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Politica - Topic Ufficiale


Graziani

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di quale sanatoria parli?

Adesso lo chiamano scudo ...

 

 

L'anonimato previsto per legge ha degli effetti collaterali a lungo termine. Anche il riciclaggio sarà più facile. Ecco perché

Pecunia non olet, il denaro non puzza. Le ultime evoluzioni delle scudo fiscale confermano in pieno la vecchia massima. Che ora acquista un doppio significato:

da un lato non puzza perché, pur essendo denaro sottratto al fisco, cioè a tutti i cittadini, lo si accoglie a braccia aperte: per fare cassa e sostenere la spesa pubblica in tempi di crisi economica si perdonano gli evasori (e potrebbe anche essere un male necessario, come sostiene qualcuno);

 

dall'altro non puzza perché il denaro che viene rimpatriato non lascia tracce, cioè non si distingue in alcun modo da quello posseduto legalmente in Italia. Questo secondo punto lascia però intravedere qualche rischio (o opportunità, a seconda dei punti di vista...) anche per il futuro, nel dopo scudo.

Un anonimato pericoloso

 

La chiave di volta di tutta l'architettura dello scudo è l'anonimato. L'emersione dei capitali avviene, per l'appunto, con una "dichiarazione riservata" che il contribuente consegna a un intermediario (in genere una banca). Queste dichiarazioni sono "coperte per legge da un elevato grado di segretezza" e non possono essere utilizzate a sfavore del contribuente. In pratica significa che, in cambio della regolarizzazione e di un'imposta secca del 5%, il fisco promette che non ci saranno ulteriori indagini su quei capitali e sui loro possessori.

 

Ma questo ha un importante effetto collaterale a lungo termine.

 

Ipotizziamo che io abbia "scudato", oggi, 10 milioni di euro. Se il fisco, tra 3 anni, nell'ambito di una separata indagine, mi contesta un'altra irregolarità, supponiamo per 8 milioni, io posso dichiarare in quel momento che l'importo rientra nella somma coperta dallo scudo. In sostanza, dal momento che lo scudo è anonimo, posso decidere di scoprire le carte solo nel momento in cui questo mi torna utile per coprire un'altra evasione. Oltre a pagare un'imposta simbolica sui capitali evasi in passato ho un "bonus" per un'evasione futura di pari importo.

 

Lavanderia di Stato?

 

La situazione si fa ancora più allarmante se si pensa che nelle ultime correzioni allo scudo è stato tolto l'unico limite all'anonimato, cioè l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette in materia di antiriciclaggio da parte degli intermediari che ricevono la dichiarazione. Ora la banca non è più tenuta a denunciare i capitali rimpatriati anche se sospetta che provengano da attività illecite (estorsioni, narcotraffico ecc.). In altre parole non si fa più differenza tra semplice evasore e criminale. Il rimpatrio di queste somme quindi equivale a un perfetto "lavaggio", che riporterà nuova linfa alle stesse attività criminali più che all'economia sana. Qualcuno grida addirittura al "riciclaggio di Stato". Di certo si conferma che pecunia non olet. (A.D.M.)

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Fini rinuncia al lodo alfano

ROMA - Il presidente della Camera Gianfranco Fini rinuncia al Lodo Alfano. L'inquilino di Montecitorio lo ha deciso in riferimento ad un procedimento nei suoi confronti che nasce da una querela di Henry John Woodcock, ex pm di Potenza, per le parole pronunciate dall'ex leader di An a "Porta a Porta".

 

E' stata Giulia Bongiorno, deputata del Pdl e avvocato del presidente della Camera a depositare l'istanza di rinuncia al Lodo da parte di Fini su questo fatto specifico.

 

Sulla base di questa istanza, sarebbe già arrivata alla giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera la richiesta da parte della procura competente per questo caso.

 

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/p...uncia-lodo.html

Modificato da typhoon
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Da Vespa Fini disse che Woodcock era "noto per una certa fantasia investigativa, chiamiamola così". Poco dopo lo definì "personaggio verso il quale il Csm avrebbe già da tempo dovuto prendere provvedimenti". Più avanti definì il magistrato potentino "un signore che in un Paese serio avrebbe già cambiato mestiere".

 

Henry John Woodcock è un serio professionista e Fini ha sbagliato ad offenderlo.

