Albatros

L'impiego operativo.

Albatros 10



Le Jagdstaffeln (Jasta, secondo l’abbreviazione usata) nacquero come evoluzione delle Kampfeinsitzerkommando, nell’ambito delle forze aeree tedesche operanti in Francia. La Jasta 1 fu costituita il 23 agosto 1916 a Berthincourt, e il 27 la seguiva a Laguincourt la Jasta 2. Essa aveva la sua base a Laguincourt, in Francia, ed era comandata dal capitano Oswald Boelcke, asso degli aviatori tedeschi e ideatore delle Jasta. Nelle sue file militava un promettente pilota di 24 anni di nome Manfred von Richthofen, che era il miglior allievo di Boelcke e che in seguito avrebbe superato il suo maestro.

All’inizio del settembre vennero consegnati a questo reparto tre Albatros D.I, assieme a due Fokker D.III e ad un Halberstadt D.II. Di questi tre tipi il migliore era certamente l’Albatros D.III, e se ne ebbe subito dimostrazione nelle missioni di addestramento e di finto combattimento, tanto che in seguito gli altri due biplani vennero relegati a compiti secondari ed alla scuola caccia.

Il 17 settembre 1916, per la prima volta la Jasta 2 andò all’attacco quasi al completo, con cinque aerei, tra i quali figurava quello di von Richthofen. Boelcke avvistò ben presto otto BE.2 da bombardamento scortati da sei caccia biposto FE.2b, e dopo aver manovrato in modo da tagliar loro la strada per il ritorno, li attaccò da quota superiore e con il sole alle spalle. L’attacco improvviso colse di sorpresa gli inglesi e ne scompaginò la formazione. Nel carosello che seguì, ognuno dei piloti tedeschi abbatté un avversario, per un totale di cinque.

Il 28 ottobre 1916 la Jasta 2 era decollata al completo per una delle solite missioni di caccia libera lungo la linea del fronte. Il tempo era cattivo e nuvoloso. Vicino a Flers i sei Albatros incrociarono due De Havilland a quota inferiore e naturalmente attaccarono, forse con troppa sicurezza dato il nettissimo vantaggio. Due aerei tedeschi attaccarono uno degli inglesi, e nella foga dell’assalto il carrello di uno urtò violentemente l’ala superiore dell’altro. Quest’ultimo, che era l’apparecchio di Boelcke, si allontanò dal combattimento e cominciò a discendere compiendo ampie curve: poi l’ala superiore si staccò completamente, perdendosi tra le nuvole e l’aereo precipitò. Il seguente rapporto dettagliato comprende delle testimonianze dirette sul tragico incidente: Venerdì 27 ottobre le nuvole basse, la pioggia e il vento violento ridussero le operazioni di volo. La tregua fu ben accolta da entrambe le parti. Il giorno successivo il tempo fu un poco più clemente: nuvole basse e venti forti tutto il giorno con rovesci occasionali. Sembrava prospettarsi un’altra giornata di riposo per la Jasta 2, come scrisse il sottotenente Erwin Bòhme in una lettera: «Sabato pomeriggio stavamo seduti nel nostro piccolo padiglione al campo d’aviazione pronti per partire. Avevo appena iniziato una partita a scacchi con Boelcke quando poco dopo le 16.00 fummo richiamati all’azione durante un attacco della fanteria. Ci guidò Boelcke stesso, come sempre. Presto arrivammo sopra Flers e attaccammo diversi aeroplani britannici, che si difendevano con maestria. Nel violento combattimento aereo che seguì, durante il quale il tempo per sparare fu molto poco, cercammo di abbatterli separandoli, come avevamo già fatto molte altre volte con successo... Tra me e Boelcke c’era un inglese, quando un altro avversario, inseguito da Richthofen, si piazzò davanti a noi. Durante una fulminea manovra evasiva Boelcke e io, coperti dalle ali, ci perdemmo di vista per un istante e fu allora che accadde. Come posso descrivere ciò che provai quando Boelcke, apparso improvvisamente alcuni metri sulla destra, scese in picchiata, mentre io stavo salendo, e tuttavia ci sfiorammo e fummo costretti a tornare a terra! Ci sfiorammo soltanto, ma a quella velocità significa una collisione vera e propria.» L’altro pilota presente alla scena, Manfred von Richthofen, descrisse la scena finale e quello che seguì in una lettera alla madre il 3 novembre 1916: «L’altro poveretto (Bòhme) si salvò. All’inizio Boelcke scese normalmente. Io lo seguii. Poi gli si spezzò un’ala e precipitò. Si frantumò la testa sul colpo morendo all’istante. La sua morte colpì tutti noi, come se ci fosse stato portato via un caro fratello. Durante il funerale, portai l’Ordenskissen (il cuscino con le decorazioni). La cerimonia fu degna di un principe regnante).»

