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"Un Capolavoro di casa Albatros Werke GmbH"


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"Storia ed evoluzione dell'Elegante Caccia Germanico"

 

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Il 5 agosto 1916 l’ingegner Robert Thelen, della Albatros Werke GmbH di Johannisthal, presentò il prototipo di uno « scout » biplano monoposto, che aveva progettato con i suoi assistenti Gnaedig e Schubert. il nuovo biplano era nato per sostituire nell’aviazione imperiale tedesca i vari caccia monoplani che stavano ormai subendo la superiorità dei nuovi aerei alleati: il DH.2 ed il Nieuport 11.

Il prototipo, che fu immatricolato D 423/16, ebbe un immediato successo.

Di design accattivante, con linee dolci e curve che, sebbene più onerose da realizzare rispetto alle strutture squadrate tipiche degli aerei dell'epoca, erano senz'altro aerodinamicamente più efficaci, il nuovo caccia tedesco prometteva di rendere obsoleti tutti i caccia Alleati . Le scelte innovative di Thelen furono l'adozione di un rivestimento in legno compensato per la fusoliera, che la rendeva più robusta di quelle costruite in precedenza in legno e tela, e il nuovo motore con cilindri in linea (quindi più compatto di quelli stellari, con minore ingombro nel cofano e minore sezione della fusoliera, che di conseguenza offriva meno resistenza all'aria). Il suo motore, un Mercedes D.3 da 160 cavalli, consentiva all’aereo di raggiungere una velocità massima di oltre 170 chilometri orari ed una elevata velocità di salita che gli permetteva di arrampicarsi a 1000 metri di quota in poco più di sei minuti. Inoltre, il caccia poteva raggiungere la ragguardevole quota di 5200 metri, e proprio alle maggiori altezze esprimeva il meglio delle sue possibilità. Altro requisito assai importante per un aereo da combattimento era il suo volume di fuoco, raddoppiato rispetto ai modelli in servizio: l’Albatros era infatti dotato di due mitragliatrici Spandau da 7,92 fisse in caccia, mentre a quei tempi quasi tutti gli aerei avevano una sola arma fissa sparante nel cerchio dell’elica.

L’Albatros D.l, anche se (pare) meno maneggevole degli « Eindecker » della Fokker, della Pfalz e della Euler che finora erano stati in linea, soprattutto a causa del suo maggior carico alare, suscitò unanimi consensi e fu subito costruito in serie senza subire particolari modifiche rispetto al prototipo.Il governo tedesco però, riuscì a rimandare l'approvazione ufficiale del contratto di fornitura da ritardare così tanto l'inizio della produzione che quando finalmente i primi D.I di serie furono pronti per essere inviati al fronte, non solo gli Alleati avevano sviluppato nuovi caccia che potevano già competere con il velivolo tedesco (il britannico DH 2 e i francesi Nieuport 17), ma la stessa Albatros aveva finito e messo in produzione il nuovo Albatros D.II, che in pratica fu distribuito ai gruppi di volo contemporaneamente al D I. I nuovi aerei cominciarono ad arrivare ai reparti nel settembre 1916, mentre i piloti tedeschi venivano riorganizzati in Jagdstaffeln (squadriglie da caccia). Erano questi reparti di sei aerei che avevano come compito principale quello di stabilire una supremazia aerea, in modo da permettere una certa sicurezza all’attività degli altri aerei operativi.

 

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In Sequenza nelle foto: D.I-D.II-D.III-D.Va-W.4

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Tecnica ed Evoluzione

 

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L’architettura generale dei biplani Albatros da caccia era del tutto tradizionale, almeno per l’ala e gli impennaggi. La struttura alare, basata su due longheroni a scatola, era lignea, a campate singole definite da montanti paralleli sui D.l e D.II, a V sui D.lll e D.V. Anche gli impennaggi con struttura a tubo d’acciaio saldato e rivestimento in tela erano del tipo più ortodosso, anche se molto caratteristici sia come forma in pianta sia per avere il piano verticale disposto anteriormente alla cerniera dell’equilibratore, che poteva quindi essere realizzato in un sol pezzo. Tanto questo quanto il timone erano compensati aerodinamicamente. Ancora negli schemi consueti restava il carrello, ad assale. Il pattino di coda, di generose proporzioni, proteggeva l’ampia pinna ventrale.