Ho forti dubbi circa la possibilità di rinunciare a quanto garantito dal lodo Alfano: trattasi infatti di norma, non già a tutela della persona, ma dell'istituzione.

Modificato da dindon
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De Magistris si dimette da magistrato

Presidente, lascio la toga anche per colpa sua

 

di Luigi De Magistris* - 1° ottobre 2009

Al Sig. Presidente della Repubblica - Piazza del Quirinale ROMA

Signor Presidente, scrivo questa lettera a Lei soprattutto nella Sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

 

E’ una lettera che non avrei mai voluto scrivere. E’ uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute della democrazia nella nostra amata Italia.

E’ una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’Ordine Giudiziario.

Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione.

Sebbene l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro – come recita l’art. 1 della Costituzione – non sono molti quelli che possono fare il lavoro che hanno sognato; tanti il lavoro non lo hanno, molti sono precari, altri hanno dovuto piegare la schiena al potente di turno per ottenere un posto per vivere, altri vengono licenziati come scarti sociali, tanti altri ancora sono cassintegrati. Ebbene, io ho avuto la fortuna di fare il magistrato, il mestiere che avevo sognato fin dal momento in cui mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Federico II” di Napoli, luogo storico della cultura giuridica. La magistratura ce l’ho nel mio sangue, provengo da quattro generazioni di magistrati. Ho respirato l’aria di questo nobile e difficile mestiere sin da bambino. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato quando ho superato il concorso per diventare uditore giudiziario. Una gioia immensa che mai avrei potuto immaginare destinata a un epilogo così buio. E’ cominciata con passione, idealità, entusiasmo, ma anche con umiltà ed equilibrio, la missione della mia vita professionale, come in modo spregiativo la definì il rappresentante della Procura Generale della Cassazione durante quel simulacro di processo disciplinare che fu imbastito nei miei confronti davanti al Csm. Per me, esercitare le funzioni giudiziarie in ossequio alla Costituzione Repubblicana significava tentare di dare una risposta concreta alla richiesta di giustizia che sale dai cittadini in nome dei quali la Giustizia viene amministrata. Quei cittadini che – contrariamente a quanto reputa la casta politica e dei poteri forti – sono tutti uguali davanti alla legge. Del resto Lei, signor Presidente, che è il custode della Costituzione, ben conosce tali inviolabili principi costituzionali e mi perdoni, pertanto, se li ricordo a me stesso.

I modelli ai quali mi sono ispirato sin dall’ingresso in magistratura – oltre a mio padre, il cui esempio è scolpito per sempre nel mio cuore e nella mia mente – sono stati magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è nella loro memoria che ho deciso di sventolare anch’io l’agenda rossa di Borsellino, portata in piazza con immensa dignità dal fratello Salvatore. Ho sempre pensato che chi ha il privilegio di poter fare quello che sogna nella vita debba dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo, anche a costo della vita. Per questo decisi di assumere le funzioni di Pubblico Ministero in una sede di trincea, di prima linea nel contrasto al crimine organizzato: la Calabria. Una terra da cui, in genere, i magistrati forestieri scappano dopo aver svolto il periodo previsto dalla legge e dove invece avevo deciso (ingenuamente) di restare.

Ho dedicato a questo lavoro gli anni migliori della mia vita, dai 25 ai 40, lavorando mai meno di dodici ore al giorno, spesso anche di notte, di domenica, le ferie un lusso al quale dover spesso rinunciare. Sacrifici enormi, personali e familiari, ma nessun rimpianto: rifarei tutto, con le stesse energie e il medesimo entusiasmo.

In questi anni difficili, ma entusiasmanti, in quanto numerosi sono stati i risultati raggiunti, ho avuto al mio fianco diversi colleghi magistrati, significativi settori della polizia giudiziaria, un gruppo di validi collaboratori. Ho cercato sempre di fare un lavoro di squadra, di operare in pool. Parallelamente al consolidarsi dell’azione investigativa svolta, però, si rafforzavano le attività di ostacolo che puntavano al mio isolamento, alla de-legittimazione del mio lavoro, alle più disparate strumentalizzazioni. Intimidazioni, pressioni, minacce, ostacoli, interferenze. Attività che, talvolta, provenivano dall’esterno delle Istituzioni, ma il più delle volte dall’interno: dalla politica, dai poteri forti, dalla stessa magistratura. Signor Presidente, a Lei non sfuggirà, quale Presidente del CSM, che l’indipendenza della magistratura può essere minata non solo dall’esterno dell’ordine giudiziario, ma anche dall’interno: ostacoli nel lavoro quotidiano da parte di dirigenti e colleghi , revoche e avocazioni illegali, tecniche per impedire un celere ed efficace svolgimento delle inchieste.

