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Dave97

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  1. Stesura originalissima del grande Sergio Govi.
  2. E' questo il primo di una serie di quattro volumi sulla storia dei velivoli costruiti dalle officine "REGGIANE". La studio comprende la progettazione, la costruzione, le versioni, l'impiego bellico e la descrizione tecnica di ogni singolo velivolo. Le "REGGIANE", entrate nel 1936 nel Gruppo CAPRONI iniziarono la produzione aeronautica con la costruzione su licenza del trimotore S.79, per passare poi ai bimotori Pegna (P .32 bis e Procellarial e quindi ai monomotori delia serie RE (2000-2001, 2002 - 2003 - 2005 e 2006). Tutti i volumi sono corredati da un eccezionale ed abbondante serie di fotografie e disegni, per la maggior parte assolutamente inediti. Sergio Govi è nato a Reggio Emilia il 20 febbraio 1930. Dopo avere portato a compimento gli studi tecnici, entrava come disegnatore all'Ufficio Tecnico delle "Reggiane". Successivamente, passato ad altra Società, allargava le sue attività anche nel campo della grafica e della pubblicistica. Aeromodellista dal 1945 ha iniziato la sua collaborazione, con articoli e corrispondenze, con la rivista "L' Ala". Successivamente ha collaborato con altre pubblicazioni a carattere aeronautico e storico (Ali Nuove, Rassegna di Modellismo, Interconair Aviazione e Marina, Aerei, Le fanatique del'Aviation, Tempo, Reggio Storia, ecc.) ed ha fornito, per diversi volumi, notizie e fotografie riguardanti velivoli Reggiane di cui è considerato il maggior cultore (nel suo archivio fotografico, soltanto di aerei prodotti dalla ditta, sono registrate oltre duemila fotografie diverse). Membro del consiglio del GAR. (Gruppo Aviazione Reggiane), un associazione nata con lo scopo di portare a conoscenza la produzione della Ditta e di allestire un archivio disegni, fotografie e documenti relativi a tutti i velivoli prodotti.
  3. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    14 marzo 1941 14° volo sperimentale con partenza alle ore 17,15 e conclusione tragica con incidente mortale per il pilota. Il clima di euforia venutosi a creare nell'ambiente Reggiane, dopo che il Ministero, in seguito alle prove più che convincenti di Guidonia, aveva dimostrato un certo interesse per il velivolo, si arrestò improvvisamente. Scapinelli era molto conosciuto, è per i valorosi precedenti aeronautici è per il fatto di essere il collaudatore "reggiano" della Ditta. Sulla dinamica dell'incidente abbiamo chiesto all'amico Ballabeni, che allora lavorava al collaudo velivoli sul campo, di illustrarci dettagliatamente quanto è avvenuto: "Si trattava di un normale volo di prova, uno dei tanti. Tu che conosci il velivolo sai anche che, avendo i radiatori acqua disposti sotto le ali, fuori dalla scia dell'elica, si doveva cercare di evitare rullaggi troppo lunghi per non portare la temperatura a valori pericolosi. Quando infatti il velivolo atterrava lungo, veniva per prudenza fermato il motore e noi andavamo a rimorchiarlo col "Balilla", un piccolo trattorino che avevamo in dotazione sia nel tipo a ruote che in quello a cingoli. Era consuetudine allora atterrare sul prato perchè era più morbido della pista. Scapinelli venne all'atterraggio provenendo dalle Reggiane con direzione Rodano; tocco terra ma era lungo. In casi analoghi, per evitare quanto detto prima, ridava motore (l'aveva già fatto tante volte) e rifaceva l'atterraggio, oppure lo effettuava nell'altro senso, in modo comunque di arrivare vicino all'hangar prima che la mancanza del flusso d'aria facesse salire eccessivamente la temperatura dell'acqua. Anche quella volta, constatato che era arrivato troppo lungo, diede tutto gas staccando le mote da terra (e retraendo subito il carrello). Ma questa volta il motore si blocco all'improvviso, perchè il passo dell'elica si era portato al massimo. Probabilmente non aveva funzionato il cambio del passo che era elettrico e ancora in fase sperimentale oppure, ma ho molti dubbi, Scapinelli dimenticò in atterraggio di metterlo al minimo (si parlò a quel tempo addirittura di sabotaggio all'impianto elettrico) con il risultato dell'arresto del motore, caso paragonabile alla pretesa di voler partire a tutto gas con una automobile che abbia la quarta marcia innestata. Il velivolo ha fatto in tempo a saltare il Rodano per poi ricadere a terra con un atterraggio sui ventre nel prato successivo. Scapinelli effettuò la manovra in modo perfetto riuscendo anche a dirigere l'apparecchio tra due salici a basso fusto, con l'evidente intento di fermarsi urtandovi contro con le ali. Tutto si svolse come previsto ma nell'urto, effettuato evidentemente a notevole velocità, la fusoliera venne strappata per proseguire ancora per qualche metro. A quel tempo le bretelle che fissano il pilota al seggiolino non avevano ancora il gancio in alto per il suo bloccaggio in atterraggio, non dimentichiamo che si trattava di un prototipo in cui molte cose erano ancora sperimentali e da definire, e quindi nell'urto il corpo del pilota venne proiettato con violenza in avanti ruotando sul bacino che era trattenuto dalle bretelle stesse. Io ero con Casali ed altri nell'hangar collaudo, situato vicino alla ferrovia e, dopo aver assistito impotenti alla caduta di Scapinelli, prendemmo il motofurgone per correre subito sul luogo dell'incidente. Appena arrivato ho aperto il tettuccio (l'apertura avveniva dall'interno, mentre dall'esterno si doveva ricorrere ad una chiave a due punte perchè ancora non era stata montata la maniglia che avranno poi i velivoli di serie) e ho capito subito che per il povero Scapinelli c'era ben poco da fare. Infilandomi nella fusoliera rovesciata lo liberai dalle cinghie della pedaliera in cui gli si era incastrato un piede e subito dopo lo caricammo sull'autoambulanza che nel frattempo era giunta sul posto. Lo accompagnammo all'ospedale senza che riprendesse conoscenza. I risultati dell'inchiesta, documentati anche dalle fotografie dello strumento indicante il passo dell'elica, che un'apparecchiatura alle spalle del pilota riprendeva automaticamente, portarono all'incriminazione della ditta Alfa Romeo e al pagamento di una grossa penale. Il Caccia RE 2001 Sergio Govi Continua.....
  4. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    I voli del secondo prototipo iniziano il 18 dicembre 1940, con un primo volo officina di 25 minuti a cui fanno seguito altre prove di messa a punto del velivolo, pilotato sempre da Pietro Scapinelli. 2° volo - 21 dicembre con durata di 15'; 3° volo - stessa giornata e durata ancora di 15'; 4° e 5° volo il giorno 24 dicembre sempre con durata di 15'. Dopo questi cinque voli troviamo, sui libro voli del Conte Scapinelli, una lunga pausa dovuta prima al maltempo (in una relazione di fine anno si legge infatti: - A causa del persistente maltempo il secondo velivolo RE 2001 non ha potuto proseguire i voli di prova) e poi, quando ormai era pronto per il trasferimento a Guidonia, per un incidente in atterraggio, dovuto principalmente al terreno troppo molle, che comporterà la sostituzione dell’ìntero gruppo propulsore. Fortunatamente nessun danno al pilota e pochissimi quelli al velivolo, tanto che dal 24 dicembre 1940, data del 5° volo al giorno della ripresa dei voli passeranno soltanto una cinquantina di giorni. Chi era ai comandi al momento dell'incidente? Senz'altro non Scapinelli dato che sui libro voli non è indicato nulla, ma un pilota militare di cui non siamo a conoscenza del nome. "Infatti come avvenne anche per il primo prototipo (sono brani tratti dalle relazioni mensili dalla Ditta) anche questo velivolo, pur non essendo stato ancora consegnato ufficialmente alla R.A., veniva sottoposto a voli da parte di piloti militari con esito completamente soddisfacente".
  5. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    Esplodeva intanto il problema dei serbatoi incorporati nell 'ala stagna che il Ministero non accettò per il RE 2000 e, quando nei primi mesi del 1940 il prototipo del RE 2001 (MM 409) fu quasi pronto, venne ordinata la costruzione di un secondo prototipo con ala a tre longheroni e serbatoi indipendenti e una serie di strutture da sottoporre a prove statiche. Fu riconfermata invece l'ordinazione dei RE 2000, in attesa di effettuare le prove col nuovo prototipo e decidere eventualmente se trasformare questo ordine in commessa di altrettanti RE 2001. Verso la fine del giugno 1940, il primo prototipo del velivolo usci dal Reparto Sperimentale, dove era stato costruito sotto la responsabilità tecnica e progettistica dell'Ing. Roberto Longhi che si avvalse della collaborazione di una equipe di tecnici veramente molto valida. I primi voli furono infatti effettuati da Mario De Bernardi, mentre a Pietro Scapinelli il velivolo venne consegnato alla fine di luglio , come risulta chiaramente dal suo libretto di volo. A convalidare il mese di giugno come data di inizio dei primi voli c'e la conferma diretta dello stesso De Bernardi,oltre c'è anche una relazione dell'Azienda datata 30 giugno 1940. Durante le prove vennero apportate modifiche alla capottatura motore, furono introdotte anche nuove aperture di raffreddamento e una diversa configurazione della copertura del radiatore olio. L'armamento consisteva ancora nelle due solite armi da 12,7 in fusoliera che, benchè già montate, non avevano, sulla capottatura, le rispettive aperture per l'uscita dei proiettili. Tutte le prove, comprese quelle di Guidonia, vennero effettuate con questa sistemazione. Mentre sul campo il prototipo effettuava le prove di volo all'interno della Ditta venivano completate, con esito soddisfacente, le prove statiche dell'ala seguite poi da quelle relative alla fusoliera ed ai comandi. Nel corso delle prove effettuate il velivolo presentò una velocità di km/h 563 a 5500 metri e 540 a 4500 metri e, addirittura, una manovrabilità migliore di quella già eccellente del RE 2000. Questa velocità non verrà mai raggiunta da velivoli di serie, dotati di motori DB 601 costruiti in Italia su licenza che, per l'impiego di materiali meno pregiati, risulteranno meno brillanti dei motori originali. Le prove soddisfano le autorità competenti e il Direttore delle costruzioni e degli approvvigionamenti, quanto il Capo dell'Ispettorato Tecnico della R.A., confermano la conversione dell'ordine di 200 RE 2000, tenuto in sospeso, in altrettanti RE 2001, autorizzandone la loro costruzione in serie; l'ordine regolare verrà però inoltrato alla Ditta qualche giorno dopo. Un primo mutamento sul numero degli aerei ordinati si registra il13 gennaio 1941, quando il Ministero eleva da 50 a 100 gli aerei che dovranno essere costruiti dalla Caproni di Predappio, portando cosi a seicento il numero totale dei 2001 in commessa. Si tratta di un sostanzioso quantitativo, che ripaga le Reggiane della bocciatura italiana del RE 2000 ed entusiasma dirigenti e maestranze che vedono coronate da successo le loro fatiche. Il primo prototipo, pur non essendo ancora stato ufficialmente consegnato alla R.A., continua le prove di volo a Guidonia alla guida dei piloti del Centro. I risultati sono sempre soddisfacenti. Contemporaneamente presso le Reggiane è stata approntata la nuova ala a tre longheroni e, mentre il secondo prototipo in costruzione l'avrà già in dotazione, si provvederà a montarla anche sul primo esemplare non appena rientrerà da Guidonia. Nello stesso tempo vengono apportate al velivolo altre lievi modifiche ancora alla capottatura motore mentre, su richiesta dello Stato Maggiore, si provvede alla sostituzione della parte posteriore della cabina di pilotaggio che, da vetrata, diventa solida, e cosi verrà fatto per i RE 2000 GA e catapultabili e per tutti i modelli successivi ad eccezione per il primo prototipo del RE 2002 che, a quel tempo, era in fase di completamento allo Sperimentale. In novembre esce il secondo prototipo del RE 2001 a serbatoi indipendenti, contrassegnato stranamente con la MM 408 già assegnata al prototipo del RE 2000. Per realizzare la nuova struttura alare si è dovuto ridurre il numero di longheroni da cinque a tre, è stato necessario ricavare ampi ed inusitati vani per l'alloggiamento dei serbatoi e rendere smontabile il fasciame ventrale.
