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È la deriva che sta subendo il forum, senza che ... nessuno intervenga!!!
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Ecco, mancava l'auspicio funerario!
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"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
E "Il Giornale" smentisce "L'Espresso"!!! Dal link http://www.tgcom.mediaset.it/politica/arti...olo451194.shtml riporto: Soldi a ex Gf, Espresso smentisce "Nessuna offerta per intervista" La direzione de L'Espresso, in una nota, afferma di riservarsi ogni azione legale nei confronti del quotidiano Il Giornale riguardo all'articolo riguardante il presunto tentativo da parte del settimanale romano di convincere l'ex concorrente del Gf Laura Drezwicka a concedere foto e sms compromettenti. ''Il 27 maggio Roberta Arrigoni, titolare dell'agenzia fotografica Unopress, contattava ripetutamente un nostro collega proponendogli un'intervista con Laura Drezwicka, disponibile a raccontare i suoi rapporti con Silvio Berlusconi". "Nel corso dell'incontro, alla richiesta di denaro per rilasciare l'intervista, il collega precisava che mai sarebbe stata pagata un'intervista. Se l'agenzia avesse proposto fotografie, queste sarebbero state valutate ed eventualmente acquistate secondo una normale prassi. Le telefonate intercorse con l'agenzia fotografica e l'incontro del nostro collega con la signorina Drezwicka - conclude la nota - sono state registrate". Pronta la controreplica del Giornale che conferma ''tutto quanto riportato dell'edizione di oggi''. Insomma, continua la nota del quotidiano,"abbiamo la registrazione del colloquio fra Laura Drezwicka e i giornalisti dell' Espresso. E siamo pronti a esibirla in ogni sede opportuna''. -
Un "Airbus A330" prossimo aereo presidenziale francese
picpus ha risposto a picpus nella discussione News Aviazione
Per essere più precisi, sulla composizione della flotta aerea da trasporto personalità (e non solo) dell'"Armée de l'Air", possono essere utili gli articoli ai seguenti 2 link: http://secretdefense.blogs.liberation.fr/d...tur-air-fo.html http://secretdefense.blogs.liberation.fr/d...r-force-on.html Gli aerei sono raggruppati in due distinte unità: 1) L'ETEC (Escadron de Transport, d'Entraînement et de Calibration) basato a Villacoublay, è il reparto del quale entrerà a far parte il nuovo A 330 ed è destinato al trasporto VIP, all'evacuazione sanitaria, al trasporto di organi ed al rimpatrio di ostaggi liberati; è dotato di 2 Airbus A 319 CJ, 4 Falcon 50, 2 Falcon 900, 7 TBM 700 e 3 elicotteri Super Puma. In futuro è previsto il rimpiazzo dei Falcon 50 con dei Falcon 2000 e dei Falcon 900 con dei Falcon 7X, nonché la vendita di uno dei due A 319. 2) L'Escadron de Transport 3/60 Esterel, basato a Roissy-Charles de Gaulle, è dotato di 3 Airbus A 310-300 (entrati in servizio nel 1994) e di 2 Airbus A 340 a lungo raggio d'azione (12.000 km.) acquistati d'occasione da "Austrian Airlines" nel 2006; questi velivoli, pur NON avendo allestimento VIP, sono regolarmente utilizzati per i viaggi presidenziali, oltre che per trasporto truppe e per l'evacuazione d'urgenza di cittadini francesi da paesi stranieri. -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Rispondo al supermoderatore. Utilizzo sempre il carattere standard, solo maggioro le dimensioni ed inserisco il corsivo, quando si tratta di articoli particolarmente lunghi, che uso rileggere con attenzione prima di postare, operazione che, per problemi alla vista, non potrei agevolmente fare con le dimensioni normali. Qualche volta uso anche un colore diverso, per evidenziare parti, che ritengo particolarmente rilevanti, del testo. Peraltro, sono tutti strumenti che, se esistono, non si vede il motivo per cui non debbano essere utilizzati. Ricordo, se non erro, che tempo fa erano state date disposizioni limitative, solo in relazione al tipo di carattere. Aggiungo e lo dico pubblicamente, perché lo sappiano tutti gli utenti del forum, che se si desidera che non frequenti più il forum, basta ... dirlo apertamente! -
Dal sito di "Analisi Difesa", http://www.analisidifesa.it/anno10/numero9.../ita/indice.htm , riporto l'articolo al link seguente: http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_80...772136123_0.jsp Analisi Difesa anno 10 numero 98 013 - COMMENTI E SE LO STRONZO AVESSE RAGIONE? di Christian Rocca da Il Foglio del 15 maggio 2009 E se Dick Cheney avesse ragione?”, l’imbarazzante domanda se l’è posta, sul Washington Post, l’editorialista liberal e di sinistra Richard Cohen. L’ex vicepresidente di George W. Bush, noto per l’estrema riservatezza quando stava al governo, ora è il più loquace difensore dell’Amministrazione Bush in particolare sulle questioni di sicurezza nazionale, ma non solo. Cheney è la faccia feroce del mondo repubblicano, l’unico politico conservatore capace di contrastare autorevolmente le scelte del superpresidente Barack Obama. Il portavoce della Casa Bianca più di una volta ha tentato di liquidare con sufficienza l’influenza dell’ex vicepresidente, uno dei politici meno popolari d’America, e i democratici sembrano essere felici che il volto pubblico dei repubblicani continui a essere quello del vicepresidente di Bush, ma in realtà Cheney sta dominando il dibattito politico di Washington sulla difesa nazionale, perché non perde occasione di ricordare agli americani che le iniziative prese dall’Amministrazione Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre, a cominciare dalle tecniche “intensificate” di interrogatorio per i terroristi, hanno salvato migliaia di vite e garantito la sicurezza degli Stati Uniti. Cheney spiega senza concessioni al perbenismo, in tv e in giro per il paese, che alcune decisioni di Obama, come la pubblicazione dei pareri legali sugli interrogatori della Cia, hanno indebolito le difese dell’America e che se ne seguiranno altre di questo tipo un secondo attacco all’America sarà più probabile. La reazione del mondo politico ed editoriale di sinistra, ma anche di parecchi a destra, è di sgomento: con che coraggio Cheney parla ancora? Dovrebbe tornarsene in Wyoming, è un criminale di guerra, un torturatore, un violatore della Costituzione. Cose così. “E’ uno straordinario stronzo”, ha scritto Joe Klein di Time, sintetizzando l’umore prevalente sui giornali. Cheney però affronta un punto vero, capace di far traballare l’Amministrazione Obama e con l’autorevolezza non solo di chi sa di che cosa sta parlando, ma anche quella di uno che non ha mire politiche. Obama lo sa molto bene. Preoccupato dalla mezza rivoluzione dentro la Cia e dentro l’apparato militare e dalle crescenti critiche di Cheney, il presidente ha cambiato idea su uno dei punti centrali della sua piattaforma politica: secondo le indiscrezioni dei grandi giornali ha deciso di riaffidarsi al sistema delle corti speciali militari di Guantanamo, ideate da Bush, corrette dalla Corte Suprema e approvate dal Congresso, per processare i terroristi, malgrado fino a poche settimane fa avesse sostenuto la loro incostituzionalità. Pochi giorni prima, l’Amministrazione aveva ribadito davanti a un tribunale federale che i detenuti nel carcere militare di Bagram, in Afghanistan, non hanno diritto all’habeas corpus. Il Wall Street Journal di ieri ha svelato che la Casa Bianca sta valutando l’idea di detenere alcuni terroristi sul suolo americano, “a tempo indeterminato e senza processo”. Non solo. Le polemiche sulla pubblicazione dei pareri legali sugli interrogatori della Cia hanno convinto Obama, martedì, a opporsi alla pubblicazione già annunciata delle 44 fotografie sui presunti abusi commessi dalla Cia durante gli interrogatori dei prigionieri di al Qaida. Obama ha spiegato che la loro pubblicazione avrebbe messo a repentaglio gli americani impegnati nella guerra al terrorismo e reso più insicuri gli Stati Uniti, un’argomentazione alla Cheney e una giravolta da 360 gradi rispetto a quanto aveva detto un paio di settimane fa, quando aveva respinto le critiche di Cheney sulla pubblicazione dei pareri che autorizzavano le tecniche di interrogatorio richieste dalla Cia. L’Amministrazione Obama, inoltre, ha minacciato la Gran Bretagna di interrompere lo scambio di informazioni di intelligence, e addirittura di limitare i rapporti tra i due paesi, se una corte inglese renderà pubbliche sette pagine di un rapporto riservato che racconterebbe gli abusi subiti da un presunto terrorista residente in Inghilterra. “Obama sta coprendo Cheney?”, si è chiesto il giornalista e blogger superobamiano Andrew