Ho condotto indagini nei settori più disparati, ma solo quando mi occupavo di reati contro la Pubblica amministrazione diventavo un cattivo magistrato.

Posso dire con orgoglio che il mio lavoro a Catanzaro procedeva in modo assolutamente proficuo in tutte le direzioni, come impone il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La polizia giudiziaria lavorava con sacrifici enormi, perché percepiva che risultati straordinari venivano raggiunti. Le persone informate dei fatti testimoniavano e offrivano il loro contributo. Lo Stato c’era ed era visibile, in un territorio martoriato dal malaffare. Le inchieste venivano portate avanti tutte, senza insabbiamenti di quelle contro i poteri forti (come invece troppe volte accade). Questo modo di lavorare, il popolo calabrese – piaccia o non piaccia al sistema castale – lo ha capito, mostrandoci sostegno e solidarietà. Non è poco, signor Presidente, in una Regione in cui opera una delle organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E che lo Stato stesse funzionando lo ha compreso bene anche la criminalità organizzata. Tant’è vero che si sono subito affinate nuove tecniche di neutralizzazione dei servitori dello Stato che si ostinano ad applicare la Costituzione Repubblicana.

Non so se Ella, Signor Presidente, condivide la mia analisi. Ma a me pare che - dopo la stagione delle stragi di mafia culminate nel 1992 con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio e dopo la strategia della tensione delle bombe a grappolo in punti nevralgici del Paese nel 1993 - le mafie hanno preso a istituzionalizzarsi. Hanno deciso di penetrare diffusamente nella cosa pubblica,nell’economia, nella finanza. Sono divenute il cancro della nostra democrazia. Controllano una parte significativa del prodotto interno lordo del nostro paese, hanno loro rappresentanti nella politica e nelle Istituzioni a tutti i livelli, nazionali e territoriali. Nemmeno la magistratura e le forze dell’ordine sono rimaste impermeabili. Si è creata un’autentica emergenza democratica, da sconfiggere in Italia e in Europa.

Gli ostacoli più micidiali all’attività dei servitori dello Stato sono i mafiosi di Stato: quelli che indossano abiti istituzionali, ma piegano le loro funzioni a interessi personali, di gruppi, di comitati d’affari, di centri di potere occulto. Non mi dilungo oltre, perché credo che al Presidente della Repubblica tutto questo dovrebbe essere noto.

Ebbene oggi, Signor Presidente, non è più necessario uccidere i servitori dello Stato: si creerebbero nuovi martiri; magari, ai funerali di Stato, il popolo prenderebbe di nuovo a calci e sputi i simulacri del regime; l’Europa ci metterebbe sotto tutela. Non vale la pena rischiare, anzi non serve. Si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime, si scelga la formula che più piace.

Che ci vuole del resto, signor Presidente, per trasferire un magistrato perbene, un poliziotto troppo curioso, un carabiniere zelante, un finanziere scrupoloso, un prete coraggioso, un funzionario che non piega la schiena, o per imbavagliare un giornalista che racconta i fatti? E’ tutto molto semplice, quasi banale. Ordinaria amministrazione.

Per allontanare i servitori dello Stato e del bene pubblico, bisogna prima isolarli, delegittimarli, diffamarli, calunniarli. A questo servono i politici collusi, la stampa di regime al servizio dei poteri forti, i magistrati proni al potere, gli apparati deviati dello Stato.

La solitudine è una caratteristica del magistrato, l’isolamento è un pericolo. Ebbene, in Calabria, mentre le persone rispondevano positivamente all’azione di servitori dello Stato vincendo timori di ritorsioni, spezzando omertà e connivenze, pezzi significativi delle Istituzioni contrastavano le attività di magistrati e forze dell’ordine con ogni mezzo.