Tutt’altro che consueta era invece la struttura della fusoliera, a semiguscio: sei longheroni di spruce collegati da ordinate molto leggere formavano un’intelaiatura su cui era applicato il rivestimento lavorante in compensato che partecipava alla resistenza strutturale dell’insieme. Questa soluzione era senz’altro più complessa, sul piano della produzione, rispetto a quella tradizionale a traliccio, ma presentava notevoli vantaggi soprattutto grazie alla levigatezza, e uniformità della superficie che si otteneva, e per la possibilità di realizzare forme di eccellente penetrazione aerodinamica. Le superiori doti aerodinamiche della fusoliera dell’Albatros vennero ulteriormente esaltate carenando il più possibile il motore, dotando il mozzo dell’elica di una vistosa ogiva e, nel D.V, arrotondando maggiormente la sezione della fusoliera.

Il tentativo di rimediare ad uno dei difetti che vennero rimproverati al D.l, comune del resto a molti biplani, e cioè quello di una scarsa visibilità nel settore antero-superiore (che fu la causa della tragica collisione di cui fu vittima l’asso Boelcke) portò alla modifica che diede origine al D.ll, in cui l’ala superiore venne abbassata, riducendo lo spazio tra questa ed il dorso della fusoliera a 40 centimetri. Alcuni aerei, denominati ufficiosamente D.lla ebbero il radiatore montato sotto l’ala superiore anziché in due elementi posti lateralmente alla fusoliera: il nuovo radiatore era del tipo Teeves und Braun. Con le modifiche, automalicamente terminò la produzione del D.I, a circa sessanta esemplari, e cominciarono ad arrivare ai reparti, in numero sempre crescente i nuovi DII, prodotti anche dalla LVG. (Dopo la guerra il DI fu ridesignato L.15 e il D.II, L.17.)

Nello stesso tempo, alla Albatros Werke si cercava di migliorare le doti di manovrabilità del velivolo ridisegnando completamente la struttura alare. L’ingegner Thelen, seguendo l’esempio dei biplani Nieuport, ridusse notevolmente la corda dell’ala inferiore e collegò questa alla superiore con dei montanti a V accrescendo così sensibilmente la rigidezza della struttura. Anche l’ala superiore venne ridisegnata, con terminali obliqui che ne aumentavano l’apertura di circa mezzo metro: il minor carico alare faceva perdere qualcosa nella velocità massima, che peraltro restava largamente sufficiente, migliorando però ulteriormente le doti di salita e la manovrabilità. Il radiatore venne stabilmente montato sotto l’ala superiore, quasi sempre al centro, ma qualche volta spostato (verso destra) per impedire che, forato da una pallottola, facesse schizzare l’acqua bollente sulla testa del pilota.

Già prima che i D.I e D.II raggiungessero il fronte, Thelen stava lavorando ad un ulteriore sviluppo del suo progetto. I punti che aveva curato erano: riduzione della corda dell'ala inferiore, sia per guadagnare in manegevolezza (gli alettoni di comando erano solo sull'ala superiore, per cui durante una virata quella inferiore "frenava" la rotazione), sia per aumentare il campo visuale del pilota verso il basso, e adozione di una nuova forma dell'ala superiore, alla ricerca di una migliore efficienza e quindi di migliori caratteristiche in salita. Il risultato fu l'Albatros D.III, che in effetti realizzava quello che il progettista si era prefissato.

 

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Il nuovo caccia entrò in linea nel Gennaio del 1917. Alcuni problemi vi furono inizialmente, però, per quanto riguardava la resistenza a torsione dell'ala inferiore. Non più vincolata a quella superiore su due longheroni, con una cotroventatura rigida a "V", l'ala inferiore si svergolava facilmente quando l'aereo raggiungeva elevate velocità.

Il problema venne risolto controventando ulteriormente l'ala inferiore. L'Albatros D.III fu uno dei protagonisti della guerra e contribuì in modo determinante alla famma dei maggiori assi tedeschi.

