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windicator

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  1. Secondo me Israele è impegnatissimo a cercare di sopravvivere, quindi il suo potenziale nucleare è esclusivamente di tipo deterrente, quindi non credo proprio che la comunità internazionale debba sentirsi minacciata dalle atomiche israeliane. A oggi. E anche per il prevedibile prossimo futuro. Ma questa è una valutazione esclusivamente politica. Il mio discorso è invece di carattere prettamente giuridico, e lo pongo su un livello eticamente ben superiore a quello politico. Con la politica si può arrivare a giustificare qualsiasi cosa (vedasi l'Olocausto, o il genocidio in atto in Tibet), ed è con giustificazioni di carattere politico che gli Stati Uniti hanno compiuto un atto assolutamente illegittimo quale è stato l'attacco all'Irak e la distruzione del regime di Saddam Hussein. No, grazie.
  2. La situazione iraniana è sicuramente equivoca, almeno in prospettiva. La tecnologia per l'arricchimento di uranio a livello "reactor grade" non è certamente la stessa che serve per l'arricchimento "weapon grade", ma ottenuta la prima è in linea di principio possibile arrivare alla seconda. Fra l'altro, l'Iran sta sviluppando vettori balistici di portata sempre maggiore (anche se di credibilità operativa tutta da discutere). Però qui il punto è se questo stato di cose sia sufficiente per innescare reazioni concrete da parte dell'ONU. Finora a me non sembra che dal punto di vista del diritto internazionale ve ne siano i presupposti, e in ogni caso non può essere messo in discussione il principio secondo il quale l'Iran ha tutto il diritto di costruirsi le sue centrali da elettrogenerazione nucleare nel numero che gli parrà opportuno. La tesi della diplomazia americana, invece, è che l'Iran non dovrebbe fare nemmeno quello, così noi potremmo dormire sonni tranquilli...
  3. Fra cui l'Iran. Il che vuol dire che anche per l'Iran (piaccia o no a George Bush jr) vale il principio del rispetto del diritto all'integrità e alla sovranità nazionale fino a quando non sia l'ONU stessa ad autorizzare misure di qualsiasi tipo che ne possano ledere i suddetti diritti. Secondo te la frase "fanno apertamente pensare" ha un qualsivoglia valore giuridico? Qui non stiamo parlando di valutazioni politiche: qui stiamo parlando dell'esistenza o meno di PROVE, ovvero di quegli incontrovertibili presupposti giuridici necessari perché l'ONU possa autorizzare sanzioni politico/economiche o misure alternative di tipo militare nei confronti di uno Stato sovrano. Sono d'accordo con te. I trattati vanno rispettati. Ma le violazioni ai trattati vanno accertate, non presunte per motivi di comodo. Altrimenti ci troviamo nell'ambito della politica (...delle cannoniere) e non nell'ambito del diritto internazionale. Io mi riferivo a Israele, che non ha mai aderito al TNP e che ha sviluppato tecnologia e armi nucleari, senza provocare alcuna reazione preoccupata in Occidente.E' naturale che, se una nazione non aderisce al TNP, nessuno può formalmente contestarle di aver sviluppato armi nucleari. Ma un pizzicuccio di preoccupazione, almeno?
  4. Che io sappia, non esiste alcuna regola imposta dalla "comunità internazionale" (a proposito, cosa si dovrebbe intendere per "comunità internazionale"?) che impedisca ad una nazione di creare energia elettrica per il suo uso interno nella maniera e con le tecnologie che più le aggradano. Potrei sapere, quindi, per quale motivo e secondo quali presupposti giuridici non è mai stato applicato lo stesso severo metro di valutazione ad altre nazioni mediorientali che la tecnologia nucleare l'hanno utilizzata per dotarsi di armamento atomico senza che nessuno, in Occidente, si sia mai sognato di protestare? Se invece ti riferisci al TNP entrato in vigore il 5 marzo 1970, posso far osservare che allo stato attuale non vi è ancora alcuna prova che le attività iraniane (paese che ha aderito al TNP) nel campo nucleare siano finalizzate a scopi bellici? EDIT: aggiungo, ad ogni buon fine, il testo integrale del TNP firmato e ratificato dall'Iran. Trattato di non proliferazione nucleare Conchiuso a Londra, Mosca e Washington il 1° luglio 1968 Gli Stati firmatari di questo Trattato, d’ora in poi chiamati «Parti» del Trattato, considerando la catastrofe che investirebbe tutta l’umanità nel caso di un conflitto nucleare e la conseguente necessità di compiere ogni sforzo per stornarne il pericolo e di prendere le misure atte a garantire la sicurezza dei popoli; ritenendo che la proliferazione delle armi nucleari accrescerebbe seriamente il pericolo di conflitto nucleare; attenendosi alle risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che auspicano la conclusione di un accordo per prevenire l’ulteriore disseminazione delle armi nucleari; impegnandosi a collaborare nel facilitare l’applicazione delle garanzie dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica nel campo dell’utilizzazione dell’energia nucleare a scopi pacifici; esprimendo il loro appoggio alla ricerca, allo sviluppo e agli altri sforzi per promuovere l’applicazione, nel quadro del sistema di garanzie dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, del principio di un efficace controllo del flusso delle materie prime e dei materiali fissili speciali mediante l’impiego di strumenti e di altre tecniche in determinati punti strategici; affermando il principio secondo cui i benefici dell’applicazione pacifica della tecnologia nucleare, compresi i derivati di ogni genere, che le Potenze nucleari possono ricavare dallo sviluppo di congegni nucleari esplosivi, devono essere resi accessibili per scopi pacifici a tutte le Parti, siano esse o meno militarmente nucleari; convinti che, nell’applicare questo principio, tutte le Parti hanno il diritto di partecipare allo scambio quanto possibile ampio di informazioni scientifiche e di contribuire, sia unilateralmente sia in cooperazione con altri Stati, all’ulteriore sviluppo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare; dichiarando la loro intenzione di porre termine, il più presto possibile, alla corsa agli armamenti nucleari e di prendere misure efficaci sulla via del disarmo nucleare; sollecitando la cooperazione di tutti gli Stati nel perseguimento di questo obiettivo; ricordando che le Parti del Trattato del 1963 sull’interdizione degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio e sott’acqua, hanno espresso, nel preambolo di Traduzione Fa fede il testo della Gazzetta Ufficiale detto atto, la loro decisione di cercare d’assicurare l’arresto definitivo di tutte le esplosioni sperimentali delle armi nucleari nonché di continuare i negoziati a questo fine; desiderando promuovere la distensione internazionale ed il rafforzamento della fiducia tra gli Stati allo scopo di facilitare l’arresto della produzione di armi nucleari, la liquidazione di tutte le riserve esistenti e l’eliminazione delle armi nucleari, coi loro vettori, dagli arsenali nazionali mediante un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale; richiamando che, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite, gli Stati devono astenersi, nelle loro relazioni internazionali, dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza, sia volgendola contro l’integrità territoriale o contro l’indipendenza politica di ognuno, sia in ogni altra forma incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite, e che è necessario promuovere l’instaurazione ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali destinando agli armamenti la minore quantità possibile delle risorse umane ed economiche mondiali, hanno concordato quanto segue: Art. I Ciascuno degli Stati militarmente nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non trasferire a chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non assistere, né incoraggiare, né spingere in alcun modo uno Stato militarmente non nucleare a produrre o altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi o congegni esplosivi. Art. II Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non produrre né altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, e a non chiedere né ricevere aiuto per la fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni nucleari esplosivi. Art. III 1. Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna ad accettare le garanzie fissate in un accordo da negoziare e concludere con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, conformemente allo Statuto della medesima ed al suo sistema di garanzie, al solo scopo di accertare l’adempimento degli impegni assunti sulla base del presente Trattato per impedire la diversione di energia nucleare dall’impiego pacifico alla produzione di armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi. Le modalità d’applicazione delle garanzie richieste dovranno essere seguite per le materie prime e i materiali fissili speciali, sia che vengano prodotti, trattati o impiegati in un grande impianto nucleare, sia che esistano al di fuori di esso. Le garanzie richieste dal presente articolo saranno applicate ad ogni materia prima o materiale fissile speciale in tutte le attività nucleari pacifiche svolte nel territorio di uno Stato, sotto la sua giurisdizione, o intraprese, sotto il suo controllo, in qualsiasi luogo. 2. Ogni Parte si impegna a non fornire: a) materie prime o materiali fissili speciali, o b) strumenti o materiali appositamente progettati o preparati per la lavorazione, l’impiego o la produzione di materiali fissili speciali, a qualsiasi Stato militarmente non nucleare che intenda servirsene per scopi pacifici, qualora tali materie prime o materiali fissili speciali non siano soggetti alle garanzie richieste dal presente articolo. 3. Le garanzie contemplate nel presente articolo vanno applicate in modo conforme all’articolo IV del presente Trattato e non devono ostacolare lo sviluppo economico e tecnologico delle Parti o la cooperazione internazionale nel campo delle attività nucleari pacifiche, soprattutto gli scambi internazionali di materiali nucleari e di attrezzature per la lavorazione, l’impiego o la produzione di materiale nucleare per scopi pacifici, giusta le disposizioni del presente articolo e il principio di garanzia enunciato nel Preambolo. 4. Gli Stati militarmente non nucleari, che siano Parti del Trattato, concluderanno, in ottemperanza alle esigenze del presente articolo, sia individualmente sia congiuntamente con altri Stati, accordi con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica in conformità con lo Statuto della medesima. I negoziati per tali accordi avranno inizio entro 180 giorni dall’entrata in vigore del presente Trattato. Per gli Stati che depositeranno i loro strumenti di ratificazione o d’adesione dopo detto periodo, i negoziati avranno inizio appena essi depositeranno detti strumenti di ratificazione o di adesione. Tali accordi dovranno entrare in vigore non più tardi di 18 mesi dall’avvio dei negoziati. Art. IV 1. Nessuna disposizione del presente Trattato deve essere considerata come pregiudizievole per il diritto inalienabile delle Parti di promuovere la ricerca, la produzione e l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare, senza discriminazione e conformemente alle disposizioni degli articoli I e II qui innanzi. 2. Tutte le Parti si impegnano a facilitare lo scambio più intenso possibile di attrezzature, materiali ed informazioni scientifiche e tecnologiche, per l’uso pacifico dell’energia nucleare, ed hanno diritto a partecipare a tale scambio. Le Parti, in condizioni di farlo, debbono anche collaborare contribuendo, sia individualmente sia assieme ad altri Stati od organizzazioni internazionali, all’ulteriore sviluppo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare soprattutto nei territori degli Stati non nucleari, che siano Parti del Trattato, tenendo debitamente conto delle necessità delle regioni in via di sviluppo. Art. V Ciascuna Parte si impegna ad adottare misure atte ad assicurare che, conformemente al presente Trattato, sotto adeguato controllo internazionale e mediante idonee procedure internazionali, i vantaggi potenziali derivanti da qualsiasi impiego pacifico delle esplosioni nucleari siano resi accessibili alle Parti militarmente non nucleari, su base non discriminatoria, e che i costi addebitati a queste Parti per i congegni esplosivi impiegati vengano tenuti quanto possibile bassi e siano escluse le spese per la ricerca e la messa a punto. Le Parti militarmente non nucleari potranno ottenere tali vantaggi in base ad uno o più accordi internazionali particolari, oppure tramite un idoneo organismo internazionale, con adeguata rappresentanza degli Stati non nucleari. Negoziati in tal senso avranno inizio il più presto possibile dopo l’entrata in vigore del Trattato. Le Parti militarmente non nucleari potranno anche, se lo desiderano, ottenere tali vantaggi mediante accordi bilaterali. Art. VI Ciascuna Parte si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale. Art. VII Nessuna clausola del presente Trattato pregiudica il diritto di qualsiasi gruppo di Stati a concludere accordi regionali al fine di assicurare l’assenza totale di armi nucleari nei loro rispettivi territori. Art. VIII 1. Qualsiasi Parte può proporre emendamenti al presente Trattato. Il testo di ogni progetto di emendamento sarà sottoposto ai governi depositari i quali dovranno portarlo a conoscenza di tutte le Parti. Qualora un terzo almeno delle medesime lo richiedesse, i governi depositari convocheranno una conferenza cui saranno invitate tutte le Parti per studiare tale emendamento. 2. Ogni emendamento al presente Trattato dovrà essere approvato dalla maggioranza delle Parti, comprese quelle militarmente nucleari nonché quelle che, al momento della presentazione dell’emendamento, siano membri del Consiglio dei Governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. L’emendamento entrerà in vigore, per ogni Parte che avrà depositato il relativo strumento di ratificazione, non appena risulterà depositata la maggioranza di tali strumenti, compresi quelli delle Parti militarmente nucleari e di quelle che, al momento della presentazione dell’emendamento, siano membri del Consiglio dei Governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Per ciascuna altra Parte l’emendamento entrerà in vigore all’atto del deposito dello strumento di ratificazione dell’emendamento. Fa fede il testo della Gazzetta Ufficiale 3. Cinque anni dopo l’entrata in vigore del presente Trattato, avrà luogo a Ginevra (Svizzera) una conferenza delle Parti per esaminare il funzionamento del Trattato al fine di accertare se le finalità del suo Preambolo e le sue disposizioni si stiano realizzando. Successivamente, ogni cinque anni, una maggioranza delle Parti potrà ottenere, presentando all’uopo una proposta ai governi depositari, la convocazione di altre conferenze aventi lo stesso obiettivo, cioè l’esame del funzionamento del Trattato. Art. IX 1. Il presente Trattato è aperto alla firma di tutti gli Stati. Qualsiasi Stato che non abbia sottoscritto il presente Trattato prima della sua entrata in vigore, conformemente al paragrafo 3 del presente articolo, potrà accedervi in ogni momento. 2. Il presente Trattato sarà sottoposto alla ratificazione degli Stati firmatari. Gli strumenti di ratificazione e di adesione saranno depositati presso i governi dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli Stati Uniti d’America, che sono qui designati come governi depositari. 