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  1. Hobo

    IL MIO NOME E' JONATHAN.

    Il compromesso Nella mattina di giovedì primo luglio, a Tel Aviv regnava un’atmosfera cupa. Il primo ministro Rabin convocò di nuovo i vertici dell’IDF. L’ultimatum sarebbe scaduto alle 14:00. Gur ripetè al capo del governo che, in quel momento, non poteva raccomandare alcuna operazione militare: l’IDF non aveva ancora un piano che potesse risolvere il problema. In un consiglio con i ministri anziani, fu presa la decisione di compromesso di accedere almeno parzialmente alle richieste dei terroristi e di liberare i criminali, per lo meno i 40 detenuti in Israele. Così si creava un pericoloso precedente: ora chiunque avrebbe capito che minacciando in modo adeguato lo stato ebraico si sarebbero potuti ottenere comunque dei risultati. Ma la verità era che in cuor suo Yitzhak Rabin nutriva ancora la speranza e la possibilità della soluzione armata. Ricorda Rabin: “La mia non era doppiezza, né uno stratagemma per guadagnare tempo. E’ che volevo anche dei veri negoziati, con Israele impegnata a rispettare gli accordi”. Quando la decisione di Israele venne resa pubblica, i terroristi accettarono di spostare in avanti la deadline: la nuova deadline ora sarebbe caduta alle 14:00 di domenica 4 luglio. Primo luglio: ore 16:00 Frattanto la notte prima a Tel Aviv erano cominciate ad affluire le prime informazioni degne di questo nome: i rapporti di Levine sui racconti dei 47 ostaggi liberati da Idi Amin e le nuove foto dell’aeroporto di Entebbe. Alla luce dei nuovi dati, Kuti Adam convocò Barak, Tamari, gli altri alle Operazioni e il Comando Interforze per metterli al corrente dei recenti sviluppi e del fatto che gli ugandesi collaboravano con i terroristi. Dan Shomron, disse che bisognava organizzare un’operazione più in grande stile, per resistere anche agli ugandesi. Quel pomeriggio, tutti quegli ufficiali, con in più anche Peled dell’Aeronautica, andarono dal ministro della difesa Peres e gli esposero il piano dell’atterraggio a Entebbe di Shomron, rielaborato alla luce delle nuove informazioni. Peres eventualmente lo avrebbe poi esposto a Rabin. A Shomron, Peres chiese di presentare il piano per tre volte e ogni volta gli richiese perché considerava possibile l’operazione, poi interruppe bruscamente l’esposizione di Shomron per chiedere ai presenti “Signori, voi quante probabilità si successo pensate che avremmo?” Shomron ricorda che nella sala si fece il gelo, nessuno se la sentiva di rispondere. Fu Adam a parlare per primo: “Signor ministro, ci aspettiamo un 50% di probabilità”. “In altre parole”, ribattè Peres, “Voi non lo sapete. Eppure giudicate fattibile la cosa e me la state raccomandando”. A quel punto, Peres fissò Gur. Gur gli disse che gli avrebbe risposto solo in una riunione privata. Allora Peres fece uscire tutti. Rimasero solo lui, Gur, Peled e Adam. Usciti tutti, Gur disse che, per quanto lo riguardava, l’operazione era una follia, lui era ancora sfavorevole e così com’era non l’avrebbe mai autorizzata (spettava infatti a lui l’ultima parola). Non gli si poteva certo dar torto: non c’era stato il tempo e il piano era ancora poco più che un’idea. Un fallimento non avrebbe significato solo la morte degli ostaggi, ma anche una catastrofe per Israele sul piano nazionale e internazionale. A quel punto fu ancora Adam che ebbe la prontezza si salvare capra e cavoli (non a caso era il capo del Reparto Operazioni). Si intromise nella discussione, dicendo che secondo lui e anche secondo Ehud Barak, valeva la pena mettersi a lavorare a un progetto più dettagliato, organizzare le truppe per una grande esercitazione completa, ammettendo contemporaneamente anche la possibilità che non se ne sarebbe mai fatto niente. Peled era d’accordo. Alla fine anche Gur acconsentì. Per cui quel pomeriggio Peres andò finalmente da Rabin con qualcosa di concreto da proporgli. Erano le 16:00 di giovedì primo luglio. Quella sera, le speranze del primo ministro Rabin subirono una brusca impennata. Thunderbolt Il piano che Shomron aveva pensato e che lui, Adam e Peled avrebbero continuato ad approfondire per tutta la notte e fino all’alba di venerdì, come aveva detto Gur, era qualcosa di poco meno di una pazzia. L’idea era raggiungere Entebbe a 2.200 miglia nautiche di distanza, atterrarci, liberare gli ostaggi e ripartire. La sola distanza era enorme. La rotta di volo passava sopra e vicino a paesi ostili. Era tassativo non farsi rilevare, né tanto meno riconoscere: se i terroristi avessero avuto anche un seppur minimo sentore di una cosa del genere, avrebbero massacrato subito gli ostaggi. Le possibilità di essere soccorsi se una qualunque cosa fosse andata storta una volta atterrati laggiù, nel cuore dell’Africa, erano pari a zero. Il Mossad aveva avvertito che almeno la metà degli effettivi delle forze armate ugandesi (circa 10.500 uomini) era dislocata entro un raggio di 22 miglia da Entebbe: era di gran lunga la più grande forza nemica che un’unità speciale da recupero ostaggi si fosse mai ritrovata a dover affrontare: non era più un’operazione antiterrorismo, ma era una missione militare di guerra in piena regola. Come ciliegina sulla torta c’era il fatto che, una volta ripartiti da Entebbe, i C-130(Karnaf, in Israele) avrebbero avuto carburante per soli 90 minuti di volo, mentre il solo volo d’andata sarebbe durato più di otto ore. Le incognite quindi erano da far rizzare i capelli a chiunque. Come se non bastasse poi un’operazione del genere normalmente avrebbe richiesto settimane per essere pianificata e simulata: qui c’erano solo quarantottore! Se Israele avesse fallito, non solo gli ostaggi avrebbero perso la vita, ma sarebbe stata una catastrofe nazionale ed internazionale. In Israele, la gente solo allora iniziava a riprendersi dallo shock della guerra dello Yom Kippur del ’73, quando solo per un soffio lo stato ebraico non era stato cancellato dalle mappe (e dalla storia), per cui una debacle a Entebbe avrebbe minato la fiducia del popolo israeliano in coloro che lo comandavano, generando negli israeliani la convinzione di essere mal condotti. Sul piano internazionale poi, un fallimento a Entebbe avrebbe generato negli arabi la convinzione che Israele non era che una tigre di carta e poteva essere battuta e questo a Tel Aviv poneva interrogativi da brivido su cosa avrebbe potuto succedere. Nonostante tutto questo, l’operazione proposta da Dan Shomron rappresentava per Israele la sola possibilità si potersi sottrarre al ricatto terroristico. A detta di tutti, autorizzare un’idea del genere è stata la decisione più difficile mai presa fino ad oggi da un capo di stato maggiore israeliano e toccò proprio a Mordechai Gur doverla prendere. L’operazione era stata inizialmente denominata Stanley da Shomron, dal nome del grande esploratore, ma poi i computers del Kyria che generano nominativi random per le missioni militari le assegnarono il nome di “Wave of Ash”, che non ebbe molto successo presso la truppa, per cui il piano venne definitivamente battezzato “Thunderbolt”. Fonti: "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces". Simon Dunstan "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni". Iddo Netanyahu.
  2. Hobo

    Quota di intercetttazione

    Veramente da quello che so io l'U-2 non si destreggia proprio per niente. Inoltre, per motivi vari il suo range di velocità a 80.000 piedi è da tenere attentamente sotto controllo perchè è un attimo che stalla oppure al contrario perde le ali. Lo Spitfire del 1940 forse si sarà ritrovato a intercettare una versione da ricognizione della Ju-86, che era usato come ricognitore d'alta quota. Entrambi gli aerei saranno stati ad abitacoli pressurizzati. Il Lightning era il miglior intercettatore inglese e i migliori piloti venivano destinati a questo aereo che fu il più veloce caccia mai costruito in Uk, e che era famoso per le sue capacità di "arrampicata", un po' come l'F-104. Anche se però con soli due Firestreak o ci si prendeva al primo colpo, o era meglio darsi ... La quota d'intercettazione credo che dipenda dalle armi che uno ha (missile o cannone), da quello che si vuole intercettare (che tipo di velivolo nemico è e che sta facendo) e da cosa si vuole fare: inseguire o distruggere. Per esempio: voglio mettermi in coda e arrivargli da dietro? Volgio semplicemente di struggerlo arrivandogli da davanti? Perchè arrivandogli da dietro prima mi devo mettere in coda al bersaglio (inseguimento), mentre se lo devo raggiungere da davanti devo prima calcolare il punto davanti al bersaglio in cui lui si troverà quando io avrò finito la mia arrampicata, cioè devo calcolare un punto davanti a lui. In che posizione si trova il bersaglio? Sopra, sotto di me, alla mia dx, alla mia sn? Sono guidato dal radar di terra, o ho un mio radar d'intercettazione? In base a tutte queste cose si calcola la manovra e il percorso migliori perchè il bersaglio finisca nel "raggio d'inviluppo" delle proprie armi. E' un discorso di velocità e di gradi. Ninente a che vedere con il duello aereo manovrato. Gli F-4E e gli F-15A israeliani si sgrugnarono ben bene con i Mig-25R siriani e egiziani pilotati dai russi. La stessa cosa fecero gli F-14 iraniani con i Mig-25 iracheni. Il problema era che il Mig-25 era troppo alto e veloce (poteva superare Mach-3, ma a Mach-2,7 sul machmetro c'era una bella tacca verde e il manuale diceva: "NON superare"...) e se veniva intercettato da davanti (da dietro è un po' difficile intercettare un caccia trisonico...), la spoletta dello Sparrow esplodeva al momento sbagliato e il caccia russo, nell'istante in cui la carica dell'AIM-7 detonava, era già fuori del raggio di abbattimento certo. Questo perchè la velocità del missile sommata alla velocità del Mig-25 che veniva in direzione opposta, davano un valore di velocità assurdo (Mach-7 o più!) per cui la spoletta di prossimità dell'AIM-7, non regolata per questi lassi temporali (meno di un istante) sbagliava letteralmente i calcoli e esplodeva in anticipo! Gli svedesi provarono diverse volte a fare esercitazioni reali con i Viggen usando come bersaglio gli SR-71 che a 30.000 metri tornavano verso sud dopo aver avvicinato l'URSS. http://www.militaryphotos.net/forums/archive/index.php/t-65940.html
  3. Hobo

    IL MIO NOME E' JONATHAN.

