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Dave97

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  1. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    Scusa ma perchè continui a credere che io sia convinto dell'esistenza del 2007 se ho riportato ben due fonti attendibili che smentiscono l'esistenza di tale Creatura.. Non metto in dubbio le tue qualità di storico, però cerca di leggere attentamente quanto scritto.
  2. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    ....E questo spiega abbondantemente il tuo intervento ! 1) non è un mio articolo, ma come sempre faccio allego la fonte al termine del post. 2) tutto il mio intervento sul RE2007 era in risposta ad un ‘utente che aveva ipotizzato la sua esistenza, difatti ho allegato la risposta di Tullio de Prato (prova a leggere) 3) il link che hai riportato tu è lo stesso che ho segnalato io, per approfondire la storia sul RE2007 4) ho ritenuto corretto riportare anche l’articolo incriminato e difatti ho piazzato un bel punto interrogativo sul titolo. 5) mi sa che se tu che hai pisc..to fuori dal vaso, quindi rileggiti i post precedenti e poi riformula le tue accuse. PS : AGGIUNGO - IO I LIBRI DI GOVI li ho letti, e possiedo anche la biografia di Tullio de Prato.
  3. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    RE2007 ? E' fuori discussione che questo monoreattore da caccia costituì un traguardo di capitale importanza per le Officine Meccaniche Reggiane, considerata la data che il progetto porta, 7 ottobre 1943. Infatti a quel tempo nessun'altra ditta Italiana poteva vantare una simile realizzazione e il Re.2007, primo velivolo a getto con ala a freccia e stagna, reattore installato all'interno della fusoliera e catedro alare per le alte velocità, deve oggi essere considerato un vanto dell'industria specializzata italiana. Poco dopo l'ordinazione da parte del Minlstero dell'Aeronautica di due prototipi del Re2006, giunse in Italia la notizia riservata che in Germania era stata iniziata la costruzione in serie di un motore a getto, lo Junkers JUMO 004/B; immediatamente venne deciso di rifare completamente il progetto del secondo prototipo del Re.2006, adattandolo all'installazione del nuovissimo motore a getto. Iniziò così il periodo di gestazione del Re2007, il cui prototipo, MM. 541, venne messo in cantiere a Correggio, ove era stata decentrata l'Officina Sperimentale Reggiane dall'Armistizio. Durante lo svolgimento delle prove in picchiata del Re. 2005 che aveva raggiunto velocità prossime ai 1.000 chilometri orari, l'ing. Longhi aveva constatato che a tali velocità le semiali diventavano gradualmente troppo rigide e stabili a causa del forzato aumento del diedro alare. La soluzlone cui egli ricorse per ovviare a questo inconveniente e che oggi è di comune adozione sui velivoli ad alta velocità fu di dare all'ala un angolo in catedro, cioè opposto. Attualmente, i collaudi nel tunnel a densità variabile hanno fornito la prova palmare della bontà di questa soluzione datante da oltre 20 anni, confermando anche la convinzione dell'lng. Longhi che il Re 2007, con una freccia aumentata di 18° e con l'applicazione del principio dell' « Area Rule » potrebbe volare anche oggi a velocità supersoniche, in quanto le strutture dei velivoli Caproni-Reggiane non sono affatto diverse dalle più moderne realizzazioni dei nostri giorni; L'unica differenza sta nei materiali che oggi hanno una resistenza termica superiore. Una volta iniziata la costruzione del prototipo del Re. 2007, l'ufficiale di sorveglianza delle Forze tedesche presso la Reggiane fece venire dalla Germania a Correggio una commissione tedesca composta da alcuni ufficiali superiori che esaminarono a fondo tanto il Re .2006 quanto il Re.2007, promettendo infine il loro interessamento al fine di procurare alla Ditta emiliana due motori JUMO 004/B da parte del Comando germanico; la condizione che i tedeschi posero, prelevando alcuni disegni del progetto fu che, se la cessione dei motori avesse sortito esito favorevole, il velivolo completato avrebbe dovuto essere trasportato in una località nei pressi di Udine ove avrebbe avuto luogo l'installazione del gruppo motopropulsore. Il progetto del Re. 2007 suscitò tale entusiastico interesse nel Comando tedesco che, a un certo punto, esso espresse la volontà che il velivolo venisse realizzato in Germania e a tale scopo programmò il trasferimento dell'lng. Longhi e di parte dell'Ufficio Tecnico delle Reggiane, nonchè dell'Officina Sperimentale, in una località della Baviera e fu solo grazie all'interessamento del Conte Caproni, sempre sollecito e votato anima e corpo alle sue creature, se questa trasferimento venne evitato, Nell'autunno del 1944, quando la fusoliera e le semi ali del reattore erano gia state completate, la costruzione fu forzatamente interrotta dal mancato arrivo dei motori che, come venne accertato in seguito, furono spediti in Italia ma non giunsero mai a destinazione. Tutte le parti costruite del Re.2007, unitamente al prototipo del Re.2006, vennero inviate a Taliedo il 12 ottobre 1944, ove rimasero fino al 25 luglio 1945; dopo tale data, sembra che il Comando alleato abbia ritirato le parti costruite e il pacco dei disegni del velivolo e li abbia inviati in America e in Inghilterra a scopo di studo. Naturalmente il Comando del Combined Intelligence Service, presso il Comando alleato, mandò subito a chiamare l'ing. Longhi per ottenere un rapporto dettagliato sui Re.2007 e, al corrente dell'avvenuta spedizione dei due motori JUMO da documenti tedeschi catturati, insistette a lungo con il progettista dei velivoli Caproni-Reggiane per sapere dove essi erano stati nascosti, ma purtroppo neanche lui lo sapeva; in tale occasione, l'ing. Longhi chiese al Comandante Inglese della Commissione se ci sarebbe stata la possibilità di ultimare il progetto nel caso che i motori fossero stati rintracciati ma l'ufficiale rispose pacatamente che, per il momento, l'Aviazione Italiana doveva cessare di esistere. Attualmente uno dei motori JUMO 004/B del Re.2007, un tempo Impiegato a scopo didattico presso la Scuola Specialisti dell'Aeronautica Militare Mario Anelli di Caserta, è stato ceduto al Museo Storico dell'Aeronautica Militare di Vigna di Valle. Il Caproni-Reggiane Re.2007 è il primo velivolo Italiano a pura reazione con ala a freccia di basso allungamento, fusoliera in tre parti per la facile sostituzione del reattore, cabina di pilotaggio pressurizzata e quattro Mauser da 20 mm. L'ala, in pezzo unico, e completamente a sbalzo con freccia di 20° sui quarto alare, continua e passante sotto la fusoliera. La pianta ha profilo biconvesso (NACA. low drag) e spessore variabile e la struttura è a tre longheroni a doppia T , mentre il fasciame del dorso è rinforzato con lamiera ondulata e quello del ventre da correntini. Nella parte centrale dell'ala sono integralmente incorporati i serbatoi di carburante della capacita di 440 lt, mentre lateralmente sono ricavati i vani per l'alloggiamento delle ruote posteriori del carrello d'atterraggio. Fra il secondo e il terzo longherone, al centro, vi sono altri due serbatoi stagni della capacità complessiva di 260 lt. La fusoliera in duralluminio ha struttura a guscio con ossatura costituita da ordinate in lamiera e correntini a Z. La presa d'aria dinamica del reattore Junkers Jumo 004/B di circa 1.000 kg/spinta, è costituita dalla parte anteriore della fusollera tagliata con un angola di 10° verso il basso. Le due gambe del carrello d'atterraggio posteriore si ritirano nell'ala come sui Re.2005, mentre la ruota anteriore si ritrae all'indietro. La cabina di pilotaggio è chiusa superiormente da un portello ribaltabile lateralmente. Il tutto è sganciabile in caso di necessità. La cabina è stagna e sotto pressione per il volo ad alta quota ed è pure munita di riscaldamento elettrico. Gli impennaggi sono completamente a sbalzo, costruiti in duralluminio con le parti mobili bilanciate staticamente, dinamicamente e aerodinamicamente. Sia il timone di direzione che i piani orizzontali mobili sono muniti di alette regolabili. Gli alettoni sono costruiti completamente in lega leggera e bilanciati come gli impennaggi; l'alettone sinistro, inoltre, è munito di aletta regolabile. Gli ipersostentatori sono del tipo a spacco e in due pezzi. I serbatoi di carburante fanno parte integrante della struttura alare ed hanno una capacita totale di 700 lt. E' inoltre previsto un impianto di emergenza in caso di necessità. L'armamento è costitulto da quattro cannoncini Mauser da 20 mm montati due per parte sui fianchi della presa d'aria anteriore principale, con 200 colpi ognuno. Il Re.2007 è inoltre munito di Impianto elettrico alimentato da una dinamo azionata dal reattore, della capacità di 1.200 Watt, di impianto di pressione per la cabina di pilotaggio e degli altri accessori indispensabili. PRODUZIONE TOTALE: Re.2007 (MM. 541): N° 1 (costruito al 70%) di Pietro Prato I Caccia Caproni - Reggiane 1938 - 1945
  4. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    La storia del Re 2007 è uno dei tanti misteri , irrisolti , italiani. Ti allego la dichiarazione rilasciata da Tullio De Prato, collaudatore delle Reggiane, in risposta ad un lettore di JP4. Del Re2007 io, capo pilota collaudatore, non ne ho mai sentito parlare: è una favola! A che serve ostentare simili leggende quando le realizzazioni aeronautiche nazionali sono già indiscutibile titolo di merito nel progresso aeronautico mondiale? L'ultimo velivolo progettato e costruito alle Reggiane O.M.I. fu il Re.2006. Per sfuggire ai bombardamenti, l'aeroplano venne ultimato nella civica palestra di Correggio; macchina di prevedibili grandi caratteristiche, non volò mai. Poco prima dell'arrivo degli alleati, il Re. 2006 venne trasportato, per via ordinaria, a Taliedo; lassù venne distrutto. Una parte della fusoliera finì nel locale sotterraneo del Politecnico di Milano dove il giovane ing. Frati montava i suoi alianti rinomati; assieme ad Adriano Mantelli, sgomenti, commentammo in quel sottosuolo l'ingiusta fine del Re. 2006 e della nostra progredita industria; eravamo intorno al 1947-48. Di progetti, dopo il 1943, prese una certa consistenza soltanto quello dell'idro gigante che, nella mente della Direzione dello stabilimento, avrebbe potuto risolvere il problema del trasporto attraverso gli Oceani. A Clanezzo, dove Maraschini e i suoi erano sfollati, l'argomento anche se più grande di noi, venne affrontato con la serietà che distingueva il "team Reggiane". Tutto fini il 25 aprile 1945, anzi un bel pò prima». Tullio De Prato ---------------- Qui puoi trovare il link di un sito dove l’argomento viene trattato in modo abbastanza esaustivo Reggiane Benché condivida molte delle sue esternazioni, mi piacerebbe obiettare su alcuni punti: Prendo a prestito una sua frase di introduzione all’argomento: Verissimo!!! Però anche le sue sono supposizioni!!! Ad esempio: Il fatto che non siano stati ritrovati i progetti non vuol dire che non siano mai esistiti. Ecco questo è il vero ( ed unico) punto focale della discussione. Possibile che i libri di Govi, su cui si basa la maggior parte della storia delle Reggiane, e la biografia di Tullio De Prato , collaudatore delle Reggiane, non facciano alcun riferimento al RE 2007 ? PS: Quando Avrò un Po di tempo , Allegherò l'articolo della Discordia...