3. Il presente Trattato entrerà in vigore non appena sarà stato ratificato dagli Stati i cui governi sono designati come depositari e da quaranta altri Stati firmatari del presente Trattato e dopo il deposito dei loro strumenti di ratificazione. In questo Trattato viene definito «militarmente nucleare» uno Stato che ha fabbricato e fatto esplodere un’arma nucleare o un altro congegno esplosivo innanzi il 1° gennaio 1967. 4. Per quegli Stati che depositeranno i loro strumenti di ratificazione o d’adesione dopo l’entrata in vigore del presente Trattato, questo entrerà in vigore alla data in cui verranno depositati gli strumenti di ratificazione o d’adesione. 5. I governi depositari informeranno prontamente tutti gli Stati, che avranno sottoscritto il presente Trattato o vi avranno aderito, sulla data di ciascuna firma, di ciascun deposito di strumento di ratificazione o d’adesione, sulla data dell’entrata in vigore del presente Trattato, nonché sulla data di ricevimento di ogni richiesta di convocazione di una conferenza o di ogni altra comunicazione. 6. Il presente Trattato sarà registrato da parte dei governi depositari conformemente all’Articolo 102 della Carta delle Nazioni Unite. Art. X 1. Ciascuna Parte, nell’esercizio della propria sovranità nazionale, avrà il diritto di recedere dal Trattato qualora ritenga che circostanze straordinarie, connesse ai fini di questo Trattato, abbiano compromesso gli interessi supremi del suo paese. Essa dovrà informare del proprio recesso tutte le altre Parti ed il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con tre mesi di anticipo. Tale comunicazione dovrà specificare le circostanze straordinarie che la Parte interessata considera pregiudizievoli ai suoi interessi supremi. 2. Venticinque anni dopo l’entrata in vigore del Trattato, sarà convocata una conferenza la quale deciderà se il Trattato può restare in vigore a tempo indeterminato, Fa fede il testo della Gazzetta Ufficiale oppure se potrà essere rinnovato per uno o più periodi di tempo di durata stabilita. Questa decisione sarà adottata alla maggioranza delle Parti. Art. XI Il presente Trattato, i cui testi in inglese, russo, francese, spagnolo e cinese fanno ugualmente fede, sarà depositato negli archivi dei governi depositari. Copie conformi debitamente autenticate del presente Trattato saranno consegnate dai governi depositari ai governi degli altri Stati firmatari e aderenti. In fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati all’uopo, hanno firmato il presente Trattato.
  5. Le dottrine relative alla conduzione delle operazioni di OP da parte delle forze dell'ordine italiane per quanto riguarda le manifestazioni di massa sono adeguate alla bisogna, e non v'è la necessità di inventarsi proprio nulla. Gli operatori hanno già tutto quel che serve: scudo, manganello, casco, maschera antigas, protezioni individuali e artifizi lacrimogeni. Per la cronaca, è corrente di pensiero molto diffusa fra le FF. OO. specializzate nella gestione dell'OP, che anche l'arma da fuoco non sia di alcuna utilità, in quel contesto. Ne farebbero volentieri a meno. Purtroppo il porto della pistola è obbligatorio sempre, per un poliziotto o un carabiniere in servizio. Quello che conta veramente, in ultima analisi, è un corretto spiegamento delle forze in campo, e un utilizzo di esse fatto con intelligenza e ragionevolezza. A Genova questo non però è successo. Vi sono stati gravi errori dovuti alla confusione creata dalla mancanza di una vera e propria catena di comando UNICA per Carabinieri e Polizia di Stato (è il caso di ricordare che secondo la legge sono unicamente il Questore e - in primis - il Prefetto che assumono il comando di TUTTE le forze in campo, quali che esse siano: Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Municipale, vigilanza privata, ecc...). Per quanto riguarda il caso Giuliani, è evidente che Placanica non può essere incolpato di nulla: sottoposto a uno stress improvviso e fortissimo, in una situazione di grave pericolo per la sua incolumità fisica (e se qualcuno avesse buttato una molotov dentro la camionetta?), già provato psicologicamente per una situazione che NON era addestrato a fronteggiare, l'utilizzo dell'arma deve essere considerato assolutamente legittimo. E' chiaro che, se per ipotesi al suo posto ci fosse stato un elemento del Tuscania, ben difficilmente si sarebbe fatto prendere dal panico e, se proprio avesse estratto l'arma e fatto fuoco, è ragionevole pensare che oggi Giuliani sarebbe ancora vivo (magari con un ginocchio reso definitivamente inservibile da un cal. 9...). Ma questo è un altro discorso, e la responsabilità - eventualmente - andrebbe fatta ricadere su chi ha mandato un elemento della Territoriale, inesperto e impreparato, in quella specie di bolgia.
  6. Giusto. Comunque una costante della dottrina cattolica è l'ecumenismo, e la Chiesa continua pur sempre a parlare a tutte le coscienze. E' in questo senso che ritengo vada inquadrato il cristianesimo dal punto di vista dell'eticità dei suoi valori.
  7. Antropologicamente, la più grande tragedia nella storia dell'umanità è cominciata ben prima, ovvero nel momento stesso in cui le comunità preistoriche hanno cominciato ad affrontare il problema della scarsità delle risorse. Il progresso sociale non è altro, in ultima analisi, che l'insieme dei processi di ordine politico, sociale e culturale che hanno come obiettivo un accesso alle risorse che sia il più equo possibile. Ebbene, se ripercorriamo il cammino della storia umana, possiamo individuare diversi tentativi di raggiungere questo obiettivo. Il cristianesimo, per esempio, ha nella sua dottrina l'amore per il prossimo come valore primario, il che vuol dire anche solidarietà e generosità. Le società democratiche sono nate anch'esse con l'obiettivo di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell'essere umano: salute, lavoro, eguaglianza. Il modello sociale comunista non fa altro che proporre una ricetta diversa per raggiungere gli stessi obiettivi del cristianesimo e delle democrazie. Da questo punto di vista, quindi, ciascuno dei tre sistemi che ho citato (il cristianesimo, la democrazia, il comunismo) deve essere accettato come portatore di valori eticamente positivi. La stessa cosa, invece, NON può dirsi del nazismo, che con la giustizia sociale non ha mai avuto nulla a che fare nemmeno se lasciamo da parte gli orrori che ha comportato e ci limitiamo a guardarne soltanto le fondamenta ideologiche. Ciò premesso (doverosamente), ritengo altrettanto doveroso osservare che né il cristianesimo, né la democrazia, né il comunismo sono riusciti nell'impresa. Nel nome di "Dio lo vuole" sono state compiute porcherie immani, e i princìpi religiosi sono stati utilizzati perlopiù come strumento di potere e di controllo delle masse da parte di un'oligarchia dominante, e tutto questo senza alcuno scrupolo e senza il benché minimo pudore. Nel nome della democrazia si è data mano libera al mercato più selvaggio, con la conseguenza che la scarsità di risorse non è stata considerata come una malattia da curare ma come l'elemento fondamentale della società basata sul consumismo: oggi il 20% scarso (cioè noi società occidentale) della popolazione mondiale consuma un 70% abbondante delle risorse del pianeta, lasciando la restante maggioritaria parte dell'umanità con un pugno di riso (o più spesso, di mosche). Nel nome del comunismo, infine, si sono creati unicamente sistemi di potere che dal punto di vista del rispetto dei diritti umani fondamentali nulla hanno da invidiare alle peggiori dittature di stampo nazifascista, e tutto ciò senza riuscire minimamente a risolvere il problema dell'equa redistribuzione delle risorse. Insomma, ne abbiamo ancora di strada da fare.