  6. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    Giugno 1939. Il prototipo del caccia RE 2000 stava compiendo il necessario ciclo di prove per la messa a punto in attesa di essere trasferito a Guidonia per le prove ufficiali, dal cui esito dipendevano eventuali commesse su cui le Reggiane poneva no molta fiducia. Nello stesso periodo, in qualche ambiente della Regia Aeronautica, si ventilava l'idea di far montare sulla cellula del RE 2000 un motore raffreddato ad acqua, di fabbricazione tedesca, in sostituzione del motore a stella Piaggio. Con quel motore, il Daimler Benz DB 601, si contava di ottenere un incremento della velocità del velivolo, che avrebbe avuto una prua più appuntita e quindi aerodinamicamente più valida. Il DB 601 risultava inoltre più potente del P XI italiano. Questa idea non entusiasmò naturalmente l'ambiente delle Reggiane, che vedeva annullati in partenza tutti gli sforzi già effettuati per allestire le attrezzature per la costruzione del RE 2000 con motore stellare. Se la proposta fosse diventata ufficiale, ci sarebbe stato un rallentamento nelle attività aeronautiche della Ditta per la mancata costruzione in serie del modello già approntato, con conseguente notevole perdita di denaro dovendo appunto la Ditta allestire nuove attrezzature dopo avere effettuato nuovi studio Il 20 luglio successivo ecco invece arrivare ufficialmente dal Ministero la commessa per il prototipo del caccia con motore lineare. Le Reggiane si misero subito al lavoro per la progettazione del nuovo velivolo, che si sarebbe chiamato RE 2001 -Falco II. Questo nome non sarà mai ufficiale ma indicava un logico riferimento al Falco I - nome pure non ufficiale - assegnato al RE 2000. Infatti, in seguito, il RE 2001 assumerà definitivamente il nome di Ariete 1. Alla richiesta del Ministero, seguì subito un sollecito, da parte delle Reggiane, di un esemplare di motore o almeno di una serie di disegni sufficientemente quotati. Il motore arrivò in Ditta in agosto, mentre erano già in corso le modifiche da apportare ai disegni del RE 2000 per adeguarlo al nuovo gruppo motopropulsore. Subito dopo si diede inizio alla costruzione del simulacro in legno della nuova fusoliera, che verrà completata verso la fine dell'anno, mentre invariata rimarrà l'ala a cinque longheroni con serbatoi incorporati (soluzione che costituiva il motivo della bocciatura del RE 2000) ma con aggiunta di due radiatori subalari necessari al raffreddamento del motore. Invariati rimarranno pure i piani di coda (sul simulacro in legno vennero infatti montati piani di coda metallici presi dalla costruzione del RE 2000) e il carrello retrattile di progettazione dell'lng. Vardanega. Quella che invece risulterà completamente rivoluzionata sarà la fusoliera che, per sfruttare le dimensioni frontali minori del motore lineare, avrà una sezione più stretta con conseguente alleggerimento delle strutture . Ne conseguirà una linea più affinata, in cui la parte anteriore dovrà risultare adeguata al nuovo sistema di forze trasmesse al castello motore. Nuovo risulterà anche il tettuccio che, a parte le dimensioni, rimarrà strutturalmente uguale a quello del predecessore. Oltre alle Reggiane, anche altre Ditte riproposero i loro caccia col nuovo motore in linea. L'ing. Castoldi della Macchi costruì il Macchi C.202 che volò per la prima volta il 10 agosto 1940 pilotato da Carestiato. L'ing. Gabrielli modificò il suo G.50 trasformandolo in G.50 V ma si presentò troppo tardi (primo volo effettuato dal Ten. Col. Guerra il 25 agosto 1941), quando gli altri concorrenti erano già in fase di produzione e di imminente consegna ai Reparti. Un altro velivolo di questa categoria venne presentato dalla Caproni Vizzola, su progetto di Riparbelli che continuava l'opera di Fabrizi: l'F 4. Il progetto di quel velivolo risaliva al 1938, esso avrebbe dovuto montare un motore Isotta Fraschini Asso da 960 CV, in seguito però il progetto fu sospeso per la precedenza accordata all'F.5 con motore stellare. L'F.4 volò nel luglio 1940 pilotato da Agello, ma rimase allo stadio di prototipo.
  7. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    Nessuna Sfida!! Non è una competizione, scrivere qualcosa sui nostri aerei! eppoi, se blue vuole sfidarmi, deve prima prendere il brevetto di Volo EDIT: A scanso si equivoci, stavo parlando di duello aereo
  8. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    Descrizione Tecnica Monoplano ad ala bassa, monomotore, monoposto con fusoliera in durallurninio con struttura a guscio costituita da 13 ordinate in lamiera e fasciame irrigidito da correntini a « Z» continui dall'ordinata 5 alla 13 e intercostali fra le ordinate 1 e 4. Alla sommità delle ordinate 4 e 5, dietro il posto pilota, è applicato un castelletto per la protezione del pilota in caso di capottata, anteriormente al quale è imbullonata la corazza salvatesta in acciaio. La cabina pilota è coperta da un portello ribaltabile lateralmente e munito di cristalli scorrevoli. Il seggiolino del pilota è costituito da una corazza d'acciaio recante l'alloggiamento per il paracadute e gli attacchi per le bretelle. E’ regolabile verticalmente e orizzontalmente mediante comando oleodinamico. L'ala è a pianta ellittica con profilo convesso asimmetrico decrescente verso l’estremità. La struttura a guscio è complemente in duralluminio costituita da longheroni uniti fra di loro per mezzo di centine e con fasciame rinforzato sul dorso da lamiera ondulata e sul ventre da correntini. L'ala è suddivisa in 5 parti: - piano centrale con struttura a tre longheroni che permette l'alloggiamento nella parte centrale di due serbatoi benzina e, nelle parti laterali, gli alloggiamenti delle ruote del carrello; - due semiali, con ricavati, fra il 3° e il 4° longherone i vani per l'alloggiamento parziale del radiatore acqua; - due raccordi di estremità recanti i fanalini di via. Gli alettoni, posti all'estremità dell'ala, hanno struttura in duralluminio rivestiti in tela. L'alettone sinistro è munito di aletta regolabile a terra. Gli ipersostentatori sono del tipo a spacco e si estendono da un alettone all'altro anche sotto la fusoliera. Sono suddivisi in 4 tratti, 2 interni sui piano centrale e due interni sulle semiali. L'attacco del motore alla fusoliera è costituito da 2 longherine forgiate in duralluminio, recanti nelle estremità superiori gli occhielli per i tamponi elastici; superiormente sono fissate alla fusoliera mediante attacchi sferici in acciaio, e inferiormente da due puntoni in acciaio al cromo. Gli impennaggi sono a sbalzo e comprendono: il piano fisso costruito in due metà indipendenti, con struttura a due longheroni e rivestimento in duralluminio e la deriva con struttura analoga al piano fisso. Il timone di direzione, come quello di profondità, in duralluminio con rivestimento in tela. Sia il timone di profondità che quello di direrezione sono muniti di alette di regolazione comandabili in volo. Il carrello è retrattile ed è costituito da due gambe controventate posteriormente, portanti la ruota di sbalzo dalla parte esterna. Il rientro avviene per rotazione delle gambe verso dietro e contemporanea rotazione delle gambe stesse sul proprio asse. Il comando normale di rientro del carrello è elettrico; esiste inoltre un comando di soccorso a leva. Il ruotino di coda è fisso. Il comando del gas è costituito da una manetta irreversibile, recante sulla impugnatura stessa un pulsantino che permette una ulteriore corsa della leva stessa per il comando del + 100. L'avviamento normale è elettrico, mentre quello di sicurezza è a manovella. La benzina è contenuta in tre serbatoi indipendenti, dei quali due sono installati negli appositi vani del piano centrale e uno nella parte superiore della fusoliera dietro il seggiolino del pilota. La capacità è di 280 litri per il serbatoio alare anteriore, 200 litri per il posteriore e 77 litri per quello di fusoliera. Tutti i serbatoi sono "semapizzati". L'acqua è contenuta in un serbatoio posto anteriormente al motore e i radiatori sono installati nella parte ventrale posteriore delle semiali. Il comando dei parzializzatori avviene mediante impianto oleodinamico. Il serbatoio dell'olio (30 litri) è installato anteriormente al piano centrale. Il parzializzatore del radiatore è comandato mediante impianto oleodinamico. Il velivolo è dotato dell'impianto estintore d'incendio del tipo Silma. Tutti gli strumenti di navigazione e per il controllo del motore sono riuniti in due cruscotti posti anteriormente al pilota. L'impianto inalatore d'ossigeno alta quota è installato a destra del pilota. Vi è inoltre un impianto oleodinamico principale tipo Magnaghi che alimenta i vari impianti secondari. L'armamento è costituito da due mitragliatrici Breda SAFAT 12,7 mm (con 350 colpi ciascuna) sincronizzate per il tiro attraverso il disco dell'elica, e da due mitragliatrici Breda SAFAT cal. 7,7 (con 600 colpi) poste nelle semiali con tiro esterno all'elica. Frontalmente al pilota è montato il collimatore S. Giorgio a riflessione e un mirino fisso a collimazione libera. L'aeroplano è dotato di un completo impianto radio ricevente e trasmittente con R.G., alimentato dalla batteria di bordo. Giorgio Apostolo Ali D’italia
