domande. A cui, per altro, Di Pietro non ha ancora dato risposta. Evidentemente quando si finiscono gli argomenti, cominciano gli insulti. Così è, anche se non vi pare. Spiace dover parlare di noi, ma i lettori devono sapere, il fatto è di una gravità assoluta. Mai prima d’ora sul sito ufficiale di un partito della Repubblica era stato attaccato in modo così violento e volgare il direttore di un giornale. Quando qualche settimana fa Berlusconi criticò le vignette e i titoli di alcuni giornali si levò (e noi scrivemmo: giustamente) il coro in difesa della libertà di stampa. E allora si trattava di frasi pronunciate in un colloquio informale, a margine di un incontro coi giornalisti. Qui, invece, siamo di fronte a un attacco che parte dal sito ufficiale del partito Idv: una vera aggressione squadrista, non casuale, ma organizzata e meditata. L’autore del saggio di psichiatria formato Ikea, questo piccolo Freud del Toys Center, infatti, non è un militante qualsiasi: è un esponente di spicco dell’Idv: Luigi Li Gotti, senatore della Repubblica, già sottosegretario nel governo Prodi. Ora: si può tollerare che un parlamentare offenda in questo modo un giornale? Non è un insulto, oltre che alla ragione, anche all’istituzione che rappresenta? E che cosa sarebbe successo se parole simili fossero state rivolte, a un qualunque giornale, da un qualsiasi esponente del centrodestra? Per quanto riguarda l’oggetto dell’accusa, lo confessiamo: è vero, siamo paranoici. Se porre alcune domande e pubblicare inchieste significa essere paranoici, ecco: noi lo siamo. Se non demordere prima di avere avuto certezze e risposte chiare significa essere paranoici, ecco: noi lo siamo. Ma pur con tutti i nostri difetti, noi non abbiamo mai insultato l’onorevole Di Pietro: le malattie mentali preferiamo lasciarle nei luoghi deputati (e «deputati» sia detto senz’offesa). D’altra parte, visto che Tonino replica ai nostri quesiti e ai nostri documenti minacciando querele, bene, sappia che adesso in tribunale ci vedremo davvero. Lo querelerò io. Il problema, però, è più grande del risarcimento che mi dovrà pagare. Il problema è il carico d’odio che si porta dietro quest’uomo. Per capirlo basta leggere il pacato dibattito che segue l’articolo psichiatrico, dove i militanti dell’Idv, eccitati dai loro leader, si scatenano in ogni forma di insulto e minaccia, compresa la minaccia di morte e relativo augurio di mettermi «a testa in giù». Questi sono i loro Valori, questa è la loro idea di democrazia. Vi rendete conto? Vanno in piazza e occupano Internet dicendo che vogliono difendere la libertà di informazione e poi se un giornale poco poco a loro non piace annunciano che metteranno il direttore «a testa in giù». Ditemi voi se questa non è gente da combattere in tutti i modi. Tutti i giorni. A costo di sembrare paranoici.
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"Storia ed Evoluzione dell'Uniforme Militare"
picpus ha risposto a Blue Sky nella discussione Eventi Storici
Eccovi, dal sito "Bellica", http://www.bellica.it/ , la dettagliata descrizione con foto di due uniformi del Regio Esercito Italiano, negli articoli di Giovanni Rizzatti linkati. Uniforme da marcia grigio verde mod. 1934 da Tenente di Fanteria del Regio Esercito Italiano: http://www.bellica.it/uniformi3.html Uniforme da marcia grigio verde mod. 1934 da Capitano dei Granatieri del Regio Esercito Italiano: http://www.bellica.it/uniformi4.html -
Le blindo 6614/6616 appartengono alla stessa classe del veicolo anfibio dei Vigili del Fuoco 6640A/6640G; eccovi il link ad un articolo, in francese, descrittivo del mezzo, con delle foto: http://www.armyrecognition.com/europe/Ital...tures_italy.htm Dallo stesso sito, i link agli articoli con foto del 6614: http://www.armyrecognition.com/europe/Ital...description.htm e del 6616: http://www.armyrecognition.com/europe/Ital...description.htm
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Messina è la la base della 6^ Squadriglia della Guardia Costiera nella quale sono inquadrati i 6 pattugliatori della classe "Saettia/Diciotti" e del relativo Reparto Supporto Navale; vedasi l'articolo al link che segue: http://www.guardiacostiera.it/notiziario/articolo.cfm?id=224
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40% di cosa? Personale, mezzi, bilancio?
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Il problema non è quello della responsabiltà penale, bensì quello della responsabilità politica e morale di chi, come il Supremo Inquisitore del Sant'Uffizio, nonché sommo letterato, Antonio Di Pietro, si erge, da sempre, a fustigatore dei malsani altrui comportamenti; Berlusconi, sicuramente, non ha mai preteso di rivestire tale nobilissimo ruolo!!!
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Conflitto Israelo-Palestinese - Discussione Ufficiale
picpus ha risposto a Berkut nella discussione Discussioni a tema
Mi sembra che tu stesso ti contraddici! Comunque, chiamiamo le cose con il loro nome: solo una precaria, traballante, fragilissima, TREGUA!!! -
Nuove unità di seconda linea / OPV per la MMI
picpus ha risposto a eagle spotters nella discussione Marina Militare
1) A memoria d'uomo non si è mai verificata una situazione del genere: semmai sono i nostri pescatori che sconfinano in acque tunisine o pretese tali!!! 2) Se non ricordo male i "Cassiopea" hanno il 76/62 MMI (altrimenti detto "Allargato"). -
Eccovi il link ad un altro articolo in francese: http://www.corlobe.tk/article12130.html
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Conflitto Israelo-Palestinese - Discussione Ufficiale
picpus ha risposto a Berkut nella discussione Discussioni a tema
Dal link http://www.informazionecorretta.com/main.p...20&id=27234 riporto una serie di articoli: Angelo Panebianco - " Gli infortuni dell'Onu " C' è una differenza fra la guerra del Libano del 2006 e l'attuale conflitto a Gaza. Questa volta, sono molti di più i governi disposti a riconoscere le ragioni di Tel Aviv. Per conseguenza, anche l'opinione pubblica internazionale, e occidentale in particolare, non si è compattamente e pregiudizialmente schierata contro Israele. I regimi arabi moderati, che temono più di ogni altra cosa le aspirazioni egemoniche dell'Iran (alleato e protettore di Hamas) mantengono, nonostante l'opposizione delle piazze, un atteggiamento prudente. La fazione palestinese moderata di Abu Mazen (sanguinosamente cacciata da Gaza, nel 2007, dai miliziani di Hamas) considera Hamas l'unica responsabile dell'attacco israeliano. Anche in Europa il vento è in parte cambiato. I governi tedesco, italiano e dei Paesi dell'Europa orientale hanno preso chiare posizioni a favore del diritto di Israele a difendersi dai missili di Hamas. E il Presidente Sarkozy, nonostante la tradizione francese (poco sensibile alle ragioni di Israele), sarà obbligato, nel suo prossimo tentativo di mediazione, a tenerne conto. Comincia a farsi strada la consapevolezza che fra le molte asimmetrie del