Quello che si è realizzato negli anni in Calabria sul piano investigativo è rimasto ignoto, in quanto la cappa esercitata anche dalla forza delle massonerie deviate impediva di farlo conoscere all’esterno. Il resto del Paese non doveva sapere. Si praticava la scomparsa dei fatti. Quando però le vicende sono cominciate a uscire dal territorio calabrese, l’azione di sabotaggio si è fatta ancor più violenta e repentina. Invece dello sbarco degli Alleati, c’è stato quello della borghesia mafiosa che soffoca la vita civile calabrese. L’azione dello Stato produceva risultati in termini di indagini, restituiva fiducia nelle Istituzioni, svelava i legami tra mafia “militare” e colletti bianchi, smascherava il saccheggio di denaro pubblico perpetrate da politici collusi, (im)prenditori criminali e pezzi deviati delle Istituzioni a danno della stragrande maggioranza della popolazione, scoperchiava un mercato del lavoro piegato a interessi illeciti, squadernava il controllo del voto e, quindi, l’inquinamento e la confisca della democrazia.

Sono cose che non si possono far conoscere, signor Presidente. Altrimenti poi il popolo prende coscienza, capisce come si fanno affari sulla pelle dei più deboli, dissente e magari innesca quella democrazia partecipativa che spaventa il sistema di potere che opprime la nostra democrazia. Una presa di coscienza e conoscenza poteva scatenare una sana e pacifica ribellione sociale.

Lei, signor Presidente, dovrebbe conoscere – sempre quale Presidente del CSM - le attività messe in atto ai miei danni. Mi auguro che abbia assunto le dovute informazioni su quello che accadeva in Calabria per fermare il lavoro che stavo svolgendo in ossequio alla legge e alla Costituzione. Avrà potuto così notare che è stata messa in atto un’attività di indebito esercizio di funzioni istituzionali al solo fine di bloccare indagini che avrebbero potuto ricostruire fatti gravissimi commessi in Calabria (e non solo) da politici di destra, di sinistra e di centro, da imprenditori, magistrati, professionisti, esponenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine. Tutto ciò non era tollerabile in un Paese ad alta densità mafiosa istituzionale. Come poteva un pugno di servitori dello Stato pensare di esercitare il proprio mandato onestamente applicando la Costituzione? Signor Presidente, Lei - come altri esponenti delle Istituzioni - è venuto in Calabria, ha esortato i cittadini a ribellarsi al crimine organizzato e ad avere fiducia nelle Istituzioni. Perché, allora, non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della nostra democrazia, cioè nelle più terribili collusioni tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segnale da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure avevo sperato in un Suo intervento, anche pubblico: ero ancora nella fase della mia ingenuità istituzionale. Mi illudevo nella neutralità, anzi nell’imparzialità dei pubblici poteri. Poi ho visto in volto, pagando il prezzo più amaro, l’ingiustizia senza fine.

Sono stato ostacolato, mi sono state sottratte le indagini, mi hanno trasferito, mi hanno punito solo perché ho fatto il mio dovere, come poi ha sancito l’Autorità Giudiziaria competente. Ma intanto l’obiettivo era stato raggiunto, anche se una parte del Paese aveva e ha capito quel che è accaduto, ha compreso la posta in gioco e me l’ha testimoniato con un affetto che Lei non può nemmeno immaginare. Un affetto che costituisce per me un’inesauribile risorsa aurea.

Ho denunciato fatti gravissimi all’Autorità giudiziaria competente, la Procura della Repubblica di Salerno: me lo imponeva la legge e prima ancora la mia coscienza. Magistrati onesti e coraggiosi hanno avuto il solo torto di accertare la verità, ma questa ancora una volta era sgradita al potere. E allora anche loro dovevano pagare, in modo ancora più duro e ingiusto: la lezione impartita al sottoscritto non era stata sufficiente. La logica di regime del “colpirne uno per educarne cento” usata nei miei confronti non bastava ancora a scalfire quella parte della magistratura che è l’orgoglio del nostro Paese. Ci voleva un altro segnale forte, proveniente dalle massime Istituzioni, magistratura compresa: la ragion di Stato (ma quale Stato, signor Presidente?) non può tollerare che magistrati liberi, autonomi e indipendenti possano ricostruire fatti gravissimi che mettono in pericolo il sistema criminale di potere su cui si regge, in parte, il nostro Paese.

