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Soldati, di Fabio Mini


Rick86

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Postando un bell'articolo su Pagine di Difesa in altro topic (Topic con sintesi articolo e link) e parlandone poi con freenick mi è venuto a mente il libro Soldati di Fabio Mini.

Colgo l'occasione per aprire una discussione a riguardo. Posto che nessuno mette in dubbio la competenza, l'onestà e (caso rarissimo per un alto ufficiale) la schiettezza dell'uomo, non condivido del tutto le tesi del generale.

 

All'autore è molto caro un concetto molto simile per certi aspetti ma diametralmente opposto per altri alla guerra leggera di Rumsfeld. Vicino perchè viene molto enfatizzato l'uso e l'utilità delle forze leggere in guerre asimmetriche, denunciando più volte l'inutilità di assetti quali artiglierie semoventi, navi e aerei. Lontano in quanto Mini reputa sbagliata l'idea di basare sulla superiore tecnologia e capacità di fuoco le forze armate occidentali, essendo guerriglieri e terroristi un nemico sfuggente. Inoltre, a differenza di Rumsfeld, ha capito l'utilità di avere una sufficiente massa critica di uomini a terra.

Sono ovviamente idee molto lontane dalla guerra network-centrica americana, anche se, come detto sopra, l'importanza data alle forze leggere è un notevole punto di contatto.

Il libro contiene anche pesanti critiche al sistema industriale militare italiano, che "obbligherebbe" l'esercito a comprare certi assetti creando minacce improbabili anche se non impossibili. Qui si apre un discorso enorme, che per ora accenno e basta citando la risposta di freenick

Non vedo inoltre come si possa pensare di abbandonare la logica "industriale", in occidente il soldato è destinato a diventare una figura professionale e qualificata e non è possibile tornare indietro semplicemente perchè mancherebbe la "manodopera" (manpower) per contrastare eventuali nemici sul piano dei numeri e della disponibilità a subire ingenti perdite (è una questione di benessere, livello d'istruzione e cultura - valore della vita percepito dalla società).

 

Concordo con Mini su certi aspetti del suo discorso.

 

Innanzitutto le sacrosante critiche per le condizioni di vita dei nostri soldati, l'addestramento e gli equipaggiamenti che mancano alle forze di terra e la necessità quindi di investire su questi punti maggiori risorse. Poi, 1) comunque Rumsfeld la pensi i Boots on the ground sono e resteranno indispensabili e 2) è vero che quasi mai il potere aereo da solo ti fa vincere una guerra, ma investire soltanto (Mini ipotizza FF.AA. di 60.000 uomini con marina ed aviazione ridotte al minimo) su forze leggere tarate unicamente per i conflitti asimmetrici mi pare molto avventato. E' vero che in questo periodo storico le minacce simmetriche scarseggiano ma stiamo però assistendo all'ascesa di un quartetto di nazioni (il BRIC, Brasile, Russia, India, Cina) di cui non possiamo prevederne la politica estera nel medio-lungo termine; e sappiamo tutti che le forze armate le imposti su orizzonti di 20-30 anni ormai, visti i costi dei vari programmi.

 

Io direi questo: la linea giusta sta nel mezzo. E' vitale aumentare le risorse alle forze leggere e spendere in addestramento, qualità di vita ed esercizio dell'EI, anche a costo di qualche eurofighter in meno (o F-35 o altri programmi molto costosi), mantenendo però comunque una credibile capacità di difesa aerea nazionale e un minimo di capacità proiettive (diciamo un gruppo almeno).

 

Discorso diverso invece per la Marina, su cui non condivido affatto le idee di Mini che sottovaluta enormemente le capacità di proiezione che solo MMI puo darti: per quanto tu tari delle FF.AA. su forze leggere, non essendoci minacce sui confini nazionali, se la politica decide di usarle ti servono assetti per proiettarle.

 

Un ultimo accenno alle forze armate europee: Mini, giustamente, è favorevole e, sempre giustamente, critica l'assurdità di avere quasi 2 milioni di soldati in Europa con tutte le connesse duplicazioni ma, fedele alle sue idee di "esercito leggero" le vorrebbe tarate su 160.000 uomini, 300 aerei e 30 navi: sono numeri ridicoli.

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Postando un bell'articolo su Pagine di Difesa in altro topic (Topic con sintesi articolo e link) e parlandone poi con freenick mi è venuto a mente il libro Soldati di Fabio Mini.