conflitto c'è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile anche se, naturalmente, la natura del conflitto esclude che essa non sia coinvolta. L'attacco dell'esercito, appena iniziato, volto a bloccare definitivamente Hamas, è stato a lungo ritardato. Tra le ragioni del ritardo c'era anche il timore per l'alto costo in vite di civili che l'attacco potrebbe comportare. Insomma, di fronte alla complessità del problema e alla diffusa consapevolezza che non si può negare a uno Stato il diritto di difendersi da un'organizzazione di fanatici votati alla distruzione di quello stesso Stato, c'è questa volta, in giro, meno voglia di dare addosso pregiudizialmente a Israele. Ma con un'eccezione di assoluto rilievo: le Nazioni Unite. Richard Falk, «relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi», rappresentante dell'Human Rights Council (Consiglio per i diritti umani) delle Nazioni Unite, sta usando la sua carica, e la sponsorizzazione dell'Onu, per fare propaganda pro-Hamas e antisraeliana. Le sue tesi «sull'aggressione israeliana » a Gaza sono esattamente le stesse di Hamas. Il caso di Richard Falk è interessante perché ci aiuta a capire come vengano trattati i «diritti umani» alle Nazioni Unite. Ebreo americano, già professore di diritto internazionale a Princeton, Falk è quello che in America si definisce un radical. E dei più accesi. Fra le sue molte imprese si possono ricordare il suo giudizio entusiasta sull'Iran di Khomeini (un «modello per i Paesi in via di sviluppo», lo definì arditamente nel 1979) e i suoi dubbi, alla Michael Moore, sulla «verità ufficiale» americana sull'11 settembre. Nel 2007 paragonò la politica israeliana verso i palestinesi a quella della Germania nazista nei confronti degli ebrei. È persona non grata in Israele.La nomina di Falk (con il voto contrario degli Stati Uniti), nel marzo 2008, a rappresentante per i territori palestinesi del Consiglio per i diritti umani, un organismo dominato da Paesi islamici e africani, ebbe un solo scopo: quello di predisporre un corpo contundente da usare contro Israele. È un altro clamoroso infortunio dell'Onu. Dopo quello che, alcuni anni fa, portò la Libia, nella generale incredulità, alla presidenza della Commissione per i diritti umani (poi abolita). Se l'Onu si occupasse seriamente di diritti umani dovrebbe mettere sotto accusa un bel po' dei propri Stati membri, ossia tutti gli Stati autoritari o totalitari (dalla Cina a quasi tutti i regimi del mondo musulmano). Ma non può farlo. In compenso, i diritti umani vengono spesso usati come proiettili per colpire le democrazie occidentali e Israele. Anche se creare una «Lega delle democrazie» è risultato fino ad oggi impossibile, un maggiore coordinamento fra i Paesi democratici in sede di Nazioni Unite sarebbe quanto meno auspicabile. Al fine di imporre a certi suoi organismi comportamenti più decorosi. Nonostante il credito di cui l'Onu continua a godere, è un fatto che, nelle crisi internazionali, sanno spesso muoversi con maggiore credibilità, pur con le loro magagne e imperfezioni, i governi delle democrazie. Per lo meno, devono rispondere del proprio agire alle loro opinioni pubbliche e hanno comunque (non c'è Guantanamo che tenga) carte più in regola degli altri anche in materia di diritti umani. Francesco Battistini - " Gli israeliani entrano a Gaza " Completa e accurata la cronaca di Francesco Battistini: ecco il suo articolo: GERUSALEMME — Aria. Mare. E infine terra. Cala il buio sullo shabbat, si muovono i carri armati. Dopo 8 giorni di raid aerei e di bombardamenti navali, 460 morti e 2.350 feriti, dopo 4 ore di cannoneggiamenti, alle sette e mezza di sera i primi blindati israeliani sfondano a Beit Hanun. È il Piombo Fuso che penetra nella Striscia. Due sms disperati, in arabo: «Attaccano». La conferma da Gerusalemme: «La fase 2 è cominciata», dice un portavoce di Tsahal, e in quell'esatto istante le telecamere di Ramattan tv accendono i riflettori da là dentro, i blogger si scatenano, arrivano le prime immagini di auto incendiate, il rumore dei colpi nella notte. L'addestramento è durato mesi e si vede: gli incursori colpiscono subito un deposito di gas, bombole per cucina, e l'esplosione è forte. Offensiva I soldati entrano a Gaza ( Ap/Scheiner). Sotto (Salmoirago) preghiera islamica in piazza Duomo a Milano. Nel tondo la bandiera israeliana bruciata La conferma da Gerusalemme: «La fase due è cominciata », dice un portavoce di Tsahal, e in quell'esatto istante le telecamere di Ramattan tv accendono i riflettori da là dentro, i blogger si scatenano, arrivano le prime immagini di auto incendiate, il rumore dei colpi nella notte. L'addestramento è durato mesi e si vede: gl'incursori colpiscono subito un deposito di gas, bombole per cucina, e l'esplosione è forte. Poi centrano una cisterna di benzina, e le fiamme s'alzano altissime come un monito, a illuminare tutta Gaza. Il terzo target è un ponte: distrutto. Si combatte strada per strada. Gli elicotteri rischiarano dall'alto, lame di luce, e sotto ci sono i cingolati in avanzata. I traccianti s'incrociano. Passa di corsa un gruppo di berretti viola, le brigate Golani e Givati, uomini delle azioni speciali, i primi militari israeliani nella Striscia, dopo tre anni: sono quelli che hanno sempre cambiato le sorti delle guerre, comunque siano andate. Un paio d'ore, e le notizie parlano già di ventotto morti. Gente di Hamas, ma anche civili: la prima vittima dell'offensiva di terra, annuncia Movawiya Hassanein, un medico palestinese, è un bambino centrato da un obice di carrarmato mentre stava al riparo nella sua casa di Zeitun, un quartiere di Gaza City, assieme ad altre undici persone. La fase due potrebbe anche essere l'ultima. Perché al momento, dicono fonti militari nella notte — mentre a New York l'Onu annunciava una riunione del Consiglio di Sicurezza nelle ore successive e il segretario generale Ban Ki-moon chiedeva «la fine immediata delle operazioni di terra» — la resistenza pare nulla: in tre giorni è stato ucciso il secondo capo militare di Hamas, Abu Zakaria al-Jamal, e gl'israeliani negano l'uccisione di «molti soldati » proclamata dal movimento islamico. «Vogliamo distruggere le infrastrutture terroristiche di Hamas — è la didascalia dei militari —, prendere il controllo delle postazioni di lancio, per ridurre la quantità di razzi puntati contro Israele». Ehud Barak, il ministro della Difesa che aveva già richiamato 9 mila riservisti, informa come di rito il presidente Shimon Peres, si consulta coi ministri suoi predecessori, quindi firma l'allerta immediato per «altre decine di migliaia» di soldati, perché «non voglio prendere in giro nessuno, non sarà un'offensiva breve né facile» e durerà «numerosi giorni». L'esperienza libanese del 2006 ha lasciato il segno, non si vuole sottovalutare il nemico: «Un gran numero di forze prende parte a questa fase — dicono i vertici militari —. La fanteria, i reparti meccanizzati, il