Alla fine dell’anno le Jasta si erano moltiplicate (ve ne erano almeno 35 operative) e con esse il numero degli « assi »: Hans Joachim Buddecke della 4a, Manfred von Richthofen che ora comandava la 11a, Karl Allmenròder sempre della Jasta 11, Werner Voss della Jasta 10 sono solo alcuni tra i tanti protagonisti di memorabili duelli aerei contro gli agguerriti piloti franco-inglesi.

Nel gennaio 1917 i D.II operanti in prima linea erano 214, ma già stava arrivando a reparti il D.III, e quindi il loro numero si dimezzò in quattro mesi; frattanto, però, anche una fabbrica austriaca, la Oeffag di Wiener-Neustadt, aveva iniziato a produrli (20, costituenti la serie 53,con motore Austro-Daimler da 185 cavalli) Cosicché l’aereo operò anche sul fronte italiano. Nel 1920, la Cecoslovacchia si procurò alcuni esemplari per il suo primo reparto da caccia; avevano la nuova sigla L.17.

Le Jasta cominciarono a ricevere il nuovo modello D.III nel gennaio 1917. Era un periodo molto felice per l’aeronautica imperiale, che ebbe il suo culmine in quello che gli inglesi chiamarono «Bloody April », aprile di sangue. Mentre a terra si stava spegnendo il grande scontro di Arras, nei cieli i biplani tedeschi affermavano la loro superiorità cogliendo un gran numero di vittorie sui loro pur valorosi avversari.

I piloti tedeschi presero in quei periodo l’abitudine di dipingere i loro aerei con colori vivaci e vistosissimi, personalizzando ogni pilota il proprio apparecchio con stemmi e decorazioni diversi. Famosa, per esempio, rimase la leggenda della « dama rosa » fra i piloti del Corpo Aereo inglese. Essi infatti avevano spesso modo di incontrare un Albatros completamente dipinto di rosa ed il cui pilota aveva un volto delicato e femmineo. Nacque così la favola che la « dama rosa » fosse una bellissima ragazza tedesca che volava per vendicare il suo sposo, perito in guerra.

Manfred von Richthofen volava su di un Albatros dipinto interamente di rosso, da cui ebbe origine la leggenda del « Barone Rosso ».
I piloti della sua Staffeln, timorosi per l’incolumità del loro capo, così chiaramente riconoscibile, chiesero ed ottennero che i loro biplani fossero dipinti di rosso, anche se non completamente. Allmenròder infatti volò con un aereo rosso, ma con le ali e la punta del motore bianche; un altro aveva timone ed equilibratore neri, e così via.

Altro grande asso degli Albatros D.III fu il barone Eduard von Schleich, detto « il Cavaliere Nero ». Brillante quanto imprevedibile pilota, fu protagonista di grandi duelli aerei nei quali fu spesso vittorioso. Arrivò alla fine del conflitto con 35 vittorie confermate. Identico traguardo conseguì il maggiore asso austro-ungarico, Godwin Brumowsky, anch’egli per lungo tempo montò un caccia Albatros, come molti suoi connazionali di grande valore, tra cui Frank Linke-Crawford (27 vittorie) e Josef Kiss.