Colgo l'occasione per aprire una discussione a riguardo. Posto che nessuno mette in dubbio la competenza, l'onestà e (caso rarissimo per un alto ufficiale) la schiettezza dell'uomo, non condivido del tutto le tesi del generale.

 

All'autore è molto caro un concetto molto simile per certi aspetti ma diametralmente opposto per altri alla guerra leggera di Rumsfeld. Vicino perchè viene molto enfatizzato l'uso e l'utilità delle forze leggere in guerre asimmetriche, denunciando più volte l'inutilità di assetti quali artiglierie semoventi, navi e aerei. Lontano in quanto Mini reputa sbagliata l'idea di basare sulla superiore tecnologia e capacità di fuoco le forze armate occidentali, essendo guerriglieri e terroristi un nemico sfuggente. Inoltre, a differenza di Rumsfeld, ha capito l'utilità di avere una sufficiente massa critica di uomini a terra.

Sono ovviamente idee molto lontane dalla guerra network-centrica americana, anche se, come detto sopra, l'importanza data alle forze leggere è un notevole punto di contatto.

Il libro contiene anche pesanti critiche al sistema industriale militare italiano, che "obbligherebbe" l'esercito a comprare certi assetti creando minacce improbabili anche se non impossibili. Qui si apre un discorso enorme, che per ora accenno e basta citando la risposta di freenick

Concordo con Mini su certi aspetti del suo discorso.

 

Innanzitutto le sacrosante critiche per le condizioni di vita dei nostri soldati, l'addestramento e gli equipaggiamenti che mancano alle forze di terra e la necessità quindi di investire su questi punti maggiori risorse. Poi, 1) comunque Rumsfeld la pensi i Boots on the ground sono e resteranno indispensabili e 2) è vero che quasi mai il potere aereo da solo ti fa vincere una guerra, ma investire soltanto (Mini ipotizza FF.AA. di 60.000 uomini con marina ed aviazione ridotte al minimo) su forze leggere tarate unicamente per i conflitti asimmetrici mi pare molto avventato. E' vero che in questo periodo storico le minacce simmetriche scarseggiano ma stiamo però assistendo all'ascesa di un quartetto di nazioni (il BRIC, Brasile, Russia, India, Cina) di cui non possiamo prevederne la politica estera nel medio-lungo termine; e sappiamo tutti che le forze armate le imposti su orizzonti di 20-30 anni ormai, visti i costi dei vari programmi.

 

Io direi questo: la linea giusta sta nel mezzo. E' vitale aumentare le risorse alle forze leggere e spendere in addestramento, qualità di vita ed esercizio dell'EI, anche a costo di qualche eurofighter in meno (o F-35 o altri programmi molto costosi), mantenendo però comunque una credibile capacità di difesa aerea nazionale e un minimo di capacità proiettive (diciamo un gruppo almeno).

 

Discorso diverso invece per la Marina, su cui non condivido affatto le idee di Mini che sottovaluta enormemente le capacità di proiezione che solo MMI puo darti: per quanto tu tari delle FF.AA. su forze leggere, non essendoci minacce sui confini nazionali, se la politica decide di usarle ti servono assetti per proiettarle.

 

Un ultimo accenno alle forze armate europee: Mini, giustamente, è favorevole e, sempre giustamente, critica l'assurdità di avere quasi 2 milioni di soldati in Europa con tutte le connesse duplicazioni ma, fedele alle sue idee di "esercito leggero" le vorrebbe tarate su 160.000 uomini, 300 aerei e 30 navi: sono numeri ridicoli.

 

Come dici giustamente, una via di mezzo sarebbe forse la soluzione migliore. A livello europeo, se ci fosse una vera integrazionje, forze complessive per circa un milione di uomini, sarebbero più che sufficenti, ma non una flotta di 30 navi, nemmeno se fossero i numeri solo di caccia e fregate.

 

Se le marine europee si organizzassero in squadre d'altura, cinque o sei gruppi d'altura su tre caccia, otto fregate e tre AOR sarebbero una buona struttura, con le poche portaerei, tre o quattro, assegnate a rotazione. qualcosa come oltre cento navi d'altura.