  9. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    Dopo l'8 settembre 1943, quando l'Aeronautica italiana si spaccò in due, alcuni esemplari rimasero al Nord e incorporati nell'aviazione della R.S.l. Qui svolsi un nuovo incarico; quello di velivolo da addestramento e collegamento. Per gli altri esemplari passati al Sud si presentavano altre novità: montarono sotto la fusoliera dei contenitori e mi mandarono, scortato da caccia rimasti tali, a rifornire i partigiani in Jugoslavia e inoltre venni impiegato anche per l'assalto. Dopo la guerra tre esemplari vennero trasferiti sul campo di Venezia dove ancora per un po' di tempo svolsi compiti metereologici. Dopo di allora la fine. Ma torniamo alla guerra. Nel 1941 vennero a trovarmi a Reggio i ragazzi del 2° Gruppo caccia che avevano combattuto in Africa settentrionale con i G.50 e che si dimostrarono ben lieti di fare la mia conoscenza, ero decisamente migliore sotto tutti i punti di vista. Cercai di non deluderli e infatti ogni volta che ritoccavo terra allungavo l'orecchio per ascoltare i loro commenti. Tutti erano soddisfacenti anche se in pratica la loro esperienza portò ad effettuare ancora qualche lieve modifica. Dopo ciò potevo considerarmi perfetto. Ricordo questi cari ragazzi e, almeno dei primi, ho ben presente anche il nome: Baylon, De Prato, Teja, Sterzi, Larese, Venturini, Merati, Gasperoni, Caracciolo, Cazzolli, Metellini, ecc. Terminata la messa a punto il Gruppo venne inviato in zona operazioni; il Mediterraneo centrale. Ricevetti il battesimo del fuoco il giorno 10 maggio 1942 sul cielo di Malta e da quel giorno svolsi il mio dovere per tutto il ciclo delle battaglie sino al rientro in suolo metropolitano per essere impiegato come caccia notturno con base a Sarzana. Durante tutto questo periodo mi scontrai più volte con aerei nemici e posso dire che sempre mi sono difeso con onore. Ho collaborato anche nella ricerca di naufraghi e alla scorta di bombardieri e siluranti. Ho avuto come basi, campi della Sicilia, della Sardegna e Pantelleria. Ho riportato a casa piloti anche danneggiato in più parti e solo quando mi era veramente impossibile ho abbassato bandiera. Oltre al 2° Gruppo (150a, 152a e 358a Squadriglia) ho prestato servizio presso altri reparti: 22° Gruppo (359a, 362a e 369a Squadriglia) e i Gruppi 160°, 60°, 59°, 167°, 21° e 101°. Li ho ricordati tutti? Lo spero. Quando Galimberti e Vaccari progettarono di lanciare bombe contro le fiancate delle navi nemiche si ricorse a me, e questo mi fece veramente piacere, come il velivolo più adatto a questa impresa. Caduto Galimberti le prove vennero continuate dal Vaccari, da Robone e Petrucco. I primi due parteciparono poi alla prima e unica azione contro la portaerei Victorious, azione che, non certamente per colpa mia, non diede i risultati sperati (infatti i proiettili colpirono la fiancata della nave penetrandovi ma senza scoppiare). Nel 1942 divenni anche un divo del cinema. L'Istituto Nazionale Luce decise di girare un documentario di propaganda aeronautica e scelse proprio me come primo attore. Vennero alle Reggiane e chi l'ha visto ricordenà certamente la mia catena di montaggio preceduta da immagini delle varie parti componenti il velivolo, il loro assemblaggio, poi l'uscita dall'hangar trascinato da un trattorino, la messa in moto e il decollo, i passaggi a volo radente sul campo sino all' atterraggio finale. Era un bel documentario in cui facevo una gran bella figura; era un film tutto per me: un «Recital» vero e proprio. Come ho detto all'inizio di me oggi non è rimasto nulla. Per fortuna vi sono, oltre al citato film, anche numerose immagini fotografiche. Le nuove generazioni e soprattutto i piloti, i miei piloti mi riguarderanno di tanto in tanto come un amico scomparso per sempre. Testo molto originale Sergio Govi Le Macchine e la Storia , 1975
  10. Dave97

    RE 2001 - Falco II

    Mi chiamo RE.2001 e in vita ero un buon cacciatore. C'e chi mi ha impiegato anche per altri scopi: dal ricognitore al caccia-bombardiere, dal trasporto di contenitori al servizio metereologico, al lancio di bombe speciali o di silurotti. Un pò un tutto fare insomma, ma la mia vera vocazione era quella del cacciatore. Sono il secondo di una famiglia di sei fratelli e forse, senza falsa modestia, il più noto. Prima di me era nato il RE.2000 che ebbe più fortuna all'estero che in Italia: una specie di emigrante. Io invece, no; sono sempre rimasto fedele ai colori nazionali anche se la Svezia mi richiese in un centinaio di esemplari. Oggi di me non esiste più nulla; nessuna mia parte è rimasta per ricordare ai giovani quello che sono stato. In questo i miei fratelli, maggiori o minori, sono stati più fortunati. Presso il Museo Caproni a Vizzola ci sono relitti di 2000, 2002 e 2005 ma di me nulla. Pazienza. Sono nato nel lontano 1939 nelle Officine Reggiane di Reggio Emilia e vanto anche un ramo di nobiltà essendo la ditta a quel tempo inserita nel gruppo del Conte Caproni. Rispetto ai miei coetanei non ho un solo padre, ma una «equipe» di tecnici che sotto la supervisione e il coordinamento di «papà» Longhi mi ha concepito e felicemente dato alla luce. Ne ricordo i principali e mi fa piacere citarli: Maraschini, Pozzi, Vardanega e Pambianchi. Il motivo della mia nascita è semplice: dare all'ltalia un nuovo caccia che fosse all'altezza dei tempi e allineato come caratteristiche alla produzione estera. Nel luglio 1940 ebbi il battesimo del volo. Dopo qualche giretto di campo per sciogliere i muscoli eccomi in cielo guidato amorevolmente dal mio padrino: il Conte Scapinelli. Ci fu bisogno di qualche modifica; era impensabile che un nuovo nato fosse già perfetto alla sua prima uscita. Ma furono modifiche di poco conto: mi ritoccarono la presa d'aria sotto al motore e cambiai leggermente la fisionomia del muso. Oggi si direbbe che mi hanno fatto la « plastica». Avevo l'ala stagna come mio fratello, quell'ala che tante discussioni aveva sollevato e che ufficialmente fu la causa della sua bocciatura, almeno in un primo tempo, presso la nostra Aeronautica militare. Avevo anche la parte posteriore della cabina completamente vetrata, sempre come mio fratello, ma nel secondo prototipo si passò alla versione solida mentre per l'ala me ne montarono una di nuovo tipo con serbatoi del carburante di tipo normale. Il primo prototipo prese intanto il volo per Guidonia dove venne sottoposto a tutta una serie di prove con risultati soddisfacenti mentre al secondo prototipo, sul campo della Ditta, capito un brutto incidente. Un difetto al passo variabile dall'elica si risolse tragicamente per il pilota, il buon Scapinelli, che andò a schiantarsi contro alcuni alberi ai bordi del campo. Lo Stato Maggiore dell' Aeronautica decise di adottarmi e si iniziarono subito a predisporre le attrezzature per la mia costruzione in serie. Per guadagnare tempo i primi dieci esemplari della serie «zero» vennero costruiti presso il Reparto Sperimentale dove ero nato. Le difficoltà di approvvigionamento dei materiali e in special modo dell'unità motrice portarono a rallentamenti nel ritmo di produzione. Di mezzo ci si metteva anche il Ministero con continui cambiamenti di commessa riguardanti modifiche da apportarmi per adattarmi ai più svariati impieghi. Mi installarono ganci ventrali e alari per bombe; mi modificarono il ruotino di coda, alzandolo, per installarmi un silurotto; mi montarono una speciale bomba ad aria liquida (ricorderete quella foto scattatami a Furbara durante la presentazione di nuove armi e in cui non sono venuto poi tanto bene); mi fornirono di gancio di arresto in coda con l'intenzione di farmi decollare anche da future navi portaerei (in realtà poi queste navi non furono mai completate e quindi mi limitai a effettuare solamente prove a terra). In seguito poi mi installarono anche due contenitori per macchine fotografiche sul bordo d'entrata dell'ala e mi impiegarono come ricognitore. E ora parliamo un attimo delle mie qualità; ero un buon incassatore, robusto e molto maneggevole; forse un po' meno veloce del mio collega Mc.202 ma in compenso avevo un'autonomia maggiore e una velocità di atterraggio minore. Per quanto riguarda l'armamento nacqui con le solite due mitragliatrici Breda SAFAT da 12,7 in fusoliera ma ben presto protestai e pretesi qualcosa in più. Ed eccomi accontentato con l'aggiunta di due SAFAT da 7,7. Il munizionamento comprendeva 700 colpi per le 12,7 e 1.200 per le 7,7. In un secondo tempo, per l'impiego come caccia notturno mi installarono due cannoncini Mauser da 20 sotto le ali in sostituzione delle due armi da 7,7. Ci persi un poco in velocità, a causa dell'aumento di peso, ma in compenso ne guadagnai in potenza di fuoco.
  11. Eh vabbe!! mi sono sfuggite mi auto punisco!!! L'importante è che abbiate apprezzato il testo di un libro che , secondo me, è l'essenza della passione del volo. direi quasi Contagioso! Eppoi, volevo vedere se qualcuno se ne accorgeva EDIT: Aggiungo Le racconta semplicemente alla Chuck Yeager...... Ha la fortuna di chiamarsi così!
  12. Dave97

    Battute

    Questa l’ho sentita oggi, di rientro da una gita. I giornali inventano la metà di quello che dicono, se aggiungiamo che non scrivono la metà di quel che succede.. ne consegue che i giornali non esistono! PS: Non ho verificato se era già presente!