  8. Io invece avrei apprezzato se la giustizia militare statunitense avesse trattato i responsabili della strage del Cermis con maggiore severità. Comunque la giurisdizione nazionale è un meccanismo adottato in sede NATO e valido per tutti, non si tratta di favoritismi nei confronti degli americani: anche un militare italiano che si rendesse responsabile di un reato negli Stati Uniti verrebbe processato in Italia secondo il diritto italiano. Ciò detto, e al di là delle scemenze che certi organi di stampa hanno riportato riguardo l'inquinamento "nucleare" provocato dai sottomarini della US Navy, non si può non far notare che lo status giuridico della base americana della Maddalena (che NON è una base NATO) era molto ma molto discutibile: trattavasi di una concessione dai contorni poco chiari e mai ratificata a livello parlamentare.
  9. windicator

    Blue-water

    A onor del vero, è stato l'ONU a ritenerlo giusto. Per inciso, la differenza (direi sostanziale) fra il governo Berlusconi e quello Prodi consiste nel fatto che il primo ha deciso, in maniera del tutto illegittima sia dal punto di vista costituzionale sia dal punto di vista del diritto internazionale, di inviare un contingente militare in Irak al termine della seconda guerra del Golfo. Il secondo, invece, non si è concesso simili libertà: l'intervento italiano in Libano (che personalmente considero soltanto un inopportuno e velleitario spreco di denaro pubblico) è comunque stato condotto a seguito di risoluzioni ONU (la n. 1701 dell'11 agosto 2006 e successive).
  10. windicator

    Blue-water

    Ma io non ho detto questo (o meglio, non lo ha detto il CSM). Quello che mi pare assodato è il fatto che la MM non sia interessata ad acquisire una capacità di proiezione AUTONOMA di forza al di fuori del Mediterraneo in un eventuale scenario conflittuale ad alta intensità. Ne mancano completamente i presupposti politici, e non solo a causa dei pacifondai arcobalenisti ecc. ecc. Oltretutto, mancano proprio i soldi. Per intenderci, un'operazione "stile Falkland" o "stile Grenada" non è pensabile, perché noi non abbiamo territori oltremare da difendere o staterelli che rientrano nella nostra sfera di influenza e che ci potrebbe esser bisogno di "bacchettare". Esiste, invece, la prospettiva di utilizzo della MM in un contesto essenzialmente multinazionale, e l'ammodernamento della flotta rientra nel disegno politico/strategico che vede il tentativo dell'Italia di entrare a pieno titolo nel novero delle nazioni che contano (al Consiglio di Sicurezza dell'ONU o in altri ambiti). Disegno che mi sembra assolutamente velleitario, per tutta una serie di fattori di carattere principalmente economico. Non è possibile pretendere di entrare nelle stanze dei bottoni investendo nella Difesa l'1% scarso del PIL. Resta comunque assodato che la MM sarà in grado, con l'entrata in servizio della Cavour, dei caccia Orizzonte e delle FREMM, di contribuire ad una MNF in maniera molto più concreta di quanto potesse fare fino a poco tempo fa.
  11. Uhm... l'agilità è un concetto un po' troppo generico. Bisognerebbe specificare rispetto a quali parametri si fanno i confronti. I caccia russi di ultima generazione hanno dimostrato (nelle esibizioni) di poter compiere evoluzioni veramente straordinarie, ma poi bisogna vedere qual'è l'applicabilità di queste manovre al dogfight a distanza ravvicinata (mi pare che il confronto si faccia essenzialmente in questo contesto). Se parliamo di manovrabilità pura, del resto, dubito che vi sia un qualche aereo russo capace di fare quello che può fare un Harrier: frenare e volare all'indietro! Altro che Raptor e Flanker... Ma a queste capacità io continuo a preferire un sistema di lock-on dei missili IR asservito ai movimenti della testa del pilota.
  12. windicator

    Blue-water

    Il presupposto non è corretto. La Marina Militare italiana si sta trasformando in una forza ottimizzata per operare essenzialmente in un contesto integrato di proiezione di forza a livello multinazionale. Le uniche operazioni a livello esclusivamente nazionale che la odierna dottrina militare prevede per la MM sono limitate alla: "difesa degli interessi vitali del Paese contro ogni possibile aggressione, al fine di salvaguardare l’integrità del territorio nazionale – inteso come piattaforma terrestre, acque territoriali e spazio aereo – la sicurezza e l’integrità delle vie di comunicazione, la sicurezza delle aree di sovranità nazionale e dei connazionali all’estero, ovunque siano minacciati" il che vuol dire soprattutto interventi "stile Timor Est", ove gli obiettivi strategici sono di tipo essenzialmente diplomatico/umanitario e l'utilizzo della forza resta di bassissimo profilo. Gli altri compiti previsti per le Forze Armate, e in particolare per la MM sono: "salvaguardia degli spazi euro-atlantici, nel quadro degli interessi strategici e/o vitali del Paese, attraverso il contributo alla difesa collettiva della NATO" "contributo alla gestione delle crisi internazionali, mediante la partecipazione ad operazioni di prevenzione e gestione delle crisi, al fine di garantire la pace, la sicurezza, la stabilità e la legalità internazionale, nonché l’affermazione dei diritti fondamentali dell’uomo, nello spirito della Carta delle Nazioni Unite, nell’ambito di organizzazioni internazionali – in primis la NATO, l’UE e l’ONU - e/o di accordi bi-multilaterali, con particolare riguardo alla capacità autonoma europea di gestione delle crisi" ( fonte ufficiale SMD: "Il Concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa", pag. 15 ) Risulta evidente, quindi, che la MM non è interessata ad acquisire capacità autonome di proiezione di forza a largo raggio nel contesto di scenari politico/operativi che non ci competono e che non fanno parte del pensiero strategico italiano.