Quando la Procura della Repubblica di Salerno – un pool di magistrati, non uno “antropologicamente diverso”, come nel mio caso – ha adottato nei confronti di insigni personaggi calabresi provvedimenti non graditi a quei poteri che avevano agito per distruggermi, ecco che il circuito mediatico-istituzionale, ai più alti livelli, ha fatto filtrare il messaggio perverso che era in atto una “lite fra Procure”, una guerra per bande. Una menzogna di regime: nessuna guerra vi è stata, fra magistrati di Salerno e Catanzaro. C’era invece semplicemente, come capirebbe anche mio figlio di 5 anni, una Procura che indagava, ai sensi dell’art. 11 del Codice di procedura penale, su magistrati di un altro distretto. E questi, per ostacolare le indagini, hanno a loro volta indagato i colleghi che indagavano su di loro, e me quale loro istigatore. Un mostro giuridico. Un’aberrazione di un sistema che si difende dalla ricerca della verità, tentando di nascondersi dietro lo schermo di una legalità solo apparente.

Questa menzogna è servita a buttare fuori dalle indagini (e dalla funzioni di Pm) tre magistrati di Salerno, uno dei quali lasciato addirittura senza lavoro. Il messaggio doveva essere chiaro e inequivocabile: non deve accadere più, basta, capito?!

Signor Presidente, io credo che Lei in questa vicenda abbia sbagliato. Lo affermo con enorme rispetto per l’Istituzione che Lei rappresenta, ma con altrettanta sincerità e determinazione. Ricordo bene il Suo intervento – devo dire, senza precedenti – dopo che furono eseguite le perquisizioni da parte dei magistrati di Salerno. Rimasi amareggiato, ma non meravigliato.

Signor Presidente, questo sistema malato mi ha di fatto strappato di dosso la toga che avevo indossato con amore profondo. E il fatto che non mi sia stato più consentito di esercitare il mestiere stupendo di Pubblico ministero mi ha spinto ad accettare un’avventura politica straordinaria. Un’azione inaccettabile come quella che ho subìto può strapparmi le amate funzioni, può spegnere il sogno professionale della mia vita, può allontanarmi dal mio lavoro, ma non può piegare la mia dignità, nè ledere la mia schiena dritta, nè scalfire il mio entusiasmo, nè corrodere la mia passione e la volontà di fare qualcosa di utile per il mio Paese.

Nell’animo, nel cuore e nella mente, sarò sempre magistrato.

Nella Politica, quella con la P maiuscola, porterò gli stessi ideali con cui ho fatto il magistrato, accompagnato dalla medesima sete di giustizia, i miei ideali e valori di sempre (dai tempi della scuola) saranno il faro del nuovo percorso che ho intrapreso. Darò il mio contributo affinchè i diritti e la giustizia possano affermarsi sempre di più e chi soffre possa utilizzarmi come strumento per far sentire la sua voce.

E’ per questo che, con grande serenità, mi dimetto dall’Ordine giudiziario, dal lavoro più bello che avrei potuto fare, nella consapevolezza che non mi sarebbe più consentito esercitarlo dopo il mandato politico. Lo faccio con un ulteriore impegno: quello di fare in modo che ciò che è successo a me non accada mai più a nessuno e che tanti giovani indossino la toga non con la mentalità burocratica e conformista magistralmente descritta da Piero Calamandrei nel secolo scorso, come vorrebbe il sistema di potere consolidato, ma con la Costituzione della Repubblica nel cuore e nella mente.

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quanto l'Italia sia un paese bizzarro basta vedere il caso de Magistris.

Non solo quello che hanno fatto a lui, ma anche quello che hanno fatto ai suoi collaboratori e alla procura responsabile di Catanzaro (salerno) , grazie al peggior CSM e peggior presidente della repubblica da quando questa è stata fondata.

 

Tornando sullo scudo

 

Provaci ancora PD (Lo scudo fiscale passa per soli 20 voti, 33 assenti nell'opposizione)

 

Nei giorni scorsi sono stato criticato da molti lettori che hanno simpatie per il centrosinistra: ma come? Getti la croce sui nostri parlamentari? Ma perché criticate sempre il Pd? Ma siete davvero sicuri, voi cattivacci del Fatto, che se i parlamentari di opposizione fossero stati presenti il centrodestra sarebbe stato battuto?