  13. Qualunque cosa succedesse, pensavo di stare meglio dei collaudatori britannici che avevano tentato i voli supersonici con le picchiate al massimo regime. Se fosse successo qualcosa, addio! specie in un aeroplano senza coda come «The Swallow». Tutti i miei tentativi sarebbero stati compiuti in salita, la potenza del motore al massimo; cosi, se sorgeva un problema, potevo rallentare rapidamente. Ma il problema col motore a razzo era il propellente volatile. Impiegando le quattro camere, il propellente mi durava solo due minuti e mezzo; durava cinque minuti con due camere di combustione e dieci con una. Ogni minuto salivamo più leggeri e veloci, sicchè quando superavamo i 13.500 metri eravamo al massimo della velocità. Chi avrebbe deciso la velocità massima di ogni singolo volo? Va bene che era un programma di ricerche dell'aeronautica, ma i diciassette ingegneri e tecnici del NACA si servivano della loro esperienza per il controllo di quelle missioni. Erano loro ad avere esperienza di gallerie del vento ad alta velocità, ed erano loro a fare i calcoli sulla base dei dati raccolti con i voli dell'X-1; quindi cercavano di imporci la velocità che volevano. Ridley, Frost e io volevamo andare più veloci. Quelli raccomandavano un dato numero di Mach; noi tre ci riunivamo e decidevamo se seguire o no il loro consiglio. Erano cosi prudenti che mi ci sarebbero voluti sei mesi per arrivare al muro del suono. Volevo, si, essere prudente, ma anche portare a termine il lavoro. Il colonnello Boyd condivideva la prudenza del NACA, che si traduceva in un aumento di velocità di soli due centesimi di Mach a ogni volo. Una volta volai con Hoover per andare a trovare il vecchio e vedere se potevo convincerlo ad accelerare il programma. Ci incontrammo di sera in casa sua, ma Bob prese a raccontare perchè fosse stato costretto a compiere un atterraggio di fortuna con un P-80. Capivo che il vecchio non si beveva le spiegazioni di Bob: le sue sopracciglia spesse continuavano a inarcarsi mentre Hoover parlava e parlava, emozionandosi al punto da sputare un dente incapsulato in grembo al colonnello Boyd. Decisi di dire la mia un'altra volta. Cosi continuai i voli con piccoli incrementi di velocità. Il 5 ottobre compii il mio sesto volo a motore e per la prima volta, mentre raggiungevo Mach 0,86, sperimentai scuotimenti da onde d'urto. Mi sembrava di guidare con ammortizzatori scarichi su una strada dissestata. L'ala destra improvvisamente si fece pesante e cominciò ad abbassarsi e, quando cercai di correggere, i controlli mi sembrarono rallentati. Portai la velocità a Mach 0,88 per vedere che cosa succedesse. Vidi l'alettone vibrare per le onde d'urto e solo con uno sforzo potei mantenere l'ala livellata. L'X-1 era stato costruito con un piano di coda alto per evitare la turbolenza dell'aria dietro le ali; il piano di coda era anche più sottile delle ali, affinchè le onde d'urto non si formassero simultaneamente su entrambe le superfici. Fin qui le onde d'urto e gli scotimenti potevano essere controllati, e poichè l'aereo era stato rinforzato per poter reggere fino a diciotto G, non ebbi mai il timore che le scosse lo facessero cadere a pezzi. Inoltre io volavo solo due volte la settimana, per dare al NACA il tempo di tradurre in termini matematici tutti i dati di volo e di analizzarli. Speciali sensori individuavano i punti esatti di ogni parte della cabina dove si manifestavano le onde d'urto. I dati raccolti rivelavano che l'aereo stava funzionando esattamente secondo i piani dei progettisti. Ma al volo immediatamente successivo ci trovammo nei guai. Stavo volando a Mach 0,94 a quota 12.000 metri e avvertivo i consueti scotimenti; tirai indietro il volantino e, Cristo, non successe niente! L'aereo continuava a volare con lo stesso assetto e nella stessa direzione. Era come se i cavi si fossero spezzati. Non capivo che cosa diavolo stesse succedendo. Spensi il motore e decelerai. Gettai il propellente e atterrai con la certezza di aver compiuto l'ultimo volo sull'X-1. Volando a Mach 0,94, avevo perso il controllo sul piano verticale. Chuck Yeager Vivere per Volare
  14. Hans Ulrich Rudel, nato nel 1916 a Seiferdau nella Slesia e figlio di un pastore protestante, si arruolò nell Luftwaffe quando aveva vent'anni. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, entra quasi subito in azione, ed in poco tempo si afferma come uno dei piloti più spericolati degli apparecchi da picchiata tedeschi Stuka. Verrà poi riconosciuto come il più esperto di quanti, munito il loro aereo di un’apposito cannoncino , si specializzarono nella caccia ai carri armati sugli stuka suicidi, così chiamati perché pur di colpire pilota l’obiettivo mobile dovevano sfiorare il suolo,sfidando non solo la reazione della contraerea ma il fuoco di qualsiasi arma da terra. Nell'ultima guerra, nessuno , ha compiuto, tante missioni quante Rudel, ne ha distrutto tanti carri armati. Continua a volare dopo essere stato ferito, e anche quando fù necessario amputargli una gamba. Tra i più decorati assi della storia. Il suo, cominciando dai critici inglesi, è stato riconosciuto come•uno dei più avvincenti libri di guerra.
  15. Dave97

    World War II Aces

    Hans Ulrich Rudel Dall’Ombrello allo Stuka Nel 1924 ho otto anni e vivo con la mia famiglia nella casa parrocchiale di Seiferdau, in Slesia, dove mio padre è pastore protestante. Una domenica, il babbo e la mamma vanno ad assistere ad una «giornata dell'ala» all'aeroporto di Schweidnitz, e vi conducono le mie sorelle. Io devo rimanere a casa. E’ facile immaginare la mia disperazione e poi, al loro ritorno, il fuoco di fila delle mie domande. Le bambine mi raccontano quanto hanno visto; ma quel che mi colpisce è la descrizione di un uomo che,- attaccato ad un paracadute, s'e lasciato cadere da un aeroplano giungendo a terra sana e salvo. Le costringo a disegnarmi il paracadute, poi riesco a farmi cucire da mia madre, con gli scampoli, una piccola calotta. Vi attacco sotto un sassolino e quando, dopo averlo lanciato in aria, lo vedo discendere lentamente, sono il bambino più felice di questo mondo. Da quel momento, penso soltanto al paracadute, a come posso usarlo: questo «grave» problema mi toglie sonno e appetito. La domenica seguente, i genitori mi lasciano ancora solo in casa. Agguanto un ombrello e, tenendolo stretto nel pugno, salgo a due a due i gradini fino al primo piano, per fermarmi poi, tutto affannato davanti ad una finestra. A gran fatica, mi rizzo in piedi sul davanzale con l'ombrello aperto e, senza esitare, prima che mi colga la paura, mi raccomando a Dio e salto di sotto. Un grosse cespuglio attenua la mia caduta, ma provo un grande spavento: tutto il corpo mi duole e per di più mi trovo con una gamba rotta. L'ombrello non ha resistito al «volo»: s'e rovesciato, lasciandomi cadere senza pietà. Dall'avventura nasce tuttavia una vocazione irresistibile: voglio volare, voglio divenire aviatore a qualunque costo. Vado matto per le motociclette: con due assi e qualche cavalletto costruisco un trampolino rudimentale, poi inforco la mia vecchia motocicletta ed imbocco le tavole a tutto gas; dopo un salto di due o tre metri riprendo contatto con il suolo e, con una virata brutale che solleva la polvere, torno al punto di partenza per ricominciare. Mia madre trema di paura; mio padre mi tratta da apprendista saltimbanco, e la loro scontentezza viene aggravata dalla deplorevole constatazione che i miei compiti scolastici soffrono di questa attività. Mia sorella maggiore studia medicina e mio padre non può quindi pagarmi l'istruzione lunga e costosa per divenire pilota civile; Ma ad un tratto, quando nessuno se lo aspetta il governo tedesco decreta la creazione della Luftwaffe e subito il Ministero dell' Aeronautica apre il reclutamento dei volontari per costituire un corpo di ufficiali. Il concorso per l'ammissione è difficile per quel cattivo scolaro che io sono,tuttavia voglio tentare e la fortuna certamente mi aiuta, perchè, nell'agosto del 1936, vengo invitato a presentarmi alla Scuola di Guerra di Wildpark-Werder il primo dicembre dello stesso anno. Dapprima, la nostra istruzione è uguale a quella di tutte le reclute, con la differenza, tuttavia, che il programma è tanto accelerato che in capo a sei mesi diveniamo fantaccini perfettamente addestrati. Quanto ai velivoli, li vediamo soltanto dal suolo; spesso seguiamo con nostalgia le loro evoluzioni rapidissime stando coricati pancia a terra nel fango gelido del campo di manovra. Ma, oltre ai corsi propriamente detti, l'esistenza non è tutta rosea; ci viene raccomandato (il che vuol dire « comandato ») di non bere, di non fumare, di consacrare tutte le ore libere allo sport. Nonostante questa austerità ufficiale la mia «mania» di non bere che latte suscita tra i compagni commenti sfavorevoli. Al secondo semestre siamo trasferiti e …. finalmente si vola. I pazienti istruttori si sforzano di svelarci i principi ed i segreti del pilotaggio ed io svolazzo, giorno per giorno, a doppio comando, intorno al nostro campo d'aviazione. Dopo sessanta esercitazioni vengo giudicato capace di volare da solo: sono tra gli allievi di media capacità. Contemporaneamente seguiamo i corsi tecnici e completiamo la nostra istruzione militare. Alla fine del semestre riceviamo il brevetto di pilota. La terza ed ultima parte del programma è molto più monotona: si vola raramente, ma si fatica dalla mattina alla sera nella tattica dei combattimenti aerei e terrestri, l'armamento, le comunicazioni e così via. Mano mano che si avvicina l'esame di fine corso, una specie di febbre s'impadronisce di tutti noi: sempre più impazienti, ci domandiamo a quali specialità verremo destinati. Mentre assistiamo, ad alcune esercitazioni, viene annunciato l'arrivo, del tutto inaspettato, di Goering: il Maresciallo chiacchiera familiarmente con noi e chiede se nel nostro gruppo vi siano volontari per le nuove squadriglie di Stuka, reparti appena costituiti, al quale manca ancora un certo numero di ufficiali giovani. Rifletto rapidamente: «Vorrei pilotare un caccia, ma dovrò certamente contentarmi di un velivolo da bombardamento; molto meglio essere volontario negli Sluka! » I bombardieri, pesanti e poco maneggevoli, non mi attirano: alzo la mano e l'aiutante di volo del Maresciallo mi segna sulla lista. Qualche giorno dopo arrivano le destinazioni: quasi tutto il corso è destinato ... alla caccia. Sono avvilito, ma non c'e più niente da fare: diverrò pilota di uno Stuka !!! Il Pilota di Ferro Hans Ulrich Rudel