    Ok. E' che su uno dei due libri si riferiscono a lui come "Baccos". Da dopo sto post mi correggo ora non ho tempo. Idi Amin si rivelò un alleato dei dirottatori e questo mutò i piani israeliani, come poi si vedrà A detta degli israeliani (e credo che sia vero) Israele e l'Uganda erano in buoni rapporti, perfino dopo l'ascesa di Idi Amin. Israele mandò in Uganda diverse società e investì anche soldi. Acqua per il il nord dell'Uganda per esempio, in cui la regione di Karamoja è praticamente desertica e molte altre cose, compresa una missione di istruttori militari, che contribuirono all'addestramento delle forze ugandesi e alla creazione dell'Aeronautica con diversi IAI (Fouga) Magister. L'aeronautica ugandese fu una delle prime in Africa ad avere i jet grazie a Israele. Idi Amin venne "insignito" del titolo ebraico di Hagai Ne'eman (Grande Condottiero) e inizialmente era amico di Israele. Idi Amin prese il potere con un colpo di stato il 25 gennaio 1971. Inizialmente apparve una persona ragionevole, ma poi il potere deve avergli dato alla testa perchè divenne crudele, dispotico e megalomane. Abolì i diritti civili e l'attività politica nel suo paese, perseguitando atrocemente gli oppositori. Fece spese folli e investimenti sbagliati contro ogni consiglio anche israeliano e chi provava a dirgli qualcosa spariva. I suoi modi portarono prima a un raffreddamento dei rapporti con Israele e poi alla rottura. Idi Amin voleva gli F-4 Phantom II per attaccare Kenya e Tanzania. Israele glieli negò. Lui si offese moltissimo. Idi Amin chiese a Israele di saldare gli enormi debiti da lui fatti. Sapeva ovviamente che Israele si sarebbe rifiutata e quando questo accadde si rivolse all'Arabia Saudita e alla Libia per avere prestiti. Inutile dire che per fare questo passò nella sfera araba e sovietica. Espulse tutti gli ebrei e divenne nemico giurato di Israele mentre il suo paese scivolava nel caos totale. Nonostante questo venne nominato Presidente dell'Unione Africana. Idi Ammin dichiarò illegale l'ebraismo in Uganda. L' 11 settembre 1972 Idi Amin mandò un telegramma al Presidente delle nazioni Unite Waldheim in cui plaudeva all'olocausto. Tra l'altro vi si legge: " ... it was where Hitler had burned more than six million Jews" e questo perchè: "all of the German people knew that the Israelis are not a people who work for humanity and because of that they burned them alive and killed them with gas on the soil of Germany". Così descrive Idi Amin l'ambasciatore americano in Uganda nel '75: "Racist, erratic and unpredictable, brutal, inept, bellicose, irrational, ridicolous and militaristic ...". Fonte: "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces". Simon Dunstan. Pag. 15. Infatti successe perchè da anni era disabitato (dagli anni '60). Se non vi rompe proseguo con il mio riassunto (che quindi non va preso come libro di testo): Il viaggiatore Il signore veniva da Londra. Un suo amico che sembrava uno del posto lo stava già aspettando. Si avvicinarono al bancone. Tutti i documenti dell’uomo erano in ordine: passaporto, visto, licenza di volo. Tutto a posto. Disse qualcosa a proposito di un reportage scientifico sul lago Vittoria. Scherzò brevemente con la bella ragazza di colore che stava dietro il bancone e firmò i moduli per il noleggio dell’aereo. Pagò in contanti. I due uscirono al sole sull’aeroporto di Kisumu. Indossarono i Ray-Ban, fecero il giro d’ispezione attorno al velivolo e decollarono nell’aria torrida e immobile. Sul piano di volo alla voce “destinazione” stava scritto in una bella grafia “Entebbe”. Il lago Vittoria visto dall’alto in una giornata estiva è una delle sette meraviglie del mondo. Uno sconfinato mare interno di 26.000 miglia quadre che si estende a perdita d’occhio in ogni direzione, da esso origina il Nilo. La baia di Kavirundo fuggì sotto l’aereo. Subito dopo i due furono sul lago. Si diressero a ovest, seguendo la costa settentrionale, volando sopra una miriade di isolette coperte di jungla verdissima. Dopo tre ore, il controllore del traffico della torre di Entebbe li autorizzò all’avvicinamento e alla discesa. Le cose si complicarono da subito: il pilota disse che il carrello non ne voleva sapere di uscire, per cui riattaccò, chiedendo l’autorizzazione a un roundabout. Gliela concessero. La cosa si ripetè: non era giornata. L’aereo tentò e ritentò diversi avvicinamenti sull’aeroporto senza risultato. Il controllore di volo si dimostrò persona paziente e comprensiva ed anzi aveva cominciato seriamente a preoccuparsi, quando per radio il pilota gli comunicò che per quel giorno ne aveva abbastanza a che ci rinunciava: tornavano a Kisumu. Il controllore rimase interdetto. Gli ricordò di accertarsi di avere abbastanza carburante e gli augurò un felice ritorno. Il pilota dell’aereo gli disse che era tutto a posto e lo ringraziò per la premura dimostrata, virò e rimise la prua sul Kenya. Dozzine di magnifiche foto dell’aeroporto internazionale di Entebbe erano ora in possesso del Mossad. Intanto a Tel Aviv … Nelle prime ore di mercoledì 30, il primo ministro Rabin, che nel ’67 aveva portato Israele alla vittoria durante la guerra dei sei giorni, rifiutò di autorizzare i piani proposti dei militari, dicendo che avrebbero rappresentato la Baia dei Porci israeliana. Di conseguenza ordinò che si ricominciasse da capo: l’iniziale entusiasmo per una risposta armata iniziò a scemare e soprattutto il capo di stato maggiore dell’IDF Mordechai Gur si fece dell’opinione che la risposta dovesse essere negoziale e non di forza. Un volo El Al venne inviato a Nairobi con a bordo un team israeliano che avrebbe dovuto incontrare il governo keniota e sondare il terreno in vista di una possibile richiesta di collaborazione con Israele. Nairobi non era in buoni rapporti con Kampala e il suo despota, ma rappresentava l’unico paese dell’area per lo meno non ostile a Israele. Nonostante questo, i kenioti rimasero freddi dinnanzi alle richieste israeliane e non permisero l’uso militare del loro territorio. Il fallimento dei militari nel concepire operazioni armate plausibili preoccupò moltissimo Yitzhak Rabin che fu costretto a prendere per la prima volta in reale considerazione la possibilità di accedere alle richieste dei terroristi, pur mantenendo sempre aperta l’opzione militare. Al contrario di Rabin, Shimon Peres, ministro della difesa, dopo aver parlato con Peled dell’Aeronautica aveva iniziato a credere in una soluzione di forza. Il Premio Nobel Shimon Peres, vedendo bene che le informazioni scarseggiavano e che per il momento i militari brancolavano nel buio, prese l’iniziativa: chiamò il colonnello Baruch “Burkah” Bar Lev. Burkah Bar Lev era stato il responsabile della missione militare israeliana a Kampala nel periodo di collaborazione tra Israele e Uganda. Gli israeliani sapevano che Idi Amin, per lo meno ai vecchi tempi, aveva considerato Bar Lev come una specie di amico personale. Allo scopo di carpire qualunque informazione Idi Amin si fosse lasciato sfuggire, Peres decise di giocare anche questa carta e pregò Bar Lev di chiamare il dittatore ugandese per cercare di sollecitare un suo interessamento in favore dei passeggeri del volo 139. Bar Lev effettuò diverse chiamate telefoniche internazionali e parlò a lungo con Idi Amin Dada. Conoscendolo e accorgendosi che non era cambiato, ma che era rimasto l’egocentrico vanesio di sempre, Bar Lev cercò di solleticare la smisurata vanità di Idi Amin, dicendogli che tutto dipendeva dalla sue grandi capacità e arrivando a prefigurargli addirittura il Premio Nobel per la Pace qualora fosse intervenuto in favore degli ostaggi. L’idea parve lasciare estasiato il despota ugandese, che però non sembrò cambiare di un millimetro la sua condotta. Se sotto questo punto di vista quei colloqui telefonici erano stati un fallimento e gli ostaggi rimanevano ancora a Entebbe, al contrario, essi erano stati una vera miniera di informazioni per gli israeliani. Idi Amin si era mostrato molto sospettoso ovviamente, ma la vanità aveva avuto il sopravvento e come tutti i dittatori anche Idi Amin non aveva resistito alla tentazione di lasciarsi andare a interminabili sproloqui. L’idea complessiva che Shimon Peres si fece della situazione non gli piacque: Idi Amin non sembrava affatto neutrale, non si limitava solo al mero ruolo di “padrone di casa” con i terroristi, ma li aiutava attivamente facendo partecipare le sue forze armate alla sorveglianza degli ostaggi e alla difesa dei luoghi di detenzione. Questo cambiava tutto: ora un eventuale contingente d’assalto avrebbe dovuto essere qualcosa di molto più che un semplice