Vai al contenuto

L’ATTIVITA’ DEI SOMMERGIBILI ITALIANI E TEDESCHI NELLA GUERRA DI SPAGNA NELL’AUTUNNO – INVERNO del 1936 - 1937


Mattesini

Messaggi raccomandati

L’ATTIVITA’ DEI SOMMERGIBILI ITALIANI E TEDESCHI NELLA GUERRA DI SPAGNA NELL’AUTUNNO – INVERNO del 1936 - 1937

 

Francesco Mattesini

 

Gli aiuti navali richiesti a Italia e Germania dalla Marina nazionalista spagnola.

Fin dal 22 agosto 1936 l’Alto Comando della Marina germanica (O.K.M.) aveva sottoposto a Hitler il suo punto di vista riguardo all’intervento tedesco nel conflitto spagnolo, fino a prevedere di agire militarmente, se fosse stato necessario, per aiutare la causa del generale Francisco Franco. L’ammiraglio Erich Raeder, Comandante in Capo della Kriegsmarine, era favorevole a questa linea di condotta, ma a patto che l’aiuto da fornire a Franco “fosse prestato in maniera risolutiva e in forma ben diversa da quanto fosse stato fatto fino ad allora”.

Ma Hitler, che pure appariva deciso ad aiutare militarmente gli insorti spagnoli, di fronte all’eventualità di dover affrontare un conflitto di vaste dimensioni con la Gran Bretagna, in un momento in cui la Germania non era ancora preparata militarmente, adottò allora la tattica della prudenza. Questo cauto comportamento del Führer proseguì fino all’autunno, quando si presentò un fatto nuovo, determinato dall’intervento dell’Unione Sovietica in appoggio alla Repubblica; elemento di ingerenza nel conflitto spagnolo, che imponeva alla Germania e all’Italia di dare altrettanto sostegno alla causa dei nazionalisti, considerati ormai un baluardo contro il comunismo in Europa, che difettavano di unità navali.

I repubblicani controllavano quasi tutta la costa meridionale iberica e i più grandi porti, meno Cadice. A Cartagena, la base più importante dei rossi, era concentrato il grosso della flotta, che disponeva della vecchia corazzata Jaime I, degli incrociatori Libertad, Miguel de Cervantes e Mendez Nuňez, di quattordici cacciatorpediniere, sette torpediniere, una cannoniera, quattro guardiacoste, due rimorchiatori, dieci sommergibili e di tutta l’Aviazione Navale. Da parte nazionalista erano disponibili la vecchia corazzata España, che si trovava in riserva da oltre sei anni, l’incrociatore leggero Almirante Cervera e il cacciatorpediniere Velasco. Completavano la flotta cinque torpediniere, quattro cannoniere, cinque guardiacoste e sette velivoli dell’aviazione navale. L’incrociatore leggero Repubblica, si trovava a Cadice temporaneamente immobilizzato per ingenti danni riportati in combattimento, e due incrociatori pesanti, da 10.000 tonn, di nuova costruzione, Canarias e Baleares, armati con otto cannoni da 203 mm, si trovavano in allestimento avanzato nei cantieri di El Ferrol assieme a sei posamine classe “Jupiter”. Essendo Cadice impiegata quale base logistica e di riparazione, l’unico porto che poteva servire alle navi nazionaliste per le operazioni in Mediterraneo era rappresentato da Ceuta, sulla costa del Marocco.

Preoccupato per questa situazione, e anche dal fatto che non possedeva le forze necessarie per opporsi adeguatamente al traffico di contrabbando di armi diretto verso i porti della Spagna repubblicana, ai primi di ottobre il capitano di vascello Francisco Moreno (poi l’ammiraglio), Comandante della flotta nazionalista, in un colloquio con il comandante tedesco Wagner, aveva insistito per la cessione, da parte della Germania di un sommergibile da 250 tonn., quindi di un tipo VII-A.

Le stesse richieste furono fatte il 4 ottobre per ricevere due sommergibili dall’Italia ed uno di 250 tonn. Ma entrambe le richieste erano cadute nel nulla, per la contrarietà dimostrata dai governi di Roma e di Berlino a cedere proprie unità subacquee, per non infrangere gli accordi internazionali.

Successivamente però, nei giorni 12 e 13 ottobre, il colonnello Walter Warlimont (alias Guido), capo della missione militare tedesca in Spagna, fece sapere al suo collega italiano, generale Mario Roatta (alias Colli), Capo della Missione Militare italiana e nello stesso tempo Capo del Servizio Informazioni Militari (SIM), che da parte di Berlino poteva esservi un ripensamento, sotto forma dell’invio del richiesto sommergibile da 250 tonn., da far operare o con equipaggio completamente spagnolo, oppure con equipaggio interamente germanico. Egli escludeva quindi che per armare il sommergibile potesse essere costituito un equipaggio misto, come inizialmente era stato proposto dalla Marina nazionalista.

Ritornando sull’argomento, in seguito alle pressioni che continuavano a pervenirgli dai nazionalisti, il generale Roatta che si trovava a Salamanca, nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, trasmise a Roma un telegramma, che fu portato alla visione del Duce nella seguente forma:

 

“Ammiraglio Giovanni Cervera nominato Capo di S.M. Marina bianchi sede Salamanca et Capitano di vascello Moreno incaricato esercitazioni personale necessario per armare due sommergibili nonché per il 3° che spera sarà dato da Germania. Nel caso siano consegnati nostri sommergibili occorre vengano con nostro personale attraccando a Cadice nell’approdo riservato in arsenale “Carraca”. Dovranno attraversare baia di notte. Personale spagnolo sostituirà a poco a poco personale italiano. Colli”.

 

Con successivo telegramma del 18 ottobre, Roatta portava a conoscenza di Roma un fatto nuovo, ossia l’appoggio che la Kriegsmarine aveva deciso di concedere ai nazionalisti spagnoli, sottoforma di informazioni che sarebbero state raccolte e riportate da unità navali tedesche, un incrociatore e due cacciatorpediniere, mantenuti in crociera da Cadice lungo le coste della Spagna repubblicana.

Il problema che adesso si poneva a Roma era quello di non farsi scavalcare dai rappresentanti della Germania nel favorire Franco, perché certamente il generalissimo spagnolo, carica assunta il 1° ottobre assieme a quella di Capo dello Stato, ne avrebbe poi tenuto conto politicamente. E l’occasione si presentò subito dopo, in seguito a un’altra sollecitazione di aiuti navali trasmessa a Roma il 19 ottobre dal generale Roatta. Questi spedì alla Sezione “S” (Spagna) del S.I.M. un telegramma, che fu consegnato al generale Alberto Pariani, Sottosegretario alla Guerra e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, sotto forma di “Nota di Visione”, nella seguente forma:

 

“Generale Franco a mezzo nostra Missione segnala. Richiesta urgente per Marina. Due cacciatorpediniere e due sommergibili (complessivamente tra l’Italia e Germania). Generale Roatta d’accordo con Capo Missione tedesco et parere risolvere questione dominio mare et concedere urgenza nuovi aiuti richiesti per conservare al generale Franco iniziativa operazioni.”

 

Poiché l’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina era contrario a cedere sommergibili, a Roma fu presa la decisione di approntare i due battelli richiesti dai nazionalisti all’Italia, da inviare in Spagna ove essi avrebbero operato, come aveva proposto il capitano di vascello Giovanni Remedio Ferretti (nome fittizio Cavalier Rampoldi , poi cambiato in quello di Dott. Rossi), Comandante della Missione Navale in Spagna, con comandanti ed equipaggi italiani, ai quali si sarebbero aggiunti due ufficiali spagnoli destinati al collegamento e al riconoscimento delle navi e delle coste iberiche.

Presa questa decisione, il 27 ottobre il Capo di Gabinetto del Sottosegretario di Stato alla Marina, ammiraglio Odoardo Somigli, spedì a Ferretti, sempre tramite il S.I.M., un urgentissimo telegramma per il comandante Ferretti, in cui era riferito:

 

“Sono in corso approntamento due Sommergibili tipo”Topazio” destinati operare acque spagnole per conto nazionali. Occorre sapere quale porto costituirà loro base e se fornito risorse necessarie speciale servizio. Stati Maggiori e equipaggi italiani dovranno essere gradualmente sostituiti da personale spagnolo. E’ opportuno che siano inviati subito Italia almeno due Ufficiali di sicuro affidamento per impiego Sommergibili suddetti. Comunichi caratteristiche bandiere, pitturazione et altri segni distintivi naviglio partito nazionale.“

Il sostegno dell’Unione Sovietica alla causa repubblicana spagnola

 

Nel pomeriggio del 30 ottobre, dopo essersi accordato con l’ammiraglio Cervera, il comandante Ferretti, sempre tramite il generale Roatta, trasmise a Roma la richiesta per la fornitura ai due sommergibili italiani, da cedere alla Marina nazionalista dopo l’arrivo nei porti spagnoli, di materiali di rispetto, siluri, munizioni, viveri, ecc.

Ad alimentare le preoccupazioni esistenti a Roma, contribuì una relazione del generale Roatta, spedita il 31 ottobre 1936, dall’oggetto “Intervento russo a favore dei rossi”, che fu inviata, in visione, al generale Pariani il 4 novembre.

In tale documento Roatta riferiva, per averlo appreso negli ambienti di Franco, che la Russia stava giocando “in Spagna una partita che la interessava direttamente”, in un momento in cui “le operazioni militari” dei repubblicani “stanno per avere la peggio”, rendendo completo “il trionfo nazionalista”.

Roatta metteva in rilievo che molti piroscafi sovietici avevano “scaricato in porti spagnoli personale e materiali bellici”, e che merci dello stesso genere, “molto più numerosi” di quelli fino a quel “momento entrati in azione” in Spagna, compresi una cinquantina di carri armati e “140 aeroplani velocissimi”, erano stati fatti arrivare a destinazione da alcuni piroscafi repubblicani, andati a fare il carico in porti dell’Unione Sovietica. Parte di questo materiale, tra cui quindici nuovi carri armati Sovietici, avevano partecipato a una controffensiva scatenata il 29 ottobre dai repubblicani sul fronte di Madrid, assieme ad aeroplani, probabilmente di costruzione francese, che però avevano sganciato bombe risultate “di fabbricazione russa”. Inoltre, secondo quanto allora riportavano i giornali e i proclami radio, tra i repubblicani veniva “esaltato l’aiuto sovietico”, mediante il quale erano stati forniti al governo di Madrid tutti i mezzi bellici necessario a “capovolgere la situazione”.

Infine, il Capo del S.I.M. specificò che, il fatto ancora più allarmante, riguardava le notizie secondo le quali era previsto, e stava per effettuarsi, il trasporto di un corpo di spedizione di 20.000 soldati sovietici “con tutti i corrispondenti mezzi bellici”, e concluse il telegramma sostenendo:

 

“La Russia, infine, ha sempre ritenuto che da una grande guerra sorgerebbe la rivoluzione generale, la quale andrebbe, s’intende, tutto a suo profitto.

Perciò la Russia sarebbe disposta a marciare a fondo, anche a costo di provocare così facendo, un grosso conflitto.”

 

Con un successivo telegramma spedito il 6 novembre, il generale Roatta, che era riconosciuto come l’uomo più intelligente dell’Esercito italiano, mostrandosi molto più realista dello Stato Maggiore nazionalista, sostenne essere da scartare l’ipotesi dell’impiego in Spagna di grandi unità sovietiche, perché esso avrebbe prodotto “verosimilmente” un analogo intervento da parte dell’Italia e della Germania. Occorreva invece contare su una “probabile ulteriore resistenza” dei repubblicani in Catalogna e nelle regioni orientali e settentrionali della Spagna da essi controllate, con sufficiente appoggio di armi e di materiali sovietici, necessari per scatenare una prevedibile controffensiva in primavera. Per questo motivo Roatta segnalava: “Per stroncare rapidamente tale resistenza occorre forte azione da parte nazionalista in mare, in aria in terra. Verso superiorità navale ci stiamo avviando con noti provvedimenti”.

Naturalmente, i noti provvedimenti per raggiungere la superiorità navale includevano, soprattutto, l’attività dei sommergibili italiani, il cui approntamento proprio in quei giorni si stava concretando fissando accordi che prevedevano l’invio a Cadice di due unità subacquee per operare sulle coste e contro i porti repubblicani.

Avendo ricevuto dal Comando nazionalista spagnolo l’informazione che le maggiori navi di superficie repubblicane stavano all’ancora nella rada Escombrera di Cartagena, e quindi in una zona ove, non esistendo difese a mare mobili e fisse, un’azione offensiva di sommergibili era piuttosto agevole, il capitano di vascello Ferretti, agendo d’intesa con il Comando della Marina spagnola, compilò uno schema di operazioni che poi consegnò al generale Roatta.

Quest’ultimo, rendendosi conto dell’importanza di quel progetto, il 4 novembre compilò, per le superiori autorità di Roma, un grosso messaggio, ripartito in una serie di cinque telegrammi (N. 336, 337, 338, 339 e 340), che fu spedito al S.I.M. Data l’importanza del documento, rintracciato dall’autore e pubblicato, assieme a numerosi documenti inediti nel Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, nella prima parte del citato saggio “Il blocco navale italiano nella guerra di Spagna”, lo riportiamo integralmente:

 

“Per Marina segreto (stop) Rampolli comunica: “R/39 – risulterebbe a Comando Spagnolo che navi maggiori rosse a Cartagena stanno ancorate rada “Escombrera” senza difese a mare mobili né fisse (alt) Ciò fa ritenere agevole azione offensiva sommergibili su navi ancorate (alt) Propongo tale azione con modalità seguenti:

 

1°) Condizione essenziale est assoluto segreto su esistenza sommergibili (alt) Azione dovrebbe essere eseguita prima di toccare Cadice dove non est escluso al 100/100 possibilità indiscrezioni (alt) Sommergibili perciò venendo da Italia dovrebbero recarsi ancoraggio deserto et indicatomi ridosso fra isole “Zafarine” che sono a miglia 30 est di Melilla oppure ad “Iviza” se condizioni politiche non lo vietino (alt)

 

2°) Ivi troverebbero”Canarias” [incrociatore nazionalista] che servirebbe temporaneo appoggio et sottoscritto.

Sarebbe effettuato rifornimento nafta con cisterna spagnola et date informazioni e disposizioni per azione che sarebbe appoggiata da “Canarias”.

 

3°) Unità partirebbero da Zafarine aut Iviza per azione al più presto possibile et quindi entrerebbero Cadice. “Canarias” appoggerebbe azione at largo.

 

4°) Durante missione comando et personale sarebbe italiano con a bordo capitano di corvetta spagnolo et eventualmente altro ufficiale della Nazione.

 

5° Qualora azione fosse eseguita da 2 unità sarebbero assegnati settori distinti et zone immersione distinte, rispettivamente a ovest isola Escombrera et a est di essa.

 

6°) Sarà eseguita esplorazione aerea precedentemente calcolare eventualmente incursioni aeree offensive, ripetute, per indurre navi da Cartagena recarsi Escombrera qualora russi non vi fossero.

 

7°) Qualora venga approvato quanto precede prego comunicare presunta data arrivo sommergibile indicando località prescelta. Prego ad ogni modo fino da ora comunicare anche approssimativamente tale data per norma nei preparativi a Cadice et per regolare precedente attività del “Canarias”.

 

8) Alla riuscita detta operazione gioverà molto visita Cartagena nostra nave che accerti presenza et posizioni navi rossi rada Esombrera et raccolga elementi circa sorveglianza et esistenza sbarramenti che sarebbero esclusi da informazioni marina spagnola (stop) Detta visita dovrebbe effettuarsi giorno successivo arrivo sommergibili Zafarine aut Iviza et telegramma relativo dovrebbe essere dato ripetutamente in aria in ore stabilite con sommergibili che riceveranno senza rispondere (stop)

 

9) Sommergibili potranno lanciare [siluri] in fondali di 40 metri e in ogni modo superiori ai 25 - Comunque occorrerebbe accertare fondale minimo da cui si può lanciare nei riguardi del sacco che fa il siluro.

 

10) Proposte sono state da me concretate con comando marina.

 

Fine telegramma COLLI”

 

Appare certo che di questo progetto, portato alla conoscenza dei Capi di Gabinetto dei ministeri degli Esteri e della Marina, fu tenuto conto negli ambienti della Regia Marina, che lo avrebbero sfruttato per adeguarvi gli ordini operativi ai sommergibili destinati ad agire contro il naviglio repubblicano all’ancora nel porto di Cartagena.

Quello stesso giorno 4 novembre, Filippo Anfuso, Capo di Gabinetto del conte Galeazzo Ciano che si trovava a Salamanca, trasmetteva al S.I.M., tramite Roatta, un telegramma da recapitare al ministero degli Esteri, segnalando di aver avuto due colloqui con Franco, il quale, considerando che la lotta sarebbe stata molto dura, riteneva indispensabile un “ulteriore aiuto italiano”. Il generale si mostrò molto grato per la cessione di sommergibili, considerati decisivi ai fini della liberazione della costa spagnola ancora in mano ai repubblicani.

In attesa dell’arrivo a Cadice dei due sommergibili, il capitano di vascello Ferretti provvide, con i Comandi della Marina nazionalista da cui dipendeva la base navale e l’arsenale della Curraca, a stabilire un punto di ormeggio situato presso la testata del bacino più interno. E per renderlo il più appartato e segreto possibile, ne venne vietato l’accesso a chiunque non fosse stato autorizzato, e fu coperto quel punto di attracco sistemandovi all’ancora il vecchio incrociatore Repubblica. Quest’ultimo trovandosi in disarmo, fu attrezzato in modo da poter accogliere gli alloggiamenti e le mense degli equipaggi dei sommergibili quando sarebbero rimasti in porto. Oltre che con il Repubblica, la vista del bacino interno del porto fu nascosta, a coloro che fossero passati nelle vicinanze, con due grosse gru. Infine, per la carica degli accumulatori dei sommergibili fu disposto l’arrivo di un compressore e di un gruppo elettrogeno, e per rendere più agevole la vita degli equipaggi nei periodi di franchigia fu preparato un servizio di autobus con Siviglia.

A questo punto, quando già tutto era pronto per accogliere le due unità subacquee, e per effettuare la loro prima missione bellica contro il naviglio militare repubblicano che si trovava all’ancora nell’avamposto di Cartagena, a Roma si verificò un ripensamento. Fu infatti disposto che alle operazioni partecipassero esclusivamente sommergibili e personale italiani i quali, salpando dalle basi nazionali e rientrandovi al termine delle missioni, avrebbero evitato di farsi avvistare nei porti nazionalisti. Con questa decisione fu anche evitata, almeno per il momento, la cessione dei due sommergibili alla Marina spagnola.

 

L’intervento dell’Italia e della Germania per spezzare il flusso dei rifornimenti navali alla Spagna rossa

Mentre si approntavano i due sommergibili da inviare in missione dalla base della Maddalena alle coste spagnole - scegliendo il Naiade, del 3° Grupsom (Gruppo Sommergibile) di Messina, e il Topazio, del 1° Grupsom della Spezia - le sollecitazioni navali dei nazionalisti si facevano sempre più pressanti, perché il loro governo non aveva perduto la speranza di ricevere dall’Italia le due richieste unità subacquee e le navi di superficie, da far operare con proprio equipaggio e sotto propria bandiera.

A rendere la situazione ancora più preoccupante, il 13 novembre, l’ambasciatore Anfuso, fece trasmettere da Roatta un telegramma in cui si annunciava, secondo notizie fornite da fonte tedesca, la partenza dal porto di Odessa per Cartagena di nove piroscafi sovietici, scortati da sommergibili, e trasportanti cannoni da 155 mm e quattromila uomini. Di fronte a questa grave notizia, che risultava come al solito alquanto esagerata, il generale Franco rinnovava all’Italia la “preghiera”, già precedentemente avanzata, di voler esercitare la “massima sorveglianza nel passo di Sicilia e Stretto di Messina”, con le sue navi di superficie e i suoi aerei.