  5. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    Il Re.2005 fu l'ultimo e il migliore della stupenda serie di monoplani da caccia reallzzati dalla Caproni-Reggiane a trovare impiego pratico; alla sua comparsa, venne erroneamente considerato come il logico sviluppo del Re.2001, benchè ne differisse in molti particolari, primo tra i quali le curve alari interpolate tra loro e completamente diverse da quelle del FALCO II; inoltre rispetto a quest'ultimo, il Re.2005 aveva una linea di fusoliera aerodinamicamente di gran lunga più avviata, un armamento migliore, un motore più potente e un carrello d'atterraggio i cui elementi principali si ritraevano mediante rotazione delle gambe di forza verso l'esterno (ciò costituiva una novità rispetto alle precedenti realizzazioni Reggiane.). Il SAGITTARIO fu il primo caccia della nuova generazione della Regia Aeronautica entrato in linea e va ascritto al tragico e sfortunato momento nel quale entra in servizio operativo (si era alle fasi conclusive del secondo conflitto mondiale) se questo splendido caccia non fu suscettibile di ulteriori sviluppi. La progettazione del Re.2005, iniziatasi nel 1941, venne ultimata nel volgere di pochi mesi, nel dicembre di quell'anno, e nel febbraio del 1942 il velivolo era pronto a ricevere il motore Daimler-Benz DB 605 A-1 a 12 cllindri a V. invertito che era stato inviato a Reggio dalla Germania nel dicembre del 1941. Per motivi inspiegabili, ai quali forse non rimane estraneo un atto di sabotaggio, le tracce del motore sparirono tra la frontiera e Reggio e solo a meta aprile del 1942, dopo affannose ricerche, esso venne rintracciato in uno scala secondario di Milano dall'ing. Haug della Daimler Benz e dai suoi tecnici. Il sospirato motore venne immediatamente trasportato a Reggio e montato sui prototipo del Re.2005 (MM. 494) che potè cosi effettuare il suo primo volo il 10 maggio, pilotato dal collaudatore magg. De Prato. In luglio venne trasferito a Guidonia per le prove di omologazione e in agosto a Furbara per quelle relative all'armamento. Durante tali prove, il velivolo raggiunse la velocita di 678 km/h a 7.000 m mentre il Com.te De Prato, 990 in affondata (IAS). Per quanto riguarda l'armamento, il Re.2005 fu il primo velivolo italiano ad essere equipaggiato con tre cannoncini da 20 mm (di cui uno nel mozzo dell'elica) e due mitragliatrici da 12,1 mm (nel muso); tale sistemazione venne adottata ad incremento di quanto preteso dal Ministero (solo due armi da 12,1 mm alari), costringendo anche la FIAT e la Macchi a seguire l'esempio con i loro G.55 e M.C.205/V. Venne previsto anche il montaggio sotto il ventre del velivolo di una bomba da 500 kg. Fin dalla sua prima apparizione, il Re.2005 si distinse incontrovertibilmente per le suo ottime doti di velocità, maneggevolezza, buona autonomia e potente armamento; era superiore persino ai modelli similari delle potenze aeree più in vista in quel periodo, ciononostante nel 1942 vennero ordinati alla Reggiane solo tre prototipi, uno dei quali per prove di rottura, e una «serie zero» sperimentale di 16 velivoli da realizzarsi nel Reparto Sperimentale Studi e Progetti dell'ing. Longhi. Tuttavia la comparsa del SAGITTARIO produsse una certa impressione all'estero e già verso la fine del 1942 vennero avviate trattative tra la Reggiane e il Comando delle Reali Forze Aeree Svedesi per la cessione delle licenze di produzione del caccia, i cui motori sarebbero stati costruiti in Svezia, dato che fin dal 1941 una Ditta svedese aveva acquistato la licenza di riproduzione del motore DB 605, alcuni esemplari del quale, ceduti dalla Germania, già si trovavano nel Paese scandinavo. La produzione dei primi Re.2005 in Svezia avrebbe dovuto iniziare verso la fine del 1943 e nel gennaio di quell'anno vennero definite le condizioni del contratto tra la Ditta italiana e l'Aeronautica svedese, che prevedevano anche l'invio nel Paese nordico di 50 cellule originali, prive di motori. Fatto ciò, immediatamente le Reggiane chiese al Ministero dell'Aeronautica l'autorizzazione all'invio in Svezia di un Re.2005 e il permesso di cessione della licenza di fabbricazione, mentre gli Svedesi, dal canto loro, sollecitavano una risposta in merito nel febbraio del 1943, nel corso di un incontro con il Barone Ventimiglia, Direttore della Compagnia Commerciale Caproni. Alla fine, il 9 giugno giunse la sospirata risposta che autorizzava a trattare la cessione alla Svezia della licenza di produzione del SAGlTTARIO e alla fornitura di due velivoli senza motori ne armamento, tuttavia la pratica rimase lettera morta a causa degli infausti eventi del settembre 1943. La decisione di passare alla costruzione in grande serie del Re.2005 venne presa dal Ministero solo nel febbraio del 1943, sette mesi dopo i voli di omologazione del prototipo: vennero ordinati 150 velivoli di serie e altri 18 «serie zero» sperimentali, aumentando in tal modo la commessa per gli aerei sperimentali a 34 unita. Inoltre la Regia Aeronautica programmò di affidare la costruzione di un'ulteriore serie di oltre 1.000 Re. 2005 alla Caproni Aeronautica Bergamasca, all'Aerfer di Napoli e alla Breda di Milano. Nel mese di febbraio del 1943 giunse a Reggio il Segretario del Partito Nazionale Fascista, Vidussoni, incaricato da Mussolini, per spingere al massimo la produzione del SAGITTARIO, dato che, a causa delle indecisioni del Ministero dell'Aeronautica, si erano già persi otto mesi dalla presentazione del prototipo prima di impostare la produzione in serie del SAGlTTARIO. Nel corso di un colloquio tra Vidussoni e i dirigenti delle Reggiane, l'ing. Longhi dichiarò apertamente le varie manchevolezze dell'organizzazione della produzione aeronautica italiana che rendeva ancor più disperato il già grave squilibrio di forze tra il nostro Paese e gli Alleati e precisando inoltre che non si poteva pensare a un serio sforzo bellico con ordinazioni di poche centinaia di aerei, mentre in America i programmi erano basati su decine di migliaia di esemplari. Vidussoni diede pienamente ragione all'ing. Longhi e lo invitò a Roma per avere un colloquio privato al riguardo, ma a causa del precipitare degli eventi tale colloquio non ebbe più luogo. Nell'aprile del 1943 vennero inviati a Reggio un motore tedesco DB speciale e un'elica VDM (impiegata anche dal Messerschmitt BF 109) sostitutiva di quella Piaggio, che furono montati sul secondo prototipo del Re.2005 (MM. 495), il quale, nei voli di prova effettuati da un pilota tedesco, raggiunse la velocità massima di 720 km/h a 7.300 m, Questo velivolo venne immediatamente ritirato dai tedeschi che, sembra, lo impiegarono in Romania per la difesa dei pozzi petroliferi di Ploesti. A partire dal mese di maggio, iniziarono le prime consegne ai Reparti dei Re.2005 costruiti nell'Officina Sperimentale e contemporaneamente cominciarono le visite settimanali agli stabilimenti di una commissione tedesca, sempre diversa, che veniva a Reggio Emilia per studiare a fondo il Re.2005 e i progetti del Re.2006 e del Re.2007. Nello stesso tempo venivano dati premi in denaro agli operai allo scopo di aumentare l'incentivo e spingere al massimo la produzione. I velivoli di serie montavano un motore raffreddato a liquido Fiat RA 1050 R.C. 58 TIFONE, versione italiana costruita su licenza del DB 605 e un'elica Piaggio P. 6001. Il motore italiano erogava una potenza massima al decollo di 1.475 H.P. (che passava a 1.355 H.P. a 57.00 m., e una potenza normale di 1.250 H.P a 5.800 m. La velocità del SAGITTARIO di serie era di 560,612, 678 km/h, rispettivamente a 2.000, 4.300 e 7,000 m, Alla data dell'8 settembre 1943, la Reggiane aveva costruito 2 prototipi e 29 aerei della serie sperimentale di 34 esemplari, mentre gli ultimi 5 erano in fase di montaggio presso la Ditta, ove pure giacevano 7 dei velivoli già terminati. Per quanta riguarda la serie di 750 velivoli ordinati dal Ministero,erano state predisposte tutte le attrezzature e approvvigionata parte dei materiali, e la lavorazione era appena iniziata. Subito dopo l'Armistizio, il Comando germanico decise di requisire tutti i Re. 2005 disponibili e ordinò alle Reggiane di eseguire alcune modifiche e cioè l'inversione dei comandi, la modifica dell'impianto elettrico, la sostituzione del motore e dell'elica con i relativi componenti originali tedeschi e l'apposizione degli emblemi della Luftwaffe. In base ai dati disponibili, sembra che il Comando germanico abbia ritirato i seguenti 13 velivoli: MM. 494: partito in volo da Reggio per Berlino nel luglio del 1943; MM. 495: partito in volo da Guidonia per la Romania nel settembre del 1943; da MM. 096100 a MM. 096104 e da MM. 096106 a MM. 096111: partiti in volo per Berlino tra il 6 e il 10 ottobre del 1943. Inoltre il Comando germanico ordinò alla Ditta emiliana il completamento di sette aerei, i primi della commessa di 750 esemplari, ma non risulta che essi siano stati approntati. L'utilizzazione del Re.2005 da parte della Luftwaffe per la difesa di Berlino fu probabilmente uno dei motivi determinanti del bombardamento a tappeto subito tra la sera del 7 e il mattino dell'8 gennaio 1944 ad opera degli Alleati dallo stabilimento di Reggio, la cui esatta ubicazione venne purtroppo segnalata al nemico da dipendenti della Ditta rimasti al Sud, che se ne fecero più tardi meriti politici. La radio americana, la sera stessa del bombardamento, comunicò che una delle più importanti fabbriche di aeroplani italiane era stata completamente rasa al suolo e che quindi i famosi caccia da essa prodotti non avrebbero più dato fastidio agli Alleati. Le consegne del Re. 2005 alla Regia Aeronautica ebbero inizio nel maggio del 1943 e riguardarono l'assegnazione di una ventina di esemplari al 22° Gruppo Autonomo Caccia Terrestre, basato a Napoli-Capodichino e composto dalle Squadriglie 359°, 362°, 369° e 150°. Inizialmente il SAGITTARIO venne impiegato per la difesa di Roma e Napoli, operando dai campi di Capodichino, Capua e Littoria; quindi, ai primi di luglio, la 362a Squadriglia, con 8 velivoli, venne trasferita in Sicilia, sull'aeroporto di Sigonella (Catania) da dove partecipò attivamente, unitamente ad altri Reparti italo-tedeschi, alla difesa dell'isola. A testimoniare l'asprezza inenarrabile della lotta sta il fatto che già il 9 luglio alla 362à non restavano che 5 Re.2005, dei quali 4 efficienti. Il 14 luglio la 362a Squadriglia rientrò a Napoli-Capodichino con i due soli aerei efficienti rimasti e, riunitasi al 22° Gruppo che, oltre ai suoi 5 SAGITTARIO, aveva in carico anche i Re. 2001 e i Macchi M.C.202, continuò a combattere contro le formazioni di bombardieri alleati che attaccavano le città italiane. A tale riguardo, va ricordato che la 362a Squadriglia, al comando del cap. La Feria, inaugurò un nuovo sistema di attacco contro le potentissime FORTEZZE VOLANTI, tanto micidiale quanta temerario: i Re. 2005, con una leggera picchiata, puntavano diritto contro il muso dei quadrimotori avversari sparando con tutte le armi di bordo; quindi, all'ultimo momento, quando la collisione s'embrava ormai inevitabile, si rovesciavano sul dorso e, sfiorando il ventre dei bombardieri nemici, iniziavano una spaventosa picchiata di disimpegno, cabrando poi bruscamente per riportarsi all'attacco. Un impiego singolare del SAGITTARIO venne proposto dallo allora cap. Adriano Mantelli, del Centro Sperimentale di Guidonia: si trattava di equipaggiare due Re.2005 con bombe da 500 kg da sganciare sulle formazioni alleate a scoppio comandato; l'azione avrebbe dovuto svolgersi con la partecipazione del bimotore I.M.A.M. Ro.58 pilotato dallo stesso Mantelli, che avrebbe sganciato due bombe da 500 kg. Dopo lo scoppio delle quattro bombe, i cui effetti sarebbero stati micidiali, i due Re.2005 avrebbero dovuto effettuare un passaggio, sparando con tutte le loro armi, ma la distruzione dell'unico Ro.58 sotto un bombardamento a Ciampino fece restare senza seguito l'ardito progetto. Alle 20h del 7 settembre 1943. il 22° Gruppo Caccia Terrestre, appartenente alla III Squadra Aerea aveva in carico 7 Re.2005 inefficienti bellicamente uno dei quali catturato dagli americani venne trasferito negli Stati Uniti ed esposto ad una mostra di materiale di volo del Tripartito e degli Alleati, organizzata nel 1946 a Cleveland (Ohio); in tale occasione il velivolo venne lungamente provato da piloti americani che lo classificarono tra i migliori tra i caccia nemici catturati. Nel 1949 esistevano ancora presso la Reggiane alcune serie di attrezzature della catena di montaggio del Re.2005, mai usate e logorate soltanto dagli anni di abbandono, unitamente a un paio di fusoliere e di ali danneggiate ma riutilizzabili. Inoltre, presso le Ditte Bassani e Magnaghi, giacevano depositati circa 20 complessi-carrello del SAGlTTARIO. In conclusione esisteva la possibilità di realizzare un esemplare del Re 2005 entro cinque mesi o al massimo sei, con l'appoggio della Aeroplani Caproni. ma purtroppo questa programma non conobbe realizzazione pratica. I Caccia Caproni - Reggiane 1938 - 1945
  6. Dave97