team antiterrorismo, ma avrebbe dovuto anche essere in grado di resistere ai contrattacchi delle forze ugandesi. Il Rashomon Nel frattempo quel giorno finì l’esercitazione interforze nel Sinai e molti ufficiali superiori e subalterni poterono così ritornare alle loro basi. Tra essi c’erano anche il comandante di Esercito e Paracadutisti, brigadier generale Dan Shomron e il vice di Adam alle Operazioni, colonnello Shai Tamari. Entrambi erano stati tenuti costantemente aggiornati dai loro subalterni. Shomron si recò alla Scuola Militare di Stato Maggiore e convocò lì Oren e Biran nella serata. Tamari, in qualità di vice di Adam, rilevò il comando della pianificazione del possibile intervento militare da Ehud Barak e volle essere aggiornato su tutto quanto era stato pensato nelle 24 ore precedenti. Tamari, come Rabin, giudicò vaghe e irrealistiche le opzioni presentate e ordinò che ogni unità ritornasse alla fase di progettazione. La possibilità operativa più concreta restava frattanto quelle concepita dal colonnello Ehud Barak, (futuro primo ministro) e cioè un attacco anfibio con incursori, paracadutati sul lago Vittoria, che si sarebbero avvicinati a Entebbe da meridione grazie agli Zodiac gonfiabili. Sulla carta, l’operazione sembrava buona e di sicuro era la più promettente di tutte. Quella sera chiamarono Shani al 131° e si fece una grossa esercitazione notturna con i C-130 e le forze speciali sul Mediterraneo. Gli Zodiac, appena lanciati a bassa quota dai C-130, come toccavano l’acqua scoppiavano. Come se non bastasse poi c’era anche un altro problema molto concreto. A riassumerlo ci pensò Muki Betser che aveva partecipato a quell’esercitazione: “I coccodrilli del Nilo che popolano il lago Vittoria sono i più grandi del mondo. Il Sayeret Matkal è la migliore unità speciale del mondo e può combattere contro qualsiasi cosa, ma combattere contro i coccodrilli non è una di quelle cose …”. Ma soprattutto il più grande fattore che avrebbe inficiato tutta quell’operazione era che essa si basava sull’assunto che gli ugandesi si sarebbero mantenuti neutrali, mentre ora Peres sapeva che non sarebbe stato così e che non sarebbe bastato solo liberare gli ostaggi, ma ci sarebbe stato anche bisogno di difendersi dagli ugandesi per poi ripartire subito da Entebbe: necessitavano gli aerei. Quel pomeriggio il ministro della difesa Peres chiamò Adam e Peled e chiese direttamente a loro come valutavano l’eventualità di un atterraggio a Entebbe con gli Hercules. Entrambi, sia Peled che Adam risposero che credevano in quell’idea anche se ancora era tutta da valutare. Peres parve essere della stessa opinione e ordinò a Peled e Adam di mettersi a studiare anche la dimensione della forza d’attacco ideale che si sarebbe potuto trasportare in Uganda e poi riportare a casa con gli ostaggi. Nello stesso pomeriggio, Shomron era con Oren e Biran alla Scuola di Stato Maggiore dell’IDF. I tre si misero a studiare anche loro le varie opportunità. Shomron pensava a un’operazione di paracadutisti in grande stile, con un contingente non solo in grado di prendere e tenere l’aeroporto, ma anche di resistere alla risposta delle forze ugandesi. Il tenente colonnello Biran ricorda: “Restammo seduti più di due ore e definimmo un concetto operativo, un’idea. Non la chiamerei proprio un piano. Il nocciolo sembrava essere questo. Gli aerei sarebbero atterrati a una certa distanza dall’old terminal. Una forza d’assalto sarebbe sbarcata dagli aerei e sarebbe andata al vecchio terminal liberando gli ostaggi. Gli altri aerei di rinforzo avrebbero preso terra solo dopo l’inizio dell’assalto all’old terminal, per non dare al nemico la possibilità di allertarsi troppo presto e di far fallire l’attacco. Una seconda forza una volta atterrata avrebbe conquistato il new terminal, perché da lì si dominava l’aeroporto, mentre una terza forza avrebbe formato un perimetro difensivo tutto attorno e tra i due terminals”. Data la vastità dell’aeroporto, ci sarebbero voluti dei veicoli per spostarsi in tempi ragionevoli da un punto all’altro, inoltre Shomron e i suoi pensarono anche a dei blindati di supporto e rinforzo e presero anche in seria considerazione la possibilità, come qualcuno dell’Aviazione gli aveva detto, di rifornire gli Hercules con il carburante dei normali serbatoi civili di Entebbe. Quella sera, Oren tornò al Kyria e andò alle Operazioni da Tamari a sottoporgli l’idea che avevano avuto Shomron, Biran e lui stesso. Tamari non disse né si né no, ma gli ordinò di svilupparla meglio perché gli sembrava vaga e voleva che fosse rielaborata per poi riesaminarla. La cosa restava molto incerta e indefinita e sarebbe rimasta tale fino al giorno dopo, quando iniziò davvero la pianificazione dettagliata. Il piano di un atterraggio “morbido” a Entebbe quindi iniziò a prendere forma, ma ancora oggi non esiste in realtà accordo tra le varie fonti sul dove e sul chi fu il primo a proporlo e a svilupparlo. E’ ancora tutto coperto dal segreto militare. Molti anni dopo, il generale Motta Gur dirà: “E’ come un Rashomon dalle mille porte: in cui nessuno potrà mai giungere alla verità ultima. Ci sono almeno cinque persone che rivendicano la paternità di quel piano, ciascuna con la propria versione della storia e in ultima analisi non mi interessa proprio. Ciò che conta è che alla fine la cosa prese corpo”. E’ comunque chiaro che ci furono molte idee diverse tra lunedì 28 e giovedì primo luglio. E’ anche chiaro che la proposta di atterrare a Entebbe con gli Hercules si precisò nella serata e nella notte di mercoledì, nell’incontro condotto da Shomron alla Scuola Militare. I transfughi Nella serata di mercoledì, quale gesto di magnanimità, l’autoprofessantesi “Grande Patrocinatore” della causa degli ostaggi, Idi Amin, liberò di sua iniziativa 47 passeggeri del volo 139; tutti non ebrei e non israeliani, ma quasi tutti francesi e quasi tutti donne, vecchi e bambini. Essi arrivarono con un volo di linea a Orly, a Parigi, dove il ministro degli esteri francese Sauvagnargues andò ad accoglierli insieme con le famiglie che li attendevano all’aeroporto. Appena la cosa si seppe al Kyria, una missione dell’intelligence militare capitanata dal tenente colonnello Amiram Levine si recò immediatamente a Parigi per parlare con gli ostaggi liberati. Levine dovette muoversi con estrema cautela, perché non doveva per nessun motivo farsi vedere dal consigliere dell’antiterrorismo Zeevi, che Rabin aveva già mandato in Francia per coordinarsi con i francesi durante i negoziati con i dirottatori. Se Zeevi avesse visto Levine infatti, avrebbe capito subito che i militari stavano preparando qualcosa e questo avrebbe potuto compromettere le sue qualità di giudizio nei negoziati. Se i terroristi avessero subodorato qualche mutamento negli schemi di Zeevi, avrebbero potuto sterminare gli ostaggi. Quella sera e per tutta la notte su giovedì gli ostaggi furono intervistati dai servizi francesi, accanto ai quali c’era sempre anche un uomo di Levine. In questo modo si ottennero cruciali informazioni fresche su tutta la questione. I passeggeri liberati purtroppo confermarono definitivamente i timori di Peres: gli ugandesi appoggiavano attivamente i terroristi e collaboravano con loro. E li avrebbero difesi se necessario. I passeggeri raccontarono della “room of separation” cui avevano assistito: la separazione degli israeliani e degli ebrei da tutti gli altri e raccontarono anche del comandante Baccos e dell’equipaggio francese che si erano voluti unire agli ebrei. Erano stati tutti visti per l’ultima volta nella hall piccola dell’old terminal. Dissero che solo un membro dell’equipaggio Air France non aveva potuto unirsi agli ebrei: si trattava del membro più giovane, un assistente di volo diciottenne. Baccos in persona, in qualità di comandante, gli aveva impedito di seguirlo a causa della sua giovane età e l’aveva rimandato in dietro. Almeno un passeggero non israeliano era stato poi visto nel tentativo di seguire volontariamente Baccos dagli ebrei, ma tutti erano stati respinti in malo modo dagli ugandesi. Particolarmente utile si rivelò il racconto di un passeggero che era un ex ufficiale delle Forze Armate Francesi, il quale si era subito sforzato di tenere a memoria tutto quello che vedeva e sentiva a Entebbe e che poteva essere utile dal punto di vista militare: quanti terroristi, quanti ugandesi c’erano sul campo, l’aspetto, le armi, la routine giornaliera, il comportamento, dove erano trattenuti gli ostaggi, com’era fatto dentro l’old terminal e molte altre cose che si rivelarono di incalcolabile valore.
  4. Hobo

    IL MIO NOME E' JONATHAN.