Sullivan. I conservatori hanno applaudito queste scelte di Obama e credono, o almeno sperano, che il presidente possa cambiare idea anche sulla chiusura di Guantanamo, uno dei pilastri dell’architettura giuridica antiterrorismo elaborata da Bush e Cheney, ora che la Casa Bianca s’è resa conto che almeno un centinaio di quei detenuti non potrà essere processato nelle corti ordinarie e deve affrontare l’opposizione dei deputati del Partito democratico, contrarissimi a che i detenuti di al Qaida vengano trasferiti in carceri dentro le loro circoscrizioni elettorali. A tutto ciò va aggiunto che Obama ha licenziato David McKiernan, il generale che guidava le truppe americane nella guerra in Afghanistan, per sostituirlo con Stanley McChrystal, un generale tosto, determinato e noto per aver usato in Iraq tecniche e modi – abusi sui prigionieri e divieti alla Croce Rossa di mettere il naso nelle sue attività – che secondo Andrew Sullivan e molti altri costituiscono “crimini di guerra”. Il leggendario giornalista del caso Watergate, Bob Woodward, nel suo bel libro “The war within” scrive che i colleghi del generale appena scelto da Obama per guidare le operazioni militari in Afghanistan ammirano l’efficacia delle sue azioni antiterrorismo al punto da provare ogni volta un “orgasmo”. Un ritratto più da Tenente Colonnello Bill Kilgore di “Apocalypse Now” (“amo l’odore del napalm al mattino”) che da tipico esponente obamiano, o almeno della caricatura perbenista che ne fanno i giornali. E, infatti, Cheney si è complimentato con Obama per la scelta del nuovo generale. L’offensiva di Cheney ha messo nei guai anche Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei deputati nonché leader dell’ala più liberal del Partito democratico americano, oggi durissima contro le “torture” dell’Amministrazione Bush. Un paio di settimane fa qualcuno ha ricordato che la Pelosi era stata avvertita in tempo, nel 2002, durante vari incontri riservati tra i vertici della Cia e i leader politici del Congresso a proposito delle tecniche “intensificate” di interrogatorio, compreso il waterboarding (l’annegamento simulato applicato soltanto su tre detenuti e mai dopo il 2003). Dopo qualche giorno di imbarazzo, la Pelosi ha negato che le avessero detto che queste tecniche sarebbero state usate. Sono passati un paio di giorni e qualcuno della Cia ha passato ai giornali una minuta di un incontro del 2003 che prova come la Pelosi fosse perfettamente a conoscenza di tutto. La leader democratica non s’era lamentata, allora, anzi si è scoperto che rifiutò di firmare una lettera di una sua collega democratica, Jane Harman, la quale invece aveva avanzato riservatamente alla Cia qualche dubbio sull’uso di queste tecniche. Un portavoce della Pelosi ha detto che in quel momento, nel 2003, l’allora leader dell’opposizione alla Camera non aveva ritenuto “appropriato” protestare, perché il ricordo dell’11 settembre era ancora vivo. “Non voglio trovare giustificazioni a nessuno – ha detto la presidente della Commissione del Senato sui servizi segreti Dianne Feinstein – ma il 2002 non è il 2006 o il 2007 o il 2008. E’ stato subito dopo l’undici settembre e si parlava davvero di una seconda ondata di attacchi”. Questa frase è una specie di trionfo per la tesi di Dick Cheney e di chi teme che la nuova Amministrazione Obama e i media talvolta mostrino un atteggiamento pre 11 settembre. Ieri, in una conferenza stampa molto movimentata, la Pelosi ha accusato la Cia di aver mentito al Congresso ed è probabile che nei prossimi giorni i servizi facciano uscire qualcos’altro contro la Speaker, come succedeva ai tempi delle critiche dei bushiani alla comunità di intelligence. Ma il punto è che la questione “torture”, grazie anche all’intervento di Cheney, sta facendo danni anche e soprattutto nel fronte obamiano. Qualche altra falla si comincia ad aprire tra gli editorialisti e gli esperti liberal. Richard Cohen, senza perdonare nulla all’ex vicepresidente, nota sul Washington Post che “la sinistra politica sembra pensare che la Cia abbia torturato i sospetti terroristi solo per il piacere di farlo” e comincia a chiedersi “se ciò che dice Cheney sia la verità, cioè che la tortura funziona”. Cheney ovviamente sostiene che le tecniche “intensificate” di interrogatorio non siano tortura, ma è certo che abbiano funzionato, al punto da chiedere insistentemente a Obama di pubblicare i due memo che lo confermerebbero in pieno. “L’Amministrazione Obama – ha scritto Cohen – deve svelare il bluff di Cheney, se di questo si tratta, e pubblicare i memo. Se anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno, questa potrebbe essere la volta di Cheney”. Gli oppositori di Cheney citano le parole di Obama al momento della firma del decreto che ha cancellato le tecniche della Cia e spiegano che la questione non è se la tortura sia efficace, ma la sua immoralità che minaccia di corrompere l’anima dell’intera nazione. In realtà, Obama ha aggiunto che le tecniche adottate dalla Cia “non hanno reso il paese più sicuro”. Cheney non soltanto contesta questa affermazione, ma si chiede se sia più immorale interrogare duramente un terrorista, o “torturarlo” come sostengono i suoi avversari, o non riuscire a prevenire una strage di migliaia di innocenti. Richard Cohen era intervenuto sul tema già tre settimane fa, sempre sul Washington Post per spiegare che, sì, grazie a Obama l’America si sta comportando decisamente meglio dal punto di vista morale, ma non si può dire che sia più sicura: “L’autorità morale è una cosa troppo sottile per costruirci una politica estera. Io, di mio, sono felice che non torturiamo più nessuno, ma aver smesso l’oscena pratica non rende in nessun modo l’America più sicura”. Cohen ricopre di improperi Bush e Cheney e le loro politiche, fino a definirle simili a quelle naziste, ma riconosce che “ai terroristi non frega niente della nostra moralità, della nostra autorità morale o di quella che un editorialista ha definito nostra ‘bussola morale’. Bush non piaceva a molti nel mondo, ma gli attacchi dell’11 settembre sono stati pianificati quando c’era Bill Clinton, uno che non aveva offeso nessuno, se non la destra cristiana. Anzi è andato in giro per il mondo a scusarsi dei misfatti compiuti dall’America, della schiavitù in particolare. Ma nessun terrorista ha cambiato idea. Se Obama pensa che il mondo risponderà alla sua nuova politica sulla tortura, è seriamente fuori strada. Anzi ha reso le cose un po’ più facili per i terroristi, che ora sanno che cosa non succederà se saranno catturati. E con tutte le sue esitazioni sui processi agli avvocati del dipartimento della Giustizia di Bush (e magari anche agli agenti Cia) ha mostrato agli agenti sul campo che sta con loro, oh, circa il 62 per cento delle volte”. Michael Scheuer, l’ex analista della Cia diventato grande accusatore di Bush e Cheney, in un discusso articolo sul Washington Post di due domeniche fa ha scritto che “con una dimostrazione mozzafiato di ipocrisia e arroganza intellettuale, il presidente ha detto agli americani che le sue convinzioni morali sono più importanti rispetto alla protezione del loro paese, delle loro case e delle loro famiglie. (...) Il mondo non sarà più sicuro per gli americani perché il presidente abbandona le tecniche di interrogatorio per piacere all’ala sinistra del suo partito e ai pacifisti europei che ammira così tanto. Sono entrambi incorreggibili antiamericani che si oppongono all’uso della forza a difesa dell’America e, come Obama, credono ingenuamente che i nemici islamisti dell’occidente possano essere addolciti facendo un bel girotondo”. Se dovesse capitare una strage, ha chiuso Scheuer, gli americani dovranno sapere che il loro presidente crede che “le eventuali perdite sono un piccolo prezzo da pagare per poter fermare gli interrogatori e piacere di più ai popoli stranieri”. Anche un solido commentatore liberal come Thomas Friedman, sul New York Times del 29 aprile sembra aver mutato leggermente posizione. Obama, ha scritto Friedman, ha fatto bene a pubblicare i memo, fermare l’uso della tortura e non processare gli esponenti della precedente amministrazione e gli agenti della Cia che hanno convalidato e applicato le tecniche di interrogatorio: “Ma non c’è nulla di cui essere felici, per tutto questo”, perché gli abusi, sono stati terribili, specie in Afghanistan, ma anche perché “al Qaida non è stata fermata con i mezzi normali. La sua arma era il suicidio. I suoi militanti erano pronti a uccidersi – come hanno fatto l’11 settembre, e prima contro