    8 Settembre

    Alle 17 in punto del 3 settembre 1943 il generale americano Walter Bedell Smith, capo di Stato Maggiore di Eisenhower, raggiunge a Cassibile la tenda dove dal giorno precedente sono ospitati, e praticamente confinati, i tre delegati del governo Badoglio venuti in Sicilia per firmare il documento che porrà fine allo stato di guerra tra l'Italia e gli anglo-americani. Anzi, il vero delegato è uno solo, il generale di brigata Giuseppe Castellano. Lo affiancano il console Franco Montanari, parente di Badoglio - che funge da interprete - e il maggiore Luigi Marchesi. Il comando alleato è installato tra gli ulivi, nei pressi di un oscuro paese siciliano, Cassibile, che acquisterà, per il dono della cronaca. rinomanza duratura. Jeeps, autocarri, motociclette vanno e vengono sollevando un polverone. I tre italiani sono turbati. Hanno vissuto ore di estrema tensione, e non possono dimenticare la scena dell'irruzione nella loro tenda del generale inglese Harold Alexander, comandante delle forze di terra alleate operanti in•Italia, mentre si aspettava da Roma un telegramma che autorizzasse esplicitamente Castellano a firmare l'armistizio. In alta uniforme, stivali lucidi, Alexander aveva apostrofato duramente gli italiani: « Siete dei rappresentanti o delle spie? So che non avete i pieni poteri, e questa è una maniera molto buffa di trattare da parte del vostro governo » I tre sono sottoposti a una pressione spietata. Anche questo «inizio della fine » di una guerra sciagurata è punteggiato di stupidaggini, meschinità, inutili machiavellismi, incertezze. Finalmente il messaggio del governo di Roma è nelle mani degli alleati. Dice: «Il generale Castellano è autorizzato dal governo italiano a firmare l'accettazione delle condizioni di armistizio». E Bedell Smith, come si è visto, non perde tempo. Gli italiani sono accompagnati nella grande tenda della mensa dello Stato Maggiore. «Eisenhower », riferisce Castellano, « è in piedi dietro un grosso tavolo. Sono presenti, oltre a Walter Bedell Smith, il generale Strong, il generale Rooks capo del reparto operazioni, il commodoro Dick e il capitano Dean, interprete. Mentre sto per entrare sotto la tenda, ne escono due borghesi in maniche di camicia. Sono i consiglieri diplomatici di Eisenhower che non rimarranno presenti per sottolineare così, con maggiore evidenza, che l'armistizio è un fatto prettamente militare». I due «consiglieri» sono l'americano Robert Murphy e l'inglese Harold Macmillan, il futuro primo ministro. Castellano è in doppiopetto scuro. Nega che, tratta di tasca una penna, questa si sia rifiutata di funzionare. Sostiene soltanto che il diplomatico Franco Montanari volle prestargli la sua, ed egli non gli negò questa piccola soddisfazione. Castellano inforca gli occhiali, siede al tavolo sui quale è poggiato un telefono, sottoscrive tre copie del «corto armistizio »,per delega del maresciallo Badoglio. Quindi Smith, che lo aveva osservato rimanendo in piedi, appone la sua firma per delega del generale Eisenhower. Sono le 17,15. Eisenhower si avvicina a Castellano e gli stringe la mano. Si brinda. I militari alleati indossano la divisa kaki estiva, con la camicia a maniche corte; gli italiani sono tutti in borghese. Sono ammessi i fotografi, che scattano alcune istantanee. Si serve del whisky. Eisenhower, che non ha voluto sanzionare con la sua firma quello « sporco affare », uscendo dalla tenda stacca una fronda di ulivo da un albero, e la sventola in segno di pace. Il «corto armistizio » che Castellano ha firmato è in sostanza la resa incondizionata che gli alleati hanno sempre preteso, con in più impegni di collaborazione come la protezione dei porti e degli aeroporti « finchè questo compito non sarà assunto dagli alleati ». Al documento principale è stato peraltro allegato un promemoria, il cosiddetto «documento di Quebec », che lo si precisa chiaramente all'inizio «non contempla l'assistenza attiva dell'Italia nel combattere i tedeschi », ma prevede che «la misura nella quale le condizioni saranno modificate in favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'apporto dato dal govemo e dal popolo italiano alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra ». Castellano spera, a questa punto, che le emozioni siano finite. Ma gliene viene riserbata una grossa. Il generale Alexander illustra puntigliosamente, con molti particolari, la portata dei termini dell'armistizio , nel frattempo Eisenhower è ripartito per Algeri. Tocca a Bedell Smith, a questa punto, un compito ingrato: propinare a Castellano, dopo il «corto armistizio », l'armistizio lungo, previsto da quello «corto» e ricco di clausole ancora più particolareggiate e vessatorie. Il delegato italiano ignorava l'esistenza di una simile «appendice». «Questo documento », precisa Smith, «è identico a quello che l'ambasciatore inglese a Lisbona ha consegnato al generale Zanussi » Ma il documento affidato a Zanussi ha seguito chissà quali vie traverse, tanto che Badoglio e Ambrosio giureranno sempre di non averne conosciuto l'esistenza prima che Castellano ne parlasse. Castellano stesso se lo vede piombare addosso inaspettato: «Che novita è questa? », protesta. «Non so se il mio governo, conoscendo queste condizioni, avrebbe firmato l'armistizio ». Al soprassalto di indignazione segue la rassegnazione, anche perchè gli alleati, essendosi resi conto di come il delegato italiano sia ben disposto e volonteroso, non vogliono giocarselo. E Bedell Smith ripete che tutte quelle clausole saranno modificate sulla scia degli avvenimenti, e che il lungo armistizio rimarrà segreto. Castellano promette a sua volta, secondo una versione dell'americano Murphy, «di tener nascosto il documento al Re e a Badoglio sino a quando non si siano pubblicamente impegnati per la proclamazione dell'armistizio ». Gli alleati non mollano la presa. Hanno fretta, una terribile fretta. I loro piani procedono, tutte le date sono fissate (anche se Castellano non lo sa). Hanno inoltre paura che Badoglio venga spazzato via da un momento all'altro, e che la fatica occorsa per piegarlo, l'opera di convincimento esercitata su Castellano, la adesione del re, tutto vada in fumo. 8 settembre , Mondatori 1973
  7. Eccolo!! Il titolo Italiano è "Base Artica Zebra" James Ferraday, comandate di un sommergibile nucleare americano, il Tigerfish, riceve l'ordine di portare soccorso a una stazione metereologica inglese situata al Polo Nord - la base artica Zebra - dalla quale sono giunti deboli, ma continui segnali d'aiuto. Costretto ad imbarcare due civili, David Jones e Boris Vaslov, e un gruppo di marines agli ordini del capitano Leslie Anders, Ferraday ha ragione di ritenere che si tratti di qualcosa di più di una missione di salvataggio: i suoi sospetti hanno conferma quando, in seguito a un incidente dovuto a sabotaggio durante la navigazione sotto i ghiacci polari, Jones e Vaslov gli rivelano di essere due agenti del servizio segreto britannico. Raggiunta finalmente la base, Ferraday e gli altri la trovano completamente distrutta, mentre i due soli uomini sopravvissuti non sono in grado di dare spiegazioni... per rimanere in tema di Films Datati -La veglia delle aquile- Il colonnello dell'aviazione americane John Caldwell è chiamato a controllare l'attività che si svolge al SAC, lo Strategic Air Command, e in particolare l'efficienza dei bombardieri chiamati ad entrare in azione in caso di scoppio della terza guerra mondiale. La sua scarsa propensione al compromesso lo pone presto in contrasto con gli altri ufficiali subalterni e con la moglie Victoria che minaccia di lasciarlo.
  8. Dave97

    festività natalizie

    Felice anno nuovo a tutti !!!!!!!!!!!!
  9. Sei proprio sicuro di aver visto il Film "Uomini Veri" ? Sto Scherzando!!! La prima parte del film è incentrata sulla sfida al muro del suono, ed è tratta da “Vivere per Volare”, ovviamente il personaggio, interpretato dall’attore protagonista,è Chuck Yeager. La seconda parte del film rievoca la storia dei primi astronauti americani. Il film termina con il tentativo , sempre di Chuck Yeager, di infrangere il record di arrampicata con il primo Starfighter arrivato alla AFB Edwards. Impressionato, a prima vista ,dalla linea filante del nuovissimo aereo, come "capo" collaudatore della base, senza alcuna autorizzazione , salì a bordo del velivolo e decollò. Nel tentativo di spingerlo sempre più in alto, finì per entrare in vite piatta dalla quale non riuscì ad uscire e dovette ejettarsi. Anche questo episodio è tratto da ”Vivere per Volare”. Il film è molto bello. ------------------------ PS: un film molto datato (b/n) non segnalato. Stato d’allarme. Nei mari della Groenlandia il capitano di un cacciatorpediniere USA dà la caccia a un sommergibile non identificato (presumibilmente sovietico), disposto a scatenare un conflitto atomico. Vigoroso, teso, efficiente dramma marinaresco sulla guerra fredda di taglio antimilitarista dove si mescolano i temi di Il dottor Stranamore e di L'ammutinamento del Caine. Recitazione di classe.
  10. Dave97