Lo stesso Manfred Von Richtofen, per quanto l'iconografia lo associ in modo quasi indissolubile dal Fokker Dr1, sul quale conquistò le sue ultime vittorie e sul quale fu abbattuto, conquistò più di due terzi delle sue 80 vittorie sugli Albatros D.II e D.III. A metà del 1917, con l'arrivo sul fronte dei nuovi caccia come i britannici S.E.5a e i francesi SPAD VII, ambedue equipaggiati con motori in linea, la Germania perse nuovamente la supremazia nei cieli. Modello successivo quindi fu il D.IV che riprendeva le ali a corda uguale del D.II, con un motore più potente ed una fusoliera a sezione ovale. Questo tipo fu però un fallimento a causa delle prestazioni insuffìcienti e di una serie di disturbi al nuovo tipo di motore (Daimier D.4 da 220 cavalli).

Si passò quindi al D.V che, conservando la stessa fusoliera del D.IV, riprendeva la struttura alare, molto più efficace del D.III. Il motore era sempre il Mercedes D.3, ma con un incremento del rapporto di compressione e, in seguito, un parziale aumento della cilindrata, con accrescimenti successivi della potenza. La deriva fissa venne ingrandita e il timone ebbe una sagoma più arrotondata. La stessa forma fu data anche ad alcuni D.III di ultima produzione. Il nuovo velivolo pesava circa 32 kg in meno rispetto al suo predecessore D.III, e questo avrebbe incrementato (anche se veramente di poco) le prestazioni del caccia. Purtroppo già nei primi voli l'Albatros D.V manifestò una inaspettata fragilità dell'ala superiore, che più volte collassò. Thelen dovette ridisegnare la struttura; il nuovo velivolo, denominato D.Va aveva risolto il problema, ma pesava 23 kg in più rispetto al D.III... E addio miglioramenti.

E Thelen avrebbe potuto continuare a modificare all'infinito il suo progetto... Il problema non era l'aerodinamica, sulla quale avrebbe forse potuto ancora ottenere qualcosa, ma non certo stravolgere le prestazioni di un velivolo che era già "buono" dal punto di vista aerodinamico e strutturale. I caccia alleati come i citati SE 5a e SPAD VII nascevano "intorno" al loro motore, l'Hispano-Suiza 8 cilindri a V raffreddato a liquido capace di erogare da 175 a 200 hp. Le loro migliori prestazioni erano senz'altro dovute anche all'aerodinamica (che però, almeno per lo SPAD, in effetti addirittura "copiava" dall'Albatros) ma soprattutto alla motorizzazione. Come al solito, vennero compiute altre piccole modifiche nei successivi aerei, quali l’applicazione (non sempre) di un poggiatesta per il pilota e una differente sistemazione dei cavi di comando degli alettoni. Quest’ultima modifica diede origine al D.Va, che tornava al sistema di comando del D.lll. Questa versione fu la più numerosa (oltre 1 600 apparecchi), anche se qualitativamente non migliorò di molto le prestazioni del suo predecessore D.III. Per l’impiego con la marina imperiale ne fu costruita anche una versione idro denominata W.4, che entrò in servizio alla fine del 1916. Essa aveva la fusoliera del tipo D.I, con ali di superficie maggiorata, e galleggianti a scarponi, di varie fogge. Disponeva di radiatori laterali Windhoff, sostituiti dal radiatore nell’ala per le ultime serie, caratterizzate dalla presenza degli alettoni anche sull’ala inferiore. Le sue prestazior!i erano leggermente inferiori a quelle del D.I. Nel periodo di furore per i triplani, anche la Albatros, come quasi tutte le industrie aeronautiche degli Imperi Centrali, sperimentò tale soluzione, usando la cellula di un D.V alla quale era stata aggiunta una terza ala. I risultati non furono tali da giustificare una successiva produzione del modello (L.36); tuttavia la Albatros produsse un altro prototipo di triplano, lo L.39 con motore Benz da 195 cavalli ricavandolo da un D.X, ultimo esponente di questa famiglia che comprende numerosi tipi rimasti alla fase sperimentale. Si può infine ricordare che nel febbraio 1918 un D.Va potenziato da un motore BMW.llla da 185 CV raggiunse la quota di 10500 metri.