obiettivi americani in Arabia Saudita, Kenya, Tanzania e Yemen – ben prima che noi potessimo anche minacciare di ucciderli. Abbiamo potuto fermare i russi perché loro amavano i loro bambini più di quanto odiassero noi, non volevano morire. Gli uomini di al Qaida ci odiano più di quanto amano i loro figli”. Friedman ha ricordato ai lettori del New York Times, sulle pagine più ferocemente anticheneyane degli Stati Uniti, che Bin Laden avrebbe voluto compiere un attacco devastante all’America, che al Qaida pensa che sia suo dovere religioso uccidere tutti, compresi i musulmani, e che le loro tattiche sono studiate per minare alle fondamenta la società aperta occidentale: “Il mondo post 11 settembre – ha scritto Friedman riecheggiando indirettamente Cheney – resta pericoloso. Un altro 11 settembre chiuderebbe ancora di più la nostra società aperta. Un altro 11 settembre e non ci dovremo togliere soltanto le scarpe in aeroporto. Abbiamo il lusso di poter fare questo dibattito sulla tortura perché non c’è stato un secondo 11 settembre, non perché non ci abbiano provato. Ci fosse stato, una grande maggioranza di americani avrebbe detto al governo (e lo farebbe ancora oggi): fate tutto ciò che è necessario”. Friedman, infine, sostiene anche un’altra tesi di Cheney: “Credo che il motivo per cui non c’è stato un altro 11 settembre, a parte il miglioramento della sicurezza e dell’intelligence, è il fatto che al Qaida sia concentrata principalmente a sconfiggere l’America nel cuore del mondo arabo e islamico, in particolare in Iraq”. Sembra quasi di vedere il ghigno di Cheney nel leggere sul New York Times che l’obiettivo dovrebbe essere quello di sconfiggere al Qaida, assieme agli iracheni, “costruendo una rispettabile società pluralista nel cuore del loro mondo”. Certo, sul Times c’è anche Maureen Dowd, che l’altro giorno è riuscita a trovare parole gentili per George W. Bush pur di devastare riga dopo riga il neopresenzialismo di Cheney. Bush ha scelto di non criticare il suo successore e quasi tutti gli altri big della sua squadra non parlano. Come mai, allora, Cheney non sta facendo la stessa cosa? “Penso sia molto, molto importante – ha detto Cheney – che si capisca bene che cosa è successo e che ciò che abbiamo avuto è un approccio dignitoso per difendere la nostra nazione, niente di tortuoso, falso, disonesto o illegale”. Ma Cheney riconosce che il vero motivo per cui non è andato in pensione è il vuoto di leadership a destra: “Se non sono io a parlare, i critici hanno la via spianata, dall’altra parte non c’è nessuno che dice la verità”
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Esercitazioni Israeliane - Prove per l'Iran?
picpus ha risposto a 1816 nella discussione News Aviazione
Dal link http://www.informazionecorretta.com/main.p...40&id=29484 riporto: Articoli su Israele - Angelo Pezzana Tenebre nere all'orizzonte di Israele 19/05/2009 Il prossimo 2 giugno, alle ore 11 precise del mattino, in Israele suonerà la sirena. Non sarà, lo speriamo, l'annuncio di un pericolo immediato per il paese, ma ne rappresenterà la prova generale. Lo ha annunciato il Ministro sottosegretario alla Difesa Matan Vilna'i il 22 aprile scorso durante una riunione con i responsabili della varie municipalità israeliane, con lo scopo di preparare all'eventualità di una guerra i responsabili della sicurezza, e, insieme a loro, anche i cittadini. Ai quali verrà chiesto di comportarsi come se il colore rosso” (zeva adom) fosse un vero segnale piuttosto che una esercitazione. Corsa nei rifugi, camere sigillate, purtroppo niente che non sia già stato vissuto. I cittadini, che Vilna'i ha chiamato “" fronte interno"”, devono rendersi conto che saranno parte di una prossima guerra, per cui devono prepararsi ad affrontare ogni eventualità. Questa notizia, non priva di una sua drammatica realtà, non è stata colta da quegli analisti di cose mediorientali, in genere sempre attenti a segnalare le “colpe” di Israele. Forse l'hanno giudicata “normale” per un paese che viene classificato “in guerra”, senza però aggiungere mai di quale guerra si tratti, che sia difensiva è evidentemente un aspetto di poca importanza. Gli israeliani, nell’ultima settimana di aprile, che ha visto in sequenza Yom haShoà, Yom haZicharon, e Yom haAzmaut, è trascorsa apparentemente come gli anni passati, è vero che tutti gli occhi erano puntati sui primi passi del nuovo governo, ma la preoccupazione comune poteva apparire legata alla situazione economica piuttosto che ai temi di politica internazionale. Invece sono accaduti alcuni fatti che hanno ampiamente giustificato l'allarme del Ministro della Difesa. Mentre a Israele si continua a richiedere la cessione di "“terra in cambio di pace"”, i partner con i quali la pace dovrebbe essere fatta hanno avanzato richieste che soltanto un governo irresponsabile potrebbe accettare. La Siria chiede la restituzione del Golan, e soltanto dopo sarà disponibile a trattative di pace. Però intanto continua nella sua politica terrorista, ospitando a Damasco i leader di Hamas, proteggendo e favorendo ogni iniziativa terroristica di Hezbollah in Libano. L'Iran, reso più arrogante dalla nuova politica di apertura del governo americano, prosegue la politica degli armamenti nucleari, favorendo manovre che mirano a destabilizzare la regione, come si è visto in Egitto, dove finalmente Mubarak si è reso conto del pericolo che il suo stesso paese corre di fronte alla crescita del potere di Hezbollah. Quanto sta accadendo nel mondo arabo ha rimesso brutalmente sul tappeto una domanda alla quale gli israeliani credevano di avere già dato risposta. L'equazione “terra in cambio di pace” non funziona, se mai ha funzionato. L'esempio di Gaza ha provveduto a far ricredere quell'opinione pubblica che aveva sperato nella possibilità del progetto statale palestinese. Non solo Hamas, che continua a negare a Israele la legittimità di esistere, e si prepara con l'aiuto dell'Iran a nuovi attacchi, ma anche il cosidetto mondo palestinese “moderato”, quello dell’Anp di Abu Mazen, sembra procedere spedito verso un allineamento con le forze più estremiste. E’ l'unica spiegazione che giustifica il rifiuto, riaffermato in questi giorni dal rais, di riconoscere Israele quale Stato ebraico. Una pre-condizione, senza la quale, “terra in cambio di pace” non è altro che uno slogan che non porta da nessuna parte, come si è visto in questi anni. E’ questo riconoscimento che oggi il governo Netannyahu, con Avigdor Lieberman ministro degli esteri, ha posto quale primo passo, senza il quale non si va oltre. L'idea dei due stati era un'ottima idea, peccato che l'intendesse in questo modo soltanto Israele, con il risultato che la soluzione non è ancora stata trovata. Di più, nelle analisi monche che leggiamo, il fatto che siano stati i governi arabi prima, e i palestinesi dopo, a respingere questa soluzione, è la parte che di solito viene nascosta per impedire che la questione arabo-israeliana venga compresa nei suoi termini corretti. Di sicuro, il coro dei richiedenti dialogo & pace non solo continuerà, ma diventerà persino assordante, con il rischio che ad esso si uniscano governi finora attenti a valutare con equilibrio il pericolo rappresentato dal terrorismo islamico per il monto intero, e non solo per Israele. Purtroppo i segnali che giungono sono preoccupanti, per queste considerazioni Israele si sta preparando ad ogni eventualità. Quel rifiuto arabo, all'origine di tutte le guerre, dal ’48 ad oggi, continua, mentre i paesi democratici sembrano ipnotizzati nella loro totale mancanza di capacità di rendersi conto di quali tragici avvenimenti stiano per accadere. Pericoli all'orizzonte, quindi, ma anche un paese, Israele, estremamente unito nella volontà di combattere chi vorrebbe cancellarlo dalle carte geografiche, con i mezzi violenti fin qui proclamati dal fanatismo islamista, ma anche con le proposte del tipo “uno stato per due popoli”, che è la versione “pacifica” del medesimo annientamento, quello che piace tanto ai vari Spinelli/Romano, e che non mancherà di essere riproposto, ricoperto dalla solita melassa, tutta pace & dialogo, che faremo bene a riconoscere per meglio rimandarla al mittente. e non dalla parte dei terroristi!!! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Veramente, il tentativo non riuscito (in questo caso!) di costruire un falso scoop, si evince, in maniera inequivocabile, dall'articolo da me postato e dalle dichiarazioni della protagonista! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Qui il problema è, se non l'hai percepito, che lo scoop è FALSO, lo si vuole costruire dal nulla, per sostenere la campagna elettorale di una parte politica data, da tutti, per perdente!!! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
