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I successi degli aerosiluranti italiani nella seconda guerra mondiale


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Per saperne di più, Francesco Mattesini, “I successi degli Aerosiluranti Italiani e Tedeschi in Mediterraneo nella 2^ Guerra Mondiale”, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, marzo 2002, pag. 9 – 94.

 

L’Aeronautica italiana entrò in guerra il 10 giugno 1940 priva di una specialità aerosiluranti. E ciò sebbene essa avesse sperimentato una simile forma d’impiego fin dal 1927, effettuando prove ed esperienze che, come riferì il generale Santoro, che durante la guerra ricoprì la carica di Sottocapo di Stato Maggioredella Regia Aeronautica, furono “condotte assai a rilento senza una precisa visione del problema, e senza una decisa volontà di giungere rapidamente alla sua soluzione”. E questo anche perché “fra l’Aeronautica e la Marina si svolse una poco edificante lotta per stabilire a quale delle due Amministrazioni spettasse l’approvvigionamento dei siluri e su quali dei due bilanci dovesse gravare la spesa relativa”. Una questione che, ha specificato il generale Santoro, l’inizio del conflitto trovò purtroppo “ancora insoluta”.

Per non parlare poi della spiacevole diatriba che si era svolta negli stessi ambienti dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica, tra il generale Valle, ex Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore, e il suo sostituto, generale Francesco Pericolo, che si assunsero entrambi il merito di aver dato vita alla specialità degli aerosiluranti. Una diatriba che assunse toni feroci proprio durante la guerra, e che vide coinvolto lo stesso Capo del Governo italiano, Benito Mussolini, al quale i due alti ufficiali si erano appellati, con lettere personali.

Fu soltanto dopo le prime prove negative fornite dai bombardieri in quota contro il naviglio in mare, che lo Stato Maggiore dell’Aeronautica, avendo ormai percepito inequivocabilmente l’importanza degli aerosiluranti, istituì a Gorizia un primo reparto di cinque trimotori S. 79 che, al comando del maggiore Amedeo Mojoli – poi sostituito dal maggiore Vincenzo Dequal – fu denominato Reparto Speciale Aerosilurante. Si trattava di velivoli da bombardamento, veloci e manovrabili, che fin dal 1937 erano stati prescelti per la loro attitudine al lancio di siluri. In un secondo tempo nel corso del conflitto furono attrezzati per lo speciale impiego anche gli S. 84.

Ma tali aerei, pur essendo più moderni e veloci degli S. 79, non dettero buona prova per la loro minore maneggevolezza e insospettata vulnerabilità; ragion per cui nell’autunno del 1942 essi furono ritirati dalla linea aerosiluranti, a sostenere la quale fu destinata la quasi totalità degli S. 79 disponibili, dal momento che la nostra modesta industria aeronautica non fu in grado di realizzare ex-novo un velivolo più moderno. La realizzazione quale aerosilurante del bimotore Cant Z. 1007, che univa alla doti di velocità e di maneggevolezza la possibilità di trasportare due siluri,non fu portata a buon fine, dal momento che il velivolo non superò lo stato di prototipo.

Come detto, inizialmente gli S. 79 del Reparto Speciale Aerosiluranti furono soltanto cinque, ed uno di essi andò perduto il 15 agosto 1940 alla prima azione bellica, effettuata senza successo, per affrettata preparazione, contro il naviglio da guerra presente nella base britannica di Alessandria. I restanti quattro velivoli, dislocati in Libia, costituirono il 1° settembre 1940 la 278^ Squadriglia, detta per il suo modesto organico dei “Quattro gatti”. A partire dal 28 ottobre di quell’anno fu istituito a Gorizia, al comando dell’allora tenente colonnello Carlo Unia, il 1° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, che servì a preparare, entro il primo semestre del 1941, altre cinque squadriglie poi destinate nei vari settori operativi del Mediterraneo: la 279^ in Sicilia, la 282^ in Libia, la 281^ in Egeo, la 280^ e la 283^ in Sardegna. Queste due ultime squadriglie nell’estate del 1941 costituirono, ad Elmas, il 130° Gruppo Aerosiluranti S. 79, che poi, in settembre, fu raggiunto in Sardegna dall’intero 36° Stormo Aerosiluranti che, essendo costituito dai gruppi 108° e 109° e totalmente equipaggiato con velivoli S. 84, si installò a Decimomannu.

Con la costituzione di altre squadriglie – il cui personale fu in gran parte addestrato dal 2° e 3° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, istituiti, nella seconda metà del 1942, a Capodichino (Napoli) e a Pisa – la specialità, nel frattempo rinforzata con il 32° Stormo (gruppi 38° e 89°), equipaggiato con velivoli S. 84, e con i gruppi 104° e 105°, 13°° e 131° che disponevano dell’S. 79, raggiunse il massimo dell’incremento organico. tanto da poter contare ai primi di novembre di quell’anno su 147 velivoli ripartiti in 12 gruppi d’impiego, ciascuno su due squadriglie. Tale ripartizione organica restò inalterata fino alla fine dell’anno quando furono disciolti alcuni reparti equipaggiati con S. 84, mentre il 36° Stormo, e l’89° Gruppo del 32° Stormo, sostituirono tale tipo di velivolo con il più affidabile S. 79.

Successivamente, di fronte al logorio imposto dalla dura attività per contrastare il traffico nemico che si concentrava nei porti del Nord Africa, perché destinato a partecipare all’invasione della Sicilia (operazione Husky), fu necessario sopprimere altri gruppi, allo scopo di concentrare la massa degli S. 79 ancora operativamente disponibili (circa 70), nel Raggruppamento Aerosiluranti. Esso fu istituito il 1° giugno 1943 con i gruppi, 89°, 41°, 131° e 108°, mentre restarono come reparti autonomi, ma in condizioni organiche completamente deficitarie, il 104° Gruppo dislocato in Egeo, il 132° a Gorizia e il 130° a Littoria (oggi Latina). Quest’ultimo gruppo fu poi soppresso nell’estate, ed i suoi restanti equipaggi furono aggregati a quelli del 132° Gruppo, che fino all’armistizio del 8 settembre 1943 restò il reparto organico di maggior valore operativo, e quello che ottenne i risultati pratici più eclatanti.

Secondo quanto scritto nella lettera del 4° Reparto di Superaereo n. 7025077 del 9 luglio 1943, vigilia dello sbarco degli Alleati in Sicilia, poteva essere fatto assegnamento su circa 280 velivoli siluranti dei tipi S. 79 e S. 79 bis, dei quali 180 destinati alle linee, e 100 di riserva. Tuttavia, dal momento che 170 velivoli dovevano ancora completare la trasformazione in aerosiluranti, prevista nel termine di quattro mesi – con un ritmo di circa 40 esemplari al mese – ne restavano realmente disponibili 110, dei quali, escludendo i 30 assegnati ai gruppi complementari e alle scuole, soltanto 80 velivoli erano ripartiti nei vari gruppi d’impiego

 

***

 

Descrivere le operazioni a cui gli aerosiluranti presero parte sarebbe di natura complessa e di vastità tale da occupare lo spazio per una storia a puntate o per la raccolta di un grosso volume. Ci limiteremo pertanto a trattare, in forma alquanto schematica, quelli che furono i risultati realmente conseguiti, i soli successi che effettivamente ci interessano nella compilazione di questo saggio.

I primi colpi a segno furono messi a segno dai velivoli della 278^ Squadriglia che, come detto, fu il primo reparto aerosilurante costituito. Negli ultimi cinque mesi del 1940, a partire dal 15 agosto, la squadriglia, che ancora si chiamava Reparto Speciale Aerosiluranti, effettuò un gran numero di attacchi contro il naviglio britannico operante lungo le coste libico-egiziane, conseguendo il danneggiamento di tre grossi incrociatori della Mediterranean Fleet: Kent, Liverpool e Glasgow.

Prima di trattare brevemente nel dettaglio come si svolse il siluramento dei tre incrociatori, vediamo quali furono i primi attacchi portati in mare aperto dagli aerosiluranti della 278^ Squadriglia.

Il primo si verificò il 27 agosto 1940, quando un S. 79, con capo equipaggio il tenente Carlo Emanuele Buscaglia, avvistò a 60 miglia a nord-est di Bardia un convoglio britannico partito da Alessandria e diretto in Grecia, al Pireo. Il velivolo lanciò il siluro contro l’incrociatore pesante Kent, ma non riuscì a colpirlo. Seguì, nel pomeriggio del 13 settembre, a sud del Canale di Caso, l’attacco di un altro S. 79 pilotato dal tenente Guido Robone, contro il convoglio AN 3, partito da Porto Said ed anch’esso diretto al Pireo, con la scorta di quattro incrociatori e sei cacciatorpediniere; ma ancora una volta il siluro, lanciato contro un piroscafo di medio tonnellaggio, fallì il bersaglio.

Nel pomeriggio del 17 settembre due S. 79, con capi equipaggio i tenenti pilota Buscaglia e Robone attaccarono, a 40 miglia ad ovest di Marsa Matruh, la cannoniera britannica Ladybyrd che, scambiata per un incrociatore leggero tipo “Delhi”, non fu colpita dai siluri che le passarono di poppa vicinissimi.

Finalmente, la sera di quello stesso giorno 17 ebbe termine la serie degli insuccessi per opera di Buscaglia e Robone che, ripartiti dalla base di El Adem dopo la prima sfortunata azione del pomeriggio, ottennero un primo significativo successo.

Infatti, durante lo svolgimento di un’azione aeronavale della Mediterranea Flette contro obiettivi italiani della Cineraria, la sera del 17 settembre l’incrociatore Kent ebbe il compito di bombardare Bardia accompagnato da due cacciatorpediniere. Alle ore 23.55, trovandosi con notte di luna a 40 miglia dalla posizione di bombardamento assegnata, il Kent fu attaccato dai due aerosiluranti italiani che lanciarono altrettanti siluri da una distanza di 500 yard. Una delle armi colpì l’incrociatore all’altezza della seconda torre poppiera di grosso calibro, presso le eliche, e causò un incendio, danni estesi e la morte di trentadue uomini, nonché

l’arresto della nave. Preso a rimorchio dal cacciatorpediniere Nubiah e protetto da altre unità accorse nella zona, il Kent fu trainato, faticosamente, fino ad Alessandria, distante 250 miglia, ove arrivò alla velocità di undici nodi, nel pomeriggio del 19 settembre; un’impresa che l’ammiraglio Cunningham, considerò “assai ardua”. Al termine di sommarie riparazioni, l’incrociatore salpò in novembre per un arsenale della Gran Bretagna, ove fu rimesso in efficienza.

Il Liverpool, che in formazione con altre unità della Mediterranea Fleet stava rientrando ad Alessandria, dopo aver scortato un convoglio a Malta (operazione “MB. 6”), trovandosi alle 18.55 del 14 ottobre a 60 miglia a sud di Capo Misi – all’estremità orientale di Creta – fu colpito a prora da un siluro lanciato dall’S. 79 del capitano Massimiliano Erasi, nuovo comandante della 278^ Squadriglia. Il danno non era molto esteso, ma l’impatto del siluro, determinando l’incendio e l’esplosione di un deposito di benzina e di parte del deposito delle munizioni prodiere, ebbe la conseguenza di spezzare la parte prodiera dell’incrociatore, fino alla prima torre di grosso calibro, che poi rimase appesa allo scafo. L’incrociatore Orion prese il Liverpool a rimorchio di poppa, e lo trascinò faticosamente per 100 miglia, navigando, inizialmente. alla velocità di nove nodi, poi aumentata dopo che si era staccata di netto la prora del Liverpool. In tal modo l’Orion riuscì a condurlo il Liverpool in salvo ad Alessandria, ove le due navi entrarono alla mezzanotte del 16 ottobre. Il Liverpool restò immobilizzato fino al maggio del 1941, quando poté salpare per un porto della Gran Bretagna ove venne completamente riparato. In definitiva, il Liverpool resto fuori servizio per oltre un anno.

Il terzo incrociatore ad essere colpito dagli S. 79 della 278^ Squadriglia Aerosiluranti fu il Glasgow. Trovandosi, intorno alle ore 12.30 del 3 dicembre, all’ancora nella Baia di Suda, l’incrociatore fu colpito da due siluri lanciati, da circa 300 metri di distanza dai velivoli del capitano Erasi e del tenente Buscaglia, i quali, attaccando dalla parte di terra, arrivarono nella rada di sorpresa prima che le navi e le difese della base britannica avessero aperto il fuoco. Dal momento che i danni non risultarono preoccupanti - il Glasgow, le cui perdite umane erano state limitate a tre morti e a tre feriti gravi - fu in grado di lasciare la Baia di Suda alle ore 23.00 di quello stesso 3 dicembre, e due giorni più tardi, navigando alla velocità di sedici nodi raggiunse Alessandria scortato dall’incrociatore Gloucester e da due cacciatorpediniere. Riparato provvisoriamente, alla fine di febbraio del 1941 fu inviato nelle Indie Orientali, per effettuare in altro arsenale i lavori definitivi.

A partire dal marzo 1941 fu dislocata in Egeo la 281^ Squadriglia, comandata dal neo promosso capitano Buscaglia. Il suo primo successo di questa nuova unità fu conseguito il 18 aprile, quando il tenente Giuseppe Cimicchi affondò nello Stretto di Caso la petroliera British Science. Questa nave, che faceva parte del convoglio AN. 7 partito da Alessandria e diretto al Pireo, era stata precedentemente silurata nel corso di un attacco portato dai velivoli dei tenenti pilota Umberto Barbani e Angelo Caponetti, appartenenti alla 279^ Squadriglia, temporaneamente distaccata dalla Libia a Rodi.

L’8 maggio la 281^ Squadriglia ottenne il suo secondo successo con i tenenti Pietro Greco e Carlo Faggioni, che attaccarono il convoglio AN. 30, partito da Porto Said e diretto a Suda, colpendo con un siluro la motonave britannica Rawnsley. Nonostante i gravi danni riportati, la Rawnsley poté proseguire la navigazione alla velocità di otto nodi, trainata dal trawler Grimsby e scortata dal cacciatorpediniere australiano Waterhen. Portata ad incagliare nella Baia di Ieropetra, sulle coste meridionali di Creta, la Rawnsley venne distrutta nella notte sul 12 maggio da aerei da bombardamento tedeschi dell’8° Fliegerkorps che, dopo la resa della Grecia, si erano installati sugli aeroporti ellenici.

Dopo un periodo di attività non confortato da nessun altro risultato positivo, l’11 agosto il capitano Buscaglia e i tenenti Giulio Cesare Graziani e Aldo Forzinetti attaccarono, a 40 miglia a nord-ovest di Porto Said, il posareti britannico Protector. Colpito alle ore 16.30 dal siluro sganciato dal tenente Forzinetti, che causò l’arresto della sala macchine, l’uccisione di due uomini, e tre feriti, il Protector fu rimorchiato a Porto Said dalla corvetta Salvia, per poi essere inviato a Bombay ove ultimò le riparazioni.

Il 20 agosto i velivoli di Graziani e di Forzinetti attaccarono a nord di Porto Said la petroliera britannica Turbo. Colpita da un siluro ed avendo riportato danni considerevoli, la nave affondò nel porto di Beirut che aveva raggiunto dopo una lenta e faticosa navigazione.

Infine, il 23 novembre, gli S. 79 di Buscaglia e del tenente Luigi Rovelli attaccarono a nord di Marsa Matruch la grossa nave da sbarco per fanteria (L.S.I.) Glenroy, anch’essa di nazionalità britannica. Nell’occasione quella nave fu colpita gravemente dal siluro sganciato da Buscaglia. Il Glenroy. L’unità, che trasportava mezzi da sbarco a ottanta soldati destinati alla guarnigione di Tobruk, e che era scortato dall’incrociatore contraereo Carlisle e da due cacciatorpediniere, si arrestò con una stiva e la sala macchine allagata, e fu portata dapprima ad incagliare sulla vicina costa, e poi, trainato da due rimorchiatori, condotta ad Alessandria da dove era

salpata per la sua missione.

La 279^ Squadriglia, che dopo il siluramento della petroliera British Science era ritornata in Libia, nel restante scorcio del 1941 operò intensamente lungo le coste della Cirenaica e dell’Egitto occidentale, e con i suoi siluri arrivò a segno altre tre volte contro navi britanniche.

La sera del 27 agosto, il capitano Giulio Marini attaccò con decisione una formazione di quattro incrociatori britannici, che erano scortati da tre cacciatorpediniere, e alle ore 21.19, trovandosi a 30 miglia a nord di Bardia, centrò con il siluro il Phoebe. Questo incrociatore leggero, che per mezzo del radar aveva percepito l’avvicinamento dell’aereo italiano, dopo aver controllato le avarie e scortato da quattro cacciatorpediniere, riuscì a rientrare ad Alessandria precedendo alla velocità di dodici nodi. Il 13 ottobre, dopo lavori sommari, il Phoebe lasciò il Mediterraneo per essere riparato nei cantieri statunitensi di Brooklyn, per poi rientrare in Gran Bretagna nel maggio del 1942.