 

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L’impiego

 

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Le Jagdstaffeln (Jasta, secondo l’abbreviazione usata) nacquero come evoluzione delle Kampfeinsitzerkommando, nell’ambito delle forze aeree tedesche operanti in Francia. La Jasta 1 fu costituita il 23 agosto 1916 a Berthincourt, e il 27 la seguiva a Laguincourt la Jasta 2. Essa aveva la sua base a Laguincourt, in Francia, ed era comandata dal capitano Oswald Boelcke, asso degli aviatori tedeschi e ideatore delle Jasta. Nelle sue file militava un promettente pilota di 24 anni di nome Manfred von Richthofen, che era il miglior allievo di Boelcke e che in seguito avrebbe superato il suo maestro.

All’inizio del settembre vennero consegnati a questo reparto tre Albatros D.I, assieme a due Fokker D.III e ad un Halberstadt D.ll. Di questi tre tipi il migliore era certamente l’Albatros D.III, e se ne ebbe subito dimostrazione nelle missioni di addestramento e di finto combattimento, tanto che in seguito gli altri due biplani vennero relegati a compiti secondari ed alla scuola caccia.

Il 17 settembre 1916, per la prima volta la Jasta 2 andò all’attacco quasi al completo, con cinque aerei, tra i quali figurava quello di von Richthofen. Boelcke avvistò ben presto otto BE.2 da bombardamento scortati da sei caccia biposto FE.2b, e dopo aver manovrato in modo da tagliar loro la strada per il ritorno, li attaccò da quota superiore e con il sole alle spalle. L’attacco improvviso colse di sorpresa gli inglesi e ne scompaginò la formazione. Nel carosello che seguì, ognuno dei piloti tedeschi abbatté un avversario, per un totale di cinque.

Il 28 ottobre 1916 la Jasta 2 era decollata ai completo per una delle solite missioni di caccia libera lungo la linea del fronte. Il tempo era cattivo e nuvoloso. Vicino a Flers i sei Albatros incrociarono due De Havilland a quota inferiore e naturalmente attaccarono, forse con troppa sicurezza dato il nettissimo vantaggio. Due aerei tedeschi attaccarono uno degli inglesi, e nella foga dell’assalto il carrello di uno urtò violentemente l’ala superiore dell’altro. Quest’ultimo, che era l’apparecchio di Boelcke, si allontanò dal combattimento e cominciò a discendere compiendo ampie curve: poi l’ala superiore si staccò completamente, perdendosi tra le nuvole e l’aereo precipitò. (Il seguente rapporto dettagliato comprende delle testimonianze dirette sul tragico incidente: Venerdì 27 ottobre le nuvole basse, la pioggia e il vento violento ridussero le operazioni di volo. La tregua fu ben accolta da entrambe le parti. Il giorno successivo il tempo fu un poco più clemente: nuvole basse e venti forti tutto il giorno con rovesci occasionali. Sembrava prospettarsi un’altra giornata di riposo per la Jasta 2, come scrisse il sottotenente Erwin Bòhme in una lettera: Sabato pomeriggio stavamo seduti nel nostro piccolo padiglione al campo d’aviazione pronti per partire. Avevo appena iniziato una partita a scacchi con Boelcke quando poco dopo le 16.00 fummo richiamati all’azione durante un attacco della fanteria. Ci guidò Boelcke stesso, come sempre. Presto arrivammo sopra Flers e attaccammo diversi aeroplani britannici, che si difendevano con maestria. Nel violento combattimento aereo che seguì, durante il quale il tempo per sparare fu molto poco, cercammo di abbatterli separandoli, come avevamo già fatto molte altre volte con successo... Tra me e Boelcke c’era un inglese, quando un altro avversario, inseguito da Richthofen, si piazzò davanti a noi. Durante una fulminea manovra evasiva Boelcke e io, coperti dalle ali, ci perdemmo di vista per un istante e fu allora che accadde. Come posso descrivere ciò che provai quando Boelcke, apparso improvvisamente alcuni metri sulla destra, scese in picchiata, mentre io stavo salendo, e tuttavia ci sfiorammo e fummo costretti a tornare a terra! Ci sfiorammo soltanto, ma a quella velocità significa una collisione vera e propria. L’altro pilota presente alla scena, Manfred von Richthofen, descrisse la scena finale e quello che seguì in una lettera alla madre il 3 novembre 1916: L’altro poveretto (Bòhme) si salvò. All’inizio Boelcke scese normalmente. Io lo seguii. Poi gli si spezzò un’ala e precipitò. Si frantumò la testa sul colpo morendo all’istante. La sua morte colpì tutti noi, come se ci fosse stato portato via un caro fratello. Durante il funerale, portai l’Ordenskissen (il cuscino con le decorazioni). La cerimonia fu degna di un principe regnante).