    Grazie. Da quello che ho letto, dicono semplicemente che Israele captò la cesssazione delle comunicazioni e il cambiamento di rotta del volo 139, quindi è possibile che i voli in partenza da Israele siano seguiti e monitorati in volo, ma di più non dicono. Alcuni lati della storia mi sembrano volutamente lasciati sul vago, probabilmente per motivi di sicurezza. Per cui Israele non ne parlla, nè ne parlerà mai credo. Il dictat Martedì 29 giugno 1976. L’attività diplomatica pareva a un punto morto, soprattutto perché i terroristi ancora tacevano. Il primo ministro Rabin e il ministro degli esteri Yigal Allon si stavano dando da fare per convincere la Francia di Giscard D’Estaing e di Chirac ad assumere un ruolo di primo piano nelle trattative: l’A-300 dirottato infatti era dell’Air France e la maggioranza dei passeggeri non erano israeliani. Il governo israeliano era ormai impegnato a tutto campo, quando quel pomeriggio i terroristi si fecero vivi per la prima volta. Fouad Awad emise un comunicato, diramato dalla radio ugandese, nel quale elencava le sue richieste. In sostanza, Awad pretendeva la liberazione di 53 terroristi detenuti in 5 paesi. Gente come il giapponese Kozo Okamoto della Japanese Red Army, che aveva ucciso a sangue freddo 24 persone all’aeroporto di Lod nel 1972 e diversi altri. Di questi criminali, 40 erano detenuti in Israele, 6 in Germania Ovest, 5 in Kenya, uno in Svizzera e uno in Francia. I terroristi rilasciati avrebbero dovuto essere condotti a Kampala con aerei forniti dai vari paesi in cui erano stati detenuti. I 40 criminali detenuti in Israele avrebbero dovuto essere condotti in Uganda con un aereo Air France. Da lì, lo stesso aereo avrebbe trasportato i dirottatori e i loro amici al sicuro in una località mediorientale a loro favorevole. Infine, l’Air France avrebbe dovuto sborsare alla causa del PFLP 5 milioni di dollari americani (di allora) per riavere in dietro l’A-300 dirottato. La “deadline”, il termine ultimo per soddisfare queste richieste sarebbero state le 14:00 di giovedì primo luglio. Udite le richieste, il primo ministro di Israele Yitzhak Rabin alzò il telefono e chiamò Mordechai Gur, il capo di stato maggiore dell’IDF e lo convocò per una riunione serale con i più alti vertici politici del paese. Gur capì subito il perché di quella convocazione: il Capo dello Stato voleva da lui un giudizio riguardo alla fattibilità dell’opzione militare. Siccome Gur si stava recando a un’esercitazione quando Rabin l’aveva mandato a chiamare, ordinò al suo aiutante di campo, tenente colonnello Hagai Regev di chiamare subito il Kyria. Regev era in auto sulla strada per Gerusalemme, si fermò subito al primo telefono pubblico che trovò e da lì chiamò il comandante del Reparto Operazioni presso il Kyria, il maggior generale Yekutiel “Kuti” Adam e gli passò l’ordine di Gur: cominciare a pianificare una soluzione di forza. La riunione della sera con Rabin si era risolta con un nulla di fatto, ma erano emerse comunque almeno due cose importanti. In sostanza, gli ostaggi erano in mano ai terroristi a 2.200 miglia di distanza da Tel Aviv, in un paese ostile e dominato da uno spietato e volubile monarca: Idi Amin Dada. Inoltre, le richieste dei dirottatori avevano una nota stridente: i terroristi da rilasciare non si trovavano tutti in Israele, ma in cinque paesi diversi. Questo significava che in 48 ore si sarebbero dovute mettere d’accordo cinque nazioni differenti: una cosa quanto meno improbabile e questo i terroristi non potevano ignorarlo. Comunque la si rigirasse quindi, il risultato appariva sempre lo stesso: stavano preparando una strage. Per questo Rabin aveva chiamato Gur, perché il primo ministro di Israele vedeva sempre più chiaramente che se non ci fosse stata la possibilità di risolvere la cosa militarmente, questa volta Israele avrebbe dovuto chinare il capo davanti alle richieste dei terroristi, creando un pericoloso precedente. La Baia dei Porci Sapendo di doversi recare da Rabin e poi dal ministro della difesa Shimon Peres al Kyria, Gur si consultò subito con il comandante dell’Aeronautica, Benny Peled. Peled, prima di rispondere a Gur, chiamò Shani al 131° Squadron e discusse con lui di navigazione fino a Entebbe e di autonomia del C-130H con carichi differenti, poi si recò al briefing con Gur. Dopo essersi confrontato con Shani, Peled si era fatto un forte sostenitore dell’intervento aerotrasportato e di un atterraggio “morbido” a Entebbe, cioè senza la copertura di aerei da combattimento. Numerosi fattori erano ancora lontani dall’essere risolti, ma Peled disse chiaro a Gur che l’Aviazione era in grado di atterrare a Entebbe e di trasportarci una forza di 1.200 uomini completamente equipaggiati. L’aeronautica ugandese non era una preoccupazione dal punto di vista Di Peled, anche se ancora rimanevano aperti molti problemi, come quello del rifornimento di carburante una volta ripartiti dall’Uganda. Nonostante l’entusiasmo dimostrato da Peled, Gur rimase assai scettico e lo disse, quando riferì al ministro della difesa le parole di Peled, che era presente. Shimon Peres, ministro della difesa, a quel punto domandò direttamente a Peled che cosa aveva da proporre e rimase stupito dalla sicurezza dei modi di Peled, il quale rispose: “Voi che cosa desiderate? La conquista di Entebbe o di tutto il paese? Per conquistare tutto il paese mi ci vogliono 1.200 uomini, per controllare Entebbe me ne bastano due o trecento”. Shimon Peres rimase favorevolmente impressionato dall’aggressività del suo comandante dell’Aeronautica, ma i dubbi restavano. Il generale Kuti Adam invece disse che la proposta di Peled andava attentamente studiata. Frattanto anche gli uomini di Adam, Ehud Barak in testa, lavoravano sodo. Si erano riuniti in una stanza del Reparto Operativo del Kyria. Tutti avevano inviato un rappresentante: intelligence, Marina, Aeronautica. Nell’arco della nottata arrivarono anche i rappresentanti dell’Esercito e dei Paracadutisti: il tenente colonnello Haim Oren insieme con il suo ufficiale alle informazioni, il tenente colonnello Amnon Biran. Oren e Biran lavoravano per il maggior generale Shomron, che non era potuto presentarsi. La mancanza di informazioni certe restava il problema principale. A un certo punto arrivò il maggiore Iddo Embar dell’aeronautica con la guida Jeppesen dell’aeroporto di Entebbe sotto il braccio. La guida venne aperta sul tavolo insieme a una mappa di Kampala e tutti si chinarono sopra le carte. La guida Jeppesen era penosamente insufficiente, eppure dava vitali informazioni sull’aeroporto di Entebbe. Una delle proposte più promettenti secondo Ehud Barak era un’operazione combinata tra forze speciali. Secondo questo schema di massima, gli uomini dell’Unità (Sayeret Matkal) avrebbero dovuto lanciarsi sul lago Vittoria, per poi avvicinarsi a riva con degli Zodiac gonfiabili. Quelli della Marina proposero invece un attacco operato da incursori che avrebbero raggiunto Entebbe dal lago Vittoria dopo aver affittato un battello a Kampala. Oren dell’Esercito e Paracadutisti propose un aviolancio su larga scala sopra Entebbe per impadronirsi dell’aeroporto. Muki Betser pensò invece a un aereo civile da mandare dicendo che avrebbe trasportato i terroristi rilasciati secondo le richieste, solo che in questo caso i “terroristi” sarebbero stati gli uomini dell’Unità travestiti da prigionieri. Come si vede erano tutte proposte generiche, basate sulle scarse informazioni di cui si disponeva. Non si era certi neanche del fatto che gli ostaggi fossero ancora in aeroporto. Almeno due di questi piani erano basati sull’assunto che gli ugandesi sarebbero rimasti a guardare, mentre il piano di Betser venne giudicato troppo rischioso. All’alba di mercoledì, ci si orientò verso l’assalto aereo e marittimo dal lago Vittoria e Betser telefonò all’Unità dicendo di mettere su un’esercitazione anfibia con paracadute, gommoni e nuotatori che sapessero nuotare per un miglio in mezzo a una palude infernale infestata di serpenti letali e coccodrilli. Nel frattempo ci aveva pensato Yitzhak Rabin a scartare una dopo l’altra tutte queste proposte. Il primo ministro disse che: “Sarebbero state la Baia dei Porci d’Israele”. La cosa importante che era venuta davvero fuori era però la mancanza di informazioni: le forze armate stavano girando a vuoto. Il Mossad fece la sua entrata in scena... L’Entebbe Hilton Appena atterrato nella notte sulla main runway di Entebbe, l’A-300 era stato fatto avanzare fino all’estremità nord della pista, per poi girare a destra su un raccordo laterale e su una pista obliqua che portava alla vecchia area dell’aeroporto e all’old terminal. Qui l’aereo era stato fatto arrestare a motori accesi. Gli ugandesi avevano puntato sull’A-300 dei potenti riflettori da segnalazione illuminando a giorno la scena, avevano circondato l’aereo con un cordone di soldati regolari armati di tutto punto, poi avevano fatto scendere tutti i passeggeri, sospingendoli come pecore all’interno del vicino terminal abbandonato. Una volta scesi tutti i passeggeri e tutto l’equipaggio (257 persone in