    World War II Aces

    Erano le ore 11,05. Dopo aver preso quota, Gorrini si pose alla sinistra del tenente Melis comandante la 85a squadriglia, come suo primo gregario. Ormai si vedevano luccicare i B.17 sempre più distintamente. Non si notava la presenza di caccia di scorta. Il suo Macchi C.205 si arrampicava più velocemente e doveva tenerlo a freno per non sopravanzare il Macchi C.202 del suo comandante. Sentiva di potersi lanciare subito all'attacco, e ogni tanto, non sapendo calmare l'impazienza, gli manifestava con cenni della mano il desiderio di buttarsi all'assalto. E lo fece con tanta insistenza che alla fine riuscì a strappargli un gesto di consenso. Era lo spirito del cacciatore, per natura portato ad agire secondo la propria iniziativa, che lo faceva sentire entro certi limiti insofferente della disciplina di gruppo, che lo portava a staccarsene per buttarsi all'attacco, ormai immemore delle brutte esperienze precedenti. Aveva raggiunto la quota di ottomilacinquecento metri, e di lì scelse l'avversario. Mentre la caccia italiana dirigeva all'attacco di una seconda formazione, egli si lanciò sull'ultimo aereo di destra della prima formazione dei B.17. Le grandi e lunghe ali del bombardiere brillavano d'argento in tutta la loro superficie; solo sull'estremità dell'ala sinistra spiccava la grande stella bianca entro il disco azzurro. Le armi di bordo stavano orientandosi contro di lui, ed egli si preparò ad attaccare secondo la sua tecnica personale che lo ha reso famoso per i successi conseguiti. Era l'attacco a tre quarti di muso,che comportava la salita a quota superiore in coda al bombardiere, costretto dalla disciplina di volo a mantenere la formazione. Il caccia doveva poi sopravanzarlo e picchiare con una rovesciata davanti per dirigersi subito di tre quarti contro il suo muso a destra o a sinistra con un angolo di circa quarantacinque gradi. Gorrini eseguì la manovra, e quando si trovò in questa posizione, inquadrò bene il nemico nel collimatore, e a circa duecento metri sparò una prima raffica. I proiettili andarono a segno, ma senza alcun effetto apparente. Sparò una seconda raffica colpendo i motori di destra che subito si incendiarono. Tutto accadde nei pochi secondi che durò questo primo passaggio. Il suo Macchi C.205 era quasi sopra al B.17 e per evitare di esporlo di pianta ai tiri delle mitragliatrici, uscì a coltello sopra la fusoliera dell'aereo ormai condannato. Le mitragliere dorsali non potevano eseguire la repentina evoluzione, ed egli si trovò in coda inseguito dal tiro delle altre armi che dalla formazione serrata gli sparavano addosso con un volume di fuoco pauroso. Mentre stava eseguendo la virata per effettuare il secondo passaggio, vide sfilarsi i primi paracadute. I due motori di destra continuavano a bruciare rigando il cielo con una lunga scia di fumo nero sempre più denso, mentre parte dell'equipaggio si era già posto in salvo. Il bombardiere continuava però a mantenersi in linea di volo; bisognava abbatterlo ad ogni costo. Il piccolo aereo da caccia eseguì il secondo attacco mentre centinaia di traccianti gli si tendevano contro come una rete incandescente. Finalmente, al terzo assalto, dopo una lunga raffica, l'ala di destra fu nuovamente colpita. I longheroni non ressero allo sforzo, e cedette di schianto come tranciata da una forza irresistibile. Pezzi di lamiera infuocata furono proiettati in ogni direzione. L'enorme aereo, non più sorretto dalla portanza dell'ala infranta, si rovesciò sulla destra e cadde in una strettissima vite verticale mentre l'ala, avvolta dalle fiamme dei due motori, cadeva sfarfallando in un movimento di vite piatta impressole dall'effetto giroscopico delle eliche ancora in funzione. Gorrini scese fino a cinquemila metri per controllare la caduta della sua vittima. Sperava vivamente di veder aprirsi ancora qualche paracadute. Quello che più contava era l'avere impedito che il bombardiere portasse a segno il suo carico offensivo. Questa volta non aveva mirato alla cabina di pilotaggio, ma ai motori, e sperava che quegli aviatori si salvassero. Il B.17 andava a frantumarsi esplodendo con tutto il suo carico di bombe a circa un chilometro a nord dell'aeroporto di Nettuno. Questo tipo di bombardiere, tra i più grandi che siano stati impiegati nel conflitto. L'armamento difensivo permetteva di sparare in ogni direzione compatibilmente con l'angolazione di manovrabilità di ogni arma, in modo che un caccia era praticamente esposto alla reazione difensiva da qualunque posizione attaccasse. I così detti punti morti erano difficilissimi da inquadrare, e in ogni caso, non potevano essere mantenuti a lungo sotto tiro. Ogni pilota da caccia aveva le sue preferenze circa il modo di condurre l'attacco. In genere i tedeschi preferivano attaccare in coda, allo stesso livello dei bombardieri, perchè in tale posizione venivano a trovarsi sulle scie dei tubi di scarico dei motori e non potevano essere facilmente avvistati e presi di mira dai mitraglieri di coda. Gorrini preferiva attaccare nel modo di cui si è detto, perchè col passaggio a coltello sopra il bombardiere, si poneva nella condizione di virare più stretto offrendo il maggior bersaglio proprio quando il tiro incrociato degli altri bombardieri doveva cessare se non volevano correre il rischio di colpersi a vicenda. L'armamento del suo Macchi C.205, unito all’ esperienza tattica, alla decisione e al coraggio, aveva vinto la «regina dei bombardieri». La «Vespa 2» aveva saputo pungere nel punto giusto. Ben sapendo che la corazzatura del nemico, e soprattutto il perfetto equilibrio delle strutture portanti del B.17 facevano di questo aereo un formidabile incassatore di colpi, il tiro doveva essere concentrato nell'unico punto dove la Fortezza volante era più facilmente vulnerabile. Il più grande difetto di questo bombardiere era la facilita con cui prendeva fuoco, sicchè il tiro nell'aerea dei motori era sempre il più efficace. L'esplosione provocata dalla caduta del bombardiere fu così violenta che il Macchi C.205 venne scosso dallo spostamento d'aria. La fiammata della deflagrazione fu subito avvolta da dense nubi di fumo che si allargarono in volute roteando e salendo rapide verso il cielo. Spettacolo insieme tragico e imponente. Gorrini ebbe appena il tempo di sentire il sapore della vittoria, che venne subito scosso dal saettare di una gragnuola di proiettili traccianti che passarono davanti al suo apparecchio sulla destra e sulla sinistra perdendosi nel vuoto. Uno dei caccia americani, un Lockheed Lightning P.38 che accompagnava la formazione dei bombardieri in scorta indiretta e che si trovava sopra lo strato di nubi sotto cui volavano i B.17, aveva ricevuto per radio la chiamata di soccorso, e, messosi in caccia, aveva avvistato l'aereo italiano. Ora gli si avventava addosso sparando con tutte le sue armi: un cannoncino da 20 mm. e quattro mitragliatrici Colt Browning da 12,7. La scarica colse di sorpresa il nostro pilota che impreco contro se stesso per non essersi guardato alle spalle. In un combattimento aereo, la salvezza viene spesso dal torcersi il collo a guardare indietro perchè non ci si può mai fidare a credersi soli. Quando uno meno se lo aspetta e il momento in cui viene attaccato. Ormai non restava che una velocissima manovra di scampo. Da quel «manico» che è, sapeva benissimo che una picchiata non sarebbe servita a scrollarselo di dosso, avendo il nemico accumulato una maggiore velocità nell'affondata ed essendo troppo vicino. In certi momenti il ragionamento e l'intuizione sono un lampo in cui l'istinto, l'intelligenza e l'esperienza si compendiano determinando l'azione. Un rapido rovesciamento per uscire dalla mira dell'avversario e poi, con una veloce cabrata il Macchi 200 fece la barba alle nubi. Il Lightning gli era però sempre dietro e sparava, sparava in continuazione tallonandolo con quella tenacia che è caratteristica dei piloti da caccia. Ma Gorrini aveva ormai forato lo strato di nuvole che gli avevano celato l'insidia e che ora gli offrivano la salvezza. Adesso doveva contare unicamente sul volo strumentale badando soprattutto all'assetto di volo dell'apparecchio. Non è difficile, durante il volo nelle nubi, trovarsi senza accorgersene, a volare con la testa in giù. Posta quindi attenzione all’orizzonte artificiale e all'altimetro, attese che il P.38 proseguisse nel suo veloce volo al di sotto della stratificazione, e poi, uscendone con una stretta virata, riuscì ad avvistarlo e a porglisi in coda. Ora le parti del crudele gioco si erano invertite ed era il Macchi a tenere•sotto il tiro delle sue armi il caccia nemico che, ora picchiando, ora cabrando, cercava di sfuggire ai colpi di chi, fino a pochi istanti prima, avrebbe potuto essere la sua vittima. Ancora le nubi erano li ad offrire il loro soffice rifugio, e il caccia americano vi puntò deciso. Gorrini, dietro, come un segugio che abbia addentato la preda e non la vuole mollare, lo tenne sotto tiro fino a che una esplosione non segnò la fine del caccia nemico che andò a cadere presso il lago di Nemi. Con il combattimento Vespa 2 si era completamente staccato dalla formazione dei bombardieri. Si trovava solo nel cielo, con due vittorie riportate in pochi minuti. Chiunque si sarebbe sentito soddisfatto. Chiunque avrebbe provato quel senso di liberazione che subentra alla tensione di un duello all'ultimo sangue. Ma per il nostro pilota questa sensazione fu di breve durata. Un rapido controllo dell' efficienza del proprio apparecchio, e dei colpi che ancora gli rimanevano,l'istinto del cacciatore e il pensiero che ancora avrebbe potuto contrastare l'incursione impedendo a qualche tonnellata di bombe di raggiungere gli obiettivi, lo spingevano a cercare ancora il combattimento. Un veloce calcolo della sua posizione in rapporto alla direzione presa dalle Fortezze volanti, gli diceva che avrebbe potuto porsi con successo all'inseguimento. La velocità di un caccia è sempre superiore a quella di un bombardiere. Se si considera che la massima velocità di un B.17 era di circa cinquecento chilometri, mentre quella del Macchi C.205 si aggirava sui seicentocinquanta, si comprende come fosse possibile riprendere il contatto balistico. Infatti, tra Sulmona e Avezzano, Gorrini avvistò nuovamente i bombardieri, e mentre prendeva il vantaggio della quota, osservo lo spettacolo pur sempre maestoso ed esaltante che offriva l' ordinata formazione degli aeroplani che procedevano regolarmente intervallati, dondolandosi sospesi nell'aria, sospinti dalla potenza dei loro motori. Egli scelse il suo nuovo avversario. Era l'ultimo aereo di sinistra. E' facile immaginare la sorpresa degli aviatori americani che poco prima avevano visto precipitare il loro gregario di destra ad opera di quello stesso italiano così ostinato che non esitava a buttarsi da solo contro la barriera di fuoco delle micidiali armi di una formazione in volo serrato. L'allarme, all'intemo del B.17 fu dato probabilmente dal mitragliere di coda che, inginocchiato sotto la parte inferiore del grande timone di direzione, aggiustò il puntamento delle sue mitragliatrici binate mentre il mitragliere della torretta dorsale in plexiglas a prova di pallottole stava manovrando il dispositivo elettrico che muoveva la torretta, per orientare le armi automatiche verso poppa e in alto. Gorrini intanto, col medio e l'indice appoggiati sulla leva di sparo, stava preparandosi al suo nuovo attacco a tre quarti di muso. Picchiò a quarantacinque gradi sparando sui motori, contrastato dal tiro della torretta e da quello delle mitragliatrici anteriori. Ma il brandeggiare a mano queste armi di circa centotrenta chilogrammi non offriva molte possibilità ad un tiro preciso, e il Macchi C. 205, benchè fatto segno dal fuoco di protezione degli altri bombardieri, riuscì, dopo avere innaffiato di pallottole il suo B.17, a portarsi fuori tiro col solito passaggio a coltello. La sua scarica colpì non soltanto i motori, ma penetro anche nella cabina di pilotaggio che non resse al martellamento delle pallottole esplosive. Avverti un senso di nausea al pensiero che in quel momento poteva avere ucciso, e ancora oggi, nel raccontare questo particolare, la sua voce assume un tono di accorata emozione; ma l'eccitazione e il nervosismo accumulati nel corso del combattimento sostenuto poco prima, non gli avevano consentito di tener conto dei pochi metri che separavano i piloti dai motori. Quando la raffica di un caccia colpisce la cabina di pilotaggio, dentro succede il finimondo. Basta leggere le relazioni di volo di qualsiasi pilota che abbia avuto la fortuna di portare a casa l'aeroplano colpito, per avere un'idea della distruzione che devasta l'abitacolo. Così in quel B.17 dovevano essere saltati quadranti, maniglie, comandi per la pressione idraulica, manometri per l'indicazione del vuoto e della temperatura dell' olio, i regolatori dei turbocompressori, la girobussola, l'indicatore di virata e sbandamento: insomma, tutto il sistema nervoso centrale dell'aereo. Gli aviatori abbandonarono l'apparecchio. Gorrini riuscì a contare l'aprirsi di nove paracadute che si sfilarono l'uno dopo l'altro mentre il bombardiere si manteneva ancora in linea di volo. Egli sapeva benissimo che l'equipaggio del B.17 era composto da più di nove uomini. Perchè gli altri non si buttavano? La nausea lo assali di nuovo. La tensione della battaglia, la consapevolezza di trovarsi in zona sconosciuta (con tutto il da fare che aveva avuto non gli era stato possibile verificare la rotta), di essere solo ed esposto al tiro da ogni direzione, facile preda di altri caccia che da un momento all'altro avrebbero potuto accorrere numerosi, erano tutti elementi che non potevano lasciarlo tranquillo. Rivoli di sudore gli si versarono da sotto il casco e gli occhiali, sulla faccia. La tuta ne era inzuppata fino agli stivali. Ad ogni secondo il pericolo aumentava in progressione, anche in rapporto all'autonomia di volo per il rientro alla base. Ma ancora non voleva desistere. Quel bombardiere non doveva arrivare sull'obiettivo. Mentre stava preparandosi al nuovo assalto pensò che forse l'equipaggio si era già lanciato al completo. Considero che se ancora l'aeroplano era in linea di volo, era possibile che fosse stato innestato il pilota automatico. Decise così di colpirne il dispositivo. Ormai nell'abitacolo non poteva esserci rimasto più nessuno, o vi restavano soltanto dei morti. Puntò dunque risoluto sulla cabina a tutta manetta, e a duecento -trecento metri apri il fuoco. Altri due paracadute si aprirono, poi la regina dei bombardieri oscillò lentamente dondolandosi sulle ali con eleganza per l 'ultima volta, e da seimila metri inclinò docilmente il muso verso terra acquistando sempre maggiore velocità mano a mano che scendeva di quota, sino a precipitare diritta scivolando verso la sua fine. Poco più avanti la divisione Goring veniva bombardata. Ma per Gorrini non era ancora finita. Docici P.38 della caccia di scorta gli si avventarono addosso da due lati dall'alto: sei da destra e sei da sinistra, con manovra convergente. Egli sapeva molto bene che se fosse andato via diritto i caccia sarebbero riusciti a stringerlo per la maggior velocità che erano andati acquistando in fase di picchiata. L'unica manovra di scampo che poteva fare era quella di precipitarsi verso terra. Le nubi, questa volta erano troppo lontane. Non deve fare meraviglia se anche in questa seconda fase la caccia americana è