Lo stesso giorno, il comandante Ferretti compilò un promemoria per lo Stato Maggiore della Regia Marina, dall’oggetto “Mezzi navali da fornire alla Spagna”, riguardante le unità che erano state nuovamente richieste dalla Marina nazionalista il giorno 8 del mese. Nel documento egli sottolineava che il compito della Marina nazionalista era “quello di ottenere il completo controllo delle linee di traffico”dirette alla Spagna, per mantenere libere le proprie rotte di rifornimento ed “impedire il traffico di armi diretto ai porti rossi”. Per raggiungere questo importante scopo, il quale comportava l’intercettazione in mare dei rifornimenti repubblicani , occorreva che l’impresa fosse attuata “con continuità e con sufficiente larghezza di mezzi adatti”, in modo da garantire la “distruzione almeno parziale della flotta rossa”.

Per questi motivi, i capi della Marina nazionalista continuavano a chiedere unità navali a Italia e Germania, e aumentavano le pretese. Nella tarda serata del 15 novembre il generale Roatta, portò a conoscenza di Roma le loro ultime richieste, che avrebbero dovuto comportare la cessione da parte dell’Italia di “4, possibilmente 6, esploratori; 2, possibilmente 4 sommergibili, oltre 2 già concessi. Una squadriglia idrovolanti esplorazione”.

Poiché la Marina nazionalista insisteva molto sulla mancanza di personale, necessario per armare adeguatamente le navi di superficie e i sommergibili richiesti, occorreva che quelle unità venissero consegnate dall’Italia con parte dei propri equipaggi.

Quattro giorni più tardi, il 17 novembre, anche il generale Roatta spedì al S.I.M. una lunghissima e dettagliatissima relazione, che fu subito trasmessa alle Superiori Autorità italiane. In questo documento Roatta, sentito il parere di Ferretti, scriveva che la Marina nazionalista non era “da sola in condizione di mettere fuori causa la flotta rossa, e di stroncare il traffico marittimo per i porti spagnoli del Mediterraneo, cui affluivano i noti aiuti ai rossi”.

Conseguentemente il governo della Spagna nazionalista chiedeva all’Italia di concederli due sommergibili tipo “Topazio”, e alla Germania due motosiluranti da 60 tonn. di tipo non moderno, armate con due tubi lanciasiluri, e in secondo tempo altre tre motosiluranti di tipo più recente. Erano poi richieste alle due nazioni amiche materiali navali, quali artiglierie e mitragliere contraeree, telemetri, munizioni, proiettori e radiogoniometri tipo Telefunken. Roatta specificò che la Marina nazionalista confidava nel concorso di navi italiane nella guerra al traffico. Inoltre sperava di ottenere la cessione di altre unità di superficie e di sommergibili, oltre a quelle già richieste, con le quali “compiere azioni massicce sui porti rossi mediterranei”. Riferì inoltre che le navi della Marina repubblicana, in un primo tempo prive o quasi di ufficiali – perchè all’inizio della guerra erano stati massacrati dai loro equipaggi rossi – avevano ripreso un minimo di efficienza, essendone stato affidato il comando a capitani della Marina mercantile e a ufficiali stranieri.

Il 24 ottobre Hitler e Galeazzo Ciano si incontrarono a Berlino per decidere come comportarsi nei riguardi dell’aiuto di fornire al generale Franco, e nell’occasione il ministro degli Esteri italiano informò il Führer del progetto di inviare due sommergibili italiani ad operare davanti ai porti repubblicani.

Questa confidenza servì all’O.K.M. per pianificare un’operazione, chiamata “Ursula” – nome in codice scelto dal nuovo Comandante in Capo degli U-Boote, capitano di vascello Karl Dönitz - che prevedeva l’impiego dei sommergibili tedeschi nel conflitto spagnolo, agendo come unità clandestine.

L’ordine di operazioni, datato 2 novembre, il giorno 6 del mese fu portato a conoscenza del contrammiraglio Herman Boehm, Comandante delle Forze di Esplorazione della Marina germanica, che si trovava in Mediterraneo a bordo dell’incrociatore Nurnberg. Furono scelti per un primo turno di missioni due sommergibili modernissimi della seconda serie della classe “VII A”, appena entrati in servizio, e facenti parte della flottiglia “Salzwedel (capitano di fregata Werner Schneer). Si trattava dell’ U-33 e dell’ U-34, ed erano comandati rispettivamente dai tenenti di vascello Kurt Friewald e Harald Grosse. Era la prima volta dalla fine della prima guerra mondiale che sommergibili tedeschi sarebbero tornati a solcare le acque del Mediterraneo, dove gli U-Boote avevano conseguito, tra il 1914 e il 1918, grandissimi successi.

 

La riunione di Roma del 17 novembre 1936 per fissare le norme di collaborazione tra le Marine italiana e tedesca nell’azione di blocco alla Spagna repubblicana

Il 17 novembre 1936, nel corso di una riunione svoltasi a Roma presso l’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina tra ufficiali italiani e tedeschi, venivano fissate le norme per “la cooperazione fra le due Marine nei riguardi della attività dei sommergibili sulle coste spagnole del Mediterraneo”, e quindi anche i settori operativi da assegnare ai reciproci sommergibili assegnati alle missioni sulle coste mediterranee della Spagna rossa. Alla riunione parteciparono da parte italiana, l’ammiraglio Wladimiro Pini, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina italiana, e il contrammiraglio Oscar di Gianberardino, mentre da parte tedesca intervennero due ufficiali dell’ambasciata di Germania, il capitano di fregata Werner Lange e il capitano di corvetta Hellmuth Heye.

Convenendo che non fosse allora opportuno informare i nazionalisti spagnoli dell’impiego dei sommergibili, italiani e tedeschi i quattro ufficiali si accordarono per come alternarsi nelle azioni di perlustrazione delle coste mediterranee della Spagna rossa, stabilendo che le unità subacquee della Regia Marina avrebbero fatto il primo turno di sorveglianza da prolungarsi fino al 30 novembre. A tale data sarebbero poi subentrati gli U-boote tedeschi, che avrebbero proseguito le missioni fino alla sera dell’11 dicembre.

Ma, per avere maggiori dettagli sull’importanza degli accordi raggiunti a Roma il 17 novembre, riguardo all’impiego dei sommergibili italiani e tedeschi si riportano, di seguito, i sette punti del testo del documento originale firmato dai rappresentanti alla riunione:

 

“1°) I Sommergibili italiani e quelli tedeschi si alterneranno nella vigilanza su dette coste. I battelli italiani rimarranno in agguato fino al tramonto del giorno 29 novembre corrente, poi si allontaneranno verso Est. I battelli tedeschi giungeranno a Nord di Capo de Gata soltanto il mattino del giorno 30 novembre e vi rimarranno fino al tramonto dell’11 dicembre. Nella notte in cui lasceranno l’agguato si allontaneranno per circa 40 miglia dalla costa. Distanza che dovranno mantenere nel viaggio di ritorno. Saranno sostituiti al mattino successivo dagli italiani, e così di seguito. Nella notte del cambio nessun sommergibile dovrà essere attaccato.

 

2°) I battelli italiani attualmente in missione hanno facoltà di attaccare anche i cacciatorpediniere ed i sommergibili ma anche nel punto di vista italiano e nello spirito delle consegne impartite, è intesa la preferenza da dare ai bersagli costituiti da navi più grandi. E’ data facoltà di attaccare anche i piroscafi russi o spagnoli rossi carichi in arrivo entro le acque territoriali spagnole.

 

3°) E’ riconosciuta perfettamente anche dagli italiani la convenienza di non fare alcuna comunicazione agli spagnoli bianchi, circa la attività che svolgono e svolgeranno i sommergibili tedeschi ed italiani.

 

4°) E’ riconosciuta inoltre la convenienza di unificare il servizio di informazioni sulla costa spagnola, nel senso che le notizie attinte dalle unità tedesche e italiane che visitano i diversi porti spagnoli, dovranno essere accentrate presso gli Ammiragli o l’Ammiraglio delle due Potenze che risiedono nelle acque spagnole, che si interesseranno di trasmettere o di far trasmettere ai Ministeri Marina a Roma e Berlino, i quali giudicheranno circa l’opportunità di comunicarle ai sommergibili di servizio.

 

5°) Si conviene sulla utilità che, della presenza dei sommergibili sulla costa spagnola siano informati oltre all’Ammiraglio anche i Comandanti delle singole unità di superficie, affinché sia più facile evitare equivoci e trovare , da parte di detti Comandanti, la linea di condotta da tenere nelle diverse situazioni che si potranno verificare.

 

6°) In caso di avaria, di malati gravi a bordo, o per la necessità di rifornimenti, i sommergibili tedeschi potranno dirigere per il porto italiano della Maddalena, atterrando sulla Sardegna nei pressi di Capo Caccia e costeggiando poi per entrare nelle Bocche di Bonifacio. Atterrando dovranno tenere alzata la bandiera italiana.

 

7°) Circa la possibilità di qualche richiesta che, in caso di siluramenti avvenuti, potesse venir rivolta ai Governi tedesco e italiano da parte di qualche altro Governo, si ritiene opportuno di manifestare sempre l’ignoranza o la sorpresa più profonda.”

 

Le prime missioni dei sommergibili italiani nelle acque spagnole.

Occorre dire che al momento degli accordi segretissimi fissati a Roma, l’attività subacquea italiana era già in svolgimento, essendo iniziata nei giorni 8 e 9 novembre con la partenza dalla Maddalena dei sommergibili Naiade (capitano di corvetta Alfredo Criscuolo) e Topazio (tenente di vascello Giuseppe Caputi), il primo dei quali per una sopraggiunta avaria non raggiunse il settore operativo assegnato, mentre il secondo rientrò il 19 dopo aver incrociato al largo di Cartagena senza aver potuto effettuare alcun attacco.

A questi due primi sommergibili seguì la partenza, il 15 novembre, dell’Antonio Sciesa (capitano di corvetta Michele Jannuzzi), appartenente al 2° Grupson di Napoli. Salpato dalla Maddalena il 15 novembre, il sommergibile si trattenne nella zona già assegnata al Naiade, fra Alicante e Barcellona, fino al 2 dicembre. Ma anch’esso, nei diciotto giorni di mare, non ebbe alcuna occasione di attacco.

Tuttavia, la partecipazione dei primi sommergibili italiani alle operazioni in Spagna non fu lusinghiero sotto il punto di vista della segretezza. Infatti il 10 novembre il generale Roatta trasmise a Roma una comunicazione del capitano di vascello Ferretti, nella quale si annunciava: “est previsto che sommergibili possano entrare porti Cadice - Ceuta - Ferrol”, portando per il riconoscimento determinate cifre numeriche distintive stabilite dalla Marina nazionalista. Il 15 novembre lo stesso Ferretti aggiunse che la presenza in mare dei sommergibili italiani era già “di dominio pubblico”, in quanto il comandante del piroscafo italiano Fani arrivato a Tangeri, aveva riferito di “avere incontrato rotta Spezia Mahon dubbi sommergibili bandiera spagnola nazionalista”, i cui equipaggi avevano salutato “con saluto romano”.

[Nel prepararsi a combattere una guerra clandestina voluta dal Governo italiano, i primi quattro sommergibili (Naiade, Topazio, Sciesa, Torricelli) erano stati concentrati alla Maddalena, perché quell’ancoraggio era allora lontano da occhi indiscreti. Per le loro operazioni occulte, la notte prima di salpare, gli equipaggi dei battelli cancellarono, con vernice nera, ogni segno che potesse farne riconoscere la vera nazionalità, come le lettere distintive sui fianchi della torretta, il nome (in ottone) a prora, il disegno dei fasci littorio, e ogni altro segno compromettente.]

Il quarto sommergibile a prendere il mare per le coste spagnole fu il Torricelli, del 3° Grupsom di Messina, il quale, salpato il 17 novembre dalla Maddalena al comando del capitano di corvetta Giuseppe Zarpellon, entrò nella zona assegnata al largo di Cartagena la notte sul 22. All’alba dell’indomani, navigando il sommergibile in superficie nella nebbia mattutina, furono individuati dalle vedette gli incrociatori leggeri repubblicani Miguel de Cervantes e Méndez Núñez, che si trovavano all’ancora all’esterno del porto, proprio come aveva indicato il comandante Ferretti. Portatosi in immersione a quota periscopica, e manovrando a lento moto, Zarpellon attese che un cacciatorpediniere, il britannico Glowworm, entrasse in rada. Quindi, da una distanza di circa 1.000 m dette il “fuori” a due siluri da 533 mm, dirigendoli contro i due incrociatori spagnoli che erano stati chiaramente riconosciuti dal capitano di corvetta Arturo Genova, ufficiale di collegamento nazionalista imbarcato sul Torricelli.

Uno dei siluri, diretto contro il Méndez Núñez finì in costa incagliandosi, mentre l’altro, alle 09.50, raggiunse il Miguel de Cervantes (7.975 tons) a poppa, sul fianco destro, procurandogli una falla nello scafo lunga ventuno metri e larga quattordici. Sebbene avesse riportato gravissimi danni, e per gli allagamenti fosse notevolmente abbassato a poppa, l’incrociatore, che era comandato dal capitano di corvetta Luis Gonzales Ubieta, fu portato ad arenarsi all’entrata del bacino in muratura del porto di Cartagena. Entrato nel bacino vi rimase a lavori fino all’11 aprile 1938.

Il siluramento del Miguel de Cervantes, che servì a menomare in maniera consistente la flotta repubblicana, e quindi ad agevolare l’attività operativa di quella nazionalista, ebbe risonanza internazionale. Era noto che la Marina spagnola nazionalista non possedeva sommergibili, ragion per cui il governo di Franco dovette in qualche modo giustificarsi. Il 24 novembre, tramite il suo rappresentante a Roma, il governo nazionalista rese pubblica una dichiarazione nella quale si dichiarava che la sua flotta poteva contare sulla collaborazione “di non pochi sommergibili, alcuni dei quali appartenenti prima ai rossi” erano riusciti a sottrarsi al controllo dei comunisti, e di altri ancora che erano stati catturati nel corso degli scontri navali.

Da parte repubblicana, una commissione di esperti, nominata dal governo di Madrid, esaminando i frammenti del siluro che aveva colpito il Miguel de Cervantes, espresse l’errato convincimento trattarsi di un’arma tedesca e quindi lanciata da un U-boote. L’Ammiragliato britannico, invece, pur non avendo elementi sicuri, fu indotto ad attribuire l’attacco contro l’incrociatore a un sommergibile spagnolo passato alla causa nazionalista, dando con ciò ragione alla tesi artefatta sostenuta dai nazionalisti.

Naturalmente, il governo repubblicano continuò ad accusare del crimine i nazionalisti e i governi che li sostenevano, in particolare quello italiano per la sua interferenza nel conflitto spagnolo. Le proteste però non servirono a scoraggiare il Governo fascista dal continuare l’attività subacquea lungo le coste dell’Andalusia e della Catalogna, aumentando il numero dei sommergibili in missione nell’intendimento di spezzare la corrente dei rifornimenti che giungevano ai repubblicani, trasportati dalle loro navi da carico e da quelle dei paesi che sostenevano il governo di Madrid. In effetti, la presenza dei sommergibili italiani finì per costituire un’insidia silenziosa e temibilissima davanti ai porti iberici, anche se i risultati, dal punto di vista di affondamenti e danneggiamenti di navi rosse, non furono quelli sperati negli ambienti militari e politici romani.

 

L’ attività dei sommergibili tedeschi durante lo svolgimento dell’operazione “Ursula”.

Dell’accordo di Roma del 17 novembre 1936, in cui erano state fissate le modalità per l’impiego delle unità subacquee italiane e tedesche, l’ammiraglio Boehm fu messo al corrente il giorno 24. Sul movimento dei sommergibili italiani e riguardo alle zone operative ad essi assegnate, egli chiese spiegazioni all’Alto Comando della Kriegsmarine. La risposta dell’OKM, giunta il 26, lo mise al corrente che l’attività dei sommergibili tedeschi si sarebbe svolta con la norma di attaccare senza preavviso, durante la notte, le navi sovietiche e tutte quelle unità mercantili che fossero entrate nelle acque territoriali della Spagna navigando sotto la scorta di navi da guerra repubblicane.

Dopo la riunione di Roma del 17 novembre, , e dopo il rientro alla base del sommergibile Torricelli, che concludeva positivamente la prima fase delle operazioni subacquee italiane con il danneggiamento dell’incrociatore Miguel de Cervantes, i due U-Boote, in conformità con le modalità fissate per l’operazione “Ursula”, si apprestavano ad entrare nelle zone di agguato di Almeria e di Malaga.

Salpati il 20 novembre dalla base di Wilhelmshaven, alla foce dell’Elba, l’U-33 e l’U-34 superarono il Canale della Manica il giorno 22. Quindi, simulando durante la navigazione in Atlantico una missione di esercitazione, procedendo in superficie passarono lo Stretto di Gibilterra nella notte fra il 27 e il 30 novembre, per poi raggiungere le previste zone di operazione lungo le coste meridionali della Spagna, ove si trattennero fino alla metà di dicembre. La linea di demarcazione fra i due sommergibili era stata stabilita sul meridiano 0° 44’ ovest, all’altezza di Capo Palos. L’U-34 si portò ad operare ad ovest di tale linea per attaccare le unità navali e di rifornimento rosse davanti a Cartagena; l’ U-33 raggiunse le acque a est di Capo Palos, in vicinanza del porto di Alicante, e si mantenne in quel settore di operazioni che fu limitato fino alla latitudine 38° 43’ nord, presso Capo Nao.

Nel contempo in conformità con le norme che stabilivano il sistema informativo, le torpediniere germaniche Leopard, Luchs e Wolf si alternarono in crociere di vigilanza in prossimità del porto di Cartagena. Gli incrociatori della Marina nazionalista spagnola si dedicavano invece ad operazioni di blocco, fermando tutti i mercantili che apparivano sospetti di esercitare il contrabbando delle armi. In una di queste ispezioni, il 14 dicembre, il Canarias affondò a cannonate il piroscafo sovietico Komsomo (6.700 tsl), incontrato a sud di Cartagena. Si trattò della prima nave sovietica ad essere affondata nel corso della guerra di Spagna, e ciò determinò una dura protesta da parte di Mosca.

Infine la “Legione Condor” della Luftwaffe, che al comando del generale Ugo Speerle, disponeva in Spagna di circa 120 velivoli, inclusi 48 bombardieri Ju. 52 dello Gruppo K. 88, nelle notti del 26 e del 28 novembre, attaccò in forza i porti di Cartagena e di Alicante, senza però conseguire i successi sperati contro le navi mercantili, repubblicane e sovietiche dal momento che queste, come ebbe a lamentare lo stesso Speerle, nelle ore di oscurità si rifugiarono nelle zone neutrali ammesse dai nazionalisti. Le missioni aeree erano state anche pianificate per appoggiare, gli incrociatori nazionalisti Canarias e Cervera, che avrebbero incrociato al largo di Cartagena, ove si sarebbero trovate anche navi tedesche oscurate, destinate al recupero degli eventuali equipaggi degli aerei caduti in mare.

Il Comandante della “Legione Condor” avrebbe voluto che anche la Regia Aeronautica partecipasse alle operazioni aeree contro i porti di Barcellona e Siviglia con gli aerei presenti in Spagna, ed anche partendo direttamente dalla Sardegna. Ma la proposta, trasmessa a Roma, non fu accettata da Mussolini che, preoccupato dalle proteste internazionali, per il fatto che le potenze europee erano contrarie ai bombardamenti, e temendo un grave incidente diplomatico, autorizzò soltanto gli attacchi dell’Aviazione Legionaria delle Baleari, attuati in modo modestissimo con l’impiego di due o tre aerei S. 81 per notte. Naturalmente da parte di Speerle, che contemporaneamente impegnava negli attacchi ai porti formazioni superiori ai trenta bombardieri per notte, senza troppo curarsi delle proteste internazionali, vi fu molta delusione, e il maresciallo Hermann Göring, Capo della Luftwaffe, informato dal suo subordinato, non mancò di sottolineare che gli italiani si stavano tirando indietro.

Contemporaneamente agli attacchi dell’aviazione chiesti da Speerle, ma anche da Franco, la Marina spagnola sollecitò Roma, attraverso il generale Roatta, che era anche desiderata la partecipazione dei sommergibili italiani, che avrebbero dovuto mantenere l’agguato davanti a Cartagena e ad Alicante, per intervenire in caso di uscita delle navi nemiche seguita alle incursioni aeree tedesche. Autorizzata dal Duce, la Regia Marina accolse l’invito della Marina spagnola, e destinò ad agire presso Cartagena e Alicante i sommergibili Sciesa e Torricelli che già operavano da alcuni giorni in quelle zone.