Il 1° dicembre tre S. 79 della 279^ Squadriglia guidati dal capitano Giulio Marini, che aveva per gregari i tenenti Aligi Strani e Giuseppe Coci, attaccarono, presso Marsa Luck, una formazione di tre cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet, colpendo il Jackal. L’esplosione del siluro ridusse la poppa del cacciatorpediniere ad un ammasso di ferraglia. Tuttavia il Jackal riuscì a raggiungere Alessandria, rimorchiato dal sezionario Jaguar, alla velocità di 14 nodi.

Infine, il 5 dicembre, il tenente Guglielmo Ranieri attaccò presso Marsa Luck il convoglio TA 1, e determinò il rapido affondamento del piroscafo ausiliario Chakdina, che trasportava 300 soldati britannici e 100 e prigionieri italiani evacuati da Tobruck, tra cui il generale tedesco von Ravenstein. Poco prima di essere colpita la Chakdina aveva evitato il siluro sganciato dal capitano Massimiliano Erasi, comandante della 284^ Squadriglia A.S. – da poco tempo dislocata in Libia – mentre un suo gregario, il tenente Alfredo Pulzetti, dopo aver visto nella stessa zona una nave semisommersa, che era certamente la Chakdina, lanciò il siluro contro un presunto incrociatore, mancando il bersaglio.

 

***

 

Nel Mediterraneo occidentale i successi furono iniziati il 23 luglio da sei S. 79 della 283^ Squadriglia che, assieme ad altri due aerosiluranti della 280^ squadriglia, attaccarono un grosso convoglio diretto a Malta (operazione Substance), che procedeva fortemente scortato dalla Forza H, la squadra navale dislocata a Gibilterra.

Gli aerosiluranti della 283^ Squadriglia, contrastati da un intenso fuoco di sbarramento delle navi, attaccarono il convoglio, ripartiti in due pattuglie di tre velivoli ciascuna, una delle quali, con capi equipaggio i tenenti Roberto Cipriani, Bruno Pandolfi e Francesco Aurelio Di Bella, lanciò i siluri contro le navi nemiche da una distanza stimata tra i 600 e i 1000 metri. Nel Diario Storico della 283^ Squadriglia è riportato l’affondamento di due piroscafi, il primo dei quali era stato visto saltare in aria per l’esplosione di un carico di munizioni. Inoltre, al tenente Pandolfi, il cui aereo durante il disimpegno era stato colpito e costretto ad ammarare, fu accreditato il siluramento di un incrociatore da 10.000 tonnellate tipo “Southampton”. (22)

Nell’immediato dopoguerra, quando furono conosciuti i reali risultati conseguiti nell’attacco, nel corso del quale erano state colpite due unità da guerra, fu ritenuto di dover assegnare al tenente Pandolfi il danneggiamento dell’incrociatore Manchester, e al tenente Cipriani l’affondamento del cacciatorpediniere Fearless.

In realtà i risultati conseguiti, basati sull’ordine di attacco dei tre velivoli della pattuglia (Cipriani, Pandolfi, Di Bella) e sulla relazione del comandante della Forza H, il famoso vice ammiraglio James Somerville, portano a ben diverse conclusioni.

Come è anche confermato nelle relazioni dell’Ammiraglio britannico, risulta che i primi due S. 79 della 283^ Squadriglia attaccarono entrambi il Fearless, il quale dopo aver evitato il primo siluro fu raggiunto dal secondo. Il Manchester fu invece colpito dal siluro sganciato dal terzo aereo della pattuglia. Questi aveva cambiato all’ultimo momento direttrice d’attacco, puntando su una delle due navi mercantili che si trovavano vicini all’incrociatore, il quale stava a sua volta manovrando per evitare di entrare in collisione con il piroscafo Port Chalmers. Sulla base di ciò dovremmo arrivare alle seguenti conclusioni: il primo siluro, lanciato da Cipriani contro un piroscafo dall’esterno dello schermo dei cacciatorpediniere, andò perduto dopo essere passato vicino al Fearless; il secondo siluro, lanciato da Pandolfi, colpì con effetti disastrosi il Fearless, e non il Manchester; quest’ultimo fu certamente colpito da Di Bella che, sganciando contro uno dei piroscafi, centrò invece l’incrociatore il quale, manovrando sulla sinistra per evitare di scontrarsi con il Port Chalmers, si trovò ad attraversare la direttrice di marcia del siluro.

Comunque stessero i fatti, non vi sono dubbi che l’attacco degli S. 79 della 283^ Squadriglia Aerosiluranti venne condotto dai piloti con una determinazione che fu elogiata dallo stesso ex nemico. Ha scritto infatti lo storico britannico capitano di vascello Donald Macintyre:

 

“Si trattò di un attacco sviluppato molto abilmente dagli aerosiluranti italiani, un attacco che regge favorevolmente il confronto con le analoghe operazioni diurne compiute dgli Swordfish dell’aviazione navale”.

 

Un altro risultato positivo fu conseguito l’indomani, 24 luglio, dagli equipaggi della 280^ Squadriglia che attaccarono, presso l’Isola La Galite, il convoglio britannico MG 1, partito da Malta e diretto a Gibilterra. All’azione parteciparono gli S. 79 del capitano Amedeo Majoli e del tenente Ugo Rivoli, che riuscirono a danneggiare con un siluro il piroscafo olandese Hoegh Hood. Fu invece sfortunata l’azione svolta il 27 agosto, a sud della Sardegna, dal tenente Alessandro Setti contro il piroscafo britannico Deucalion, dal momento che il siluro, pur arrivando sul bersaglio, non esplose.

Anche la famosa 278^ Squadriglia, che a partire dal gennaio 1941 era stata spostata dalla Libia in Sicilia, nel corso dell’anno conseguì un solo successo con il capitano Dante Magagnoli. La sera del 27 settembre, durante la grande operazione britannica “Halberd” messa in moto da occidente per rifornire Malta, Magagnoli colpì e affondò a nord di Biserta il grosso piroscafo inglese Imperial Star.

Il convoglio dell’operazione “Halbert” era stato attaccato quello stesso giorno in forze dagli aerosiluranti della Sardegna, e nel corso delle azioni, a cui parteciparono 25 velivoli, il maggiore Arduino Buri, Comandante dell’108° Gruppo del 36° Stormo, attaccò la corazzata Rodney, senza però riuscire a colpirla. La gemella Nelson, che rispetto alla Rodney si trovava sul fianco sud del convoglio, fu invece attaccata positivamente dal comandante del 36° Stormo, colonnello Helmut Seidl, che guidava gli equipaggi del 109° Gruppo. Colpita dal siluro, sganciato da breve distanza dal colonnello Seidl, prima che il suo S. 84 fosse stato abbattuto nella fase di scampo, la Nelson riportò a prua danni considerevoli che la costrinsero a riparazioni che si prolungarono per ben sei mesi.

L’azione aerea che portò a questi risultati è stata da noi ampiamente descritta in un grosso saggio, pubblicato dal Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, di cui si riportano di seguito i fatti più salienti riferiti all’azione che portò al danneggiamento della Nelson.

Fra le 13.00 e le 13.30, i venticinque aerosiluranti attaccarono, in tre ondate e sui due lati, la formazione navale britannica. Questa reagì con fortissimo fuoco contraereo, sviluppato dalle artiglierie alla massima distanza, mentre i caccia Fulmar dell’Ark Royal intercettarono gli aerei in avvicinamento, che erano stati percepiti dai radar alla distanza di 30 miglia. La portaerei britannica, che al momento del primo allarme radar aveva in volo otto Fulmar dell’808° Squadron, fece subito alzare altri sette caccia e li mandò tutti ad intercettare gli aerei italiani; continuò poi a ricevere e a far ripartire aerei durante tutto l’attacco, che fu iniziato da sei S. 84 del 108° Gruppo (maggiore Arduino Buri), proseguito dai sei del 109° Gruppo (colonnello Helmut Seidl), e dai tre velivoli della 282^ Squadriglia (capitano Marino Marini), ed infine, concluso dagli undici S. 79 del 130° Gruppo (capitano Giorgio Grossi), che pur essendo decollati per primi erano stati sorpassati dai più veloci S. 84.

Alcune pattuglie del 130° Gruppo, trovandosi esposte al fuoco nemico dalla parte più sgombra di nubi, ritardarono lo svolgimento dell’azione celandosi dietro piovaschi, mentre i cinque della 279^ Squadriglia preferirono rientrare con il siluro. Tutti gli altri velivoli, in particolare quelli del 36° Stormo, diressero invece bravamente in avanti, andando incontro a perdite rilevanti. Sette aerosiluranti (due S. 84 del 108° Gruppo, quattro del 109° Gruppo e un S. 79 del 130°) andarono perduti assieme ad un caccia CR. 42 della scorta. Tuttavia, le azioni furono condotte con determinazione tale che molti velivoli riuscirono a superare lo schermo avanzato dalla formazione britannica, per lanciare i siluri contro le grandi navi. La corazzata Rodney fu mancata di poco, assieme ai cacciatorpediniere Lance, Isaac Sweers e Lightning, mentre invece la Nelson, la nave ammiraglia di Somerville, presa a bersaglio da due S. 84 nel corso del secondo attacco, fu colpita a prora e dovette ridurre la velocità.

L’azione contro la corazzata fu descritta nel rapporto del Comandante della Forza H con le seguenti parole:

 

“Il radar rivelò che un gruppo di aerei, che si divideva in due formazioni si stava avvicinando al convoglio da Est alle 13.27. I cacciatorpediniere dell’ala destra dello schermo aprirono il fuoco alle 13.29, quando sei o sette BR. 20 [erano gli “S. 84” del 109° Gruppo – N.d.A.] furono visti avvicinarsi molto bassi sul mare dalla prora al traverso a dritta. Tre di questi apparecchi spinsero l’attacco oltre lo schermo dei cacciatorpediniere e portarono a fondo un attacco estremamente deciso contro la NELSON che stava accostando a dritta per evitare le scie dei siluri. Un aereo lanciò il siluro da 20° di prora a dritta della nave, alla distanza di 450 yard passando poi sul bastimento a circa 200 piedi di altezza. Esso fu certamente abbattuto di poppa alla NELSON dallo SHEEFFIELD e dalla PRINCE OF WALES. La scia dei siluri non fu vista fino a circa 150 yard di prora alla corazzata, la quale frattanto aveva assunto una rotta che era esattamente l’opposto alla scia. Non fu possibile in quel momento fare niente altro per evitare il siluro; si avvertì un gran colpo, la nave vibrò considerevolmente ed una grande colonna di acqua si alzò a circa 15 o 20 piedi sul castello di prora a sinistra. La velocità della NELSON fu ridotta a 18 nodi, in attesa di chiarire la situazione.

Pochi secondi più tardi un altro silurante della stessa formazione lanciò un siluro da circa 500 piedi di quota a 1.000 yard di distanza sulla prora a dritta della NELSON; il siluro passo a circa 100 yard sulla dritta. Il terzo aereo della formazione fu abbattuto dai cacciatorpediniere. Nel frattempo tre o quattro aerosiluranti, che si erano staccati da questo gruppo attaccavano dal lato dritto senza successo. Un aereo fu abbattuto dai pom-pom della RODNEY, ma l’equipaggio fu salvato. Complessivamente tre apparecchi nemici dei sei o

sette impiegati furono abbattuti ma la NELSON era stata colpita; ciò riduceva la sua velocità, non la sua capacità offensiva col cannone.”

 

Da parte italiana il siluramento della Nelson fu in buona fede accreditato al comandante del 108° Gruppo maggiore Buri, che però guidò il primo attacco della giornata alle 13.05, e sul fianco sinistro della formazione britannica, lanciando il siluro da una distanza di 1.500 metri rispetto al bersaglio. La corazzata, come è ben spiegato nel rapporto dell’ammiraglio Somerville, fu colpita da un aereo, che si spinse fino a 450 yard (411 metri) di distanza, alle 13.30 ora in cui si sviluppò, sul fianco destro del convoglio (dove si trovava la Nelson), l’attacco del 109° Gruppo, che aveva alla testa delle sue due pattuglie il comandante del 36° Stormo, colonnello Emo Seidl. Tale azione fu descritta come segue dal comandante del 109° Gruppo, maggiore Goffredo Castaldi, in una relazione datata 10 ottobre 1941.

 

“L’attacco è portato contro il centro e la coda della formazione navale. I due apparecchi della prima pattuglia, dopo aver iniziato l’accostata per l’attacco sono perduti di vista.

Degli apparecchi partecipanti all’attacco solo due rientrarono alla base alle 14.20 e 14.35: entrambi hanno lanciato il siluro contro un Incrociatore che seguiva sul lato destro una nave da battaglia tipo “Nelson”.

 

La perdita dei due velivoli della prima pattuglia, che era quella guidata dal colonnello Seidl, non mi ha permesso di poter stabilire con precisione quale fu la loro manovra d’attacco, che dobbiamo supporre concretamente portò al siluramento della Nelson. Non posso pertanto asserire a quale dei due equipaggi spetti la palma del successo contro la corazzata britannica, ma posso ragionevolmente ritenere che sia stato conseguito dal comandante del 36° Stormo, in considerazione del fatto che egli stava guidando l’attacco e che la Nelson fu colpita dal primo siluro sganciatogli contro da un distanza di 411 metri circa.

Il successo di Seidl, o del suo gregario (capitano Bartolomeo Tomasino), è poi convalidato dal fatto che nella Relazione di Squadra del Comando dell’Aeronautica della Sardegna (Mod. AC. 2) riferita al 108° Gruppo è scritto:

 

“E’ stata notata una colonna di fumo alta circa trecento metri, elevarsi da una nave da guerra di tipo imprecisato sulla quale sono stati lanciati i due siluri. Tale colonna è rimasta fino a distanza di circa 40 Km”.

 

Naturalmente i due equipaggi superstiti del 109° Gruppo, tra cui il comandante del reparto maggiore Gastaldi, ritennero di aver colpito l’incrociatore preso a bersaglio, che seguiva la nave da battaglia tipo “Nelson”, mentre in realtà l’incendio visibile da grande distanza si era proprio sviluppato sulla nave ammiraglia di Somerville. Visto come si svolse l’attacco è certo che l’azione contro quella nave era stato portato da uno dei velivoli di non rientrati alla base, come affermò all’epoca il capitano pilota Santoro. Questi, essendo al comando dei velivoli Cr. 42 del 24° Gruppo Caccia, e trovandosi quindi sul cielo della battaglia, sostenne, nel suo rapporto di missione, che l’aereo che aveva colpito la Nelson era stato abbattuto

immediatamente dopo il lancio del siluro.

Quanto al maggiore Buri egli attaccò certamente la Rodney, come è dimostrato da alcune fotografie scattate nell’occasione dagli equipaggi del 108° Gruppo.

Quella corazzata si trovava sul fianco sinistro del convoglio e la sua sagoma era esattamente simile a quella della gemella Nelson. Per evitare il siluro, sganciato come detto da una distanza di circa 1500 metri, la corazzata fu vista accostare di 90° a sinistra. In effetti, quando alle 13.05 si sviluppò l’attacco del 108° Gruppo A.S., la Rodney accostò a sinistra, anche se soltanto di 60°, per schivare il siluro che, come poté ancora accertare il capitano Santoro, passò a soli venti metri di distanza da quella nave da battaglia.

Conclusasi l’operazione “Halberd”, nei giorni 14 ottobre e il 14 novembre, gli aerosiluranti della 283^ Squadriglia ottennero due successi contro altrettanti piroscafi isolati, diretti da Gibilterra a Malta, che furono attaccati nei pressi dell’Isola Galite, a nord della costa della Tunisia. Si trattava dei piroscafi britannici Empire Guillemot ed Empire Pelikan, che furono entrambi affondati dai velivoli “S. 79” aventi per capo equipaggio i tenenti Guido Focacci e Camillo Barioglio.

Nella stessa zona, il 15 novembre, il comandante del 108° Gruppo del 36° Stormo Aerosiluranti, maggiore Buri, affondò con il suo velivolo S. 84 della 256^ Squadriglia il piroscafo britannico Empire Defender che, navigando isolato da Malta verso Gibilterra, fu attaccato nei pressi dell’Isola Galite. Successivamente, poco più a levante, nella zona a nord di Biserta, nel pomeriggio del 22 dicembre due piloti della 258^ Squadriglia del 109° Gruppo del 36° Stormo Aerosiluranti, il capitano Calcedonio Baculo e il tenente Mario Corsi, furono protagonisti di un disgraziato incidente, determinato da errato riconoscimento del bersaglio. Essi, infatti, avvistarono, attaccarono e colpirono, con il siluro scagliato dall’aereo S. 84 del capo formazione, il piroscafo italiano Honor, sul quale decedettero sei uomini dell’equipaggio. Fortunatamente la nave, che partita da Napoli era diretta a Bona, riuscì a salvarsi, raggiungendo a rimorchio il porto di Algeri.