Alla fine dell’anno le Jasta si erano moltiplicate (ve ne erano almeno 35 operative) e con esse il numero degli « assi »: Hans Joachim Buddecke della 4a, Manfred von Richthofen che ora comandava la 11a, Karl Allmenròder sempre della Jasta 11, Werner Voss della Jasta 10 sono solo alcuni tra i tanti protagonisti di memorabili duelli aerei contro gli agguerriti piloti franco-inglesi.

Nel gennaio 1917 i D.II operanti in prima linea erano 214, ma già stava arrivando a reparti il D.III, e quindi il loro numero si dimezzò in quattro mesi; frattanto, però, anche una fabbrica austriaca, la Oeffag di Wiener-Neustadt, aveva iniziato a produrli (20, costituenti la serie 53,con motore Austro-Daimler da 185 cavalli) Cosicché l’aereo operò anche sul fronte italiano. Nel 1920, la Cecoslovacchia si procurò alcuni esemplari per il suo primo reparto da caccia; avevano la nuova sigla L.17. Le Jasta cominciarono a ricevere il nuovo modello D.III nel gennaio 1917. Era un periodo molto felice per l’aeronautica imperiale, che ebbe il suo culmine in quello che gli inglesi chiamarono « Bloody April », aprile di sangue. Mentre a terra si stava spegnendo il grande scontro di Arras, nei cieli i biplani tedeschi affermavano la loro superiorità cogliendo un gran numero di vittorie sui loro pur valorosi avversari. I piloti tedeschi presero in quei periodo l’abitudine di dipingere i loro aerei con colori vivaci e vistosissimi, personalizzando ogni pilota il proprio apparecchio con stemmi e decorazioni diversi.

Famosa, per esempio, rimase la leggenda della « dama rosa » fra i piloti del Corpo Aereo inglese. Essi infatti avevano spesso modo di incontrare un Albatros completamente dipinto di rosa ed il cui pilota aveva un volto delicato e femmineo. Nacque così la favola che la « dama rosa » fosse una bellissima ragazza tedesca che volava per vendicare il suo sposo, perito in guerra.

Manfred von Richthofen volava su di un Albatros dipinto interamente di rosso, da cui ebbe origine la leggenda del « Barone Rosso ».

I piloti della sua Staffeln, timorosi per l’incolumità del loro capo, così chiaramente riconoscibile, chiesero ed ottennero che i loro biplani fossero dipinti di rosso, anche se non completamente. Allmenròder infatti volò con un aereo rosso, ma con le ali e la punta del motore bianche; un altro aveva timone ed equilibratore neri, e così via.

Altro grande asso degli Albatros D.III fu il barone Eduard von Schleich, detto « il Cavaliere Nero ». Brillante quanto imprevedibile pilota, fu protagonista di grandi duelli aerei nei quali fu spesso vittorioso. Arrivò alla fine del conflitto con 35 vittorie confermate. Identico traguardo conseguì il maggiore asso austro-ungarico, Godwin Brumowsky, anch’egli per lungo tempo montò un caccia Albatros, come molti suoi connazionali di grande valore, tra cui Frank Linke-Crawford (27 vittorie) e Josef Kiss. Il D.III era stato anche prodotto, come il predecessore, dalla Ufag, nella serie 532, 153 e 253, tutte con motore Austro-Daimler (rispettivamente da 185, 200 e 225 cavalli). Sul fronte italiano, il D.III fu impiegato piuttosto estesamente, specie se si somma l’attività della caccia austro-ungarica a quella dei reparti tedeschi (le Jasta 1, 31 e 39) che operarono contro l’Italia dall’ottobre 1917 alla primavera del 1918. Oltre che sui fronti europei d’oriente e d’occidente, i D.III del servizio aereo tedesco combatterono anche in Macedonia e in Palestina: per questi teatri operativi era stata allestita una versione « tropicale », con due radiatori nell’ala anziché uno.