intervenuta con un certo ritardo. Ciò rientrava nei rischi di quel particolare sistema di protezione. Infatti, come si legge nel libro «Il padrone del cielo» di Johnnie Johnson gli equipaggi delle Fortezze volanti richiedevano soltanto uno schermo protettivo a una certa distanza «fuori dal raggio d'azione delle loro armi di bordo, davanti e di fianco alle loro formazioni. Qualunque velivolo che superasse quello sbarramento veniva considerato nemico e trattato come tale». Per questo, chi come Gorrini, riusciva ad infilarsi nella formazione, poteva venire a contatto con la caccia nemica soltanto in un secondo tempo perché aveva qualche possibilità di passare inosservato dalla scorta sempre piuttosto lontana. I mitraglieri non guardavano troppo per il sottile quando vedevano a tiro un aereo non preavvisato: «prima sparavano e poi cercavano di identificare il velivolo sospetto», e nessuno dei piloti ci teneva a far da bersaglio. Tale sistema di scorta aveva tuttavia i suoi vantaggi consentendo quel maggior campo di manovrabilità che la scorta ravvicinata non permetteva in caso di attacco con formazioni pesanti. Sotto il tiro dei Lightning, e cioè sotto il fuoco concentrato di dodici cannoncini e quarantotto mitragliatrici, Gorrini buttò il Macchi C.205 in picchiata. Con un colpo di cloche e di piede, dopo una strettissima spirale diresse l'aereo in picchiata affidandosi alla velocità e alla resistenza delle strutture del suo aereo che cominciò a scendere inseguito da sei caccia dai due caratteristici timoni che davano a questo tipo di aereo un aspetto inconfondibile. Ma forse la salvezza di Gorrini stava proprio qui: in questa caratteristica del P.38 il cui timone di profondità, teso tra i travi di coda, non poteva reggere alle sollecitazioni di una velocità portata al limite di sicurezza, quel limite certamente superato dal Macchi C.205, contro cui il terreno andava ingrandendosi minacciosamente. L'aereo era tutto un tremito. All'urlo del motore imballato a tutta potenza, si aggiungevano le preoccupanti vibrazioni di tutte le strutture. Il metallo sembrava gemere scricchiolando per il formidabile attrito contro l'aria. L'indicatore di velocità era bloccato sul massimo e la lancetta vibrava non potendo segnare oltre. Gorrini, col sudore che gli grondava sugli occhi, non riusciva a distinguere bene; sapeva però di aver superato la velocità di collaudo La lancetta dell’anemometro sembrava voler saltare dal quadrante. Andò oltre gli ottocento chilometri orari. Ad un tratto, una secca detonazione accompagnata dal lampo di una fiammata sull'ala sinistra, scosse le lamiere del caccia Italiano. Il pitota pensò di essere stato colpito. Era invece accaduto che, per i colpi sparati, il cannoncino da 20 mm. collocato nell' ala, si era talmente arroventato che aveva fatto scoppiare la culatta dell'arma provocando uno squarcio con l'asportazione di parte del bordo d'uscita. Anche qui la fortuna giuoco il suo ruolo, perchè se fosse saltato il bordo d'entrata, l'attrito dell' aria avrebbe tranciato l'ala per intero. Nello stesso istante, sia per la scossa dell'esplosione, sia per la violenza del vento della caduta in verticale, il tettuccio della cabina fu divelto e proiettato in coda dove dopo aver rotto l'antenna radio, finì per sbattere contro il timone di profondità che si accartoccio in seguito all'urto. Nella cabina scoperchiata fu tale il risucchio dell'aria, che la carta di navigazione venne strappata di sotto la gamba destra del pilota trattenuto dalle cinghie del seggiolino. Egli stava ancora picchiando con la velocità di un moderno reattore. La terra era ormai vicina. Volse lo sguardo dietro di se. Dei Lightning non vi era più traccia nel cielo. Probabilmente, dopo aver visto la fiamma sull'ala, lo avevano considerato abbattuto, e non avevano voluto correre il rischio di far saltare i timoni battendosi in un cosi folle inseguimento. La volontà era tutta tesa a riportare in linea l'apparecchio, ma era dubbio che le superfici di governo, ridotte in quelle condizioni, potessero dare una adeguata risposta ai comandi. Occorreva richiamare l'aereo con dolcezza come quando si deve adagiare un ferito. Gorrini tolse manetta; di velocità ne aveva fin troppa, e tirò lentamente la cloche verso di se. I piani di coda, nonostante tutto, si muovevano e l'aeroplano cominciò ad alzare il muso. La linea dell'orizzonte prese a profilarsi dall'alto del parabrezza e a scendere verso la linea del cofano motore. Il mare si presentò davanti alla prua dell'aereo, ma l'orientamento era impossibile, e senza la carta topografica, i dettagli del terreno sottostante non potevano esser utilizzati. I criteri della navigazione a vista non offrivano alcun soccorso in quelle condizioni. Il carburante era agli sgoccioli. Le munizioni esaurite. Stava volando a mille metri di quota, ma su quale zona? Quale direzione prendere per rientrare al campo? Considerò che quando era partito da Palidoro aveva il sole di fronte, mentre ora se lo trovava sulla destra; ma questo non era un rilievo sufficiente a fare il punto sulla sua posizione. Occorreva far quota per aumentare il margine di sicurezza nel caso fosse stato necessario lanciarsi col paracadute o planare per un atterraggio di fortuna. Piano piano, per consumare il meno possibile di carburante salì a milleottocento - duemila metri, e sebbene vi fossero poche probabilità che la radio funzionasse, tento un contatto con la centrale operativa. «Campanile da Vespa 2! Campanile da Vespa 2! Rispondete!». Il richiamo fu ripetuto più volte senza risultato. «Campanile da Vespa 2!» Ancora silenzio. Poi una voce prese a gracchiare negli auricolari. «Vespa 2, avanti! Qui Campanile». Per Gorrini era la voce dell' Arcangelo Gabriele venuto a prestargli le sue ali per condurlo a casa. «Campanile da Vespa 2. Rilevate la mia posizione». Il pilota ripetè quindi una serie di numeri per mantenere il contatto fonico e consentire così il rilevamento radiogoniometrico. Dopo uno scambio di dettagli tecnici, gli comunicarono che stava volando sopra Pescara. Ottenuti quindi i gradi della rotta da seguire, ricevette infine le istruzioni per il rientro. «Fa tremila metri di quota. Motore a millesettecentocinquanta giri». Il contatto radio gli infuse nuova fiducia. Il motore funzionava ancora regolarmente. Solo i comandi rispondevano meno dolcemente alla pressione della mano sulla cloche e del piede sulla pedaliera, ma l'aereo si lasciava governare. Eseguite tutte le istruzioni, il pilota fu diretto sulle strisce di Palidoro dove il Gruppo aveva già preso terra da tempo. L'unica preoccupazione era sulla quantità del carburante rimasto. Già il «televel» destava qualche apprensione. Dai tremila metri dove il motore rendeva meglio e consumava meno, Gorrini si era ormai portato a bassa quota per andare all'atterraggio. I campi, le strade, gli alberi sfilavano sotto di lui confondendo i loro colori come macchie variopinte su un nastro che scorreva veloce. Erano gli ultimi momenti in cui la tensione ritornava a mordere. Ogni attimo era vissuto nell'attesa di arrivare a terra con l'ultima goccia di combustibile. Lo sguardo era al tempo stesso sulla pista, sull'indicatore di pressione e di temperatura dell'olio, sull'indicatore di velocità e sul contagiri. L’orecchio era teso a percepire ogni battito dei pistoni che potevano piantare da un momento all'altro. L'uomo e la macchina erano corporalmente una cosa sola. Ad un tratto il motore, come preso da collasso, cessò di battere. Il disco dell'elica si fece più scuro e si bloccò in una croce con tre braccia tese e immobili. Ormai non c' era più quota per lanciarsi col paracadute, ed era giocoforza portare a terra l'aeroplano. Istintivamente il pilota abbasso i flaps e fece uscire il carrello, ma questa manovra fece aumentare fortemente la resistenza opposta dal maggior attrito delle superfici e provocò di conseguenza la diminuzione della velocità, con pericolo di stallo. Fatti subito rientrare il carrello e i flaps, dopo le imprecazioni di rito, la velocità riprese grazie anche alla leggera picchiata in cui l'aereo era tenuto per sfruttare l' efficienza aerodinamica. A motore spento la macchina si era trasformata in un veleggiatore del peso di tremilaquattrocento chilogrammi. La situazione era critica, ma c'erano ancora fondati elementi di speranza. Attorno a lui il silenzio era rotto dal sibilare dell'aria che s’infilava nell'abitacolo e che lambiva l'aereo come a volerlo sostenere ad ogni costo. «Ce la farò, ce la farò» seguitava a ripetere a se stesso. Ma ecco, vicinissimi ed inaspettati, gli si pararono davanti i fili elettrici della ferrovia che correva nei pressi del campo. Il passaggio era obbligato e l'apparecchio era poco più di una freccia che doveva seguire una traiettoria. C'era solo un'alternativa: passare sotto quei maledetti fili o saltarli. Mentre stava considerando che il passarvi sotto sarebbe stato troppo rischioso a causa del breve spazio utilizzabile, i cavi gli si presentarono all'altezza del viso. Non c'era più ragionamento che tenesse in tale situazione. D'istinto tirò la cloche al ventre. Il caccia ebbe un sussulto, e, come scagliato in alto da una folata di vento, passo sopra quel dannatissimo ostacolo per ricadere subito verso terra. Fuori il carrello e giù gli ipersostentatori. Le ruote toccarono finalmente il terreno in un modo un pò pesante ma, appena dopo, l'aereo prese a rullare sul campo come in un atterraggio normale. Gorrini uscì felice dalla carlinga, e il suo fedele Flak, un bellissimo cane siberiano nero che lo aveva accompagnato dalla Grecia, salto festoso sull'ala come tutte le volte al ritorno da ogni missione. Immediatamente fu circondato dai piloti e dagli specialisti smaniosi di sapere. Tutti guardavano l'apparecchio, quasi increduli che quella macchina, con un'ala smozzicata, con gli stabilizzatori accartocciati e la fusoliera svergolata, avesse potuto volare. Soltanto un'ora e mezzo prima era un aeroplano nuovo di zecca, e adesso non era che un rottame da mandare alla demolizione. «Ebbene, Gorrini, com’è andata?» gli chiese il maggiore Camarda. «Ho abbattuto due quadrimotori e un caccia». «Va bene, va bene, però guarda come hai ridotto l'aeroplano!» Il volo era durato novantacinque minuti. Furono sparati settecentocinquanta colpi dalle mitragliatrici calibro 12,7 e quattrocentoottanta dai cannoncini calibro 20. Il dettagliato rapporto del pilota fu accolto con qualche scetticismo. Il comandante stentava a credere a quanto gli era stato esposto, e non nascondeva le sue perplessità. Guardò Gorrini con aria mista di sorpresa, incredulità ed ammirazione. Poi, quasi a voler provocare la reazione del suo sottufficiale, gli disse a bruciapelo una battuta che avrebbe fatto perdere la pazienza ad un santone biblico: «E' impossibile. Non s'è mai visto buttar giù due quadri motori e un Lightning, essere attaccato da dodici caccia e cavarsela in questo modo». «Comandante, a me è accaduto questo. E poi, gli aerei non sono caduti in mare. Possiamo andare a controllare sul posto», rispose Gorrini lanciando una significativa occhiata in direzione di un Stork Fieseler tedesco che riposava pigramente sul campo. «Vieni con me» replicò Carnarda dirigendosi verso il piccolo aereo da collegamento. I due uomini presero posto nell'abitacolo. Il maggiore si pose ai comandi e decollò immediatamente. Gorrini, seduto sul seggiolino posteriore, poteva godersi tranquillamente il volo come passeggero. Quando furono in vista dell'aeroporto di Nettuno videro l'enorme cratere prodotto dall'esplosione del B.17. «E’ uno, signor maggiore!» «Va bene, ora scendiamo a vedere». A terra lo spettacolo era impressionante. I rottami dell'aereo si trovavano sparsi nel raggio di qualche centinaio di metri. Certi erano anneriti dalle fiamme, altri luccicavano contorti come carta stagnola e sminuzzati tra le zolle. Era quasi inutile cercare i resti degli aviatori caduti. Difficilmente poteva essere rimasto qualcosa di loro. Tutto sembrava essersi polverizzato nell'esplosione. I pochi membri dell'equipaggio che erano riusciti a lanciarsi col paracadute erano stati fatti prigionieri dai militi della contraerea, ed erano ancora sotto shock. Il tempo stava guastandosi, ed era meglio affrettarsi se si voleva arrivare al lago di Nemi presso cui doveva trovarsi ciò che era rimasto del P.38. La ricerca risultò fortunata perchè appena lo Stork Fieseler toccò terra su un piccolo appezzamento erboso, alcuni ragazzi che erano rimasti nascosti tra i cespugli, uscirono allo scoperto come se giocassero agli indiani, e uno di loro si mise a gridare: «I motori sono la in fondo! I motori sono la in fondo!» e indico una direzione guidando sui posto i due aviatori seguito dalla frotta dei compagni eccitatissimi per l'avvenimento. Qualcuno cercava di spiegare come aveva visto cadere l'aeroplano e scendere col paracadute il pilota che era poi stato catturato dai Carabinieri. Disceso il pendio di una collina, trovarono un motore e un frammento d'ala. «E due, signor maggiore!» «Comincio a pensare che forse valeva la pena di scassare il 205» soggiunse l'ufficiale mentre stavano ritornando sui loro passi per ripartire. Si trattava ora di ragiungere Sulmona. Ii tempo stava facendosi sempre più brutto, e intraprendere il volo sulle montagne con un aereo cosi leggero non era una prospettiva molto allettante. Infatti quando furono sul dorsale appenninico, il vento fortissimo e i frequenti piovaschi resero difficile il governo e l'orientamento, ma anche questa volta tutto finì per risolversi bene. Gorrini riuscì persino a parlare con il comandante dell'ultima Fortezza volante da lui abbattuta. Era un ufficiale americano il quale, dopo aver saputo che quel ragazzo biondo di ventisei anni che gli stava davanti, era il pilota Italiano che lo aveva attaccato, volle stringergli la mano complimentandosi per il suo valore e per il suo coraggio. Tutti sanno con quanta cura i tedeschi perquisissero i prigionieri. Eppure, in quel caso, non si erano accorti che il maggiore nascondeva una minuscola pistola. L'ufficiale sorridendo si chinò con calma sulla gamba destra, slaccio lo stivale e ne estrasse l'arma offrendola in dono a chi lo aveva abbattuto. Con questo combattimento Gorrini era diventato famoso. Il suo nome era comparso sul bollettino di guerra n. 1192. Il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica lo volle conoscere personalmente. Telegrammi di congratulazioni gli giunsero da ogni parte. I quotidiani si occuparono di lui, e così anche alcuni periodici. Ma ciò che forse gli giunse più gradito furono le lettere di alcuni scolaretti di Sulmona e dei loro insegnanti che esprimevano il desiderio di poterlo avere un giorno fra loro. Vespa 2, 85° Squadriglia
  11. Perché la cultura aeronautica negli altri paesi, e in modo particolare negli States, è notevolmente superiore alla nostra. Pertanto non mi meraviglia che in Italia, si sappia a mala pena chi sia Adriano Visconti, mentre mi meraviglia che in un museo storico U.S.A. manchino alcuni assi italiani, tipo Gorrini tanto per fare il nome di uno dei nostri migliori Piloti Il quale non ha niente da invidiare , tanto per fare un' esempio , ad un certo Clostermann, il cui libro ha raggiunto la tiratura di 600.000 mila copie.
  12. Vabbè, non paragoniamo le due cose.
  13. Penso di No !!! Comunque il testo in questione lo si legge con facilità..
  14. Dopo più di 60 anni dai tragici eventi , potrebbero anche aggiornare la lista…
  15. Dave97