 

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Tra il dicembre 1941 e il maggio 1942 gli aerosiluranti italiani nonostante l’incremento sugli organici – e lo positive, spesso roboanti, affermazioni di successo dichiarato dagli equipaggi di volo – non arrivarono a segno neppure con un siluro; e ciò rappresentò un fattore estremamente negativo, che nettamente contrastava con l’intensa attività bellica espletata e le molteplici roboanti affermazioni di successi, ottimisticamente dichiarati dagli equipaggi, riportati su documenti ufficiali e trasmessi sui bollettini di guerra.

Di questo stato di fatto si rese perfettamente conto il generale di squadra aerea Rino Corso Fougier, Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica. Il 28 marzo 1942, subito dopo la conclusione delle azioni offensive svolte contro un convoglio britannico, salpato da Alessandria – e che avevano portato la flotta italiana ad intercettarlo nel Golfo della Sirte, senza però riuscire ad impedirgli di raggiungere Malta – il generale Fougier diramò ai comandi di Aeronautica e di Squadra Aerea una direttiva, dall’oggetto “Azioni offensive degli aerosiluranti” (Prot. N. 1B/4307). In essa, per ottenere in futuro migliori risultati di quelli che, erroneamente, egli riteneva fossero stati conseguiti, Fougier raccomandava quanto segue: (1)

 

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(1) In una lettera dell’Ufficio Aerosiluranti dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica, datata 5 febbraio 1942 e inviata ai Comandi di Aeronautica e di Squadra Aerea con protocollo n. 9/556, il Sottocapo di Stato Maggiore, generale di squadra aerea Giuseppe Santoro, portava a conoscenza che “in diciassette mesi di attività bellica aerosilurante” erano “stati compiuti 137 attacchi e sganciati 214 siluri dei quali 140” erano “andati a segno”. Il risultato conseguito, secondo il citato ottimistico documento, era stato il seguente: “14 navi affondate (delle quali 12 da guerra) e 64 colpite (delle quali 58 da guerra). Naturalmente, questi risultati, “raffrontati al modesto numero di siluri e di velivoli siluranti disponibili” (al momento erano in carico ai reparti d’impiego poco più di 50 aerosiluranti), furono considerati “del tutto lusinghieri”; e si presumeva che sarebbero considerevolmente aumentati con il previsto incremento dei reparti aerosiluranti, che si stavano allora costituendo (7°, 32° e 46° Stormo). Occorre comunque dire che i successi dichiarati dal generale Santoro erano fuori della realtà, dal momento che fino ad allora erano state affondate soltanto 8 navi, delle quali una da guerra (cacciatorpediniere Fearless) e 7 mercantili, e ne erano state colpite 11, delle quali 7 da guerra e 4 mercantili, compreso, per errore, il piroscafo italiano Honor.

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“In occasione di recenti azioni offensive svolte in Mediterraneo contro unità navali ho constatato che i velivoli impiegati sono stati suddivisi contro obiettivi diversi. (2)

In tal modo, pur raggiungendo buoni risultati [sic], a causa del frazionamento delle forze, non si è ricavato il rendimento che l’entità dei mezzi avrebbe potuto offrire.

E’ chiara la convenienza di affondare una sola unità, anziché danneggiarne alcune.

Pertanto è necessario far convergere l’offesa su un unico o su pochi obiettivi, se si tratta dell’impiego di vari Reparti, allo scopo di raggiungere risultati veramente tangibili e decisivi

E soprattutto non bisogna mai dimenticare il principio di adeguare le forze alla importanza dell’obiettivo.

Naturalmente da queste norme si potrà derogare nel caso di previsto o constatato intervento di reazione aerea nemica (presenza di navi portaerei o vicinanza di basi aeree nemiche), oppure nel caso di unità capaci di forti concentramenti di fuoco contraereo.

In simili circostanze sarà più vantaggioso lanciare gli attaccanti in direzioni diverse allo scopo di costringere al frazionamento la reazione nemica.

Avverto, inoltre, che ammetto estrema importanza all’accertamento dei risultati, non solo agli effetti diretti dell’azione e del dovuto riconoscimento a chi vi ha partecipato, ma soprattutto per gli apprezzamenti che ne derivano sulla reale situazione del nemico.

Non sono ammesse formule vaghe che lascino dubbio sui reali effetti conseguiti e che, in pratica, equivalgono a non aver colpito l’obiettivo.

Tale accertamento, che dovrà essere documentato, quando possibile, da ripresa fotografica, è sempre agevole ogni qualvolta non vi sia nave portaerei e quindi è consentito ai velivoli di restare a distanza utile visiva, fuori del raggio d’azione delle artiglierie contraeree.

Ciò vale principalmente per i piroscafi i quali, sebbene colpiti, affondano

rapidamente.

 

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(2) Il generale Fougier si riferiva alle azioni degli aerosiluranti che si erano svolte nei giorni tra il 21 e il 24 marzo 1942, contro un convoglio britannico diretto da Alessandria a Malta. Nell’occasione, secondo la relazione di Superaereo, “Azioni aeree dei giorni 21-22-23-24 marzo 1942 contro forze navali nemiche in navigazione fra Alessandria e Malta”, i risultati conseguiti dagli aerosiluranti erano stati considerati “ottimi”, dal momento che si riteneva fossero stati messi a segno dieci siluri su navi da guerra e tre su navi mercantili. Ne sarebbe stato conseguito il sicuro affondamento di un incrociatore e il danneggiamento di almeno sei incrociatori, di altre tre navi da guerra tra incrociatori e cacciatorpediniere, e tre piroscafi. Si trattava, in definitiva, di uno stravagante e super ottimista resoconto di Superaereo, che non trovava assolutamente riscontro nella realtà, perché sarebbero stati colpiti molti più incrociatori di quelli presenti nel convoglio britannico, mentre in realtà, neppure un siluro fu messo a segno dagli aerosiluranti, tre dei quali non rientrarono alla base. Queste incredibili affermazioni dell’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica sollevarono all’epoca sarcastici commenti in una relazione di Supermarina.

 

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Nonostante la diramazione di queste direttive, continuarono a verificarsi attacchi di aerosiluranti nazionali non confortati da alcun risultato positivo.

Alla fine di marzo, si verificò la partenza da Malta di un incrociatore britannico (il danneggiato Aurora, scortato dal cacciatorpediniere Avon Vale), che fu intensamente ed inutilmente attaccato sulla rotta per Gibilterra dagli aerosiluranti della Sardegna, in particolare dagli S. 84 del 36° Stormo, che impegnò quattordici velivoli, mentre il 130° Gruppo impegnò tre S. 79. Il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, si mostro, ancora una volta, deluso che neppure un siluro, dei diciassette sganciati, fosse arrivato a segno su quella nave nemica. E nuovamente, con frasi ancora più dure di quelle espresse in precedenza, egli mostrò tutta la sua irritazione in due successivi messaggi inviati al 36° Stormo, tramite il Comando dell’Aeronautica della Sardegna.

Nel primo messaggio del 31 marzo il generale Fougier telegrafò:

 

“1B/4400 – SUPERAEREO PUNTO Comando 36° Stormo /./ Azione siluramento giorno 30 non può avermi soddisfatto /./ Mi auguro che equipaggi 36° Stormo sappiano in avvenire essere degni massima ricompensa che fregia loro bandiera. Generale FOUGIER “.

 

Per “massima ricompensa” che fregiava la “loro bandiera” il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, si riferiva alla Medaglia d’Oro al Valor Militare, assegnata al 36° Stormo dopo il sacrificio dei suoi equipaggi nelle operazioni contro il convoglio britannico dell’operazione “Halberd” , attaccato il 27 settembre 1941, in cui era stata silurata dal colonnello Seidl la corazzata Nelson.

Nel secondo messaggio, diramato il 5 aprile, e destinato personalmente al Comandante del 36° Stormo, colonnello pilota Giovanni Farina, che aveva tentato di giustificare il fallimento delle azioni dei suoi velivoli, il generale Fougier, affermava:

 

“Sono come voi convinto che molte circostanze, fra le quali non ultima la sfortuna [sic], abbiano concorso all’insuccesso del 31 marzo /./ La mia dolorosa constatazione non diminuisce la stima che ho per gli equipaggi del 36° Stormo e per il suo alto spirito /./ Sono certissimo che le prove del domani saranno migliori e conforme alle gloriose tradizioni del Reparto /./ Le vostre assicurazioni mi hanno fatto piacere ma le considero superflue, in quanto mio convincimento sulla migliore volontà dei vostri equipaggi est profondamente radicato et inalterabile. A voi ed ai vostri dipendenti giungano il mio augurio la conferma della mia stima /./ Generale FOUGIER “.

 

Ancora non contento di come si era verificato quel fallimento, e allo scopo di imporre agli equipaggi di tutti i reparti aerosiluranti di attaccare con maggiore determinazione e precisione, il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, quello stesso giorno 5 aprile, diramò a tutti i Comandi di Grande Unità Aerea la seguente tassativa direttiva:

 

“Recentemente una cospicua formazione di velivoli siluranti, lanciati all’attacco di un incrociatore nemico navigante isolato ad alta velocità, non ha conseguito alcun risultato nonostante che tutti gli equipaggi si siano prodigati nell’azione con l’abituale ardimento.

La ragione dell’insuccesso, a parte le condizioni di scarsa visibilità nella zona, è da attribuirsi alla mancata simultaneità dell’attacco dei siluranti, avendo essi condotta l’azione singolarmente, e dato così al nemico – particolarmente manovriero perché isolato e molto veloce – la possibilità di evitare i siluri, uno dopo l’altro.

Ciò mi costringe a ribadire il concetto della simultaneità degli attacchi [sottolineato nel testo] dei singoli componenti una formazione lanciata in azione di siluramento, precisando che ogni velivolo della formazione dovrà condurre l’azione con manovra cinematica indipendente ma tatticamente vincolata alla simultaneità dell’offesa verso lo stesso obiettivo.

Tal concetto fondamentale ed assoluto di tattica di attacco dei siluranti, deve costituire un alito professionale tanto dei Comandanti che dei gregari. (3)

Il Comandante di una formazione aerea è tale non solo perché conduce la formazione, ma soprattutto perché stabilisce una tattica di attacco che, avendo per base il criterio di cui sopra, comprende tutte le altre modalità d’azione idonee al conseguimento dei massimi risultati.

Prego richiamare su quanto sopra tutti i Comandi di unità siluranti”.

 

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(3) Mentre da una parte si indicava per gli aerosiluranti di effettuare attacchi in massa, allo scopo di conseguire migliori risultati, accadeva anche che le azioni offensive venissero contemporaneamente frenate dalla deficienza di siluri, che imponeva di usarli con parsimonia e sui bersagli più rappresentativi. Il 2 aprile 1942, infatti, lo stesso generale Fougier fece trasmettere ai Comandi della 5^ Squadra Aerea (Libia), e dell’Aeronautica della Sardegna, della Sicilia e dell’Egeo la seguente direttiva: “1B/4580 SUPERAEREO PUNTO Tenuto conto limitata disponibilità siluri et difficoltà reintegro prego dare agli equipaggi chiare disposizioni affinché tali armi siano lanciate contro bersagli adeguati et siano sganciate soltanto se gli elementi e le condizioni di lancio offrono buone probabilità di successo punto Fine telegramma”.

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Nonostante gli ordini impartiti tendessero a rendere più efficienti le azioni degli aerosiluranti, i risultati deludenti continuarono a manifestarsi anche nei giorni immediatamente successivi, nei confronti dell’incrociatore britannico Penelope, salpato da Malta la sera dell’8 aprile e diretto a Gibilterra. Superato nella notte il Canale di Sicilia, il Penelope fu avvistato il mattino del 9 da un idrovolante della Ricognizione Marittima in lat. 37°23’, long. 10°15’, mentre procedeva con rotta 270°, ma riuscì a rendere vani, con la manovra e con il fuoco contraereo, le successive azioni offensive di ben trentuno velivoli dell’Asse.

Gli attacchi, a cui presero parte, in più ondate, sei aerosiluranti e sei bombardieri S. 84 del 36° Stormo, cinque aerosiluranti S. 79 del 130° Gruppo, e quattordici bombardieri tedeschi Ju. 88, si verificarono, lungo le coste dell’Algeria, ma il Penelope evitò di rimanere colpito, reagendo con la manovra e con un nutrito fuoco contraereo. Il mattino del 10 aprile, l’incrociatore entrò a Gibilterra accolto, meritatamente, in modo trionfale. Il Penelope fu subito immesso in bacino per effettuare riparazioni di carattere temporaneo. Fu poi inviato in un cantiere degli Stati Uniti, ove arrivò ai primi di giugno, per le riparazioni definitive.

 

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Fu merito del 41° Gruppo dell’Egeo spezzare la catena degli insuccessi. Nell’estate 1942 tale reparto arrivò a segno sul bersaglio in tre occasioni con i sottotenenti Emilio Pucci, Dorando Cionni e Ferruccio Coloni, tutti appartenenti alla 205^ Squadriglia.

Di essi Pucci, per mancato riconoscimento, affondò il 9 giugno, a sud di Cipro, il neutrale piroscafo svedese Stureborg, in rotta dal Pireo a Caifa con i distintivi della Croce Rossa, e successivamente, il 30 giugno, colò a picco il piroscafo britannico Aircrest che, navigando isolato, fu attaccato ad ovest di Giaffa. Infine, il 22 luglio, Cionni e Coloni attaccarono un convoglio presso Porto Said, e colpirono con un siluro la nave guida caccia Malines che, rimasta immobilizzata in quel porto egiziano fino al termine della guerra, affondò nel 1945 durante la navigazione di trasferimento verso il Regno Unito.

Tornando al Mediterraneo occidentale nei giorni 14 e 15 giugno gli aerosiluranti schierati in Sardegna e in Sicilia, che con i rinforzi giunti dalla penisola italiana erano stati portati al numero di ottanta velivoli, furono particolarmente impegnati contro un grosso convoglio diretto a Malta (operazione “Harpoon”). In tale frangente quattordici S. 79 dei gruppi 104° e 130°, basandosi sulle istruzioni che erano state impartite in aprile dal generale Fougier, attaccarono in massa il mattino del 14 a sud della Sardegna, assieme a diciotto aerosiluranti S. 84 del 36° Stormo. Un S. 79 del 104° Gruppo, probabilmente quello pilotato dal comandante del reparto maggiore Virginio Reinero, silurò il piroscafo olandese Tanimbar, che fu subito dopo affondato dalle bombe sganciate da una formazione di diciotto Cant Z. 1007 bis del 9° Stormo B.T. Contemporaneamente altri quattro velivoli S. 79 del 130° Gruppo, con capi equipaggio il maggiore Franco Mellei, i tenenti Alessandro Setti e Angelo Caponetti, e il sottotenente Manlio Caresio, attaccarono l’incrociatore Liverpool che, colpito da un siluro dovette invertire la rotta per rientrare a Gibilterra. Nel corso delle azioni aeree descritte la Regia Aeronautica subì perdite dolorose, che inclusero ben sette aerosiluranti, dei quali sei appartenenti al 36° Stormo, alla testa del quale si immolò lo stesso comandante del reparto, colonnello pilota Giovanni Farina.

Un secondo attacco massiccio di aerosiluranti, a cui presero parte nel pomeriggio, con decollo dalla Sicilia, quattordici S. 79 del 132° Gruppo, che erano guidati dal capitano Buscaglia, si concluse con un deludente nulla di fatto. Il reparto ebbe comunque l’occasione di rifarsi nella giornata dell’indomani, 15 giugno, mentre il convoglio britannico, che stava transitando con debole scorta nelle acque di Pantelleria, era impegnato in combattimento dalle unità navali italiane della 7^ Divisione Navale, costituite dagli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli e da cinque cacciatorpediniere.

Nelle prime ore del pomeriggio, mentre il combattimento navale, iniziato poco dopo l’alba, stava per concludersi in modo alquanto deludente per le unità navali dell’ammiraglio Alberto Da Zara, che non erano riuscite, a causa di un errata manovra tattica, ad impedire al convoglio nemico di proseguire nella rotta per Malta, intervennero due aerosiluranti che avevano per capi equipaggio il tenente Martino Aichner e il capitano Buscaglia. I due velivoli S. 79, rispettivamente della 279^ e 281^ Squadriglia del 132° Gruppo Aerosiluranti, dettero il colpo di grazia al cacciatorpediniere di squadra Bedouin e al piroscafo Burdwan, che erano state danneggiati ed immobilizzati, rispettivamente delle artiglierie degli incrociatori italiani e da una formazione di bombardieri Ju. 88 del 2° Fliegerkorps.

Mentre il velivolo di Buscaglia, avendo trovato un facile bersaglio, in fiamme ed abbandonato dall’equipaggio, non riportò alcun danno, l’S. 79 di Aichner, nell’attaccare il Bedouin, subito dopo lo sgancio del siluro fu colpito dalle armi automatiche dell’immobilizzato cacciatorpediniere, e fu costretto ad ammarare nelle vicinanza della sua preda. L’equipaggio del velivolo, in parte ferito, fu poi recuperato da mezzi di soccorso italiani, che si dedicarono a raccogliere anche il personale dell’unità britannica.