  13. windicator

    Blue-water

    Beh, quello fu un colpo veramente fortunato, in quanto la nave israeliana pare che si trovasse con radar e contromisure in stand-by. Difficile che possa capitare di nuovo.
  14. windicator

    Blue-water

    Nota: l'accoppiata Super-Etendard/Exocet non ha provocato la disfatta nella squadra navale inglese semplicemente perché gli argentini disponevano solo di 5 missili (con i quali hanno fatto 3 centri e 2 affondamenti). Se l'Exocet fosse stato disponibile in quantità adeguate, non oso immaginare quali ne sarebbero state le conseguenze sulle navi di sua maestà britannica, considerando quanto scarse fossero le loro potenzialità difensive nei confronti di tale minaccia. Ma è ragionevole supporre che gli inglesi fossero perfettamente informati via intelligence del fatto che l'Armada avesse una tale penuria di Exocet (la Francia ne aveva interrotto le forniture) e abbiano potuto regolarsi di conseguenza.
  15. Non c'è dubbio. Ma le 2 portaerei (e gli Harrier) hanno potuto continuare ad operare per un solo semplice motivo: gli argentini disponevano soltanto di 5 Exocet (dicasi 5 ) per i loro Super Etendard, e nonostante questo, hanno affondato un cacciatorpediniere, una nave portaconteiner che conteneva altri Harrier ed elicotteri, e (probabilmente) colpito una portaerei. Fanno 3 centri certi + 1 probabile su un totale di 5 missili lanciati. Una kill-ratio del 60% e oltre... E nel computo non ci metto la fregata colpita da un Exocet basato a terra. Non mi sembra assurdo, quindi, affermare che se i Super Etendard della Armada avessero avuto a disposizione Exocet "quanto basta", la Gran Bretagna non avrebbe più rivisto né le sue portaerei né le Falklands. Comunque, qui forse si è OT per cui invito chi fosse interessato a discutere la questione a parlarne qui: http://www.aereimilitari.org/forum/index.php?showtopic=6241
  16. La protezione di una squadra navale nei confronti della minaccia missilistica è uno dei fattori determinanti della moderna guerra marittima, soprattutto nell’ottica dello spostamento degli scenari operativi nelle “brown waters”, ove alla minaccia rappresentata dai vettori lanciabili dai sottomarini, dalle navi di superficie e dagli aerei basati a terra o imbarcati, si aggiunge quella rappresentata dalle postazioni costiere fisse e dai lanciatori mobili, questi ultimi, per loro natura, estremamente difficili da individuare. La letalità dei missili antinave, peraltro, è andata costantemente aumentando col passare del tempo, in funzione di diversi fattori: l’aumento del carico utile, che su determinati vettori (vedasi per esempio lo SS-N-22) garantisce “one shot-one kill” su navi non protette di qualsiasi dimensioni (petroliere, portacontainers, navi di linea, ecc.), una elevata probabilità di affondamento in caso di colpo andato a segno per le unità militari a livello di corvette/fregate/caccia, e alte probabilità di incapacitazione per le unità maggiori… tutto questo con un solo colpo a segno; in caso di più colpi a segno nemmeno le grandi CVN potrebbero mantenere l’operatività; la sempre maggiore efficienza ed affidabilità dei loro sistemi di homing, che si abbina ad un corrispondente aumento delle capacità ECCM; il netto miglioramento dei profili di volo e dell’agilità in fase terminale, che ne rende molto problematico l’abbattimento ad opera dei sistemi CIWS o missilistici per la difesa di punto. Oltre a tutto ciò, infine, non si deve dimenticare l’enorme asimmetricità dei costi operativi dei due sistemi d’arma: il missile è enormemente meno costoso della nave, il che vuol dire che il suo utilizzo è assolutamente pagante in termini economici in rapporto alla sua letalità; tranne le mine marine, infatti, non esiste alcun sistema d’arma che in proporzione sia capace di fare così tanti danni a un costo così’ basso. Le Marine Militari sono perfettamente consapevoli di questo stato di cose, e i loro sforzi sono rivolti proprio nel trovare una strategia operativa che consenta di ridurre il più possibile la minaccia dei missili antinave, posto che – ovviamente – tale minaccia non potrà mai essere annullata del tutto. Una vicenda che dimostra chiaramente quanto innanzi detto e che ha costituito elemento fondamentale per l’evoluzione della dottrina operativa marittima è stata senza dubbio la guerra delle Falklands, ove si vide l’utilizzo operativo del missile antinave Exocet da parte degli aerei d’attacco argentini; i Super Etendard basati a terra, agendo all’estremo limite del loro raggio d’azione servendosi di rifornimento in volo, lanciarono tutti i 5 missili Exocet di cui disponevano verso la flotta inglese e il risultato fu disastroso per la Royal Navy: in un attacco fu colpito il caccia Sheffield, provocando un grave incendio a bordo che comportò la perdita della nave alcuni giorni dopo; in un altro attacco, 2 Exocet colpirono e affondarono una nave da trasporto, la Atlantic Conveyor; secondo fonti argentine non confermate da parte britannica, l’ultimo Exocet a disposizione degli argentini riuscì alcuni giorni dopo a colpire la portaerei Hermes; in precedenza, da una postazione mobile basata a terra, un Exocet centrò la fregata Glamorgan danneggiandola gravemente. La “lesson learned” delle Falklands, di conseguenza, fu che una squadra navale non può operare in acque nemiche – soprattutto nelle vicinanze della costa - senza aver preventivamente neutralizzato la minaccia missilistica: e questo può avvenire – come hanno dimostrato chiaramente gli Stati Uniti nella prima guerra del Golfo – soltanto andando a cercare le postazioni di lancio e i depositi dei missili e distruggendole prima che la squadra navale possa arrivare nel raggio d’azione di questi sistemi. Tutto ciò, ovviamente, a condizione di poter disporre di un “braccio armato” più lungo di quello del nemico. Questo però non sempre succede: finora, infatti, solo gli Stati Uniti hanno dimostrato credibili capacità in tal senso, soprattutto grazie alla disponibilità e all’utilizzo dei missili Tomahawk, lanciati in gran quantità proprio nelle fasi iniziali del conflitto iracheno al fine di garantire alla Task Force aeronavale la possibilità di avvicinarsi il più possibile alle coste irachene. Lo scenario in cui ipoteticamente potrebbe venire chiamata ad operare una squadra navale di capacità più limitate (tipicamente, un Gruppo d’Altura italiano) presenta, di contro, una situazione in cui il vantaggio tattico sarebbe tutto dalla parte del nemico: l’impossibilità oggettiva di condurre (per scarsità di mezzi) operazioni ad ampio raggio di neutralizzazione preventiva delle postazioni missilistiche antinave comporterebbe la necessità di mantenersi fuori portata da queste armi, il che vorrebbe dire semplicemente… starsene a casa. Non esiste infatti ammiraglio o uomo politico che accetterebbe di esporre la sua costosissima (miliardi di euro) e insostituibile portaerei Cavour al rischio di venire affondata, in un attacco di saturazione, da uno solo fra tutti i missili SS-N-22 (per fare un esempio che va tanto di moda) che il cattivone “siriano” gli lancerebbe contro contemporaneamente.