tutto), al comandante Baccos era stato intimato di spostare il grande velivolo, avanzando sulla pista obliqua fino a immettersi su un raccordo nella parte orientale dell’aeroporto che portava alla vicina pista militare ugandese, lì Baccos ricevette ordine di fermarsi, spegnere i motori e raggiungere tutti gli altri all’old terminal. L’old terminal era un complesso composto da una palazzina a un piano posta subito a nord di un grande piazzale di parcheggio per i velivoli di linea. A ovest c’erano la grande torre di controllo abbandonata e la dogana che comunicava con il terminal, mentre ad est c’erano i vecchi alloggi dei vigili del fuoco. Per ironia della sorte, l’old terminal e il new terminal di Entebbe erano stati costruiti anche grazie a denaro e mano d’opera israeliana, all’epoca in cui Israele era in buoni rapporti con l’Uganda. All’epoca del dirottamento però l’old terminal era ormai in disuso da anni. Si presentava come un complesso abbandonato a sé stesso e infestato dagli insetti, soprattutto da una particolare specie infestante di pappataci portatori di malaria e di tifo petecchiale. Scesi ormai esausti dall’aereo, dopo ore ed ore di immobilità obbligata, sotto il continuo torrente di minacce e insulti che usciva dalla bocca della Kuhlmann, i passeggeri completamente frastornati vennero ammassati come bestiame nelle due hall dell’old terminal. Gli ugandesi accesero un vecchio gruppo elettrogeno lì vicino, così gli ostaggi poterono vedere per la prima volta il loro nuovo alloggio. Il pavimento era ingombro di detriti e rifiuti di ogni sorta. Topi, scarafaggi e ragni grossi come il pugno di un uomo erano dappertutto. Per fortuna non erano letali, ma il loro morso impediva il sonno e lasciava un doloroso arrossamento. La notte, stranamente, all’interno dell’old terminal faceva freddo, mentre durante il giorno gli ostaggi avrebbero scoperto che la temperatura si sarebbe fatta torrida e l’aria irrespirabile. I materassi ammassati a terra dagli ugandesi si rivelarono pieni di pulci e quindi si preferì buttarli e dormire per terra sopra qualche straccio lurido. Ma la cosa peggiore erano i servizi igienici: in pratica non esistevano. Dopo poche volte che i passeggeri li ebbero utilizzati essi si otturarono definitivamente e smisero di funzionare, per cui i rifiuti biologici si accumularono, aumentando il puzzo e gli insetti e compromettendo seriamente le già misere condizioni igieniche. Fu chiaro a tutti che non si prevedeva una loro lunga permanenza in quel posto. I terroristi si installarono vicino agli ostaggi, nella vecchia sala vip del terminal, dove trovarono acqua, cibo, armi, letti veri e lenzuola vere. Gli ugandesi invece, con gli effettivi di circa una compagnia, si stabilirono al primo piano del complesso che un tempo aveva ospitato un grande ristorante. Sara Davidson racconta: “I terroristi sembravano molto sicuri di sé. Parvero rilassarsi insieme ai loro amici. Arrivarono persino a scherzare con noi. Ci sentivamo come un topolino nelle zampe di un gatto”. Idi Amin Dada Nel corso del pomeriggio di lunedì 28, all’old terminal aveva fatto la sua comparsa in pompa magna il corteo presidenziale del capo di stato ugandese. Erano arrivati in elicottero, con il dittatore risplendente nella sua alta uniforme piena di medaglie e decorazioni da lui stesso ideata. Sul petto incredibilmente portava anche le ali di paracadutista israeliano, sebbene non avesse mai fatto un lancio in vita sua. Idi Amin si presentò accompagnato dal figlio di otto anni, vestito con un’uniforme simile alla sua. Gli ostaggi videro un uomo dall'aspetto imponente e circondato da dignitari e guardie del corpo. Avvicinò i passeggeri del volo Air France con fare apparentemente gioviale, esclamando: “Shalom! Shalom!”, ma appena uno dei passeggeri gli rivolse la parola chiamandolo “Mr. President”, l’umore di Idi Amin cambiò di colpo. Un testimone disse che Idi Amin sembrò esplodere dalla rabbia, poi sibilò a un suo lacchè che avrebbe dovuto dire ai passeggeri che da ora in poi si sarebbero dovuti rivolgere a lui come: “His Excellency, Field Marshal, Doctor Idi Amin Dada”. Subito dopo parve aver riacquistato il controllo e si rivolse direttamente ai passeggeri del volo 139, dicendo che era dispiaciuto per la situazione creatasi e che solo Israele poteva risolvere la cosa, accondiscendendo alle richieste dei dirottatori. Aggiunse inoltre che i passeggeri potevano essere certi che lui avrebbe interceduto presso i dirottatori per ottenere un loro pronto rilascio. Quella sera, i tentativi dell’ambasciatore francese in Uganda, Pierre Renard, di negoziare con i terroristi caddero nel vuoto. Selektzia Il giorno seguente, il 29, dopo una notte insonne i passeggeri vissero un'altra giornata di apprensione. Il calore tropicale e l’umidità all’interno della costruzione crebbero mano a mano che il disco del sole saliva sopra l’orizzonte e ben pochi tra gli ostaggi avevano il coraggio e l’energia di fare qualcosa di diverso dallo stare seduti a terra fissando il vuoto. Tutti grondavano sudore. I pochi che ancora avevano voglia di parlare discorrevano riguardo alla situazione, il tema ricorrente era quanto tempo sarebbero stati trattenuti contro la loro volontà. Quelli tra loro che si erano addormentati sui materassi gettati sul pavimento dai soldati non avevano chiuso occhio tutta la notte perseguitati dai morsi degli insetti e si svegliarono pieni di prurito e di pomfi violacei. Se ci si voleva spostare o andare al bagno bisognava chiedere il permesso. I terroristi avevano fatto un mucchio con i passaporti sopra un tavolo nella piccola hall e ora qualcuno li esaminava uno ad uno mentre altri dirottatori oziavano nelle vicinanze del terminal, sdraiati all’ombra di ombrelloni o allungati su amache che dondolavano pigramente nell’afa. Sara Davidson teneva un piccolo diario per non perdere la testa. Quella mattina ci scrisse: “Un aereo verrà presto a liberarci, ogni cosa andrà a posto e torneremo alle nostre famiglie”. Gli escrementi fuoriuscirono ben presto dai bagni che divennero inutilizzabili. Il fetore era nauseabondo. Nel pomeriggio si fece rivedere Idi Amin con il suo seguito. Gli ostaggi, oramai esausti fisicamente e psichicamente, andavano in contro a emozioni contrastanti. Qualcuno addirittura applaudì all’arrivo del dittatore, un altro passeggero invece disse che Idi Amin gli ricordava Hitler e, come si vide poi, purtroppo non aveva tutti i torti. All’improvviso verso sera arrivarono i soldati ugandesi e con un martello pneumatico presero ad allargare il passaggio tra hall grande e hall piccola. Alle 19:10 secondo il diario di Moshe Peretz, studente di medicina, Brigitte Kuhlmann prese a separare gli ostaggi di religione ebraica dagli altri, mandando gli ebrei nella piccola hall. Per chi era sopravvissuto ai campi di sterminio, questa era una visione orrenda e significò rivivere un incubo, reso poi incredibilmente più realistico dal fatto che la Kuhlmann era tedesca. Nessuno sapeva cosa i terroristi avrebbero fatto alle persone nella piccola hall: era forse giunta la fine? Fu il panico. Gli ugandesi dovettero usare il calcio dei Kalashnikov per mantenere una parvenza d’ordine in quella follia. I soldati ugandesi presero a ridere e a schernire gli ostaggi terrorizzati, presero una trave, la inchiodarono al muro ai due lati dell’apertura che avevano allargato tra le due hall e obbligarono tutti gli ebrei (indipendentemente dal sesso e dall’età) ad ammassarsi nella hall piccola passando sotto quella trave, così che dovevano chinarsi per entrare. Lo spettacolo pareva divertire moltissimo soldati e dirottatori. Un sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti per poco non morì di paura nel sentire l’accento tedesco della Kuhlmann mentre gli ordinava di separarsi dagli altri e di passare sotto la trave: “Mi parve di essere ritornato di colpo in dietro di 32 anni. Sentii gli ordini in tedesco, vidi le armi puntate. Mi ricordai della lunga fila di prigionieri e il grido - Gli ebrei a destra! - e mi chiesi com’era possibile che succedesse ancora”. Quel sopravvissuto ricordò all’improvviso ciò che non bisognerebbe mai ricordare. La parola oscena con cui nel mostruoso gergo del lager le SS chiamavano la selezione di quelli che dovevano andare a morire nella camera a gas: Selektzia. La selezione dell’olocausto. L’uomo non capì più nulla, non sapeva dove andava e forse non gli importava più. Lo afferrarono e lo scagliarono sotto la trave e nella piccola hall. Nel vedere quella scena inguardabile, il comandante Baccos riunì l’equipaggio Air France e disse che, per quanto lo riguardava, era dovere di ogni comandante restare con i passeggeri fino all’ultimo, per cui lui sarebbe rimasto con gli ebrei. Tutti i componenti dell’equipaggio, comprese le giovani hostess, seguirono il comandante sotto la trave e nella piccola hall. All'inteno c’erano trovarono 106 persone. Fonti: "Entebbe. The most daring raid of Israel's Special Forces". Simon Dunstan. "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni". Iddo Netanyahu.
  5. Hobo

    IL MIO NOME E' JONATHAN.