Già nel dicembre 1918, i primi nuclei aeronautici polacchi erano entrati in possesso di una decina di D.III; la Polonia, poi, ordinò 38 aerei di questo tipo alla Ufag e numerosi altri (che venivano consegnati clandestinamente) in Germania, ove la Albatros li offriva con la nuova denominazione di L.20; e ancora una quindicina poté averne ai primi del 1920, per le operazioni contro l’Ucraina e poi contro l’URSS. L’elegante caccia tedesco continuò quindi a combattere anche dopo la fine della prima guerra mondiale.

In effetti, questo modello non era inferiore al successivo D.V, le cui consegne alle Jasta tedesche erano iniziate a metà 1917, seguite nel tardo autunno dalle prime della variante D.Va. Pur non rappresentando un sostanziale miglioramento e presentando anzi alcune serie deficienze strutturali, questi due tipi (ridesignati entrambi, dopo la guerra, L.24) furono i caccia Albatros maggiormente usati. Solo sul fronte occidentale ne furono messi in linea almeno 1512; altri erano sul fronte italiano, in Palestina e nei reparti territoriali costituendo la massa della caccia germanica.

Una storia a sé è quella dell’idrovolante W.4, entrato in linea nel settembre 1916 e di cui furono costruiti circa 120 esemplari prima che cessasse, verso la fine del 1917, la sua produzione. Fu impiegato soprattutto per protezione costiera da basi nelle Fiandre, ma operava anche in Egeo e diede ottima prova sinché da parte alleata non gli vennero opposti tipi moderni, costringendo a sostituirlo con il biposto Hansa-Brandenburg W.12. Nell’ottobre del 1917 erano iniziate le consegne ai reparti germanici del nuovo triplano Fokker che suscitò grande impressione tra i piloti, i quali cominciarono a preferirlo all’Albatros. Quando poi entrò in linea il Fokker D.VII, che fu probabilmente il miglior aereo da caccia costruito durante la prima guerra mondiale, l’Albatros fu relegato a compiti secondari.

 

 

La prima preda di Richthofen

 

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Il 17 settembre 1916 alle 11.00 circa (fuso tedesco), Boelcke guidò cinque piloti in formazione serrata verso le linee britanniche. Per Manfred von Richthofen era arrivato il momento della verità. Davanti a lui si presentava l’opportunità di unire la passione e le doti a lungo coltivate per la caccia e la bravura di pilota con la sua disciplina di ferro come soldato di professione.

(Eravamo tutti principianti, e a nessuno di noi era mai stata riconosciuta una vittoria) scrisse in seguito Richthofen. Tutto quello che ci aveva detto Boelcke lo avevamo preso come vangelo... Prima del decollo Boelcke ci aveva fornito precise istruzioni ed era la prima volta che volavamo in squadriglia sotto il comando dell’eroe in cui riponevamo una fiducia cieca. «... Facevamo tutti del nostro meglio per stare dietro a Boelcke. A tutti era chiaro che dovevamo passare il primo esame sotto gli occhi del nostro venerato capo.»

Boelcke guidò i suoi allievi nella mischia, ma non aprì il fuoco subito. Era là per osservare e forse proteggere quel gruppo di piloti alle prime armi così assorti nella prospettiva della vittoria da non accorgersi dell’angelo della morte, l’aeroplano nemico, che avrebbe potuto piombare sopra o dietro di loro nella classica posizione «da predatore».

Richthofen avanzò verso l’F.E.2b 7018, pilotato dal sottotenente L.B.F. Morris dell’11a squadriglia. «Ma non sembrava un principiante, sapeva esattamente che nel momento in cui sarei riuscito a mettermi in coda, per luì sarebbe suonata l’ultima ora» scrisse Richthofen. (All’epoca non avevo la convinzione che “dovesse cadere”, come ce l’ho adesso; ero invece molto più ansioso di sapere se sarebbe caduto, e la differenza è sostanziale. Dopo il primo o forse il secondo o terzo tentativo ho capito: “È così che bisogna fare”. »

Morris fece di tutto per eludere Richthofen. Il suo osservatore, il sottotenente T. Rees, rimase attaccato alla mitragliatrice posteriore sparando di continuo contro l’Albatros. Per un attimo i due giovani inglesi pensarono di essere sfuggiti al tenace pilota dell’Albatros e Morris prese la strada del ritorno. In quell’attimo dì disattenzione, Richthofen all’improvviso spuntò dietro il «Fee» e aprì il fuoco.