genio, l'artiglieria, l'intelligence, col sostegno esterno dell'aviazione e della marina. Daremo un colpo durissimo. Tutte le forze sono state ben addestrate e preparate per una missione di lungo periodo». Il capo dell'operazione si chiama Yoav Galant, generale marinaio che conosce bene l'area perché negli anni Novanta comandava la regione militare di Gaza ed è un veterano di molte guerre, ultima quella agli Hezbollah: «Gli abitanti della Striscia non sono tra gli obiettivi della nostra offensiva — dice un suo portavoce —. Ma coloro che usano i civili, gli anziani, le donne e i bambini come scudi umani sono responsabili per qualsiasi ferita inflitta alla popolazione civile». Parole che non spiegano del tutto quel che è accaduto coi primi cannoneggiamenti, all'ora della preghiera: la decima moschea colpita in otto giorni, la Ibrahim al-Maqadmé, con sedici morti e sessanta feriti, bambini compresi. Si levano molte voci di protesta, contro la mano pesante di queste operazioni, e perfino i pochi uomini della Croce Rossa non si sentono al sicuro, «non abbiamo nessun posto dove proteggerci». L'ospedale pediatrico di Medici senza frontiere, rimesso in moto a fatica prima di Capodanno, ha potuto funzionare solo due ore: è vuoto, i medici non sanno come raggiungerlo, i pazienti stanno alla larga per paura. Israele dice che corsie e moschee vengono usate per proteggere terroristi e armi. E se la sensazione è che non tutti siano scudi umani, che il sostegno popolare a Hamas possa rivelarsi maggiore del previsto, ecco che il governo avverte: «Verrà considerato terrorista », e quindi arrestato o eliminato, «chiunque nasconda nella propria casa un terrorista o delle armi». L'attacco è su tre assi. Da nord, dal centro e dal sud. Si spara anche a Nusseirat e a Dahaniya, vicino al valico di Rafah che porta all'Egitto. A quest'altro colpo mortale, i capi del movimento islamico rispondono per ora con parole. Una quindicina di razzi sulle città israeliane, prima dell'invasione. Poi ecco in tv Ismail Radwan, e il comunicato è veloce per paura d'essere nel mirino: «La vostra invasione non sarà una passeggiata nel parco e Gaza diventerà il vostro cimitero. Pagherete a caro prezzo tutto questo, combatteremo fino all'ultima goccia di sangue, non ci arrenderemo mai. Non avete altra scelta che la fine incondizionata dell'aggressione. Non avrete sicurezza, finché non ne avrà il nostro popolo ». Il richiamo èa «centinaia di kamikaze», pronti a colpire, ed è un'eco la minaccia di rapire altri soldati israeliani, pronunciata nel pomeriggio: «Se entrate, Gilad Shalit avrà finalmente nuovi amici». A preoccupare gl'israeliani, però, sono le mosse a nord. Barak mobilita soldati anche alle frontiere col Libano, anche se Nasrallah finora ha dato solo tanta solidarietà, pochi aiuti ai fratelli palestinesi, e anche adesso li invita a «uccid ere il maggior numero possibile di nemici », senza promettere sostegno. Il leader sciita libanese ricorda una strategia che nel 2006 funzionò: «Un'incursione israeliana qua e là, come fecero contro di noi, non risolverà niente. Resistete, fratelli di Hamas. Infliggete perdite. Quando ucciderete i loro soldati, o distruggerete i loro tank, solo allora si faranno i conti della battaglia». L'aiuto per adesso è tutto qui: e un consiglio, in fondo, non si nega a nessuno. Luigi Offeddu - " I cechi dividono l'Unione europea " Via la Francia, arrivano i cechi, ecco la cronaca da Bruxelles: BRUXELLES — I carri armati di Israele a Gaza, Hamas che chiama alla guerra totale, il Medio Oriente ancora una volta nel rogo: e l'Europa che parla con una, due, tre voci diverse, mai così divisa e incerta. Colui che fino a una settimana fa era il presidente di turno dell'Ue, il francese Nicolas Sarkozy, non ha dubbi: l'attacco di Israele è da condannare. Ma coloro che sono oggi i suoi eredi alla guida della stessa presidenza, i cechi del governo di centrodestra guidato dal primo ministro Topolanek, hanno meno dubbi ancora: no, quella di Israele «è un' azione difensiva». Mentre l'organismo che istituzionalmente dovrebbe affiancarli, la Commissione europea, sembra prendere le distanze con un secco «no comment». Per completare il tutto, nelle prossime ore atterreranno in Medio Oriente due aerei con due delegazioni europee inviate per lo stesso scopo, cioè per inventare un qualche spiraglio di mediazione: una, quella ufficiale della Ue, che oggi comincerà il suo viaggio dal Cairo, con l'Alto rappresentante per la politica estera Javier Solana, il commissario europeo alle Relazioni esterne Benita Ferrero- Waldner, il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner e quello ceco Karel Schwarzenberg; l'altra, quella inviata dall'Eliseo e guidata appunto da Sarkozy. Domani — situazione militare permettendo — le due delegazioni saranno entrambe a Gerusalemme, praticamente nello stesso momento, e vedranno entrambe i leader israeliani e palestinesi. Ma anche se da Parigi e da Bruxelles si continua a sottolineare che si tratta di missioni «coordinate», la distanza fra la «linea ceca» che dovrebbe guidare la Ue — appoggio incondizionato a Israele — e quella francese che ha chiesto finora una immediata tregua umanitaria, è fin troppo evidente. Sarkozy, ieri, ha affidato il suo pensiero a un comunicato ufficiale del suo ministero degli Esteri: «La Francia condanna l'offensiva terrestre israeliana contro Gaza come condanna il perdurare dei lanci di razzi. Questa escalation militare pericolosa complica gli sforzi avviati dalla comunità internazionale, in particolare dall'Ue e dalla Francia, dai membri del Quartetto e dagli Stati della regione per fare cessare i combattimenti, portare immediatamente aiuto ai civili e giungere a un cessate il fuoco permanente, come chiesto dai 27 ministri dell'Unione Europea il 30 dicembre». Anche David Miliband, ministro degli Esteri britannico, chiede un cessate il fuoco immediato perché un'escalation «causerà paura e allarme». Ben diversi, come si è accennato, tono e parole di Jiri Potuzniku, portavoce della presidenza ceca della Ue: «Al momento, dalla valutazione di questi ultimi giorni noi percepiamo questa mossa di Israele come difensiva, e non come un'azione offensiva ». Solo due giorni fa, un commento della stessa presidenza ceca sulla «guerra del gas» fra Russia e Ucraina aveva ottenuto l'immediato ed esplicito appoggio della Commissione europea. Ma questa volta, non sembra essere così. Interpellato dal Corriere sulle parole di Potuzniku, il portavoce della Commissione Joe Hennon si limita a dire che «al momento non commentiamo queste dichiarazioni». Aggiunge poi che domani (oggi per chi legge ndr), sarà al Cairo Benita Ferrero-Waldner con gli altri inviati della Ue, e dunque sarà possibile avere qualche reazione in più. A tarda sera, il ministro ceco Schwarzenberg corregge il tiro: «Perfino l'indiscutibile diritto di uno Stato a difendersi non autorizza azioni che colpiscono largamente dei civili. Chiediamo un cessate il fuoco ». Ma intanto, l'Europa