Gli U-boote tedeschi, per evitare di farsi individuare e di causare un incidente internazionale, adottarono la stessa tattica attuata dai sommergibili italiani. Essa consisteva nel manovrare di giorno con navigazione occulta, e quindi nel mantenersi costantemente immersi, attuando ascolto con gli idrofoni, svolgendo frequenti esplorazioni a quota periscopica, e manovrando in superficie nelle ore di oscurità, anche per la ricarica delle batterie degli accumulatori e per reintegrare la riserva d’aria.

Le operazioni offensive dei due U-Boote ebbero inizio il 1° dicembre quando il tenente di vascello Grosse, comandante dell’U-34, attaccò un cacciatorpediniere repubblicano presso Cartagena; ma il siluro lanciato, mancando il bersaglio, andò ad esplodere sulla vicina costa. Il giorno 5 il comandante Grosse fallì un altro attacco contro il cacciatorpediniere repubblicano Almirante Antequera, e l’8 dicembre andò incontro ad una nuova delusione mancando con il siluro, che funzionò male, un’altro cacciatorpediniere tipo Sanchez Barcáiztegui.

Il tenente di vascello Freiwald, comandante dell’U-33, fu ancora più sfortunato, poiché fra il 2 e il 5 dicembre tentò di attaccare in tre occasioni due cacciatorpediniere e, per ultimo, l’incrociatore Méndez Núñez, che era scortato da due siluranti, senza mai riuscire a raggiungere una favorevole posizione d’attacco.

Fu ancora una volta l’U-34 a riuscire a giungere al lancio, questa volta con risultato positivo, conseguendo l’unico successo della missione. Avendo assunto la rotta per rientrare alla base, ma trovandosi ancora presso il porto di Malaga, nel pomeriggio del 12 dicembre avvistò in superficie un sommergibile, poi risultato essere il repubblicano C 3. Il tenente di vascello Grosse si portò a distanza favorevole per l’attacco, e alle ore 14.19, da quota periscopica, lanciò l’ultimo siluro rimastogli, che fu visto raggiungere il bersaglio determinando una forte esplosione. Il C 3 affondò rapidamente ad una distanza di circa 10 miglia dalla costa, e con il sommergibile perirono quarantasette dei cinquanta uomini dell’equipaggio, incluso il comandante l’alfiere Antonio Arbona Pastor.

La causa della perdita dell’unità subacquea spagnola, dapprima imputata dai repubblicani al siluro di un sommergibile nazionalista, fu poi erroneamente attribuita ad un’accidentale esplosione interna.

Il 20 dicembre l’U-33 e l’U-34 rientrarono a Wihelmshaven, terminando le loro missioni che, considerando il gran numero di lanci di siluri falliti, attribuiti sia all’imprecisione delle armi, sia alla mancanza di addestramento degli equipaggi di quei due nuovissimi battelli, non ebbero esiti, tutto sommato, positivi. Comunque, quell’esperienza ebbe la sua importanza, e servi poi per essere messa a profitto tre anni più tardi, all’inizio della seconda guerra mondiale.

Secondo gli accordi presi con gli italiani, alla fine di dicembre altri due sommergibili tedeschi della classe VII-A (U 28 e U 35) avrebbero dovuto sostituire quelli rientrati alla base. Ma questo non avvenne perché nel frattempo, dopo una riunione di capi militari italiani, tenutasi presso il Duce a Palazzo Venezia il 6 dicembre 1936, presente in rappresentanza della Germania il Capo del Servizio Informazioni ammiraglio Canaris, Hitler aveva accettato il suggerimento avanzato in quell’occasione da Mussolini allo stesso Canaris: ossia di lasciare ai sommergibili italiani il compito di bloccare i porti della Spagna repubblicana nel Mediterraneo. Il Duce aveva anche proposto di suddividere i compiti delle due Marine, lasciando a quella Germanica la responsabilità di occuparsi del blocco dei porti rossi sulle coste dell’Atlantico; ma l’idea non fu condivisa dal Führer, il quale, mentre ordinava alla Kriegsmarine di sospendere le operazioni navali offensive nel Mediterraneo – di cui si sarebbe occupata esclusivamente la Regia Marina – si rifiutò di accettare l’idea di bloccare con i propri U-Boote i porti repubblicani del Golfo di Biscaglia.

Riteniamo pertanto che siano in errore lo storico statunitense Willard C. Franck Jr., e tutti coloro che fiduciosamente ne hanno condiviso la tesi, circa le cause del disimpegno navale tedesco nel Mediterraneo, motivandolo soltanto con le difficoltà che la Marina germanica incontrava nella scorta alle navi di rifornimento dirette ai nazionalisti. Hitler si adeguò alla volontà di Mussolini, che intendeva riservare alla sola Regia Marina la responsabilità delle operazioni navali nel Mediterraneo, perché era a sua volta convinto che non conveniva alla Germania di insistere nell’attività navale offensiva in quel mare, in un momento in cui esisteva il rischio di provocare una pericolosa crisi con l’Unione Sovietica, in un momento in cui la Germania, come già abbiamo detto, non era ancora pronta militarmente per respingere un eventuale attacco.

L’ordine di sospendere l’attivita degli U-Boote arrivò alla Kriegsmarine il 10 dicembre dal ministro della Guerra, generale von Blomberg, e conformemente a questa decisione l’indomani 11 il grande ammiraglio Raeder ne informò il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari.

Sull’abbandono dell’attività offensiva da parte dei sommergibili della Kriegsmarine, le cui unità di superficie restarono in Mediterraneo soltanto per continuare a svolgere, su richiesta di Mussolini, la loro preziosa opera informativa, Augusto De Toro, in “L’intervento navale tedesco nella guerra civile spagnola”, (Periodo RID, aprile 1988) ha scritto:

 

“Si concluse in tal modo l’operazione “Ursula” e con essa l’unica operazione bellica condotta dalla Germania sul mare durante la guerra di Spagna. Ebbe fine anche il primo atto di concreta collaborazione navale italo-tedesca tra le due guerre mondiali e di lì a poco sarebbe svanito anche il proposito italiano di costituire uno stato maggiore generale. Berlino non si sentì, alla fine, di correre troppi rischi e di vedere compromessi per un teatro tutto sommato secondario altri obiettivi della sua politica estera. Gli riuscì però anche in questa circostanza di coinvolgere a fondo l’Italia nell’affare spagnolo, di distrarla sul teatro del Mediterraneo lasciandola sola, con tutte le implicazioni che sarebbero potute derivare, a condurre la guerra clandestina.”

 

L’inizio dell’impegno italiano nella penisola Iberica.

ll 18 novembre la Germania e l’Italia riconobbero ufficialmente il governo di Franco, e il successivo giorno 27 il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano riferì all’ambasciatore di Germania von Hassel che Mussolini era pronto a inviare in Spagna un’intera divisione di Camicie Nere, costituita da circa quattromila uomini su quattro battaglioni, e fornita di cannoni e di carri armati veloci. Ma, il Ministro degli Esteri italiano aggiunse che il Duce voleva prima dal generale Franco, a titolo di garanzia, una dichiarazione scritta, nella quale, fra l’altro, il capo del governo nazionalista si doveva impegnare, per l’avvenire a seguire nel Mediterraneo una politica di armonia con quella dell’Italia senza, bene inteso, che l’Italia avanzasse nei confronti della Spagna rivendicazioni territoriali.

Il documento, negoziato dal segretario particolare di Ciano, Filippo Anfuso, e approvato dalle due parti, impegnava il governo di Roma a dare “in avvenire il propria appoggio e aiuto per la conservazione dell’indipendenza e dell’integrità della Spagna”. Sul problema interessante il Mediterraneo occidentale questo documento “segreto” specificava che le due nazioni “dovevano agire in comune accordo dandosi mutua assistenza in vista d’una protezione efficace dei loro rispettivi interessi”.

In realtà questo accordo, al pari di tante altre promesse fatte al momento del bisogno, non fu rispettato dall’astuto Franco, che nel corso della seconda guerra mondiale, nonostante i molti solleciti giuntigli da Mussolini, riuscì a non renderlo operante evitando di schierarsi a fianco dell’Italia e della Germania.

Un motivo di attrito si verificò verso la fine di novembre, a causa della lentezza con cui il generale Franco stava conducendo l’offensiva terrestre tendente alla conquista di Madrid, mentre invece Mussolini e i militari italiani, così come i responsabili tedeschi, desideravano una rapida e vittoriosa conclusione del conflitto. Ed era per questo motivo che alle truppe nazionaliste era stato fornito l’appoggio di carri armati leggeri e di artiglieria italiana,

Dal momento che la resistenza offerta dai repubblicani era tenace, mostrandosi estremamente pessimista sulle possibilità dei nazionalisti di arrivare ad una rapida vittoria conquistando Madrid, il conte Ciano telegrafando a Berlino all’incaricato d’affari in Germania, Massimo Magistrati, per conoscere l’opinione dei tedeschi, che erano ugualmente delusi dalla lentezza delle operazioni da parte di Franco e dei suoi Comandanti, specificò: “Il tempo comincia a lavorare contro di noi”. Il generale Roatta era ancora più pessimista, per la sfiducia riposta nei Comandanti franchismi, e lo trasmise a Roma nella notte tra il 26 e il 27 novembre, aggiungendo che la sola conquista di Madrid non avrebbe rappresentato l’unica possibilità che rimaneva ai nazionalisti per una rapida conclusione della guerra, perché la resistenza dei Repubblicani – il cui governo era stato trasferito da Madrid a Valencia – materialmente appoggiata dai sovietici, sarebbe proseguita altrove.

Pertanto, a meno che non si volessero impiegare Comandi e Grandi Unità italiane e germaniche per dare un decisivo impulso alle operazioni terrestri – cosa che in quel momento trovava parecchie perplessità in Italia e una decisa avversione in Germania – occorreva impiegare “un altro mezzo”, che Roatta considerò essere “più economico, meno complicato et, probabilmente meno gravido di conseguenze, per ottenere indirettamente scopo desiderato”. E specificò che l’obiettivo da raggiungere era quello di stroncare l’appoggio dei sovietici “agendo presto, decisamente et a fondo, sul traffico navale et sui cantieri di costruzione rossi”.

L’alternativa proposta da Roatta, discussa in una riunione presso il Capo del Governo, presenti le più alte cariche militari – meno il Capo di Stato Maggiore Generale, maresciallo Badoglio, non invitato perchè non condividendo la politica spagnola di Mussolini e di Ciano – era quella di influire con un impiego massiccio della Marina e dell’Aviazione sul traffico navale e sui porti. Questo suo concetto Roatta ribadì in un suo telegramma del 1° dicembre, sostenendo:

 

“Il più efficace sistema per impedire valorizzazione milizie rosse da parte Russia est quello di troncare sul mare affluenza personale et materiale sovietici. Se essa cessasse l’effetto morale sui rossi sarebbe enorme ... Se questo, per una ragione qualsiasi non si può ottenere, est da prendere in seria considerazione eventualità intervento grandi unità italiane et germaniche”

 

Lo stesso concetto era condiviso da Göring, ma non da Hitler che avrebbe desiderato arrivare ad un compromesso politico con le maggiori potenze europee. Dei contrasti che si avevano a Berlino circa il modo per arrivare ad una vittoria nazionalista, il 2 dicembre l’Addetto militare italiano nella capitale del Reich, generale Efisio Luigi Marras, faceva pervenire un telegramma al generale Pariani, in cui segnalava che l’incaricato affari Magistrati aveva avuto diversi colloqui con alte personalità germaniche, incluso il Capo della Luftwaffe. Il concetto d’azione di Göring, secondo cui l’Unione Sovietica “ non affacciandosi nel Mediterraneo, non aveva diritto alcuno di farlo solcare dalle proprie navi piene di armi e armati”, doveva essere per l’Italia quello di dare un “alto là” all’URSS, “sostenuto dalla Germania”,. Ciò doveva essere fatto intensificando “la minaccia contro i rifornimenti marittimi dei rossi, facendo “silurare da sommergibili italiani i battelli sovietici carichi di materiale”, ed inviando “10 000 camicie nere e 10 000 uomini delle formazioni SS in soccorso di Franco”.

Questa era la situazione a Berlino, quando il mattino del 6 dicembre, in un clima pesante perché anche la terza offensiva nazionalista sul fronte di Madrid sembrava destinata a fallire per la resistenza dei rossi, si svolse a Roma una importante riunione presso Mussolini, che aveva convocato a Palazzo Venezia le seguenti alte personalità: il Ministro degli Esteri Ciano; i sottosegretari e capi di stato maggiore dell’Esercito, dell’Aeronautica e della Marina, generali Pariani e Valle e ammiraglio Cavagnari; il generale Roatta, fatto arrivare appositamente dalla Spagna; e l’ammiraglio Canaris (alias Ivonweile), inviato dal Ministro della Guerra della Germania Von Blomberg, in rappresentanza delle Forze Amate tedesche.

Durante la conferenza, avendo l’ammiraglio Canaris confermato che la resistenza dei repubblicani in Spagna era resa possibile dal materiale inviato dalla Russia, Mussolini sostenne la necessità di intensificare le operazioni di blocco, misura chiesta insistentemente da Franco, e che Roatta aveva caldeggiato. Il Duce chiese che anche la Germania vi concorresse, aumentando i suoi aerei da bombardamento della Legione Condor presente in Spagna, per bombardare i porti repubblicani, mentre le navi tedesche avrebbero dovuto continuare a incrociare nel Mediterraneo quali unità di vigilanza, mantenendosi in collegamento con il Comando della Regia Marina.

Mussolini, da parte sua, si disse pronto ad aumentare il numero dei sommergibili in missione lungo le coste nemiche, portandolo dagli attuali due a sei o otto e ne dette la seguente spiegazione, riportata nel verbale della riunione:

 

“In questo momento noi dobbiamo effettuare una vera “corsa al mare”. E’ mia convinzione che la soluzione della situazione spagnola si potrà ottenere dal mare. Il giorno cioè in cui avremmo bloccato i porti rossi del Mediterraneo il Governo di Valencia si renderà conto che la partita è perduta. Bisogna tener conto che, tanto in

Italia che in Germania, occorrono due mesi per l’istruzione delle grandi unità. In questo periodo soprattutto bisognerà rendere impossibile ogni traffico nel Mediterraneo in direzione della Spagna, adoperando nella maniera più effettiva aviazione e sottomarini. Per obbedire al principio della divisione del lavoro tra Italia e Germania e per l’evidente facilità che ha l’Italia di servirsi dell’arma sottomarina nel Mediterraneo, il Duce ritiene che la Germania possa essere dispensata dall’inviare sottomarini sulle coste spagnole; evidentemente se il Governo tedesco volesse con correre all’azione sottomarina, è liberissimo di farlo, ma il Duce è d’avviso è più opportuno e più utile che i sottomarini vengano impiegati dall’Italia. Egli è disposto a portare il numero dei sottomarini operanti nelle acque spagnole da due a otto, in maniera da arrivare di impedire il traffico di armi presso i porti rossi silurando tutti i bastimenti che sono nelle acque territoriali spagnole.”

 

Su questa esposizione di Mussolini si accese la discussione che riportiamo integralmente:

 

“Circa l’impiego dell’arma sottomarina, l’Ammiraglio Canaris stima necessario che i sommergibili vengano aumentati ed è d’accordo col Duce nel ritenere che il compito del blocco venga devoluto all’Italia.

Il Duce domanda a S.E. il Sottosegretario di Stato alla Marina quali sono le possibilità di attacco da parte dei sottomarini alle navi dirette ai porti spagnoli rossi del Mediterraneo.

L’Ammiraglio Cavagnari fa un’esposizione dell’attività dei sottomarini nelle acque spagnole e delle difficoltà che incontrano le nostre unità ad identificare ed avvicinare i piroscafi. A conferma di quanto egli espone viene ascoltata una relazione verbale del Comandante del sottomarino “Torricelli” il quale rende conto delle difficoltà dei siluramenti nelle acque territoriali spagnole e degli ostacoli dell’identificazione dei navigli.

L’Ammiraglio Cavagnari ritiene che nelle acque territoriali spagnole, anche facendo un bando, i siluramenti sono effettivamente difficili, mentre, in caso di equivoco, potrebbero sorgere gravi complicazioni internazionali.

Il Duce, pur rendendosi conto delle difficoltà esposte dall’Ammiraglio Cavagnari, dispone che venga aumentata la pressione dei sottomarini sulle coste spagnole.

Viene successivamente esaminata dal Sottosegretario alla Marina anche la possibilità di armare dei piroscafi che battano le coste spagnole, facciano alzare bandiera ai piroscafi in navigazione, seguano e segnalino ai sommergibili la rotta dei piroscafi in navigazione.

Il Duce conclude che il compito dell’azione sottomarina nel Mediterraneo sarà affidato agli italiani, mentre eventualmente e possibilmente la Marina tedesca potrà agire nell’Atlantico.

Egli prospetta l’eventualità di aumentare i sottomarini da due a otto e stabilisce poi che qualora non sia immediatamente possibile, per ragioni di distanza, di rifornimenti, etc., portarli da due a otto, essi vengano aumentati da quattro a sei.

S.E. Ciano insiste sulla necessità dell’intensificazione dell’azione sottomarina proponendo che per lo meno venga distaccato un sommergibile per ogni porto spagnolo.

L’Ammiraglio Canaris prospetta l’opportunità che vengano anche inquadrati nella Marina spagnola degli elementi italiani e tedeschi come ufficiali e sottoufficiali.

Viene infine concordato, dietro indicazione del Duce, che le Marine italiana e tedesca si tengano in contatto, attraverso opportune riunioni per stabilire i dettagli circa i l’azione da svolgere.”

 

In definitiva, le discussioni del 6 dicembre costituirono una svolta radicale nei confronti del sostegno che Italia e Germania offrivano ai nazionalisti, arrivando ad un accordo pieno e completo. Tuttavia occorre dire che mentre da parte del Duce era espressa grande determinazione nell’appoggiare la causa nazionalista con l’attività occulta dei sommergibili, molta cautela, per le conseguenze politiche che potevano derivarne, esisteva nel generale Franco.

Nella notte sul 14 dicembre il tenente colonnello Emilio Faldella trasmise a Roma, da Salamanca, una comunicazione del capitano di vascello Ferretti circa le consegne che erano state date per la guerra di blocco alle unità navali della Marina nazionalista che quello stesso giorno avevano affondato il piroscafo sovietico Komsomol. Consegne che, secondo quanto il capo della missione navale italiana aveva dichiarato essergli state riferite dallo stesso generale Franco, prevedevano di sequestrare soltanto piroscafi di nazionalità sovietica che trasportassero accertato contrabbando di guerra.

E questo, aveva specificato il generalissimo, “per non provocare un allargamento del conflitto di cui si sentirebbe responsabile verso le nazioni amiche che ne potrebbero essere coinvolte”, e temendo un intervento della flotta sovietica e della Francia, “con particolare riferimento al caso in cui [egli] dovesse rimanere a fronteggiarlo da solo”.

Astutamente, volendo avere le spalle protette, Franco aveva concluso affermando di essere “disposto a dare alla guerra al traffico quella forma che nazioni amiche potranno consigliare”, ragion per cui restava in attesa di comunicazioni al riguardo.

Queste richieste del generale Franco arrivavano in un momento particolarmente delicato, in cui a Roma si stava ancora discutendo sulle modalità e sulla qualità dell’appoggio da concedere alla causa nazionalista. Si trattava, per sostenere le operazioni di blocco, di prendere impegni con Franco che poi occorreva rispettare fino alle estreme conseguenze; e ciò avveniva proprio mentre si verificava un certo defilarsi da parte della Germania, dal momento che l’ammiraglio Canaris aveva affermato di ritenere giusto “che il compito del blocco” navale dovesse essere “devoluto all’Italia”. Defilarsi, che portava a scaricare su Roma l’onere politico e militare maggiore dell’aiuto a Franco, e che il famoso storico statunitense Coverdale, ha acutamente commentato nel suo famoso libro, “I fascisti italiani alla guerra di Spagna”, ( p. 151-152) come segue:

 

“Il rifiuto di Canaris di assumersi qualsiasi impegno per l’invio di truppe tedesche in Spagna era frutto di una evoluzione fondamentale avvenuta nella politica tedesca [in quanto] il trattato segreto stipulato tra Roma e Burgos, fatto immediatamente conoscere ai tedeschi dagli italiani, indusse Berlino a pensare che gli interessi di Roma in Spagna fossero molto più importanti dei propri ...