  16. La squadra del NACA mi riteneva un selvaggio. Dick Frost mi diede una solenne lavata di capo per quel tonneau lento. Persino Jack Ridley scosse la testa dicendo: «Tutti quelli che ti stavano a guardare sapevano benissimo che non era Slick a fare tutto quel casino. Va bene, figliolo, ti sei sfogato, ma ora devi rigare dritto ». Il colonnello Boyd mi mandò una girata delle sue: «Risponda per iscritto per quali motivi ha superato Mach 0,82 violando i miei ordini diretti ». Chiesi a Ridley di scrivere lui la risposta. «Sciocchezze », disse. «Tu l'hai combinata e tu la spieghi. » La mia risposta fu: «L'aeroplano era in condizioni talmente buone e volava cosi bene che mi sono sentito sicuro di poter superare leggermente la velocità prestabilita senza problemi. La violazione dei suoi ordini diretti è stata causata dallo state d'eccitazione del sottoscritto e non si ripeterà ». Pochi giorni dopo il vecchio mi mando a chiamare. « Per Dio, mi aspetto che tu esegua a puntino il programma e faccia quello che ci si aspetta da te. Non diventare zelante e vanitoso. Vuoi rovinare il primo programma di ricerche dell'aeronautica? » « Signorno! » « Bene, e allora ubbidisci alle nostre dannate regole. » Da allora in poi lo feci. Ma con quel primo volo a motore volli far vedere a coloro che consideravano destinato a fallire il tentativo di volare più veloce del suono. Il mio messaggio era: «Mettetevelo la dove non brilla il sole ». L'aver superato Mach 0,85 provocò l'arresto momentaneo del programma perchè ci aveva portato oltre i limiti di quanto si conoscesse allora dell'aerodinamica ad alte velocità. Le gallerie del vento potevano misurare solo fino a 0,85 Mach e, come Walt Williams del NACA si affrettò a spiegarmi: «D'ora in poi, Chuck, volerai nel regno dell'ignoto ». Chuck Yeager Vivere per Volare
  17. Mezz'ora fa abbiamo rullato fino alla pista di decollo sull'aereo-madre. Per evitare rischi di incidenti con tutto quel propellente volatile, tengono chiusa la base finche non saremo al sicuro in aria. Questo è l'unico riconoscimento della nostra esistenza da parte del comandante della base. Non s'interessano ai nostri voli perchè in pratica nessuno a Muroc crede nelle nostre probabilità di successo. Quei bastardi credono di aver fatto bene i conti. Chiamano i nostri voli « la vendetta di Slick Goodlin », convinti come sono che lui si sia messo in salvo e abbia rinunciato per rivendicare un compenso più alto. Manca un minuto allo sgancio. Ridley mi trasmette l'ordine stando seduto sul seggiolino del secondo pilota sull'aereo-madre. Ci troviamo a 7500 metri quando il B-29 abbassa il muso e comincia la sua leggera picchiata. Il maggiore Cardenas, il pilota, comincia il conto alla rovescia da dieci. Crrrrack. Il rilascio del « grille » portabombe ti fa saltare sul seggiolino e mentre plani fuori dal buio del portellone il sole e un'esplosione di luce. Stai vedendo il cielo. Errore! Avrebbero dovuto sganciarti in posizione orizzontale. La velocità di picchiata era troppo bassa e ti hanno sganciato col muso in alto, in posizione di stallo. Strizzi gli occhi per recuperare la vista, combatti contro lo stallo col volantino, precipitando in basso come un ascensore col cavo rotto. Pesi 1350 chili più che nei voli planati. Il muso si abbassa e cominci ad acquistare velocità. Passi in volo livellato a circa trecento metri sotto l'aereo-madre e sfiori la levetta d'accensione dei razzi. E' il momento della verita: se devi saltare in aria, potrebbe essere la volta buona. Accendi la prima camera di combustione. Spiaccicato all'indietro contro lo schienale, senti un tremendo calcio in culo. Alza in alto la prua e tieni duro. Non si sente quasi alcun rumore, avverti soltanto la respirazione nella maschera d'ossigeno . Stai correndo più veloce del suono che è dietro di te e ,per la prima volta in un aereo a motore , puoi sentire l’aria che pulsa contro il parabrezza, mentre quel puntino che è il P-80 della scorta alta di Hoover diventa sempre più grande. Lo sorpassi come se fosse fermo e lui poi riferirà di aver visto onde d'urto a foggia di diamante schizzare dall'ugello in fiamme del tuo aereo. Sali più veloce di quanto avresti mai pensato,.sfruttando una sola delle quattro camere di combustione del razzi, la spegni e ne accendi un'altra. Stai andando a 0,7 Mach; la potenza di questo bestione è spaventosa. Non hai mai provato un tale senso della velocità puntando alto in direzione del cielo. A 13.500 metri di altezza la dove il mattino somiglia all'inizio del crepuscolo, accendi l'ultima delle quattro camere. Dio, che volo! E ti resta ancora quasi la meta del propellente. Sino a questo momento hai seguito alla lettera il piano dl volo: hai acceso solo una camera per volta, per registrare accuratamente le pressioni delle camere. Se ne usi due o più, sono troppe da controllare, se le accendi tutte e quattro, puoi accelerare troppo rapidamente, puoi essere costretto ad alzare il muse per rallentare e trovarti in uno stallo d'alta velocità. Ora il piano di volo esige che tu espella il propellente restant e plani sino all'atterraggio. Ma hai gli occhi fuori dalle orbite, sei emozionato sino alla punta del capelli e il « cavaliere del cielo » prevale sul prudente pilota collaudatore. Fottitene! Sei lassù nella parte scura del cielo nella più favolosa macchina che sia mai stata costruita e non hai proprio voglia di tornare a casa. Ii momento impone un bel tonneau lento e abbassi un’ala , tirando un paio di « G » finchè ti ritrovi appeso a testa in giù a zero G e il motore si spegne. Non appena l'X-1 si raddrizza, i razzi si riaccedono. Bravo scemo! A zero G il propellente non può alimentare il motore e avresti potuto esplodere. Per questa volta l'X-1 è stato clemente. Sai che cosa si aspettano che tu faccia, ma sai anche che cosa farai. Spegni il motore, ma invece di gettare il propellente rimasto, fai un tonneau e punti in picchiata sulla base aerea dl Muroc. Piombiamo giù, pesanti come il piombo, con l'ago che segna 0.8 Mach, una picchiata planata più veloce di quella di molti aviogetti a pieno regime. Stai pensando: «Facciamo vedere a quel bastardi il vero X -1 ». Sotto i tremila metri comincia la zona di pericolo, il limite per scaricare il propellente con sufficiente tempo di manovra per compiere un atterraggio sicuro. Ma siamo sotto i 1500 metri, allineati con la pista principale di Muroc. E siamo ancora in picchiata. Passiamo fischiando sopra la pista, a soli cento metri da terra, finche ci troviamo all'altezza della torre di controllo. Un colpetto alla levetta d'accensione e le quattro camere soffiano fuori una fiammata lunga dieci metri. Cristo, la botta quasi ti ributta indietro fino alla settimana scorsa. Il muso dell'aereo è puntato verso l'alto cosi dritto che non riesci a vedere il cielo blu attraverso il parabrezza. Non siamo più un aereo, ma un razzo spaziale. Non stai volando, stai aggrappandoti alla coda della tigre. In perpendicolare, stai andando a 0,75 Mach! In un minuto il propellente è esaurito. Ora sei a 10.500 metri, alla velocita di 0,85 Mach. Sei cosi eccitato, spaventato ed emozionato che non riesci a spiccicare parola sino al giorno dopo. Gli altri, invece, ne dissero fiumi.
  18. 1° Volo a Motore Tremando dal freddo, batti le mani per scaldarle e ti allacci la maschera dell'ossigeno dentro l'aereo più gelato su cui tu abbia mai volato. Il freddo ti entra nelle ossa, sprigionato da centinaia di litri di ossigeno liquido - abbreviazione: LOX - chiusi nel serbatoio dietro di te, alla temperatura di 145 gradi centigradi sotto zero. Non c'e riscaldamento ne sbrinatore del parabrezza; devi solo battere i denti per i prossimi quindici minuti, cioè finchè non atterri e ti senti addosso il meraviglioso sole torrido del deserto. Ma il freddo ti ruba energia; e come cercare di lavorare e di concentrarsi dentro una cella frigorifera. Quel freddo però ti consentirà di compiere il più grande volo della tua vita. Guardi l'X-1 mentre fa il suo pasto delle sette in una nube vorticosa di vapori, vedi il ghiaccio formarsi sotto la sua pancia arancione. E’ una visione magica: stai portando 2300 litri di LOX e alcol che possono farti saltare in aria appena abbassi la levetta d'accensione per poi sparpagliare i tuoi pezzi su diverse regioni. Ma se tutto va bene, la bestia divorerà una tonnellata di propellente al minuto. Chiunque abbia un cervello si chiede che diavolo stai facendo in quella situazione, legato dentro una bomba innescata che sta per essere sganciata, appunto, da un vano bombe. Ma il rischio è il pepe della vita e questi sono i momenti per cui vive un pilota collaudatore. Senti qualcosa nello stomaco, ma inghiotti la paura come se fosse una tavoletta energetica. Ti tiene sveglio e concentrato. Accetti il rischio perchè fa parte di ogni nuova sfida: è compreso nel prezzo. Così impari tutto quello che puoi circa l'aereo e gli strumenti di bordo, cominci con le corse sulla pista e poi con i voli planati, ti prepari a ogni emergenza, finche le probabilità avverse sembrano minori. L'X-1 ti piace; è un buon aereo, ma è anche una macchina sperimentale e tu sei un ricercatore in un volo di prova. Sai che puoi essere spazzato via dall'imprevisto, ma puoi contare sulla tua esperienza, sulla concentrazione, sull'istinto per cavartela. E sulla fortuna. Senza fortuna ... Non puoi vedere te stesso mentre voli, ma sai quando ti trovi sincronizzato con la macchina, a tal punto in sintonia con gli strumenti e i comandi che la tua mente e la tua mano diventano il cuore del suo sistema operativo. Quell'aeroplano puoi farlo parlare e, come un buon cavallo, sa quando è affidato a un esperto. E tu sai in quali situazioni puoi cavartela. E puoi sbagliarti una volta soltanto. Sorridi quando leggi sul giornale che qualche pilota su un aereo in avaria è riuscito a manovrare tanto da evitare una scuola prima di sfracellarsi a terra. Palle. Nelle situazioni d'emergenza il pilota pensa a una cosa sola: sopravvivere. Combatti per sopravvivere fino alla fine, fino a terra, non pensi a nient'altro. La tua capacità di concentrazione è inchiodata alla prossima cosa da fare. Per radio non dici niente e non sai neppure che laggiu c'e una scuola. E’ proprio cosi. Ci sono almeno una dozzina di maniere diverse con cui l'X-1 può farti fuori, così concentri tutta la tua attenzione sulle procedure di controllo pre-volo. Pompi la giusta pressione di azoto nei collettori; e il sangue della tua vita perchè l'azoto fa muovere tutti i sistemi interni nonchè gli aerofreni e il carrello d'atterraggio. E’ tutto in ordine.