No, non è un complotto di certa stampa al servizio di una parte politica, nel paese della "dittatura mediatica" !!! Dal link http://www.tgcom.mediaset.it/politica/arti...olo451174.shtml riporto: "Pronti soldi per accuse a premier" Ex Gf: "L'Espresso chiedeva foto e sms" "Volevano pagarmi per incastrare Berlusconi". Laura Drzewicka, 23enne concorrente polacca del Grande Fratello 9, ha confidato al quotidiano Il Giornale le avances di due giornalisti dell'Espresso: "Erano pronti a darmi dei soldi purché raccontassi qualunque dettaglio sul premier. Io non so nulla, ma ho deciso di giocare con loro. Credo abbiano fatto la stessa proposta a molte altre". Alla ragazza erano stati chiesti sms e foto compromettenti. Ecco il testo integrale dell'intervista pubblicata oggi su Giornale e firmata da Stefano Zurlo: Una lunga trattativa. E alla fine i giornalisti dell’Espresso buttano sul tavolo la loro proposta: "Io te la pago - dice uno di loro - se tu hai l’altra cosa. Se hai le foto, se hai i gioielli". Insomma, le prove della relazione con il Cavalier Silvio Berlusconi. Laura, Laura Drezwicka, la biondissima del Grande Fratello, non sa nulla. Ma decide di giocare, fa intendere, provoca, spara di aver avuto una relazione col Cavaliere. E freme per concedere un’intervista. A pagamento, va da sé. La richiesta è secca: cinquantamila euro. Cinquantamila euro per raccontare tutti i dettagli piccanti, piccantissimi, privati, privatissimi, che riguardano Berlusconi e la sua privacy. "I giornalisti dell’Espresso - racconta ora lei al Giornale - erano scatenati. Volevano sapere tutto, ma proprio tutto sulle abitudini erotiche del presidente del Consiglio". Del resto, il settimanale del gruppo De Benedetti attualmente in edicola spara un servizio dal titolo più che promettente: «L’harem di Silvio». E ormai c’è una lunga tradizione di pseudo scoop sulle avventure sentimentali del premier: le feste a Villa Certosa, le ragazze invitate in Sardegna, il caso Noemi, i gossip sulle ministre. La task force del periodico prova da mesi a guardare attraverso il buco della serratura dentro la camera da letto di Silvio. "Credo - prosegue Laura - che abbiano incontrato molte, moltissime ragazze, chiedendo degli sms di Silvio, delle foto in posa con lui, dei regali che avrebbero ricevuto". Il giornalismo sotto le lenzuola mobilita energie e risorse. E l’Espresso è disposto a pagare queste rivelazioni esplosive.Al tavolo di un ristorante di Napoli sono sedute quattro persone: Laura, la sua amica Roberta, fotografa, i due emissari del settimanale. Un redattore e un collaboratore. Laura, una sorta di Paris Hilton all’amatriciana, vanta un curriculum stuzzicante: esordio folgorante come "sexy car washer", in quasi topless mentre puliva grandi auto fra goccioloni luccicanti, si è esibita senza veli nel circuito di alcune tv private, infine è entrata nella stanza del Grande fratello al posto di Daniela Martani, la hostess poi licenziata dall’Alitalia. E questo suo exploit è stato oggetto di molte mormorazioni e chiacchiericci: chi l’ha spinta fin sotto le telecamere bramate da legioni di aspiranti veline? Insomma, ha tutte le curve e le zone d’ombra per attirare la curiosità della stampa come il miele le api. Bastano poche frasi di circostanza e subito arriva la richiesta: "Lei - spiega Roberta - pensava a una cifra di 50mila euro per questa... 50mila euro che è il prezzo che lei ha valutato con me, questa è la cifra per rilasciare questa intervista". Cinquantamila euro. Sono tanti ma all’Espresso la storia fa gola. Con quel corteo di dettagli torbidi, particolari scabrosi, relazioni peccaminose. "Se tu vai da Oggi o vai da Gente - riflette l’inviato - a fare un’intervista del genere... Se lo fai con l’Espresso invece... Vogliamo parlarne seriamente... Se no la chiudiamo tu sei libera di... chiudere con il nostro giornale. Però volevo dire che non è una cosa che si fa proprio così. Io vado dal direttore e dico “c’ho una ragazza che ha fatto il Grande fratello e potrebbe raccontare cose di Berlusconi e gli diamo 50mila euro”, non ti dirà mai di sì". Ci vogliono le prove per dire sì e staccare l’assegno: "Se io riporto di lei cose gravi del presidente del Consiglio devo essere sicuro". Sicuri o dubbiosi, i cronisti hanno drizzato le antenne e affondano le domande: "Si è comportato bene fino a quando?". "Fino a poco tempo fa". "Ma perché si è stufato?". "No, non è che si è stufato... Forse è per i casini che stanno succedendo adesso, mica per altri motivi". Gira e rigira, la discussione si avvita sempre intorno allo steso punto: "Hai qualche elemento per documentare la tua relazione sessuale o no?". "Ho le mie prove". E non ti senti un po’ Monica Lewinsky?» «Io ho le mie prove». Come la stagista americana aveva le sue. Laura tiene sulla corda i giornalisti, si sbilancia, allude, poi ingrana la retromarcia. E le domande a pagamento scendono come chicchi di grandine: "Ti ha pagato l’affitto?". "Ha pagato l’affitto". "Molte stanno lì". "Eh, sì", risponde Laura. Pronta per un altro quiz: "Hai visto cose che faceva che so con la Carfagna, con la Matera, con quelle che ha candidato?" È l’unico passaggio "istituzionale» della conversazione. Laura mena il can per l’aia, precisa, per chi ancora non lo sapesse, che le donne hanno una psicologia particolare, parla di sensazioni. I cronisti incalzano. Le domande sono sempre più "politiche": "Ti chiamava?". "Mi chiamava spesso la sera". "Stava al telefono a lungo?". "Abbastanza". Sembra di essere dentro uno spot. "Ho delle prove telefoniche, ma solo sms". "Sono vincolanti questi sms" esultano i giornalisti. "Sono belli, sono belli", ripete lei, più stereotipata di un’oca giuliva. "Amichevoli?", insistono prudenti gli inviati. "Amichevoli no, perché non è solo mio amico". Ci siamo, o forse non ancora. Laura è la reginetta del dico-non dico, come del vedo-non vedo. Il safari nella vita privata del premier riprende: "Non c’hai una foto un po’ più... una foto che prova». Così, con qualche scatto hard, il tormentone sul Cavaliere potrebbe chiudersi una volta per tutte. Laura fa balenare quel che non ha, l’immagine potrebbe pure esserci. La starletta rilancia: "Sì una foto che non ho visto da nessuna, con nessuna ragazza, ce l’ho questo documento, ce l’ho sul telefono. È ovvio che non te l’ho fatto vedere perché non posso farti vedere". La caccia al tesoro è a un passo dalla meta. L’affare sembra possibile. "Questo - replica uno dei giornalisti - per me sarebbe... Cioè se avessi questa cosa io potrei dire al direttore: c’è questa cosa... che siete molto amici... che siete stati dentro casa sua da sola con lui dentro la sua stanza". Questo sì che sarebbe bingo. Serve altro? C’è bisogno di qualcosa ancora dopo aver frugato dentro Vila Certosa con gli obiettivi dei paparazzi? Laura non molla: "Io prima volevo fare un’intervista per un compenso, poi mostrerò le foto". Laura vuole i soldi, Laura vuole i riflettori, l’Espresso vuole le prove. Poi la vita privata, personale, intima del Cavaliere potrà pure essere fatta a pezzi. Dunque, si va avanti a comporre un fantomatico manuale erotico del Cavaliere. Le domande si fanno ancora più esplicite, quasi surreali, grottesche: "Faceva delle cose anche insensate oppure no? Cioè ha controllo come uomo oppure no?". "Con te non ha mai avuto dei comportamenti folli?". Altro che Palazzo Grazioli. Qui siamo in una galleria di personaggi lombrosiani. Insomma, lo scoop potrebbe pure essere più grande del previsto: un Cavaliere mostro, o bruto o chissà che altro. Una pellicola dell’orrore. Che botto. Meglio consolidare il terreno con altre domande a ventaglio: "Ti ha mai raccontato di essere stato con due donne insieme?". Certo, nel Kamasutra dell’Espresso il capitolo orge era rimasto incredibilmente nell’ombra. Laura si supera: "Guarda, io non coinvolgo nessuna altra persona in questo racconto". Laura indica ma non chiarisce e allora, persa ogni misura, dal taccuino saltano fuori temi che gli stessi cronisti maneggiano come saponette, "come leggende metropolitane che girano". Finiscono tutte insieme nel mulinello: "C’è questa storia della puntura alla base del pube che ti permette di avere rapporti sessuali continuamente per ore". Ma la leggenda, come tutte le leggende, non finisce qua: "Ha avuto anche problemi dal punto di vista di un eccesso di afflusso di sangue". Sono