cerca ancora una parola concorde sul dramma che si svolge alle sue porte. Francesco Battistini - " I dubbi degli intellettuali, sì al governo, con qualche ma " Francesco Battistini racconta le reazioni degli intellettuali israeliani. Che differenza con Moni Ovadia & Co. GERUSALEMME — «Quella notte ho sognato che ero una donna di quarant'anni ed ero disgustata da me stessa, dalla mia vita. Dal fatto di non avere la patente, di non sapere l'inglese, di non essere mai all'estero. Il sangue mi era gocciolato sopra, dappertutto, stava cominciando a seccare, e io l'avvertivo come una specie di maledizione. Come se questo momento non finisse mai» (Etgar Keret, Gaza Blues). Non è ancora un incubo, non è più soltanto una necessità. In un Paese che nei sondaggi sostiene all'80 per cento l'attacco, la voce delle coscienze critiche è una vocina, per ora. Gli scrittori israeliani parlano sommessi. Un po' imbarazzati. E prima che un problema di coscienza, Gaza è innanzi tutto un problema lessicale: come chiamare una guerra che il governo israeliano non desidera si chiami così? Meir Shalev, che nei suoi libri spiega ai bambini le sciocchezze dei grandi, i dubbi se li leva subito: «Loro preferiscono "operazione militare"? Io allora preferisco "azione punitiva". Il giorno prima che i nostri jet cominciassero a bombardare, scrissi che non avrei mai sostenuto un attacco tanto massiccio. Pensavo ad azioni rapide e, insieme, un negoziato. Quando Barak ci ha informato che l'operazione sarebbe durata a lungo, ho pensato che il Libano non ci aveva insegnato nulla ». Dicono e non dicono. I tre moschettieri della letteratura, con sfumature diverse, non hanno urlato l'indignazione. Amos Oz e A. B. Yehoshua, si sapeva: Gaza merita meglio d'un Hamas, dice il primo; Hamas è l'Iran, spiega l'altro. Ma poiché la guerra che non è una guerra spiazza certezze pacifiste, dubita perfino David Grossman, che in Libano ha perso un figlio: appena spera che ci si «fermi unilateralmente per 48 ore», appena si chiede se questo «è possibile, o siamo troppo imprigionati in questa familiare retorica della guerra?», le breaknews sui raid o sui Kassam lo costringono a mirare meglio, perché «se voi non risparmiate i vostri razzi, noi non interromperemo la nostra offensiva» e «se continuerete a sparare, noi risponderemo alla scadenza delle 48 ore», naturalmente «lasciando sempre una porta aperta a un negoziato». Grossman ne fa un problema di futuro, casomai: «Fino a una settimana fa, Israele ha mostrato una certa freddezza sotto Barak. Ora, non la perda nel calore della battaglia. Non dobbiamo mai dimenticare che prima o poi dovremo diventare buoni vicini, con la gente di Gaza». Vedere quei morti, però. E i bambini. Dice una preghiera ebraica: «Cieli, chiedete misericordia per me». Tom Segev la usa per un'idea di pietà: «L'altra sera, su Canale 1 si vedevano reporter da Askelon e da Sderot, ma le immagini erano da Gaza. Senza volerlo, davano il messaggio giusto: un bambino di Sderot vale quanto un bambino di Gaza. E chiunque colpisca l'uno o l'altro, è un bastardo». Parla così anche Yair Lapid, figlio di Tommy: «Gli uomini di fede, s'ipotizza che siano meglio della maggioranza di noi. C'è qualcosa d'inconcepibilmente brutto nel fatto che non abbiamo un leader religioso che prenda posizione su questo dolore degli altri. Anche se Gaza non l'abbiamo distrutta noi. L'ha distrutta Hamas con la sua stupidità, cecità, violenza. Mettendo Dio in prima linea. I bambini morti sono bambini morti. E anche gli ebrei sono scioccati». Qualcuno, la guerra la vive sulla pelle: Shimon Adaf e Benny Barbash sono di Sderot e di Beer Sheva, le città colpite dai razzi, e confessano «l'impossibilità del distacco emotivo». Orly Castel- Bloom rimanda alle sue parole di Dolly City, alla pazzia che «s'appropria delle nostre anime con la stessa velocità con cui l'esercito conquistò Gaza nel '67», risolvendo con un interrogativo i conflitti interiori: «Se Israele non riesce a dominare gli arabi nei territori, perché io, individuo, dovrei riuscire a dominare gli occupied territories interiori? ». Racconta Eli Amir, israeliano nato a Bagdad, che mercoledì sera stava al Cairo a presentare Yasmin, il suo ultimo romanzo: «C'erano cento persone e decine di poliziotti. Paura e imbarazzo. Allora ho detto che la contaminazione della cultura araba in quella israeliana è cominciata il giorno dopo Camp David e la pace con l'Egitto: non abbiate paura di mischiarvi al nostro mondo. Se impariamo a vivere in pace, a non spararci più, finalmente potremmo leggerci gli uni gli altri. E imparare, se non ad amarci, almeno a conoscerci. Mi hanno applaudito ». Davide Frattini - " Tutti se ne vanno, io non ho paura " Davide Frattini intervista la coraggiosa giornalista di Haaretz, che - differenza della collega Amira Haas - ha scelto di andare a vivere un anno fa a Sderot. SDEROT — I jet israeliani disegnano un otto sopra il cielo di Gaza. Gli ospiti alzano gli occhi per guardare il calendario della guerra, non c'è bisogno di contare, tutti sanno da quanti giorni dura. In questa casa del kibbutz Migvan, un villaggio urbano nel mezzo di Sderot, si ritrovano ogni sabato i pezzi della sinistra israeliana e qualche estraneo ideologico, come il parlamentare del Likud, Michael Eitan. La maggior parte ha deciso di vivere nella città sotto il tiro dei Qassam, altri vengono in visita al fronte. Avirama Golan ha lasciato il caos caldo del quartiere Shenkin a Tel Aviv per una villetta con due camere da letto: una è senza finestre, fa da rifugio, quando la voce registrata di donna avverte «codice rosso, codice rosso». «E' un po' pazzia, un po' voglia di credere che l'impegno e la frontiera esistano ancora», spiega mentre il compagno Shmulik Shem Tov sorride e serve i caffé. Lui è tra i fondatori di Peace Now, il padre è stato un ministro di Mapam, il partito marxista-sionista, considerato il progenitore di Meretz. Ha rinunciato al lavoro di produttore televisivo per seguire un progetto che vuole portare internet nei bunker dove si nascondono i bambini di Sderot. I vicini hanno quasi tutti lasciato la città, i cani abbandonati sono stati adottati da Avirama. «Non ho paura. Ho vissuto la mia prima guerra, quella del 1956, quando avevo sei anni. Gaza è così vicina, lo sento nelle ossa, non posso smettere di pensare ai bambini là dentro ». Come non può smettere di pensare alla bambina della porta accanto, che non può giocare in giardino per paura dei razzi. «Sarebbe facile per me dire che sono contro questa guerra. E so che le armi non risolveranno nulla. Ma uno Stato sovrano non può accettare che la vita dei suoi cittadini venga dettata dal nemico ». Fatica ad accettare l'accusa di uso sproporzionato delle forza. «Anche David Grossman ha spiegato che non avevamo altra scelta, se non quella di attaccare dal cielo. Sarebbe stato più morale mandare i nostri soldati a fare lo stesso lavoro casa per casa?». Attorno al tavolo, qualcuno non è d'accordo. Naomi