    Il più bello

    Lo spillone è fuori concorso!!!
  16. Premesso che è solo una curiosità; ieri ho provato a cambiare l’avatar, con un’altra di dimensioni idonee. Dopo aver rimosso la vecchia immagine e averla sostituita con la nuova, ho ottengo il seguente, strano, risulato. Sul pannello Modifica Avatar, l’apposito riquadro visualizza correttamente la nuova immagine, mentre nelle discussioni e nel profilo utente continua ad essere visualizzato il vecchio avatar (il cap 10 in rovescio per intenderci). Qualche suggerimento ???? Ciao!
  17. Dave97

    8 Settembre

    Castellano resta a Lisbona fino al 23, e giunge a Roma all' alba del 27 agosto. Il governo, che non ha predisposto alcun efficace stratagemma per comunicare con lui, è rimasto all'oscuro di tutto per due settimane. Roma, dunque, per molto tempo rimane senza notizie di Castellano. Allora si pensa a una nuova missione. Viene scelto il generale Giacomo Zanussi, che prende la via di Lisbona la mattina del 24 agosto. Quando giunge a Lisbona, viene a sapere che Castellano è gia sulla via del ritorno. Anche in campo alleato non manca la confusione. Stalin, informato degli approcci italiani, è sospettoso e irritato perchè tutto si svolge a sua insaputa, e propone che sia formata una commissione politico-militare con rappresentanti delle tre grandi potenze anti-Asse, e che la commissione abbia sede in Sicilia. La mattina del 28 Castellano si reca nell'ufficio di Badoglio al Viminale, dove c’è anche Guariglia. La scena è alquanta penosa. Badoglio tace, corrucciato, ascoltando il resoconto del delegato; Guariglia s'infuria, e rimprovera a Castellano di aver promesso e trattato più di quanto fosse autorizzato a fare. «Il maresciallo », annoterà Castellano in un diario, «mi diede l'impressione di un imbecille. Evidentemente la paura domina Guariglia ». Tutti sono angustiati dall'esigenza alleata di porre solo poche ore tra l'annuncio dell'armistizio e lo « sbarco principale », laddove Badoglio vorrebbe un preavviso di un paio di settimane. Guariglia pensa, evidentemente, che Castellano ha impasticciato tutto e propone che un diplomatico riprenda in mano le fila della matassa. Ma Badoglio, Ambrosio e Carboni si oppongono risolutamente a tale proposta. Guariglia fa allora preparare un memorandum da consegnare agli alleati. Si tenta di scaricare la decisione ultima sul re, dal quale si recano, la mattina del 29, Badoglio, Guariglia e Ambrosio. Ma Vittorio Emanuele restituisce subito la palla, dicendo che Badoglio deve decidere, e che poi lui si limiterà a porre la firma alla risoluzione presa legittimamente dal governo. Badoglio vorrebbe trovare una scappatoia; una risposta agli alleati di accettazione dell'armistizio, ma non la sua proclamazione contemporaneamente allo sbarco principale. Castellano, che ha avuto a che fare con Smith e Strong, e sa in quale modo inglesi e americani affrontino e trattino il problema dell'armistizio, spiega che sarebbe inutile inviarlo in Sicilia a far delle chiacchiere. Badoglio lo ammonisce, sbattendo il pugno sul tavolo, che quelle in cui si sta impicciando «sono questioni di governo e che lui dovrà soltanto ripartire con le istruzioni opportune. » Badoglio, evidentemente, si culla ancora nella illusione di poter discutere, negoziare, attenuare. Ma gli alleati hanno fretta. Premono su Badoglio, tramite D' Arcy Osborne , cui è pervenuto finalmente un cifrario nuovo di zecca , facendo sapere che il giorno successivo, 31 agosto, Castellano è atteso in. Sicilia. Nello sforzo convulso di mantenere una certa libertà, il governo Badoglio affida a Castellano un messaggio che intende essere astuto e, come al solito, rischia di apparire ai sospettosi anglo-americani una scappatoia per tergiversare. Vi si annuncia, con chiarezza, che il governo italiano ha deciso di denunciare l'alleanza con la Germania; che « cessa le ostilità contro le Nazioni Unite accettandone le condizioni »; che viene richiesto l'urgente aiuto delle truppe alleate; e infine, che « se l'Italia avesse libertà di azione politica e militare, chiederebbe senz'altro l'armistizio », ma aggiunge che «l'Italia non può farlo subito perchè le forze militari italiane che si trovano in contatto con quelle tedesche sono in enorme condizione di inferiorità ». Pertanto l'armistizio potrà venire solo quando, «in seguito a sbarchi degli alleati con contingenti sufficienti ed in località adatta, cambiassero le attuali condizioni » Infine che « il latore di questo documento è autorizzato a fornire al generale Eisenhower tutte le delucidazioni ». Castellano è frastornato, non a torto, da un tale accavallarsi di istruzioni poco chiare, a volte contraddittorie, e soprattutto poco aderenti alle informazioni che egli aveva fornito dopo la missione a Lisbona. Prima di tornare nelle fauci degli alleati annota sul suo diario: «In questa situazione, con un imbecille come capo del governo, e con un codardo come ministro degli Esteri, non si può prendere nessuna via maestra » Castellano raggiunge in aereo, il 31 agosto, Termini Imerese, dove viene rilevato da Smith e Strong e condotto ancora in aereo nei pressi di Siracusa, e successivamente a Cassibile. L'arrivo del delegato è stato comunicato agli anglo-americani grazie alla radio che Castellano aveva ricevuto in consegna a Lisbona. A Cassibile cominciano immediatamente i colloqui. Castellano, cerca di destreggiarsi. Spiega che l'Italia ha la migliore buona volontà di arrendersi, anzi di collaborare, ma che, da quando egli ha descritto la situazione a Lisbona, le cose sono cambiate, e nettamente in peggio. I tedeschi hanno continuato a inviare truppe. Per questo non è sensato dare l'annuncio dell'armistizio prima che . siano già sbarcati in Italia consistenti reparti anglo-americani. Inoltre Castellano, interprete delle istruzioni di Badoglio, insiste per sapere dove e quando gli alleati sbarcheranno in forze. Da quell'orecchio il generale americano e il generale inglese assolutamente non ci sentono. Vogliono un si o un no, e minacciano terribili rappresaglie aeree se l'Italia non cede. L'atteggiamento dei governi alleati e di Eisenhower produrrà, visto alla luce dei successivi avvenimenti, pessimi frutti. Ma non può essere definito irragionevole. L'Italia è ancora una nazione nemica. Nessuno può garantire agli alleati che i delegati italiani, una volta informati dei loro piani di guerra, non si precipiteranno a riferirli ai tedeschi. Certo le operazioni sono state concepite con forze insufficienti, e con strategia miope. Lo sbarco di Salerno è troppo meridionale, lascia scoperta Roma e dà agio ai tedeschi di organizzare la resistenza. Castellano non riesce dunque a sapere assolutamente nulla di certo. Ma, basandosi su congetture, crede di poter stabilire, anzitutto, che lo sbarco principale avverrà non lontano da Roma; e lo deduce da una assicurazione di Smith che gli alleati sbarcheranno il più a Nord possibile, «compatibilmente con la copertura aerea». Peggio ancora, Castellano si culla nella sua illusione che, essendo stata usata l'espressione «entro due settimane » per la proclamazione dell'armistizio, si arriverà con tutta probabilità al 12 settembre. La conversazione del mattino è spigolosa, tanto che gli alleati, irritati, pensano perfino di trattenere Castellano in Sicilia e di rispedire a Roma Montanari e il generale Zanussi che da Lisbona era approdato a Cassibile con itinerario tortuoso. Nel pomeriggio, l'atmosfera è più e nel congedarsi da Castellano, gli alleati ribadiscono il punta fondamentale. L'armistizio dovrà essere proclamato contemporaneamente allo sbarco principale. La sera del 31 Castellano è di ritorno a Roma e riferisce ampiamente ad Ambrosio sui risultati della sua missione, precisando il punto di vista degli alleati. « Se il governo italiano insiste nel non voler proclamare la cessazione delle ostilità nella stesso giorno dello sbarco in forze, contrariamente a quanto il generale Eisenhower ha stabilito con l'approvazione di Londra e di Washington, non avrà più in avvenire alcun potere per trattare con i militari, e quindi per concludere l'armistizio. Se ciò avvenisse, si dovrebbe indire una conferenza tra i diplomatici delle nazioni alleate che, meno favorevolmente disposti nei nostri riguardi dei militari, ci imporrebbero condizioni ben più gravi ». La mattina successiva, 1 settembre, nell'ufficio di Badoglio al Viminale si riuniscono, con il capo del governo, Castellano, Ambrosio, il ministro degli Esteri Guariglia, il ministro della Real Casa Acquarone e il generale Carboni. Castellano ripete quel che è avvenuto a Cassibile, ed esibisce anche un verbale dei colloqui che lascia chiaramente capire ai presenti come siano inesistenti le possibilita di indurre gli alleati a una maggiore flessibilità. Nel verbale si minaccia la distruzione di Roma «se necessario», qualora gli italiani non accettino, «senza tener conto dell'opinione pubblica cattolica »; si localizza «a Sud di Roma » dove avverrà lo sbarco principale ; si suggerisce che il Re e la famiglia reale si trasferiscano a Palermo, che gli alleati sono disposti•a evacuare, «e dove in una certa misura la sovranità italiana potrebbe essere ristabilita»; si precisa che «l'opinione pubblica anglo-americana non potrà mai accettare che l'armistizio venga concluso dopo lo sbarco». Gli alleati sostengono che negli Stati Uniti e in Inghilterra non sarebbe tollerata la prospettiva di perdite di uomini ad opera degli italiani, quando già l'Italia e gli alleati avessero messo nero su bianco le condizioni di armistizio. La mattina del 2 settembre, Castellano parte per Termini Imerese, su un aereo pilotato dal maggiore Vassallo, il pilota di fiducia di Ambrosio, per la firma dello short armistice.
  18. Dave97

    Il più bello

    Ripensandoci, anche questo non è male!!!
  19. MiG - Filled with hundreds of photographs and line drawings. - Tells for the first time in Engish the story behind Russian’s most secret fighter design bureau - Written by the longtime head of the bureau with an international aviation expert specializing in Russian aircraft. - Presents the most current MiG designs within the context of every version since 1941 - Documents a half-century of landmark technical progress in aviation history - Relates the global circumstances that spawned the MiG enterprise and how it grew into a formidable cold war opponent for the United States. The West’s first look at this secret Russian design bureau describes every MIG version since 1941, including today’s front-line models. Details the mistakes and dead ends as well as the innovations and triumphs. 496 pgs., 334 photos, 6"x9", Price: $49.95
  20. Dave97