  17. Certo. http://www.marina.difesa.it/editoria/rivis.../articolo01.asp In questo articolo, come ho già detto in precedenza, si analizzano i rischi connessi alla protezione dei gruppi d'altura nei confronti delle minacce missilistiche. E la situazione è tutt'altro che rosea.
  18. Per adesso sì. Salvo, naturalmente, nuovi ordinativi da parte di altri paesi.
  19. Una grande notizia! Fonte: http://www.eurofighter.com/news/20071205_Salam.asp Questo è un evento di importanza epocale nella storia dell'EF-2000, non soltanto dal punto di vista puramente commerciale (anche se di questi tempi un ordine per 72 - dicasi 72!!! - macchine è tutto grasso che cola ) ma anche perché non è ancora dato di sapere in quale configurazione verranno forniti i Typhoon all'Arabia Saudita. Vale appena la pena di ricordare che gli F-15S forniti all'Arabia dagli Stati Uniti tempo fa erano una versione pesantemente downgradata - su esplicita richiesta israeliana - dal punto di vista del software di gestione degli armamenti aria/aria e aria/terra, al fine di non permettere che tali aerei potessero mettere a repentaglio la sicurezza di Israele. Ora però l'Arabia Saudita potrebbe benissimo richiedere un Typhoon in configurazione "full", il che potrebbe significare un decisivo balzo in avanti nell'ingegnerizzazione sull'EF-2000 dei sistemi avionici e d'arma più aggiornati originariamente previsti ma poi "persi per strada".
  20. Mah, guarda... secondo te (ipotesi di fantapolitica, tanto per discutere) una Task Force guidata dalla Cavour con gli F-35B a pieno organico e comprendente anche la Garibaldi con gli AV-8B, le due Orizzonte e un paio di FREMM, secondo te sarebbe stata in grado di avvicinarsi indenne alle coste libanesi, se Israele (o anche la Siria) avesse deciso di opporsi con la forza alla missione ONU? Io penso che la stella di David (o la famiglia Assad) ne sarebbe sicuramente uscita con parecchie ossa rotte, ma Cavour e Garibaldi avrebbero avuto ottime probabilità di finire in fondo al mare, F-35 o non F-35. Ripeto: questo è il pensiero della Marina Militare, che probabilmente conta "qualcosina di più" delle mie opinioni.
  21. Ecco, è il momento di parlare un po' della marina. Le "nostre" portaerei sono la Garibaldi (prossima al pensionamento, che avverrà grosso modo fra una decina d'anni, in contemporanea con l'obsolescenza operativa degli AV-8B che imbarca) e la nuova Cavour, non ancora operativa. Lasciando da parte per amor di patria ogni commento sulla Garibaldi, diciamo che la Cavour dovrebbe diventare la "capital ship" della nostra marina e imbarcare un misto di EH-101 e F-35B STOVL. Bene, se guardiamo allo spazio disponibile: ( vedasi: http://www.marina.difesa.it/programmi/portaerei.asp ) ci accorgiamo che in configurazione "tutto caccia" gli hangar accettano non più di 8 F-35, più quelli che eventualmente si potrebbero parcheggiare sul ponte di volo (con tutte le limitazioni del caso dal punto di vista operativo). Se poi guardiamo alla versione B del JSF (quella scelta dalla MM), non possiamo non prendere atto che le sue potenzialità operative sono ridotte sia rispetto alla versione A che alla C. Vabbé, è comunque un salto avanti enorme rispetto all'AV-8B. Tutto questo, sulla carta. Nella realtà le cose stanno in maniera ben diversa: prima di tutto, per i soliti motivi di budget, la Cavour non verrà affiancata da una gemella (come invece si era pensato inizialmente di fare), il che vuol dire che: 1. 18-20 F-35B (non uno di più!) acquistati semplicemente off-the-shelf e con compensazioni industriali pari al 100% dell'investimento (come è costume ormai generalizzato), bastano e avanzano per "armare" la Cavour; 2. tutti gli investimenti nel programma Cavour devono essere considerati come pura beneficienza (leggasi: "soldi buttati"), in quanto la nave (e i suoi costosissimi F-35B) non potrà ovviamente garantire una disponibilità operativa continua (ogni tanto si va in porto e pure in bacino, sapete...), e nel momento in cui fosse chiamata ad operare potrebbe farlo soltanto integrata in un Gruppo d'Altura esclusivamente dedicato alla sua protezione, in quanto essa rappresenterebbe in qualsiasi scenario ad alta intensità un obiettivo di primaria importanza per il nemico. Questo significa che, sostanzialmente, tutta la componente da battaglia della M.M. dovrebbe uscire e accompagnare la Cavour. Semplicemente pazzesco. Tenendo anche in conto il fatto che solo la U.S. Navy (e FORSE la Marine Nationale) sono in grado di garantire alle proprie capital ships un adeguato livello di impenetrabilità agli attacchi aerei, marittimi e subacquei... per un Gruppo d'Altura italiano imperniato sulla Cavour, basterebbero un paio di salve ben assestate di SLCM/ALCM durante un attacco di saturazione (per non parlare della minaccia subacquea, la più terribile di tutte) e si torna dritti filati a casa con gravi danni (se va bene!). Se va male, invece, addio Cavour e addio anche ai suoi F-35 stealth imbarcati su una nave che stealth non lo è affatto. Ricordatevi che per garantire la sopravvivenza di un Battle Group, la U.S. Navy ha dovuto "farsi" i Tomcat, i Phoenix, gli Aegis e gli Hawkeye. Scusate se è poco. E non mi risulta che la Marina Militare abbia in dotazione roba del genere. Certo, si potrà dire che un conto è doversela vedere con i bombardieri sovietici in uno scenario da terza guerra mondiale e un conto è doversela vedere con Libia o Siria o Iran, ma ci andate voi, poi, davanti alle telecamere ad annunciare che un Exocet o un SS-N-22 o un Kilo ha affondato la nave ammiraglia della Marina Militare italiana? Per chi volesse maggiori ragguagli sulla questione, vedasi quelle che sono le posizioni di una fonte istituzionale della stessa Marina Militare, mica micio micio bau bau: http://www.marina.difesa.it/editoria/rivis.../articolo01.asp Morale della favola: che la Marina si compri pure i suoi F-35B, visto che ormai il danno è fatto e la Cavour solca i mari, ma per favore basta con queste manie di grandezza... una portaerei non è roba per noi, la stessa Francia sta pagando un prezzo salatissimo per aver voluto fare la fesseria di volersi dotare a tutti i costi della sua CVN, e anche qui il discorso porta sempre alla stessa conclusione: è indispensabile procedere verso l'unificazione politica europea, unica maniera per poter dotare le nazioni EU di forze armate unificate ed efficienti. Con gli UCAV, certamente. La tecnologia sta maturando, e questi veicoli diventeranno in futuro indispensabili non tanto