I tedeschi erano lieti che l’impegno italiano in Spagna aumentasse, perché esso non minacciava interessi tedeschi e perché dava una certa sicurezza che l’Italia non si sarebbe lasciata indurre ad abbandonare la Germania da prospettive di interesse con Londra e Parigi ... Se gli italiani aspiravano ad una posizione privilegiata in Spagna, essi non potevano aspettarsi che fosse la Germania a pagarne il prezzo.

La Germania stava provvedendo al proprio riarmo e non poteva permettersi di continuare ad inviare enormi quantità di armi alla Spagna.”

 

A questo ultimo riguardo occorre dire che fino ad allora la Germania aveva inviato ai nazionalisti mezzi e equipaggiamenti molto superiori a quelli ceduti dall’Italia.

Sebbene non intendesse abbandonare del tutto l’appoggio a Franco, Hitler badava a non provocare la Gran Bretagna e la Francia, inviando in Spagna, dopo la i reparti aerei della “Legione Condor, anche forze terrestri, a scapito del proprio programma di riarmo. Pertanto, come riferì il Führer il 21 dicembre, per la Germania era vantaggioso “vedere l’Italia impegnata per lungo tempo in Spagna”.

Fu sulla base di queste considerazioni che fin dal 2 dicembre Hitler aveva deciso di lasciare agli italiani la preminenza delle operazioni in terra iberica. Pertanto l’afflusso dei rifornimenti tedeschi a Franco, che nel novembre 1936 – anche per il trasporto di uomini e mezzi della Legione Condor – erano stati assicurati ai nazionalisti mediante l’impiego di ventisei piroscafi, calò nel gennaio 1937 a sole dodici navi da carico, che però portarono ugualmente in Spagna un’ingente quantità di armi e di equipaggiamenti.

I rifornimenti ai nazionalisti da parte della Germania sarebbero comunque continuati ad affluire in misura notevole fino al termine della guerra, in particolare sotto forma di automezzi, cannoni e quattro battaglioni carri armati al comando del colonnello Ritter Wilhelm von Toma,. Questo aiuto smentisce l’idea, avanzata da molti storici, che Hitler, non inviando truppe, avesse volutamente mirato ad un prolungamento della guerra, per tenervi impegnata l’Italia, con l’obiettivo di attirare l’allora tibutante Mussolini in un’alleanza più stretta tra Germania e Italia, a scapito di un riavvicinamento dell’Italia con Inghilterra e la Francia. Si deve invece ritenere che il Führer si era reso conto di non essere pronto a sostenere il peso di un conflitto con la Gran Bertagna e la Francia, al cui fianco avrebbe potuto schierarsi anche l’Unione Sovietica. Egli, pertanto, con la Germania che si stava ancora riarmando, preferì agire con molta cautela, dando a Franco gli aiuti indispensabili per contribuire a fargli vincere la guerra, evitando nel contempo di aumentare gli attriti con le varie potenze europee, in un momento in cui le sue mire erano di altra natura, come poi avrebbe dimostrato nel corso del 1938, con l’annessione alla Germania prima dell’Austria e poi della Cecoslovacchia. In questo gli serviva il sostegno dell’Italia, che fu pertanto lasciata libera di giocare la sua partita politica e strategica in Spagna.

L’impegno italiano nella penisola iberica ebbe inizio il 22 dicembre 1936, quando i primi 3.000 soldati sbarcarono a Cadice dal piroscafo Lombardia. Altri 5.000 vi giunsero nel gennaio 1937, andando a costituire, inquadrate nella brigata legionaria chiamata “Dio lo Vuole”, e di due brigate miste italo-spagnole (Frecce Nere e Frecce Azzurre) il primo nucleo del Corpo Truppe Volontari (C.T.V.). IL Comando fu assunto dal generale Roatta, che ne aveva ricevuto l’incarico da Mussolini, con la lettera n. 23 del 7 dicembre 1936, con l’ordine di “applicare senza indugio le riforme stabilite nella riunione italo-germanica del 6 dicembre XV a Palazzo Venezia”.

Roatta prese sotto il suo comando anche l’Aviazione delle Isole Baleari, dando al maggiore Leone Gallo, che ne era il comandante, le seguenti direttive, trasmesse il 16 dicembre:

 

1°) Approntare un aeroporto il più possibile attrezzato per farvi operare una formazione di bombardieri veloci (S. 79), con i quali “concorrere alla scoperta e repressione del traffico marittimo di materiale e personale bellico a favore dei rossi”.

 

2°) “agire, in concorso con le altre forze aeree, o navali, contro le coste rosse mediterranee”, nella zona assegnata tra il confine francese e Capo San Antonio. In tale zona gli obiettivi principali, da battere con bombe di grosso calibro per causare alle navi i danni più gravi – come suggerito dal Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Valle – erano rappresentati dai porti di Barcellona e di Valencia.

 

Il C.T.V. entrò in azione ai primi di febbraio per la battaglia di Malaga, inquadrato nell’armata Andalusa del generale Quiepo de Llano.

L’invio delle truppe italiane, che in stretto contatto con il generale Pariani era regolato nel ministero degli Esteri dal nuovo Ufficio Spagna, messo da Ciano alle dipendenze del giovane conte Luca Pietromarchi, sarebbe continuato ininterrotto fino al 16 aprile 1937. Entro quella data vennero trasportati nella penisola iberica 52.000 uomini, 3.894 automezzi e carri armati, centinaia di cannoni, decine di apparecchi da caccia, e circa 40.000 tonn. di materiale e rifornimenti, con l’impiego da parte della Marina italiana di 57 navi da trasporto; queste ultime, senza tener conto degli spostamenti navali che si svolsero tra i porti spagnoli, eseguirono nei due sensi, fra l’Italia e la Spagna, un totale di 148 viaggi.

Nei periodi successivi della guerra, nonostante le limitazioni imposte dagli accordi internazionali sul non intervento, vennero ancora trasportati via mare nella penisola iberica altri 18.000 uomini, nonché ingenti carichi di materiali e di armi, che raggiunsero complessivamente le 160.000 tonn. A questo ingente sforzo logistico della Regia Marina, che comportò l’impiego di numerose unità di superficie per le scorte navali, e che permise di tenere in attività per tutto il periodo della guerra un corpo di spedizione di circa 40.000 uomini dell’Esercito e della Milizia, si aggiunse quello della Regia Aeronautica che partecipò allo sforzo bellico con circa 6.000 uomini, fra il personale di volo e specialisti, e con un totale di 764 aerei di tutti, quantificati in: 197 bombardieri, 376 caccia, 23 velivoli d’assalto, sessantotto ricognitori, a cui sono da aggiungere gli idrovolanti.

Questo sforzo complessivo fu compiuto dalle Forze Armate del Regno senza che Roma si preoccupasse di reintegrare il materiale consumato o ceduto ai nazionalisti, mentre invece i sovietici si facevano pagare il materiale ceduto ai repubblicani con l’oro della Banca di Spagna, trasferito in Russia fin dall’ottobre 1936.

 

Le riunioni di Ceuta e di Cadice per fissare gli accordi di collaborazione per l’attuazione del blocco navale, tra Spagna, Italia e Germania

Dopo la riunione di Palazzo Venezia del 6 dicembre 1936, si svolsero in Spagna due riunioni di carattere navale, presenti alti ufficiali tedeschi, italiani e spagnoli nazionalisti, per discutere gli accordi di collaborazione per l’attuazione del blocco navale contro il traffico diretto alla Spagna repubblicana; accordi che poi entrarono in vigore nel corso del mese.

Durante una prima riunione informale, promossa il 10 dicembre 1936 a bordo dell’incrociatore Nurberg, ancorato nel porto di Ceuta, dal contrammiraglio Hermann Boehm, Comandante delle Forze di Esplorazione della Marina germanica dislocate nel Mediterraneo, furono affrontate le modalità dell’aiuto da accordare nel settore operativo e nel sostegno logistico alla Marina nazionalista spagnola. Alla riunione, parteciparono, da parte della Marina nazionalista l’ammiraglio Cervera e, in rappresentanza della Marina italiana, il capitano di vascello Giovanni Romedio Ferretti, il quale pur essendo il Capo della Missione Navale italiana in Spagna, si trovava alle dirette dipendenze del generale Roatta, con l’incarico di mantenere il collegamento tra il Comando del C.T.I. e il Comando navale nazionalista.

Nel verbalizzare le svolgimento delle discussioni, il comandante Ferretti fornì un quadro preciso delle difficoltà della Marina nazionalista a mantenere il blocco sulle coste della Spagna rossa, essendole allora rimasto disponibile il solo incrociatore Canarias, poiché gli altri due, il Baleares e il Cervera, si trovavano ancora in arsenale per lavori di messa a punto.

Nel sottolineare l’urgente richiesta di aiuti avanzata dal Capo di Stato Maggiore della Marina nazionalista, quantificata in sei cacciatorpediniere e sei sommergibili, Ferretti fece conoscere a Roma che l’ammiraglio Cervera, per la dignità dei suoi ufficiali, aveva messo bene in chiaro di non ammettere ingerenze degli italiani e dei tedeschi nella condotta delle operazioni belliche, le quali dovevano rimanere esclusivamente di sua competenza. Con ciò Cervera respingeva l’idea di costituire a Cadice uno stato maggiore misto, con rappresentanti navali delle tre nazioni, che era la tesi caldeggiata da Roma e da Berlino, e rispondendo ad una proposta fattagli dall’ammiraglio Boehm, affermò orgogliosamente: “Non ci manca chi dia ordini. Noi abbiamo i nostri Ammiragli”.

Conseguentemente, nel corso di quella prima riunione informale, l’unica concessione ammessa dall’ammiraglio Cervera fu quella di accettare che ufficiali italiani e tedeschi facessero parte del Comando della Marina a Cadice, e di impiantare in loco un servizio informativo alle dipendenze dei capi della missione navali che risiedevano a Salamanca.

Una seconda conferenza, dai contenuti ben più importanti perché fissavano le basi per una più stretta collaborazione, nel campo operativo, del Comando della Marina nazionalista con le Marine italiana e tedesca, si svolse il 30 dicembre a Cadice. Vi parteciparono, a bordo dell’incrociatore Canarias, in rappresentanza della Marina spagnola l’ammiraglio Cervera e il Comandante della flotta, capitano di vascello Francisco Moreno e, in rappresentanza delle marine germanica e italiana, il contrammiraglio Hermann von Fischel, arrivato a Cadice con la corazzata tascabile Admiral Graf Spee, e il contrammiraglio Angelo Iachino, giunto a Tangeri con il cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, presente anche il comandante Ferretti.

Le discussioni furono aperte dall’ammiraglio Cervera, ringraziando “gli Ammiragli tedesco e italiano per la collaborazione che le due marine” stavano “dando a quella spagnola nazionalista”,. Entrando poi nel concreto degli argomenti da discutere, egli ribadì la necessità “che la direzione della guerra navale” dovesse restare nelle sue mani, e quindi della Marina spagnola, ed auspicò la più utile “collaborazione fra le tre marine” alleate, anche nel campo informativo e di più sicure comunicazioni: concetti che gli ammiragli von Fishel e Iachino dichiararono di condividere.

L’ammiraglio Cervera passò quindi ad esporre le richieste della Marina nazionalista, dichiarando che, per le sue necessità di guerra al traffico, agendo contro i piroscafi contrabbandieri nelle zone tra Cartagena e Capo Cruez, desiderava la cessione, da parte della Regia Marina, di sei cacciatorpediniere modernissimi e sei esploratori, nonché di aiuti per adattare il porto di Palma di Maiorca, come base per gli incrociatori che dovevano essere impegnati in compiti esplorativi ed eventuali bombardamenti costieri nel tratto tra Capo Sant’Antonio e Capo Cruez, da svolgere sui porti e sulle unità navali nemiche.

Infine, Cervera, auspicava di poter condurre anche una guerra di mine nelle acque territoriali repubblicane, mediante sommergibili e piroscafi adeguatamente attrezzati, da impiegare nelle zone di Valencia e di Capo Cruez; e ciò allo scopo di ostacolare il più possibile il traffico diretto alla Spagna. Anche nei confronti di quelle navi neutrali che, pur non esercitando il contrabbando di guerra, potevano essere utili alla resistenza dei repubblicani e dannose alla causa dei nazionalisti.

A queste richieste di sostegno logistico e militare, di non poco conto nel campo politico, l’ammiraglio Iachino rispose che l’Italia non poteva cedere cacciatorpediniere, perché il trattato di Londra del 1936 – che non era ancora stato firmato dal governo italiano – proibiva la cessione di navi da guerra a paesi impegnati in conflitti armati. Iachino spiegò che l’eventuale cessione alla Marina spagnola nazionalista di navi italiane, creando un precedente, avrebbe potuto portare a gravi ripercussioni internazionali di cui occorreva tener conto. L’ammiraglio von Fisher condivise questa opinione del collega italiano e, mettendo le mani avanti, dichiarò che in ogni caso la Germania non poteva cedere cacciatorpediniere, avendone disponibili soltanto un numero limitato.

L’ammiraglio Cervera, mostrandosi non convinto delle giustificazioni espresse dai due ufficiali alleati, continuò ad insistere sulla necessità di ricevere i richiesti cacciatorpediniere; ed aggiunse, pur di ottenerne, che anche qualche unità di tipo più antiquato poteva ugualmente risultare utile per la scorta antisommergibile ai suoi incrociatori. Con un comportamento alquanto diplomatico, per non impegnarsi con promesse difficili da mantenere, Iachino e von Fishel risposero che la questione sarebbe stata riesaminata una volta che fosse stata accertata l’esistenza in Mediterraneo di sommergibili sovietici, che si sospettava fossero stati inviati in appoggio a quelli repubblicani, che fino a quel momento avevano dimostrato una efficienza operativa molto scarsa

Passando ad affrontare la spinosa questione del fermo delle navi neutrali, che stava generando accese proteste in Europa, soprattutto da parte dell’Unione Sovietica, giustificata dai nazionalisti coll’esercitare il diritto di visita anche al di fuori delle acque territoriali, Iachino e von Fishel fecero notare all’ammiraglio Cervera la necessità di dover studiare bene le istruzioni da impartire alle proprie unità navali, “onde evitare differenze di trattamento ed eventuali incidenti diplomatici” con le varie nazioni.

Cervera assicurò che avrebbe chiesto all’ambasciata britannica il permesso di visitare le navi del Regno Unito, e dopo aver esaminato a fondo la questione, si ripropose di emanare precise norme per la guerra al traffico, per poi darne copia ai due rappresentanti delle marine alleate.

Infine, nel “Verbale di Riunione”, vennero fissarono, tra i tre rappresentanti delle marine nazionalista, italiana e germanica, norme di collaborazione operativa, le quali stabilivano che la guerra marittima sarebbe stata “diretta dall’Ammiraglio Spagnolo con la collaborazione delle frazioni delle Marine Tedesca e Italiana destinate a tale scopo”, con le unità spagnole che avrebbero protetto il proprio traffico attraverso lo Stretto di Gibilterra, ed attaccato quello di contrabbando nemico partendo dalla base di Palma di Maiorca, nelle Baleari. Sarebbero state poi emanate “norme dettagliate circa il trattamento da farsi ai piroscafi di qualunque nazionalità incontrata”. I tedeschi si impegnavano ad impiegare dragamine – anche sulle zone settentrionali del Mare Cantabrico – e ad esercitare ricognizioni ed attacchi sulle coste nemiche con gli aerei da bombardamento, mentre gli italiani avrebbero mantenuto in agguato i “Sommergibili lungo la costa Este della Spagna”, impiegato dragamine dalla base di Palma, ed esercitato con l’aviazione, sempre da Palma, voli di ricognizione per vigilanza verso la costa spagnola ed impiego di velivoli da bombardamento.

Al termine delle discussioni, l’ammiraglio Cervera era rimasto alquanto contrariato e sorpreso, per l’incomprensione che i rappresentanti delle due marine amiche avevano dimostrato riguardo la sfavorevole situazione navale in cui si dibatteva la sua flotta. Iachino e von Fisheli, esponendo l’importanza del Canale di Sicilia come punto focale più favorevole per intercettare i rifornimenti destinati ai repubblicani, nel suggerire alla Marina nazionalista di esercitare la sorveglianza delle zone di mare ad occidente delle Isole Baleari con le unità di superficie, e di sbarrare le entrate ai porti della Spagna rossa con mine e vedette veloci, mostravano di dimenticare un fatto molto importante; ossia che la Marina nazionalista non si trovava al momento in condizione di dominare il mare.

Le mancavano incrociatori sufficientemente armati e forniti di munizioni, ma soprattutto non possedeva cacciatorpediniere, le sole unità di superficie che erano in grado di assicurare un buon funzionamento del blocco navale. Erano questi i motivi per cui Cervera aveva chiesto insistentemente al rappresentante italiano la cessione di cacciatorpediniere; ma dall’ammiraglio Iachino egli ricevette soltanto la promessa che l’Italia avrebbe preso in considerazione l’idea di cedere alcuni sommergibili, con parte del personale italiano, che avrebbe indossato la divisa della Marina nazionalista.

In quel momento, dal punto di vista operativo, l’attività bellica che stavano realizzando i sommergibili della Regia Marina, l’appoggio fornito ai nazionalisti era di grande consistenza, mentre invece, riguardo agli aiuti richiesti dai nazionalisti in unità navali, Italia e Germania, per motivi di opportunità politica, si dimostrarono piuttosto avare. Alla fine di ottobre 1936 i tedeschi avevano ceduto alla Marina di Franco solo cinque motosiluranti (da S. 1 a S. 6) , che poi, una volta giunte a destinazione a bordo di piroscafi germanici, vennero impiegate per pattugliare lo Stretto di Gibilterra e per posare sbarramenti di mine lungo le coste repubblicane.

Da parte italiana, invece, furono ceduti quattro M.A.S.. Ma fu soltanto il 10 marzo 1937 che vennero consegnati i primi due, il MAS 435 e il 436, poi chiamati dagli spagnoli Candido Pérez e Javier Quiroga. Di essi, il secondo andò perduto per una collisione nelle acque dello Stretto di Gibilterra il successivo 7 maggio, e non fu rimpiazzato. Gli altri due, il MAS 100 e il 223, furono trasferiti in Spagna a bordo del piroscafo Ernani, salpato dalla Spezia nella notte del 9 gennaio 1937. Vennero consegnati alla Marina nazionalista il 16 aprile, che li ribattezzò Napoles e Sicilia.

 

L’attività dei sommergibili italiani fino al febbraio del 1937

Subito dopo la riunione di Palazzo Venezia del 6 dicembre 1936, uniformandosi alle disposizioni impartite del Duce, l’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina pianificò per i sommergibili un’altra serie di missioni, che ebbero inizio il giorno 9 del mese, quando presero il mare da Cagliari il Glauco, l’ Otaria e lo Jalea, mentre il Galileo Ferrarsi salpò dalla Maddalena. I quattro sommergibili restarono nelle zone di agguato di Cartagena, Capo Palos, Barcellona e Valencia fino al 25 dicembre; ma soltanto l’Otaria (capitano di corvetta Alessandro Marrone), il 20 gennaio riuscì a realizzare una manovra di attacco, a breve distanza dal porto di Cartagena, lanciando, contro un cacciatorpediniere repubblicano, un siluro che, mancando il bersaglio, andò a scoppiare contro la diga foranea del porto.

Anche i sommergibili che seguirono nelle missioni di guerra fino alla fine dell’anno 1936, (Toti, Manara, Delfino, Tazzoli, Jalea – alla sua 2^ missione –, Fieramosca, De Geneys), pur essendo andati al lancio in più occasioni, non ebbero fortuna. L’Enrico Tazzoli (capitano di corvetta Mario Leoni), in agguato davanti a Cartagena, effettuò tre attacchi con lancio a vuoto di quattro siluri, uno dei quali, nella notte sul 27 dicembre, diretto contro un cacciatorpediniere del tipo “Almirante Valdes”. L’Ettore Fieramosca (capitano di corvetta Mario Bartalesi), quella stessa notte sul 27, trovandosi presso Valencia, attaccò in superficie l’incrociatore “Mendez Nuňez”, diretto in porto con la scorta di due cacciatorpediniere, ma i tre siluri lanciati fallirono il bersaglio.