 

Bene, sono passati solo tre giorni da quella polemica e si è arrivati alla frittata. Voto finale sullo scudo fiscale, il più importante. Crollo di partecipazione nel Pdl (la Lega invece tiene) forse causato - bisogna studiarsi un pochino i numerini - anche da una piccola defezione dei finiani. Ebbene, sto consultando ora il tabulato della Camera: lo scudo passa per 20 voti e gli assenti del Pd sono 25. Quelli dellUdc sono 7, quelli dell'Italia dei valori 1. Totale 33. Pubblicheremo di nuovo la lista. E ognuno si farà la sua idea, ognuno giudicherà le giustificazioni che verranno addotte dai deputati in questione: è la democrazia. Non tutti sono reprobi, ovviamente, ogni caso va giudicato. Questi sono i fatti.

 

Ma la mia opinione, che tengo distinta, ma che non nascondo, è che il leader del Pd dovrebbe dare qualche frustata, questa sera. Anche ai suoi grandi elettori del congresso, magari. Anche a quelli che sono assenti per due volte di seguito. Ed è per questo che pubblicare i nomi non significa fare il gioco della destra o della sinistra. Ma semplicemente, secondo questo quotidiano, fare informazione.

 

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamwar...x?id_blog=96578

Modificato da Leviathan
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Per quale motivo dovrebbero essere presenti visto che la destra ha una maggioranza schiacciante?

 

Sono più utili a fare altre attività che a schiacciare bottoni, che poi non le facciano è un altro paio di maniche però la polemica mi sembra assolutamente stupida.

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non hai capito... se 20-21 su 33 assenti c'erano lo scudo non passava

 

 

No, massimo costringevano gli altri ad andare in aula perchè la maggioranza è salda e sappiamo a chi appartiene, semplicemente c'è un gentlemen's agreement tra le parti che evita queste ripicche da bambini.

 

Il problema dell'Italia non è certo che parlamentari che nessuno ha votato non vanno in aula, anzi in questo caso si potrebbero davvero far votare i capogruppo visto che il parlamento è diventato una semplice luogo di ratifica.

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Il problema dell'Italia non è certo che parlamentari che nessuno ha votato non vanno in aula, anzi in questo caso si potrebbero davvero far votare i capogruppo visto che il parlamento è diventato una semplice luogo di ratifica.

Dissento: i problemi italiani sono moltissimi e tra questi v'è anche il malcostume dei nostri parlamentari.

I cittadini di una repubblica democratica, hanno pieno diritto di fruire dei risultati di un confronto di maggioranza e opposizione nelle sedi istituzionali.

 

http://www.corriere.it/foto_del_giorno/hom..._20091003.shtml

Modificato da dindon
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Dissento: i problemi italiani sono moltissimi e tra questi v'è anche il malcostume dei nostri parlamentari.

I cittadini di una repubblica democratica, hanno pieno diritto di fruire dei risultati di un confronto di maggioranza e opposizione nelle sedi istituzionali.

 

http://www.corriere.it/foto_del_giorno/hom..._20091003.shtml

 

 

Ma i cittadini hanno votato solo i leader e i partiti, i parlamentari non rappresentano nessuno nè a livello assoluto nè a livello intellettuale: non sono rappresentanti delegati dagli Italiani ma dei loro capi partito.

 

Impensabile che discutano, tranne dire noi abbiamo ragione e voi avete torto con i soliti insulti di condimento, o che votino fuori dalle loro istruzioni.

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Ma i cittadini hanno votato solo i leader e i partiti, i parlamentari non rappresentano nessuno nè a livello assoluto nè a livello intellettuale: non sono rappresentanti delegati dagli Italiani ma dei loro capi partito.

Perfetto! ... dunque deputati e senatori possono astenersi dal frequentare il Parlamento e venir meno alle loro responsabilità!

Io non la penso così e non trovo scuse per il loro pregiudizievole assenteismo.

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Perfetto! ... dunque deputati e senatori possono astenersi dal frequentare il Parlamento e venir meno alle loro responsabilità!

Io non la penso così e non trovo scuse per il loro pregiudizievole assenteismo.

 

 

Io penso che innanzi tutto i deputati e i senatori debbano rispondere ai cittadini che li eleggono su base territoriale, non dovendolo fare vista la legge elettorale non ha senso che lo facciano.

 

Lo schifo è a monte, ma agli Italiani pare non interessare, di conseguenza inutile lamentarsi dell'assenteismo.

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chissa perche poi leone cossiga e scometto che un domani anche napolitano sono tutti presidenti mal visti in ambienti di sinistra.