    8 Settembre

    Già il 10 agosto Badoglio ha finalmente rotto il suo enigmatico silenzio anche verso collaboratori strettissimi. Ambrosio è stato informato che bisogna munire di ampie credenziali un addetto al comando supremo, e inviarlo a Lisbona perchè prenda contatti con gli alleati. L'emissario scelto è appunto Castellano, cui viene affiancato come buon conoscitore dell'inglese - l'abbinamento durerà fino a Cassibile - il console Franco Montanari. Prima di partire in treno, il 12 agosto, Castellano non vede Badoglio, per quanta possa sembrare assurdo. Incontra il ministro degli Esteri Guariglia, a palazzo Chigi, per pochi minuti, e ne riceve direttive tanto vaghe quanto velleitarie. « Deve cercare di abboccarsi con gli ufficiali dello Stato Maggiore anglo-americano, esporre la nostra situazione militare, sentire quali sono le loro intenzioni, e soprattutto dire che noi non possiamo sganciarci senza il loro aiuto. Consigli uno sbarco a Nord di Roma, e un altro in Adriatico. Uno sbarco a Nord di Rimini risolverebbe da solo la situazione perchè i tedeschi, minacciati sul fianco delle proprie linee di comunicazione, sarebbero costretti a ripiegare dall'Italia centrale a difesa dei passi alpini» Non si sa, in queste istruzioni, cosa vogliamo essere: se degli strateghi che indicano agli alleati quali piani debbano attuare, o dei bambini spauriti che vogliano essere sottratti alle grinfie del cattivo lupo mannaro. Il 15 agosto Castellano è a Madrid dove sir Samuel Hoare, uomo di grande•levatura e intuito, si mostra cordiale e premuroso. La sera del 16 giunge a Lisbona, e la mattina successiva vede l'ambasciatore Ronald Campbell. Ma i suoi interlocutori debbono essere militari. Sono stati scelti nelle persone del generale americano Walter Bedell Smith, capo di Stato Maggiore di Eisenhower, e del generale inglese Kenneth Strong, capo del servizio informazioni del comando alleato nel Mediterraneo. I due, arrivano a Lisbona il 19 agosto. Hanno avuto le ultime istruzioni da Churchill e da Roosevelt, che sono sempre a Quebec, e che il 17 agosto vi hanno convocato i capi dello Stato Maggiore congiunto. In quella occasione si stabilisce che, insieme al documento della resa incondizionata, venga consegnato a Castellano un secondo documento contenente la promessa generica che le clausole dell'armistizio saranno attenuate in relazione all'apporto del popolo e delle forze armate italiane alla lotta contro i tedeschi. La sera di giovedì 19 agosto, nella residenza di Ronald Campbell , Castellano incontra i rappresentanti militari alleati, che sono rigidi e formali. Non salutano, non stringono la mano, si limitano a un cenno del capo. I convenuti siedono sulle poltrone e sul divano di un salotto. Smith dice secco: « Mi risulta che siete venuto per chiedere i termini di un armistizio. Ecco le condizioni » Legge i dodici articoli dello short military armistice e aggiunge: « Questi termini non possono essere discussi, ma solo accettati integralmente. Tuttavia debbo leggervi il testo di un telegramma che ho ricevuto adesso da Quebec, a firma di Roosevelt e Churchill ». Si trattava del già citato documento di Quebec. Castellano vede subito sfumare i suoi sogni di negoziatore: quei sogni che in un certo senso aveva condensati prima della partenza in un promemoria sottoposto ad Ambrosio, e da Ambrosio integralmente approvato, e recepito come fosse opera propria. Castellano pensava di essere accolto quasi come un nuovo alleato, e invece si trova davanti all'esigenza di rispondere si o no a un diktat già preparato, e non modificabile. « Il mio compito », replica Castellano tramite la traduzione di Montanari, « è di esporre la situazione politica dell'Italia, di offrire la partecipazione delle truppe italiane alla lotta contro i tedeschi, e di rendere questa collaborazione effettiva ed efficace ». Smith non si fa commuovere, dichiara che l'alta politica è riservata a Roosevelt e a Churchill, assicura in ogni modo che gli alleati metteranno in ginocchio l'aviazione tedesca portando in Italia le loro forze aeree. Affermazione perfettamente credibile per Castellano, in quanto proprio in quei giorni la penisola era battuta da una serie di indiscriminati e terroristici bombardamenti. I rappresentanti alleati sospettano che l'Italia voglia saltare dalla parte dei vincitori senza una resa formale e non si smuovono dalle loro tesi. Il lungo incontro dalla sera si protrae fino alle sette e mezzo del mattino - ha spesso l'andamento di un dialogo tra sordi, e a volte un andamento proficuo. Castellano riceve assicurazione che la Marina da guerra sarà trattata dignitosamente, che la nostra bandiera non sarà ammainata sulle navi. Il delegato italiano sottolinea inoltre quanto talune clausole - come quella del ritiro delle forze dislocate fuori dai confini, o della consegna degli aeroporti agli alleati - siano irragionevoli e contrastanti con la realtà della presenza tedesca. Smith, cui sta a cuore che l'Italia firmi, ha una risposta per tutto. Le truppe di oltre frontiera si spostino verso le coste: mezzi alleati le raccoglieranno. Quanto alla consegna degli aeroporti e dei prigionieri alleati, non si chiede ciò che è inattuabile, replica. Bedell Smith si chiude in uno scudo di impenetrabilità quando il generale italiano vuole sapere da lui dove e quando avverrà lo sbarco principale in Italia e ottenere che la data dell'armistizio sia conosciuta con una quindicina di giorni di anticipo, affinchè, in base al piano di invasione, possa essere predisposta la difesa e la protezione del governo e della famiglia reale (è curioso come in queste trattative il problema di mettere al sicuro il re e i ministri prevalga, nelle ansie dei negoziatori, su quello di salvare centinaia di migliaia di soldati). L'annuncio, spiega Smith, precederà di poche ore lo sbarco principale: gli italiani ne saranno preavvisati nella giornata stessa. Finalmente ci si occupa delle modalità attraverso le quali il governo italiano comunicherà la sua accettazione. Il generale italiano viene munito di una radio ricevente e trasmittente, occultata in una anonima valigetta. Si provvede a escogitare un cifrario con un libro italiano reperito a Lisbona, infine si fissa per il 30 agosto il termine entro il quale l’approvazione di Roma sarà comunicata. Se ci sarà il si di Badoglio, è previsto un nuovo incontro il primo settembre in Sicilia. Tratto da: 8 Settembre, Mondadori
  21. Dave97

    8 Settembre

    Il 2 e 4 agosto Napoli subisce altre due pesanti incursioni. L'11 tocca a Terni ad essere devastata con oltre 500 tra morti e feriti tra la popolazione. Il 13 agosto un altro duro fendente viene calato su Rama. Malgrado la presenza in volo di una settantina di caccia italiani e tedeschi solo 7 velivoli sui 432 in azione sarebbero stati abbattuti (più altri 3 dalla controaerea). Una percentuale davvero irrisoria, se si tiene conto che l'azione era avvenuta in pieno giorno. Molte bombe cadono sulle abitazioni civili dei quartieri Casilino, Tiburtino, Portonaccio, Appio e Tuscolano, provocando distruzioni e vittime tra la popolazione. L'immediata conseguenza del nuovo attacco fu la proclamazione di Roma «città aperta»: tutti i Comandi militari sarebbero stati trasferiti e la stessa controaerea non avrebbe più aperto il fuoco sul cielo della capitale. Ma ben altri colpi e di maggiore gravità stavano per abbattersi sulle città del Nord. Il Comando bombardieri britannico aveva messo a punto una serie di missioni con lo scopo di rendere praticamente improduttive ai fini bellici e civili le città di Torino e di Milano. Sarebbero stati impegnati 1370 quadrimotori carichi di 4000 tonnellate di bombe e 400.000 spezzoni incendiari. Il primo attacco su Torino e Milano avviene nella notte fra il 12 e il 13 agosto. Nel capoluogo lombardo la saturazione delle bombe in un'area ristretta è tale da rischiare di provocare un'altra Amburgo, la città tedesca appena devastata dalla «tempesta di fuoco» degli incendi. Non c'è pezzo della Milano storica che non subisca immense devastazioni. Sia a Torino che a Milano gli impianti industriali, dalla Fiat alla Breda, dalla Riv alla Pirelli, dall' Alfa Romeo alla Grandi Motori, subiscono danni tali da dover ridurre al minimo la produzione. Le vittime civili sarebbero ascese a 1600, i feriti a 3600 e a quasi mezzo milione i senzatetto . Nell'ultima incursione su Milano il mitragliere di un bomdiere inglese si chiede, vedendo dall'alto quel mare di distruzioni e di fiamme, perchè si continuasse a sganciare bombe: «secondo me» dirà «non c'era più niente da bombardare». Quelle tremende incursioni terroristiche avrebbero subito innescato roventi polemiche (proseguite anche nel dopoguerra). Alla Camera dei Comuni il leader laburista Bevan criticò il governo per la mano pesante usata proprio sulle città italiane che più delle altre, con i loro scioperi, avevano manifestato vivi sentimenti antifascisti. Churchill si difese sostenendo che la durezza degli attacchi doveva convincere Badoglio e casa Savoia a gettare definitivamente la spugna. In effetti, appena si seppe dell'intenzione italiana di trattare la resa, gli attacchi aerei,almeno nel Nord Italia, cessarono. Tratto da : I Disperati
  22. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    Primo Volo Fu un amore a prima vista; un colpo di fulmine! L'aeroplano prototipo, di solito, genera nel pilota collaudatore un sentimento di paterna benevolenza. Lo segue con amorevolezza fin dalla progettazione e lo porta in aria quasi per mano, dai primi passi allo svezzamento. Resolo adulto, sicuro, lo affida a più ruvide mani con la serenità del genitore «che lascia, alla propria sorte, il figliolo divenuto maturo» Vidi per la prima volta il «Re 2005» di già imbastito. Era una ... vamp! Forse, a molti, è inconcepibile la passione di un uomo per una macchina. Eppure, la macchina, ha forme e vigore da provocare il desiderio del possesso. Il «2005» era, a mio avviso, il più bello, il più elegante, il più ... sconvolgente apparecchio da caccia dei similari dell' epoca. Ne seguii, con la passione dell'innamorato, le prove di carico, il montaggio definitivo, la messa a punto a terra. E ricordo, come fosse ieri, i volti e i nomi dei tanti, capaci, modesti uomini che contribuirono alla sua realizzazione. Tirato a lucido, venne ad ammirarlo anche Gianni Caproni. Con l'occhio dell'intenditore e del ... padrone lo squadrò soddisfatto; l'ingegnere, mi augurò buona fortuna sorridendomi bonario. Era stato celebrato un matrimonio. Seguirono le prove-motore, alla presenza dei tecnici della «Daimler-Benz». Trattenuto dai «tacchi» d'arresto e da ormeggi supplementari applicati in coda, l'aeroplano si scuoteva, vibrava impaziente: sembrava volesse svincolarsi per scoccare verso il cielo. Si trattava di prove oculate che richiedevano funzionamenti a pieno regime ed anche l'intervento dei Vigili del fuoco che, con getti d'acqua sul radiatore, provvedevano al raffreddamento ... a «punto fisso». Lo strano intervento contribuiva a suscitare interesse tra i tanti curiosi, contenuti a stento dal servizio di sorveglianza. Mi ero più volte seduto al posto di pilotaggio per prendere familiarità con la disposizione dei comandi e degli strumenti, per la maggior parte di nuovo modello. Sui «Re 2005», tranne il motore e poche minuterie, tutto era sperimentale e da sperimentare: dall'elica al ruotino di coda. Gli esperimenti, a quel tempo, si facevano in volo, senza il tramite del simulatore; pilota e macchina avevano la sorte in comune. Venne finalmente il giorno, nervosamente atteso da tutti, del primo volo. Feci una prima rullata allegra per provare i freni e i timoni, poi, senza incertezze, tirai motore in pieno per il primo assaggio. Mi stuzzicava l' orgoglio di chi ha la fortuna di offrire il braccio ad una vedette per la sfilata in passerella. L'aeroplano, privo di carico, staccò da terra con facilità imprevista, dopo una corsa rettilinea e perfetta che aveva richiesto poche correzioni. Retratti il carrello, il ruotino, gli ipersostentatori, l'apparecchio penetrava nell'aria con la stabilità di un proiettile. E saliva come un pallonetto! In cabina, con i portelli tutti aperti, faceva un caldo insopportabile anche perchè, per accelerare l' esecuzione di questa prima prova, era stata omessa la paratia para-fiamma e il fiato rovente del motore mi scottava le caviglie. Una occhiata rapida agli strumenti-motore: temperatura acqua e olio appena dentro i limiti massimi: il resto regolare. Non bene l'elica «Piaggio» che non manteneva la costanza dei giri e che, anche in seguito, avrebbe pregiudicato le caratteristiche del velivolo. Distratto dalle prime annotazioni, vergate a mano, m'accorsi di aver raggiunto mille metri di quota. Posi il motore a regime di crociera, regolali l’incidenza .del piano fisso fino a non sentire reazioni di barra e mollai la cloche. L'aereo pendeva leggermente a destra ma volava «appoggiato», fermo, sicuro, confermando le doti superlative che la sua bellezza aveva promesso. I comandi, ben compensati, li sentivo efficienti, esuberanti. Diedi subito inizio ad una serie di evoluzioni sul piano orizzontale: guizzava come un delfino senza alcun accenno ai difetti congeniti dei monoplani da caccia del tempo i quali, eccetto i «Reggiane», sfociavano in pericolose autorotazioni. La mia vamp mi stava entusiasmando. Non sentivo più nemmeno il bruciore alle caviglie e - una manovra tira l'altra - mi scappa un tonneau in virata e poi, una serie di tre in volo rettilineo. Era una cannonata! Allora picchiai l'interminabile muso verso terra e tirai, con tutta dolcezza, il primo looping. Ero rovescio e stavo riducendo motore quando un brusco scossone mi sveglia dall'amplesso. Qualcosa di grave era successo; certamente una rottura. Chiusi manetta e completata la gran-volta, planai riducendo la velocità a valori prossimi alla minima prevista che non avevo ancora avuto il tempo di controllare. E ciò, per ridurre le sollecitazioni; ora occorreva portarlo a terra, sano, per non far naufragare il meritato successo. Scendendo lentamente cercai di localizzare l'inconveniente senza riuscire nell'intento. La strumentazione di bordo non registrava anomalie ma «sentivo» che l'apparecchio ... tirava da una parte e che pendeva più di prima. Da terra nessun segnale - non c'era radio a bordo - per cui volendo evitare ulteriori sorprese decisi per l'immediato atterraggio. Mi portai su S. Lazzaro, carrello e ipersostentatori estratti, entrai in campo a zero con il motore «alla mano». Superati i «pettini», chiusi manetta e portai a termine la manovra alla perfezione. Non ebbi nemmeno un attimo di tempo per bearmi dello scampato pericolo perchè, appena lambito il terreno, notai la mancanza di appoggio a destra e l'alettone non riusciva ad opporsi al cedimento. Attimi! Mi resi conto all'istante che non c'era nulla da fare: la miglior cosa era restar fermi e aspettare che la mia vedette avesse portato a termine il suo primo capriccio! Mise l'ala a terra, vi fece perno, punta il naso. Alleggerito sulle cinghie, mi attendevo l'inevitabile, violenta capotata allorchè il «Re 2005» compi il suo primo miracolo: la gamba sinistra, quella sana, cedette alla sollecitazione di derapata ed il bell'aeroplano preferì finire la corsa sul ventre, all'indietro, scivolando sull'erba alta per circa duecento metri. Accorsero i pochi, modesti automezzi dell'officina, i tecnici trafelati, l'autoambulanza. Ero incolume. Ognuno diceva la sua per trovare i motivi del sinistro; essi non tardarono ad emergere. Durante il looping il carrello, non vincolato da ganci di arresto ma trattenuto soltanto dalla pressione idraulica, aveva scardinato il sistema di leveraggio liberando, in folle, la gamba di forza destra. D'altro canto tutto era - lo si è detto - sperimentale: anche il carrello «Reggiane-Magnaghi». In pochi giorni il caccia, che tranne al carrello, all' elica ed ai radiatori non aveva subito danni seri, fu rimesso in sesto ed io potei riprendere le laboriose prove di messa a punto. E la mia recalcitrante «bellezza», cui avevo legato la vita - da onesto innamorato - mi risparmia sempre ogni ulteriore complicazione comportandosi anch'essa da ... vamp onesta! Anche quando la condussi, vertiginosamente, alle velocità prossime al «muro» del suono, nelle prove di affondata. In prove di affondata, a velocitaà sub-soniche, perdettero la vita in quei tempi i collaudatori Colombo e Maggio i cui aerei si disintegrarono in volo. La Regia Aeronautica, prodiga di Medaglie d'Oro al Valore Aeronautico in favore di «atlantici» e «sorci verdi» - i cui exploit permettevano l'accesso alla ... gloria ad Aviatori mediocri ma «figli di papà» cari al regime - non li ha mai ricordati. Io voglio qui rammentarli con affettuosa riconoscenza. E con eguale sentimento desidero rammentare il sacrificio di altri colleghi collaudatori delle «Reggiane»: Gamna, il Conte Scapinelli, il record-man Agello! E Mario De Bernardi, l'asso, il primo pilota del «Re 2000»: volò fino all'ultimo anelito di vita e si spense, sereno, appena posato elegantemente a terra un piccolo aereo da lui ideato. Uomini da leggenda anch'essi! Tullio De Prato - Un Pilota Contadino
  23. Dave97