Zion guida il gruppo «Un'altra voce », per mesi ha organizzato telefonate di gruppo con gli abitanti di Gaza. «L'unico momento in cui mi sono sentita protetta dal governo è stato durante il cessate il fuoco. La strada è quella dei negoziati». Risponde Avirama: «Io tratterei anche con il diavolo, è Hamas a non voler parlare con noi». Amos Oz ha scritto «il partito laburista ha concluso il suo ruolo storico». Una frase che non è piaciuta ai suoi alleati di Meretz, che pure vorrebbero sottrarre voti a Ehud Barak. «Io certo non mi riconosco in Barak. In questo momento non ho un partito — dice la scrittrice —. Ho sostenuto Amir Peretz e le riforme sociali che aveva promesso». Ammette: «La sinistra è diventata debole. Una volta, intellettuali come Amos erano in grado di influenzare le scelte del governo. Adesso l'ideologia della destra è diventata dominante e noi siamo rimasti schiacciati tra l'estremismo di Hamas e quello dei coloni. Israele ha perso il vantaggio morale, quando è diventato un Paese occupante ». Venerdì sera la mensa comune del kibbutz era vuota. Chi ha potuto non è rimasto a veder crescere il grande numero nero all'ingresso della città, tiene il conto dei Qassam caduti. «Mio padre è arrivato in Palestina nel 1925. La sua idea era di creare una società più giusta. E' anche per questo che sono venuta a Sderot. Sta alla periferia del Paese, povera gente, dimenticata da tanti governi. Ci si arriva in un'ora d'auto, eppure sembra così lontana da Tel Aviv». Gianni Santucci - " Islamici in piazza, bruciate bandiere israeliane " Tra benedizioni e condanne, l'Italia islamica che condanna Israele ha fatto sentire la sua voce. Quella musulmana moderata non si è vista. Se ha paura, perchè non lo dice ? Invece sceglie il silenzio. Molto grave. MILANO — Saltellano, sorridono e scandiscono: «Bush, Barak, assassini». Tre bambini con la kefiah al collo, due ragazzine col velo sui capelli, hanno tra i 7 e i 12 anni, si tengono per mano. E ripetono lo slogan che per tutto il pomeriggio ha attraversato il centro di Milano. Una madre li riprende in video con un telefonino. Intorno, in piazza del Duomo, 10 mila persone. Arabi dal Marocco alla Palestina, alla Giordania: riuniti per la più massiccia manifestazione della storia della comunità islamica in Italia. Contro «i bombardamenti su Gaza». Echi di «Piombo fuso». Mentre Israele avviava l'offensiva di terra, i palestinesi d'Italia hanno portato nelle strade le foto dei bambini negli ospedali della Striscia. L'hanno fatto a Roma, Torino, Brescia, Vicenza. E però si sono anche lasciati dietro, nel centro di Milano e a Bologna, i brandelli di quattro bandiere bruciate: tre israeliane, una americana. Quando le fiamme sono ancora vive sull'asfalto di Milano, inconsapevole delle polemiche che attizzerà col suo accendino, l'egiziano Khalid Omar, 22 anni, operaio e «semplice cittadino» spiega tranquillo: «Brucio la bandiera di Israele perché è il simbolo di coloro che fanno del male, di chi ammazza senza giusta causa». Intorno, però, altri simboli creano un agghiacciante cortocircuito storico: alla stella di David si affianca la svastica. È un copione che si ripete. E che scatena la polemica politica. «Vergogna», attacca il portavoce del Pdl Daniele Capezzone. «Bruciare le bandiere di Israele è un atto di fanatismo che va condannato », sostiene il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi (Pdl). Ancor più duro il vice sindaco di Milano, Riccardo De Corato: «Per ore il centro, affollato per l'avvio dei saldi, è stato sequestrato da un migliaio di manifestanti pro Palestina. Gravi atti contro lo Stato di Israele. Piazza Duomo è stata trasformata in una moschea». Risponde Marco Rizzo (Comunisti italiani): «Quando i nazisti uccidevano le persone con un rapporto di uno a dieci le chiamavano rappresaglie, oggi che il governo di Israele uccide con un rapporto di uno a cento tutti tacciono, sinistra compresa ». L'imam della moschea di Segrate, Abu Shweima, liquida le fiamme parlando di «qualcuno che non ragiona». Ma aggiunge che la manifestazione è stata «serena, assolutamente civile e con una grandissima partecipazione». E infatti, a Milano, nessuna tensione, anche quando il corteo ha proseguito lungo un percorso che non era previsto. Nessun graffito. Nessun vandalismo (alcune uova lanciate contro l'associazione Italia-Israele a Torino). C'era Rifondazione comuni-sta, che ha assicurato un supporto tecnico di camionetta e amplificatori, ma non si sono visti i centri sociali. Molte donne spingevano carrozzine e culle. Padri con bambine per mano: infanzia arabo-milanese in strada e fotografie dell'infanzia di Gaza in ospedale. Scarpe — come quella lanciata contro George Bush in Iraq — innalzate come vessilli su lunghi bastoni. Centinaia di bandiere palestinesi. Qualche stendardo di Hamas, striscioni su Israele «stato terrorista». Un paio di assi di legno facevano da feretro a pupazzi-cadaveri avvolti in lenzuola bianche. Alle cinque e mezza sulla piazza del Duomo è sceso però il silenzio. L'imam ha impugnato il megafono e gli uomini hanno steso le giacche sul selciato. Si sono inginocchiati. E anche questa è un'immagine simbolica, centinaia di persone inchinate ad Allah a due passi dal sagrato della cattedrale di Milano. La direttrice della preghiera era appena un po' spostata rispetto all'ingresso. La Mecca, vista dal centro di Milano, è oltre il Palazzo Reale. Paolo Salom - " Uno sfogo controproducente, ma è giusto stare con i palestinesi " Non c'è solo il Signor Falk fra gli ebrei che piacciono ai nemici di Israele. In Italia abbiamo Moni Ovadia, che non perde occasione per farci sapere come la pensa. E dire che in tutti festival di cultura ebraica è sempre presente... Moni Ovadia, le bandiere israeliane imbrattate con la svastica e bruciate nelle piazze italiane... «La mia solidarietà con i palestinesi è nota. Ma condanno questi gesti: sono sempre controproducenti, inutili, uno sfogo insensato e l'espressione di una visione piatta. In piazza nessuno fa cenno ai missili che cadono su Israele, rudimentali e obsoleti, certo, ma in grado di ferire, uccidere. Ciò detto... ». Prego... «Prendersela con chi brucia le bandiere non deve impedirci di ragionare sul perché si è giunti a questo punto. E il punto è che Gaza, dopo il ritiro unilaterale israeliano, si è trasformata in una prigione a cielo aperto, un luogo terribile, inumano in cui si ammassa un milione e mezzo di palestinesi, disperati, umiliati, assediati». Uomo di spettacolo, ebreo bulgaro trapiantato in Italia, Moni Ovadia ha fatto rinascere, in teatro, la cultura yiddish, un tempo parte integrante dell'Europa dell'Est. Ovadia non ha mai nascosto la sua simpatia nei confronti del popolo palestinese: «Una scelta ovvia: sono loro i disperati, i deboli, i battuti». Ma a Milano, Roma e molte altre città, non solo italiane, gli slogan urlati da chi manifestava solidarietà alla gente di Gaza hanno fatto pensare a ben altro... «È possibile che