Furono ancora una volta gli aerosiluranti della 279^ squadriglia che nella successiva grande battaglia di mezzo agosto (Operazione Pedestal) conseguirono, con una pattuglia guidata dal capitano Graziani che aveva per gregari il capitano Ugo Rivoli e il sottotenente Carlo Pfister, l’unico scarno successo dell’Aeronautica italiana, affondando, nel pomeriggio del 12 agosto, a nord di Biserta, il cacciatorpediniere Foresight: Esso partecipava alla scorta diretta di un grosso convoglio di quattordici piroscafi diretto a Malta., per la cui protezione erano state destinate tutte le forze navali disponibili, incluse le corazzate Nelson e Rodney, le portaerei Victorious, Indomitable, Eagle e Furious, sette incrociatori e 32 cacciatorpediniere.

Considerando che da parte italiana furono impiegati ben 93 aerosiluranti concentrati in Sicilia e in Sardegna, che svolsero 110 missioni contro le navi britanniche, si trattò di un insuccesso assolutamente inatteso ed avvilente. Esso, inoltre, appariva umiliante nei confronti della Luftwaffe, i cui velivoli avevano danneggiato gravemente, con i bombardieri in picchiata, la portaerei Indomitable, ed affondato quattro piroscafi, due dei quali (Deucalion e Clan Ferguson) con gli aerosilurantie He. 111 della 6^ Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo Bombardamento (6/KG.26). Occorre dire, che il reparto tedesco, pur essendo stato rinforzato con velivoli provenienti dalla Scuola Aerosiluranti di Grosseto, operò con un organico alquanto modesto, limitato a dieci velivoli. Tuttavia i suoi He. 111 riuscirono a silurare e danneggiare anche un’altra nave mercantile, il piroscafo Brisbane Star.

Andavano poi considerati i successi conseguiti dalla Regia Marina, le cui unità subacquee ed insidiose, colpirono col siluro ben quattro incrociatori, affondandone due, il Cairo e il Manchester (con il sommergibile Axum e le motosiluranti MS 16 e MS 22), assieme a cinque piroscafi, mentre la portaerei Eagle fu colata a picco

dal sommergibile tedesco U 73 (tenentedi vascello Helmut Rosembaum), che la centrò con quattro siluri. (52)

Per tutte queste ragioni, avendo amaramente considerato che lo sforzo profuso dai suoi reparti aerosiluranti era stato alquanto scarso – come d’altronde altrettanto modesto era risultato il bilancio conseguito dai bombardieri in quota ed in picchiata – il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica fu costretto ad inviare ai comandi delle grandi unità aeree un severo richiamo, trasmesso il 3 settembre nella seguente forma:

 

“Le supreme necessità e le particolari caratteristiche della attuale guerra, costrinsero a superare ogni indugio e ad escludere ogni incertezza programmatica, hanno portato alla creazione della specialità “Aerosiluranti” dimostratisi, fino dalle prime azioni, arma efficientissima contro forze navali nemiche, specie nel nostro mare.

Gli uomini scelti, dopo opportunità preparazione, ad assolvere il difficile e rischioso compito di annullare o almeno contenere i movimenti del naviglio nemico nel Mediterraneo, si sono dimostrati, di massima pari all’aspettativa, e degni della fiducia in essi riposta.

Volontari nella quasi totalità, essi rappresentano il fior fiore dei nostri equipaggi da bombardamento e da ricognizione terrestre e marittima e, con il loro eroismo e con il loro sangue, compiendo gesta altamente meritorie, spesso leggendarie, hanno scritto di storia, che onorano la nostra Aeronautica ed il nostro Paese.

E l’Aeronautica, fiera di questo generoso eroismo, di cui la specialità ha data innumerevoli e brillanti prove, è uscita da quel riserbo che fino ad oggi si era imposta nella considerazione che il sacrificio è patrimonio comune a tutti i suoi settori di attività, per valorizzare al massimo questa sua giovanissima Specialità e per additare alla riconoscenza del Paese gli uomini che di tali prove sono stati gli eroici protagonisti.

Recentemente, però, alcuni indizi mi hanno fatto pensare che non manchi nell’insieme dello scelto personale che intende riposare sugli allori, pago della gloria conquistata, o addirittura vivere sul retaggio dell’altrui valore.

Il rilevante numero di siluri lanciati nelle ultimissime azioni, ed i risultati ottenuti, lasciano supporre, infatti, che qualche inammissibile consiglio prudenziale abbia frenato quello slancio che deve costituire la essenziale caratteristica degli equipaggi aerosiluranti, i quali, del resto, dovrebbero ben sapere che il rischio di lanciare un siluro a distanza utili, è pressoché uguale a quello inerente ad un lancio effettuato a più grande distanza.

Questo non può e non deve essere.

Mi rendo pienamente conto delle gravissime difficoltà e dei gravi rischi insiti in ogni azione, e mentre da un lato intendo esaltare senza restrizioni il merito di chi queste azioni compie senza riserve di mente e di animo, non posso assolutamente concepire né mezzi termini né compromessi morali, in quanto gli uni e gli altri male si attagliano alla grandezza della posta ed alla bellezza delle tradizioni.

Fermo restando il concetto che gli equipaggi di tale specialità debbono essere volontari, sono convinto che aerosiluratore non si possa essere che al cento per cento; quindi, pochi volontari siluratori ad una massa di lanciatori di siluri; sarà questa un’economia di mezzi, e al tempo stesso una garanzia di successo.

In base a tali concetti prego le Eccellenze i Comandanti di Squadra e i signori Comandanti di Aeronautica di rivedere la posizione di ciascun elemento, e di intervenire efficacemente, e senza indugio, per eliminare da questa brillante Specialità, tutti quelli che non meritano di dividerne le glorie, e che non possono, e non devono, vivere vicino ai valorosi che ne fanno degnamente parte.

Attuando i risultati di questa inchiesta, e soprattutto di questa messa a punto morale.

F/to Fougier

 

Nonostante questa lettera fosse stata “inusitatamente dura” nel contenuto, come a sottolineato in un suo articolo Tullio Marcon (pubblicato in Storia Militare), i successi degli aerosiluranti italiani continuarono ad essere molto modesti; e ciò derivò anche dal fatto che, dall’agosto al novembre del 1942, vi fu una assoluta mancanza di bersagli nel Mediterraneo centro-occidentale, mentre nel bacino orientale i pochi attacchi portati a compimento dagli S. 79 dell’Egeo e della Libia non portarono a nessun risultato. A quindi perfettamente ragione Marcon ad affermare, nel suo articolo, che, in definitiva, il maggior rendimento operativo della specialità era stato ottenuto nel primo periodo della guerra, “quando ad attaccare erano stati soltanto i soliti Quattro gatti”, mentre invece “si rivelò inversamente proporzionale al crescere dei reparti, dando così luogo ad un’apparentemente inspiegabile anomalia”.

Ne è una inequivocabile testimonianza, lo ricordiamo, il fatto che agli attacchi dei giorni 12 - 13 e 14 agosto 1942 si erano svolte ben 110 missioni di aerosiluranti italiani, il cui unico risultato positivo fu rappresentato dall’affondamento del cacciatorpediniere Foresight, che era una delle 78 navi di superficie britanniche schierate per la grande operazione “Pedestal”.

E i risultati negativi, come vedremo, sarebbero continuati anche nei restanti mesi di guerra, prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943.

Nel novembre 1942 gli anglo-americani sbarcarono in Marocco e in Algeria. A partire da quel momento l’attività degli aerosiluranti, concentrati in Sardegna e in Sicilia, che dopo la battaglia di mezzo agosto era stata limitata a missioni di ricognizione armata non confortata da possibilità di attacco, pur avendo acquisito un ritmo intenso, giornaliero, non fu però premiata da risultati di prestigio. E ciò a dispetto del gran numero di velivoli impiegati e delle forti perdite subite causate dall’efficiente e sempre più sofisticata organizzazione difensiva del nemico, attuata di giorno e di notte con efficiente artiglieria contraerea e aerei da caccia.

Il 12 novembre, nel corso di un attacco contro il naviglio nemico presente nella rada di Bougie da parte di cinque S. 79 del 132° Gruppo A.S., uno Spitfire del 242° Squadron della R.A.F., pilotato dal sergente Watling, abbatte il velivolo del maggiore Buscaglia. L’ufficiale, che era considerato l’asso degli aerosiluranti italiani, rimasto ferito dopo aver portato il proprio velivolo all’ammaraggio, fu fatto prigioniero con i membri del suo equipaggio.

Nelle condizioni di poderosa reazione nemica, gli aerosiluranti italiani, che erano ormai costretti ad operare quasi esclusivamente con il favore dell’oscurità, a causa della difficoltà di individuare, ed attaccare i bersagli, continuarono ad ottenere successi modestissimi.

Tali successi, conseguiti fino al termine della campagna africana (maggio

1943), furono i seguenti.

Il primo risultato positivo venne realizzato contro una nave scorta, lo sloop britannico Ibis, che fu affondato nel pomeriggio del 10 novembre, a 10 miglia a nord di Algeri, da cinque velivoli S. 79 della 280^ Squadriglia del 130° Gruppo Aerosiluranti, guidati dal maggiore Erasi, che aveva per gregari il capitano Giuseppe Cimicchi, e i tenenti Guido Focacci, Nino Meschiari e Antonio Vellere.

Fu poi la volta del piroscafo norvegese Selbo. Esso fu affondato, la sera del 28 novembre, a 15 miglia da Capo Cavallo, per opera di tre S. 79 del 132° Gruppo (capitano Graziani, tenente Aichner e tenente Pfister) che, assieme ad altri tre S. 79 del 108° Gruppo, avevano attaccato il convoglio costiero britannico TE.5.

Nelle prime ore del pomeriggio del 9 dicembre, superando condizioni atmosferiche particolarmente avverse, tre S. 79 della 254^ Squadriglia del 105° Gruppo, con capi equipaggio il capitano Urbano Mancini, il tenente Ernesto Borelli, e il sottotenente Casanova, penetrarono nella rada di Algeri per attaccarvi le navi del convoglio MKS. 31. Nell’occasione fu affondata, la corvetta britannica Marigold.

Nel tardo pomeriggio del 29 gennaio 1943, fu poi la volta della nave ausiliaria contraerea britannica Pozarica, che fu colpita da un siluro, mentre, trovandosi nei pressi di Bougie, scortava il convoglio costiero TE. 14. L’azione era stata condotta da otto S. 79 dei gruppi aerosiluranti 105°, 108° e 130°, uno dei quali dovette allontanarsi prima di poter lanciare il siluro, essendo stato danneggiato da un aereo da caccia nemico. All’attacco, che nell’occasione si svolse con caratteristica di massa, parteciparono tredici aerosiluranti tedeschi (dieci He. 111 e tre Ju. 88) del I. e III./K.G. 26, i quali, sopraggiungendo sul convoglio britannico dopo che si era realizzato l’attacco degli S.79 italiani, danneggiarono seriamente il cacciatorpediniere britannico Avon Vale. Quest’ultimo fu costretto a portarsi all’incaglio sulla vicina costa dell’Algeria, con la prora interamente asportata, mentre la Pozarica, avendo riportato danni molto estesi, si capovolse ed affondò il 13 febbraio 1943 nel porto di Bougie, dove si era rifugiata dopo il siluramento.

Infine, nel pomeriggio del 27 marzo, durante un attacco in massa, realizzato da dodici S. 79 dell’ 89° e 105° Gruppo e da otto aerosiluranti tedeschi He. 111 del KG. 26, la motonave britannica Empire Rowan fu affondata nel Golfo di Philippeville. Il successo fu certamente realizzato da tre velivoli del 105° Gruppo, con capi equipaggio il capitano Urbano Mancini e i tenenti Ernesto Borrelli e Paolo Marchini. Essi, purtroppo, assieme a due equipaggi dell’89° Gruppo (sottotenenti Dalmazio Corradini e Silvano Luzzato), non rientrarono alla base dalla vittoriosa missione, essendo stati tutti abbattuti da velivoli da caccia britannici “Spitfire”.

Il loro successo fu comunque convalidato nel corso di una successiva azione, svolta contro il convoglio nemico dagli aerosiluranti dell’89° Gruppo che, arrivati nella zona subito dopo che avevano attaccato i tre S. 79 del capitano Mancini, avvistarono una grossa nave in fiamme.

Ma vediamo come si svolse l’attacco, che ci sentiamo in obbligo di descrivere perché, praticamente, fu l’ultimo realizzato di giorno dagli aerosiluranti italiani con una certa consistenza di forze, secondo la tattica di massa, e che costò dolorose perdite.

Tra le ore 10.10 e le ore 10.20 del 27 marzo decollarono da Decimomannu quattro pattuglie di tre S. 79, due del 105° Gruppo e due dell’89° Gruppo. Lo scopo era quello di attaccare un convoglio composto da circa venti piroscafi e navi scorta, che era stato avvistato alle 06.25, con rotta 90°, in lat. 37°03’N, long. 06°05’E. La formazione degli aerosiluranti dovette però dividersi a causa delle pessime condizioni di visibilità incontrate lungo la rotta, assieme a frequenti piovaschi. I velivoli italiani furono seguiti da una formazione di otto aerosiluranti He. 111 del II./KG. 26, che erano guidati da due bombardieri Ju. 88 del III./KG.76.

Il convoglio britannico, che in codice era chiamato “Untrue”, era protetto nelle ore diurne da sezioni da caccia britanniche della R.A.F., costituite da velivoli Hurricane del’87° Squadron e da Spitfire del 43° e 242° Squadron. Inizialmente, una sezione di due Hurricane (sottotenenti pilota Thompson e Johnson) intercettò due He. 111 del II./KG.26, e ne abbatterono uno in fiamme all’altezza di Capo Takauch.

Poi intervennero gli Spitfire del 242° Squadron che colpirono gravemente un secondo uno dei due Ju. 88 del III./KG.26, il quale, al rientro in Sicilia, si sfasciò in atterraggio, determinando la morte dell’intero equipaggio. Un’altra sezione del 43° Squadron, i cui due velivoli erano pilotati dai sottotenenti Torrance e Turkington, intercettò una formazione di sei He. 111, senza però conseguire risultati tangibili. Successivamente la stessa sezione di Spitfire intercettò altri tre aerei, e li insegui fino all’esaurimento delle munizioni. Doveva trattarsi di una pattuglia di tre S. 79 del 105° Gruppo, comandata dal capitano pilota Giulio Ricciarini, che, giunta nei presso della costa Africana all’altezza di Capo de Fer, fu intercettata da velivoli dai caccia britannici e costretta a rientrare alla base.

La seconda pattuglia di tre S. 79 del 105° Gruppo non rientrò alla base, essendo stata intercettata e interamente distrutta da un’altra sezione di due Spitfire del 43° Squadron, pilotati dal sottotenente Snell e dal sergente Hermiston. L’ufficiale riuscì ad abbattere due aerosiluranti, il sottufficiale il terzo. Alle ore 12.20 il velivolo capo formazione, quello del capitano Mancini – a cui fu concessa, per il suo sacrificio che seguiva un’intensa attività di guerra, la Medaglia d’Oro alla memoria – era riuscito a trasmettere: “Eseguita missione rientro”.

La formazione dei sei S. 79 dell’89 Gruppo A.S., che nel dirigere verso l’obiettivo era rimasta riunita agli ordini dei tenenti Mura Gian Battista e Irnerio

Bertuzzi, avvistò il convoglio nemico in lat. 37°05’N, long. 07°05’E. Gli equipaggi notarono un grosso piroscafo, semisommerso e in fiamme, e nelle immediate vicinanze il relitto di un velivolo S. 79 capovolto, in preda alle fiamme, con nelle immediate vicinanze un battellino di salvataggio con tre naufraghi a bordo. I sei velivoli della formazione, suddivisi in tre sezioni di due velivoli ciascuna, effettuarono l’attacco alle 15.50 contro tre grossi piroscafi, e ritennero, erroneamente, di averli colpiti, e di averne lasciati due in fiamme e in stato di affondamento.

Due aerosiluranti dell’89° Gruppo, persi di vista dagli altri velivoli dopo l’attacco, non rientrarono alla base. Secondo le fonti britanniche uno degli S. 79 venne intercettato e costretto all’ammaraggio dai due Spitfire del 43° Squadron che avevano ai comandi i già citati sottotenenti piloti Torrance e Turkington. Il secondo S. 79 fu abbattuto dal fuoco combinato di uno Spitfire pilotato dal comandante del 323° Wing, colonnello Pedley, e delle artiglierie contraeree del convoglio.

Per la ricerca dei cinque equipaggi perduti furono inviati nella zona un S. 79 del 105° Gruppo A.S. e un idrovolante Cant Z. 506 della 613^ Squadriglia Soccorso. Ma sebbene gli equipaggi dei due velivoli avessero avvistato un battellino di salvataggio con naufraghi a bordo, lo perdettero subito dopo per le cattive condizioni di visibilità e non riuscirono più a rintracciarlo.