  19. Mi infilavo il casco e la maschera a ossigeno, collegandomi poi agli apparati di trasmissione in modo da poter comunicare con l'aereo-madre e con i due velivoli di scorta Shooting Star che soltanto in quel momento stavano decollando da Muroc. Dick Frost fungeva da scorta vicina e aderiva a me durante lo sgancio perchè conosceva perfettamente i sistemi. Hoover fungeva da scorta alta. Nei voli a motore si piazzava sedici chilometri più avanti, a 12.000 metri, per darmi un punto di riferimento. Dopo che avevo acceso i razzi, lo superavo sibilando in pochi secondi, ma lui cercava il più a lungo possibile di non perdermi di vista per potermi scortare quando scendevo in planata per l'atterraggio sul lago prosciugato. In questa prima missione stavo ancora spuntando la lista dei controlli prevolo quando quel maledetto Hoover mi passò accanto rombando, così vicino che lo scarico del suo reattore quasi mi sganciava dal B-29. Cristo, ero la appeso a dondolare e beccheggiare, spaventato a morte. « Hoover, bastardo », dissi proprio incazzato. « Se questa coso fosse armato ti farei volare via il culo dal cielo. » Il vecchio Bob fece una risata: « Vieni a prendermi ». Bene, in quel primo volo planato non ci provai. Ma al terzo, quando lo vidi virare per venirmi addosso, diressi anch'io verso di lui e simulammo un combattimento fino a bassissima quota, proprio come a Wright, solo che stavolta per poco non mandavo in stallo quel maledetto X-1 per stare in coda a Bob. Gente, l'adrenalina scorreva a fiumi mentre sedevo in quella carlinga, aspettando di venire sganciato per la prima volta. Il pavimento della carlinga era in salita, verso il muso dell'aereo, così io stavo seduto sul mio paracadute a cuscino il più eretto possibile per vedere fuori. Il parabrezza di plexiglas consentiva una visibilità ridotta durante gli atterraggi poichè, per eliminare la resistenza dell'aria, era la continuazione rasa della fusoliera. Schiacciato li dentro, avevo le ginocchia più alte delle spalle, e i piedi appoggiati sulla pedaliera del timone. Pilotavo mediante un volantino foggiato a forma di « H » su cui erano montate le levette d'accensione dei razzi e degli strumenti principali. Non avevo bisogno di spostare le mani nei momenti critici, il che spiega come mai, più tardi, riuscii a pilotare con le costole rotte. « Tutto a posto, Yeager? » domandò Ridley. « Ci puoi scommettere », rispondo, « al lavoro! » Alla quota prevista, Cardenas cominciò una leggera picchiata e fece partire il conto alla rovescia da dieci. Dentro l'X-1, mi tengo forte, afferrandomi le spalle con le braccia. « ... due, uno. » Uno schiocco secco, come di un cavo che si spezzi, e uno scossone che mi sollevò dal sedile e mi fece tendere con le spalle gli spallacci di sicurezza. L'X-1 era in caduta libera. La vivida luce del giorno mi acceca. Batto le palpebre rapidamente, con gli occhi feriti dopo i lunghi minuti passati al buio pesto del vano bombe. Muovo il volantino e senza neppure pensarci eseguo un paio di bei tonneau lenti. Larry Bell aveva ragione: l'X-1 plana come un uccello. Sto volando nel silenzio totale, e avverto soltanto il suono del mio respiro attraverso la maschera d'ossigeno; l'aereo è elegante, docile e bellissimo da pilotare. E una favolosa cavalcata che vorrei non finisse mai, ma meno di tre minuti dopo comincio a virare a 1500 metri sopra il lago prosciugato e, con Bob Hoover a fianco, abbasso il carrello a quattrocento chilometri orari e mi allineo col lago prosciugato Rogers, che si stende davanti a me fin all'orizzonte. Gli atterraggi sui letti dei laghi possono essere molto difficili; non c'erano segnali a terra in quei giorni e, senza esperienze precedenti, la capacita del pilota di calcolare le distanze veniva messa a dura prova in quello spazio così esteso; era come atterrare su un oceano piatto. Ma io avevo preso terra su quei laghi prosciugati sin dal 1945. Passo sibilando, tardando il più possibile a posare le ruote, finchè atterro a trecento chilometri orari. Quando mi estraggo dall'aereo ho dipinto in faccia un sorriso smagliante: « il più bell'aeroplano che abbia mai pilotato », dico a Dick Frost. Sono pronto a rifare il pieno e a tentare il muro del suono quello stesso pomeriggio. Nel secondo volo planato, l'aereo è così maneggevole che lo lascio pilotarsi da solo e Frost resta allibito quando, dall'aereo di scorta, mi vede alzare le braccia gridando: « Guarda, non uso le mani ». Durante il volo planato finale, il giorno dopo, inseguo Hoover giù fino al lago prosciugato, in un finto combattimento spietato, dato che ho un aereo più leggero e maneggevole del suo. Ora siamo pronti per i voli da « adulto »: bisogna riempirlo di propellente e decollare come un proiettile verso la parte buia del cielo. Ci occorreva una settimana per preparare l'X-1 e pianificare il nostro primo volo a motore. Il colonnello Boyd arriva da Wright per conferire con noi. « Andateci piano», raccomanda, « non ritardate il programma per eccesso di fretta. Cercate di capire bene come si comporta l'aereo. » Ridley e io ne avevamo già parlato ed eravamo d'accordo che, poichè Goodlin aveva portato l'X-1 fino a 0,8 Mach, ci saremmo posti come primo traguardo 0,82 Mach. Il vecchio approvò. «Va bene», disse, «vi lasceremo guadagnare venticinque-trenta chilometri orari in più ogni volo,ma non oltre. » Era ringalluzzito dalla mia capacità di domare quel bestione color arancione e di piegarlo al mio volere. Ero certo che l'X-1 non mi avrebbe mai giocato brutti scherzi senza darmi un leale prevviso. E avevo ragione per quarnto riguardava il pilotaggio, ma mi sbagliavo quanto ad altri problemi inaspettati che mi avrebbero procurato non pochi incubi notturni. Chuck Yeager Vivere per volare
  20. Dave97

    RE 2005 - Sagittario

    L'argomento "Reggiane 2007", come previsto, sta diventando scottante e presso la nostra redazione si succedono lettere di appassionati e tecnici che parteciparono ai fatti. E' ora la volta di una profonda e documentata precisazione, quella dell'ing. Roberto G. Longhi attualmente direttore tecnico centrale di un'importante società americana e membro dell' American Institute of Aeronau tics and Astronautics": Era mia intenzione scriverle verso i primi di marzo riguardo alla lettera del Com. De Prato sul Re.2007 e da lei pubblicata in febbraio, ma purtroppo fui costretto a partire per l'Europa per conto della Rockwell Inl. e tomai in America a fine marzo. Il 25 aprile ritomai in Europa per conto della General Electric e al mio ritorno, pochi giorni fa, trovai una lettera del Conte Caproni contenente un articoletto sul 2007 firmato da Nino Arena e pubblicato sul numero di maggio di JP4. Le prime informazioni sui motori a reazione tedeschi le ebbi dall'amico ing. Roberto Amadi direttore dei servizi tecnici per il DB 601, costruito a Milano dall'Alfa Romeo. Amadi mi racconta che nel gennaio 1942 era stato fatto entrare per errore in un capannone in un aeroporto vicino a Berlino dove era in prova un velivolo a reazione in preparazione per il volo e che appena i tedeschi se ne accorsero, non solo lo fecero allontanare di corsa ma lo accompagnarono al comando dell'aeroporto dove dovette giurare il silenzio più assoluto. Più tardi, parlando con l'ing.Haug, capo dei servizi della Daimler Benz in Italia col quale mi incontravo settimanalmente nel mio ufficio di Reggio, capii che anche la D-B stava preparando un reattore. Fra le informazioni di Amadi e un po' di quelle di Haug intravvidi un motore con diametro fra gli 800 ed i 1.000 mm. con una lunghezza di oltre 1.500 mm. Approssimativamente nel gennaio '43 il maggiore Antonio Ferri venne a Reggio per discutere con me la possibilità di installare un motore FIAT nella fusoliera del 2005 e precisamente dietro al pilota azionante un compressore più o meno sul tipo Campini per aumentare la quota di ristabilimento del motore DB 605 con una velocità del velivolo calcolata in 750 Km/h ad oltre ottomila metri di quota. Il progetto approvato dallo Stato Maggiore con tutta priorità, venne denominato "Progetto R." ed in fusoliera era contemplalo anche il montaggio di un tubo lungo fino alla coda per scaricare i gas ad alta temperatura ottenendo così un'ulteriore spinta reattiva. Tutti i miei intimi collaboratori erano al corrente della mia opposizione a questo progetto in quanto il peso del motore FIAT, più il compressore più il lungo tubo, avrebbero portato il baricentro del velivolo al 30% e forse oltre, valore assolutamente inaccettabile. Il magg. Ferri sosteneva invece che al momenta quella era la soluzione migliore in quanto i tedeschi non avevano alcuna intenzione di collaborare in questo campo e tanto meno di fornirci motori a reazione. Da quanto sopra è evidente che non bisognava essere dei Leonardo da Vinci per pensare all'installazione di un motore a reazione nella fusoliera di un velivolo Reggiane appositamente disegnalo sempre che si potessero avere informazioni sul motore, prima, e poi il motore stesso. Ora il problema stava sia nella nostra abilità che in quella del Conte Caproni di riuscire ad ottenere un motore dai tedeschi. l'amico ing. Alessio ci provò ma senza risultati e nel gennaio '44 scrissi al Conte Caproni colla speranza di migliore riuscita; Tale missiva venne consegnala a mano al Conte in Via Durini 24 da Fausto Violi, e negli archivi Caproni ne esiste tutt’ora una copia mentre la mia è andata persa per un allagamento della mia casa in America. Il Cap. Bohm, ufficiale di sorveglianza tedesco presso la Reggiane, e buon amico, dietro mia richiesta fece venire a Correggio due alti ufficiali dalla Germania ad ispezionare il Re.2006 appunto per cominciare la difficile e segreta richiesta di reattori. La sera stessa dopo la visita al velivolo il Cap. Bohm portò a cena nella mia casa di Sesso i due ufficiali i quali dopo svariate bottiglie di Lambrusco a contorno di un'ottima cena mi promisero che si sarebbero interessati per i due reattori al loro ritorno in Germania sempre mantenendo la riserva della non ufficialità della richiesta unita al massimo