ci sia una latenza antisemita, giudeofoba, mascherata da antisionismo. Non lo nego. Ma la reazione di chi si schiera con i palestinesi non si può spiegare solo con questo. Da una parte abbiamo uno Stato forte, armato fino ai denti, prospero, e dall'altra un popolo senza terra, senza speranze, senza futuro. È ovvio stare dalla sua parte». Ma la tregua è stata rotta dai miliziani di Hamas. Israele dice di voler difendere i suoi cittadini. «Ragioni e torti si possono suddividere tra le parti. La situazione attuale è il frutto di anni di errori. Anche di Hamas, certo. Ma ora ci vuole uno sforzo, un colpo di reni, molto coraggio. Perché i palestinesi hanno diritto ad avere uno Stato». Motivi «Bisogna ragionare sul perché si è giunti fino a questo punto» Paolo Salom - " Dare alle fiamme un simbolo è solo un atto da delinquenti " Ottime le affermazioni di Furio Colombo, ma ci chiediamo perchè non le esterna anche ai suoi amici dell'Unità e del Partito Democratico, ambiguo e silente come sempre. Troppo comodo fare bella figura sul Corriere e poi scrivere su un giornale come l'Unità. Furio Colombo, bruciare le bandiere di Israele nelle piazze italiane è antisemitismo? «Voglio essere chiaro. Non dico che qualunque critica al governo israeliano sia frutto di una visione antisemita. Ed è giusto e normale provare orrore di fronte alla guerra e alle sue vittime. Soprattutto quando sono civili, donne e bambini. Tuttavia quello che è successo nelle città del nostro Paese non può essere archiviato come semplice espressione di protesta ». Furio Colombo, deputato del Pd, ex direttore dell'Unità, autore di svariati saggi sulla storia di Israele, è convinto che «chiunque abbia bruciato quelle bandiere ha compiuto un atto delinquenziale, privo di senso, totalmente inutile per la pace». Perché Israele suscita queste espressioni di odio? «Purtroppo vedo due ragioni. Una reminiscenza della Guerra fredda, per cui il nemico è sempre e solo uno (in più un alleato degli americani, e infatti anche le bandiere Usa sono state bruciate). E, poi, perché gli israeliani sono ebrei. Mi chiedo: Hamas per prima, e unilateralmente, ha interrotto la tregua e creato una situazione tragica. Ma come mai solo gli israeliani sono denunciati come colpevoli e, per di più, con il riferimento (la svastica sulle bandiere di Israele, ndr) agli aguzzini nazisti che hanno tentato di sterminare gli ebrei? Cos'è, un'inconscia nostalgia per uno sterminio non riuscito? Che altro senso può avere?». Israele è visto come una Potenza che schiaccia un popolo inerme... «Se così fosse, perché i governi arabi moderati tacciono? Non è colpa di Israele se Hamas ha rotto con il Fatah, spingendo il proprio popolo verso la tragedia. E comunque, pensiamo alle tante crisi mondiali, dal Darfur al Ruanda, le stragi di monaci in Birmania e Tibet: perché nessun pacifista è mai sceso in piazza per bruciare le bandiere del Sudan o della Repubblica popolare, della Birmania? La mobilitazione è sempre e solo a senso unico. E questo dimostra che le motivazioni non sono solo umanitarie». Chiudiamo con l'analisi militare di Guido Olimpio: Guido Olimpio - " Obiettivo: tagliare la striscia in tre " Con l'offensiva su tre direttrici, Israele vuole «accecare» e immobilizzare il nemico. L'azione a nord è tesa a neutralizzare quelle aree di Gaza dalle quali Hamas ha sparato i razzi verso gli obiettivi più lontani, come Ashdod e Ashkelon. Ciò non impedirà ai militanti di lanciare i razzi, ma forse ne ridurrà il raggio d'azione. L'attacco al centro spezza la Striscia in due e impedisce i movimenti sull'asse nord-sud. L'incursione a sud prova a neutralizzare l'unica via di rifornimento palestinese: la rete di tunnel costruiti sotto il confine tra Gaza e l'Egitto. Non potendo contare sull'effetto sorpresa — mai offensiva è stata annunciata come in questo caso — gli israeliani si sono mossi con l'oscurità e hanno tagliato quel poco di luce che era rimasta nella Striscia. Il suo esercito ad alta tecnologia può così usare il meglio dell'arsenale. I fanti dispongono di visori notturni che favoriscono gli spostamenti e permettono di attaccare un nemico che spesso li scorge solo all'ultimo istante. Stessa cosa per i blindati. È vero che Hamas era pronta per la spallata e addirittura, secondo alcuni suoi capi, la desiderava, ma non è facile per un guerrigliero restare trincerato dentro una buca o all'interno di un bunker mentre piovono bombe e avanzano i corazzati. I collegamenti con gli altri compagni sono precari, le informazioni scarse, l'unica cosa che sai è che «devi resistere» fino all'ultimo uomo. Con anni e anni di operazioni gli israeliani hanno affinato le loro tecniche. Passano di casa in casa bucando le pareti con picconi o speciali attrezzature provate a Jenin. E quando non basta ricorrono ai bulldozer. Per stanare il nemico alternano il cannone al «cane da guerra», capace di fiutare una trappola esplosiva ma anche di neutralizzare il militante. Di nuovo, tecnologia e fattore umano. Solo nelle prossime ore capiremo quanto sia riuscita la seconda fase di «Piombo fuso». Le armi Per stanare il nemico i soldati alternano il cannone al «cane da guerra» -
Dalla rubrica "Cronaca - News" del sito "Congedati Folgore", http://www.congedatifolgore.com/ , eccovi 2 articoli: DA OGGI IL GENERALE BERTOLINI ASSUME UFICIALMENTE L'INCARICO DI CAPO DI STATO MAGGIORE ISAF Sabato, 3 Gennaio 2009 by webmaster Il generale Marco Bertolini assumerà oggi l'incarico di nuovo capo di stato maggiore del Comando internazionale Isaf in Afghanistan. La cerimonia è in programma alle 9.30 locali, presso il quartier generale di Isaf a Kabul. Alla missione contribuiscono oltre 40 nazioni, della Nato e non. Il Generale Bertolini, nato a Parma nel 1953, ha frequentato l'Accademia militare di Modena ed ha prestato servizio per gran parte della propria carriera nell'ambito della Brigata Paracadutisti Folgore. È stato Comandante del 9° Reggimento Col Moschin, unità di Forze Speciali dell'Esercito, della Brigata paracadutisti Folgore e del Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali. Bertolini ha operato in Libano, in Somalia, in Bosnia Erzegovina, in Macedonia e in Afghanistan nel 2003, durante l'Operazione Enduring Freedom, come Comandante del contingente italiano. ''È la mia seconda esperienza in questo paese e, a distanza di 5 anni, i progressi raggiunti in Afghanistan sono palesi, tangibili e sotto gli occhi di tutti: buona parte di questo si deve al lavoro svolto dai 52.000 uomini di Isaf che tutti i giorni rischiano la vita nell'assolvimento del loro dovere. A questo sforzo l'Italia partecipa da anni, impiegandovi le sue migliori risorse militari, a costo di sacrifici sociali e personali dei quali tutto il Paese deve essere consapevole e fiero''. Come conferma il Capitano Fulvio Morghese, portavoce italiano di Isaf a Kabul, il tributo di caduti di militari della missione nell'anno appena conclusosi ''è persino maggiore rispetto a quello del 2007, ma