Inviando la sera di quello stesso girono 27 marzo la sua relazione n. 1775/O a Superaereo, il Comandante dell’Aeronautica della Sardegna, generale Aldo Urbani, elogiò il comportamento e lo Spirito di sacrificio dei suoi equipaggi di volo, trasmettendo per telescrivente:

 

“Compio il dovere di segnalare ancora una volta il magnifico comportamento dei Reparti siluranti della Sardegna che malgrado le ingenti perdite subite si prodicano senza tregua e con la più alta audacia et la più condizionata dedizione di dovere nella ferma e decisa volontà di infliggere al nemico le maggiori perdite”.

 

L’attività dei reparti aerei italiani e tedeschi dislocati negli aeroporti della Sicilia, e che nel corso degli ultimi dieci giorni di marzo si era dimostrata, soprattutto con gli aerosiluranti, particolarmente decisa e pericolosa, non poteva mancare di allarmare il nemico. Il giorno 31, novanta bombardieri B. 17 statunitensi, contrastati da ventisette caccia italiani (12 Mc. 202 e 15 Re. 2001 del 24° e 150° Gruppo) attaccarono Decimomanni, Monserrato e Villacidro, causando gravi danni tra i bombardieri Cant Z. 1007 bis e gli aerosiluranti S. 79 parcheggiati negli aeroporti.Gli aerosiluranti S. 79 andarono poi incontro ad un vero disastro il 5 aprile. Ne fu sfortunato protagonista il 41° Gruppo, che era stato ritirato dall’Egeo per rinforzare lo schieramento in Sardegna. Quel giorno un’intera formazione di quattro velivoli della 205^ Squadriglia – guidata dal capitano Ernesto Brambilla e partita nel tardo pomeriggio per attaccare con le ultime luci del crepuscolo un convoglio avvistato alle ore 14.00 a nord di Bougie, con rotta levante – per cause non accertate non rientrò alla base. Questo significò di limitare ancora di più il modesto organico dei velivoli aerosiluranti della Sardegna, ridotto a disporre di sedici S. 79: sette dell’89° Gruppo, sette del 105°, e due soltanto nella 205^ Squadriglia del 41° Gruppo.

Dopo questi salassi gli aerosiluranti furono in gran parte ritirati nelle basi della Toscana, dove, il 2 giugno 1943, con quattro dei sei gruppi rimasi disponibili fu costituito, negli aeroporti di Pisa e di Siena e alle dipendenze della 3^ Squadra Aerea, il Raggruppamento Aerosiluranti. Il suo scopo, oltre a concedere al reparto una maggiore potenza organica, divenne quello di agire, di volta in volta e con formazioni più o meno potenti, nelle zone in cui il l’intervento degli aerosiluranti, ormai quasi sempre ridotto alle singole missioni notturne, era ritenuto prioritario o urgente.

Nel Mediterraneo orientale i successi dei nostri aerosiluranti furono invece di consistenza insignificante, dal momento che l’unico risultato positivo fu rappresentato dall’affondamento del motoveliero egiziano Al Ameriaah, conseguito il 6 febbraio 1943, con azione di mitragliamento, da tre S. 79 della 253^ Squadriglia del 104° Gruppo Aerosiluranti, guidati dal capitano Errico Marescalchi, che aveva per gregari il tenente Mario Dattrino e il sottotenente Giovanni Del Ponte.

Anche durante la campagna di Sicilia, a dispetto delle affermazioni dei bollettini di guerra che nel periodo 1° luglio 5 settembre 1943 vantarono l’affondamento di ben 36 navi e il danneggiamento di altre 68, i successi degli aerosiluranti italiani si contarono sulle dita di una mano.

Il primo risultato fu conseguito poco dopo la mezzanotte del 16 luglio dal capitano Carlo Capelli, che alla guida di un S. 79 della 204^ Squadriglia del 41° Gruppo riuscì a colpire, a 50 miglia a sud di Capo Passero, la grossa portaerei britannica Indomitable.

Sul danneggiamento della Indomitable, che con il locale caldaie di sinistra e alcuni compartimenti adiacenti devastati, fu costretta a dirigere alla velocità di quattordici nodi verso Gibilterra, da dove poi si trasferì in Gran Bretagna per effettuare le riparazioni, riporto integralmente quanto ho personalmente scritto in La partecipazione tedesca alla guerra del Mediterraneo (1940-45); opera nella quale ho curato tutta la parte operativa, statistica e iconografica.

 

 

Riferiscono gli inglesi che nelle prime ore del mattino [del 16 agosto] la portaerei INDOMITABLE fu silurata a cinquanta miglia a sud-est di Capo Passero (latitudine 36°22’ nord, longitudine 16°08’ est) da un aerosilurante italiano e che alcune ore più tardi, esattamente alle 06.40, un sommergibili [ALAGI – tenente di vascello Renato Puccini] colpì con un siluro l’incrociatore CLEOPATRA al largo di Augusta (latitudine 37°13’ nord, longitudine 16°00’ est).

Fino ad oggi nessuno era riuscito a stabilire la paternità del siluramento dell’INDOMITABLE, tanto che recentemente tale successo italiano è stato messo in dubbio e si è tentato di assegnarlo ad un aerosilurante Ju. 88 tedesco. In realtà nessun velivolo germanico armato con siluro operò quella notte nelle acque della Sicilia orientale mentre da parte italiana vennero impiegati otto S. 79. Fu proprio uno di questi ultimi, appartenente al 41° Gruppo Autonomo Aerosiluranti della 4° Squadra Aerea (Puglia) ad

effettuare l’attacco in questione. Il velivolo, pilotato dal capitano Carlo Capelli e dal sottotenente Ennio Caselli, approfittando della mancanza di luminosità lunare, alle 00.25 del 16 sganciò contro una grossa unità facente parte di una formazione navale di oltre dieci navi con rotta 100° a ottanta chilometri a levante di Capo Passero e dall’equipaggio dell’aereo, che riuscì a dileguarsi prima che da bordo aprissero il fuoco, fu osservato lo scoppio del siluro sul bersaglio. Il capitano Capelli riferì trattarsi di un piroscafo di 15.000 tonnellate, mentre il secondo pilota apprezzò giustamente trattarsi di una portaerei.

 

Secondo la ricostruzione dell’episodio fatta nel citato articolo da Tullio Marcon, l’avvicinamento dell’S. 79 del capitano Capelli fu favorita dall’assenza di reazione della formazione navale britannica, che procedeva in linea di fila, aperta dall’incrociatore Aurora, seguito dalle corazzate Nelson e Rodney, dalla Indomitable e dall’incrociatore Penelope, mentre otto cacciatorpediniere si trovavano di prora in posizione di scherno difensivo. La manovra di sgancio, effettuata con i motori al minimo, fu agevolata dal fatto che sebbene la Nelson avesse avvistato l’aereo italiano alla distanza di 8 miglia, e la stessa Indomitable si fosse accorta della sua presenza, le due navi britanniche ritennero, erroneamente, si trattasse di uno dei sei velivoli Albacore che stava rientrando sulla portaerei da un volo di pattugliamento notturno antisom. Le navi britanniche cominciarono a sparare soltanto pochi istanti prima che il siluro arrivasse a segno sulla fiancata sinistra dell’Indomitable, allagando il locale caldaie e causando sette morti, ragion per cui l’S. 79 di Capelli poté agevolmente allontanarsi senza subire danni. Quanto alla Indomitable, essa arrivò a Malta alle 07.30 del 17 luglio, navigando alla velocità di undici nodi.

Tre, degli altri quattro risultati positivi conseguiti dagli aerosiluranti italiani, si verificarono a metà agosto. Le azioni videro protagonisti gli S.79 del 132° Gruppo A.S., cinque dei quali erano stati trasferiti da Littorio a Decimonannu, in Sardegna, per svolgere, nel periodo favorevole di luna, un ciclo operativo contro il naviglio nemico in movimento lungo le coste dell’Algeria e della Tunisia.

Il primo successo fu conseguito dal capitano Carlo Faggioni che, pilotando un velivolo della 278^ Squadriglia, la sera del 15 agosto affondò, nei pressi dell’isola Cani (a nord di Biserta), la nave da sbarco per carri armati britannica LST 414. Poi, nel corso della notte seguente, due S. 79 della 281^ Squadriglia, con capi equipaggio il capitano Giuseppe Cimicchi e il tenente Vezio Terzi, rispettivamente colarono a picco il piroscafo britannico Empire Kestel, a 10 miglia da Capo Bougaroni, e danneggiarono, a 16 miglia da Capo De Garde (Bona), il piroscafo statunitense Benjamin Contee, proveniente da Bona e diretto ad Orano con 1.800 prigionieri italiani. I danni prodotti a quest’ultima nave mercantile risultarono talmente gravi

che essa non fu neanche sottoposta ai lavori di riparazione e venne poi usata in Normandia, nel giugno 1944, come elemento di uno dei famosi porti artificiali.

I nostri aerosiluranti conclusero la serie dei successi la sera sul 7 settembre 1943, vigilia dell’armistizio dell’Italia, per opera di un altro S. 79 della 281^ Squadriglia del 132° Gruppo, pilotato dal tenente Vasco Pagliarusco. Questi attaccò, presso Termini Imerese, il convoglio d’invasione “FFS 2”, salpato da Biserta e diretto a Salerno, danneggiando la nave da sbarco britannica LST 417, che, per evitare l’affondamento fu costretta ad incagliarsi sulla vicina costa siciliana.

 

***

 

Dopo l’armistizio dell’8 settembre un gruppo di aerosiluranti fu costituito dall’aviazione di Mussolini, ma non ottenne risultati concreti se si eccettua il danneggiamento del piroscafo britannico Sansylarna, conseguito, come vedremo, nella notte del 4 agosto 1944 a nord di Bengasi da tre S. 79, aventi per capi equipaggi i tenenti Luigi Morselli, Adriano Merani e Domenico De Lieto.

Sull’attività del gruppo Aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana che si era istituito sull’aeroporto di Gorizia e che ebbe un organico di ventisette S. 79 ripartiti in tre squadriglie, una delle quali di addestramento, sono state scritti, e continuano ad essere scritti, fatti assolutamente inesatti, nonostante esistano i miei dati, elaborati su dati ufficiali per l’Ufficio Storico della Marina Militare (anno 1975), e pubblicati, fin dal 1980, con nominativi e statistiche.

Vediamo come realmente si svolsero gli avvenimenti.

Nei mesi di marzo e aprile 1944 il Gruppo degli Aerosiluranti italiani, decollando dal campo trampolino di Sant’Egidio, presso Perugia, impegnò, in missione notturna, un totale di 15 velivoli contro il naviglio alleato che stazionava davanti alla testa di sbarco di Anzio; ma contrariamente alle ottimistiche e roboanti dichiarazioni degli equipaggi le missioni non furono confortate da alcun successo. Il costo pagato fu inoltre assai elevato poiché non rientrarono alle basi i velivoli del maggiore Carlo Faggioni, comandante del gruppo, e di tre gregari, mentre altri sei S. 79 furono abbattuti il 6 aprile da aerei da caccia P. 47 statunitensi presso Arezzo, durante il trasferimento a Sant’Egidio.

Avendo sospeso, dopo tali dolorose perdite, l’attività offensiva, il reparto aerosiluranti della Repubblica Sociale fu riorganizzato dal maggiore Marino Marini che il 4 giugno, decollando da Istres nella Francia meridionale, guidò 10 aerei all’attacco delle navi nemiche all’ancora nella rada di Gibilterra. Anche questa missione, a dispetto di quanto dichiarato dagli equipaggi, che ritennero di aver silurato quattro piroscafi, non conseguì alcun risultato positivo.

Successivamente, dopo aver organizzato un’altra azione contro il porto di Bari, svolta il 6 luglio da cinque S. 79 partiti da Treviso, il maggiore Marino Marini portò i suoi equipaggi sull’aeroporto ellenico di Eleusis, a nord di Atene, per attaccare il traffico nemico in movimento, che si svolgeva fra le basi egiziane e la penisola italiana. Le missioni si svolsero durante i mesi estivi, periodo nel quale furono effettuati cinque attacchi ai convogli, che non ebbero per altro i risultati asseriti, poiché l'unico successo conseguito, il 4 agosto a nord di Bengasi, fu costituito, come abbiamo detto, dal danneggiamento del piroscafo britannico Samsylarna.

L’attività operativa, dobbiamo ammetterlo, risultò particolarmente desolante di risultati, e fu inoltre pagata con la perdita di una mezza dozzina di aerei, in gran parte incidentati. Conseguentemente il gruppo aerosiluranti fu costretto nuovamente a dedicare aerei ed equipaggi ad un periodo di riorganizzazione, che si prolungò fino a novembre 1944. In tale mese fu ripresa una modesta attività nel Tirreno e nell’Adriatico, nel corso della quale, con il consueto ottimismo, fu dichiarato il siluramento di due piroscafi.

Le suddette presunte vittorie portarono il totale degli affondamenti e dei danneggiamenti dichiarati dal Gruppo Aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana a ventisei navi, in gran parte mercantili, per 115 000 tonnellate, mentre in realtà i reali successi da me accertati furono assai modesti poiché si ridussero al danneggiamento di un solo piroscafo per 7.100 tonnellate. Tale risultato è reso ancora più avvilente se confrontato con le perdite riportate dal reparto. Si era infatti verificato, nel corso delle operazioni, l’abbattimento di quindici S. 79, a cui si aggiunse la distruzione al suolo di otto velivoli per attacchi aerei nemici, mentre altri quattro S.79 si sfasciarono al suolo per incidenti durante i voli di addestramento. Le perdite umane furono di un centinaio di uomini. Tra essi vi erano trent’otto piloti (18 ufficiali e 21 sottufficiali) pari al 38,7% dell’intero organico del gruppo). Le, azioni compiute erano state undici e i siluri lanciati cinquanta.

 

***

 

Concludendo, secondo i miei dati, nel corso della seconda guerra mondiale gli aerosiluranti italiani affondarono complessivamente otto navi militari per 15.968 t e quindici navi mercantili per 77.552 t.s.l., e danneggiarono quattordici navi militari, per 131.688 t, e tre navi mercantili per 23.627 tsl. Tali cifre possono apparire alquanto modeste, soprattutto se confrontate a quanto, esageratamente, era stato affermato dalla propaganda di guerra, nonché allo sforzo profuso e alle perdite subite. Queste ultime risultarono in effetti assai elevate dal momento che dalle circa 2.500 missioni belliche svolte dagli aerosiluranti non rientrarono alla base oltre 110 aerei della specialità.

Sebbene gli aerosiluranti italiani avessero conseguito nel Mediterraneo risultati complessivamente inferiori a quelli ottenuti degli aerosiluranti inglesi, e da quelli tedeschi, nondimeno tra i loro successi vi era da mettere sul conto il danneggiamento di una corazzata (Nelson), di una portaerei (Indomitable) e di ben sei incrociatori (Kent, Liverpool – silurato due volte – Glasgow, Manchester e Phoebe).

Considerando che da parte tedesca fu danneggiato un solo incrociatore (Arethusa), dobbiamo convenire che il rendimento complessivo ottenuto dai nostri equipaggi contro le navi militari nemiche rappresenta un elemento di tutto rispetto. Soprattutto, se tale risultato è paragonato ai modesti successi conseguiti nel Mediterraneo dalle altre specialità della Regia Aeronautica (bombardieri in quota e a tuffo), ed anche, purtroppo, da quelli ottenuti della Regia Marina con le sue molte specialità d’impiego, compresi i sommergibili, escludendo però, naturalmente – per le dovute proporzioni di armi e uomini impiegati – i mezzi d’assalto.

 

Francesco Mattesini

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non ho mai capito perchè un aereo così grosso come lo saprviero portasse i siluri da 457... 2 teorici ma 1 pratico... e non un bel pesce da 533.

 

colgo l'occasione per un mio appunto... dai libri dell'ufficio storico della marina si evince che... o la contraera inglese faceva pena (cosa probabile visto la fine vergognosa fatte da repulse e prince of wales... annichilite da betty e nell, i quali persero 4 aerei in totale) o gli aerei attaccanti erano poco risoluti... perchè di perdite, in numero di apparecchi, ce ne sono state pochine se le confrontiamo alle stragi del pacifico dello stesso periodo dove invece i numeri sono ben altri.

Modificato da vorthex
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non ho mai capito perchè un aereo così grosso come lo saprviero portasse i siluri da 457... 2 teorici ma 1 pratico... e non un bel pesce da 533.

 

proprio perchè il 533 era troppo pesante e avrebbe spaccato gli attacchi in fusoliera

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colgo l'occasione per un mio appunto... dai libri dell'ufficio storico della marina si evince che... o la contraera inglese faceva pena (cosa probabile visto la fine vergognosa fatte da repulse e prince of wales... annichilite da betty e nell, i quali persero 4 aerei in totale) o gli aerei attaccanti erano poco risoluti... perchè di perdite, in numero di apparecchi, ce ne sono state pochine se le confrontiamo alle stragi del pacifico dello stesso periodo dove invece i numeri sono ben altri.