    L’aereo era decollato da pochi minuti. Tutto sembrava andare per il verso giusto, quando in prima classe la signorina Ortega si alzò di scatto dal suo sedile come spinta da una molla. La graziosa hostess francese fece per rimetterla al suo posto, ma quello che vide la lasciò senza fiato. La Ortega era irriconoscibile. L’espressione del suo volto appariva spaventosamente sconvolta, le pupille dilatate, la bocca spalancata. In una mano le era comparsa dal nulla una pistola nera, nell’altra una palla verde. Urlò qualcosa in una lingua che poteva essere tedesco. Dietro di lei si alzò anche il suo amico. Garcia appariva molto diverso dalla Ortega. L’uomo sembrava freddo e concentrato. Anche lui aveva una pistola e una granata. Esibì chiaramente a tutti le sue armi, poi si girò dirigendosi verso la cabina di pilotaggio. Non disse nulla. Una donna iniziò a urlare. Domenica, 27 giugno 1976; le 12:27 ora locale. A bordo del volo Air France 139, decollato da Ellinikon da sette minuti, il comandante Michel Baccos, un pilota con 21 anni di esperienza, sente della grida provenire dalla prima classe. Baccos pensa a un incendio a bordo, lascia i comandi al copilota e si alza per andare a vedere che succede. Appena il tecnico di volo Jacques Le Moine gli apre la porta del cockpit, Baccos si trova faccia a faccia con la canna di una pistola. L’uomo armato lo fa girare e senza dire una parola gli punta l’arma alla nuca e lo sospinge in dietro, verso i comandi dell’aereo. Baccos capisce all’istante e si rimette ai comandi dell’aereo mentre l’intruso continua a puntargli la pistola alla nuca. Nessuno fiata. Era il primo dirottamento nella storia dell'Air France. Subito dopo, una voce femminile dall’accento tedesco esce dagli altoparlanti dell’APAS (aircraft public address system). Una voce orribile a detta dei francesi, carica di odio e arrochita dall’eccitazione. La voce comunica a tutti che da quel momento l’aereo è sotto il controllo del Gruppo “Che Guevara” e dell’Unità “Gaza” appartenente al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Il volo Air France 139, un A-300B4-2C, marche F-BVGG, era diretto da Tel Aviv a Parigi via Atene. L’aereo era decollato da Lod alle 08:59 con 228 persone a bordo ed era atterrato ad Ellinikon alle 11:30. Ad Atene, erano scesi 38 passeggeri e ne erano saliti 56, tra essi c’erano anche la signorina Ortega, Mister Garcia e due arabi, tali Fahim al-Satti e Hosni Albou Waiki. Ad Atene, le misure di sicurezza non erano molto rigide. Il metal detector non era sorvegliato e l’ufficiale che controllava il bagaglio a mano dei passeggeri con la macchina a Raggi X era distratto. La signorina Ortega e il signor Garcia, che viaggiavano con passaporti sudamericani, in realtà rispondevano ai nomi di Brigitte Kuhlmann e Wilfried Bose, due cittadini tedeschi occidentali, facenti parte dei Nuclei Armati Rivoluzionari di Guerriglia Urbana. Wilfried Bose era uno stretto collaboratore di Ilich Ramirez Sanchez, universalmente conosciuto come Carlos, the Jackal. Quel giorno però Bose non lavorava per Carlos, ma per Wadia Haddad, socio fondatore dei gruppi operazioni “speciali” del PFLP (Popular Front for the Liberation of Palestine – Special Operation Group). La Kuhlmann era la compagna di Bose. Anche Fahim al-Satti e Hosni Albou Waiki non erano chi dicevano di essere. In realtà si trattava rispettivamente di Fayez Abdul Rahim Jaber, cofondatore del PFLP-SOG e di Jayel Naji al-Arjam, delegato alle relazioni pubbliche del PFLP-SOG. A bordo del volo Air France 139, Wilfried Bose si piazzò dai piloti, la Kuhlmann si impadronì della prima classe, mentre Jayel Naji al-Arjam e Rahim Jaber controllavano la economy. Bose in cabina avvertì l’equipaggio Air France di avere una certa dimestichezza con il volo e con i comandi degli aerei di linea e che quindi non avrebbe tollerato scherzi da parte dei piloti. Subito dopo ordinò di uscire di rotta e di mettere la prua su Bengasi, in Libia. A bordo dell’A-300 intanto, delle sacche, presumibilmente piene d’esplosivo, vennero collocate in prossimità delle uscite e tra le file di sedili. Un passeggero francese provò ad affrontare verbalmente i terroristi. Lo presero e lo riempirono di pugni e calci finchè non svenne. Uzi Davidson viaggiava alla volta degli Stati Uniti con la moglie Sarah e i figli Ron e Benny. Uzi era un navigatore riservista dell’aeronautica militare israeliana e portava il suo ID militare attaccato sul petto, sopra il taschino destro. Lo strappò e lo ingoiò un attimo prima che i terroristi arrivassero da lui. Tutti i passeggeri vennero perquisiti alla ricerca di armi, mentre i loro passaporti vennero requisiti e il personale Air France venne obbligato a fornire la lista dei passeggeri. A bordo c’erano 246 persone. Appena l’A-300 uscì di rotta e cessò le comunicazioni, ad Atene scattò l’allarme. La cessazione delle comunicazioni da parte del Volo 139 venne rilevata anche dai sistemi di monitoraggio elettronico israeliani: il primo ministro di Israele, Yitzhak Rabin venne subito informato. Alle 13:27, a Tel Aviv, il telefono squillò sottoterra, nel quartier generale della IDF presso la Kyria Military Base, il pentagono israeliano. Il Sayeret Matkal (conosciuto anche come “The Unit”) venne messo sul massimo stato d’allerta, nell’eventualità che il volo 139 fosse stato dirottato e fosse diretto a Lod. Il primo ministro Rabin formò subito un team d’emergenza con i più importanti ministri e con il capo di stato maggiore dell’IDF Mordechai “Motta” Gur. I timori degli israeliani trovarono conferma quando l’aereo dirottato si diresse in Libia. Alle 14:58, il volo 139 atterrò a Bengasi. L’A-300 Air France venne fatto parcheggiare in un’area remota dell’aeroporto dove si fermò sotto il sole cocente e venne rifornito con 42 tonnellate di carburante. A bordo, mentre il calore diventava insopportabile, la passeggera Patricia Martel si decise a praticarsi in qualche modo dei tagli abbastanza profondi. Con il sangue che fuoriuscì, la Martel finse di essere incinta e di avere una minaccia d’aborto. La passeggera recitò talmente bene la sua parte che i terroristi la lasciarono andare e venne ricoverata in ospedale a Bengasi per poi essere inviata a Parigi con un volo Libyan Airlines. Dopo quasi sette ore di sosta in Libia, il volo 139 decollò da Bengasi alle 21:50. Con l’arrivo della notte divenne evidente che l’A-300 Air France non si dirigeva verso il Medio Oriente, ma faceva rotta a sud, verso il cuore dell’Africa. Fonti: "Entebbe, the most daring Raid of Israel's Special Forces". Simon Dunstan. "Entebbe 1976. L'ultima battaglia di Yoni". Iddo Netanyahu.
  6. Hobo

    Osiraq

    Su Ploesti da quello che so io ci andarono i B-24 che erano bombardieri stategici. Riguardo agli scontri con i Mig-25 iracheni avevo un libricino inglese che non ho più, ma i più incredibili duelli con questi aerei si svolsero nella stratosfera con gli F-14 iraniani durante la guerra Iran-Iraq. Se ve piace l'azione vi accontento, l'unca cosa è che non c'ho più tempo da perdere al computer.
  7. Cubana Civil (Aviacion Civil) Antonov-2 uno degli aerei più belli del mondo (e uno dei biplani più grandi che ci siano in circolazione). Ce n'era uno tutto verde smeraldo vicino casa mia. Una tempesta estiva gli ha danneggiato le ali. La cabina però, anche se c'ha una visibilità ottima, non è tanto larga, diciamo come un'utilitaria:
  8. Nella fredda mattina del 10 febbraio 1910, un telegramma del Comandate in Capo della Flotta della Manica manda in subbuglio l’equipaggio della nuovissima nave da battaglia Dreadnought: ordine di prepararsi a ricevere a bordo niente meno che Sua Maestà l’Imperatore di Abissinia, il quale ha cortesemente espresso il desiderio di visitare la più moderna corazzata della Royal Navy! In un attimo la nave viene preparata a ricevere la visita dell’augusta personalità. All’ora stabilita infatti, appare sulla banchina un’alta figura barbuta, dall’aspetto imperioso e attorniata da uno stuolo di dignitari di corte dalle magnifiche vesti orientali e circondato di interpreti. Dopo aver solennemente ispezionato la guardia d’onore della nave, l’Imperatore sale a bordo e viene accompagnato a visitare tutti i compartimenti, mentre ufficiali di bordo e interpreti si fanno in quattro per spiegargli il funzionamento dei vari apparati. Sua Maestà appare ammirata dalla vista della grande corazzata e ascolta con attenzione tutto ciò che gli interpreti gli riferiscono. A fine visita, l’Imperatore di Abissinia tiene un breve discorso di ringraziamento nella sua lingua natale, poi, dopo i saluti di rito, tutta la comitiva scende a terra, ma non prima di aver a più riprese tentato di offrire a tutti gli ufficiali presenti l’Ordine di Cavaliere d’Abissinia, che però viene gentilmente, ma fermamente, rifiutato. La visita si è risolta in un completo successo, se non fosse per il fatto che il giorno dopo, su tutti i maggiori giornali di Londra appare l’atroce verità: una cricca di intellettuali buontemponi, tra cui figura anche la scrittrice Virginia Woolf, si è divertita alle spalle della Royal Navy, per dimostrare quanto fosse piena di falle la sorveglianza a bordo delle navi britanniche. Virginia Woolf aveva vestito abiti maschili, indossato turbante e una finta barba e aveva fatto l’”interprete” dell’Imperatore d’Abissinia, parlando un misto di greco e latino storpiati, conditi di un po’ di Swahili. Nella foto ricordo, la Woolf è “il” primo da sinistra, turbante bianco e barba: - Colpire un bersaglio in mare è come centrare con la pistola un ditale messo sul caminetto, al lato opposto della stanza, mentre si sta oscillando su una sedia a dondolo -. Come se non bastasse poi, in mare, attaccante e bersaglio sono in movimento l’uno rispetto all’altro su rotte differenti. Il tiro in mare era quindi totalmente affidato al caso, al colpo d’occhio di chi sparava e agli aggiustamenti via via attuati man mano che si guardava dove cadevano i colpi precedenti. Le cose non erano progredite di molto dai tempi di Nelson. Fino agli inizi del XX secolo erano queste le condizioni della guerra sui mari: circa la metà dei colpi sparati finiva in mare. Ancora a Tsushima, nel 1905, l’ammiraglio Togo, vincitore dei russi, calcolò che, per quel che riguardava i suoi massimi calibri, ogni 42 colpi centrati, altri 58 ne erano caduti in mare senza danno per il nemico. Significa che più del 50% dei proiettili andava perso inutilmente. Avvistato il nemico, l’ufficiale direttore del tiro saliva in coffa e non faceva che osservare dove cadevano le prime salve sparate a occhio (la Royal navy chiamava questo: “Go as you please” o “Vai dove ti pare”). Quando l’ufficiale vedeva che più o meno la metà dei colpi cadeva prima e l’altra metà cadeva dopo il bersaglio (in inglese: “Bracketing”, “Fare forcella”), allora significava che la distanza del nemico era stata azzeccata e incominciava a comunicare alle torri le dovute modifiche da apportare affinchè i colpi cominciassero a cadere sul bersaglio e continuassero a caderci