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Generale di divisione aerea

Generale di divisione aerea (9/11)

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  1. Certo che lo sappiamo, se ne è abbondantemente parlato nei post precedenti... Sull'argomento segnalo questi libri della Osprey, sembrano molto interessanti, non so se sono già disponibili:
  2. Sul numero di settembre di RID, segnalo un articolo corposo sul Prowler ed uno sul Silent Eagle; non li ho ancora letti, ma sembrano entrambi gustosi!
  3. Grazie a tutti! @ Blue: non capisco cos'è quel disturbo dell'immagine davanti all'aereo della foto, non hai un ingrandimento?
  4. lender

    Aeroporto Ghedi

    Sono assolutamente d'accordo con Paperinik, soprattutto dopo aver dato un'occhiata alla quantità di esibizioni che ci sono in UK o dove partecipano p.e le Red Arrows! Si potrebbero organizzare più giornate azzurre in un anno, dislocandole in più aeroporti nell'intero paese, dando la possibilità a tutti di partecipare (i soldi del biglietto sarebbero compensati dai minor costi della trasferta, p.e.) e avvicinando di più la gente all'A.M.. Chiedono venia per la prosecuzione dell'OT, dato che abbiamo già parlato, mi pare a proposito della G.A. 2008, ma è un argomento davvero dolente!
  5. Senza offesa, ma certamente ti sbagli tu ; o meglio, i colori che hai visto sono giusti, ma si riferiscono alla Union Jack e non alla bandiera francese! Comunque hai dato l'occasione per inaugurare un topic dedicato alle Red Arrows che, se non sbaglio, mancava. Il loro sito è http://www.raf.mod.uk/reds/
  6. Non ho trovato riferimenti bibliografici online, per ora, ma questo è esattamente quello che una dottoressa ha riferito in un corso di aggiornamento per insegnanti la nuova influenza sarebbe addirittura meno letale di quella tradizionale, il problema è che è molto più contagiosa; ciò significa che in numero assoluto può fare più vittime e può essere un maggiore problema sociale per il grande numero di persone che può "disabilitare".
  7. Rispolvero il topic con un bell'articolo del Manifesto. L'ho trovato in una mailing list di studiosi sui vertebrati, per cui lo stavo leggendo dandogli un certo credito, poi mi sono accorto che i toni diventavano quelli della solita propaganda pacifinta, sigh... Sardegna: Neuron contro Euprotto All’Euprotto piacciono le acque fresche e pulite. E’ un piccolo anfibio, lungo appena dodici centimetri, e vive solo in Sardegna. Il suo nome «volgare», infatti, è Tritone sardo. E’ rarissimo, una specie protetta. Quando si sente in pericolo reagisce secernendo una sostanza dall’odore sgradevole simile a quello dell’aglio. Ma è uno strumento di difesa che non serve a niente contro Neuron, il nemico mortale del Tritone. Neuron è un drone, strumento di morte potentissimo, della stessa famiglia tecnologica alla quale appartengono gli aerei senza pilota che pochi giorni fa hanno fatto strage di civili in Pakistan. I suoi progettisti neppure sospettano dell’esistenza del minuscolo anfibio sardo. I loro obiettivi sono quelli delle guerre imperiali, dall’Afghanistan all’Iraq. Per raggiungerli condanneranno il piccolo Tritone all’estinzione. Come? Distruggendone l’habitat. Il 24 aprile dello scorso anno l’allora ministro della Difesa, il democratico Arturo Parisi, ha deciso di costruire in Sardegna, nel poligono di Quirra, un aeroporto militare. A dir la verità, i documenti della Difesa parlano di «striscia tattica polifunzionale». Astuzia lessicale per mascherare la verità: una pista per l’atterraggio di velivoli con strutture di servizio comprese. Un vero e proprio aeroporto. La «striscia tattica polifunzionale» è molto importante per la Difesa, perché permetterà all’Italia di partecipare a una joint venture internazionale a elevata valenza scientifica e tecnologica chiamata «Progetto Neuron». In perfetta continuità con Parisi, poche settimane fa Ignazio La Russa ha confermato tutto, trovando senza difficoltà i fondi necessari. A partire dal 2011 la «striscia tattica polifunzionale» servirà a collaudare Neuron, drone di nuova generazione ancora più micidiale di quelli che seminano morte e terrore