 

beh non è che i nostri aerosiluranti abbiano avuto perdite leggere, considera che nelle battaglie navali del Pacifico gli scontri sono stati più intensi e non diluiti in un lungo arco di tempo e missioni come nel mediterraneo... di qui le perdite più elevate...

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ti porto un esempiol... durante l'operazione harpoon venivano abbattuti una media di 7 aerei a sorita... per 3 giorni di combattimenti arrivarno a poco più di 30.nel pacifico... nella sola giornata di attacchi alla enterprise, durante la battaglia di santa curz, la sola south dakota tirò giù 26 e dico VENTISEI aerei nipponici da sola... come vedi c'è una certa discrepanza

 

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beh le battaglie del Pacifico rispetto al mediterraneo sono state più "dense" -se mi passi l'espressione- di navi e aerei, quindi le perdite sono risultate proporzionalmente maggiori... aggiungi poi che la contraerea Us Navy era ben più poderosa di quella britannica e gli aerosiluranti giapponesi, dal 1943 in poi, erano affidati ad equipaggi molto più inesperti di quelli italiani

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il problema è che gli inglesi difettavano di direzioni-tiro qualitativamente buone, come potevano essere le mk.51 americane

 

credo che fosse anche un problema di volume di fuoco

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bhe... gli americani avevano la miglior triade possibile.... 12738 + 40/56 + 20/70... anche se nel '42 al posto dei bofors ci stavano le quadrinate da 28mm

 

 

gli inglesi invece avevano... un 133 che era troppo lento, un 102 niente male, un pom-pom da 40mm che era troppo vecchio e le oerlikon che invece se la cavavano bene.infatti ho letto che il pom-pom aveva spesso più un ruolo visivo che effettivo,in quanto se non erro i loro proiettili avevano una velocità un pò bassina

Modificato da vorthex
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Io ho visto la USS Alabama,che penso sia della stessa classe della South Dakota,e devo dire che l'armamento antiaereo è onnipresente.

Hanno mitragliere antiaeree praticamente ovunque.

Penso che del resto gli americani avevano a che fare col pericolo dei kamikaze in cui l'unica difesa che hai è buttarlo giù e che quindi l'aspetto antiaereo fosse molto più curato che sulle navi britanniche.

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si la alabama è della stessa classe della south dakota.penso che visto che è una nave museo, addirittura non abbia tutte le oerlikon presenti, quindi fatti un poco il calcolo.

 

i kamikaze vennero alla fine della guerra, quindi sono fuori dai termini della discussione, infatti la flotta inglese quando si recò in pacifico nel '45 montò numerosi bofors sulle proprie unità :P

Modificato da vorthex
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però anche nel 1942 gli attacchi degli aerosiluranti giapponesi erano più serrati di quelli della Regia aeronautica e di conseguenza anche le perdite erano superiori

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Bisogna anche ricordare che la Regia Aereonautica non aveva le masse di siluranti che mise in campo il Giappone (come è già stato detto il teatro di battaglia era più denso nel Pacifico) e che comunque lo Sparviero era un aereo meno "spendibile" dei monomotore giapponesi e anche un pò più robusto ai danni

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Considerando pure che la Royal Navy nel Mediterraneo non aveva un'aviazione imbarcata paragonabile a quella della "cugina" americana nel Pacifico, che la proteggesse dagli aerosiluranti italiani

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  • 2 mesi dopo...

Salve visto che qui si parla di aerosiluranti vi chiedo gentilemente se qualcuno può aiutarmi ad avere delle notizie riguardo un pilota del mio paese. Mi riferisco al Capitano Pilota Aerosiluranti Riccardo De Angelis, in forza alla 284^ squadriglia aerosilutanti - 131° Gruppo Autonomo con base a Bengasi. Fu abbattuto e morì tragicamente con tutto l'equipaggio nell'incendio del suo S-79 in un'azione di guerra sul cielo di El.Alamein la sera del 28 agosto 1942. Cerco notizie più precise sulla storia di questo pilota, sull'abbattimento (non molto chiaro) e magari immagini di qualche aereo della 284^.

Ringrazio tutti anticipatamente.

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L'impiego delle radiospolette potrebbe spiegare, in parte, l'enorme numero di abbattimenti. L'aumento di efficacia è di 3 a 1 rispetto alle spolette tradizionali. Anche gli inglesi le hanno utilizzate, sempre sul finire del conflitto.

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  • 4 settimane dopo...

I Mitici Gobbi all'attacco di Bougie

Il novembre 1942, ore 17,40, aeroporto di Castelvetrano.

Tre aerosiluranti S.79 rientrano alla base al termine di una missione.

«Un velivolo non è tornato! ».

La voce corre tra gli uomini della 278° e della 281° Squadriglia del 132° Gruppo autonomo aerosiluranti.

Poi si ha la conferma ufficiale.

L'impresa viene diligentemente verbalizzata alcuni giorni dopo ,dall'allora capitano Giulio Cesare Graziani, comandante ad interim del Gruppo dopo l'improvvisa scomparsa di Carlo Emanuele Buscaglia (che avverrà il 12 novembre, cioè il giorno successivo).

I siluranti del Gruppo efficienti erano 16.

La missione bellica programmata riguardava due velivoli della 278° Squadriglia e due velivoli della 281°.

Compito: attaccare con siluro nella baia di Bougie un grosso convoglio nemico alla fonda, composto di 10 piroscafi e circa 15 unità di naviglio sottile da guerra.

Il verbale annotò poi il risultato.

«I velivoli si sono gettati decisamente attraverso il violento fuoco di sbarramento contraereo e hanno lanciato i siluri a distanza ravvicinata contro piroscafi di grosso tonnellaggio.

Un piroscafo è stato sicuramente colpito da siluro.

È stato notato un altro piroscafo avvolto di denso fumo nero che gli equipaggi non hanno potuto assicurare se sia stato provocato dallo scoppio del siluro.

Non si è potuto osservare il risultato degli altri siluri causa la violentissima reazione contraerea e gli attacchi della caccia nemica.

Durante la rotta di scampo la formazione è stata attaccata da velivoli da caccia tipo Hurricane. Durante l'attacco un velivolo della formazione è stato abbattuto in fiamme.

Tutti i vetivoli sono rientrati colpiti dalla reazione a.a.».

Fin qui il verbale della missione che si concludeva con l'elenco dei membri dell'equipaggio abbattuto:

sottotenente pilota Ramiro Angelucci, nato a Ronta nel 1914;

maresciallo Alberto Fedi , nato a Livorno nel 1911);

primo aviere motorista Guido Savio ,nato a Roverbella nel 1913;

primo aviere fotografo Francesco Cupiraggi ,nato a Sambiase nel 1918;

aviere scelto armiere Claudio Flauto ,nato a Torre Annunziata nel 1921;

aviere scelto fotografo Cesarino Rossi , nato a Modena nel 1923).

Il 18 gennaio 1984, a più di quarantuno anni dalla tragica missione, i resti dei sei uomini recuperati a Bougie, la città algerina che oggi viene chiamata Béjaia, e trasportati in Italia, sono stati tumulati nel corso di una cerimonia a Roma presso il Sacrario dei Caduti in volo dell'Aeronautica Militare a coronamento di un'opera di pace e di pietà alla quale hanno collaborato anche le autorità e i cittadini algerini.

Le ferite della Seconda Guerra Mondiale si riaprono dunque ancora oggi a più di quarant'anni.

Si riaprono le ferite e si riaprono le pagine di quella drammatica storia del novembre 1942, il mese che capovolse le sorti del conflitto.

La storia

Il 4 novembre a El Alamein i mezzi corazzati britannici raggiungevano il terreno aperto e iniziavano l'inseguimento delle restanti forze corazzate italo-tedesche in ritirata.

In quella stessa giornata Alexander poteva telegrafare a Churchill:

«Il fronte nemico è stato infranto».

Il 5 novembre l'inseguimento alleato venne accelerato.

Rommel fu costretto ad abbandonare Fuka e tre giorni dopo Marsa Matruh fu ripresa dagli anglo-americani.

Rapidamente la porzione di Egitto conquistata nella primavera del 1942 veniva persa.

Il ripiegamento del feldmaresciallo tedesco, ritenuto fino a quel momento invincibile, proseguiva irresistibilmente.

Nella notte tra il 7 e l'8 novembre, di sorpresa, scattava sulle coste marocchine e tunisine l'operazione Torch: la Task Force occidentale dell'americano Patton puntò su Casablanca, la Task Force centrale del britanico Fredenhall assalì Orano, la Task Force orientale del britannico Ryder piombò su Algeri.

Apparve subito evidente che l'operazione era riuscita in pieno.

Il maresciallo Pétain da Vichy ordinò alle truppe in Africa di contrastare l'invasione alleata, ma contemporaneamente un messaggio segreto venne inviato all'alto commissario ammiraglio François Darlan per lasciarlo libero ,eventualmente , di trattare con gli Alleati.

Ciò puntualmente avvenne.

La Task Force orientale, consolidata la conquista di Algeri, penetrò per via di terra verso Costantina e verso l'aeroporto di Bosura, mentre per via di mare veniva conquistata Bougie (11 novembre) e truppe aerotrasportate catturavano il presidio di Bona (12 novembre).

I tedeschi, colti di sorpresa, corsero subito ai ripari e il 9 novembre iniziarono l'invio di truppe aerotrasportate che presero terra negli aeroporti di Sidi Ahmed e di Tindja (presso Biserta) e di El Aouina (presso Tunisi).

Il giorno seguente consolidavano la loro testa di ponte a una trentina di chilometri da Biserta e Tunisi.

Più o meno su questa linea si sarebbe stabilito il fronte di battaglia fra i tedeschi e gli uomini del 5° Corpo britannico, mentre altre truppe tedesche venivano sbarcate nel sud della Tunisia a Sfax e Gabes per costituire una barriera entro la quale accogliere le forze di Rommel ripieganti dall'Egitto e impedire quindi il ricongiungimento alleato nel Nordafrica.

L'aviazione dell' Asse giocò un ruolo importante in quei giorni di novembre anche se non riuscì a impedire il successo dell' operazione Torch.

La ricognizione italo-tedesca aveva già avvistato il convoglio della Task Force orientale di Ryder che puntava su Algeri nel corso della giornata del 7 novembre, ma si ritenne che si trattasse del solito convoglio (anche se di consistenza inusitata) diretto a Malta.

Mentre la Luftwaffe e l'Aeronautica italiana disponevano per il trasferimento delle squadriglie negli aeroporti sardi e siciliani, le azioni offensive dell' Asse iniziarono.

Aerosiluranti del 105° Gruppo attaccarono il convoglio al largo di Algeri già nella serata dell'8 novembre, ma il buio vanificò la missione.

Andarono all'attacco anche sei aerosiluranti del 130° Gruppo che presero di mira un incrociatore e quattro piroscafi; un aereo fu danneggiato dalla contraerea.

Entrò anche in azione il 132° Gruppo del maggiore Carlo Emanuele Buscaglia con aerosiluranti della 278° e della 281° Squadriglia che nei giorni seguenti venne trasferito da Pantelleria (dove era schierato all'inizio dell'operazione Torch) a Castelvetrano (Trapani).

La prima missione del Gruppo avvenne 18 novembre non appena giunsero le notizie degli sbarchi alleati ad Algeri.

Decollarono alle 15,15 dodici «Gobbi», sei della 278° e sei della 281° Squadriglia: era la prima grande sortita dopo le missioni dell'agosto precedente.

Ma il buio sopraggiunse presto e, a poca distanza dagli obiettivi, Buscaglia decise che non era il caso di proseguire e diede ordine di rientrare.

L'atterraggio avvenne a notte ormai fatta, alle 20,30.

Il 9 e il 10 novembre furono trascorsi nei preparativi e nell'attuazione di variazioni dello schieramento tra Pantelleria e Castelvetrano.

Nel frattempo la flotta davanti ad Algeri subì l'attacco della 283° e della 280° Squadriglia.

Il mattino dell' 11 novembre giunse notizia a Castelvetrano che nella baia di Bougie si trovava, per lo sbarco, un convoglio composto di dieci piroscafi e una quindicina di unità da guerra minori.

Giunse anche l'ordine a Buscaglia di andare all'attacco.

Graziani, attraverso Romagna Maloja, cosi ha rievocato le disposizioni impartite da Buscaglia quella mattina:

«Il nostro obiettivo è Bougie. La baia pullula di navi da guerra e da carico.

Noi dobbiamo preferibilmente attaccare le navi attraccate ai moli.

Attaccheremo perciò da sud, tenendo ci possibilmente nelle gole dei monti per sfuggire ai radar e per sorprendere la difesa antiaerea.

Vengono con me: Graziani, Faggioni e Angelucci.

Gli altri, pronti per le prossime azioni».

L'equipaggio dell'S.79 di Buscaglia comprendeva il sergente maggiore pilota Francesco Sogliuzzo, il maresciallo mar¬conista Edmondo Balestri, l'aviere mo¬torista Vittorio Vercesi, l'aviere armiere Walter Vecchiarelli e l'aviere scelto pilo¬ta Francesco Maiore. Con il capitano Giulio Cesare Graziani volavano il sergente maggiore pilota Mario Trombetti, l'aviere motorista Luigi Tamburini, il sergente marconista Renzo Casellato, l'aviere armiere Pietro Giannandrea e l'aviere allievo fotografo Athos Pasquesi.

Con il tenente pilota Carlo Faggioni volavano il sergente maggiore pilota Armando Borghi, il sergente maggiore motorista Ideale Facca, l'aviere marconista Giovanni Capaldi, l'aviere armiere Italo Gianni e l'aviere scelto fotografo Ugo Vascellari.

Il quarto S.79 era comandato dal sottotenente pilota Angelucci con Fedi, Savio, Cupiraggi, Flauto e Rossi.

Quel giorno il cielo era sereno con ottima visibilità.

Per realizzare, nonostante tutto, la sorpresa, decollati alle ore 11,50, i quattro «Gobbi», secondo quanto aveva anticipato Buscaglia, penetrarono in territorio tunisino fra Tunisi e Biserta; si portarono a una ventina di chilometri dalla costa e di qui diressero verso l'obiettivo, entrando in territorio algerino e giungendo alle spalle del porto passando su Setif.

Alle ore 14,50 circa gli S.79 stavano per fare la loro apparizione nel golfo di Bougie ma, proprio in quel momento, i «Gobbi» vennero intercettati da sette Spitfire V.

La sorpresa veniva a mancare, ma Buscaglia decise di andare avanti.

A Bougie, in effetti, gli Alleati avevano stabilito una ferrea sorveglianza del cielo perché gli sbarchi erano ancora in corso: nella mattinata il compito era andato agli aerei dell' Argus, dell'Avenger e della Formidable che avevano portato la loro sorveglianza agli estremi eccessi abbattendo per errore un velivolo britannico da ricognizione proveniente da Gibilterra.

Nel pomeriggio la sorveglianza del cielo era passata agli aerei della RAF che avevano dovuto contrastare l'attacco di cinque Ju.88 tedeschi.

I sette «Spit», che appartenevano all'81° Squadron, piombarono sui «Gobbi» italiani riuscendo a mettere a segno alcuni colpi che danneggiarono gli S.79 senza tuttavia comprometterne la tenuta di volo.

Venne colpito anche l'aereo di Buscaglia e il suo fotografo Maiore rimase ferito a un braccio. Terminato l'attacco degli Spitfire, gli S.79 erano intanto entrati nel golfo, iniziò il martellamento della contraerea alleata navale e di quella terrestre.

Come ha raccontato Graziani, nella baia «c'erano incrociatori, cacciatorpediniere, torpediniere che incrociavano veloci alla ricerca di eventuali sommergibili nemici in agguato.

Noi dovevamo attaccare i piroscafi attraccati alla banchina.

Volammo sulle unità da guerra a 50-60 metri.

Ho visto centinaia e migliaia di bocche di armi sputare fuoco verso di noi.

La formazione avanzò in mezzo all'intreccio micidiale dei proiettili.

Si percepivano colpi metallici dei proiettili e delle schegge delle granate che urtavano contro le pale delle eliche o sul rivestimento in lamierino del velivolo.

I velivoli stessi rimbalzavano o sbandavano per effetto dello scoppio delle granate delle artiglierie contraeree.

Era difficile pure mantenere le posizioni di pattuglia»,

Buscaglia si buttò in picchiata per portarsi alla quota di sgancio e nello stesso tempo virò a sinistra per attaccare da est verso ovest, dalla baia verso il molo.

La formazione dei «Gobbi» era ancora compatta perché si era stretta per meglio difendersi dalla caccia.

Improvvisamente il velivolo di Angelucci venne colpito in pieno:

«Lo vidi esplodere in pezzi», ricorda Graziani. «Fu la visione di una frazione di secondo! ».

Gli occhi dei tre comandanti superstiti si concentrarono sull'attacco.