anche man mano che le navi continuavano nella navigazione. Su una nave con cannoni di differenti calibri poi, uno o più ufficiali dovevano occuparsi contemporaneamente di comunicare le informazioni (differenti da calibro a calibro) alle diverse batterie, cercando di distinguere gli spruzzi dati dai vari tipi di cannoni presenti a bordo! Sebbene con la pratica molti ufficiali eccellessero in questa disciplina, è facile immaginare la percentuali di errori cui si poteva andare in contro e la confusione che poteva scatenarsi appena uno perdeva il filo, o si sbagliava nel comunicare i risultati dei suoi calcoli fatti a occhio. I vari paesi cercarono di porre rimedio a questo seguendo vie differenti, ma giungendo alle stesse conclusioni. Nel Regno Unito, un bel giorno, il capitano Perry Scott ebbe un’illuminazione. Durante un’esercitazione osservò che c’era un marinaio addetto a un pezzo da 120 mm che riusciva a tenere il suo cannone sempre puntato sul bersaglio nonostante la nave rollasse in modo molto accentuato. L’uomo ci riusciva agendo velocissimo, prima in un senso e poi nell’altro, sul volantino dell’elevazione del pezzo, controbilanciando i movimenti della nave. Da questa osservazione scaturì il metodo Scott per l’addestramento degli artiglieri. Scott costruì infatti una macchina (il “Dotter”) con funi, carrucole e catene, che simulava perfettamente i movimenti di un bersaglio in alto mare. La macchina veniva posta davanti al cannone e l’artigliere, con i volantini, doveva riuscire a tenere la canna sul bersaglio mentre quest’ultimo si muoveva. Quando pensava di aver mirato correttamente, l’artigliere sparava e dal cannone partiva una matita che andava a segnare il punto di impatto su un foglio di carta posto sulla macchina di Scott: i risultati furono miracolosi. Il sistema aveva però un grosso limite: era impossibile applicarlo agli enormi cannoni dei massimi calibri di corazzate e incrociatori (305; 343; 381 mm), in quanto era impossibile tenere questi cannoni in continuo e veloce movimento. Il problema venne risolto con l’adozione del Telemetro a coincidenza e del “Tavolo Dreyer” per il controllo del tiro. In sostanza il tavolo funzionava come un regolo meccanico molto complicato, che teneva conto di tutto, velocità dell’attaccante, vento, posizione e velocità stimata del bersaglio, distanza, umidità e temperatura dell’aria, derivazione del proiettile (che ruota su sé stesso e quindi devia impercettibilmente), tempo di volo previsto del proiettile (cioè dove si sarebbe trovato il bersaglio in movimento all’arrivo della salva), ecc... e in pochi secondi forniva i dati di elevazione, brandeggio della canna e velocità con cui mutava la distanza del bersaglio man mano che le rotte delle due navi divergevano o convergevano. L’adozione della corazzata monocalibra, con la semplificazione dei calibri a bordo, migliorò ulteriormente il tutto. In quanto i calibri per cui fare i calcoli erano solo uno, massimo due. Alla fine poi, affinchè ogni torre non dovesse farsi i propri calcoli da sola, si adottò il “Tiro di punteria generale” (1912), in cui i dati per il puntamento, provenienti dai telemetri e dal tavolo Dreyer (nella sala trasmissioni) affluivano tutti a una sola centrale corazzata di direzione del tiro, posta in cima all’albero militare o al torrione, dove un direttore del tiro li avrebbe immessi nel suo sistema di calcolo analogico-meccanico (apparecchio di punteria generale), insieme ai dati dell’elevazione e del brandeggio. I risultati apparivano poi “dedicati” torre per torre (torre A; B; C; D...) sotto forma di lancette colorate che si muovevano su quadranti. In questo modo il direttore del tiro comunicava i dati di elevazione e brandeggio da lui scelti per ciascuna torre e i cambiamenti da apportare man mano che la nave avanzava e il bersaglio si muoveva. In questo modo, otto o dieci enormi cannoni erano tutti puntati all’unisono sul bersaglio. Collana: “I Grandi Navigatori”; Volume: “Le Corazzate”; David Howarth; 1988.
  9. Sono stati "congelati" i beni direttamente intestati a persone, non a società, come le varie partecipazioni di Gheddafi & Soci a banche e a Finmeccanica per esempio. E inoltre congelando, o surgelando un bene non si fa alcun danno, dato che entrambe le cose sono metodi di conservazione e servono a mantenere le cose, non a portarle via. Significa che serve a far si che il proprietario non possa più vendere quel bene, ma quel bene resta suo anche se surgelato. Che senso avrebbe bombardare una casa piena di miei beni congelati? Riguardo agli Stati Uniti nell' XIX secolo non ne so un tubo, MA vorrei ricordare che America Centrale e Meridionale allora, anche se non c'erano ancora i sovietici, erano spagnole e portoghesi e quelle si che erano potenze imperialiste, quindi allora gli Stati Uniti si sgrugnavano con loro. Nessun governo è perfetto e nessun governo è più buono di un altro. Diciamo allora che io penso che preferisco i coglionazzi americani a qualche coglionazzo russo o cinese, o tartaro, o di chissà dove. Market - Garden per distruggere gli inglesi ? La Polonia invasa per colpa di Chamberlain ????? Gott im Himmel !!! Ma che è la primavera che avanza? Quando sento robe del genere io metto mano alla fondina della pistola.
  10. Hey! Anch'io voglio quello che ti fumi! Danne un po' anche a me! Ma vi pare che Gheddafi spara sull'Italia ? Proprio su di noi che non facciamo male a nessuno? Uno che da solo ha il 2,01 % di Finmeccanica (immagino la contentezza degli Americani!) e che ha partecipazioni in Eni, Unicredit, Banca Ubae, Fiat, Retelit, Olcese, Triestina calcio e Juventus football club e in Dio solo sa cos'altro ????? E questo qui dovrebbe spararci ? L'unico motivo che avrebbe di farlo è se gli congelano tutta sta roba, allora si che io m'incazzerei sul serio !
  11. A io non sono marinaio, ma da quel che so, la Birmark anche se colpita dalle corazzate inglesi, in realtà fu fregata dalla potenza navale inglese nel suo complesso, da cose come il radar, l'aereo e il siluro. Di conseguenza, fu fregata dalla portaerei. Se un siluro non le avesse piegato il timone, la Bismark potevano anche salutarla e quel siluro veniva da un aereo (Swordfish). Per non parlare della fine ingloriosa della Tirpitz, macellata dalle Tallboy dei Lancasters della RAF (manco della Royal Navy...). Le corazzate erano sopravvalutate da quasi vent'anni quando la Birmark colò a picco. Dal giorno degli anni venti in cui Billy Mitchell dimostrò che un affare di legno, alluminio e tela, pesante cinque tonnellate, poteva colare a picco una corazzata come la Ostfriesland che di tonnellate ne pesava 25.000 e che era considerata inaffondabile. Sulle prime gli risero in faccia, ma poi... La Germania (sia imperiale, che nazista) non aveva una vera dottrina navale oceanica. Da sempre, i suoi nemici sono stati Francia e Russia, quindi potenze di terra. Non a caso la Germania in buona sostanza non si occupò mai veramente di portaerei vere. mentre inglesi e americani cominciarono dalla prima guerra mondiale. Le monocalibre tedesche come le Helgoland e a seguire così come gli incrociatori da battaglia come il Derfflinger, ecc... erano il meglio del meglio in tutti i campi ed erano superiori tecnologicamente ai loro corrispettivi inglesi in tutto: caldaie, corazza, cannoni, meccanismi ottici di puntamento, cose in cui i tedeschi eccellevano (ed eccellono ancora se è per questo), MA erano tutte navi progettate con lo scopo di ottenere la supremazia marittima in un campo limitato e cioè il Mare del Nord. I loro scafi erano ottimi come piattaforme mobili per cannoni, eppure non erano all'altezza di quelli inglesi quando si trattava di uscire per davvero fuori e affrontare le onde dell'Atlantico, che riducevano la precisone del tiro tedesco, ma non del tiro inglese: le tedesche erano navi per una potenza navale locale, non globale. Ecco perchè, anche se la qualità di navi e spesso anche di equipaggi era superiore a quella britannica, il tutto in realtà non bastò (e meno male).
  12. Non erano Bismark e Tirpitz ad essere sopravvalutate secondo me era la corazzata in sè che era superata come idea. E poi la Germania non era una potenza navale, per il caporale Hitler lo Spazio Vitale non erano gli oceani, ma l'Asia. Si sbagliava.
  13. Be va bene, ma se non lo facevano loro, lo faceva l'Urss. La logica allora era più o meno questa. Imperialisti lo sono stati tutti quelli che se lo sono potuto permattere. I più intelligenti forse i britannici (come al solito): in genere le loro ex-colonie sono diventete paesi abbastanza sviluppati, se non addirittura potenze economiche.
  14. Grazie del post mo lo leggo. No, veramente entro certi limiti l'aereo enorme serve eccome, perchè caricando di più rende più economico il viaggio.
  15. Al contrario: la decolonizzazione è stata uno dei più grossi successi economici del secolo XX. Volete la libertà e l'indipendenza ? Ma eccovele! Le sapete USARE? NO? Peggio per voi, l'avete voluta ora ve la tenete. In compenso noi stringiamo accordi (paghiamo) con il vostro capopopolo di turno per avere le stesse risorse naturali di prima, ma a costi enormemente inferiori, dato che non vi manteniamo più. Bisogna stare attenti a quello che si vuole: lo si può ottenere. Riguardo a sigillare, come si sigilla una frontiera? E come si sigilla una frontiera di settemila chilometri?
  16. Da quello che so io è vero: i libici non sono insorti per fame, ma per voglia di libertà e soprattutto perchè hanno visto che in altri paesi vicini gli insorti ce l'hanno fatta e questo gli ha dato fiducia, la reazione di Gheddafi (da bravo dittatore ignorante, casomai ci fosse stato bisogno di conferme dopo 42 anni...) non ha fatto che soffiare sul fuoco. Il livello di vita in Libia era relativamente alto se commisurato ad altri paesi arabi e l'impennata del grano e dei generi primari è stata molto meno sensibile che in Algeria, Tunisia e Egitto. Questo mi è stato confermato da diversa gente. Tutto il casino arabo ha avuto una grossa spinta dall'osservazione che in paesi vicini chi si è ribellato c'è l'ha fatta. E' una cosa elementare questa, per noi, ma per loro lo è un po' meno. Gheddafi non sta distruggendo l'economia del suo paese, sta rendendo inutilizzabili i SUOI (suoi di lui, Muammar) pozzi di petrolio e il SUO gas, bombardando le tecnologie che servono ad estrarli affinchè non cadano in mani SECONDO LUI sbagliate, cioè in mano ai libici. E' la solita storia del pollo cornuto che uccide la sua ragazza la quale vuole piantarlo, per mettersi con un altro pollo: "Se non ti posso avere IO, nessuno ti avrà! Tiè!". E giù coltellate da matti. Questo è il livello del genere umano nell'anno del Signore 2011. Gheddafi non farà NULLA all'Italia, di cui è socio e azionista. Così come scommetto che l'Italia si guarderà bene dall'andare oltre le chiacchiere con Gheddafi (a meno che quest'ultimo non soffra all'improvviso di un provvidenziale "attacco di cuore" come Mubarak e sparisca per sempre dalla scena, come Ben Alì il tunisino).