Il D.III era stato anche prodotto, come il predecessore, dalla Ufag, nella serie 532, 153 e 253, tutte con motore Austro-Daimler (rispettivamente da 185, 200 e 225 cavalli). Sul fronte italiano, il D.III fu impiegato piuttosto estesamente, specie se si somma l’attività della caccia austro-ungarica a quella dei reparti tedeschi (le Jasta 1, 31 e 39) che operarono contro l’Italia dall’ottobre 1917 alla primavera del 1918. Oltre che sui fronti europei d’oriente e d’occidente, i D.III del servizio aereo tedesco combatterono anche in Macedonia e in Palestina: per questi teatri operativi era stata allestita una versione « tropicale », con due radiatori nell’ala anziché uno.

Già nel dicembre 1918, i primi nuclei aeronautici polacchi erano entrati in possesso di una decina di D.III; la Polonia, poi, ordinò 38 aerei di questo tipo alla Ufag e numerosi altri (che venivano consegnati clandestinamente) in Germania, ove la Albatros li offriva con la nuova denominazione di L.20; e ancora una quindicina poté averne ai primi del 1920, per le operazioni contro l’Ucraina e poi contro l’URSS. L’elegante caccia tedesco continuò quindi a combattere anche dopo la fine della prima guerra mondiale.

In effetti, questo modello non era inferiore al successivo D.V, le cui consegne alle Jasta tedesche erano iniziate a metà 1917, seguite nel tardo autunno dalle prime della variante D.Va. Pur non rappresentando un sostanziale miglioramento e presentando anzi alcune serie deficienze strutturali, questi due tipi (ridesignati entrambi, dopo la guerra, L.24) furono i caccia Albatros maggiormente usati. Solo sul fronte occidentale ne furono messi in linea almeno 1512; altri erano sul fronte italiano, in Palestina e nei reparti territoriali costituendo la massa della caccia germanica.

Una storia a sé è quella dell’idrovolante W.4, entrato in linea nel settembre 1916 e di cui furono costruiti circa 120 esemplari prima che cessasse, verso la fine del 1917, la sua produzione. Fu impiegato soprattutto per protezione costiera da basi nelle Fiandre, ma operava anche in Egeo e diede ottima prova sinché da parte alleata non gli vennero opposti tipi moderni, costringendo a sostituirlo con il biposto Hansa-Brandenburg W.12.

Nell’ottobre del 1917 erano iniziate le consegne ai reparti germanici del nuovo triplano Fokker che suscitò grande impressione tra i piloti, i quali cominciarono a preferirlo all’Albatros. Quando poi entrò in linea il Fokker D.VII, che fu probabilmente il miglior aereo da caccia costruito durante la prima guerra mondiale, l’Albatros fu relegato a compiti secondari.

La prima preda di Richthofen

Albatros 11

Il 17 settembre 1916 alle 11.00 circa (fuso tedesco), Boelcke guidò cinque piloti in formazione serrata verso le linee britanniche. Per Manfred von Richthofen era arrivato il momento della verità. Davanti a lui si presentava l’opportunità di unire la passione e le doti a lungo coltivate per la caccia e la bravura di pilota con la sua disciplina di ferro come soldato di professione.
eravamo tutti principianti, e a nessuno di noi era mai stata riconosciuta una vittoria») scrisse in seguito Richthofen. «Tutto quello che ci aveva detto Boelcke lo avevamo preso come vangelo...» Prima del decollo Boelcke ci aveva fornito precise istruzioni ed era la prima volta che volavamo in squadriglia sotto il comando dell’eroe in cui riponevamo una fiducia cieca. «... Facevamo tutti del nostro meglio per stare dietro a Boelcke. A tutti era chiaro che dovevamo passare il primo esame sotto gli occhi del nostro venerato capo.»