Infine lo Jalea (capitano di corvetta Silvio Garino), nello spazio di poche ore, tra la notte del 25 e il mattino del 26 dicembre, trovandosi in agguato presso Barcellona, lanciò a vuoto tre siluri contro due navi mercantili. Uno dei siluri, che al secondo attacco aveva fallito la motonave spagnola “Villa de Madrid”, finì sulla spiaggia senza esplodere. Rintracciato, recuperato ed esaminarono a bordo dell’incrociatore Mendez Nuñez, fornì ai repubblicani la prova che si trattava di un arma italiana, un siluro Whitehead costruito a Fiume, ed essi ne sfruttarono il grande valore propagandistico per dimostrare all’opinione pubblica internazionale che i sommergibili della Regia Marina operavano in appoggio alle forze navali di Franco.

Il motivo che non permise ai sommergibili italiani di ottenere risultati positivi contro il traffico repubblicano, era dovuto alle istruzioni e alle raccomandazioni che erano state impartite dall’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina. Ai battelli subacquei erano state imposte diverse restrizioni operative, dando ai comandanti l’ordine di evitare il siluramento al di fuori del limite di zona assegnata, e di portare a fondo gli attacchi soltanto contro le navi da guerra o i mercantili chiaramente identificati per repubblicane o sovietici, e contro le navi che transitavano a luci oscurate nelle zone prescritte per l’agguato.

Per motivi precauzionali, nel corso delle missioni belliche i sommergibili, imbarcarono un ufficiale della Marina spagnola nazionalista, che doveva figurare quale comandante in caso di forzata emersione in vicinanza di unità neutrali, e che doveva anche essere utile per facilitare il riconoscimento della costa e delle navi avvistate.

Come avevano previsto gli ammiragli Canaris e Cavagnari, le restrizioni operative furono effettivamente un serio ostacolo per l’attività dei sommergibili italiani, dal momento che, per essi, era assai difficile di poter identificare con sufficiente sicurezza una nave mercantile che navigava con falsa bandiera. A questo riguardo, in uno studio compilato al termine della guerra di Spagna, per conto della Regia Marina, dal capitano di fregata Candido Bigliardi, è riportato quanto segue:

 

“Le conseguenze prevedevano dunque che in ogni caso, prima di agire offensivamente, doveva essere effettuato, rimanendo naturalmente in immersione, il riconoscimento del bersaglio.

Questo ordine tassativo mirò ad evitare incidenti e gravi complicazioni con le potenze più interessate nel Mediterraneo, specie con quelle che, anche dopo la nostra vittoriosa campagna d’Etiopia, non avevano ristabilito con noi rapporti politici normali.

Queste istruzioni resero evidentemente assai difficile l’azione offensiva dei comandanti perché, mentre fu sempre possibile e relativamente semplice il riconoscimento delle navi da guerra tanto più che le spagnole avevano un profilo nettamente diverso da quelle degli altri Paesi, fu sempre assai difficoltoso e spesso impossibile il riconoscimento delle navi mercantili. Per queste infatti la nazionalità non poteva considerarsi accertata che dopo il riconoscimento della bandiera o la lettura sulla poppa del nome della nave e del porto di armamento. Poiché i piroscafi in mare largo navigavano generalmente senza bandiera, la lettura del nome sulla poppa della nave era il solo mezzo di accertamento.

In questo modo però quando il riconoscimento era fatto, era anche nella maggior parte dei casi, superata la posizione favorevole per eseguire l’attacco.

Durante il periodo considerato, da metà novembre a metà febbraio, furono infatti iniziati dai sommergibili 161 attacchi; di essi soltanto 15 furono portati a fondo; gli altri dovettero essere interrotti per incertezza sulla identità del bersaglio, per mancato tempestivo riconoscimento o perché risultò trattarsi di navi spesso visibilmente con carico di contrabbando, ma con bandiera di una Potenza non contemplata nell’ordine di operazione.

Le limitazioni imposte ai sommergibili hanno quindi spesso fatto mancare occasioni, dimostrando ancora una volta che le possibilità di successo di questo particolare tipo di nave si riducono enormemente allorché la sua azione è vincolata.

Alcuni sommergibili furono anche impiegati in operazioni di bombardamento di obiettivi terrestri di particolare importanza dal punto di vista bellico, più allo scopo di pressione morale che per ottenere effettivi risultati.

Queste azioni furono sempre eseguite di notte, a distanza, dopo un accurato riconoscimento dei punti da battere effettuato di giorno in immersione. Esse furono sempre caratterizzate dalla rapidità di fuoco in modo di non dare tempo alla reazione costiera di intervenire.”

 

Malgrado le tante difficoltà incontrate delle unità subacquee italiane nelle acque territoriali repubblicane, la loro presenza finì tuttavia per causare notevole allarme nell’ambito della Marina repubblicana. I suoi comandi, molto prudenti sin dall’inizio della guerra, dopo il danneggiamento dell’incrociatore Miguel de Cervantes per opera del Torricelli, erano divenuti ancora più timorosi, evitando di avventurarsi in zone ove sapevano esistere una reale minaccia di subacquea, resa ancora più preoccupante per la presenza di sbarramenti minati posati dalle navi di superficie nazionaliste.

Nonostante le grandi speranze riposte dai nazionalisti nelle operazioni di blocco, attuate dai sommergibili, nelle due prime settimane di gennaio 1937 l’attività delle unità subacquee italiane davanti ai porti della Spagna rossa, svolta da “Calvi”, Archimede, Berillo e Sirena, continuò a causare ai repubblicani pochi disturbi e qualche allarme.

Soltanto il Pietro Calvi (capitano di corvetta Alberto Beretta), nella notte dell’8 gennaio ebbe l’occasione di concludere due manovre di attacco, con lancio di due siluri contro altrettanti piroscafi spagnoli, il Villa de Madrid incontrato a largo di Culera e il Ciudad de Barcelona presso Capo San Antonio, ma le armi ancora una volta fallirono il bersaglio. Lo stesso sommergibile ebbe poi l’ordine di bombardare la zona industriale di Valencia, che realizzò sparando, con i due pezzi da 120 mm e dalla distanza di 10.000 metri, settantuno granate dirompenti contro i cantieri e i depositi di petrolio.

Ma un notevole incremento dell’attività bellica della Regia Marina era ormai matura, e questa si concretò dopo l’arrivo a Roma, alla metà di gennaio 1937, del maresciallo del Reich Göring, venuto per discutere e concordare con Mussolini una nuova politica militare italo-tedesca, da attuare nei confronti di Franco. I motivi dell’arrivo di Göring nella capitale italiana risiedevano sul fatto che Hitler, oltre a voler concordare l’atteggiamento da tenere in Spagna impostando una comune condotta dell’intervento della Germania e dell’Italia, voleva rendersi conto delle reali intenzioni di Mussolini.

Il Duce, infatti, aveva due obiettivi: non farsi superare dalla Germania nell’acquisto di meriti verso Franco; e nel contempo indurre il Regno Unito al riconoscimento dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana. Per questo secondo obiettivo, il 2 gennaio, Mussolini aveva realizzato con il Governo di Londra un accordo, denominato Gentlement’s Agreement, firmato dal conte Ciano e dall’ambasciatore di Gran Bretagna a Roma Eric Drummond. Accordo che impegnava i governi delle due nazioni a conciliare i rispettivi interessi nel Mediterraneo, e a non modificare la sovranità degli stati che si affacciavano in questo mare. Ciò, in pratica, significava l’impegno dell’Italia a rinunciare a mire espansionistiche sul territorio della Spagna, soprattutto nei confronti delle Isole Baleari.

Ma il motivo principale dell’arrivo a Roma di Göring, e del colloquio con Mussolini che si svolse il 14 gennaio a Palazzo Venezia, era pur sempre la questione spagnola.

Dopo l’arresto sul fronte di Madrid, Franco aveva assunto un atteggiamento alquanto cauto, non condiviso dal Duce e dal Führer, che vedevano sempre più allontanarsi la possibilità di concludere l’avventura spagnola, favorevolmente in tempi brevi, Pertanto occorreva effettuare una energica pressione sul generalissimo, imponendogli di accelerare le operazioni militari entro il 31 gennaio, data entro la quale, per iniziativa della Gran Bretagna, e con l’appoggio della Francia, dovevano cessare gli aiuti massicci delle varie potenze in favore delle cause nazionalista e repubblicana. Ad una “totale chiusura della Spagna”, doveva seguire “un piano comune per il blocco” delle merci e delle armi dirette ai belligeranti, presentato al Comitato del non intervento, e ritenuto la misura più adatta per mettere fine al conflitto.

L’attuazione di queste misure non entusiasmavano il governo italiano e i suoi vertici militari, essendo consapevoli che dopo l’accordo per l’attuazione del blocco sarebbe stato difficile rifornire e rinforzare le forze nazionaliste e nazionali di complementi e di armi. Ne conseguiva che, prima della data limite del 31 gennaio, vi era la necessità di portare in Spagna, in uomini e materiali, quanti più aiuti possibili alla causa nazionalista.

Pertanto, all’indomani del colloquio tra Mussolini e Göring, il conte Ciano convocò a Palazzo Chigi i generali Pariani e Valle, l’ammiraglio Cavagnari ed altre personalità, ma escludendo, ancora una volta, per i motivi già spiegati, il maresciallo Badoglio. Nel corso della discussione del 16 gennaio, in cui apparve la volontà di non mollare fino al raggiungimento della vittoria finale, come si espresse chiaramente il generale Pariani, fu convenuto che il Governo italiano era disposto ad inviare a Franco rinforzi di aviazione, quantificati in quindici velivoli da ricognizione Ro. 37, tre bombardieri S. 79 e dodici caccia Cr. 32, che però dovevano tutti operare con equipaggi italiani. L’Esercito avrebbe fornito diciotto battaglioni, mentre la Regia Marina, oltre ad assicurare il trasporto delle truppe e dei mezzi, doveva continuare a svolgere la “pressione per tagliare i rifornimenti alle truppe rosse, tendere agguati, procedere ai bombardamenti delle città costiere, ecc”.

Dopo che Mussolini, nel corso della riunione del 15 gennaio, aveva ribadito, con ancora maggiore convincimento, la necessità di continuare ad insidiare i porti ella Spagna repubblicane, nella seconda quindicina del mese l’attività subacquea italiana fu notevolmente incrementata inviando in agguato, fra Almeria e Barcellona, dodici sommergibili: Galilei, Diamante, Otaria, Torricelli, Tazzoli, Millelire, Bausan, Speri, Menotti, Jantina, Micca e Fieramosca. Ad essi seguì,Segui , nei primi tre giorni di febbraio, la partenza dai porti dell’Italia, e l’arrivo nelle zone di operazioni spagnole, di altri cinque sommergibili: Topazio, Nereide, Ferrarsi, Fieramosca e Balilla.

Fu questo il periodo in cui le unità subacquee della Regia Marina conseguirono il maggior numero di attacchi, riuscendo anche ad ottenere due risultati positivi, contro altrettanti piroscafi spagnoli repubblicani. Il primo successo fu ottenuto dal “Ciro Menotti” (capitano di corvetta Vittorio Moccagatta), il quale il 31 gennaio attaccò il piroscafo Delfin, di 1.253 tsl, che dirigeva per entrare nel porto di Malaga, trasportando un carico di farina, e lo affondò con uno dei due siluri lanciati presso la costa al largo del faro di Torrox. Il secondo successo vide protagonista il Galileo Ferrarsi (capitano di corvetta Primo Longobardo) che l’8 febbraio, trovandosi a 7 miglia da Tarragona, colpì con due siluri il Navarra, di 1.688 tsl. Il piroscafo, che provenendo da Marsiglia era diretta a Barcellona, affondò in bassi fondali.

Successivamente lo stesso Ferrarsi attaccò con il cannone la nave cisterna spagnola Campeador Zorroza, gli sparò contro una dozzina di colpi, senza riuscire a colpirla per la distanza e la velocità del bersaglio.

Risultati altrettanto negativi conseguirono gli altri quattro sommergibili che riuscirono ad effettuare manovre d’attacco, tre delle quali seguite da lancio di siluri: si trattava del Diamante (capitano di corvetta Andrea Gasparini), che il mattino del 16 gennaio attaccò un piroscafo al largo di Valencia, con un siluro mancando il bersaglio. Dell’ Otaria (capitano di corvetta Alessandro Mirone), che non riuscì a raggiungere la distanza di lancio contro un piroscafo incontrato presso Capo de Gata Del Tazzoli (capitano di corvetta Mario Leoni), che attaccò un altro piroscafo presso Cartagena, lanciando due siluri che fallirono il bersaglio. Infine, del Torricelli, (capitano di corvetta Giuseppe Zarpellon), che operava davanti a Barcellona.

Quest’ultimo, nella notte del 18 gennaio, avvicinandosi alla città catalana, sparò quarantatré granate di cannone da 120 mm contro le navi alla banchina e i depositi di combustibile della Società CAMPA, e successivamente, spostandosi verso sud, nel pomeriggio dell’indomani, lanciò tre siluri che non arrivarono a segno contro un piroscafo. Probabilmente si trattava del transatlantico spagnolo Magallanes, che riferì di essere stato attaccato quel giorno 19 gennaio da un sommergibile al largo di Tarragona.

Avendo Mussolini indicato la necessità di colpire con le artiglierie anche i centri costieri della Spagna, dopo l’attacco contro Barcellona da parte del Torricelli quello stesso obiettivo della Catalogna fu battuto da altri due sommergibili nelle notti del’8 e del 12 febbraio. Iniziò il Fieramosca (capitano di corvetta Mario Bartalesi), che sparò trentacinque granate da 120 mm contro la darsena di Morot, mettendo a segno un colpo sulla petroliera Zorroza, di 4957 tsl, causandogli gravi danni. Il secondo bombardamento fu realizzato dal Topazio (capitano corvetta Paolo Pesci), che però dovette interrompere il tiro dopo la trentaquattresima granata per avaria al cannone da 100 mm.

I bombardamenti costieri realizzati dai sommergibili italiani, pur essendo stati svolti contro obiettivi di particolare importanza, ebbero lo scopo di esercitare sui repubblicani una pressione morale, più che quello di ottenere effettivi risultati di carattere bellico. Maggiore importanza rivestirono invece i due bombardamenti di Malaga, effettuati nelle notti fra il 2 e il 3 febbraio dal sommergibile Menotti, perché le azioni di fuoco furono rivolte contro obiettivi stradali durante la vittoriosa offensiva delle truppe italo-spagnole per la conquista di Malaga. Nel primo bombardamento, sparando in dieci minuti ventisette granate da 100 mm, il Menotti prese per bersaglio il ponte e la strada di Herradura; nella seconda, sparando in quindici minuti altre trentacinque granate del medesimo calibro, il sommergibile sparò contro il viadotto di Cala Honda.

 

Il bilancio della prima campagna sottomarina

L’attività subacquea italiana sulle coste della Spagna, che comportò lo svolgimento di missioni della durata media di circa quindici-sedici giorni di navigazione, dei quali dieci trascorsi dai sommergibili nelle zone di agguato, ebbe termine a metà febbraio 1937, quando le grandi potenze raggiunsero l’accordo, caldeggiato dalla Gran Bretagna, per il controllo terrestre e marittimo in Spagna.

Ciò comportò per il Comando della Marina italiana di richiamare alla base i sei sommergibili Colonna, Pisani, Diaspro, Da Procida, Micca e Zaffiro, salpati fra il 12 e il 14 febbraio per raggiungere le coste spagnole.

Nel corso dell’attività bellica il numero dei sommergibili in agguato, inizialmente limitato a due unità dislocate nelle zone di Cartagena e di Barcellona, finì per aumentare fino a raggiungere il numero di sei, mentre i settori di operazione furono ampliati a tutto il tratto di mare che iniziava da Capo Crues, al confine con la Francia, fino a raggiungere Malaga, agendo in zone che si estendevano fino a 25 miglia dalla costa.

Complessivamente, i sommergibili italiani che parteciparono all’attività bellica nelle acque spagnole furono 36. Essi effettuarono un totale di 42 missioni per 495 giorni di mare, durante i quali percorsero 5.822 miglia in superficie e altre 3.857 in immersione. I quindici attacchi completati contro il naviglio incontrato, e ritenuto che esercitasse il traffico per la causa dei repubblicani, comportarono il lancio di ventotto siluri, dei quali però soltanto quattro raggiunsero il bersaglio, conseguendo risultati nel complesso modesti, costituiti, come abbiamo descritto, dal danneggiamento dell’incrociatore Miguel de Cervantes e dall’affondamento di due piccoli piroscafi da carico spagnoli, il Delfin e il Navarra. Infine, nel corso dei sei bombardamenti notturni svolti contro obiettivi costieri, i sommergibili spararono un totale di duecentoquarantacinque colpi di cannone, riuscendo anche a colpire gravemente, con un proiettile, la petroliera spagnola Zarrosa, all’ancora a Barcellona.

Il totale complessivo modesto degli attacchi svolti dai sommergibili, e gli insufficienti risultati da essi conseguiti, non potevano entusiasmare il Comando della Marina nazionalista che, allo scopo di esercitare una decisa influenza nella guerra marittima, avrebbe desiderato che le unità subacquee italiane operassero con norme d’impiego meno restrittive e con minore prudenza operativa. Tuttavia l’attività della Regia Marina portò a conseguire ugualmente effetti benefici per la causa di Franco, ottenendo il risultato di far aumentare notevolmente i noli e produsse contrazioni nel traffico dei piroscafi di ogni nazionalità da e per i porti della Spagna repubblicana. Tutto ciò causò un’immediata rarefazione anche dei rifornimenti alimentari, elemento che non mancò di avere effetto sulla resistenza morale dei repubblicani.

Dal punto di vista operativo le missioni dei sommergibili, svolte durante l’inclemente stagione invernale e rese difficili soprattutto dalla necessità di non svelare la propria nazionalità, furono considerate negli ambienti della Regia Marina un ottima prova di collaudo per sperimentare in condizioni di guerra il personale e il materiale, i quali dimostrarono allora buona efficienza.

Occorre tuttavia considerare che l’attività subacquea italiana fu facilitata dalla mancanza in campo avversario di efficienti misure di contrasto. Nella Marina repubblicana era infatti quasi inesistente l’organizzazione antisom, svolta in modo del tutto primordiale da poche e vecchie navi da guerra ed ausiliarie, le quali erano poi prive di apparati di rilevamento moderni e di efficaci bombe da getto.

Infine un’ultima considerazione. Per motivi precauzionali, nel corso delle missioni belliche i sommergibili imbarcarono un ufficiale della Marina spagnola nazionalista, che doveva figurare quale comandante in caso di forzata emersione in vicinanza di unità neutrali, e che doveva anche essere utile per facilitare il riconoscimento della costa e delle navi avvistate. Parteciparono alle missioni il capitano di fregata Arturo Génova, il capitano di corvetta Rafael Fernandez de Bobabilla, i tenenti di vascello Gonzalo Diaz, Juan Garcia, Obeta Bona e Blanco Cebreiro, i quali condivisero le fatiche e i rischi degli equipaggi italiani.

 

Francesco Mattesini

 

Roma, 10 Gennaio 2012

Link al commento
Condividi su altri siti

Estimado Señor Mattesini:

Soy Alberto Génova Galván, sobrino nieto de quien en 1936 era capitán de corbeta Arturo Génova Torruella (posteriormente llegó a Almirante de la Armada Española).

Le felicito por su artículo. Si está usted interesado, le pùedo hacer llegar algunos detalles adicionales.

 

Saludos cordiales

 

Alberto Génova Galván

agengal@gobiernodecanarias.org

Santa Cruz de Tenerife (Islas Canarias)

Link al commento
Condividi su altri siti

Estimado Señor Mattesini:

Soy Alberto Génova Galván, sobrino nieto de quien en 1936 era capitán de corbeta Arturo Génova Torruella (posteriormente llegó a Almirante de la Armada Española).

Le felicito por su artículo. Si está usted interesado, le pùedo hacer llegar algunos detalles adicionales.