informati, all’Espresso. O forse è una domanda. Laura si ricorda di essere stata una "sexy car washer": "Mi stai chiedendo se ce l’ha grosso?". Ridono tutti, adesso. Ma è un istante. Laura torna a pattinare sulla zona grigia: "Io questa cosa non me la sento di dirla in questo momento se fa le punture o no... Non te la dirò mai". Il Paese resterà appeso al rebus. Meglio divagare, sì, ma non troppo: "Lui si diverte e gioca e gli piace vedere magari due donne che si baciano fra di loro e magari fanno lo spogliarello, cose di questo genere... Si renderebbe ridicolo. Era per capire questa cosa qua appunto anche in questo". Laura è una barriera: "Quello fa parte dell’intervista, non mi va di rispondere". Non subito. E allora si torna a parlare delle garanzie e del compenso, il carburante della conversazione: "A me quel che interessa è se tu hai una foto che documenta un rapporto particolare con lui... che fa capire lui come personaggio anche in relazione alla politica cioè come...". "Io comunque adesso ci penso". Sì, basta, almeno per questa volta: «Io te la pago se tu hai quest’altra cosa. Se tu hai le foto, se tui hai i gioielli. Il fatto che ti ha iscritto al Grande Fratello perché veramente... non la possiamo fare» l’intervista. "Tu non puoi dire che uno è l’amante tuo soltanto sulla base della tua parola". "Be’, già il Grande Fratello penso che sia una bella prova". "Si dice che sono state segnalate...". Siamo al capitolo raccomandazioni, ma Laura se ne va. Ci sarà tempo per un altro appuntamento. E per altri mercanteggiamenti. -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Di Pietro, mi si corregga se sbaglio, entrò per la prima volta in Parlamento, candidato da Massimo D'Alema nell'Ulivo, per il seggio al Senato del collegio uninominale del Mugello, in Toscana, in occasione di elezioni suppletive che si tennero a fine 1997; se questo significa essere di destra!!! Qualche anno dopo dà vita ad un'intesa politica con Achille Occhetto e Giulietto Chiesa: sempre più a destra, quindi!!! -
Caucaso - News e Commenti - TOPIC UFFICIALE
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Magari conosciamolo meglio, il presidente georgiano Mikheil Saakashvili di cui, a mio avviso, spesso si parla senza cognizione di causa (magistrale l'ultima frase!). Dal link http://www.loccidentale.it/articolo/saakas...ssia%22.0072372 riporto: Leader rivoluzionario Saakashvili deluso dall'Occidente: "Ha paura della Russia" di Stefano Magni 30 Maggio 2009 Mikheil Saakashvili, presidente della Georgia, sta subendo attacchi su tutti i fronti. Benché vittima dell’aggressione russa (la prima invasione di uno Stato europeo dalla II Guerra Mondiale), molti, anche in Europa, pensano che il responsabile sia lui, con il suo improvviso attacco alla separatista Ossezia del Sud. Il premier russo Vladimir Putin lo definisce come un “nuovo Saddam Hussein”. L’opposizione georgiana, dal 2007, lo accusa di aver ricreato quel regime autoritario che egli stesso demolì con la Rivoluzione delle Rose nel 2003. Le organizzazioni per i diritti umani gli rimproverano lo stato d’emergenza imposto nel novembre 2007 contro l’opposizione e l’oscuramento della Tv Imedi. Giovedì 28, mentre in Georgia dilagavano le manifestazioni contro di lui, Saakashvili era a Roma, in Campidoglio. Per parlare di se stesso, per mostrare al pubblico la sua storia personale e le sue idee, condensate del nuovo libro-intervista "Io vi parlo di libertà" (edito da Spirali e scritto con Raphael Glucksman, figlio del noto filosofo André) e smentire molte delle voci che circolano sulle sue scelte di guerra e di pace. Prima di tutto, va detto che non ha nulla del “Saddam Hussein del Caucaso”. Saakashvili è un giovane uomo dall’aria sincera, dai modi affabili, sempre sorridente e pronto a rispondere ad ogni domanda dal pubblico. “L’Unione Sovietica è finita. Vi sbagliate se state pensando che adesso mi metta a fare 5 ore di comizio sul mio libro. Lo introdurrò giusto per cinque minuti, poi sono pronto a parlarne con voi”, esordisce al Campidoglio. Il giorno dopo, a Milano, si è messo ancora a disposizione del pubblico del Corriere della Sera per una videochat in diretta, per rispondere alle domande dei lettori. D’altra parte, dopo la Rivoluzione delle Rose del 2003, con cui aveva rovesciato il regime post-comunista di Eduard Shevardnadze, aveva dichiarato chiaro e tondo: “lo Stato è servitore del popolo, non il suo padrone. I regimi devono iniziare ad aver paura del giudizio popolare”. Il suo carattere di leader rivoluzionario è rimasto intonso. E si è formato già ai tempi dell’Urss, quando leggeva quel poco di stampa occidentale che gli capitava sottomano, i samizdat di dissidenti quali Sakharov, Bukovskij e Solzhenitzin, che tuttora considera suoi maestri. “L’Occidente simboleggiava per noi la libertà e la ricchezza, tutto quello che ci era negato nella vita quotidiana. Avevamo talmente perso la fiducia nella propaganda sovietica, da invertire tutto quello che dicevano del mondo esterno. Quel che pensavamo dell’Occidente era certamente un’immagine idilliaca, molto ingenua, che farà sorridere un cittadino francese o americano. Immaginavamo un mondo senza restrizioni, senza controlli di polizia, senza code nei negozi, con i supermercati pieni di merci. E soprattutto: senza Kgb”. La natura e la spinta ideale della carriera politica di Saakashvili parte tutta da questa dichiarazione d’amore per un Occidente negato. Giovane dissidente perseguitato dal Kgb, poi studente di legge e avvocato a New York, infine politico georgiano e guida della rivoluzione contro il governo post-comunista dell’ex ministro degli esteri sovietico Eduard Shevardnadze, non si vedono grosse contraddizioni nella carriera politica di Saakashvili, contrariamente a molti altri leader politici e oligarchi che sono passati direttamente dal comunismo al capitalismo e poi al nazionalismo senza soluzione di continuità. “La classe politica postsovietica non si fonda su divisioni politiche o ideologiche” – dice dei suoi avversari – “Non ci sono da una parte i socialisti e dall’altra i liberisti, da una parte i riformatori e dall’altra i conservatori, bensì un magma di relazioni e di clan da cui emerge un leader la cui principale qualità sta nel non mettere troppo a repentaglio equilibri, abitudini e patrimoni”. Saakashvili, licenziando l’intero corpo di polizia all’indomani della Rivoluzione delle Rose e mandando a spasso più di 100mila funzionari, ha voluto una rottura totale con questo sistema. Gli rimproverano, anzi, di essere stato troppo aggressivo con le riforme e l’opposizione, per sua stessa ammissione, ha gonfiato le sue fila con chi è stato staccato dalla mammella dello Stato. Non rimpiange quelle mosse. “Oggi siamo l’unica repubblica ex sovietica ad avere un calo di corruzione” - ci spiega - “Nel nostro Stato non c’è alcun funzionario che abbia un passato nell’apparato dell’Urss. Abbiamo promosso i giovani, quelli della generazione post-sovietica e quelli post-post-sovietici, che sono nati dopo la caduta dell’Urss e sono ancora più liberi da quella gabbia mentale”. I dati economici gli danno ragione. I rating internazionali dimostrano una crescita senza eguali fra le altre repubbliche ex sovietiche (Paesi baltici a parte), nonostante il lungo embargo sulle merci imposto dalla Russia, iniziato nel 2006. Saakashvili risponde anche dei metodi con cui queste riforme sono state condotte e che sono tuttora oggetto di critiche in Occidente. Il presidente difende la sua scelta di aver oscurato Imedi Tv, vicina all’opposizione, affermando che fosse uno strumento gestito dall’oligarca Badri Patarkachishvili per organizzare un putsch contro il suo governo. Ma sull’opposizione e sulle manifestazioni (sia quelle del 2007 che le attuali) non ha nulla da obiettare. “Sono un buon segno” - ci spiega - “Vuol dire che stiamo diventando una vera democrazia. E come in tutte le vere democrazie l’opposizione scende in piazza a protestare. Sono contento di aver vinto le elezioni (del 2008, ndr) con un 53% e non con i risultati plebiscitari di un Putin o di un Saddam”. Per quanto riguarda la guerra con la Russia, Saakashvili è convinto, deciso e documentato, quando afferma che: “L’invasione è iniziata ben prima dell’8 agosto”, cioè prima dell’attacco georgiano contro i separatisti dell’Ossezia del Sud. Le unità russe della 58ma armata stavano già attraversando il valico di Roki ed entrando nel Paese prima che le brigate georgiane si muovessero. La Georgia non era preparata a una guerra, ammette candidamente il suo