Boelcke guidò i suoi allievi nella mischia, ma non aprì il fuoco subito. Era là per osservare e forse proteggere quel gruppo di piloti alle prime armi così assorti nella prospettiva della vittoria da non accorgersi dell’angelo della morte, l’aeroplano nemico, che avrebbe potuto piombare sopra o dietro di loro nella classica posizione «da predatore».

Richthofen avanzò verso l’F.E.2b 7018, pilotato dal sottotenente L.B.F. Morris dell’11a squadriglia. «Ma non sembrava un principiante, sapeva esattamente che nel momento in cui sarei riuscito a mettermi in coda, per luì sarebbe suonata l’ultima ora» scrisse Richthofen. «All’epoca non avevo la convinzione che “dovesse cadere”, come ce l’ho adesso; ero invece molto più ansioso di sapere se sarebbe caduto, e la differenza è sostanziale. Dopo il primo o forse il secondo o terzo tentativo ho capito: “È così che bisogna fare”. »

Morris fece di tutto per eludere Richthofen. Il suo osservatore, il sottotenente T. Rees, rimase attaccato alla mitragliatrice posteriore sparando di continuo contro l’Albatros. Per un attimo i due giovani inglesi pensarono di essere sfuggiti al tenace pilota dell’Albatros e Morris prese la strada del ritorno. In quell’attimo dì disattenzione, Richthofen all’improvviso spuntò dietro il «Fee» e aprì il fuoco.

«Ero così vicino che avevo paura di sbattergli contro. Poi all’improvviso l’elica dell’avversario smise di girare. Colpito! Il motore era stato crivellato e il nemico fu costretto ad atterrare dalla nostra parte, perché era escluso che potesse raggiungere il suo campo. Notai che l’aereo vacillava così tanto perché era successo qualcosa al pilota. Neanche l’osservatore si vedeva più, la mitragliatrice era abbandonata e rivolta verso l’alto. Quindi dovevo averlo colpito e doveva essere sul fondo della fusoliera.»

Il pilota riuscì ad atterrare con l’aeroplano fuori uso sul vicino campo d’aviazione tedesco di Flesquières, all’epoca usato dalle unità 22 e 41. Richthofen era così accalorato dall’eccitazione della caccia che lo seguì a breve distanza facendo un brusco atterraggio che per poco non causò la distruzione del suo nuovo Albatros. Anche se l’elica non aveva ancora smesso di girare, Richthofen uscì dall’aeroplano per unirsi al gruppo di soldati che correvano verso l’F.E.2b e rimase a guardarli mentre portavano via il pilota moribondo e l’osservatore morto.
Richthofen ritornò in volo a Bertincourt, a 10 km di distanza, dove Boelcke e i suoi compagni stavano facendo colazione e discutendo del lavoro di quella mattina. Quando gli chiesero dove fosse stato tutto quel tempo, Richthofen rispose pieno d’orgoglio: «Un inglese abbattuto! »

Quel giorno ci furono molti motivi di festeggiamento alla Jasta 2. Oltre alla prima vittoria confermata di Richthofen (il 26 aprile abbatte quella che dovrebbe essere considerata la sua prima vittima, ma anche questa volta l'aereo nemico cade dietro le linee e la vittoria non gli viene assegnata), ci fu anche quella del sottotenente Erwin Bòhme, un Sopwith biposto, e la seconda di Flans Reimann, un F.E.2b appartenente allo stesso stormo attaccato da Richthofen. Quando fu certo che i suoi allievi erano vittoriosi, il caposquadriglia attaccò e abbatté un F.E.2b, conseguendo così la sua 27a vittoria aerea. (Info tratte da Storia dell'aviazione, Il Barone Rosso di Peter Kilduff, www.aspeterpan.com)

 

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