 

 

Perchè vogliono che faccia un azione politica schierandosi per una delle parti, cosa che, per fortuna, non ha la coscienza di fare.

 

Poi non tutta la sinistra, solo di pietro ha cominciato questa crociata, per di più non apertamente, contro di lui.

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Che Leone e Cossiga non fossero ben visti, magari si capiva anche, visto il periodo (e il fatto che NON fossero di sinistra), quello che non si e' mai verificato sono attacchi di questo genere alle prerogative e ai comportamenti del Capo dello Stato, a partire da Scalfaro per arrivare a Napolitano, passando, perchè no, anche per Ciampi.

 

Questo si e' scandaloso.

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Si ma la differenza è che scalfaro, come il suo predecessore cossiga, prese sin da subito posizione contro l'equidistanza che la sua istituzione comporta, mentre napolitano mi sembra che abbia improntato la sua azione sulla correttezza e sulla terzietà tra le parti nonostante sia, per provenienza, un politico schierato.

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prese sin da subito posizione contro l'equidistanza che la sua istituzione comporta,

 

Perchè, perche' si rifiutò, ad esempio, di nominare Previti ministro della Giustizia? :pianto:

 

Rivelazione molto tardiva ed impossibile da verificare: sarei comunque curioso di sapere cosa spinse Scalfaro, il più fazioso tra i presidenti della Repubblica, a riufiutare la nomina di Previti a Ministro della Giustizia e a consentire quella a Ministro della Difesa? Se Previti era impresentabile, Scalfaro non avrebbe dovuto nominarlo Ministro della Repubblica.

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Si ma la differenza è che scalfaro, come il suo predecessore cossiga, prese sin da subito posizione contro l'equidistanza che la sua istituzione comporta, mentre napolitano mi sembra che abbia improntato la sua azione sulla correttezza e sulla terzietà tra le parti nonostante sia, per provenienza, un politico schierato.

 

Di sicuro (ed almeno personalmente) la presidenza Napolitano si sta rivelando una sorpresa, almeno dal punto di vista dell'equidistanza tra le due parti politiche, cosa non così scontata per un uomo dalla militanza lunga e convinta come l'attuale presidente. Mi sembra che il suo stile sia molto vicino, almeno sotto questo punto di vista, a quello del suo predecessore Ciampi, che considero uno dei migliori presidenti che abbiamo mai avuto (per conoscenza indiretta all'elenco dei bravi aggiungerei anche Einaudi).

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Di sicuro (ed almeno personalmente) la presidenza Napolitano si sta rivelando una sorpresa, almeno dal punto di vista dell'equidistanza tra le due parti politiche, cosa non così scontata per un uomo dalla militanza lunga e convinta come l'attuale presidente. Mi sembra che il suo stile sia molto vicino, almeno sotto questo punto di vista, a quello del suo predecessore Ciampi, che considero uno dei migliori presidenti che abbiamo mai avuto (per conoscenza indiretta all'elenco dei bravi aggiungerei anche Einaudi).

 

 

Einaudi per me rimane il migliore, però napolitano mi piace ancora più del suo predecessore pur avendo meno carisma personale.

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"Si sono messi in testa di farmi fuori" Il Cavaliere tentato dal ricorso alle urne

ROMA - Il rischio di una escalation c'è tutto. E il clima che si respira in queste ore a palazzo Chigi è quello di un fortino assediato, con gli assalitori che già scalano le mura: già tra 24 ore forse si saprà se la Consulta avrà bocciato il lodo Alfano e i pessimisti nel Pdl sono ormai la maggioranza. Da qui il via libera dato ieri dal Cavaliere a una mossa estrema come quella del ricorso alla piazza. "È la nostra carica di Balaklava", celia un berlusconiano per mascherare la preoccupazione.

Un'ipotesi, quella della piazza, che si era affacciata una decina di giorni fa durante una riunione ristretta a palazzo Grazioli, ma su cui il premier aveva inizialmente preso tempo per decidere. Ieri ha rotto gli indugi: "Si sono messi in testa in farmi fuori, dobbiamo rispondere".