presidente: le unità migliori erano in Iraq, lui stesso e il ministro della Difesa erano in vacanza fino ad una settimana prima. L’avanzata georgiana su Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del Sud, fu ordinata dopo una settimana di bombardamenti sui villaggi georgiani: “I profughi mi rimproverano ancora adesso di essere intervenuto troppo tardi”, afferma Saakashvili nel suo libro-intervista. E’ questo il contesto in cui è scattata la “reazione” russa. La Georgia ha corso realmente il rischio di essere annientata. Saakashvili è grato soprattutto a Nicolas Sarkozy (allora presidente di turno dell’Ue) per la sua salvezza: “Non ha atteso una posizione comune dei 27 Paesi dell’Ue per venire a Mosca e a Tbilisi. Infatti – potrà confermarlo lui stesso – in quel momento l’obiettivo di Putin era chiaramente la nostra distruzione”. E torna, in questo caso, il miraggio dell’Occidente, del quale però l’ex dissidente Saakashvili si dice in parte deluso. Deluso dal mancato appoggio americano alla rivoluzione delle Rose: contrariamente a una leggenda metropolitana molto diffusa, gli Usa hanno cercato un compromesso con il governo Shevardnadze fino all’ultimo. La Germania, che vendeva armi alla Georgia, ha interrotto questo rapporto dopo la Rivoluzione. Il tutto nell’ottica di “non offendere la Russia”. E’ un “vecchio” vizio dell’Occidente dopo la fine dell’impero sovietico: “Finita la Guerra Fredda, gli occidentali hanno avuto una sola idea in testa: scusarsi di avere battuto l’Urss”. -
Un interessantissimo articolo sulla situazione disastrosa della Russia/URSS!!! Dal link http://www.loccidentale.it/articolo/quale+...vietica.0072106 riporto: Lo zar a nudo Perché la Russia di Putin rischia di finire come l'Unione Sovietica di Cesare Proserpio 30 Maggio 2009 Qualche tempo fa un amico mi chiedeva spiegazione di un mistero per lui inspiegabile. Si chiedeva come mai la Russia, con le gigantesche risorse naturali che possiede (petrolio, gas, minerali), non fosse uno stato decisamente ricco. Capiva che decenni di economia comunista avessero prostrato il paese, ma, vedendo come, in base alle statistiche, un polacco, un ceco, uno sloveno, stessero meglio di un russo, nonostante i loro paesi non possedessero quasi nessuna risorsa, non riusciva a darsi una spiegazione sensata. In effetti, per le risorse che possiede, e con una popolazione di soli 140 milioni di abitanti (in costante diminuzione), la Russia è potenzialmente uno degli stati più ricchi del mondo. Per quali ragioni, allora, la Russia resta un paese dove il cittadino qualunque ha un tenore di vita che perfino nell’est europeo considerano basso? Riassumendo al massimo, le ragioni fondamentali sono tre. La prima, la più facile da spiegare, è la vocazione russa ad essere una grande potenza globale, pur non possedendone i mezzi. Se il PIL (prodotto interno lordo) nominale russo, espresso in dollari USA, era inferiore nel 2008 perfino a quello italiano, ma le spese “imperiali” sono di fatto superiori a quelle di colossi come il Giappone, il peso tremendo che ciò ha sul paese diventa evidente. Viene in mente la famosa frase del ministro degli Esteri sovietico che, nel 1989, implorava un drastico taglio alle spese militari, in quanto, secondo lui, se le spese per le forze armate avessero mantenuto lo stesso livello, in poco tempo l’esercito non avrebbe più avuto uno stato da difendere. Ciononostante, la Russia di oggi sembra proseguire lungo la stessa strada, quella del fallimento. La seconda ragione sta nel fatto che la Russia possiede un’economia assolutamente inefficiente e non competitiva a livello internazionale. Le esportazioni sono, nella stragrande maggioranza, rappresentate da materie prime, petrolio, gas, minerali, legname… quello che resta è soprattutto costituito da prodotti dell’industria militare. Quest’ultima è tra l’altro sempre più in difficoltà in quanto obsoleta in confronto a quella occidentale. Le vendite di armamenti erano, fino a poco tempo fa, indirizzate per i tre quarti a grandi potenze emergenti come Cina e India. Ora in questi mercati si perdono molti colpi, tanto che nel 2008 i maggiori acquirenti sono risultati Venezuela e Algeria. Il Venezuela ha ricevuto un grosso prestito dalla Russia, vincolato all’acquisto di materiale militare, e l’Algeria si è vista cancellare interamente il suo debito statale verso Mosca in cambio di commesse militari di pari importo. Insomma crollano gli acquisti “spontanei” e lo stato si organizza per stimolarne altri e fare sopravvivere l’industria del settore difesa. Almeno il settore “petrolio e gas”, che fa stare in piedi il paese, va bene? Nemmeno per sogno. Sotto Putin si è avuta una parziale statalizzazione dell’economia, asserendo che in determinati settori, in quanto “strategici”, una presenza maggioritaria dello stato fosse auspicabile. Il settore energetico è stato il più toccato e i risultati si stanno vedendo ora. Con una gestione disastrosa, fatta di sprechi, mangerie e nepotismi, si è compiuto il miracolo di portare a un forte rallentamento della crescita produttiva e ora addirittura a un calo di produzione di petrolio e gas, pur in presenza di grandi riserve da sfruttare. E il resto delle industrie russe? Roba da piangere. Il settore manifatturiero è mantenuto artificialmente in vita, grazie a forti barriere doganali e impedimenti burocratici vari, ed è massicciamente aiutato dai sussidi statali, basti pensare, ad esempio, alle tariffe ridicole per le forniture energetiche, date a prezzi che noi definiremmo “politici”. L’industria russa si rivolge quindi quasi solo al mercato interno, non essendo in grado, per qualità dei prodotti e scarsa competitività dei prezzi, di inondare i mercati esteri, come fanno invece cinesi, indiani e anche gli altri paesi dell’est europeo. In presenza di tutte queste barriere come fanno gli occidentali a vendere ancora in Russia? E’ molto semplice: esportano verso Mosca i prodotti che i russi non sanno fare o che hanno una qualità di livello alto. Le industrie russe, infatti, nonostante barriere doganali e aiuti di stato, sono riuscite a eliminare soltanto le importazioni di fascia bassa, il livello tecnologico non permette altro! Il terzo e ultimo motivo dell’arretratezza russa è il più sorprendente. Siamo abituati a considerare l’immensità del territorio russo come la sua grande fortuna e ricchezza. Tanto territorio significa tante risorse da spartire tra poche persone e in teoria sarebbe così. Il guaio è che, per la mentalità russa, un territorio non è veramente posseduto se non è popolato. Gli zar svuotarono le casse statali per unificare il paese dal Baltico al Pacifico, creando forti, villaggi e cittadine di provincia e spendendo somme colossali per infrastrutture come la ferrovia transiberiana. Gli effetti disastrosi si videro poi con le catastrofiche guerre col Giappone (1905) e con gli imperi centrali (1914-1917) e che portarono dritti al crollo dell’impero dei Romanov. L’Unione Sovietica fece ancora peggio, creando addirittura metropoli dove esistevano villaggi e sonnacchiose cittadine. Il tutto accompagnato da massicci trasferimenti di popolazione in zone climaticamente infami e dalla costruzione di grandi industrie che mai persona sana di mente avrebbe portato in quei luoghi. Insomma un po’ come se gli americani avessero portato 10 milioni di persone ad abitare in Alaska, creando città e industrie e continuando a finanziarle all’infinito per tenerle artificialmente in piedi… un suicidio economico. Ci sono oggi parecchi milioni di russi che abitano in zone dove, in virtù della logica, non dovrebbe viverci nessuno o quasi. Per tenere popolate la Siberia e l’estremo oriente russo, lo stato si dissangua letteralmente e anzi cerca disperatamente di frenare l’esodo naturale della popolazione aiutando in ogni modo le attività economiche locali che, senza abbondanti aiuti statali, sarebbero altrimenti già morte e sepolte. C’è chi si è preso la briga di calcolare il peso di questa follia economico-demografica e ne ha dedotto che, in assenza di correttivi, in caso di stasi prolungata delle entrate di petrolio e gas, il sostegno dato all’80% del territorio russo per permetterne la stabilità di popolamento, ucciderà il paese. Per questo non capisco quanti, in questi ultimi anni, ci hanno parlato di grande rinascita della Russia, senza rendersi conto che era l’inarrestabile crescita dei prezzi delle materie prime a spingere in alto la ricchezza del paese. Ora il giocattolo si è rotto e, come diceva il titolo di un vecchio film, "sotto il vestito niente".