 

Saludos cordiales

 

Alberto Génova Galván

agengal@gobiernodecanarias.org

Santa Cruz de Tenerife (Islas Canarias)

 

Gentile Signor Genova,

la ringrazio sentitamente per le sue considerazioni sul mio articolo. Sono particolarmente interessato alle aggiunte che lei vuole farmi conoscere sull’argomento. Da parte mia la porto a conoscenza che già nel 1997 ho pubblicato nel Bollettino d’Archivio della Marina Militare, Roma, il vasto saggio “Il blocco navale italiano nella guerra di Spagna (ottobre 1936-marzo 1939)”, realizzato in due puntate. “Parte prima: Come si giunse alla prima campagna sottomarina e ai bombardamenti navali di Barcellona e Valencia”, mese di settembre, pag, 7-205; “Parte seconda Le operazioni navali dell’estate 1937, e l’attività della Regia Aeronautica contro i porti della Spagna Repubblicana”, pag. 39-205. Come si vede dal numero delle pagine, che includono una vastissima iconografia, il saggio (diciamo vero libro) è sull’argomento del Blocco Navale di Spagna da parte italiana il migliore e documentato lavoro che sia stato fino ad oggi prodotto, basato su una vastissima documentazione, anche straniera, in particolare del tre Archivi Storici delle Forze Armate italiane.

Se avrà modo di consultarlo troverà, nei riguardi dell’attività della Marina Spagnola, un’ampia conoscenza aggiuntiva, soprattutto nelle discussioni politico militari, a quella riscontrabile nel Libro dell’amico Franco Bargoni.

Cordialmente

Francesco Mattesini.

via Imera 3, 00183 ROMA

francesco mattesini@faswebnet.it

Link al commento
Condividi su altri siti

L’ATTIVITA’ DEI SOMMERGIBILI ITALIANI E TEDESCHI NELLA GUERRA DI SPAGNA NELL’AUTUNNO – INVERNO del 1936 - 1937

 

Francesco Mattesini

 

Gli aiuti navali richiesti a Italia e Germania dalla Marina nazionalista spagnola.

Fin dal 22 agosto 1936 l’Alto Comando della Marina germanica (O.K.M.) aveva sottoposto a Hitler il suo punto di vista riguardo all’intervento tedesco nel conflitto spagnolo, fino a prevedere di agire militarmente, se fosse stato necessario, per aiutare la causa del generale Francisco Franco. L’ammiraglio Erich Raeder, Comandante in Capo della Kriegsmarine, era favorevole a questa linea di condotta, ma a patto che l’aiuto da fornire a Franco “fosse prestato in maniera risolutiva e in forma ben diversa da quanto fosse stato fatto fino ad allora”.

Ma Hitler, che pure appariva deciso ad aiutare militarmente gli insorti spagnoli, di fronte all’eventualità di dover affrontare un conflitto di vaste dimensioni con la Gran Bretagna, in un momento in cui la Germania non era ancora preparata militarmente, adottò allora la tattica della prudenza. Questo cauto comportamento del Führer proseguì fino all’autunno, quando si presentò un fatto nuovo, determinato dall’intervento dell’Unione Sovietica in appoggio alla Repubblica; elemento di ingerenza nel conflitto spagnolo, che imponeva alla Germania e all’Italia di dare altrettanto sostegno alla causa dei nazionalisti, considerati ormai un baluardo contro il comunismo in Europa, che difettavano di unità navali.

I repubblicani controllavano quasi tutta la costa meridionale iberica e i più grandi porti, meno Cadice. A Cartagena, la base più importante dei rossi, era concentrato il grosso della flotta, che disponeva della vecchia corazzata Jaime I, degli incrociatori Libertad, Miguel de Cervantes e Mendez Nuňez, di quattordici cacciatorpediniere, sette torpediniere, una cannoniera, quattro guardiacoste, due rimorchiatori, dieci sommergibili e di tutta l’Aviazione Navale. Da parte nazionalista erano disponibili la vecchia corazzata España, che si trovava in riserva da oltre sei anni, l’incrociatore leggero Almirante Cervera e il cacciatorpediniere Velasco. Completavano la flotta cinque torpediniere, quattro cannoniere, cinque guardiacoste e sette velivoli dell’aviazione navale. L’incrociatore leggero Repubblica, si trovava a Cadice temporaneamente immobilizzato per ingenti danni riportati in combattimento, e due incrociatori pesanti, da 10.000 tonn, di nuova costruzione, Canarias e Baleares, armati con otto cannoni da 203 mm, si trovavano in allestimento avanzato nei cantieri di El Ferrol assieme a sei posamine classe “Jupiter”. Essendo Cadice impiegata quale base logistica e di riparazione, l’unico porto che poteva servire alle navi nazionaliste per le operazioni in Mediterraneo era rappresentato da Ceuta, sulla costa del Marocco.

Preoccupato per questa situazione, e anche dal fatto che non possedeva le forze necessarie per opporsi adeguatamente al traffico di contrabbando di armi diretto verso i porti della Spagna repubblicana, ai primi di ottobre il capitano di vascello Francisco Moreno (poi l’ammiraglio), Comandante della flotta nazionalista, in un colloquio con il comandante tedesco Wagner, aveva insistito per la cessione, da parte della Germania di un sommergibile da 250 tonn., quindi di un tipo VII-A.

Le stesse richieste furono fatte il 4 ottobre per ricevere due sommergibili dall’Italia ed uno di 250 tonn. Ma entrambe le richieste erano cadute nel nulla, per la contrarietà dimostrata dai governi di Roma e di Berlino a cedere proprie unità subacquee, per non infrangere gli accordi internazionali.

Successivamente però, nei giorni 12 e 13 ottobre, il colonnello Walter Warlimont (alias Guido), capo della missione militare tedesca in Spagna, fece sapere al suo collega italiano, generale Mario Roatta (alias Colli), Capo della Missione Militare italiana e nello stesso tempo Capo del Servizio Informazioni Militari (SIM), che da parte di Berlino poteva esservi un ripensamento, sotto forma dell’invio del richiesto sommergibile da 250 tonn., da far operare o con equipaggio completamente spagnolo, oppure con equipaggio interamente germanico. Egli escludeva quindi che per armare il sommergibile potesse essere costituito un equipaggio misto, come inizialmente era stato proposto dalla Marina nazionalista.

Ritornando sull’argomento, in seguito alle pressioni che continuavano a pervenirgli dai nazionalisti, il generale Roatta che si trovava a Salamanca, nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, trasmise a Roma un telegramma, che fu portato alla visione del Duce nella seguente forma:

 

“Ammiraglio Giovanni Cervera nominato Capo di S.M. Marina bianchi sede Salamanca et Capitano di vascello Moreno incaricato esercitazioni personale necessario per armare due sommergibili nonché per il 3° che spera sarà dato da Germania. Nel caso siano consegnati nostri sommergibili occorre vengano con nostro personale attraccando a Cadice nell’approdo riservato in arsenale “Carraca”. Dovranno attraversare baia di notte. Personale spagnolo sostituirà a poco a poco personale italiano. Colli”.

 

Con successivo telegramma del 18 ottobre, Roatta portava a conoscenza di Roma un fatto nuovo, ossia l’appoggio che la Kriegsmarine aveva deciso di concedere ai nazionalisti spagnoli, sottoforma di informazioni che sarebbero state raccolte e riportate da unità navali tedesche, un incrociatore e due cacciatorpediniere, mantenuti in crociera da Cadice lungo le coste della Spagna repubblicana.

Il problema che adesso si poneva a Roma era quello di non farsi scavalcare dai rappresentanti della Germania nel favorire Franco, perché certamente il generalissimo spagnolo, carica assunta il 1° ottobre assieme a quella di Capo dello Stato, ne avrebbe poi tenuto conto politicamente. E l’occasione si presentò subito dopo, in seguito a un’altra sollecitazione di aiuti navali trasmessa a Roma il 19 ottobre dal generale Roatta. Questi spedì alla Sezione “S” (Spagna) del S.I.M. un telegramma, che fu consegnato al generale Alberto Pariani, Sottosegretario alla Guerra e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, sotto forma di “Nota di Visione”, nella seguente forma:

 

“Generale Franco a mezzo nostra Missione segnala. Richiesta urgente per Marina. Due cacciatorpediniere e due sommergibili (complessivamente tra l’Italia e Germania). Generale Roatta d’accordo con Capo Missione tedesco et parere risolvere questione dominio mare et concedere urgenza nuovi aiuti richiesti per conservare al generale Franco iniziativa operazioni.”

 

Poiché l’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina era contrario a cedere sommergibili, a Roma fu presa la decisione di approntare i due battelli richiesti dai nazionalisti all’Italia, da inviare in Spagna ove essi avrebbero operato, come aveva proposto il capitano di vascello Giovanni Remedio Ferretti (nome fittizio Cavalier Rampoldi , poi cambiato in quello di Dott. Rossi), Comandante della Missione Navale in Spagna, con comandanti ed equipaggi italiani, ai quali si sarebbero aggiunti due ufficiali spagnoli destinati al collegamento e al riconoscimento delle navi e delle coste iberiche.

Presa questa decisione, il 27 ottobre il Capo di Gabinetto del Sottosegretario di Stato alla Marina, ammiraglio Odoardo Somigli, spedì a Ferretti, sempre tramite il S.I.M., un urgentissimo telegramma per il comandante Ferretti, in cui era riferito:

 

“Sono in corso approntamento due Sommergibili tipo”Topazio” destinati operare acque spagnole per conto nazionali. Occorre sapere quale porto costituirà loro base e se fornito risorse necessarie speciale servizio. Stati Maggiori e equipaggi italiani dovranno essere gradualmente sostituiti da personale spagnolo. E’ opportuno che siano inviati subito Italia almeno due Ufficiali di sicuro affidamento per impiego Sommergibili suddetti. Comunichi caratteristiche bandiere, pitturazione et altri segni distintivi naviglio partito nazionale.“

Il sostegno dell’Unione Sovietica alla causa repubblicana spagnola

 

Nel pomeriggio del 30 ottobre, dopo essersi accordato con l’ammiraglio Cervera, il comandante Ferretti, sempre tramite il generale Roatta, trasmise a Roma la richiesta per la fornitura ai due sommergibili italiani, da cedere alla Marina nazionalista dopo l’arrivo nei porti spagnoli, di materiali di rispetto, siluri, munizioni, viveri, ecc.

Ad alimentare le preoccupazioni esistenti a Roma, contribuì una relazione del generale Roatta, spedita il 31 ottobre 1936, dall’oggetto “Intervento russo a favore dei rossi”, che fu inviata, in visione, al generale Pariani il 4 novembre.

In tale documento Roatta riferiva, per averlo appreso negli ambienti di Franco, che la Russia stava giocando “in Spagna una partita che la interessava direttamente”, in un momento in cui “le operazioni militari” dei repubblicani “stanno per avere la peggio”, rendendo completo “il trionfo nazionalista”.

Roatta metteva in rilievo che molti piroscafi sovietici avevano “scaricato in porti spagnoli personale e materiali bellici”, e che merci dello stesso genere, “molto più numerosi” di quelli fino a quel “momento entrati in azione” in Spagna, compresi una cinquantina di carri armati e “140 aeroplani velocissimi”, erano stati fatti arrivare a destinazione da alcuni piroscafi repubblicani, andati a fare il carico in porti dell’Unione Sovietica. Parte di questo materiale, tra cui quindici nuovi carri armati Sovietici, avevano partecipato a una controffensiva scatenata il 29 ottobre dai repubblicani sul fronte di Madrid, assieme ad aeroplani, probabilmente di costruzione francese, che però avevano sganciato bombe risultate “di fabbricazione russa”. Inoltre, secondo quanto allora riportavano i giornali e i proclami radio, tra i repubblicani veniva “esaltato l’aiuto sovietico”, mediante il quale erano stati forniti al governo di Madrid tutti i mezzi bellici necessario a “capovolgere la situazione”.

Infine, il Capo del S.I.M. specificò che, il fatto ancora più allarmante, riguardava le notizie secondo le quali era previsto, e stava per effettuarsi, il trasporto di un corpo di spedizione di 20.000 soldati sovietici “con tutti i corrispondenti mezzi bellici”, e concluse il telegramma sostenendo:

 

“La Russia, infine, ha sempre ritenuto che da una grande guerra sorgerebbe la rivoluzione generale, la quale andrebbe, s’intende, tutto a suo profitto.

Perciò la Russia sarebbe disposta a marciare a fondo, anche a costo di provocare così facendo, un grosso conflitto.”

 

Con un successivo telegramma spedito il 6 novembre, il generale Roatta, che era riconosciuto come l’uomo più intelligente dell’Esercito italiano, mostrandosi molto più realista dello Stato Maggiore nazionalista, sostenne essere da scartare l’ipotesi dell’impiego in Spagna di grandi unità sovietiche, perché esso avrebbe prodotto “verosimilmente” un analogo intervento da parte dell’Italia e della Germania. Occorreva invece contare su una “probabile ulteriore resistenza” dei repubblicani in Catalogna e nelle regioni orientali e settentrionali della Spagna da essi controllate, con sufficiente appoggio di armi e di materiali sovietici, necessari per scatenare una prevedibile controffensiva in primavera. Per questo motivo Roatta segnalava: “Per stroncare rapidamente tale resistenza occorre forte azione da parte nazionalista in mare, in aria in terra. Verso superiorità navale ci stiamo avviando con noti provvedimenti”.

Naturalmente, i noti provvedimenti per raggiungere la superiorità navale includevano, soprattutto, l’attività dei sommergibili italiani, il cui approntamento proprio in quei giorni si stava concretando fissando accordi che prevedevano l’invio a Cadice di due unità subacquee per operare sulle coste e contro i porti repubblicani.

Avendo ricevuto dal Comando nazionalista spagnolo l’informazione che le maggiori navi di superficie repubblicane stavano all’ancora nella rada Escombrera di Cartagena, e quindi in una zona ove, non esistendo difese a mare mobili e fisse, un’azione offensiva di sommergibili era piuttosto agevole, il capitano di vascello Ferretti, agendo d’intesa con il Comando della Marina spagnola, compilò uno schema di operazioni che poi consegnò al generale Roatta.

Quest’ultimo, rendendosi conto dell’importanza di quel progetto, il 4 novembre compilò, per le superiori autorità di Roma, un grosso messaggio, ripartito in una serie di cinque telegrammi (N. 336, 337, 338, 339 e 340), che fu spedito al S.I.M. Data l’importanza del documento, rintracciato dall’autore e pubblicato, assieme a numerosi documenti inediti nel Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, nella prima parte del citato saggio “Il blocco navale italiano nella guerra di Spagna”, lo riportiamo integralmente:

 

“Per Marina segreto (stop) Rampolli comunica: “R/39 – risulterebbe a Comando Spagnolo che navi maggiori rosse a Cartagena stanno ancorate rada “Escombrera” senza difese a mare mobili né fisse (alt) Ciò fa ritenere agevole azione offensiva sommergibili su navi ancorate (alt) Propongo tale azione con modalità seguenti:

 

1°) Condizione essenziale est assoluto segreto su esistenza sommergibili (alt) Azione dovrebbe essere eseguita prima di toccare Cadice dove non est escluso al 100/100 possibilità indiscrezioni (alt) Sommergibili perciò venendo da Italia dovrebbero recarsi ancoraggio deserto et indicatomi ridosso fra isole “Zafarine” che sono a miglia 30 est di Melilla oppure ad “Iviza” se condizioni politiche non lo vietino (alt)

 

2°) Ivi troverebbero”Canarias” [incrociatore nazionalista] che servirebbe temporaneo appoggio et sottoscritto.

Sarebbe effettuato rifornimento nafta con cisterna spagnola et date informazioni e disposizioni per azione che sarebbe appoggiata da “Canarias”.

 

3°) Unità partirebbero da Zafarine aut Iviza per azione al più presto possibile et quindi entrerebbero Cadice. “Canarias” appoggerebbe azione at largo.

 

4°) Durante missione comando et personale sarebbe italiano con a bordo capitano di corvetta spagnolo et eventualmente altro ufficiale della Nazione.

 

5° Qualora azione fosse eseguita da 2 unità sarebbero assegnati settori distinti et zone immersione distinte, rispettivamente a ovest isola Escombrera et a est di essa.

 

6°) Sarà eseguita esplorazione aerea precedentemente calcolare eventualmente incursioni aeree offensive, ripetute, per indurre navi da Cartagena recarsi Escombrera qualora russi non vi fossero.

 

7°) Qualora venga approvato quanto precede prego comunicare presunta data arrivo sommergibile indicando località prescelta. Prego ad ogni modo fino da ora comunicare anche approssimativamente tale data per norma nei preparativi a Cadice et per regolare precedente attività del “Canarias”.

 

8) Alla riuscita detta operazione gioverà molto visita Cartagena nostra nave che accerti presenza et posizioni navi rossi rada Esombrera et raccolga elementi circa sorveglianza et esistenza sbarramenti che sarebbero esclusi da informazioni marina spagnola (stop) Detta visita dovrebbe effettuarsi giorno successivo arrivo sommergibili Zafarine aut Iviza et telegramma relativo dovrebbe essere dato ripetutamente in aria in ore stabilite con sommergibili che riceveranno senza rispondere (stop)

 

9) Sommergibili potranno lanciare [siluri] in fondali di 40 metri e in ogni modo superiori ai 25 - Comunque occorrerebbe accertare fondale minimo da cui si può lanciare nei riguardi del sacco che fa il siluro.

 

10) Proposte sono state da me concretate con comando marina.

 

Fine telegramma COLLI”

 

Appare certo che di questo progetto, portato alla conoscenza dei Capi di Gabinetto dei ministeri degli Esteri e della Marina, fu tenuto conto negli ambienti della Regia Marina, che lo avrebbero sfruttato per adeguarvi gli ordini operativi ai sommergibili destinati ad agire contro il naviglio repubblicano all’ancora nel porto di Cartagena.

Quello stesso giorno 4 novembre, Filippo Anfuso, Capo di Gabinetto del conte Galeazzo Ciano che si trovava a Salamanca, trasmetteva al S.I.M., tramite Roatta, un telegramma da recapitare al ministero degli Esteri, segnalando di aver avuto due colloqui con Franco, il quale, considerando che la lotta sarebbe stata molto dura, riteneva indispensabile un “ulteriore aiuto italiano”. Il generale si mostrò molto grato per la cessione di sommergibili, considerati decisivi ai fini della liberazione della costa spagnola ancora in mano ai repubblicani.

In attesa dell’arrivo a Cadice dei due sommergibili, il capitano di vascello Ferretti provvide, con i Comandi della Marina nazionalista da cui dipendeva la base navale e l’arsenale della Curraca, a stabilire un punto di ormeggio situato presso la testata del bacino più interno. E per renderlo il più appartato e segreto possibile, ne venne vietato l’accesso a chiunque non fosse stato autorizzato, e fu coperto quel punto di attracco sistemandovi all’ancora il vecchio incrociatore Repubblica. Quest’ultimo trovandosi in disarmo, fu attrezzato in modo da poter accogliere gli alloggiamenti e le mense degli equipaggi dei sommergibili quando sarebbero rimasti in porto. Oltre che con il Repubblica, la vista del bacino interno del porto fu nascosta, a coloro che fossero passati nelle vicinanze, con due grosse gru. Infine, per la carica degli accumulatori dei sommergibili fu disposto l’arrivo di un compressore e di un gruppo elettrogeno, e per rendere più agevole la vita degli equipaggi nei periodi di franchigia fu preparato un servizio di autobus con Siviglia.

A questo punto, quando già tutto era pronto per accogliere le due unità subacquee, e per effettuare la loro prima missione bellica contro il naviglio militare repubblicano che si trovava all’ancora nell’avamposto di Cartagena, a Roma si verificò un ripensamento. Fu infatti disposto che alle operazioni partecipassero esclusivamente sommergibili e personale italiani i quali, salpando dalle basi nazionali e rientrandovi al termine delle missioni, avrebbero evitato di farsi avvistare nei porti nazionalisti. Con questa decisione fu anche evitata, almeno per il momento, la cessione dei due sommergibili alla Marina spagnola.