il numero di Capi Talebani e delle milizie di insorti catturati, uccisi o posti fuori combattimento è giorno dopo giorno maggiore, anche grazie alla collaborazione della popolazione locale, che vede con sempre maggior fiducia Isaf''. Il regolare svolgersi delle operazioni di registrazione dei votanti per le prossime elezioni presidenziali del 2009 è considerato il migliore indicatore di questo nuovo clima di fiducia. -------------------- RASSEGNA STAMPA SUL GENERALE BERTOLINI Domenica, 4 Gennaio 2009 by webmaster GAZZETTA DI REGGIO DEL 4 GENNAIO 2009 Comandante delle forze in Afghanistan Il generale Marco Bertolini a capo del contingente Isaf della Nato RUBIERA - Ieri il passaggio di consegne a Kabul. RUBIERA - Il generale di divisione Marco Bertolini, già a capo della brigata paracadutisti Folgore, rubierese doc (la madre ha gestito per molti anni una farmacia in via Emilia Ovest) è stato chiamato a un nuovo incarico di grande rilevanza internazionale. Il generale Bertolini, infatti, da ieri è il nuovo capo di stato maggiore del comando di Isaf, la missione della Nato in Afghanistan. «Ritorno in Afghanistan dopo cinque anni. La situazione permane difficile - ha detto Bertolini, a margine della cerimonia di insediamento svoltasi ieri a Kabul - e le unità Nato stanno pagando un forte tributo in termini di vite umane. Ciò nonostante, devo registrare i progressi raggiunti che fanno ben sperare in un futuro migliore». Il comandante di Isaf, il generale americano David McKiernan, nel suo saluto ha ricordato le nuove sfide che la missione Nato deve affrontare, definendo il 2009 «un anno cruciale» per sostenere il governo locale nella difficile lotta al terrorismo islamico. SFIDA DIFFICILE. «Ed è per questo - ha aggiunto il generale americano - che ho bisogno di avere vicino a me un ufficiale con la vastissima esperienza internazionale di Marco Bertolini». Il generale italiano, 55 anni, nativo di Parma ma trasferitosi poi a Rubiera, dopo avere frequentato l’Accademia militare di Modena, ha prestato servizio per gran parte della sua carriera nei reparti della Brigata paracadutisti Folgore. È stato infatti comandante del 9/o Reggimento «Col Moschin», i commandos dell’Esercito, della stessa Brigata Folgore e, recentemente, del nuovo Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali. LUNGA ESPERIENZA. Ha operato in Libano (dove, nel marzo 1983, rimase ferito durante l’attacco che portò all’uccisione del marinaio di leva Fabrizio Montesi durante lo sbarco delle truppe italiane), poi in Somalia, in Bosnia Erzegovina, in Macedonia e in Afghanistan già nel 2003, durante l’operazione Enduring Freedom, come comandante del contingente italiano. Anche in quella occasione il generale Bertolini e i parà della Folgore furono coinvolti in una drammatica imboscata sul passo di Garrefe e solo con grande determinazione e coraggio, i militari italiani riuscirono ad uscire vivi dall’attacco dei ribelli islamici. 52 MILA SOLDATI. Alla cerimonia di avvicendamento tra il generale Bertolini e il parigrado tedesco Hans-Lothar Domrose, destinato ad un incarico Nato negli Usa, ieri a Kabul sono intervenute rappresentanze dei contingenti degli oltre 40 Paesi che, con un totale di circa 52mila uomini, contribuiscono alla missione Isaf in Afghanistan. Presente anche il comandante facente funzioni della missione dell’Unione Europea Eupol, il generale dell’Arma dei Carabinieri Umberto Rocca. IL PICCOLO DI TRIESTE Generale dei parà «numero due» in Afghanistan -------------------------------------------------------------------------------- TRIESTE - Mentre cancellerie e opinione pubblica internazionali sono mobilitate per le incursioni israeliane a Gaza la diplomazia di molti Paesi, con l’italiana in prima fila, non perde di vista lo scacchiere afgano. E proprio Trieste, a giugno, ospiterà nell’ambito del G8 di cui Roma ha assunto la presidenza di turno un vertice sulla situazione in Afghanistan. All’impegno politico-diplomatico l’Italia affianca quello militare, sempre di alto livello. Mentre il contingente tricolore sta lasciando le posizioni a Kabul per rinforzarsi nell’Ovest, dove opera su base Brigata alpina Julia ai comandi del generale Paolo Serra, la nomina a capo di Stato maggiore della Missione a guida Nato Isaf di un altro alto ufficiale italiano ne è la conferma. Il generale di divisione Marco Bertolini, già comandante della Brigata paracadutisti Folgore, è il nuovo «numero due» dell’International Security and Assistance Force. «Torno in Afghanistan dopo cinque anni. La situazione permane difficile - ha dichiarato Bertolini all’insediamento ieri a Kabul - e le unità Nato stanno pagando un forte tributo di vite. Ciò nonostante devo registrare i significativi progressi, che fanno ben sperare in un futuro migliore». Il comandante di Isaf (40 mila uomini di 52 nazioni), il generale Usa McKiernan, ha definito il 2009 «un anno cruciale, perciò ho bisogno di avere vicino un ufficiale con la vastissima esperienza internazionale di Marco Bertolini». Parmense, 55 anni, il generale ha prestato gran parte del servizio in reparti della «Folgore». Ha comandato tra l’altro il 9.o Reggimento Col Moschin, i commandos dell'Esercito, operando in Libano, Somalia, Balcani e Afghanistan. Intanto l’Italia ha coinvolto la Slovenia, che a Camp Arena, a Herat, nell’Ovest, fornisce una compagnia per la guardia alla struttura a guida nazionale, anche nelle attività di cooperazione civile-militare (Cimic). «Non abbiamo un programma specifico - dichiara Srecko Zajc, funzionario che lavora con il responsabile della nostra cellula Cimic, capitano Mirko Rado - ma vogliamo essere complementari ai colleghi. Per iniziare abbiamo stanziato un budget di qualche decina di migliaia di euro». Pier Paolo Garofalo
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Conflitto Israelo-Palestinese - Discussione Ufficiale
picpus ha risposto a Berkut nella discussione Discussioni a tema
Pur essendo notoriamente francofilo, sono pienamente d'accordo con il vostro giudizio negativo sulla posizione francese! Purtroppo la Francia è anche quella degli arabi francesi che fischiano la "Marsigliese" allo stadio, quando la nazionale transalpina incontra l'Algeria o la Tunisia!!! Purtroppo la Francia è anche quella che, vigliaccamente, ha paura degli arabi francesi che mettono le bombe nel metro parigino (1995 - 1996) ed ancor prima, nella rue de Rosiers (1982), centro del quartiere ebraico parigino ( http://fr.wikipedia.org/wiki/Rue_des_Rosiers )!!! Purtroppo la Francia è anche quella antisemita dell'affare Dreyfus e collaborazionista di Vichy!!! EDIT Eccovi alcuni link ad articoli sui vari attentati nella metropolitana di Parigi. Quello del 25 luglio 1995: http://archiviostorico.corriere.it/1995/lu...507261341.shtml http://archiviostorico.corriere.it/1995/lu...507261373.shtml http://archiviostorico.corriere.it/1995/lu...507271178.shtml Quello del 3 dicembre 1996: http://archiviostorico.corriere.it/1996/di...612049032.shtml http://archiviostorico.corriere.it/1996/di...612049192.shtml (con il riepilogo di tutti gli attentati precedenti). -