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Un "Airbus A330" prossimo aereo presidenziale francese
picpus ha pubblicato una discussione in News Aviazione
Si tratta di un aereo acquistato dalla compagnia "Air Caraïbes" e che ha 11 anni di vita. Subirà lavori di trasformazione della durata di almeno un anno. Eccovi il link all'articolo relativo: http://www.sudouest.com/accueil/actualite/...il/4576786.html -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Ammettiamo pure che abbia detto balle, io non lo so, perché, ripeto, non ho seguito una vicenda che non mi interessava e che non mi doveva interessare. Tu parti dall'idea, a quanto sembra, che in un uomo politico, bisogna nutrire la massima fiducia e quindi, se dice balle, viene meno tale fiducia. Ma di che tipo di fiducia si tratta? La stessa che si pretende di nutrire nei confronti della propria moglie, nei confronti dei propri figli, nei confronti di un amico? Di questa fiducia si tratta? Non penso proprio! Dal punto di vista "umano", non avrei mai sposato una politica di professione, non vorrei mai che facessero politica i miei figli, né mi sceglierei un amico tra i politici e, soprattutto, sono felicissimo di non aver avuto dei politici, come genitori! Peraltro, tutti gli uomini politici, anche i più grandi, sicuramente, hanno sulla loro coscienza una mole immensa di "bugie politiche" che, a volte, devono dire, proprio per ragion di Stato. Ne consegue che l'unica fiducia che si può nutrire in un politico, come, d'altronde, in un qualsiasi altro "professionista" (quale anche il politico è) è che sappia fare il suo lavoro. Aggiungo che, per mia mentalità, anche questo tipo di fiducia, io la concedo, sempre, "con riserva" di conferma a risultato conseguito (e ciò non solo per i politici). Aggiungo, ancora, che a meno di volersi astenere, tale fiducia deve essere, quasi sempre (ed ancor di più in un sistema elettorale tendenzialmente maggioritario e bipolare, che in uno proporzionale e multipartitico) accordata non tanto al "migliore", quanto al "meno peggio"! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
1) Appunto, penso proprio che sia così! 2) Il problema non si doveva proprio porre in partenza, perché si tratta, in ogni caso, di una vicenda privata (oltre che sicuramente falsa e montata ad arte!) quindi tutto ciò che viene dopo, NON DEVE avere alcun valore, come quando anche un minimo vizio di procedura, rende nullo un intero procedimento giudiziario dall'origine; se però si ragiona con la mentalità che permette di affermare, più o meno qualunquisticamente, che io prendo la "pistola" se mi si toccano gli "idoli" oppure che ho un "futuro da Capezzone" è ovvio che il processo mentale che ho delineato prima non può seguire quel corso, bensì un altro, che porta a "criminalizzare", anche solo politicamente, una persona qualsiasi, nella fattispecie Berlusconi, sulla base del nulla! EDIT Peraltro, chiedo, nella vicenda, ben più fondata, se non erro, che coinvolse a suo tempo il Presidente degli USA, Bill Clinton, il comportamento dello stesso fu perfettamente coerente dal primo all'ultimo minuto?! Lo chiedo, perché non me lo ricordo e non me lo ricordo, perché anche il quel caso (come in questo), a prescindere di chi vi fosse coinvolto, fin dall'inizio, non ho avuto il gusto voyeuristico, di conoscere tutti i particolari della vicenda stessa. -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
No, il nesso che ci vedo io, è il gusto, come dire, del voyeurismo, del gossip, del "farsi i fatti degli altri", tutto qui! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
1) Infatti non mi sono sentito insultato, ma i riferimenti personali sono fuori luogo! 2) Non glisso un bel niente! Al mondo tutto è relativo: c'è una bella differenza tra uno che, eventualmente, mente sui c***i suoi (di cui, peraltro, non ci si dovrebbe proprio occupare!), ed uno che, eventualmente, mente su questioni che riguardano la sicurezza dello Stato, di cui è d'uopo avere piena cognizione! Se vuoi, ti invito ad un semplice gioco: scopri il nesso che c'è tra il punto 1) ed il punto 2) del mio presente post! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Di nuovo, non puoi proprio evitare considerazioni di carattere personale a scopo provocatorio?!?!?! Mi sembrava di avertelo già fatto notare: http://www.aereimilitari.org/forum/index.p...st&p=225182 (messaggio n° 843) Non che mi dia alcun fastidio il paragone con Capezzone (che stimo), ma io sono io ed ho il mio futuro che non è affar tuo!!! Spero che la supermoderazione, così attenta con me, lo sia anche con te! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Su fonti di tal genere, si basano certi articoli della stampa italiana, poi copiata da quella estera! Chi, per speculazione politica, ci vuol credere, liberissimo; il fine, la speranza di qualche manciata di voti in più, che renda meno rovinoso l'ennesimo prossimo tracollo elettorale, giustifica i mezzi! ---------------- Per Rick, toglimi una curiosità: della famosa seduta spiritica di Prodi (quando venne fuori il nome "Gradoli"), nessuno ne ha mai parlato all'estero?!?!?! Se non ricordi la vicenda, basta mettere "prodi seduta spiritica" su Google come chiave di ricerca e dare uno sguardo ai link che vengono trovati!!! Forse era questo il leader che dà un buon esempio (e su che vicenda!!!) che cerca e/o rimpiange, madmike!!! -
"Ecco le risposte del Cav. alle dieci domande"
picpus ha risposto a picpus nella discussione Discussioni a tema
Meno male che c'è qualcuno cui credere ad occhi chiusi!!! Dal link: http://www.tgcom.mediaset.it/politica/arti...olo451109.shtml riporto: L'ex di Noemi, verità a pagamento Il Giornale: 500 euro per il disturbo Sono a pagamento le verità di Gino Flaminio, l'ex fidanzato di Noemi Letizia, al centro ormai di un caso politico e mediatico. Il quotidiano "Il Giornale" ha infatti avvicinato e parlato con il ragazzo napoletano (condannato a due anni e sei mesiper rapina): il giovane ha chiesto 500 euro al giornalista "solo per il disturbo". E non finisce qua: Gino rivela che "Novella 2000 me ne ha dati quasi diecimila", dice. "Repubblica invece mi ha fregato. E vi dico come", confida. Ecco il testo integrale dell'intervista pubblicata oggi su Giornale e firmata da Gabriele Parpiglia e Stefano Zurlo Per il disturbo?». Gino, Gino Flaminio, l’ex fidanzato di Noemi, non si accontenta di una stretta di mano. Alle sei della sera, al tavolo del ristorante «La scialuppa», s’è capito che l’intervista non si farà. Troppe complicazioni. Troppe difficoltà. Troppo di tutto. E poi Gino ha già venduto le sue confessioni a Novella 2000: diciotto pagine diciotto che usciranno fra squilli di tromba il 4 giugno. E allora noi che ci stiamo a fare? Il giornalista e il fotografo possono battere in ritirata. Alle sei di sera, dopo una lunghissima giornata, l’affare sfuma. Ma Gino, sotto lo sguardo vigile di papà Antonio, reclama la sua parte: «Per il disturbo?». Il cronista guarda papà Antonio, papà Antonio indica ancora il figlio Gino. Sembra un piccolo presepe napoletano. Meglio tagliare corto e allungare l’obolo. Cinquecento euro. Gino conta e riconta soddisfatto. Non ci avrà venduto il suo oracolo, ma è contento lo stesso. La giornata non è stata sprecata. Saluta e se ne va con papà Antonio. Prima, però, sembra colto da un sussulto che assomiglia a un senso di colpa: «Se vedi la famiglia di Noemi digli che non ce l’ho con loro e mi dispiace per tutto quello che è successo». Tutto quello che è successo, naturalmente, è quello che pomposamente chiameremo il «Noemigate». Gino, che è stato il fidanzato di Noemi dall’estate 2007 al gennaio 2009, ci ha messo del suo con un’intervista