per le loro intrinseche capacità operative ma piuttosto per la loro "spendibilità" anche da parte di nazioni - come l'Italia - la cui opinione pubblica soffre della incurabile "sindrome di Cocciolone". E comunque, il concetto operativo alla base degli UCAV è sostanzialmente lo stesso che è alla base dei missili cruise, che proprio gli Stati Uniti hanno utilizzato in maniera tanto intensa da dar praticamente fondo alle loro scorte nella prima fase delle due guerre del Golfo, in Serbia e in Afghanistan. Infine, non sta scritto da nessuna parte che ciò che oggi non funziona non funzionerà neanche domani. Se si ragionasse tutti così, a quest'ora staremmo ancora a scambiarci frecce e giavellotti. Proprio per questo motivo la tecnologia stealth va sviluppata a casa nostra, e subito. Beh, se ti preoccupi del fatto che l'Europa non sia in grado di difendere le proprie frontiere da un'aggressione militare da parte di "altre nazioni", beh... questa è proprio la motivazione fondamentale che dovrebbe spingerci a integrarci politicamente il più presto possibile, sotto la protezione di un ombrello nucleare europeo. Corea del Nord docet. Amen. Se invece pensi ad una nostra incapacità operativa nel campo della proiezione di forza, beh, vorrei ricordare che una guerra ad alta intensità contro un avversario "tosto" sarebbe talmente costosa da risultare ormai del tutto improponibile persino per gli Stati Uniti, e un conflitto di minore intensità sarebbe comunque alla nostra portata... peccato che la Costituzione non consenta all'Italia di usare la forza nella risoluzione delle controversie internazionali. E questo sembra che ce lo stiamo dimenticando un po' troppo spesso.
  22. Bene, allora parliamo dell'argomento "requisiti operativi". Vi sono tre fattori da tenere in considerazione: 1. l'appartenenza alla NATO; 2. l'appartenenza alla UE; 3. le esigenze di carattere nazionale. Direi che il punto 3. è quello che può essere ragionevolmente considerato più importante per le nazioni europee che hanno aderito al programma F-35; a seguito (con un livello di importanza decisamente minore) viene il punto 2. ovvero la necessità di garantire all'Alleanza Atlantica un contributo credibile in termini di capacità operative; infine, con un enorme distacco rispetto ai punti precedenti, viene l'esigenza di integrare le suddette capacità operative nel quadro della politica europea della difesa. Non che mi faccia piacere fare queste constatazioni, ma tant'è: la realtà è questa. E' chiaro, per quanto già detto in precedenza, che l'atteggiamento più vantaggioso nel medio-lungo termine sarebbe l'accentuare soprattutto l'importanza delle esigenze politico/strategiche/industriali a livello UE, ma purtroppo la strada verso questo obiettivo è ancora tutta da percorrere nonché irta degli ostacoli di cui abbiamo già parlato. Resta quindi da discutere quanto l'F-35 sia congruente rispetto alle necessità della NATO e rispetto alle necessità nazionali dei paesi che hanno aderito al programma. Per quanto riguarda la NATO, l'adozione dell'aereo americano è sicuramente una scelta logica e oculata, per ovvi motivi di standardizzazione logistica, addestrativa, nonché di uniformità delle capacità operative. Esattamente come avvenne quando venne adottato l'F-16. E su questo non ci piove. Però lo scenario geopolitico del mondo post-guerra fredda è completamente diverso da quello che portò alla creazione della NATO, il che comporta la necessità di un ripensamento globale del ruolo dell'Alleanza. Oggi infatti la NATO ha praticamente perso - per cessazione dell'esistenza di avversari credibili - la sua connotazione militare, e la sua valenza è da considerarsi sostanzialmente politica, con un ruolo degli Stati Uniti che resta comunque fattore determinante. Ma se questo era accettabile (e ci sarebbe mancato altro...) nel momento in cui gli Stati Uniti si facevano carico in misura rilevante (anzi, assolutamente fondamentale) della difesa militare del continente europeo, oggi è venuto il momento di ridiscutere il loro ruolo POLITICO all'interno della NATO: il contributo NATO americano in Europa in termini di uomini e di mezzi è in fase di costante ridimensionamento (non li stiamo mica cacciando noi, s'intende, se ne vanno per decisione loro), mentre sta aumentando in misura alquanto significativa la tendenza a stabilire al di fuori del contesto NATO rapporti privilegiati con ALCUNE nazioni dell'Europa dell'Est (vedasi Albania, Macedonia, ecc...), nelle quali gli americani hanno pure cominciato a installare basi che con la NATO non hanno alcuna attinenza. E adesso venitemi a dire che l'UE dovrebbe accettare supinamente queste manovre. Nossignori, non ci siamo proprio. Ma evidentemente a Washington pensano che qui vi sia della gente con l'anello al naso, che non considera politicamente indebite e inopportune queste manovre. Beh, io mi tiro fuori. Gli interessi politico/strategici americani NON coincidono sempre e necessariamente con gli interessi europei, e la storiella che siamo tutti occidentali e che stiamo sulla stessa barca e bla bla non incanta più nessuno. Vorrei vedere - del resto - cosa direbbero gli americani se per esempio la Francia installasse basi militari in Messico o in Canada. O magari a Cuba. Morale della favola: in sede NATO il ruolo degli Stati Uniti va ridiscusso e ridimensionato: non più elemento portante dell'Alleanza ma al limite - proprio al limite - soltanto "primus inter pares". Altrimenti si chiuda la baracca e buonanotte, visto e considerato che gli Stati Uniti, quando vogliono, fanno quello che gli pare ovunque gli pare senza chiedere il permesso a nessuno (vedasi la più recente invasione dell'Irak, che a differenza di quella precedente - la quale era stata autorizzata dall'ONU per riprostinare la sovranità nazionale del Kuwait - è stata decisa e compiuta in totale spregio di qualsiasi norma di diritto internazionale e con motivi del tutto pretestuosi). Comunque, per tornare all'F-35, queste considerazioni servono a evidenziare che la sua adozione per motivi di standardizzazione NATO è solo una foglia di fico: la NATO, ormai, non avrà più occasione di operare militarmente in scenari ad alta intensità, e se dovesse essere chiamata a intervenire se la caverebbe benissimo con quel che c'è; basti vedere la campagna aerea contro la Serbia, nella quale si è lavorato senza problemi anche con i francesi, che tutto sono tranne che integrati nell'Alleanza. Per quanto riguarda invece le esigenze militari nazionali dei