riserbo. Subilo dopo l'armistizio io fui trasferito d'autorità alla direzione tecnica di Taliedo in quanto la nuova direzione della Reggiane aveva deciso la dissoluzione del ramo aeronaulico Reggiane; quindi andavo sovente a Milano in Via Durini per discutere con l'ing. Fargion i nuovi programmi ed il trasferimenlo pure a Milano dei miei migliori tecnici oltre alla ricerca di abitazioni per tutti. A Milano mi trovavo sempre con Alessio, Piccardi, Violi ed altri in un caffè in Via Durini perchè si pensava di fondare la "TRANSAEREA ITALIANA" e rimpiazzare la LAI adoperando prima il 2006P trasformato per portare posta e passeggeri e poi il grande trasporto che avevamo disegnalo a Clanezzo per i voli a lunga distanza. Fu appunto in questo caffè che si presentarono a me un maresciallo dell'aeronautica italiana ed un sottufficiale tedesco offrendomi i due motori Jumo ancora in carico all'aeroporlo di Udine per la cifra di due milioni di lire. Aggiunsero che i motori erano assegnati ad un velivolo Reggiane ma che con l'armistizio tedesco tutto era andato in aria e che quindi chi pagava poteva avere i motori. Con Piccardi andai subito dall'ing. Fargion per ottenere la somma richiesta, purtroppo due o tre giorni passarono ed i motori furono acquistati dall'ing. Ambrosini. Questi sono i fatti reali. Nell'agosto 1945 fui chiamato a Milano presso il Comando G-2 Alleato per combinare che una macchina del comando alleato mi venisse a prendere a Reggio per portarmi a Roma al Comando Centrale G-2, presso la sede della Banca Nazionale del Lavoro di Roma, in quanto gli alleati volevano avere da me notizie sull'aeronautica italiana. Fui a Roma per ben tre giomi e li ebbi occasione di vedere per la prima volta la foto di un 'esplosione atomica. Durante i diversi incontri con alti ufficiali dovetti spiegare in dettaglio la situazione dei velivoli Reggiane, cosa ne sapevo dei due motori Jumo e tutte le informazioni inerenti agli studi Reggiane da loro ritenuti i più avanzati tecnicamente e dai discorsi capii il perchè del bombardamento degli stabilimenti della Ditta. Erano cosi informati da conoscere perfino il progetto del Re.2006C inteso per le corse in America dei trofei Thompson e Bendix e addirittura che il pilota doveva essere il Rag. Riccardo Vaccari di Reggio famoso per l'attacco col 2001 alla portaerei inglese. Da questi lunghi incontri capii che l'aviazione italiana era almeno per il momento finita e, su invito americano, nella prima metà del 1946 tornai in America con tutta la famiglia. Come mai il De Prato si è messo ora a fare il paladino delle Reggiane e non l’ha fatto dal '46 a tutto il '65 quando tutti dicevano che i Re erano cassoni e brutte copie americane? Risposta pubblicata su Jp4, novembre 1976
  21. Non feci una colazione abbondante la mattina di quel primo volo. Ero uscito presto per vedere i meccanici che agganciavano l'X-1 sotto il B-29, spingendolo dentro un fosso a croce e trainandoci sopra il bombardiere. Quindi l'X-1 era stato sollevato e agganciato con un « grillo » al vano bombe del B-29. Sarei rimasto sul B-29 finche non avessimo raggiunto la quota prevista, poi sarei sceso lungo una scala a pioli per entrare nell'X-1. Ridley avrebbe abbassato lo sportello della carlinga, che io avrei bloccato, per poi sedermi sul seggiolino in attesa di venire sganciato come una maledetta bomba. La carlinga era pressurizzata con azoto puro, che non è infiammabile, e io ero continuamente costretto a respirare ossigeno al cento per cento. Non c'era sistema di riserva per la respirazione dell'ossigeno; così si lavorava a quei tempi. Molte volte ti capitava una maschera che perdeva e atterravi intontito. C'era una sola batteria per far funzionare la radio, le valvole del propellente, la strumentazione e il sistema di telemetria. Niente batteria di riserva. La procedura di sgancio dell'X-1 non mutò mai, dal primo volo planato fino all'ultimo a motore. Una volta che a terra tutto era stato sistemato, io mettevo il mio casco nella carlinga perchè non volevo portarlo in mano mentre scendevo la scaletta. I primi caschi di materiale duro dovevano ancora essere costruiti, così io ricavai il mio dalla sommità di un casco da carrista della seconda guerra mondiale, che s'adattava come una calotta al mio cranio, e sistemai quattro cinghie e un bottone automatico al mio casco di cuoio da pilota, che era stato adattato alla cupoletta. Poi mi portavo il paracadute a bordo dell'aereo-madre. Mi sedevo su una cassa di mele dietro il maggiore Bob Cardenas, il pilota, e Ridley, il secondo, e rullavamo e decollavamo. Cardenas continuava a salire a distanza di volo planato dal lago Rogers. Il piano di volo prevedeva una salita sino a 7500 metri, seguita da un volo orizzontale di circa sessanta chilometri in modo da acquistare velocità pur rimanendo sempre a distanza di volo planato dal lago prosciugato. Poi abbassavo il muso dell'aereo in una picchiata di venti gradi finche raggiungeva i 390 chilometri orari strumentali. Era previsto che se fossi stato sganciato a bassa velocità a causa di uno stallo, avrei avuto il tempo di accendere i motori a razzo, almeno finche ero al di sopra dei tremila metri. Così a 3600 metri mi dirigevo verso quella scaletta, seguito da Ridley. Infilarmi nell'X-1 non mi rendeva molto felice. La scaletta era sulla destra del vano bombe di fronte al portello d'ingresso sulla destra dell'X-1. Il vento delle quattro eliche del bombardiere era assordante e la temperatura un bel po' sotto lo zero. Indossavo una tuta di volo, ma niente guanti, in modo da poter afferrare i pioli. Dovevo premere sulla scaletta per tenerla abbassata nonostante la corrente d'aria. C'era un pannello metallico che proteggeva dal vento, ma era piuttosto primitivo e quella corrente bastarda ti toglieva il fiato e ti intirizziva fino alle ossa. Scivolavo dentro l'X-1 con i piedi in avanti, indossando un paracadute a cuscino, utile soprattutto per sedercisi sopra, dato che, una volta entrato, l'unico modo per uscirne era fare un buon atterraggio. Con quelle ali sottili a soli due metri dietro la porta, saltare non aveva senso. Una volta arrivato dentro sano e salvo, l'equipaggio dell'aereomadre abbassava con una puleggia il portello fino a Jack, che mi seguiva lungo la scaletta. Jack teneva il portello a posto mentre io lo bloccavo dall'interno. Era buio come la notte in quella carlinga, all'ombra del B-29.
  22. L'aeroplano fu ufficialmente denominato X-S-1. La « S » fu tolta circa tre anni dopo. «X» stava per sperimentale, ricerca. «S» per supersonico, e il numero 1 si riferiva al fatto che era il primo contratto dell'aeronautica per un aeroplano sperimentale destinato a condurre ricerche sull'alta velocità ad alta quota. Avrei volato più in alto (circa 13.500 metri) e piùveloce di qualsiasi altro pilota militare. I medici dell'aeronautica decisero che Hoover e io saremmo stati esemplari perfetti su cui condurre gli esperimenti per conoscere i limiti della resistenza umana sotto il massimo peso gravitazionale e alle massime quote. Hoover e io fummo i primi piloti « da ricerca» dell'aviazione e fummo pertanto esposti a tutte le torture che più tardi avrebbero subito gli astronauti. L'X-1 era stato riportato alla Bell nello Stato di New York per essere dotato di una nuova coda. Durante quella primavera del 1947, fui legato dentro centrifughe , chiuso in camere di collaudo di quota con diversi tipi di tute. Era come inoltrarsi nell'ignoto. Fu un'esperienza tremenda. Hoover e io indossavamo primitive tute pressurizzate, che ci rendevano simili a palombari, e venivamo rinchiusi in camere a tenuta stagna. «Loro» rompevano il diaframma sulla porta e in due decimi di secondo ci trovammo a 21.000 metri. Le carte svolazzavano intorno a noi e il finestrino s'appannava. La prima volta si dimenticarono di collegare la bombola d'ossigeno alla tuta pressurizzata di Hoover, tanto che non poteva nè inspirare nè espirare nè comunicare e la sua faccia dentro il casco diventò paonazza. Ci portarono a 31.500 metri di altezza, il che equivaleva al massimo di aria che potevano pompare via da quelle camere, poi quasi ci ammazzarono nelle centrifughe. Era terribile! Bob disse: « Preferirei stare seduto in quel maledetto X-1 a far andare il motore a razzo che subire queste prove anche se l'aereo dovesse scoppiare e spararci nel cielo ». Ero d'accordo con lui. Ero intimidito da quella bestia arancione, ma Jack mi confortò anche in questo. Disse: «Cazzate, Chuck. Tu fai rapidamente amicizia con ogni nuovo aereo che piloti. Dopo un paio di voli sull'X-1, te ne sarai innamorato. Non ti morderà senza prima avvertirti ». Sapeva di che cosa stava parlando. Cera un altro pilota che lo sapeva, per aver già volato venti volte sull'X-1. Slick Goodlin era ancora nei paraggi e Pancho Barnes, che gestiva il bar ristorante Fly Inn sul bordo del lago prosciugato Rogers, combinò una cena per Hoover, me e Slick affinchè quest'ultimo ci desse consigli circa il pilotaggio dell'X-1. Mangiammo una bistecca e dopo un paio di bicchieri, dissi: « Speravo che mi potessi dire qualcosa sul pilotaggio di quel cornuto ». Slick rispose che sarebbe stato ben lieto di istruirmi sull'X-1 non appena l'aeronautica gli avesse firmato un contratto da mille dollari. Gli risposi: «Bene, Slick, se sei riuscito a pilotarlo tu, penso proprio di riuscirci anch'io ». I primi voli sarebbero stati compiuti senza motore, per familiarizzarci con l'aereo, ed erano previsti per la meta d'agosto. Sarei stato sganciato a 7500 metri di quota dall'aereo-madre B-29, senza carburante, e avrei veleggiato fino ad atterrare sul lago prosciugato. In quel modo avrei potuto « sentire » l'aereo e il suo modo di reagire ai comandi, nonchè addestrarmi all'atterraggio senza motore, previsto anche per i voli a motore, perchè si scaricava il carburante rimasto e si atterrava come con un aliante. Dovevamo fare a quel modo perchè il fragile carrello d'atterragio non avrebbe retto al peso di un aereo che portasse anche il carburante. D'altronde, era anche più sicuro. Il carburante dell'X-1 era instabile.