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Già, considerando che tra dieci anni dovremo potreggere le nostre vie di approvviggionamento in Mar rosso, Oceano indiano e golfo persico da Iraniani, Cinesi e probabilmente Indiani

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concordo con la "via di mezzo". infatti, non capisco cosa ci sia di complicato nel far operare la fanteria leggera, possibilmente con albitazione SOC, sotto l'ombrello di una bella base di fuoco e di nucleo corazzato/meccanizzato di pronto intervento... insomma ci riescono i Grunts... non vedo perchè gli altri non possano riuscirci (domanda retorica per Marvin... loro sono Grunts e possono tutto, gli altri no :asd:)

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Discorso diverso invece per la Marina, su cui non condivido affatto le idee di Mini che sottovaluta enormemente le capacità di proiezione che solo MMI puo darti: per quanto tu tari delle FF.AA. su forze leggere, non essendoci minacce sui confini nazionali, se la politica decide di usarle ti servono assetti per proiettarle.

 

Infatti; per proiettarle e proteggerle. Anzi io andrei ancora oltre, le forze navali sarebbero a mio avviso proprio le sole da non diminuire perchè l'Occidente alla fin fine è una coalizione MARITTIMA, è in mare e dal mare che deve difendersi e/o attaccare. Il concetto strategico "sea basing" nasce da qui d'altronde. Se proprio bisogna tagliare io tagliarei aviazioni che non vengono proiettate e soprattutto eserciti elefantiaci che se non hanno la capacità di proiettarsi diventano inutili.

Se si guarda alla storia di questi ultimi vent'anni sicuramente non sono state le Marine quelle che sono riamaste a girarsi i pollici....

Edited by HARRIER
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Guest galland

Il tema del topic può essere affrontato da molte prospettive; altro che asino di Buridano, di mucchi di fieno ce ne sonoun'infinità!

Mi azzardo ad affrontare la materia a partire da un libro arrivato in Italia grazie a Mini e da lui prefato: “Guerra senza limiti” di Quiao Liang e Wang Xiangsui (Libreria Editrice Goriziana, novembre 2001): la cultura, si noti parlo di cultura in genere non solo di quella militare, si è talmente permeata della filosofia della guerra di Clausewitz da portarlo ad un livello inconscio: quando un libro è intitolato “Le battaglie decisive della seconda guerra mondiale” l’autore non fa che avvalorare l’omologa teoria del prussiano. Teoria che vide puntuale applicazione sui campi di battaglia del XIX e XX secolo, Verdun fu senza dubbio una battaglia combattuta con lo spirito e la logica scritta nel “Das krieg”. Tale pregnanza ha provocato, per lungo tempo, l’oblio della preesistenza di un pensiero militare altrettanto valido seppur con radici, filosofia ed articolarsi completamente differente:quello cinese.

L’importanza di “Guerra senza limiti” NON è quella d’essere stato pubblicato all’indomani dell’11 settembre ma piuttosto di fornire possibilità di comprendere la politica di una potenza all’alba: quella cinese.

A mio parere non vi è peggior modo d’affrontare una nuova epoca dei rapporti tra nazioni che quella di servirsi di una vecchia filosofia. Esempio lampante è stato in Europa la Francia negli anni trenta: la filosofia della linea Maginot era quella della guerra precedente e non di quella che sarebbe stata combattuta. La sconfitta fu matematica.

Mini si pone una domanda fondamentale: quali militari per il futuro? A suo parere meno in numero ed in un certo modo meno armati ma con superiore motivazione e cultura. Se non si sta a Roma senza un’idea universale, non si può andare a Baghdad o a Kabul senza una comprensione di quel mondo e di quegli uomini. Le potenze regionali emergenti (India, Brasile, la Cina meriterebbe un discorso a parte) possono ben essere contenute con mezzi non strettamente militari; rammento che i due autori di “Guerra senza limiti” enumerano i seguenti tipi di guerra: psicologica, del contrabbando, dei mezzi di comunicazione, degli stupefacenti, della rete (intesa come web), degli standard tecnologici, della menzogna, delle risorse, degli aiuti economici, culturale, del diritto internazionale e concludono “E’ probabile che i metodi che non si caratterizzano per l’uso della forza degli armamenti né per l’uso della potenza militare e neanche per la presenza di vittime e spargimenti di sangue siano altrettanto efficaci se non addirittura di più, per raggiungere gli obiettivi della guerra.” Più chiaro di così…

L’occidente tiene in valore una debordante potenza tecnologica ma avendo questa, come tutte le cose umane, un limite bisognerebbe chiedersi se questo non è stato raggiunto con il compiersi di un determinato ciclo storico e si stia trasformando in un pesante fardello.