 

L’intervento dell’Italia e della Germania per spezzare il flusso dei rifornimenti navali alla Spagna rossa

Mentre si approntavano i due sommergibili da inviare in missione dalla base della Maddalena alle coste spagnole - scegliendo il Naiade, del 3° Grupsom (Gruppo Sommergibile) di Messina, e il Topazio, del 1° Grupsom della Spezia - le sollecitazioni navali dei nazionalisti si facevano sempre più pressanti, perché il loro governo non aveva perduto la speranza di ricevere dall’Italia le due richieste unità subacquee e le navi di superficie, da far operare con proprio equipaggio e sotto propria bandiera.

A rendere la situazione ancora più preoccupante, il 13 novembre, l’ambasciatore Anfuso, fece trasmettere da Roatta un telegramma in cui si annunciava, secondo notizie fornite da fonte tedesca, la partenza dal porto di Odessa per Cartagena di nove piroscafi sovietici, scortati da sommergibili, e trasportanti cannoni da 155 mm e quattromila uomini. Di fronte a questa grave notizia, che risultava come al solito alquanto esagerata, il generale Franco rinnovava all’Italia la “preghiera”, già precedentemente avanzata, di voler esercitare la “massima sorveglianza nel passo di Sicilia e Stretto di Messina”, con le sue navi di superficie e i suoi aerei.

Lo stesso giorno, il comandante Ferretti compilò un promemoria per lo Stato Maggiore della Regia Marina, dall’oggetto “Mezzi navali da fornire alla Spagna”, riguardante le unità che erano state nuovamente richieste dalla Marina nazionalista il giorno 8 del mese. Nel documento egli sottolineava che il compito della Marina nazionalista era “quello di ottenere il completo controllo delle linee di traffico”dirette alla Spagna, per mantenere libere le proprie rotte di rifornimento ed “impedire il traffico di armi diretto ai porti rossi”. Per raggiungere questo importante scopo, il quale comportava l’intercettazione in mare dei rifornimenti repubblicani , occorreva che l’impresa fosse attuata “con continuità e con sufficiente larghezza di mezzi adatti”, in modo da garantire la “distruzione almeno parziale della flotta rossa”.

Per questi motivi, i capi della Marina nazionalista continuavano a chiedere unità navali a Italia e Germania, e aumentavano le pretese. Nella tarda serata del 15 novembre il generale Roatta, portò a conoscenza di Roma le loro ultime richieste, che avrebbero dovuto comportare la cessione da parte dell’Italia di “4, possibilmente 6, esploratori; 2, possibilmente 4 sommergibili, oltre 2 già concessi. Una squadriglia idrovolanti esplorazione”.

Poiché la Marina nazionalista insisteva molto sulla mancanza di personale, necessario per armare adeguatamente le navi di superficie e i sommergibili richiesti, occorreva che quelle unità venissero consegnate dall’Italia con parte dei propri equipaggi.

Quattro giorni più tardi, il 17 novembre, anche il generale Roatta spedì al S.I.M. una lunghissima e dettagliatissima relazione, che fu subito trasmessa alle Superiori Autorità italiane. In questo documento Roatta, sentito il parere di Ferretti, scriveva che la Marina nazionalista non era “da sola in condizione di mettere fuori causa la flotta rossa, e di stroncare il traffico marittimo per i porti spagnoli del Mediterraneo, cui affluivano i noti aiuti ai rossi”.

Conseguentemente il governo della Spagna nazionalista chiedeva all’Italia di concederli due sommergibili tipo “Topazio”, e alla Germania due motosiluranti da 60 tonn. di tipo non moderno, armate con due tubi lanciasiluri, e in secondo tempo altre tre motosiluranti di tipo più recente. Erano poi richieste alle due nazioni amiche materiali navali, quali artiglierie e mitragliere contraeree, telemetri, munizioni, proiettori e radiogoniometri tipo Telefunken. Roatta specificò che la Marina nazionalista confidava nel concorso di navi italiane nella guerra al traffico. Inoltre sperava di ottenere la cessione di altre unità di superficie e di sommergibili, oltre a quelle già richieste, con le quali “compiere azioni massicce sui porti rossi mediterranei”. Riferì inoltre che le navi della Marina repubblicana, in un primo tempo prive o quasi di ufficiali – perchè all’inizio della guerra erano stati massacrati dai loro equipaggi rossi – avevano ripreso un minimo di efficienza, essendone stato affidato il comando a capitani della Marina mercantile e a ufficiali stranieri.

Il 24 ottobre Hitler e Galeazzo Ciano si incontrarono a Berlino per decidere come comportarsi nei riguardi dell’aiuto di fornire al generale Franco, e nell’occasione il ministro degli Esteri italiano informò il Führer del progetto di inviare due sommergibili italiani ad operare davanti ai porti repubblicani.

Questa confidenza servì all’O.K.M. per pianificare un’operazione, chiamata “Ursula” – nome in codice scelto dal nuovo Comandante in Capo degli U-Boote, capitano di vascello Karl Dönitz - che prevedeva l’impiego dei sommergibili tedeschi nel conflitto spagnolo, agendo come unità clandestine.

L’ordine di operazioni, datato 2 novembre, il giorno 6 del mese fu portato a conoscenza del contrammiraglio Herman Boehm, Comandante delle Forze di Esplorazione della Marina germanica, che si trovava in Mediterraneo a bordo dell’incrociatore Nurnberg. Furono scelti per un primo turno di missioni due sommergibili modernissimi della seconda serie della classe “VII A”, appena entrati in servizio, e facenti parte della flottiglia “Salzwedel (capitano di fregata Werner Schneer). Si trattava dell’ U-33 e dell’ U-34, ed erano comandati rispettivamente dai tenenti di vascello Kurt Friewald e Harald Grosse. Era la prima volta dalla fine della prima guerra mondiale che sommergibili tedeschi sarebbero tornati a solcare le acque del Mediterraneo, dove gli U-Boote avevano conseguito, tra il 1914 e il 1918, grandissimi successi.

 

La riunione di Roma del 17 novembre 1936 per fissare le norme di collaborazione tra le Marine italiana e tedesca nell’azione di blocco alla Spagna repubblicana

Il 17 novembre 1936, nel corso di una riunione svoltasi a Roma presso l’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina tra ufficiali italiani e tedeschi, venivano fissate le norme per “la cooperazione fra le due Marine nei riguardi della attività dei sommergibili sulle coste spagnole del Mediterraneo”, e quindi anche i settori operativi da assegnare ai reciproci sommergibili assegnati alle missioni sulle coste mediterranee della Spagna rossa. Alla riunione parteciparono da parte italiana, l’ammiraglio Wladimiro Pini, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina italiana, e il contrammiraglio Oscar di Gianberardino, mentre da parte tedesca intervennero due ufficiali dell’ambasciata di Germania, il capitano di fregata Werner Lange e il capitano di corvetta Hellmuth Heye.

Convenendo che non fosse allora opportuno informare i nazionalisti spagnoli dell’impiego dei sommergibili, italiani e tedeschi i quattro ufficiali si accordarono per come alternarsi nelle azioni di perlustrazione delle coste mediterranee della Spagna rossa, stabilendo che le unità subacquee della Regia Marina avrebbero fatto il primo turno di sorveglianza da prolungarsi fino al 30 novembre. A tale data sarebbero poi subentrati gli U-boote tedeschi, che avrebbero proseguito le missioni fino alla sera dell’11 dicembre.

Ma, per avere maggiori dettagli sull’importanza degli accordi raggiunti a Roma il 17 novembre, riguardo all’impiego dei sommergibili italiani e tedeschi si riportano, di seguito, i sette punti del testo del documento originale firmato dai rappresentanti alla riunione:

 

“1°) I Sommergibili italiani e quelli tedeschi si alterneranno nella vigilanza su dette coste. I battelli italiani rimarranno in agguato fino al tramonto del giorno 29 novembre corrente, poi si allontaneranno verso Est. I battelli tedeschi giungeranno a Nord di Capo de Gata soltanto il mattino del giorno 30 novembre e vi rimarranno fino al tramonto dell’11 dicembre. Nella notte in cui lasceranno l’agguato si allontaneranno per circa 40 miglia dalla costa. Distanza che dovranno mantenere nel viaggio di ritorno. Saranno sostituiti al mattino successivo dagli italiani, e così di seguito. Nella notte del cambio nessun sommergibile dovrà essere attaccato.

 

2°) I battelli italiani attualmente in missione hanno facoltà di attaccare anche i cacciatorpediniere ed i sommergibili ma anche nel punto di vista italiano e nello spirito delle consegne impartite, è intesa la preferenza da dare ai bersagli costituiti da navi più grandi. E’ data facoltà di attaccare anche i piroscafi russi o spagnoli rossi carichi in arrivo entro le acque territoriali spagnole.

 

3°) E’ riconosciuta perfettamente anche dagli italiani la convenienza di non fare alcuna comunicazione agli spagnoli bianchi, circa la attività che svolgono e svolgeranno i sommergibili tedeschi ed italiani.

 

4°) E’ riconosciuta inoltre la convenienza di unificare il servizio di informazioni sulla costa spagnola, nel senso che le notizie attinte dalle unità tedesche e italiane che visitano i diversi porti spagnoli, dovranno essere accentrate presso gli Ammiragli o l’Ammiraglio delle due Potenze che risiedono nelle acque spagnole, che si interesseranno di trasmettere o di far trasmettere ai Ministeri Marina a Roma e Berlino, i quali giudicheranno circa l’opportunità di comunicarle ai sommergibili di servizio.

 

5°) Si conviene sulla utilità che, della presenza dei sommergibili sulla costa spagnola siano informati oltre all’Ammiraglio anche i Comandanti delle singole unità di superficie, affinché sia più facile evitare equivoci e trovare , da parte di detti Comandanti, la linea di condotta da tenere nelle diverse situazioni che si potranno verificare.

 

6°) In caso di avaria, di malati gravi a bordo, o per la necessità di rifornimenti, i sommergibili tedeschi potranno dirigere per il porto italiano della Maddalena, atterrando sulla Sardegna nei pressi di Capo Caccia e costeggiando poi per entrare nelle Bocche di Bonifacio. Atterrando dovranno tenere alzata la bandiera italiana.

 

7°) Circa la possibilità di qualche richiesta che, in caso di siluramenti avvenuti, potesse venir rivolta ai Governi tedesco e italiano da parte di qualche altro Governo, si ritiene opportuno di manifestare sempre l’ignoranza o la sorpresa più profonda.”

 

Le prime missioni dei sommergibili italiani nelle acque spagnole.

Occorre dire che al momento degli accordi segretissimi fissati a Roma, l’attività subacquea italiana era già in svolgimento, essendo iniziata nei giorni 8 e 9 novembre con la partenza dalla Maddalena dei sommergibili Naiade (capitano di corvetta Alfredo Criscuolo) e Topazio (tenente di vascello Giuseppe Caputi), il primo dei quali per una sopraggiunta avaria non raggiunse il settore operativo assegnato, mentre il secondo rientrò il 19 dopo aver incrociato al largo di Cartagena senza aver potuto effettuare alcun attacco.

A questi due primi sommergibili seguì la partenza, il 15 novembre, dell’Antonio Sciesa (capitano di corvetta Michele Jannuzzi), appartenente al 2° Grupson di Napoli. Salpato dalla Maddalena il 15 novembre, il sommergibile si trattenne nella zona già assegnata al Naiade, fra Alicante e Barcellona, fino al 2 dicembre. Ma anch’esso, nei diciotto giorni di mare, non ebbe alcuna occasione di attacco.

Tuttavia, la partecipazione dei primi sommergibili italiani alle operazioni in Spagna non fu lusinghiero sotto il punto di vista della segretezza. Infatti il 10 novembre il generale Roatta trasmise a Roma una comunicazione del capitano di vascello Ferretti, nella quale si annunciava: “est previsto che sommergibili possano entrare porti Cadice - Ceuta - Ferrol”, portando per il riconoscimento determinate cifre numeriche distintive stabilite dalla Marina nazionalista. Il 15 novembre lo stesso Ferretti aggiunse che la presenza in mare dei sommergibili italiani era già “di dominio pubblico”, in quanto il comandante del piroscafo italiano Fani arrivato a Tangeri, aveva riferito di “avere incontrato rotta Spezia Mahon dubbi sommergibili bandiera spagnola nazionalista”, i cui equipaggi avevano salutato “con saluto romano”.

[Nel prepararsi a combattere una guerra clandestina voluta dal Governo italiano, i primi quattro sommergibili (Naiade, Topazio, Sciesa, Torricelli) erano stati concentrati alla Maddalena, perché quell’ancoraggio era allora lontano da occhi indiscreti. Per le loro operazioni occulte, la notte prima di salpare, gli equipaggi dei battelli cancellarono, con vernice nera, ogni segno che potesse farne riconoscere la vera nazionalità, come le lettere distintive sui fianchi della torretta, il nome (in ottone) a prora, il disegno dei fasci littorio, e ogni altro segno compromettente.]

Il quarto sommergibile a prendere il mare per le coste spagnole fu il Torricelli, del 3° Grupsom di Messina, il quale, salpato il 17 novembre dalla Maddalena al comando del capitano di corvetta Giuseppe Zarpellon, entrò nella zona assegnata al largo di Cartagena la notte sul 22. All’alba dell’indomani, navigando il sommergibile in superficie nella nebbia mattutina, furono individuati dalle vedette gli incrociatori leggeri repubblicani Miguel de Cervantes e Méndez Núñez, che si trovavano all’ancora all’esterno del porto, proprio come aveva indicato il comandante Ferretti. Portatosi in immersione a quota periscopica, e manovrando a lento moto, Zarpellon attese che un cacciatorpediniere, il britannico Glowworm, entrasse in rada. Quindi, da una distanza di circa 1.000 m dette il “fuori” a due siluri da 533 mm, dirigendoli contro i due incrociatori spagnoli che erano stati chiaramente riconosciuti dal capitano di corvetta Arturo Genova, ufficiale di collegamento nazionalista imbarcato sul Torricelli.

Uno dei siluri, diretto contro il Méndez Núñez finì in costa incagliandosi, mentre l’altro, alle 09.50, raggiunse il Miguel de Cervantes (7.975 tons) a poppa, sul fianco destro, procurandogli una falla nello scafo lunga ventuno metri e larga quattordici. Sebbene avesse riportato gravissimi danni, e per gli allagamenti fosse notevolmente abbassato a poppa, l’incrociatore, che era comandato dal capitano di corvetta Luis Gonzales Ubieta, fu portato ad arenarsi all’entrata del bacino in muratura del porto di Cartagena. Entrato nel bacino vi rimase a lavori fino all’11 aprile 1938.

Il siluramento del Miguel de Cervantes, che servì a menomare in maniera consistente la flotta repubblicana, e quindi ad agevolare l’attività operativa di quella nazionalista, ebbe risonanza internazionale. Era noto che la Marina spagnola nazionalista non possedeva sommergibili, ragion per cui il governo di Franco dovette in qualche modo giustificarsi. Il 24 novembre, tramite il suo rappresentante a Roma, il governo nazionalista rese pubblica una dichiarazione nella quale si dichiarava che la sua flotta poteva contare sulla collaborazione “di non pochi sommergibili, alcuni dei quali appartenenti prima ai rossi” erano riusciti a sottrarsi al controllo dei comunisti, e di altri ancora che erano stati catturati nel corso degli scontri navali.

Da parte repubblicana, una commissione di esperti, nominata dal governo di Madrid, esaminando i frammenti del siluro che aveva colpito il Miguel de Cervantes, espresse l’errato convincimento trattarsi di un’arma tedesca e quindi lanciata da un U-boote. L’Ammiragliato britannico, invece, pur non avendo elementi sicuri, fu indotto ad attribuire l’attacco contro l’incrociatore a un sommergibile spagnolo passato alla causa nazionalista, dando con ciò ragione alla tesi artefatta sostenuta dai nazionalisti.

Naturalmente, il governo repubblicano continuò ad accusare del crimine i nazionalisti e i governi che li sostenevano, in particolare quello italiano per la sua interferenza nel conflitto spagnolo. Le proteste però non servirono a scoraggiare il Governo fascista dal continuare l’attività subacquea lungo le coste dell’Andalusia e della Catalogna, aumentando il numero dei sommergibili in missione nell’intendimento di spezzare la corrente dei rifornimenti che giungevano ai repubblicani, trasportati dalle loro navi da carico e da quelle dei paesi che sostenevano il governo di Madrid. In effetti, la presenza dei sommergibili italiani finì per costituire un’insidia silenziosa e temibilissima davanti ai porti iberici, anche se i risultati, dal punto di vista di affondamenti e danneggiamenti di navi rosse, non furono quelli sperati negli ambienti militari e politici romani.

 

L’ attività dei sommergibili tedeschi durante lo svolgimento dell’operazione “Ursula”.

Dell’accordo di Roma del 17 novembre 1936, in cui erano state fissate le modalità per l’impiego delle unità subacquee italiane e tedesche, l’ammiraglio Boehm fu messo al corrente il giorno 24. Sul movimento dei sommergibili italiani e riguardo alle zone operative ad essi assegnate, egli chiese spiegazioni all’Alto Comando della Kriegsmarine. La risposta dell’OKM, giunta il 26, lo mise al corrente che l’attività dei sommergibili tedeschi si sarebbe svolta con la norma di attaccare senza preavviso, durante la notte, le navi sovietiche e tutte quelle unità mercantili che fossero entrate nelle acque territoriali della Spagna navigando sotto la scorta di navi da guerra repubblicane.

Dopo la riunione di Roma del 17 novembre, , e dopo il rientro alla base del sommergibile Torricelli, che concludeva positivamente la prima fase delle operazioni subacquee italiane con il danneggiamento dell’incrociatore Miguel de Cervantes, i due U-Boote, in conformità con le modalità fissate per l’operazione “Ursula”, si apprestavano ad entrare nelle zone di agguato di Almeria e di Malaga.

Salpati il 20 novembre dalla base di Wilhelmshaven, alla foce dell’Elba, l’U-33 e l’U-34 superarono il Canale della Manica il giorno 22. Quindi, simulando durante la navigazione in Atlantico una missione di esercitazione, procedendo in superficie passarono lo Stretto di Gibilterra nella notte fra il 27 e il 30 novembre, per poi raggiungere le previste zone di operazione lungo le coste meridionali della Spagna, ove si trattennero fino alla metà di dicembre. La linea di demarcazione fra i due sommergibili era stata stabilita sul meridiano 0° 44’ ovest, all’altezza di Capo Palos. L’U-34 si portò ad operare ad ovest di tale linea per attaccare le unità navali e di rifornimento rosse davanti a Cartagena; l’ U-33 raggiunse le acque a est di Capo Palos, in vicinanza del porto di Alicante, e si mantenne in quel settore di operazioni che fu limitato fino alla latitudine 38° 43’ nord, presso Capo Nao.

Nel contempo in conformità con le norme che stabilivano il sistema informativo, le torpediniere germaniche Leopard, Luchs e Wolf si alternarono in crociere di vigilanza in prossimità del porto di Cartagena. Gli incrociatori della Marina nazionalista spagnola si dedicavano invece ad operazioni di blocco, fermando tutti i mercantili che apparivano sospetti di esercitare il contrabbando delle armi. In una di queste ispezioni, il 14 dicembre, il Canarias affondò a cannonate il piroscafo sovietico Komsomo (6.700 tsl), incontrato a sud di Cartagena. Si trattò della prima nave sovietica ad essere affondata nel corso della guerra di Spagna, e ciò determinò una dura protesta da parte di Mosca.

Infine la “Legione Condor” della Luftwaffe, che al comando del generale Ugo Speerle, disponeva in Spagna di circa 120 velivoli, inclusi 48 bombardieri Ju. 52 dello Gruppo K. 88, nelle notti del 26 e del 28 novembre, attaccò in forza i porti di Cartagena e di Alicante, senza però conseguire i successi sperati contro le navi mercantili, repubblicane e sovietiche dal momento che queste, come ebbe a lamentare lo stesso Speerle, nelle ore di oscurità si rifugiarono nelle zone neutrali ammesse dai nazionalisti. Le missioni aeree erano state anche pianificate per appoggiare, gli incrociatori nazionalisti Canarias e Cervera, che avrebbero incrociato al largo di Cartagena, ove si sarebbero trovate anche navi tedesche oscurate, destinate al recupero degli eventuali equipaggi degli aerei caduti in mare.