a Repubblica. E il suo verbo traboccherà anche dalle pagine di Novella. Così, a furia di raccontare, dev’essersi convinto che forse anche per lui la svolta è arrivata. Il mestiere di intervistato, a quanto pare, può rendere. Può diventare una professione. Un business. O, almeno, un modo per raccattare la mancia e concedersi qualche sfizio. Così, il ragazzo non fa una piega quando alle 8 del mattino incrocia sulla sua strada per il lavoro un giornalista e un fotografo, con regolare macchina al collo, che gli vogliono parlare. Gino, ormai, nuota con disinvoltura nell’acqua dei media. Siamo alla periferia di Napoli, due passi dalla stazione. Gino ha 22 anni, una passione per la kickboxing, un impiego da operaio. Indossa jeans corti, una maglietta stretta ai fianchi, gli addominali sono bene in vista. E pure il padre, Antonio, l’aspetto ultragiovanile, in pratica l’angelo custode incollato al suo ragazzo. Presentazioni: siamo, nientemeno, la stampa estera. Altrimenti, visto il cappio delle esclusive per l’Italia, la conversazione cadrebbe subito. Invece, quel riferimento internazionale accende la curiosità. Nel figlio e, soprattutto, nel genitore. È Antonio ad aprire subito, senza preamboli e senza nemmeno sapere chi siamo con precisione, la trattativa. Da bancarella, sia chiaro: «Ci accordiamo». Sì, ci accordiamo, faremo un’offerta. Il padre in verità ce l’ha un po’ con tutti, non dev’essere facile misurarsi con gli inconvenienti della pubblicità e della fama. «Hanno dipinto mio figlio come un mostro. Chi oggi in Italia non ha precedenti penali?». In effetti, qualcuno con la fedina penale immacolata in giro c’è ancora, il problema è che Gino ha una condanna a due anni e 6 mesi per rapina. Dettagli. Ora papà Antonio punta il dito in un’altra direzione: «Stanno cercando di screditare mio figlio. Noi mangiamo grazie a Berlusconi, mai e poi mai saremmo andati contro il premier». E allora, com’è andata questa storia con Repubblica? «Io ci ho una rabbia incredibile», spiega Gino, mentre si avvia in auto col padre verso I pellettieri di Napoli, dove lo aspettano le canoniche otto ore. Com’è andata? Non c’è tempo per chiarire. «Vediamoci senza problemi a casa nostra stasera», spiegano. «Ora dobbiamo lavorare». Scambio di cellulari. Saluti. All’ora di pranzo, ecco la telefonata. E la location cambia. Il nuovo appuntamento viene fissato per le 17 al ristorante «La scialuppa». In realtà, il ragazzo deve aver faticato meno di otto ore, perché ha avuto il tempo per fare anche altro: «Mi sono disegnato le sopracciglia», spiega mostrando fiero e felice il nuovo tatuaggio. Il cameriere porta quattro Crodini: per il giornalista, il fotografo, Gino e papà Antonio. Tranquilli, c’è pure lui, anche se il figlio ha passato da un pezzo il traguardo della maggiore età. Gino si fa serio e guarda negli occhi il cronista: «Hai visto il padre di Noemi prima di me?». «Sì e ha parlato bene di te». È sorpreso: «Già questo è uno scoop, perché mi ha sempre rinnegato. L’ha fatto perché sei la stampa estera». Figurarsi. Gino vuole spiegare quell’intervista a Repubblica: «Da Repubblica non ho preso soldi, per Novella è diverso». Diverso quanto? Papà Antonio cerca di spingere avanti la trattativa, come un’auto che non vuol ripartire: «Devi parlare direttamente con Gino». «Per Novella – riprende il ragazzo – non posso dirti a quanto ho chiuso perché così perderei la serietà. Non ve lo posso dire». Però può provare a spiegare l’altro capitolo: «Perché è successo tutto questo bordello. Repubblica mi ha preso con l’inganno. Io non sapevo che era Repubblica». Strano, perché Gino ha concesso anche un’intervista video. «Se mi pagate – va avanti il giovane – vi spiego perché ho dato quella videointervista. Hanno scritto cazzate, un sacco di cazzate. Non si sono presentati come Repubblica, hanno detto che erano stati mandati dalla famiglia di Noemi». Papà Antonio riassume in modo stringato: «Siamo stati presi per cretini. Dopo ci hanno detto chi erano. Abbiamo fatto una figura di merda». «Abbiamo fatto una figura di merda – conferma Gino –, altro che simbolo della sinistra. Se mi paghi ti dico perché ho fatto l’intervista in video». È arrivato il momento di stringere. Accordo o tanti saluti. Ma c’è anche l’atmosfera giusta per sfogarsi: «Mio figlio non ha mai avuto a che fare con i giornalisti. Non sa niente di politica, ci hanno preso in una situazione un po’ così». Sembra una staffetta, ora tocca ancora al giovane: «Mi hanno contattato un sacco di giornalisti, ora mi sono messo in mano a delle persone e anche prima di venire qua ho chiesto se potevo venire. Sei il primo, ho rifiutato tanti altri. Prima di venire qua ho chiesto». A chi? Vai a saperlo. Siamo al dunque. Papà Antonio ha voglia di chiudere: «Repubblica non ci ha dato un euro, ci ha portato il pesce a casa. Abbiamo fatto una cenetta in famiglia, con Novella è tutta un’altra storia. Ci hanno pagato le foto e il pacchetto». Un contratto? «No – risponde Gino –, devo fare una ricevuta. Ho scattato anche le foto con la mia nuova ragazza: Manuela. Ho fatto 18 pagine». Ma allora, l’esclusiva? «Non ti preoccupare», rassicura Gino. Ma ci sarà da firmare una ricevuta? «Basta che io ti firmo un foglio di carta... Dai, fammi un’offerta». Se no, niente intervista. Ce la mette tutta, Gino: «Parliamo da guaglione a guaglione, non mi chiedere quanto mi ha dato Novella». Più di diecimila? «Poco meno di diecimila». E adesso? La trattativa si sta arenando. Ora Gino sembra il Padrino: «Ci vuole rispetto e onore». «Dai – attacca papà Antonio – fammi un’offerta. Ci dai x e x. Quanto valgono su piazza le dichiarazioni dell’ex di Noemi?». È il mercato. Ma non ne vale la pena. Rifiuto. Saluti. E, per questa volta, titoli di coda. Ma Gino non si dà per vinto: «Quanto mi dai per il disturbo?». L’angelo custode si alza in piedi, allarga le braccia e recita il suo copione fino in fondo: «Discuti tutto con lui». Ma ormai c’è poco da aggiungere. Solo cinquecento euro. Gino conta le banconote, poi mette in tasca il malloppo. Noi paghiamo i quattro Crodini. «Salutami Noemi, ti chiedo un favore: puoi dire alla sua famiglia che non ce l’ho con loro. E mi dispiace per tutto quello che è successo». -
Un DHC-6 Twin Otter dalla Francia in Guyana, via Groenlandia
picpus ha pubblicato una discussione in News Aviazione
Eccovi il link al resoconto del volo di trasferimento del velivolo dell'"Armée de l'Air", dalla base di Mont-de-Marsan in Francia alla Guyana: http://secretdefense.blogs.liberation.fr/d...09/05/twin.html Cosa bisogna fare quando il territorio di una nazione è così esteso come quello della Francia!!! -
Liberissimo di saperlo meglio di me che qui sono nato, ci vivo da decine di anni ed ho lavorato nel settore pubblico fino all'altro ieri. Peraltro, basterebbe citare i nomi di due potentissime famiglie ex-DC e vedere dove sono andati a finire gli ultimi rampolli: Orlando e Mattarella [una dinastia: Bernardo (senior) di cui è preferibile non parlare molto, Piersanti ucciso dalla mafia, Sergio ed ora il nipotino Bernardo (junior), deputato regionale del PD].
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Ciò poteva valere PRIMA, ora, te lo assicuro, anche qui in Sicilia ed ancora prima del "ciclone" Brunetta (ora di più), sono di sinistra a stragrande maggioranza!!!
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1) Certo che i governanti di destra attaccano il bacino elettorale dell'opposizione: non fa proprio ciò (e fa bene, non perché il pubblico impiego sia il bacino elettorale dell'opposizione, ma perché se lo merita!), da un anno, Brunetta?! 2) Sicurissimo (d'altronde, il centro-destra in Sicilia, ha preso solo il 65% dei voti!!!)!!!