Buscaglia sganciò il siluro per primo, poi fu la volta di Graziani, infine quella di Faggioni.

Un denso fumo nero avvolse almeno due piroscafi: si trattava dell' Avatea e del Chatay la cui perdita fu ammessa dagli Alleati.

I tre aerei furono costretti a compiere un'improvvisa virata prima della collina che sovrastava Bougie, scegliendo forzatamente una rotta di scampo che li costrinse a riattraversare in senso inverso la baia, esponendosi nuovamente al tiro della contraerea.

«Mi trovai » ha scritto Graziani « a essere all'interno della formazione in acrobatica evoluzione. Vidi sopra di me i velivoli di Buscaglia e di Faggioni che, al vertice della virata in cabrata, scomparvero alla mia vista perché con una manovra di scivolata d'ala passarono sotto di me e si portarono all'esterno della virata. Non avevo più fiato per respirare. In quel momento temetti di venire in collisione con loro perché scomparsi alla mia vista. Quando li rividi sulla mia sinistra,mi rassicurai.

A volo radente lungo la spiaggia della baia, con l'ala del mio velivolo che sfiorava gli spigoli dell'alta costa, uscimmo da quell'uragano di fuoco, sul mare aperto».

Ma le vicissitudini dei tre «Gobbi» non erano ancora terminate, perché gli Spitfire li ripresero in consegna, fortunatamente senza conseguenze.

Il rientro alla base di Castelvetrano, come si è già detto, avvenne alle 17,40.

Fu dopo l'atterraggio che lo choc della perdita di Angelucci e del suo equipaggio piombò come una cappa sui superstiti.

Faggioni, stressato al massimo, si lamentò con Buscaglia che era stata una follia «sfidare una piazzaforte in pieno giorno così in profondità e senza nessuna scorta».

Ma il mattino seguente, 12 novembre, gli uomini del 132° Gruppo Autonomo Aerosiluranti erano di nuovo all'attacco per una drammatica giornata che avrebbe visto l'abbattimento di Buscaglia, il non ritorno alla base dell'asso e la convinzione della sua morte con annuncio ufficiale nel bollettino di guerra numero 901 e concessione della medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Il nuovo attacco al porto di Bougie venne compiuto da sei S.79. Buscaglia volle con sé Aichner, Bargagna, Marini, Moci e Pfister e nel suo equipaggio volle essere presente anche il fotografo Maiore al quale i medici avevano consigliato invece di rimanere a riposo.

Il percorso di avvicinamento a Bougie fu più o meno lo stesso del giorno precedente, anche se Buscaglia volle percorrere nell'ultima fase una variante per poter ottenere la sorpresa.

I sei siluranti italiani riuscirono nell'intento ma, proprio mentre si gettavano nel golfo, a una distanza di circa cinque chilometri dall'obiettivo, vennero nuovamente attaccati dai sempre vigili Spitfire britannici.

«Sul suo apparecchio » ha scritto Martino Aichner nel suo prezioso volume Storia degli aerosiluranti italiani e del gruppo Buscaglia « si sviluppò subito un incendio e certamente qualcuno dell'equipaggio fu ferito; noi abbiamo ancora negli occhi e nell'animo l'immagine di quell'aeroplano che tira diritto con la scia di fumo che diventa sempre più grossa.

Quando, entrati nel campo delle mitragliere navali, la caccia ci mollò, speravo ancora che l'equipaggio di Buscaglia ce l'avrebbe fatta a domare l'incendio.

Ma proprio nel momento in cui sorvolavamo un caccia torpediniere, l' S.79 del comandante incassò altri colpi e la scia di fumo si fece più densa.

Benché mortalmente colpito Buscaglia superò senza esitazione l'anello di fuoco delle navi da guerra, diresse contro un grosso piroscafo alla fonda e sganciò mentre l'incendio divampava a bordo. Il velivolo scese come per un ammaraggio verso la parte occidentale del golfo; quando toccò l'acqua esplose e la benzina in fiamme si sparse sul mare».

Ma che cosa era successo il giorno prima all'aereo di Ramiro Angelucci dopo essere stato colpito dalla contraerea?

È a partire da questo punto che inizia un'altra storia di guerra che è proseguita fino ai nostri giorni.

L'S.79 della 278° Squadriglia fu visto esplodere in volo o precipitare, si ritenne in mare.

Da terra l'accaduto fu seguito da due testimoni, oggi anziani, ed è stato cosi ricostruito.

Il «Gobbo» di Angelucci sarebbe stato colpito dal caccia britannico Monitor dopo aver sganciato il suo siluro e mentre si dirigeva verso il molo.

Non esplose in volo ma ebbe certamente un grave incendio a bordo.

Superato il porto e la cittadina di Bougie, l'aereo avrebbe compiuto una virata a sinistra di 360 gradi, forse in cerca di uno spiazzo di terreno adatto a un atterraggio di emergenza.

Nel tentativo, sorvolando un'altura prospiciente la cittadina, avrebbe urtato con la sua ala sinistra contro i rami di un ulivo, precipitando contro il terreno e andando in pezzi.

L'esplosione finale era da attribuirsi ai serbatoi di benzina.

Estintosi il piccolo incendio, i testimoni oculari della caduta raggiunsero la zona e constatarono che cinque membri dell'equipaggio erano stati proiettati fuori dalla carcassa dell'aereo mentre il sesto vi era rimasto imprigionato.

Tutti erano straziati dall'esplosione.

Dopo una ricognizione sul posto di alcuni soldati britannici, che tolsero le piastrine di riconoscimento ai corpi dei piloti, gli abitanti del luogo provvidero alla sepoltura.

Nelle vicinanze si ergevano la fattoria di un colono francese di nome Roussel e la fornace di proprietà di un certo Aliprandi, italiano.

Fu costui che forni un mucchio di tavelloni forati di cotto con i quali furono preparate le tombe. Proprio sotto gli ulivi vennero scavate tre fosse orientate su est-ovest, come prescritto dal Corano.

In ogni tomba furono composti due corpi, con la testa rivolta una a occidente e una a oriente: Una fila di tavelloni completò le tre tombe coperte di terra e rese riconoscibili grazie a tre grosse pietre.

L'iniziativa per la ricerca dei corpi dell'equipaggio dell'S.79 partì da un fratello di Francesco Cupiraggi, fotografo a bordo dell'aereo di Angelucci.

Questi, trovandosi per ragioni di lavoro in Algeria, riuscì a raccogliere testimonianze secondo le quali alcune persone avevano visto precipitare l'11 novembre 1942 (erano già passati trent'anni) un aereo italiano e avevano provveduto alla sepoltura dei piloti.

Le indagini in luogo iniziarono a cura del capitano di vascello Roberto Del Toro che, assegnato ad Algeri, capitale della nazione algerina divenuta indipendente, si recò a Bougie (che aveva mutato il suo nome in Béjaia) e assodò che la possibilità di recuperare i corpi dei sei aviatori era concreta.

Le autorità algerine si dichiararono disposte ad approfondire la ricerca che ebbe il successo sperato.

Le tombe furono individuate e nella zona circostante venne recuperato anche un vecchio motore di aeroplano a pezzi, riconosciuto come appartenente all'S.79.

Esattamente 41 anni dopo la tragica giornata del novembre 1942, è avvenuto il recupero dei resti di Angelucci, Fedi, Savio, Cupiraggi, Flauto e Rossi.

Il 13 novembre dello scorso anno, infatti, atterrava ad Algeri un G. 222 della 46° Aerobrigata che portava a bordo una delegazione italiana composta dal generale di Squadra Aerea Giuseppe Pesce, dal colonnello di Fanteria Carlo De Simoni, dal tenente colonnello pilota Tiziano Boccagni, dal tenente di Fanteria Giulio Serafini e dal maresciallo fotografo Luigi Pascale.

Lo stesso aereo il mattino seguente (dopo l'incontro con il capitano di vascello Del Toro e con l'ambasciatore italiano ad Algeri e una cerimonia con le autorità algerine) atterrava a Béjaia.

Le operazioni di recupero si svolsero il 15 novembre: mentre alcuni operai provvedevano allo scavo per riportare alla luce le tre tombe, alcuni membri della delegazione italiana rintracciavano nella zona, parzialmente sepolti dal terriccio, tre motori Alfa 125.

Uno dei motori segnava il punto preciso nel quale l'aereo era precipitato a terra ed esploso.

La pietosa opera di recupero dei resti dei sei aviatori venne portata a termine nel pomeriggio: le ossa furono sistemate in sei cassette di lamiera.

I sei uomini dell'S.79 Sono così rientrati in Italia, seguiti anche da uno dei motori e da alcune altre parti del relitto, che sono finiti al museo di Vigna di Valle (Roma).

Il 18 gennaio 1984 una solenne cerimonia religiosa-militare, svoltasi nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma, vedeva la tumulazione dei resti dell'equipaggio dell'S.79 di Angelucci.

I sei uomini riposavano finalmente in pace nella terra per la quale avevano combattuto ed erano morti.

Quarantun anni dopo l'11 novembre 1942 si poteva dire che anche l'S.79 della 278° Squadriglia del 132° Gruppo autonomo aerosilurante era infine rientrato alla base.

 

Storia illustrata , maggio 1984

Modificato da Dave97
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Buscaglia - l'asso degli Aerosiluranti

In un suo celebre libro di memorie, Martino Aichner (a sua volta pilota di aerosiluranti e autore tra l'altro dell'affondamento del C. T. britannico Bedouin durante la battaglia navale di Pantelleria del 15 giugno 1942) afferma che se Baracca è stato elevato a simbolo del combattente alato italiano della Prima Guerra Mondiale, lo stesso simbolo per il secondo conflitto mondiale spetta, a Carlo Emanuele Buscaglia, asso degli aerosiluranti italiani.

«Buscaglia - ha scritto Aichner - non fu un pilota raffinato come Faggioni, Moci o Erasi, né completo come Raffaelli, Unia o Graziani, ma era un combattente nato.

L'elemento del carattere che lo faceva superiore a qualsiasi altro era l'incredibile forza di volontà dimostrata in ogni occasione.

Per lui la guerra consisteva in un lavoro e voleva che questo lavoro fosse fatto con serietà e per primo lo faceva molto seriamente».

Buscaglia nacque a Novara nel 1915, entrò nell'Accademia aeronautica nel 1934 seguendo il corso Orione e all'inizio del conflitto era tenente nella 254° Squadriglia da bombardamento con la quale si batté sul fronte occidentale, ma nell'agosto 1940 era già stato assegnato al Reparto sperimentale aerosiluranti che proprio il 15 di quel mese sferrò un attacco alla base britannica di Alessandria.

Immediatamente, le qualità eccezionali di Buscaglia emersero e il suo primo notevole successo porta la data del 17 ottobre, quando nel golfo di Sollum, durante la notte, riuscì a silurare l'incrociatore pesante Kent che dovette essere rimorchiato fino ad Alessandria.

Le gesta della 278° Squadriglia, alla quale apparteneva Buscaglia, divennero ben presto famose;

Si trattava dei «Quattro gatti» del capitano Erasi (i quattro aerei della squadriglia al momento della sua costituzione, che avevano assunto come distintivo appunto quello con quattro gatti che passeggiavano su un siluro) che inflissero gravissimi danni all'incrociatore Liverpool e il 3 dicembre, per merito personale di Buscaglia, al Glasgow

Nel 1941, al comando della 2810 Squadriglia, Buscaglia operò nell'Egeo (successi contro un convoglio britannico a Creta).

Le imprese vittoriose si rinnovarono nei mesi successivi, sempre ai danni della Mediterranean Fleet britannica.

Con i nuovi S.79 Buscaglia, con i compagni Cimicchi, Faggioni, Graziani e Forzinetti, inflisse danni ai britannici nel Mediterraneo orientale: convogli, navi isolate e le maggiori unità della flotta inglese vennero perseguitate senza posa dai siluri della 281° Squadriglia.

Ormai Buscaglia aveva raccolto frequenti citazioni nei Bollettini di guerra ed era in testa alla classifica del tonnellaggio del naviglio affondato (con un primato addirittura mondiale di 100.000 tonnellate).

Durante la prima battaglia della Sirte nel dicembre 1941 il nucleo di Buscaglia, Faggioni e Forzinetti (Cirenaica) e quello di Cimicchi, Rovelli e Cipelletti (Gadurrà - Rodi) si era battuto a fondo contro un convoglio nel quale i ricognitori avevano segnalato erroneamente come presenti navi da battaglia.

Forzinetti venne però abbattuto e la stessa sorte toccò a Rovelli a fine mese.

Con la 204° e 205° Squadriglia del 41° Gruppo, Buscaglia e compagni si batterono nel febbraio e nel marzo 1942 e parteciparono alla seconda battaglia della Sirte.

Si giunse infine alla costituzione del 132° Gruppo con la 278° e la 281° Squadriglia e alla sua partecipazione alla battaglia di Pantelleria.

Intanto Buscaglia era stato ricevuto a.Palazzo Venezia da Mussolini: sei medaglie d'argento e una croce di ferro di seconda classe gli erano già state aggiudicate.

Il comunicato ufficiale, ricordando le ventinove azioni di siluramento e i ventiquattro siluri messi a segno, affermava:

«L'attività del capitano Buscaglia non trova per il momento alcun riscontro in nessuna delle aviazioni estere».

L'incontro si concluse con il preannuncio della promozione a maggiore e con una promessa di Buscaglia: «Combatterò sino all'ultimo!».

E giungiamo al 12 novembre 1942: quando l'aereo di Buscaglia era andato a schiantarsi nel golfo di Bougie, l'asso non era morto, come si era dato per scontato.

Gravemente ferito, era stato recuperato in mare insieme al fotografo Maiore (che però era successivamente deceduto) e portato in un ospedale britannico e quindi in prigionia negli Stati Uniti.

Nel 1944 si seppe della reale sorte di Buscaglia; l'asso, reduce da dolorose operazioni chirurgiche conseguenti alle terribili ustioni, ricomparve in Italia nel 1944 nel regno del sud, impaziente di rientrare nella lotta.

Dopo l'8 settembre 1943 gli specialisti aerosiluranti si erano ritrovati per metà al nord nel territorio della Repubblica Sociale Italiana e per metà al sud per collaborare con gli Alleati.

Carlo Faggioni fu l'animatore al nord della ricostituzione del gruppo Buscaglia che vide la presenza di Buri, Marini, Teta, Sponza, Bertuzzi e Balzarotti e che si batté alla testa di ponte di Anzio dove il 6 aprile 1944 lo stesso Faggioni venne abbattuto.

Il Gruppo della RSI cambiò il suo nome assumendo quello di Faggioni.

Al sud l'animatore degli aerosiluranti fu Massimiliano Erasi al comando del 132° Gruppo ricostituito che nel giugno 1944 effettuò il passaggio sui Baltimore americani.

Il 23 agosto 1944 Buscaglia, senza farsi notare dai compagni seduti in mensa, salì su un Baltimore e cercò di decollare, ma un incidente tecnico fece impennare l'aereo che ripiombò a terra incendiandosi.

Il giorno dopo l'asso degli aerosiluranti moriva in ospedale.

Perché Buscaglia aveva voluto prendere il volo da solo?

La risposta non è mai venuta: da una parte si affermò che, volando da solo, cercava di riacquistare fiducia in se stesso; dall'altra parte (nella RSI) si disse invece che aveva voluto fuggire per ricongiungersi con i

compagni al nord.

 

Storia Illustrata , maggio 1984

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Ospite Folgore

Una cosa. Nella missione di Faggioni Buscaglia Angelucci (Aerei nella Storia N 53) sono stati sorpresi dagli spitfires, si, ma prima ancora da un Messerschmitt 110 della Luftwaffe. al ultimo momento si accorse della beffa, ma la sorpresa era ormai bruciata.

 

Improvvisamente il velivolo di Angelucci venne colpito in pieno:

«Lo vidi esplodere in pezzi», ricorda Graziani. «Fu la visione di una frazione di secondo! ».

 

 

il rottame è stato recuperato, o meglio i motori, e i testimoni oculari dicevano che colpendo con l'ala l'ulivo la perse completamente e esplose per via della benzina.....

Modificato da Folgore
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all'attacco di Bougie

L'8 novembre nel pomeriggio, l'intero Gruppo Buscaglia decolla da Castelvetrano con meta la rada di Algeri che dista 900 km.

L'intendimento è quello di arrivare addosso alle navi al calar del sole contando sulla limitata visibilità in quel momento.

Si incontrano estesi piovaschi che rendono difficile il volo e aumentano il consumo di carburante; alle 18.05, mentre sta sopraggiungendo il buio, Buscaglia dà ordine di rientrare; insistere può essere un rischio perché il limite di autonomia per il rientro è troppo vicino.

E infatti la decisione si dimostra saggia quando, riavvicinandosi a Castelvetrano, la base comunica per radio che sull'aeroporto è in corso un'azione inglese per cui si ordina di atterrare a Gerbini.