in Afghanistan e in Pakistan. Non stupisce che per realizzare il progetto sia stato scelto il poligono di Quirra, la base militare più grande d’Europa, nella Sardegna sud orientale, tra la costa di Villaputzu e le montagne di Perdas de Fogu. Non stupisce perché è da decenni in quest’angolo semi spopolato della Sardegna ministero della Difesa e industrie belliche fanno tutto ciò che vogliono, qualunque sia il colore politico del governo in carica. Con la conseguenza che qui i picchi d’incidenza di neoplasie sia tra i militari e sia tra la popolazione sono altissimi, ben al di sopra delle medie nazionali. I bambini nascono con spaventose malformazioni e i soldati si ammalano di tumori al sistema emolinfatico, gli stessi provocati tra le truppe impiegate nella guerra dei Balcani dall’uso di proiettili all’uranio impoverito. Se il progetto firmato da Parisi e controfirmato da La Russa andrà in porto, sarà pure peggio. E non solo per la gente che a Quirra continua a morire di cancro senza che importi un accidente a nessuno, ma anche per il piccolo Tritone. L’area sulla quale sarà costruita la pista, infatti, l’altopiano di Monte Cardiga, racchiude nel sottosuolo il complesso carsico delle grotte di Is Angurtidorgius, dove il Tritone vive. Dodici chilometri di anfratti e di cunicoli conosciuti dagli speleologici di tutto il mondo per la loro bellezza, con due ruscelli sotterranei e specie faunistiche di grande rilievo naturalistico, come alcuni fra i pipistrelli più rari, il Vespertilio maggiore (Myotis myotis), il Miniottero (Miniopterus schreibersii), il Rinolofo a ferro di cavallo (Rhinolophus ferrumequinum). Tutti protetti dalle direttive dell’Ue che tutelano gli habitat naturali di particolare pregio. Direttive inutili di fronte a Neuron e a Ignazio La Russa. Tanto più che le grotte carsiche la «striscia tattica polifunzionale» ce l’avranno proprio sopra, appena un centinaio di metri sopra. E la pista servirà, oltre che per il «Progetto Neuron», anche per la messa a punto di caccia militari, per il trasporto di ordigni con i C 130, per l’addestramento con gli elicotteri da combattimento. E poi c'è l'attività ordinaria del poligono: le esercitazioni degli eserciti di mezzo mondo (Nato ma non solo) e le industrie belliche che qui provano nuove armi di ogni tipo. «L’aeroporto - dicono a Quirra i coordinatori del comitato spontaneo che da anni si batte per la chiusura della base - sarà un ulteriore, poderoso, carico inquinante per un territorio già abbondantemente devastato. I diserbanti utilizzati per controllare la vegetazione nell’ampia fascia di protezione e rispetto della pista e il kerosene rilasciato dagli aerei, trascinati dall’acqua, penetreranno inevitabilmente nel suolo carsico, inquinando in modo permanente un’importante riserva di acque sotterranee, dalla quale, tra l’altro, i paesi della costa attingono per gli usi potabili. Un inquinamento letale per la fauna unica che popola le cavità di Is Angurtidorgius. Una fine silenziosa, al riparo da occhi indiscreti, visto che le grotte si verrebbero a trovare all’interno della fascia di interdizione che circonderà l’aeroporto e le sue sperimentazioni». Certo, se si pensa all’incidenza altissima di tumori emolinfatici o al gran numero di neonati deformi, la distruzione delle grotte di Is Angurtidorgius potrebbe apparire come un fatto marginale. Ma per la gente di Quirra non è così: «La distruzione di un monumento naturale di questa importanza equivale a annientare la speranza in un futuro diverso, basato sulla valorizzazione delle risorse naturalistiche e ambientali di cui è ricco il nostro altopiano. Significa condannarci a un destino di sperimentazioni militari e di discarica di missili e di bombe. Destino al quale non ci vogliamo rassegnare». http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripag.../articolo/1343/
  8. Rispetto a questo airshow, credo che la risposta sia no, semplicemente perchè non dovrebbero essere previste esibizioni di aerei civili; per altri, dipende ovviamente dal programma. Di sicuro è più facile, almeno in Italia, trovare una manifestazione aerea con aerei ad elica che con velivoli militari.