  17. Per usare aerei come il Typhoon da una nave ci vuole il ponte angolato. Perchè tutti i ponti angolati sono a babordo? Non lo so. ma credo che abbia a che fare con il circuito standard del traffico in volo, che va percorso a 1.000 piedi di quota, sottovento alla pista (portaerei) e le cui virate sono tutte a sinistra fino al tratto finale e all'atterraggio (appontaggio). Tutta la Cavour è lunga due metri in meno del solo ponte angolato di una Nimitz. Non abbiamo badget e portaerei così grandi non ce possiamo permettere nè ci servirebbero. E' vero, ma in compenso le necessità di un velivolo da superiorità aerea sono suppergiù le stesse in tutto il mondo. Allora consideriamo la francese che ha un aereo paragonabile al Typhoon. Per il Rafale, la De Gaulle ha un ponte angolato sugli 8 gradi lungo 197 metri, lontano dall'isola e dagli ascensori che, come si può vedere, in una portaerei "vera" sono tenuti ai margini del ponte volo e NON al centro del ponte (e dello scafo) come su una portaelicotteri, questo per vari motivi. Riguardo al decollo di un Typhoon a pieno carico dalla Cavour non ne ho la più pallida idea. Ma non credo proprio che si possa usare un Typhoon sulla Cavour o una nave similare. Riguardo al far decollare aerei usando tutta la lunghezza del ponte di volo, in tempi moderni, io non l'ho mai sentito. Significherebbe sgombrare tutto e non poter usare nulla finchè l'ultimo aereo non è decollato. Questo succedeva nella seconda guerra mondiale 70 anni fà. Una nave come la LHA America, se la fanno così come appare ora (non la conoscevo), è una nave da 50.000 tonnellate a pieno carico e imbarca pure un reggimento rinforzato di Marines al completo (1000-1500 uomini, oltre la componente volante). La Cavour arriva a stento a 35000 a pieno carico, non è paragonabile. Equivale a paragonare due atleti, uno di 70 e uno di 100 Kg. E' la stessa differenza che c'è tra un pugile di 70 Kg e uno di 100. Nei professionisti, tra due tipi del genere ci sono non una, non due, non tre, ma 5 categorie di differenza (dai medi.Jr fino ai massimi).
  18. I limiti alle dimensioni di un aereo secondo me sono: Primo: il motore, cioè la potenza. La presenza a bordo di più motori, con l'aumento di resistenza ecc... deriva dal fatto molto semplice che un solo motore non basta, quindi ne sono necessari più di uno. Nessuno ne metterebbe 4 o 8 di motori se potesse metterne uno solo. Nessun aereo del mondo può prescindere dalle prestazioni del suo motore, senza il quale non vola. I grandi idro di un tempo derivano dal fatto che operare dall'acqua fa sì che non si abbia necessità di una pista, questo può essere utile per esempio in campo militare dove le piste sono bersagli (ma allora lo sono anche gli idroscali), ma la verità è anche che i grandi idro prosperarono in un'epoca in cui ancora non si conoscevano grandi motori abbastanza potenti da far decollare aerei così grandi da terra per cui ci voleva una corsa di decollo talmente lunga che era più economico farli operare sull'acqua. Secondo: carburante. Il carburante in realtà a bordo è un carico obbligatorio, ma NON pagante (anzi, io operatore del velivolo pago per comprarlo e imbarcarlo il carburante!) e che toglie spazio per altre cose (cioè passeggeri-merci). Il motore ideale sarebbe un motore con il massimo di potenza, ma con consumo zero, cioè che funzioni senza alcun carburante. Ovviamente è impossibile, però meno consuma un motore a parità di potenza erogata e meglio è e più vantaggioso sul piano economico mi diventa il trasporto perchè a parità di tutto io con un motore meno assetato carico meno carburante e più merci o passeggeri. Quindi un aereo in questo senso più carburante imbarca e peggio è, perchè si tiene a bordo un peso che non paga, ma che si paga per imbarcarlo e toglie spazio ai passeggeri/merci. Quindi un aereo molto grande oggi di quanti motori e di quante centinaia di tonnellate di cherosene avrebbe bisogno? Uno dei motivi della messa a terra dei Concorde fu proprio questo: il costo e la quantità di carburante di cui avevano bisogno in rapporto al numero di passeggeri trasportato. Sotto questo punto di vista allora mi hanno sempre affascinato i grandi dirigibili. Quanto si potrebbe trasportare su un grande, enorme dirigibile, che tra l'altro non necessita nemmeno di piste, ma solo di pilone di ancoraggio? (E magari con propulsione più o meno "pulita"?). Non a caso lo chiamano nave del cielo: PS. L' An-225 è un po' a sè stante e il ruolo di cargo è venuto dopo. In realtà serviva per il Buran e per trasportare gli enormi componenti del razzo "Energhia". E ce n'erano almeno due di An-225. Il secondo, ancora incompleto, è stato cannibalizzato nei pezzi di ricambio e nei motori per completare il primo, subito dopo il crollo dell'URSS e la secessione dell'Ucraina dalla Russia.
  19. Tra il dire e il fare... Torniamo in topic, Cubana de Aviacion Il-76, notare la putenza del carrello (come su tutti gli Il-76): Godersi questi qua se non avete già visto: Toccata di prua, no problem:
  20. Se il mondo si "occidentalizza" tutto, io parto volontario per Marte, soprattutto se mi tocca un ufficio di 6 mq. Pensare che tutto il mondo debba essere come noi può essere cosa pericolosa: il mondo è bello perchè è vario e la biodiversità è uno dei presupposti alla vita su un pianeta. Se seleziono un solo tipo di grano, un solo tipo di pesce, un solo tipo di essere umano, appena Madre Natura mi introduce uno dei suoi soliti mutamenti, se quello che io ho selezionato non è più adatto, che ci tocca assistere all'estinzione della Vita? Tanti tipi di grano, di mele, di pesci e di esseri sono necessari e più si è (e più si è diversi) e meglio è. Ma ve l'immaginate un mondo tutto "occidentalizzato" ? Dove tutti fanno le stesse cose, nello stesso modo e pensano e dicono le stesse cose? Mò con sta Libia perchè se le danno ecc... E basta... E' successo dal Marocco al Bahrein e all'Iran e pare che che c'è solo Gheddafi che si rifiuta di andarsenene e non ammette di aver fatto uno sbaglio? Ma sapete quanti ce ne sono di Gheddafi in giro? Lasciamoli "esprimersi" come sanno e vogliono fare, se proprio è necessario andiamo con l'ONU e la NATO come in ex-Jugoslavia, ma percarità basta con sta storia che noi siamo perfetti-buoni e giusti e che portiamo la luce nelle tenebre perchè non è così.
  21. Hobo

    Hammerhead

    Corrisponde alla scampanata:
  22. La mela viene lasciata ad appassire sul suo ramo. Non c'è bisogno d'altro. Fanno fatica ad avere anche il carburante per far mantenere ai piloti le ore di volo minime, senza le quali la loro prontezza non è più considerata sufficiente. Negli anni ottanta la DAAFAR era considerata la forza aerea meglio addestrata ed equipaggiata di tutta l'america latina, oggi credo proprio che siamo arrivati al capolinea. La revolucion non ha avuto un gran successo. Se Castro volesse essere veramente rivoluzionario fino in fondo dovrebbe ammetterlo e cercare di preparare Cuba al botto, perchè sennò potremmo assistere di nuovo allo spettacolo tragicomico di un paese che cerca di rialzarsi dopo il crollo di un regime comunista (i russi ci hanno messo vent'anni e solo per iniziare a riprendersi...).
  23. Uno dei miei preferiti. Fu il primo monomotore a getto operativo nella RAF e di sicuro il primo aereo a getto operativo per moltissime forze armate dalla Norvegia all'Iraq. Da quel che dicono pilotarlo era un piacere. Il Vampire era molto maneggevole, robusto e si godeva di un'ottima visibilità (i piloti venivano dai caccia a elica). Lo chiamavano "Crab", o "Spidercrab" per il suo aspetto a doppia coda e il carrello basso. La versione da addestramento aveva i due posti affiancati. Fu anche secondo alcune fonti il primo monomotore a getto ad appontare su una portaerei, la HMS Ocean (tanto per cambiare), ma in realtà la Royal Navy lo usò soprattutto come addestratore avanzato per i piloti di marina, per mandarli poi sul Supermarine Attacker. Cruscotto del Vampire: Parecchio tempo fà lessi in una raccolta un racconto di fantasia di Frederick Forsyth: "Il Pilota", che si svolge tutto in una notte a bordo di un Vampire. I tedeschi all' insaputa degli inglesi stavano sviluppando un aereo gemello, anche se non risulta alcun legame con il Vampire, perchè Kurt Tank pare che partì dal buon FW-189 Uhu (Gufo). L'intenzione era costruire un intercettore guidato da terra (GCI), il risultato fu il Focke Wulf Flitzer progetto-4, propulso da un turboreattore Heinkel He-011 da 1.325 Kg di spinta statica (13 kN). FW-189 Uhu: FW progetto 4 "Flitzer": http://www.luft46.com/fw/fwflitz.html
  24. Su-27 della Forza Aerea Eritrea (ERAF) sulla pista di Asmara (2009):
  25. Ma se bisogna fare tutto sto casino con le no fly zone magari in estate (in estate?), allora non è meglio buttare la maschera? Il buon vecchio ultimatum non delude mai: "Muammar e dai esci da quel buco". "Se esci, ti portiamo noi fino a Strasburgo, dove qualche giudice famelico non vede l'ora di fare quattro chiacchiere con te". "Se non vieni fuori non perdo neanche tempo a spiegarti che succede, questa ti dice niente?".
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