 

A far infuriare il Cavaliere, più della manifestazione di piazza del Popolo, è stata la concomitante condanna al maxirisarcimento da 750 milioni di euro nei confronti della Cir per il Lodo Mondadori. Una sentenza che, nei ragionamenti che il premier ha fatto con i suoi, porta soltanto in una direzione: "Vogliono farmi chiudere". Raccontano che Berlusconi si sia infuriato per un verdetto che sente "profondamente ingiusto" e che assolutamente non si aspettava: "È stato un fulmine a ciel sereno". Oltretutto con una richiesta ritenuta talmente "sproporzionata" che costringerebbe il gruppo a mettersi di nuovo nelle mani delle banche. Né il premier ripone grandi speranze nell'appello sul lodo Mondadori visto che, come commenta sconsolato uno dei suoi, "da Milano cosa mai vuoi aspettarti?".

 

Chi gli ha parlato in queste ore lo descrive diviso tra la tentazione di mollare tutto e la rabbia che lo spingerebbe a una dura reazione (come appunto potrebbe essere un'adunata da un milione di persone), nella convinzione che "più mi attaccano e più mi rafforzano". Tra i consiglieri ormai c'è chi è certo che, se messo con le spalle al muro da una bocciatura del lodo Alfano, il premier davvero possa tentare la carta del ricorso al "giudizio del popolo", dimettendosi e chiedendo a Napolitano lo scioglimento delle Camere. Su quest'ultima ipotesi Berlusconi sarebbe anche sicuro di portarsi dietro Gianfranco Fini, a cui serve più tempo per tessere la sua tela.

 

Fantapolitica? Ormai nella cerchia stretta del Cavaliere sono questi i ragionamenti che si fanno. La convinzione che si sta facendo strada infatti è che la Consulta si avvii a bocciare il lodo, imponendo una legge costituzionale per stabilire l'immunità processuale delle alte cariche dello Stato (mentre il lodo Alfano è stato introdotto con legge ordinaria).

 

Uno scenario da incubo per Berlusconi, che si vede accerchiato da forze ostili. Un attacco "concentrico e lungo più direttrici - così lo descrive Fabrizio Cicchitto - che vanno dal gossip, all'evocazione degli attentati di mafia del '92, ad altro ancora che si prepara. E, adesso a questa sentenza civile dalle proporzioni inusitate".

Tra gli uomini di Berlusconi c'è anche la convinzione che, in fondo, la forza del premier nel Paese non solo sia intatta ma anche in crescita. "C'è uno scollamento drammatico tra la politica che viene rappresentata nei giornali - spiega Gaetano Quagliariello - e quello che pensano i cittadini, la gente per strada. Non a caso Berlusconi, quando va a all'Aquila o a Messina, viene applaudito, lo accolgono come un salvatore". I sondaggi del premier sarebbero incoraggianti, ragione in più per affidarsi a una carta estrema come le elezioni anticipate. Anche se una vecchia volpe come Pier Ferdinando Casini, a sentir parlare di elezioni, sente puzza di "bluff" e ritiene si tratti soltanto di "una pistola scarica".

 

C'è poi la partita della Rai, dove Berlusconi non si rassegna a finire ogni settimana nel mirino di Annozero e delle altre trasmissioni "di sinistra". "Quello di Annozero è stato un attacco ignobile", ha detto venerdì durante il Consiglio dei ministri a proposito della puntata che aveva come ospite la escort Patrizia D'Addario. Il Cavaliere ha apprezzato la puntata di Bruno Vespa, ma è ormai convinto che si tratti di passare al contrattacco, magari forzando il palinsento Rai con una nuova trasmissione. "Ma a noi manca un Santoro di destra", sospira un ministro che ne ha raccolto lo sfogo. (f. bei)

 

http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/p...-complotto.html

Ormai non rischia più di andare in galera (motivo per cui è sceso in campo), molla Silvio! chi te lo fa fare! :rotfl: :rotfl:

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Consulta: "Il lodo Alfano è illegittimo"

 

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18:11 Consulta: serviva legge costituzionale

La Consulta - secondo quanto appreso dall'Ansa - ha bocciato il 'lodo Alfano' per violazione dell'art.138 della Costituzione, vale a dire l'obbligo di far ricorso a una legge costituzionale (e non ordinaria come quella usata dal 'lodo' per sospendere i processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato). Il 'lodo' è stato bocciato anche per violazione dell'art.3 (principio di uguaglianza). L'effetto della decisione della Consulta sarà la riapertura di due processi a carico del premier Berlusconi: per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.

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