  9. Sembra proprio così: ... Lo scenario predisposto per l'esercitazione ha avuto la connotazione tipica delle operazioni che si svolgono al di fuori dei confini nazionali in aree di crisi. Lo scopo dell'esercitazione è stato quello di addestrare pertanto il personale a condurre operazioni aeree complesse quali 'Close Air Support (CAS)', 'Convoy Escort', 'Urban CAS', azioni di cooperazione con il Predator MQ-1e MQ-9 Reapers, che ha permesso per la prima volta lo sgancio di bombe inerti a guida laser (GBU -12 Lizard) guidate sull’obiettivo mediante il “designatore laser” e operazioni 'Join Air Attack Team (JAAT)', quest’ultima un’ azione combinata e coordinata su uno stesso obiettivo che ha visto la partecipazione degli AMX, dell’artiglieria americana, dove erano inseriti nel JTAC (Joint Terminal Attack Controller) personale del 17° ,16° Stormo e del 185° R.A.O, e degli elicotteri Ah-64 APACHE. Tutte le azioni erano coordinate dal 549° Combat Training Squadron Nellis e dal 12° Combat Training Squadron a Fort Irwin, le missioni volate sono state 171 per un totale di 300 ore di volo, 30 le bombe inerti sganciate sul poligono di Leach Lake e oltre 300 gli sganci simulati. Sono stati simulati inoltre attacchi al suolo utilizzando il cannone Vulcan, di cui l’AMX è dotato, azione di evasione in caso di attacco con sistemi di tipo S.A.M. ( Surface to Air Missile) e per ognuna di queste missioni è stata fatta una attenta analisi degli eventuali danni collaterali e dove la situazione tattica lo riteneva necessario era previsto di rinunciare all’utilizzo dell’armamento qualora ci fosse stato il minimo rischio di colpire gli obbiettivi che avessero coinvolto la popolazione civile o un eventuale Blu on Blu (fuoco amico). ... da http://www.aeronautica.difesa.it/Sitoam/de...ez=2&idArg=
  10. Da http://www.tempi.it/esteri/007461-trincea-un-voto; di Gian Micalessin. A qualche giorno dalle elezioni, il confine tra noia e battaglia è un gracchio impercettibile, un’onda sonora una scintilla inafferrabile tra il silenzio dell’attesa e la frenesia del pericolo imminente. «B.u. a R.u.: armati sui tetti dell’abitato, relitti bruciati sulla carreggiata, personale armato sulla strada». La voce degli elicotteri scuote i blindati, risveglia i capimacchina, allerta i mitraglieri in torretta. «Attenzione probabile attivazione, occhi aperti, uomini in ralla controllare la strada». Dal suo guscio di acciaio e kevlar il capitano Gianluca Simonelli si fa in quattro tra la lunghezza d’onda dei mezzi americani, degli elicotteri Mangusta, dei suoi uomini inscatolati nella fila di Lince, e della sala trasmissioni della base di Baluk, dove a Dio piacendo siamo diretti. Non è un viaggio né semplice, né garantito. «Sulla 517 qualcosa succede sempre, o una trappola esplosiva o un combattimento te li becchi». Questa non è una strada qualsiasi, il nostro non è un convoglio normale. In mezzo ai blindati italiani, dietro alle corazze da 12 tonnellate dei Cougar, i blindati americani studiati per resistere alle cariche più micidiali, ballonzolano smilzi e indifesi due camioncini afghani. Accatastate alla meglio sui cassoni, nascoste sotto anonimi teli gialli, viaggiano casse e casse di schede elettorali. Dal loro arrivo dipende il voto nella zona di Shiwan, di Bala Baluk e dei villaggi intorno al corso del fiume Farah Rud. Per i talebani bloccare il convoglio, far fuori quelle due montagne di carta sarebbe un terno secco. Per settimane, prima delle elezioni, la shura talebana di Quetta, quella ancora agli ordini del mullah Omar, ha ripetuto di voler boicottare il voto, bloccare le strade, colpire chi collabori alle elezioni volute dall’invasore americano. Per