paesi che acquisiranno l'F-35, che dire... qui si dovrebbe fare un discorso differenziato caso per caso, quindi mi limiterò a parlare dell'Italia. L'F-35 dovrebbe prima di tutto sostituire Tornado e AMX nelle missioni Strike e CAS/BAI, e se necessario affiancare l'EF-2000 nel ruolo di superiorità aerea. Orbene, per quanto riguarda la superiorità aerea, un EF-2000 tranche-3 con radar AESA e armamento missilistico allo stato dell'arte è senza alcun dubbio superiore all'F-35. Ma se anche non fosse, l'EF-2000 così configurato risulterebbe comunque superiore a qualsiasi avversario prevedibile nel lasso di tempo in cui resterebbe in servizio (si presume infatti di non doversi confrontare con il Raptor...), garantendo la conquista della terza dimensione del campo di battaglia con perdite zero o comunque ridotte al minimo. Per quanto riguarda invece il ruolo di attacco al suolo, beh... basti osservare ciò che è successo nella prima guerra del Golfo e nella campagna balcanica (ma anche in Afghanistan). In Irak, le missioni Strike a bassa quota sono state immediatamente abbandonate dopo aver subito perdite inaspettate da parte delle armi contraeree "stupide" irachene, tant'è che si è passati al bombardamento da media/alta quota (con gli F-15E, gli Intruder e persino con i Tornado, che erano il miglior aereo al mondo nel ruolo della penetrazione a bassissima quota!). Questo ha comportato l'immediato dietro-front dottrinario da parte degli americani, i quali si sono trovati costretti a rimettere in gioco gli A-10 (che erano stati progettati proprio per agire nelle peggiori condizioni) e i grandi bombardieri pesanti B-52 (decisamente più adatti al bombardamento d'alta quota di quanto non fossero gli aerei d'attacco). Persino i sofisticatissimi B-1 e B-2 furono utilizzati, da quel momento in poi, per missioni ad alta quota di bombardamento convenzionale stile II guerra mondiale, poiché scendere alle medie/basse quote esponeva gli aerei a troppi rischi ad opera della contraerea leggera e dei manpads. Ne sanno qualcosa anche i russi, che hanno avuto la loro buona dose di calci nel sedere in Afghanistan ad opera delle mitragliatrici e degli Stinger. Morale della favola, all'aviazione italiana serve nella linea da combattimento: 1. un velivolo da superiorità aerea (EF-2000) allo stato dell'arte (tranche-3 e successive evoluzioni), con secondarie capacità di attacco al suolo; 2. un velivolo CAS/BAI non molto sofisticato per sostituire l'AMX, capace di supportare efficacemente le truppe sul terreno (avete mai sentito parlare del G.91? ecco, quello...), e diciamo che un Gripen ottimizzato per il ruolo andrebbe più che bene; al limite anche un Su-25 aggiornato, considerata l'altissima intrinseca capacità di sopravvivenza dell'aereo russo, nato con specifiche identiche a quelle dell'A-10; 3. un UCAV stealth da utilizzare per le missioni più pericolose (cioè il Neuron), per sostituire il Tornado, ad evitare isterismi dell'opinione pubblica stile Bellini/Cocciolone. Dell'F-35, IMHO, proprio non sappiamo che farcene.
  23. Non sono io a dirlo, è l'Unione Europea. ( vedasi: http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/r00002.htm ) In particolare, la creazione di un mercato europeo è una esigenza strategica sia dal punto di vista commerciale sia da quello politico. Sono evidenti, infatti, i vantaggi apportati dalla creazione di una piattaforma unica di mercato sulla quale basare le dinamiche delle acquisizioni dei sistemi d'arma. Prima di tutto, cesserebbe la polverizzazione delle offerte/richieste e non si avrebbero più le moltiplicazioni dei costi dovuti allo sviluppo di diversi sistemi e al fatto che ciascuno di questi sistemi verrebbe ad operare su un mercato ben più ristretto rispetto a quello che sarebbe il mercato comune degli armamenti europeo. Si tratta, in concreto, di replicare pari pari le condizioni di mercato esistenti negli Stati Uniti, ove anche una qualsiasi RFP presuppone volumi produttivi importanti (con conseguente abbattimento dei costi di sviluppo e del prezzo unitario del prodotto). In Europa, invece, queste condizioni non ci sono mai state, per tutta una serie di motivi molti dei quali sono già stati esposti da me o da altri partecipanti a questa discussione. E le conseguenze negative le abbiamo sotto gli occhi: EF-2000, Rafale e Gripen (tanto per fare un solo esempio), ciascuno con limiti evidenti di budget a causa di un mercato troppo ristretto per un prodotto di quella natura. Per non parlare dei sistemi d'arma e dell'avionica... si può fare il miglior aereo del mondo, ma poi lo si deve anche dotare di elettronica allo stato dell'arte e di armamenti altrettanto moderni, altrimenti no grazie, mi tengo il Mirage 2000 e l'F-16: e guardate un po', invece, in che situazione si trovano i programmi europei che ho citato... la tranche-3 dell'EF-2000 la vedremo mai? E senza gli aggiornamenti previsti per quella serie produttiva, il Typhoon resta un ottimo aereo da acrobazia e poco più. Invece, mettete insieme i numeri rappresenteti dal mercato dell'EF-2000 + quello del Rafale + quello del Gripen, e pensate a quali vantaggi di budget ne sarebbero derivati. C'è poi anche da tener conto dei cosiddetti "moltiplicatori di forze" costituiti da quegli elementi che in uno scenario moderno non possono essere trascurati: AEW, aerocisterne, SIGINT/ELINT, eccetera eccetera. Questi sono tutti sistemi che nessuna nazione europea può minimamente pensare di acquisire autonomamente in quantità operative credibili, mentre negli Stati Uniti tale problema non sussiste a priori. Ecco quindi il senso della Agenzia europea per la difesa. L'alternativa, per l'Europa, è continuare a recitare il ruolo di semplice comparsa, sullo scenario politico internazionale, lasciando agli Stati Uniti (unica superpotenza attuale) e a Cina e India (se il loro trend di sviluppo le porterà a diventare elementi di livello comparabile a quello degli Stati Uniti) il ruolo di decision-makers a livello mondiale. Non so se questa prospettiva vi spiaccia oppure no: per quanto mi riguarda, a me dà parecchio fastidio.
  24. Infatti. Proprio per questo è nata l'Agenzia Europea per la Difesa. La standardizzazione è fondamentale. Ma non sta scritto da nessuna parte che deve essere fatta con materiali americani. Infatti io recrimino contro la miopia politica dei governi europei. Pagherò da bere a chi mi dimostra il contrario. Averne, di "scelte di ripiego" come il Gripen...
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