Applaudire entusiasti o rigettare in blocco sono due atteggiamenti estremi e diffusi che cerco di evitare, con tale ratio leggo con piacere le tesi di Mini, che ritengo ben argomentate, fondate, e frutto di cultura e conoscenza diretta.

Ritengo altrimenti che, a volte, levare una critica sia più utile e costruttivo del conformismo e dell’ossequio pedissequo: un po’ come in una scena della “Grande guerra”: interrogato sulla qualità del rancio da un ufficiale il soldato Alberto Sordi afferma sicuro “ottimo e abbondante”, un modo invero servile di apparire consenzienti, al che l’ufficiale assaggia la brodaglia e la risputa affermando “invece fa schifo!” e volto ad un altro ufficiale “Si deve dimostrare ai soldati che si è critici sulle loro condizioni di vita”.

Vorrei infine far notare come, sin da tempi non sospetti, Mini abbia seguito la strada della comunicazione: è del 1989 il suo volume “Comandare & comunicare - l’esercito italiano dalla propaganda alla comunicazione globale “ , segno di un lavoro di lunga data.

Le note che o sviluppato non possono essere assorbenti, né affrontare tutti i temi di “Soldati”, ne tampoco del resto dei lavori di Mini ma fornire un parere e una possibile traccia di lavoro.

 

Propongo, infine, la recensione che inserii nel 2004 sulla rivista on line del Limes Club di Roma, Border sul libro di Mini “La guerra dopo la guerra”:

 

 

 

UN LIBRO IMPORTANTE

 

Dobbiamo al nostro esistenzialismo pendolare se abbiamo avuto modo di leggere l’ultimo libro di Fabio Mini “La guerra dopo la guerra”. I treni, infatti, favoriscono la lettura, anche quella a tratti non facilissima di questo saggio.

La prima cosa da dire è che le tesi di Mini si leggono e ragionano con piacere, anche quando non ci si trova d’accordo.

Ma l’aspetto che più ci preme non è quello di marcare accordi o differenze, quanto, piuttosto, di muovere una riflessione, una meditazione, osiamo dire, sui nostri giorni.

In questi anni, prima e dopo l’undici settembre, si spendono molte parole su globalizzazione, democrazia, governo mondiale e quant’altro.

Poco al contrario si ragiona sugli effetti dell’agire di nazioni e organismi transnazionali.

Gli Usa sono stati definiti un’iperpotenza; orbene da uno stato con una tale preminenza in campo politico, tecnologico, militare sarebbe auspicabile che si sviluppasse una scienza del prevedere, una delle caratteristiche dell’Occidente contemporaneo è paradossalmente quella di vivere alla giornata o, peggio, di scambiare sogni con la realtà.

Un’iperpotenza dovrebbe avere una visione quanto più chiara dei risultati del proprio agire.

E’ assurdo pensare, ad esempio, di suscitare e armare una dittatura sanguinaria come quale quella di Saddam in Iraq (E si badi facciamo solo un esempio) e successivamente avviare una colossale campagna mediatica, diplomatica, militare, per defenestrarlo. Sarebbe stato auspicabile comprendere fin dall’inizio quale potente fattore di destabilizzazione avrebbe costituito.

Le multinazionali costituiscono, ormai potenti fattori transnazionali; orbene il fallimento di colossali società, con ripercussioni in tutto il mondo (In Italia n’abbiamo un drammatico eloquente esempio in questi giorni) non può essere attribuito semplicemente a bolle speculative o ad errori di gestione. Il problema è che la ricchezza si è svincolata da ogni legame con parametri reali e, per beffarda conseguenza, si può, un bel giorno, scoprire che le quotate azioni della società Y hanno il valore della carta su cui sono stampate…

Comprendere che un simile stato di cose non possa essere mantenuto all’infinito dovrebbe essere il primo essenziale atto di buon senso da compiere.

L’Occidente sta vivendo un processo di declino e decadenza, processo lungo e contraddittorio e forse non reversibile. Diciamo questo senza spirito millenarista o catastrofico; potrà non piacere, potrà non essere comodo ma è profondamente correlato agli eventi di questi anni.

E proprio perché non siamo millenaristi o catastrofici affermiamo che andrebbero praticate delle scelte politiche che fungessero da ammortizzatori a tale declino.

Non ci sembra di ravvisare nella politica Usa, europea o di nessun altro paese dirigente la ricerca di una simile strada.