il nemico al corrente del nostro carico, in queste ore prima del voto, siamo l’obbiettivo perfetto, un bersaglio mobile sul poligono della 517. La chiamano la strada della morte. Su questo nastro d’asfalto teso tra Shewan e Bala Baluk, gli angoli roventi della più calda delle quattro province a comando italiano (cioè quella di Farah), è caduto a metà luglio il paracadutista Alessandro Di Lisio. La sua morte è solo l’episodio più conosciuto, più triste, per noi italiani, di una serie senza fine di scontri, imboscate e combattimenti, lungo l’ottantina di chilometri che da Farah capoluogo sale all’area rossa di Shewan, costeggia quella mezzaluna del papavero scavata nell’ansa del fiume Faraah Rud. Lì l’oppio paga le armi e trasforma i contadini in talebani pronti a difendere raccolti, traffici e proventi. In questo intrico di guerra santa, malaffare e privati interessi si son consumati i cinque mesi di guerra, sangue e paura che hanno trasformato il capitano Simonelli e i centocinquanta Grifi della Sesta compagnia in un manipolo di veterani. La loro storia è tutta nelle statistiche. Due mezzi saltati in cinque mesi, tre battaglie combattute faccia a faccia con il nemico, una decina di feriti. Ora gli “impavidi e bestiali”, come li vuole il motto della compagnia, sono pronti per un altro appuntamento. Prima però il capitano mette in chiaro le cose con gli elicotteri: «Se vedete uomini in mezzo alla carreggiata e armati sui tetti, e ne siete certi, non attendete, aprite il fuoco, ripulite la strade. Avete le nostre stesse regole d’ingaggio, potete farlo». Dal cielo un gracchio d’attesa. Nei blindati la temperatura sale. Il momento s’avvicina. Il rallista, l’uomo della mitragliatrice, mi batte sulla spalla: «Se saltiamo, prendimi le gambe tirami giù, se spariamo passami le cassette delle munizioni». Sul Lince non c’è spazio inutile, chi ruba il posto ad un soldato deve, al caso, farne le veci. «Se resto senza colpi, e loro si avvicinano, ci buttano una bomba nella torretta e tanti saluti» – chiarisce il caporal maggiore Dario Corda. «minch*a non ci passiamo»: dal volante il caporal maggiore Johnny D’Andrea per un attimo ha un dubbio, poi accelera s’infila a testa bassa nel labirinto di cisterne bruciate, di lamiere nere come pece raggomitolate sull’asfalto. «È il convoglio di due giorni fa, portava carburante per la nostra base. Guarda com’è finito». Ci siamo. «Attenzione a ore 9, al vostro fianco sinistro, da lì ci hanno sparato l’altra volta». La sorpresa stavolta è altrove. Vedi solo quel pinnacolo nero trecento metri avanti, avvitato al cielo: «Fumo di esplosione, fumo di esplosione!», strepita Johnny, la radio termina la frase. «R.U. a R.D.: attenzione! Ied in testa al convoglio, ripeto in testa al convoglio, pronti a rispondere al fuoco». Johnny tace, stringe il volante e i denti, getta lo sguardo dall’asfalto alle case, scannerizza ogni angolo di strada, il tenente Sodano al suo fianco armeggia con la radio. Dario, lassù, immobilizza nel mirino della mitraglia ogni apparizione sospetta. Ora si rallenta, il corteo si raccoglie come fisarmonica rattrappita. I camion gialli ballonzolano davanti, due Cougar arrancano lenti, sofferenti come elefanti azzoppati. «Tenere le distanze, Cougar colpiti, ma in movimento scortiamo gli americani, pronti a difenderli» strepita la radio. «Stai lontano! Se ne zompa un altro le schegge mi fanno a fette!» urla Dario, Johnny gli fa cenno di sì con il capo. I bestioni americani con le ruote squarciate dalle schegge e i cerchioni da un metro e ottanta di diametro irrorano di scintille la strada. Gli elicotteri Mangusta precipitano come falchi in picchiata, rincorrono un nemico invisibile: «Nessuna minaccia visibile, procedete vi copriamo dall’alto». La base di Bala Baluk è all’orizzonte. Centoquaranta metri per quaranta di terra tricolore, un puzzle di tende e mezzi incastrato tra un reparto dell’esercito afghano e un piccolo avamposto dove gli americani addestrano la polizia. Portarci le schede elettorali non basta. In attesa del 20 agosto, quando si andrà alle urne, il capitano Simonelli prepara, assieme ai colleghi afghani e americani ospiti di quest’avamposto perduto nel mare talebano, la giornata delle elezioni. Più che una sfida, è un rompicapo. L’esercito afghano consegna un rapporto. La sera prima del nostro arrivo, due camionisti in arrivo dalla 517 sono stati taglieggiati e minacciati a due posti di blocco della polizia afghana. Tutto mentre qualche chilometro più in là gli insorti attaccavano e davano alle fiamme i rifornimenti di carburante. È l’incubo afghano, un labirinto di specchi dove il nemico ha mille volti e mille facce. «Con queste forze della polizia e un esercito ancora poco affidabile, tenere aperti i 30 seggi delle precedenti elezioni era semplicemente impossibile» spiega Simonelli, ben consapevole che oggi, prima ancora della conta tragica dei morti, della proclamazione dei risultati e dello scatenarsi del disinvolto valzer delle alleanze il primo dato di fatto, eccezionale, è che si è votato.
  11. Ne facevo un discorso generale; ammetto di non essere un esperto di sport, ma non credo che all'estero la situazione sia meno peggio che in Italia. Semplicemente non credo all'esistenza di categorie "buone" o "cattive" per definizione, sia in ambito sportivo che non. Poi ovviamente uno può preferire il calcio, l'altro il curling o il ciclismo, i gusti sono del tutto soggettivi.
  12. A questo proposito ricordo negli anni '80, un amico che snobbava il calcio come "pseudosport", portando ad esempio invece l'atletica leggera, appena prima delle Olimpiadi di Seul; per chi è troppo giovane, fu l'anno in cui Ben Johnson vinse i 100 m, stabilendo il nuovo record e battendo il mitico Lewis, salvo poi essere squalificato per doping... Non credo ci siano sport immuni dal doping (che dire allora del ciclismo), salvo forse quelli dove non girano soldi...
  13. Eurofighter, i gusti sono gusti, ma per quanto riguarda affermazioni del tipo "aerei con caratteristiche similari (Amx e Tornado)", viene il dubbio che tu non abbia letto le risposte di utenti particolarente esperti e preparati come Flaggy (appena sopra) o Gianni (vedi all'inizio del topic). A questo punto continuare ulteriormente la discussione diventa un poco inutile...
  14. Se avesse ragione questo tizio, o non scriverei più sul forum, o sarei già stato licenziato...
  15. Mi piacerebbe vedere questi numeri con accanto una citazione certa della fonte da cui sono tratti; sul web ci sono numeri che parlano da un minimo di 5 a un massimo di 14 morti... Ad esempio da: http://www.forzearmate.org/sideweb/2008/ra...AMX_080106.php: Per i magistrati «decine di Amx» sarebbero precipitati causando «la morte di almeno 14 militari». Invece, secondo lo Stato Maggiore della Forza armata «dal 1990 - anno di entrata in servizio - ad oggi, sono stati 12 gli incidenti che hanno comportato la perdita del velivolo e cinque i morti». Oppure da http://cencio4.wordpress.com/2008/01/28/am...e-differences/: According to the investigators, canopy faults in the past years caused the loss of many AMX (”tens” according to reports of the media) and the death of 14 pilots, statements widely “advertised” by newspapers but not correct: the ItAF has lost 12 aircraft and 5 pilots (+ 1 prototype and 1 test pilot).
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