  23. Ero frastornato! L'incarico non era ancora mio e anche Ridley e Hoover erano stati chiamati dal colonnell Boyd, cosicche l'unica cosa che sapevamo era che tutti e tre eravamo in gara. La cosa ci sorprendeva, perchè eravamo tre dei piloti collaudatori meno anziani di Wright. Prima di mostrarci l'aereo, gli ingegneri della Bell ci portarono nei laboratori. I quattro razzi dell'X-1 erano alimentati a ossigeno liquido e alcol, e il laboratorio sembrava uscito da un film dell'orrore,con tutti i suoi grandi alambicchi fumanti. L'ossigeno liquido era alquanto freddino, qualcosa come 145 gradi centigradi sotto zero, e affinchè risultasse ben chiaro, presero con le pinze una rana, la intinsero nell'alambicco e poi la lasciarono cadere sui pavimento. La rana si frantumò in cinque pezzi. Larry Bell era un grande incantatore. Era un uomo che si era fatto da se, pazzo per l'aviazione da sempre e quando finì di spiegarci la bellezza del suo bestione color arancio, eravamo pronti a credere che l' X-1 sarebbe stato capace di aprirsi le porte del paradiso e ritornarne coperto di piume d'angelo. Parecchio di quello che i suoi ingegneri ci dissero mi entrò in un orecchio e mi uscì dall'altro; non così da quello di Ridley. Stava li a prendere appunti come il primo della classe. Tuttavia ne capii abbastanza. Era rassicurante apprendere che l'aereo era stato costruito per resistere a sforzi di diciotto G, ossia diciotto volte la forza di gravità. Ma le ali sottili erano affilate come rasoi per ridurre al minimo le onde d'urto, cosicchè, se dovevi lanciarti, l'unico modo era passare attraverso una portiera laterale che ti metteva giusto in posizione per essere affettato a meta. Pigiate dentro, dal muso sino alla coda di quel piccolo aereo, c'erano una dozzina di bombole d'ossigeno che lo rendevano una bomba volante. E con l'X-1 non si decollava, ma si veniva sganciati proprio come una bomba dal velivolo-madre, un B-29, da 7500 metri, ciò che dava al pilota il tempo di espellere il carburante e di planare a motore spento per l'atterraggio su un lago asciutto se qualcosa non funzionava. « Senza il peso del carburante, è maneggevole come un uccello », ci spiegò Larry Bell. «Un uccello vivo o morto? » domandò Hoover. Più tardi entrammo in un hangar aperto su un lato, per dare un'occhiata da vicino all'X-1, che era incatenato a terra. Entrai nella carlinga e mi invitarono ad accendere i motori. Si poteva accenderne solo uno alla volta. Mossi una levetta e, mio Dio, un dardo infuocato schizzò per sei metri fuori dal portello posteriore. Mi tappai le orecchie per proteggere l'udito contro il più forte rumore prodotto dall'uomo che si sia mai sentito sulla terra. Mossi un'altra levetta e quel maledetto aereo comincio a tirare le catene; l'hangar tremava e ci piovvero addosso polvere e calcinacci. Il rumore era tale che mi sembrava che gli occhi stessero per scoppiare. Hoover e io reagimmo alla paura ridendo, ma non avevamo il passo molto fermo quando lasciammo l'hangar. Gli dissi: « Socio, non so se a te fa lo stesso effetto, ma quel figlio di pu@@@na mi spaventa da morire ». Rispose che era un dannato mostro ma Ridley era di parere diverso. Inalberò un sorriso da ingegnere e durante il viaggio di ritorno a Wright disse «Dio onnipotente quanta forza bruta in quell'apparecchio! Quei ragazzi della Belli l'hanno .calcolata bene. Il muro del suono non ha nemmeno una possibilità di bloccarlo ». Poi, per i due non laureati che aveva con se a bordo, tradusse in parole semplici quello che gli ingegneri della Bell avevano cercato di spiegarci. Così avevo le idee più chiare circa le cose da riferire al colonnello Boyd quando mi mandò a chiamare per sentire le mie impressioni. «Signor colonnello », dissi, «è l'aereo più tremendo che abbia mai visto. » Mi domandò se volessi pilotarlo e quando risposi di si, aggiunse: «Bene, Yeager, tocca a te, adesso ». Chuck Yeager Vivere per volare
  24. Il pilota era un civile di nome Chalmers « Slick » Goodlin, che vedevo girare li intorno. Era un bell'uomo, e si diceva che la Bell gli sganciasse un mucchio di quattrini per quei voli ad alto rischio. Avevo sentito dire che era molto bravo, e doveva esserlo per forza, giacchè era sopravvissuto anche solo ad alcuni dei collaudi dell' X-1. La Bell incentrava su di lui tutta la pubblicità e non potevi aprire una rivista senza leggere qualcosa su Slick. Sembrava destinato a diventare il primo pioniere supersonico d'America. In quei giorni compiere tutti i voli di ricerca toccava ai civili che ricevevano per questo una indennità di rischio; nessuno avrebbe chiesto a un pilota dell'aeronautica di rischiare la pelle per una busta paga militare. Goodlin e il suo bestione color arancio appartenevano a un mondo diverso dal mio. Ero occupatissimo con le esibizioni aeree e i collaudi di volo; poichè ero il più giovane pilota collaudatore del reparto, mi sarebbe già andata bene se si fossero limitati a farmi preparare il caffe, ma riuscii a ottenere anche qualche lavoretto interessante. Per esempio una valutazione comparativa tra lo Shooting Star e un caccia a reazione tedesco Me-262 che avevamo catturato. Ero stato tra i primi piloti di Mustang ad averne abbattuto uno durante la guerra, cosi mi affascinò scoprire che Me 262 e lo Shooting Star avevano le stesse prestazioni; stessa autonomia, velocità massima, accelerazione e stesso rateo ascensionale. Nel 1945 avevamo quattro P-80 in Europa, ma non si erano mai battuti con un 262. Poi venni mandato a Long Island a collaudare il Thunderjet presso la Republic, e rimasi assente sei settimane. Quando tornai a Wright, nel maggio 1947, partecipai a una riunione dei piloti collaudatori di aerei da caccia, in cui vennero chiesti volontari per l' X-1. Hoover, Ridley e io alzammo la mano, insieme con altri cinque. Forse fu un bene che non fossi molto in confidenza con gli ingegneri dei collaudi di volo impegnati nella sezione, poichè questi ultimi avevano avvertito alcuni dei piloti di stare alla larga dal progetto X-1 se ci tenevano a rimanere in vita. Hoover e io eravamo dei ribelli. Per di più eravamo altrove per la maggior parte del tempo. Comunque non facevamo certamente parte della cricca, e così l’unica voce che ci giunse all’ orecchio fu che il programma di ricerche dell'X-1 incontrava qualche difficoltà e l'aeronautica stava cercando di rilevarlo dalla Bell e da Slick Goodlin. Dissi: « lscrivetemi pure », ben sapendo che nella sezione c'erano altri dodici piloti più anziani di me; quindi mi recai in volo a Cleveland per un'esibizione aerea C'era anche il vecchio e tornai indietro in volo al suo fianco. Quando atterrò, annunciai per radio: « Mica male per un vecchio ». Il colonnello Boyd non trovò la cosa di suo gusto. « Chi ha parlato? » abbaiò. Seguì un assoluto silenzio, benchè immaginassi che la cantilena del Sud mi avesse tradito. Pochi giorni dopo mi mandò a chiamare e pensai: «Mio Dio, ci siamo! Sarà per la battuta che ho detto mentre atterravamo ». Il colonnello aveva l'aria più grigia che mai e quando feci il saluto davanti alla sua scrivania, mi tenne sull'attenti per quasi mezz'ora mentre parlavamo. Me ne andai in stato di choc. Non mi fece un'offerta vera e propria di pilotare l’ X-1, ma cominciò a girare intorno all'argomento. Mi domando perchè mi fossi offerto volontario, e gli risposi che mi interessava avere qualcosa di nuovo da pilotare. Disse: «Yeager, questo è l'aeroplano da pilotare. Il primo pilota che volerà più veloce del suono si ritroverà sui libri di storia. Sarà il volo di maggior importanza storica dopo quello dei fratelli Wright. L'X-1 è stato costruito per questo ». Aggiunse che sui tavoli dei progettisti c'erano ogni genere di aerei incredibili, compreso uno che sarebbe potuto volare sei volte più veloce del suono nonchè un bombardiere supersonico spinto da un reattore atomico. L'aeronautica stava sviluppando un programma che avrebbe mandato i piloti militari nello spazio. Ma tutti questi progetti erano destinati a rimanere incagliati finche l'X-1 non avesse forato il muro del suono. « Non ho dubbi che ciò avverrà », mi disse il colonnello Boyd, « e che sarà un pilota dell'aeronautica a farlo. » Mi domandò se sapessi perchè l'aeronautica stesse prendendo in carico il programma. « Signornò », risposi, « e finora non me ne è importalo proprio niente. » Mi spiegò che Slick Goodlin aveva firmato un contratto con la Bell per portare l' X-1 fino alla velocità di 0,8 Mach 1, cosa che aveva fatto. Quindi aveva ridiscusso il contratto chiedendo 150.000 dollari per superare Mach 1. Otto decimi di Mach era la fase uno del programma. La fase due consisteva nel portarlo sino a 1,1 - cioè fino alla velocità supersonica. Slick aveva portato a termine venti voli a motore, ma si rendeva conto che la faccenda stava diventando troppo rischiosa e cercò di ridiscutere il suo compenso chiedendo di suddividerlo in cinque anni per pagare meno tasse. La Bell ricorse al capo collaudatore, Tex Johnson, per compiere un volo di prova e accertare i pericoli che vi erano connessi. Volò intorno a Mach 0,75 e riferì che Slick si meritava tutti i quattrini che aveva chiesto. Ma gli avvocati della Bell respinsero la proposta di Slick di pagamento scaglionato, e finche la questione non fosse stata risolta lui si rifiutava di volare. L'aeronautica aveva perso la pazienza e deciso di assumere in proprio il programma X-1. Domandai al vecchio se pensava che il muro del suono esistesse. « No, per Dio », rispose, « altrimenti non ci manderei uno solo dei miei piloti. Ma voglio che tu sappia che cosa rischi. Ci sono esperti d'aviazione molto in gamba i quali pensano che alla velocità del suono il carico alare possa andare a infinito. Sai che cosa vuol dire? » « Signorsì », risposi, « sarebbe la fine. » Annuì « Nessuno può sapere con certezza ,quello che succede a Mach 1 finche non ci arriva. E’ una missione estremamente rischiosa e noi non l'affronteremo un passo alla volta, ma un centimetro alla volta. Questo è il nostro primo tentativo di farci assegnare le ricerche in volo, e non falliremo come gli inglesi. » Quindi mi domandò: «Se designassi te come pilota dell'X-1 e ti lasciassi scegliere il tuo rimpiazzo e l'ingegnere di volo, tu chi prenderesti? » Risposi che avrei scelto Bob Hoover come rimpiazzo perchè alla cloche e alla pedaliera era fantastico e Jack Ridley come ingegnere di volo perchè aveva un cervello eccezionale e oltretutto era un buon pilota. Quella sera Ridley, Hoover e io ricevemmo l'ordine di andare in volo alla fabbrica della Bell a Buffalo, New York, per ricevere le istruzioni sull'X-1 e dare un'occhiata all'aereo-madre. Chuck Yeager Vivere per volare
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