Visto che nell'Africa francese non c'è opposizione, il giorno 10 le forze d'invasione allestiscono due convogli per un nuovo balzo via mare fino a Bougie, con un'adeguata scorta di navi da guerra che comprende anche la portaerei ARGUS.

Bougie si trova a 700 km dalla Sicilia e a meno di 500 dalla Sardegna; gli aerei italiani e tedeschi vi si avventano subito, e i primi a partire sono quelli del 132° Gruppo, ai quali viene assegnato il compito di colpire i piroscafi attraccati ai moli per lo scarico delle truppe e dei mezzi.

Buscaglia decide come al solito di guidare la pattuglia e prende con sé gli inamovibili Graziani e Faggioni col «nuovo» Angelucci.

Il comandante intende ripetere la tattica già usata insieme col Cap. Erasi nell'attacco a Suda del dicembre 1941; invece di arrivare a Bougie dal mare, sbucherà sul porto dalla parte di terra.

Durante i preparativi per il decollo la tensione degli animi è più forte del solito perché gli equipaggi che partono e quelli che restano hanno ben capito il rischio dell'impresa.

Faggioni ha con sé uomini collaudati da tante prove vissute in comune: secondo pilota Borghi, motorista Facca, marconista Capaldi, armiere Gianni, fotografo Vascellari.

I quattro aerei decollano di seguito e si avviano nella formazione «a quattro dita»: davanti Buscaglia, gregario di sinistra Graziani, primo gregario di destra Faggioni e secondo Angelucci.

Arrivati all'altezza dell'isola di La Galite, accostano in direzione sud ed entrano nel territorio della Tunisia, procedendo poi verso ovest bassi sul terreno per non richiamare l'attenzione dei radar. Il tempo, che alla partenza era ottimo, va rapidamente peggiorando e un gran temporale investe gli aerei tra le montagne; Angelucci, che è il più giovane d'anni e di esperienza, stenta a tenersi in contatto.

Raggiunto il punto previsto, la pattuglia punta a nord per superare la catena montagnosa e quindi buttarsi in picchiata e arrivare a est della rada di Bougie.

Gli aerei filano alla massima velocità uno dietro l'altro e la sorpresa sostanzialmente riesce perché la contraerea tarda a mettersi in azione, ma un velivolo tedesco che vola in alto, un bimotore Me 210, vedendo i quattro apparecchi arrivare dalla parte di terra li crede inglesi o americani e picchia su loro.

Si mettono in allarme tutte le unità in mare e arriva subito una formazione di caccia decollati dalla portaerei.

I 79 si stringono per difendersi, sono già sul mare aperto, Buscaglia esegue una virata sinistra per entrare nella rada, i caccia li abbandonano affidandoli alla contraerea delle navi e di terra:

«La baia di Bougie si presentò ai nostri occhi terrificante. Le navi erano tante, tante, tante.»

La cintura del naviglio che incrocia nella baia ha già inquadrato gli aerei e il fuoco è subito serrato, i 79 passano sulle navi da guerra a 50-60 metri di quota in mezzo a una girandola di colpi quale mai s'era vista, incassano e tirano diritto:

«... quanto videro i miei occhi in quel languido pomeriggio dell'11 novembre 1942 non ha mai avuto possibilità di confronto in missioni precedenti e successive. »

È in questa fase che, tra il fumo delle cannonate, si vede l'aereo di Angelucci prender fuoco, staccarsi e precipitare; andrà ad esplodere sulle colline, e le salme dell'equipaggio verranno trasportate in Italia nel 1984.

I tre 79 sganciano quasi contemporaneamente sulle navi alla banchina e sono subito a ridosso delle case e della conca montuosa di Bougie; per uscire dal girone infuocato devono virare stretto a sinistra in una forte cabrata che li porta a sfiorare le rocce.

Faggioni, che è sulla destra, giunto al limite di velocità si lascia andare in scivolata d'ala e passa sotto i suoi compagni portandosi all'interno della formazione, Buscaglia lo imita e la pattuglia inverte così le posizioni.

Sono i tre piloti più esperti tra gli aerosiluranti italiani, e ora devono riattraversare il porto a volo radente per riguadagnare il mare aperto.

Incassano altri colpi senza gravi conseguenze, gli uomini respirano ma non è finita perché li aspetta di nuovo la caccia.

I tre volano strettissimi a non più di un metro dalla superfice del mare e riuniscono tutto il volume di fuoco delle mitragliere dorsali e laterali contro gli aerei attaccanti che devono puntare dall'alto e non possono sfruttare per intero la superiore velocità per il rischio d'infilarsi in mare.

I 79 filano a tutta manetta, gli specialisti inquadrano i caccia nei mirini e sparano lunghe raffiche, dopo una decina di minuti di combattimento, quando i caccia se ne vanno, affermano che due velivoli avversari, colpiti dalle armi di bordo o presi nei vortici delle scie, sono finiti in acqua.

Il rientro avviene a velocità alquanto ridotta causa i danni riportati.

Arrivati sul campo, Faggioni fa segno che desidera atterrare per primo, lo segue Buscaglia e poi Graziani.

C'è il solito affollarsi di quelli che chiedono notizie, Buscaglia esamina i danni del suo aereo, che sono piuttosto vistosi.

È qui che succede quello che nessuno si aspettava: Faggioni con la faccia tirata si avvicina a Buscaglia e gli dice senza mezzi termini che l'attacco non doveva essere condotto in quel modo, che così si andava a morire inutilmente.

Il disciplinatissimo Faggioni, l'ufficiale che non ammette il minimo strappo al regolamento, ha iniziato la sua protesta in maniera tutt'altro che regolamentare alla presenza di ufficiali, sottufficiali, avieri.

Buscaglia non risponde.

Anche i compagni di equipaggio di Faggioni esprimono con calore la stessa opinione del loro pilota.

Si mette in mezzo Graziani che cerca di portare Faggioni lontano dall'affollamento perché sfoghi la collera solo con lui.

Buscaglia, che si è mantenuto tranquillo, si avvia al comando.

Il parere di Faggioni è semplice: l'attacco non doveva essere portato all'interno di un porto tanto ristretto con una rada così fittamente pattugliata da navi da guerra; solo una fortuna enorme aveva permesso che tre equipaggi su quattro tornassero a casa, e la fortuna era dovuta all'inesperienza degli americani che, ancora alle prime prove in fatto di guerra, avevano effettuato il tiro in caccia, cioè puntando tutti direttamente sui bersagli volanti: se avessero fatto il tiro di sbarramento come da tempo usavano gli inglesi, nessuno sarebbe uscito da Bougie.

Faggioni aveva sostanzialmente ragione, e ciò che avvenne nei giorni seguenti lo dimostrò; le difese attive e passive che gli angloamericani potevano mettere in campo erano tanto forti che

i nostri aerei dovettero rinunciare agli attacchi di giorno per non compiere un inutile suicidio collettivo.

I tre apparecchi tornati da Bougie furono consegnati per le riparazioni allo S.R.A.M. e poterono essere ripresi in squadriglia solo quattro mesi dopo.

Le foto eseguite durante l'azione dimostrarono che due piroscafi erano stati silurati; gli americani lo confermarono a Graziani dopo l'armistizio: si trattava dei trasporti AVATEA e CATHAY.

Durante il rapporto al comando di gruppo, Graziani cercò di minimizzare la protesta di Faggioni, ma non potè fare a meno di entrare in polemica col suo comandante quando mise in evidenza che il parere degli ufficiali era quello di effettuare le azioni nelle ore più favorevoli intorno al tramonto, soprattutto per evitare o limitare gli attacchi della caccia che si erano dimostrati molto pericolosi.

Buscaglia oppose varie ragioni per sostenere la tesi degli attacchi diurni: la possibilità di volare in formazione stretta per respingere gli assalti dei cacciatori, le migliori probabilità di cavarsela nell'eventualità di un ammaraggio, le difficoltà del ritorno di notte.

La discussione fu lunga e poco conclusiva.

Buscaglia doveva avvertire il senso dell'isolamento nel quale era venuto a trovarsi ma, tutto chiuso nel cerchio della sua volontà d'acciaio, non poteva cambiar parere.

Alla tremenda responsabilità che gli gravava addosso, alla perdita di tanti cari amici, alla constatazione che la lotta diveniva sempre più aspra reagiva rendendo più dura e salda la sua determinazione di andare fino in fondo.

La cena, che avvenne in un penoso silenzio, mostrò tutta la tensione di quella giornata tormentosa.

 

Tratto da : Carlo Faggioni e gli aerosiluranti Italiani

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  • 1 mese dopo...
Buscaglia - l'asso degli Aerosiluranti

In un suo celebre libro di memorie, Martino Aichner (a sua volta pilota di aerosiluranti e autore tra l'altro dell'affondamento del C. T. britannico Bedouin durante la battaglia navale di Pantelleria del 15 giugno 1942) afferma che se Baracca è stato elevato a simbolo del combattente alato italiano della Prima Guerra Mondiale, lo stesso simbolo per il secondo conflitto mondiale spetta, a Carlo Emanuele Buscaglia, asso degli aerosiluranti italiani.

«Buscaglia - ha scritto Aichner - non fu un pilota raffinato come Faggioni, Moci o Erasi, né completo come Raffaelli, Unia o Graziani, ma era un combattente nato.

L'elemento del carattere che lo faceva superiore a qualsiasi altro era l'incredibile forza di volontà dimostrata in ogni occasione.

Per lui la guerra consisteva in un lavoro e voleva che questo lavoro fosse fatto con serietà e per primo lo faceva molto seriamente».

Buscaglia nacque a Novara nel 1915, entrò nell'Accademia aeronautica nel 1934 seguendo il corso Orione e all'inizio del conflitto era tenente nella 254° Squadriglia da bombardamento con la quale si batté sul fronte occidentale, ma nell'agosto 1940 era già stato assegnato al Reparto sperimentale aerosiluranti che proprio il 15 di quel mese sferrò un attacco alla base britannica di Alessandria.

Immediatamente, le qualità eccezionali di Buscaglia emersero e il suo primo notevole successo porta la data del 17 ottobre, quando nel golfo di Sollum, durante la notte, riuscì a silurare l'incrociatore pesante Kent che dovette essere rimorchiato fino ad Alessandria.

Le gesta della 278° Squadriglia, alla quale apparteneva Buscaglia, divennero ben presto famose;

Si trattava dei «Quattro gatti» del capitano Erasi (i quattro aerei della squadriglia al momento della sua costituzione, che avevano assunto come distintivo appunto quello con quattro gatti che passeggiavano su un siluro) che inflissero gravissimi danni all'incrociatore Liverpool e il 3 dicembre, per merito personale di Buscaglia, al Glasgow

Nel 1941, al comando della 2810 Squadriglia, Buscaglia operò nell'Egeo (successi contro un convoglio britannico a Creta).

Le imprese vittoriose si rinnovarono nei mesi successivi, sempre ai danni della Mediterranean Fleet britannica.

Con i nuovi S.79 Buscaglia, con i compagni Cimicchi, Faggioni, Graziani e Forzinetti, inflisse danni ai britannici nel Mediterraneo orientale: convogli, navi isolate e le maggiori unità della flotta inglese vennero perseguitate senza posa dai siluri della 281° Squadriglia.

Ormai Buscaglia aveva raccolto frequenti citazioni nei Bollettini di guerra ed era in testa alla classifica del tonnellaggio del naviglio affondato (con un primato addirittura mondiale di 100.000 tonnellate).

Durante la prima battaglia della Sirte nel dicembre 1941 il nucleo di Buscaglia, Faggioni e Forzinetti (Cirenaica) e quello di Cimicchi, Rovelli e Cipelletti (Gadurrà - Rodi) si era battuto a fondo contro un convoglio nel quale i ricognitori avevano segnalato erroneamente come presenti navi da battaglia.

Forzinetti venne però abbattuto e la stessa sorte toccò a Rovelli a fine mese.

Con la 204° e 205° Squadriglia del 41° Gruppo, Buscaglia e compagni si batterono nel febbraio e nel marzo 1942 e parteciparono alla seconda battaglia della Sirte.

Si giunse infine alla costituzione del 132° Gruppo con la 278° e la 281° Squadriglia e alla sua partecipazione alla battaglia di Pantelleria.

Intanto Buscaglia era stato ricevuto a.Palazzo Venezia da Mussolini: sei medaglie d'argento e una croce di ferro di seconda classe gli erano già state aggiudicate.

Il comunicato ufficiale, ricordando le ventinove azioni di siluramento e i ventiquattro siluri messi a segno, affermava:

«L'attività del capitano Buscaglia non trova per il momento alcun riscontro in nessuna delle aviazioni estere».

L'incontro si concluse con il preannuncio della promozione a maggiore e con una promessa di Buscaglia: «Combatterò sino all'ultimo!».

E giungiamo al 12 novembre 1942: quando l'aereo di Buscaglia era andato a schiantarsi nel golfo di Bougie, l'asso non era morto, come si era dato per scontato.

Gravemente ferito, era stato recuperato in mare insieme al fotografo Maiore (che però era successivamente deceduto) e portato in un ospedale britannico e quindi in prigionia negli Stati Uniti.

Nel 1944 si seppe della reale sorte di Buscaglia; l'asso, reduce da dolorose operazioni chirurgiche conseguenti alle terribili ustioni, ricomparve in Italia nel 1944 nel regno del sud, impaziente di rientrare nella lotta.

Dopo l'8 settembre 1943 gli specialisti aerosiluranti si erano ritrovati per metà al nord nel territorio della Repubblica Sociale Italiana e per metà al sud per collaborare con gli Alleati.

Carlo Faggioni fu l'animatore al nord della ricostituzione del gruppo Buscaglia che vide la presenza di Buri, Marini, Teta, Sponza, Bertuzzi e Balzarotti e che si batté alla testa di ponte di Anzio dove il 6 aprile 1944 lo stesso Faggioni venne abbattuto.

Il Gruppo della RSI cambiò il suo nome assumendo quello di Faggioni.

Al sud l'animatore degli aerosiluranti fu Massimiliano Erasi al comando del 132° Gruppo ricostituito che nel giugno 1944 effettuò il passaggio sui Baltimore americani.

Il 23 agosto 1944 Buscaglia, senza farsi notare dai compagni seduti in mensa, salì su un Baltimore e cercò di decollare, ma un incidente tecnico fece impennare l'aereo che ripiombò a terra incendiandosi.

Il giorno dopo l'asso degli aerosiluranti moriva in ospedale.

Perché Buscaglia aveva voluto prendere il volo da solo?

La risposta non è mai venuta: da una parte si affermò che, volando da solo, cercava di riacquistare fiducia in se stesso; dall'altra parte (nella RSI) si disse invece che aveva voluto fuggire per ricongiungersi con i

compagni al nord.

 

Storia Illustrata , maggio 1984

Sulla morte del Comandante Buscaglia non v'è mistero: il Baltimora era in aereo estremamente impegnativo con unico pilota a bordo del tutto diverso dal SM 79 e all'incidente hanno certamente concorso sia l'insufficiente esperienza sulla nuova macchina, sia il lungo periodo di inattività dovuto alla prigionia. Certamente è da escludere la possibilità che il Comandante intendesse sottrarre un velivolo per schierarsi con la R.S.I. .

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non ho mai capito perchè un aereo così grosso come lo saprviero portasse i siluri da 457... 2 teorici ma 1 pratico... e non un bel pesce da 533.

 

colgo l'occasione per un mio appunto... dai libri dell'ufficio storico della marina si evince che... o la contraera inglese faceva pena (cosa probabile visto la fine vergognosa fatte da repulse e prince of wales... annichilite da betty e nell, i quali persero 4 aerei in totale) o gli aerei attaccanti erano poco risoluti... perchè di perdite, in numero di apparecchi, ce ne sono state pochine se le confrontiamo alle stragi del pacifico dello stesso periodo dove invece i numeri sono ben altri.

 

Il paragone tra le azioni degli aerosiluranti italiani nel Mediterraneo e quelle dei giapponesi nel Pacifico è assolutamente improponibile; è sufficiente ricordare che gli italiani di norma attaccavano con una formazione di soli tre o quattro SM79 e che, solo in rare circostanze, furono effettuati attacchi congiunti con la Luftwaffe che potevano vedere impegnati fino a sette o otto SM 79. Si pensi solo che, nell'ultimo mese di guerra, i giapponesi persero circa mille aeroplani!

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  • 2 settimane dopo...
non ho mai capito perchè un aereo così grosso come lo saprviero portasse i siluri da 457... 2 teorici ma 1 pratico... e non un bel pesce da 533.

 

colgo l'occasione per un mio appunto... dai libri dell'ufficio storico della marina si evince che... o la contraera inglese faceva pena (cosa probabile visto la fine vergognosa fatte da repulse e prince of wales... annichilite da betty e nell, i quali persero 4 aerei in totale) o gli aerei attaccanti erano poco risoluti... perchè di perdite, in numero di apparecchi, ce ne sono state pochine se le confrontiamo alle stragi del pacifico dello stesso periodo dove invece i numeri sono ben altri.

:helpsmile:

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