Siamo franchi, il problema non è la scelta tra pace e guerra e neppure quali fini si vogliano ottenere; il nocciolo del problema sta nel capire le conseguenze di un agire. Agire che non può che avere effetti globali; la guerra di tro*a poteva essere ben ignorata dagli abitanti della penisola iberica, altrimenti si può dire oggi. Si vive e si muore, ci si arricchisce od immiserisce a cagione d’eventi che sino a cento o duecento anni fa sarebbero stati lontanissimi.

Per ciò che riguarda l’Oriente il processo è duplice: l’Oriente islamico ha nel fatto rinunciato al suo futuro. Una società che approva e sostiene che la sua gioventù (Che rammentiamolo rappresenta la sua proiezione verso il futuro) si faccia esplodere in attentati suicidi è una società in decadenza, tanto più che in una parte non piccola si rinserra in un tradizionalismo e in una normatività (L’Islam è di per sé fra tutte le religioni forse la più normativa) che altro non è che una paura dell’altro.

Volendo concederci una digressione storica vorremmo rammentare che i piloti kamikaze entrarono in azione proprio nel momento in cui apparve chiara la sconfitta del Giappone.

E’ evidente, e quasi pedantesco, affermare che quella particolare tecnica di combattimento cagionò danni alla flotta americana altrimenti ottenibili con le altre forme d’intervento “tradizionale”. In ogni modo, una nazione in guerra fece morire centinaia di giovani in azioni che non potevano essere risolutive per le sorti del conflitto.

Per l’oriente sinico basterà affermare che ancora un decennio e coglieremo tutto l’orrore del colossale formicaio che ha capitale Pechino.

Il libro di Mini è quindi una lettura importante, tanto più perché l’autore è parte di un establischment che troppo spesso tende a sottovalutare problemi ed errori del mondo contemporaneo. E’ invece vero il contrario, confrontarsi con la realtà senza infingimenti, senza riserve mentali, senza ideologismi è l’unica possibilità perché i problemi siano almeno riconosciuti e chiamati con il loro nome.

Speriamo, allora, che una buona volta si riesca ad avere l’onestà per affermare che i mostri che si vogliono combattere sono i nostri mostri, che non sono estranei alla nostra civiltà ed ai nostri interessi. Arrivare a comprenderlo sarebbe occasione non piccola per vincerli.

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Purtroppo ho iniziato solo ieri a leggere "La guerra dopo la guerra" e quindi dovrete aspettare un paio di settimane, ma, seppur in linea generale già conoscevo le teorie dei due ufficiali cinesi.

 

Ora l'idea che mi sono fatto è questa:

- la molla è la ricerca di "un campo di battaglia" (inteso in senso molto lato) diverso da quello convenzionale dove il paese di questi due giovani ufficiali non ha speranza di sopravvivere in caso di guerra.

- l'esempio con la Maginot francese secondo me non è molto calzante: seppur in continua evoluzione (per l'appunto dalla guerra di posizione alla blitzkrieg), parliamo sempre di strategie legate all'ottenimento della vittoria sui classici campi di battaglia. Tali tecniche erano sicuramente superiori, sotto ogni punto di vista, in quanto ti garantivano la vittoria nell'unica "dimensione" in cui combattevi. Ma la domanda da un milione di dollari è questa: la vittoria in queste nuove dimensioni (internet, psicologica, ecc.) garantisce la vittoria del tuo paese, anche se sconfitto nella dimensione (campo di battaglia) tradizionale? Si può evitare di combattere nella dimensione sfavorevole (per i cinesi quella militare classica), combattendo e vincendo però su questi nuovi "campi di battaglia? E cosa dobbiamo intendere per vittoria e come la otteniamo?

 

Sono domande non da poco, perchè è da qui che arriviamo poi a strutturare le forze armate.

 

Le forze armate convenzionali nel breve periodo sono indispensabili. Mai come ora politica militare e politica estera sono state così connesse ed interdipendenti, seppur in una prospettiva completamente diversa rispetto a quella del XX secolo. Siamo molto più vicini al XIX secolo sotto questo punto di vista, visto che le grandi potenze mondiali invece di combattersi militarmente tra di loro "scaricano" sulle zone periferiche del mondo i loro contrasti. Fondamentalmente le missioni all'estero servono per conseguire fini nazionali (economici, di influenza politica od anche solo di rispetto di alleanze fondamentali per la nostra sicurezza), e non mi paiono (anche se può sembrare audace a dirsi) geopoliticamente così distanti dalle guerre di colonizzazione, anche se la morale e l'etica acquistate con due conflitti mondiali ci impediscono di colonizzare in un senso classico del termine.