Ero così vicino che avevo paura di sbattergli contro. Poi all’improvviso l’elica dell’avversario smise di girare. Colpito! Il motore era stato crivellato e il nemico fu costretto ad atterrare dalla nostra parte, perché era escluso che potesse raggiungere il suo campo. Notai che l’aereo vacillava così tanto perché era successo qualcosa al pilota. Neanche l’osservatore si vedeva più, la mitragliatrice era abbandonata e rivolta verso l’alto. Quindi dovevo averlo colpito e doveva essere sul fondo della fusoliera.

Il pilota riuscì ad atterrare con l’aeroplano fuori uso sul vicino campo d’aviazione tedesco di Flesquières, all’epoca usato dalle unità 22 e 41. Richthofen era così accalorato dall’eccitazione della caccia che lo seguì a breve distanza facendo un brusco atterraggio che per poco non causò la distruzione del suo nuovo Albatros. Anche se l’elica non aveva ancora smesso di girare, Richthofen uscì dall’aeroplano per unirsi al gruppo di soldati che correvano verso l’F.E.2b e rimase a guardarli mentre portavano via il pilota moribondo e l’osservatore morto.

Richthofen ritornò in volo a Bertincourt, a 10 km di distanza, dove Boelcke e i suoi compagni stavano facendo colazione e discutendo del lavoro di quella mattina. Quando gli chiesero dove fosse stato tutto quel temPo, Richthofen rispose pieno d’orgoglio: «Un inglese abbattuto! » Quel giorno ci furono molti motivi di festeggiamento alla Jasta 2. Oltre alla prima vittoria confermata di Richthofen (Il 26 aprile abbatte quella che dovrebbe essere considerata la sua prima vittima, ma anche questa volta l'aereo nemico cade dietro le linee e la vittoria non gli viene assegnata), ci fu anche quella del sottotenente Erwin Bòhme, un Sopwith biposto, e la seconda di Flans Reimann, Ufl F.E.2b appartenente allo stesso stormo attaccato da Richthofen. Quando fu certo che i suoi allievi erano vittoriosi, il caposquadriglia attaccò e abbatté un F.E.2b, conseguendo così la sua 27a vittoria aerea. (Info tratte da Storia dell'aviazione, Il Barone Rosso di Peter Kilduff, www.aspeterpan.com)

Seguiranno alcuni profili degli assi che utilizzarono l'Albatros:

 

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Ltn Carl Meierdirks Jasta 12---Oblt. Adolf von Tutschek OC Jasta 12

 

 

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Ltn Paul Baumer Jasta 5---Manfred von Richthofen Jasta 11

 

 

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Ltn Hans Bohning Jasta 79b---Ltn Otto Brauneck Jasta 11

 

 

Dati Tecnici

 

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Contributi Video

 

ALBATROS GERMAN BIPLANE OF GREAT WAR

albatros V

Albatros DVa

 

Scheda tecnica sul sito

Modificato da fabiomania87
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:adorazione: Come al solito Stupendo!!!

Qualcuno mi potrebbe consigliare un buon sito riguardante gli aerei della I Guerra Mondiale?

 

Ne conosco uno... è aereimilitari.org, e ci sono un paio di utenti come Blue che, come sempre, creano dei topic semplicemente ottimi! :okok:

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:adorazione: Come al solito Stupendo!!!

Qualcuno mi potrebbe consigliare un buon sito riguardante gli aerei della I Guerra Mondiale?

 

Scusa , ho visto solo ora la richiesta. Alcuni che conosco.

 

1) DA QUALCHE PARTE TRA LE NUVOLE . In italiano , divulgativo , ben fatto

Visita il mio sito

 

2) THE AERODROME. Molto completo , in inglese.