    8 Settembre

    La commedia degli equivoci Il Re e Badoglio si illudevano di avere ampi margini per negoziare che l'uscita dell'Italia dal conflitto potesse in qualche modo essere «pagata» dagli alleati con robuste concessioni Il 2 agosto parte per Lisbona il marchese Blasco Lanza d' Ajeta, nominato primo segretario presso la nostra legazione in quella capitale. Deve prendere contatti con l'ambasciatore inglese Ronald Campbell, e lo fa il 4 agosto, comunicandogli il desiderio dell'Italia di uscire dalla guerra. Ma non è in grado di proporre e di accettare nulla. Per di più la sua impossibilita di comunicare segretamente e ampiamente con l'Italia lo colloca nella situazione di una lettera che, una volta aperta, non serve più. ******* Quello stesso 4 agosto vola in aereo a Tangeri un altro diplomatico, Alberto Berio, che sostituisce nel consolato generale d'Italia un figlio del maresciallo,Mario Badoglio. Questi ha stretto laggiù rapporti cordiali con il collega britannico, Sir Joseph Gascoigne, e ne ha riferito al padre, il quale si illude evidentemente sui possibili sviluppi dell'iniziativa ******** Intanto il 6 agosto si tiene a Tarvisio una riunione che ha dell’irreale, a un lato del tavolo ci sono Ambrosio e il nuovo ministro degli esteri Guariglia, dall'altro von Ribbentrop e il feldmaresciallo Keitel. Gli interlocutori si guardano in cagnesco e le reciproche domande sono improntate al massimo dei sospetti. I tedeschi ci chiedono apertamente se avevamo iniziato trattative separate con gli alleati; gli italiani rispondono che resteranno in guerra ma nello stesso tempo vogliono sapere perchè tante divisioni germaniche stavano entrando in Italia, attestandosi soprattutto nei dintorni di Roma. Keitel non svela che il suo Quartier Generale aveva già messo a punto il piano Alarico che minuziosamente prevedeva non solo l'occupazione militare dell'Italia ma anche l'arresto del Re e di Badoglio. Guariglia non fa cenno che l'ambasciatore D' Ajeta già si trovava a Lisbona per avviare i primi cauti sondaggi per un armistizio. La commedia degli inganni era in pieno svolgimento. ********* Churchill, che naviga sulla Queen Mary per raggiungere Quebec, dove si incontrerà con Roosevelt, è stizzito da questa sequela di messaggi e messaggeri la cui molteplicità gli sembra «pretesto per prendere tempo : ********* Berio, interprete, come Lanza d' Ajeta, delle istruzioni di Guariglia, insiste sul punto che l'Italia è disposta a trattare. Eden stesso, dopo avere ricevuto istruzioni da Churchill (che a Quebec aveva messo a punto con Roosevelt sia l'atteggiamento da tenere con l'Italia, sia il grande piano strategico delle tre operazioni di sbarco: Overlord in Francia, Bayton in Calabria, Avalanche a Salerno), faceva pervenire in quei giorni a Berio una comunicazione chiarissima: «Non possiamo negoziare, ma esigiamo la resa incondizionata. Questo significa che il governo italiano deve tenersi a disposizione dei due governi alleati, i quali gli faranno successivamente conoscere i loro propositi ». ********** Naturalmente una resa incondizionata è un atto tra militari. Adatti ad offrirla e ad accettarla; non erano dei diplomatici, ma degli ufficiali. Nasce cosi, quando Badoglio e Guariglia sanno della reazione alleata, la missione del generale Giuseppe Castellano. Senonchè, Castellano viene tenuto all'oscuro sia della missione Lanza d' Ajeta sia della missione Berio, e ignora la rigidità alleata sul punto della resa incondizionata. Peggio ancora: si illude di andare a discutere la nuova collaborazione tra gli alleati e l'Italia, contro i tedeschi, non a sanzionare una sconfitta militare. Dal canto loro, in un convulso scambio di note e contro-note tra governi e comandi, gli alleati hanno messo a punto quella che sarà la tattica, alquanto sleale, applicata a Cassibile: in primo luogo riuscire a far accettare agli italiani una «bozza corta – short armistice - » dell'armistizio cosicchè, annota Churchill, « si consegneranno a noi legati mani e piedi », e quindi propinare la « bozza lunga – long armistice » che contiene altre imposizioni e dure clausole. Tratto da : I Disperati 8 Settembre
  24. Dave97

    Pilot Reports

    - F 105 Thunderchief - L 'allarme è stato dato, tutti gli uomini sono ai loro posti in attesa della nuova battaglia. Hanno lasciato il lavoro nei campi correndo nella risaia, mentre la sirena risuonava tra le case del villaggio, ora le ansiose mani guidano le manovelle di governo per orientare i cannoni e lo sguardo scruta l'orizzonte oltre le basse colline di Lang Met: due formazioni di bombardieri sono segnalate in avvicinamento da sud-est e la loro direzione lascia intuire che questa volta l'obiettivo sarà il ponte sul Ron Noi. Una colonna di autocarri proveniente da Nanning, in Cina, attende nella foresta la fine dell'attacco, se il ponte verrà colpito i mezzi attraverseranno il fiume sui traghetti di giunche. Il cielo è 3/8 con cumuli sparsi e offre una magnifica visibilità orizzontale che favorisce il puntamento dei bersagli da entrambe le parti, ma c'e da scommettere che gli yankees avranno molte difficoltà a fare i loro passaggi con questo vento da ovest che li può spingere verso la stretta vallata del fiume. Due giorni fa l'inferno si è scatenato su questo piccolo angolo di Vietnam ed i rottami calcinati di un Phantom schiantatosi nella risaia restano a testimoniare l'asprezza della lotta. Ora ogni istante che trascorre aumenta il nervosismo dei serventi alle batterie, per loro è il momento peggiore perchè gli aerei possono arrivare improvvisamente e bisogna essere pronti ad inquadrare il bersaglio, anche Cha Lang Mi, che è ritenuto il più esperto cannoniere del distretto con 9 abbattimenti, non riesce a contenere l'eccitazione. Il suo pezzo compie scatti irregolari mentre copre il lento angolo di esplorazione assegnatogli dal comandante della postazione. Il silenzio teso è rotto soltanto dagli altoparlanti che trasmettono le comunicazioni dei centri di avvistamento della zona di Hai Duong: "La formazione è ora 30 chilometri a ovest di Dien Bien Phu, procede a 800 Km/h .... sono scesi a 1200 metri ... piegano nuovamente a est in direzione di Bao Ha, sono due squadriglie di quattro velivoli a distanza di cinque minuti ... saranno su Lang Met fra sette-otto minuti ... hanno superato il primo sbarramento di Bao Da, un velivolo è stato colpito ...” I missili non hanno potuto fermarli per la quota troppo bassa e la caccia è impegnata contro gli americani su Hanoi e Halphong, l'ultima difesa è affidata quindi alla contraerea locale che è concentrata sulle rive del Rong Noi, intorno al ponte. Un ultimo sguardo sulla verde risaia ed ecco il consueto, tremendo fischio delle bombe; sul paesaggio tranquillo sfrecciano i primi tre aerei che passano a bassissima quota sull'obiettivo, sono F-105 e le loro lunghe sagome scure superano il ponte per impegnarsi subito in un 'arrampicata vertiginosa, seguita dal rabbioso fuoca delle batterie. La sorpresa è stata completa perchè gli yankees sono arrivati rasentando la cima delle colline, ma le bombe hanno mancato il bersaglio oltrepassandolo di alcune decine di metri; ed ecco la seconda ondata, questa volta attaccano in leggera picchiata da media quota e la contraerea riesce ad inquadrarli subito: il cielo si riempie di esplosioni e di proiettili rossi e arancioni, i mitraglieri sparano con tutte le armi ed il rumore continuo dei cannoncini copre addirittura il rombo degli aviogetti; nonostante il fuoco i 105 sbucano dall'inferno e sganciano allontanandosi dall'obiettivo il ponte è coperto dal fumo ma anche così si vede una sezione metallica pendere nel fiume; hanno colpito duramente, ma anche un 105 si allontana trascinandosi dietro una densa scia di fumo. Gli americani attaccano nuovamente dopo aver ripreso quota, la contraerea ormai ripresasi completamente dalla sorpresa, controbatte con efficacia impressionante: vediamo distintamente alcuni pannelli della coda volare via da un Thunderchief colpito nel ventre da un colpo di 37 mm, l'aereo, dopo un pericoloso sbandamento, sgancia il suo carico e fugge in direzione della foresta. Sembra incredibile che questi caccia possano superare una simile muraglia di fuoco: numerosi sono i colpi che esplodono contro le loro strutture, ma nessuno precipita e nel frattempo continuano a piovere le bombe. Con la terza ondata l'obiettivo si sposta, vengono presi di mira due postazioni di missili a valle del ponte, per alcuni istanti le rampe sono coperte dal fumo mentre le sorde esplosioni e il crepitio delle mitragliere risuonano sulle rive del Rong Noi, poi, improvvisamente, la battaglia finisce. Rapidi come sono venuti, i 105 sono scomparsi, il cielo è ora pieno di fumo e l'odore della cordite bruciata ha raggiunto anche il nostro posta di osservazione. Nessuno ancora si muove, tutti attendono il ricognitore americano che verrà a riprendere la scena dell'attacco; di nuovo gli occhi scrutano l'orizzonte mentre il radar e pronto ad agganciare il bersaglio solitario. Dopo due minuti lo vediamo anche noi scendere in picchiata dalle colline e la terribile muraglia difensiva si riforma nel cielo davanti all'aereo che sguscia incredibilmente tra mille esplosioni scomparendo nella vallata. Ci assale un'ira incontenibile: il ponte danneggiato gravemente e due postazioni SAM colpite senza alcuna perdita avversaria! Ci attacchiamo ai radiotelefoni per comunicare lo svolgimento della battaglia e finalmente riceviamo una buona notizia: un 105 danneggiato dalla contraerea di Lang Met è precipitato a circa 200 Km da noi, il pilota è stato recuperato da un elicottero americano. A Korat i Thunderchief rientrano sgravati del loro carico bellico; le aperture si susseguono ed i caccia atterrano con regolarità raggiungendo subito lo schieramento. Sono segnalate due "emergenze" ed il dispositivo di soccorso attende lungo la pista; uno dei 105 ha avuto i serbatoi danneggiati e sta rientrando letteralmente attaccato ad un KC-135 mentre l'altro è impegnato in una tremenda lotta con l'impianto idraulico colpito dalla contraerea e da un momento all'altro può "andare di sotto". Sono gli ultimi momenti di ansia, ma tutto va bene; sarà stata abilità, sarà stata fortuna? "NO, è il THUD", dicono i piloti appena rientrati dall'azione. Recensione della Populysti Gazetha di Bucarest JP4 , Novembre 1973
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