 

Il concetto strategico del CSMD (tanto avversato da Mini) ragiona proprio sotto questa prospettiva, esattamente come lo fanno le varie dottrine militari attualmente in giro per il mondo:

- la guerra leggera "tecnologica" di Rumsfeld

- la guerra leggera "umana" di Mini

- le nuove dottrine network-centriche

- i vari aggiustamenti fatti sul campo da Petraeus ed altri generali

Sotto questo punto di vista le mie idee le ho già espressa: Mini sottovaluta la necessità di proiettabilità dello strumento, ma giustamente enfatizza sull'aspetto umano, molto sottovalutato dai nostri vertici (mi hanno molto colpito i due ritratti del cuoco italiano e dell'incursore che va in giro per l'Afghanistan con la sua scorta di tagliagole barbuti).

 

Se però passiamo a ragionare sul lungo periodo, (tenendo però bene a mente che devi sopravvivere per vederne i risultati, e qui ritorna l'importanza della guerra convenzionale, e quindi della tecnologia, unica risorsa dell'occidente in questa dimensione che ci garantisce la nostra attuale superiorità) i cinesi non hanno tutti i torti: la differenza rispetto alle epoche passate è:

1) la velocità con cui viaggia l'informazione

2) la facilità con cui si può manipolare l'opinione pubblica e l'importanza, grazie alla diplomazia, che l'opinione pubblica ha

3) l'interdipendenza del mondo

E' evidente che a nulla servono eserciti e marine per combattere una guerra psicologica. Guerra che è 1) di attrito, 2) subdola perchè non sempre si è in grado di tracciare una raffigurazione lineare dei contendenti, dei loro obiettivi strategici e delle tattiche che intendono impiegare e 3) segreta, per due motivi (A - se vieni beccato una reazione militare od anche solo la semplice minaccia di essa ti fa chiudere la partita e B - l'opinione pubblica non deve essere a conoscenza dei tuoi sforzi, se no fallirebbero immediatamente, i motivi sono ovvi). Tornado alle domande da un milione di prima queste potrebbero essere le risposte:

- si, se non si viene beccati si puo vincere nel lungo termine anche senza combattere una guerra classica

- la vittoria si ottiene sfruttando per i tuoi fini la velocità con cui viaggiano le informazioni e l'uso che puoi fare di esse per manipolare l'opinione pubblica

- la vittoria non è ovviamente l'annientamento del nemico o la conquista della capitale, ma la conquista dei cuori e delle menti della popolazione nemica, che diventerà tua alleata (ed anche vassalla se giochi bene la tua partita).

Ultimo punto: solo l'Occidente (o comunque in misura molto maggiore) è vulnerabile sotto questo aspetto (e non è un caso infatti che siano stati due ufficiali cinesi a scrivere questo libro) per via della nostra Democrazia e libertà di parola e stampa.

 

Fin qua i confronti classici tra stati: chiudo facendo notare come in conflitto contro-insurrezionale invece le due dimensioni procedono parallele, sempre con l'aspetto militare per il breve termine e l'aspetto psicologico (cuori e menti) come unico modo per ottenere la vittoria finale

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Guest dottoressa

personalmente dell'ultimo libro del Generale Fabio Mini "Soldati", mi ha colpito la situazione oggettiva dell'EI.

Mini li definisce precari senza futuro,ultra trentenni, soldati con stipendi di € 1.000/1.200 euro attanagliati dai debiti per questo le missioni all'estero sono l'unica risorsa per pagare il mutuo. Descrive una proletarizzazione dei soldati con un abbassamento delle qualità di reclutamento prima passava 1 su 13 oggi 1 su 2 e da questo un aumento dei casi di devianza criminale, non sempre puniti dai vertici....ufficiali fannulloni che usano anfibi e mimetica per girare tra i ministeri e feste.......un esercito imbastardito dai contractors dirottato dalla difesa delle nazioni a quella delle multinazionali.......

 

Credo che prima di parlare di strategie, tattiche, e scienze militari bisogna dotarsi di un esercito di qualità, e ben strutturato……………..ovviamente Mini puntualizza che questo discorso non si applica a Carabinieri e Guardia di Finanza.

 

 

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