Visita il mio sito

 

3)WHO 'S WHO. Assi e piloti notevoli.

Visita il mio sito

 

4) ACEPILOTS

Visita il mio sito

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Come al solito ringrazio tutti voi per aver dedicato parte del vostro tempo prezioso per la lettura del topic in questione, sono particolarmente contento che sia stato di vostro gradimento!!!

 

Blue potrebbe essere posto a capo dell'ufficio tecnico-storico del sito, se mai ce ne fosse uno!

 

Siccome qui i "generali" abbondano...

 

Suggerirei di inserire nel grado di Blue Sky le fronde di quercia con spade e brillanti!!!

 

Visto l' argomento vedo bene anche un bastone da maresciallo.

 

Ehm... Troppo Gentili! :blushing:

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ALBATROS AUSTRO-UNGARICI

 

Il secondo utilizzatore dell' Albatros fu la K.u.K. Luftfahrtruppe con circa 520 aerei nelle versioni D II e D III , costruiti su licenza nel 1917-1918 , dalla Oeffag.

La Oeffag (Oesterreichische Flugzeugfabric) , filiazione della Oesterreichische Daimler Motoren AG , ottenne nell' autunno 1916 , la commessa per la costruzione del caccia in contrapposizione alla Phoenix , appartenente, con la Ufag , al gruppo di Camillo Castiglioni.

 

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Officine Oefag di Wiener-Neustad

 

Il lavoro non si limito' a una semplice riproduzione , ma vennero apportate significative modifiche alla cellula , all' armamento e alla parte aerodinamica di entrambe le versioni.

L' ala inferiore , la cui resistenza aveva creato seri problemi alla versione originale , venne riprogettata con una costolatura che la irrobustiva e riposizionata più in basso , risolvendo (quasi) il problema.

L' armamento vide la sostituzione delle LMG 08/15 con le Schwartzlose austriache presentanti cadenza di tiro ridotta , problemi di sincronizzazione con l' elica , ma minore tendenza all' inceppamento.

Col procedere della produzione furono portate modifiche alla aerodinamica .

Preso atto che spesso i piloti sul campo rimuovevano l' ogiva dell' elica che tendeva a staccarsi , si adotto' un nuova cofanatura del motore che conferiva , per altro , una migliore penetrazione , pari a circa 10-15 km/h.

Su alcune versioni l' armamento venne interamente carenato con ulteriore affinamento aerodinamico , ma precludendo ai piloti ogni possibilita' di intervento "manuale" sugli otturatori.

 

VERSIONI

 

Quelle prodotte furono la II ela III in diverse serie a partire da inizio 1917 fino a fine guerra. In controtendenza rispetto a quanto d' altro avveniva nella Monarchia proprio nel 1918 si ebbe la massima produzione con aumento del 50% .

D II serie 53 (01-16) : motore Austro-Daimler 185 HP , velocità 170 km/h

 

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D III serie 53 (20-64 ) : motore Austro-Daimler 185 HP , 175 km/h

 

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Godwin Brumowsky , Prosecco 1917

 

D III serie 153 (01-281) : consegne 1917-1918 , Austro-Daimler 200 HP , 188 km/h , ceiling 5000 m.

 

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Frank Linke-Crawford 1917

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Georg von Kenzian , Pergine 1917

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Josef Kiss , Cire' di Pergine 1918

 

D III seie 253 (01-260) : consegne 1918 , Austro-Daimler 225 HP , 202 km/h , ceiling 5000 m.

 

 

CONSIDERAZIONI FINALI

 

Complessivamente il migliore caccia Imperial-Regio , quello di Brumowsky . Arigi e Linke-Crawford , quando potevano , gli preferivano l' Aviatik Berg D I , più maneggevole anche se più fragile. I più lo scelsero come giusto mezzo fra la maneggevolezza dell' Aviatik e la robustezza del Phoenix.

Josef Kiss volava con tutto , ma lui era solo un segente...il più grande di tutti , dovremo riparlarne..

kiss.jpg:adorazione:

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Ospite Peppe

Mmmm... altri approfondimenti in arrivo!

Non a caso Blue è stato promosso a Collaboratore! :adorazione:

Complimenti anche a saville per le ulteriori informazioni!

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