Sull'attività del 15° Gruppo Squadroni "Cavalleggeri di Lodi" in Libano, eccovi due link: http://www.modellismopiu.net/ci/pdf/C22.pdf (articolo estremamente esauriente di 12 pagine, con numerose foto di uomini e mezzi del reparto) http://www.paginedidifesa.it/libri/lodi.pdf (pagine 90-91-92)
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Veramente fa ancora parte dei mezzi in dotazione all'Esercito Italiano! Dal sito ufficiale dell'EI, ecco il link: http://www.esercito.difesa.it/root/equipag...do_fiat6614.asp
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Conflitto Israelo-Palestinese - Discussione Ufficiale
picpus ha risposto a Berkut nella discussione Discussioni a tema
Nulla di cui meravigliarsi: i comunisti (soprattutto russi) hanno sempre perseguitato gli ebrei, anche se ciò è meno noto delle camere a gas naziste! D'altronde i primi "pogrom" (termine di origine russa, di cui il dizionario dà la seguente definizione: sommosse popolari antisemite, sfocianti generalmente in saccheggi e massacri) dell'età moderna si verificarono in Russia nel 1881, dopo l'assassinio dello zar Alessandro II e proseguirono per decenni; nel 1905 oltre seicento villaggi e città della Russia furono teatro di pogrom, attuati dalle popolazioni indigene. Anche nell'Unione Sovietica (dal 1917 in poi, quindi) si assiste alla presenza di un antisemitismo ben radicato, con pogrom frequenti. Stalin è un antisemita, anche se col decreto del luglio 1918 l’antisemitismo è dichiarato nefasto alla Rivoluzione. Sono infatti tollerate le esplosioni d’odio antisemita, se addirittura non sono utilizzate ai fini della lotta politica. Si pensa di creare una regione ebraica all’interno dell’URSS, in Asia Centrale, verso la Manciuria. Nel 1941 nasce il comitato antifascista ebraico dell’URSS che elaborerà il Libro Nero e che verrà disciolto nel 1948. I suoi membri sono imprigionati e nel processo del 1952 sono condannati a morte 450 intellettuali ebrei. ---------- Intanto è iniziata l'offensiva terrestre israeliana; eccovi il link http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articol...olo437637.shtml e non dalla parte dei terroristi!!! -
Aspetta e spera!!! Non è facile trovare un magistrato che indaghi sul capo della casta dei ... magistrati!!!
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Quando si è a corto di argomenti, alias, alla frutta, ci si affida alla pseudosatira!!!
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Forza da Sbarco italiana MM - discussione ufficiale
picpus ha risposto a Little_Bird nella discussione Marina Militare
Se ho ben capito, ti riferisci al Battaglione Logistico "Golametto": sui compiti di tale unità (non c'è molto, purtroppo, su ciò che chiedi, cioé sulla struttura) puoi dare uno sguardo al seguente link: http://www.btgsanmarco.it/sanmarcooggi/sanmarcooggi.htm -
Al link che segue, foto di alcuni "Lince" dei Carabinieri: http://www.fiammeblu.it/thumbnails.php?album=3485
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Dal link http://iltempo.ilsole24ore.com/2008/12/27/...ia_valori.shtml ( "Il Tempo" non "Il Giornale"!!! ) riporto: L'ex provveditore Mautone e gli uomini di Di Pietro Spunta il sistema Italia dei Valori Dipanando il filo intricato dell'inchiesta della Procura di Napoli sul "sistema Romeo" e gli appalti pilotati, si scopre che il bandolo della matassa è rappresentato da un altro ben più oscuro personaggio e dagli intrecci di potere e clientele che si intessano attorno a lui. Ed in effetti, il nodo della vicenda è rappresentato proprio dalla figura dell'ex Provveditore alle opere pubbliche della Campania, Mario Mautone, e del «sistema» che ruotava attorno a lui, in cui spesso si trovano coinvolti a vario titolo personaggi di primo piano del partito di Antonio di Pietro. È proprio intercettando Mautone, in un'altra inchiesta, che la Direzione antimafia di Napoli si trova a scoprire le trattative sospette tra l'imprenditore Alfredo Romeo e mezza giunta comunale di Rosa Russo Iervolino. E, da quanto trapela, la figura di Mautone (ad oggi agli arresti domiciliari) sarebbe coinvolta in altre gravi inchieste giudiziarie i cui sviluppi saranno presto pubblici. Del resto, il profilo di questo grand commis dello Stato, come viene tratteggiato dagli atti dell'inchiesta Romeo, è denso di ombre, specie per quanto riguarda i suoi rapporti con la politica e le clientele. Ed è in quest'ottica, spesso non penalmente significativa ma moralmente e politicamente di tutto rilievo, che vanno letti i suoi rapporti con l'entourage dell'allora ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, il quaule certamente era inconsapevole di tutto: a leggere le carte sembrano più i suoi ad approfittare della vicinanza con l'esponente del governo Prodi. Con il figlio Cristiano, innanzitutto, del quale nei giorni scorsi si è ampiamente scritto sulla stampa (ieri l'Idv ha fatto sapere in una nota che «non risulta indagato e non ha mai ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Napoli»). Con il capo della segreteria ministeriale del leader dell'Italia dei Valori, il sorrentino Nello Di Nardo. E anche con il senatore Nello Formisano, oggi al vertice del partito dipietrista in Campania, all'epoca dei fatti (nel 2007) capogruppo dell'Idv in Senato, e con il cugino omonimo di quest'ultimo. Quando Mautone vuole sistemare il suo fedelissimo vice, Mauro Caiazza, piazzandolo al vertice di un Provveditorato o alla Regione Lazio prima che le elezioni alle porte possano spazzare via il governo Prodi, è proprio al senatore Formisano che si pensa: «Un intervento anche di Formisano anche a livello di regione Lazio sarebbe fondamentale». Nelle intercettazioni registrate dai carabinieri napoletani ricorrono numerose telefonate tra Mautone e Formisano su nomine e persone da sistemare, specie all'interno del ministero retto all'epoca da Di Pietro. Come quando il 30 agosto il senatore dice al Provveditore: «È quasi fatta per Iadevaia» (come sostituto di Mautone, annotano i militari dell'Arma). O quando Mautone ricorda a Formisano «di non dimenticarsi della situazione di Salvatore Russo», in corsa per una promozione, sottolineando che «non dobbiamo far perdere questa cosa». Naturalmente, Cristiano Di Pietro, Nello Formisano e Nello Di Nardo non sono gli unici dipietristi a trattare favori con Mautone. Ci sono per esempio i rapporti che Mautone intrattiene con il consigliere comunale Diego Venanzoni (che ha avuto un breve flirt con l'Idv, poi finito) e con il suo padre Francesco (già finito agli arresti per reati contro la pubblica amministrazione): le telefonate sono mirate ad ottenere un appalto per un'impresa legata al politico dipietrista, il cui titolare in una occasione viene personalmente accompagnato da Venanzoni nell'ufficio di Mautone. La raccomandazione andò a buon fine. Roberto Paolo 27/12/2008