Il Comandante della “Legione Condor” avrebbe voluto che anche la Regia Aeronautica partecipasse alle operazioni aeree contro i porti di Barcellona e Siviglia con gli aerei presenti in Spagna, ed anche partendo direttamente dalla Sardegna. Ma la proposta, trasmessa a Roma, non fu accettata da Mussolini che, preoccupato dalle proteste internazionali, per il fatto che le potenze europee erano contrarie ai bombardamenti, e temendo un grave incidente diplomatico, autorizzò soltanto gli attacchi dell’Aviazione Legionaria delle Baleari, attuati in modo modestissimo con l’impiego di due o tre aerei S. 81 per notte. Naturalmente da parte di Speerle, che contemporaneamente impegnava negli attacchi ai porti formazioni superiori ai trenta bombardieri per notte, senza troppo curarsi delle proteste internazionali, vi fu molta delusione, e il maresciallo Hermann Göring, Capo della Luftwaffe, informato dal suo subordinato, non mancò di sottolineare che gli italiani si stavano tirando indietro.

Contemporaneamente agli attacchi dell’aviazione chiesti da Speerle, ma anche da Franco, la Marina spagnola sollecitò Roma, attraverso il generale Roatta, che era anche desiderata la partecipazione dei sommergibili italiani, che avrebbero dovuto mantenere l’agguato davanti a Cartagena e ad Alicante, per intervenire in caso di uscita delle navi nemiche seguita alle incursioni aeree tedesche. Autorizzata dal Duce, la Regia Marina accolse l’invito della Marina spagnola, e destinò ad agire presso Cartagena e Alicante i sommergibili Sciesa e Torricelli che già operavano da alcuni giorni in quelle zone.

Gli U-boote tedeschi, per evitare di farsi individuare e di causare un incidente internazionale, adottarono la stessa tattica attuata dai sommergibili italiani. Essa consisteva nel manovrare di giorno con navigazione occulta, e quindi nel mantenersi costantemente immersi, attuando ascolto con gli idrofoni, svolgendo frequenti esplorazioni a quota periscopica, e manovrando in superficie nelle ore di oscurità, anche per la ricarica delle batterie degli accumulatori e per reintegrare la riserva d’aria.

Le operazioni offensive dei due U-Boote ebbero inizio il 1° dicembre quando il tenente di vascello Grosse, comandante dell’U-34, attaccò un cacciatorpediniere repubblicano presso Cartagena; ma il siluro lanciato, mancando il bersaglio, andò ad esplodere sulla vicina costa. Il giorno 5 il comandante Grosse fallì un altro attacco contro il cacciatorpediniere repubblicano Almirante Antequera, e l’8 dicembre andò incontro ad una nuova delusione mancando con il siluro, che funzionò male, un’altro cacciatorpediniere tipo Sanchez Barcáiztegui.

Il tenente di vascello Freiwald, comandante dell’U-33, fu ancora più sfortunato, poiché fra il 2 e il 5 dicembre tentò di attaccare in tre occasioni due cacciatorpediniere e, per ultimo, l’incrociatore Méndez Núñez, che era scortato da due siluranti, senza mai riuscire a raggiungere una favorevole posizione d’attacco.

Fu ancora una volta l’U-34 a riuscire a giungere al lancio, questa volta con risultato positivo, conseguendo l’unico successo della missione. Avendo assunto la rotta per rientrare alla base, ma trovandosi ancora presso il porto di Malaga, nel pomeriggio del 12 dicembre avvistò in superficie un sommergibile, poi risultato essere il repubblicano C 3. Il tenente di vascello Grosse si portò a distanza favorevole per l’attacco, e alle ore 14.19, da quota periscopica, lanciò l’ultimo siluro rimastogli, che fu visto raggiungere il bersaglio determinando una forte esplosione. Il C 3 affondò rapidamente ad una distanza di circa 10 miglia dalla costa, e con il sommergibile perirono quarantasette dei cinquanta uomini dell’equipaggio, incluso il comandante l’alfiere Antonio Arbona Pastor.

La causa della perdita dell’unità subacquea spagnola, dapprima imputata dai repubblicani al siluro di un sommergibile nazionalista, fu poi erroneamente attribuita ad un’accidentale esplosione interna.

Il 20 dicembre l’U-33 e l’U-34 rientrarono a Wihelmshaven, terminando le loro missioni che, considerando il gran numero di lanci di siluri falliti, attribuiti sia all’imprecisione delle armi, sia alla mancanza di addestramento degli equipaggi di quei due nuovissimi battelli, non ebbero esiti, tutto sommato, positivi. Comunque, quell’esperienza ebbe la sua importanza, e servi poi per essere messa a profitto tre anni più tardi, all’inizio della seconda guerra mondiale.

Secondo gli accordi presi con gli italiani, alla fine di dicembre altri due sommergibili tedeschi della classe VII-A (U 28 e U 35) avrebbero dovuto sostituire quelli rientrati alla base. Ma questo non avvenne perché nel frattempo, dopo una riunione di capi militari italiani, tenutasi presso il Duce a Palazzo Venezia il 6 dicembre 1936, presente in rappresentanza della Germania il Capo del Servizio Informazioni ammiraglio Canaris, Hitler aveva accettato il suggerimento avanzato in quell’occasione da Mussolini allo stesso Canaris: ossia di lasciare ai sommergibili italiani il compito di bloccare i porti della Spagna repubblicana nel Mediterraneo. Il Duce aveva anche proposto di suddividere i compiti delle due Marine, lasciando a quella Germanica la responsabilità di occuparsi del blocco dei porti rossi sulle coste dell’Atlantico; ma l’idea non fu condivisa dal Führer, il quale, mentre ordinava alla Kriegsmarine di sospendere le operazioni navali offensive nel Mediterraneo – di cui si sarebbe occupata esclusivamente la Regia Marina – si rifiutò di accettare l’idea di bloccare con i propri U-Boote i porti repubblicani del Golfo di Biscaglia.

Riteniamo pertanto che siano in errore lo storico statunitense Willard C. Franck Jr., e tutti coloro che fiduciosamente ne hanno condiviso la tesi, circa le cause del disimpegno navale tedesco nel Mediterraneo, motivandolo soltanto con le difficoltà che la Marina germanica incontrava nella scorta alle navi di rifornimento dirette ai nazionalisti. Hitler si adeguò alla volontà di Mussolini, che intendeva riservare alla sola Regia Marina la responsabilità delle operazioni navali nel Mediterraneo, perché era a sua volta convinto che non conveniva alla Germania di insistere nell’attività navale offensiva in quel mare, in un momento in cui esisteva il rischio di provocare una pericolosa crisi con l’Unione Sovietica, in un momento in cui la Germania, come già abbiamo detto, non era ancora pronta militarmente per respingere un eventuale attacco.

L’ordine di sospendere l’attivita degli U-Boote arrivò alla Kriegsmarine il 10 dicembre dal ministro della Guerra, generale von Blomberg, e conformemente a questa decisione l’indomani 11 il grande ammiraglio Raeder ne informò il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari.

Sull’abbandono dell’attività offensiva da parte dei sommergibili della Kriegsmarine, le cui unità di superficie restarono in Mediterraneo soltanto per continuare a svolgere, su richiesta di Mussolini, la loro preziosa opera informativa, Augusto De Toro, in “L’intervento navale tedesco nella guerra civile spagnola”, (Periodo RID, aprile 1988) ha scritto:

 

“Si concluse in tal modo l’operazione “Ursula” e con essa l’unica operazione bellica condotta dalla Germania sul mare durante la guerra di Spagna. Ebbe fine anche il primo atto di concreta collaborazione navale italo-tedesca tra le due guerre mondiali e di lì a poco sarebbe svanito anche il proposito italiano di costituire uno stato maggiore generale. Berlino non si sentì, alla fine, di correre troppi rischi e di vedere compromessi per un teatro tutto sommato secondario altri obiettivi della sua politica estera. Gli riuscì però anche in questa circostanza di coinvolgere a fondo l’Italia nell’affare spagnolo, di distrarla sul teatro del Mediterraneo lasciandola sola, con tutte le implicazioni che sarebbero potute derivare, a condurre la guerra clandestina.”

 

L’inizio dell’impegno italiano nella penisola Iberica.

ll 18 novembre la Germania e l’Italia riconobbero ufficialmente il governo di Franco, e il successivo giorno 27 il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano riferì all’ambasciatore di Germania von Hassel che Mussolini era pronto a inviare in Spagna un’intera divisione di Camicie Nere, costituita da circa quattromila uomini su quattro battaglioni, e fornita di cannoni e di carri armati veloci. Ma, il Ministro degli Esteri italiano aggiunse che il Duce voleva prima dal generale Franco, a titolo di garanzia, una dichiarazione scritta, nella quale, fra l’altro, il capo del governo nazionalista si doveva impegnare, per l’avvenire a seguire nel Mediterraneo una politica di armonia con quella dell’Italia senza, bene inteso, che l’Italia avanzasse nei confronti della Spagna rivendicazioni territoriali.

Il documento, negoziato dal segretario particolare di Ciano, Filippo Anfuso, e approvato dalle due parti, impegnava il governo di Roma a dare “in avvenire il propria appoggio e aiuto per la conservazione dell’indipendenza e dell’integrità della Spagna”. Sul problema interessante il Mediterraneo occidentale questo documento “segreto” specificava che le due nazioni “dovevano agire in comune accordo dandosi mutua assistenza in vista d’una protezione efficace dei loro rispettivi interessi”.

In realtà questo accordo, al pari di tante altre promesse fatte al momento del bisogno, non fu rispettato dall’astuto Franco, che nel corso della seconda guerra mondiale, nonostante i molti solleciti giuntigli da Mussolini, riuscì a non renderlo operante evitando di schierarsi a fianco dell’Italia e della Germania.

Un motivo di attrito si verificò verso la fine di novembre, a causa della lentezza con cui il generale Franco stava conducendo l’offensiva terrestre tendente alla conquista di Madrid, mentre invece Mussolini e i militari italiani, così come i responsabili tedeschi, desideravano una rapida e vittoriosa conclusione del conflitto. Ed era per questo motivo che alle truppe nazionaliste era stato fornito l’appoggio di carri armati leggeri e di artiglieria italiana,

Dal momento che la resistenza offerta dai repubblicani era tenace, mostrandosi estremamente pessimista sulle possibilità dei nazionalisti di arrivare ad una rapida vittoria conquistando Madrid, il conte Ciano telegrafando a Berlino all’incaricato d’affari in Germania, Massimo Magistrati, per conoscere l’opinione dei tedeschi, che erano ugualmente delusi dalla lentezza delle operazioni da parte di Franco e dei suoi Comandanti, specificò: “Il tempo comincia a lavorare contro di noi”. Il generale Roatta era ancora più pessimista, per la sfiducia riposta nei Comandanti franchismi, e lo trasmise a Roma nella notte tra il 26 e il 27 novembre, aggiungendo che la sola conquista di Madrid non avrebbe rappresentato l’unica possibilità che rimaneva ai nazionalisti per una rapida conclusione della guerra, perché la resistenza dei Repubblicani – il cui governo era stato trasferito da Madrid a Valencia – materialmente appoggiata dai sovietici, sarebbe proseguita altrove.

Pertanto, a meno che non si volessero impiegare Comandi e Grandi Unità italiane e germaniche per dare un decisivo impulso alle operazioni terrestri – cosa che in quel momento trovava parecchie perplessità in Italia e una decisa avversione in Germania – occorreva impiegare “un altro mezzo”, che Roatta considerò essere “più economico, meno complicato et, probabilmente meno gravido di conseguenze, per ottenere indirettamente scopo desiderato”. E specificò che l’obiettivo da raggiungere era quello di stroncare l’appoggio dei sovietici “agendo presto, decisamente et a fondo, sul traffico navale et sui cantieri di costruzione rossi”.

L’alternativa proposta da Roatta, discussa in una riunione presso il Capo del Governo, presenti le più alte cariche militari – meno il Capo di Stato Maggiore Generale, maresciallo Badoglio, non invitato perchè non condividendo la politica spagnola di Mussolini e di Ciano – era quella di influire con un impiego massiccio della Marina e dell’Aviazione sul traffico navale e sui porti. Questo suo concetto Roatta ribadì in un suo telegramma del 1° dicembre, sostenendo:

 

“Il più efficace sistema per impedire valorizzazione milizie rosse da parte Russia est quello di troncare sul mare affluenza personale et materiale sovietici. Se essa cessasse l’effetto morale sui rossi sarebbe enorme ... Se questo, per una ragione qualsiasi non si può ottenere, est da prendere in seria considerazione eventualità intervento grandi unità italiane et germaniche”

 

Lo stesso concetto era condiviso da Göring, ma non da Hitler che avrebbe desiderato arrivare ad un compromesso politico con le maggiori potenze europee. Dei contrasti che si avevano a Berlino circa il modo per arrivare ad una vittoria nazionalista, il 2 dicembre l’Addetto militare italiano nella capitale del Reich, generale Efisio Luigi Marras, faceva pervenire un telegramma al generale Pariani, in cui segnalava che l’incaricato affari Magistrati aveva avuto diversi colloqui con alte personalità germaniche, incluso il Capo della Luftwaffe. Il concetto d’azione di Göring, secondo cui l’Unione Sovietica “ non affacciandosi nel Mediterraneo, non aveva diritto alcuno di farlo solcare dalle proprie navi piene di armi e armati”, doveva essere per l’Italia quello di dare un “alto là” all’URSS, “sostenuto dalla Germania”,. Ciò doveva essere fatto intensificando “la minaccia contro i rifornimenti marittimi dei rossi, facendo “silurare da sommergibili italiani i battelli sovietici carichi di materiale”, ed inviando “10 000 camicie nere e 10 000 uomini delle formazioni SS in soccorso di Franco”.

Questa era la situazione a Berlino, quando il mattino del 6 dicembre, in un clima pesante perché anche la terza offensiva nazionalista sul fronte di Madrid sembrava destinata a fallire per la resistenza dei rossi, si svolse a Roma una importante riunione presso Mussolini, che aveva convocato a Palazzo Venezia le seguenti alte personalità: il Ministro degli Esteri Ciano; i sottosegretari e capi di stato maggiore dell’Esercito, dell’Aeronautica e della Marina, generali Pariani e Valle e ammiraglio Cavagnari; il generale Roatta, fatto arrivare appositamente dalla Spagna; e l’ammiraglio Canaris (alias Ivonweile), inviato dal Ministro della Guerra della Germania Von Blomberg, in rappresentanza delle Forze Amate tedesche.

Durante la conferenza, avendo l’ammiraglio Canaris confermato che la resistenza dei repubblicani in Spagna era resa possibile dal materiale inviato dalla Russia, Mussolini sostenne la necessità di intensificare le operazioni di blocco, misura chiesta insistentemente da Franco, e che Roatta aveva caldeggiato. Il Duce chiese che anche la Germania vi concorresse, aumentando i suoi aerei da bombardamento della Legione Condor presente in Spagna, per bombardare i porti repubblicani, mentre le navi tedesche avrebbero dovuto continuare a incrociare nel Mediterraneo quali unità di vigilanza, mantenendosi in collegamento con il Comando della Regia Marina.

Mussolini, da parte sua, si disse pronto ad aumentare il numero dei sommergibili in missione lungo le coste nemiche, portandolo dagli attuali due a sei o otto e ne dette la seguente spiegazione, riportata nel verbale della riunione:

 

“In questo momento noi dobbiamo effettuare una vera “corsa al mare”. E’ mia convinzione che la soluzione della situazione spagnola si potrà ottenere dal mare. Il giorno cioè in cui avremmo bloccato i porti rossi del Mediterraneo il Governo di Valencia si renderà conto che la partita è perduta. Bisogna tener conto che, tanto in

Italia che in Germania, occorrono due mesi per l’istruzione delle grandi unità. In questo periodo soprattutto bisognerà rendere impossibile ogni traffico nel Mediterraneo in direzione della Spagna, adoperando nella maniera più effettiva aviazione e sottomarini. Per obbedire al principio della divisione del lavoro tra Italia e Germania e per l’evidente facilità che ha l’Italia di servirsi dell’arma sottomarina nel Mediterraneo, il Duce ritiene che la Germania possa essere dispensata dall’inviare sottomarini sulle coste spagnole; evidentemente se il Governo tedesco volesse con correre all’azione sottomarina, è liberissimo di farlo, ma il Duce è d’avviso è più opportuno e più utile che i sottomarini vengano impiegati dall’Italia. Egli è disposto a portare il numero dei sottomarini operanti nelle acque spagnole da due a otto, in maniera da arrivare di impedire il traffico di armi presso i porti rossi silurando tutti i bastimenti che sono nelle acque territoriali spagnole.”

 

Su questa esposizione di Mussolini si accese la discussione che riportiamo integralmente:

 

“Circa l’impiego dell’arma sottomarina, l’Ammiraglio Canaris stima necessario che i sommergibili vengano aumentati ed è d’accordo col Duce nel ritenere che il compito del blocco venga devoluto all’Italia.

Il Duce domanda a S.E. il Sottosegretario di Stato alla Marina quali sono le possibilità di attacco da parte dei sottomarini alle navi dirette ai porti spagnoli rossi del Mediterraneo.

L’Ammiraglio Cavagnari fa un’esposizione dell’attività dei sottomarini nelle acque spagnole e delle difficoltà che incontrano le nostre unità ad identificare ed avvicinare i piroscafi. A conferma di quanto egli espone viene ascoltata una relazione verbale del Comandante del sottomarino “Torricelli” il quale rende conto delle difficoltà dei siluramenti nelle acque territoriali spagnole e degli ostacoli dell’identificazione dei navigli.

L’Ammiraglio Cavagnari ritiene che nelle acque territoriali spagnole, anche facendo un bando, i siluramenti sono effettivamente difficili, mentre, in caso di equivoco, potrebbero sorgere gravi complicazioni internazionali.

Il Duce, pur rendendosi conto delle difficoltà esposte dall’Ammiraglio Cavagnari, dispone che venga aumentata la pressione dei sottomarini sulle coste spagnole.

Viene successivamente esaminata dal Sottosegretario alla Marina anche la possibilità di armare dei piroscafi che battano le coste spagnole, facciano alzare bandiera ai piroscafi in navigazione, seguano e segnalino ai sommergibili la rotta dei piroscafi in navigazione.

Il Duce conclude che il compito dell’azione sottomarina nel Mediterraneo sarà affidato agli italiani, mentre eventualmente e possibilmente la Marina tedesca potrà agire nell’Atlantico.

Egli prospetta l’eventualità di aumentare i sottomarini da due a otto e stabilisce poi che qualora non sia immediatamente possibile, per ragioni di distanza, di rifornimenti, etc., portarli da due a otto, essi vengano aumentati da quattro a sei.

S.E. Ciano insiste sulla necessità dell’intensificazione dell’azione sottomarina proponendo che per lo meno venga distaccato un sommergibile per ogni porto spagnolo.

L’Ammiraglio Canaris prospetta l’opportunità che vengano anche inquadrati nella Marina spagnola degli elementi italiani e tedeschi come ufficiali e sottoufficiali.

Viene infine concordato, dietro indicazione del Duce, che le Marine italiana e tedesca si tengano in contatto, attraverso opportune riunioni per stabilire i dettagli circa i l’azione da svolgere.”

 

In definitiva, le discussioni del 6 dicembre costituirono una svolta radicale nei confronti del sostegno che Italia e Germania offrivano ai nazionalisti, arrivando ad un accordo pieno e completo. Tuttavia occorre dire che mentre da parte del Duce era espressa grande determinazione nell’appoggiare la causa nazionalista con l’attività occulta dei sommergibili, molta cautela, per le conseguenze politiche che potevano derivarne, esisteva nel generale Franco.

Nella notte sul 14 dicembre il tenente colonnello Emilio Faldella trasmise a Roma, da Salamanca, una comunicazione del capitano di vascello Ferretti circa le consegne che erano state date per la guerra di blocco alle unità navali della Marina nazionalista che quello stesso giorno avevano affondato il piroscafo sovietico Komsomol. Consegne che, secondo quanto il capo della missione navale italiana aveva dichiarato essergli state riferite dallo stesso generale Franco, prevedevano di sequestrare soltanto piroscafi di nazionalità sovietica che trasportassero accertato contrabbando di guerra.

E questo, aveva specificato il generalissimo, “per non provocare un allargamento del conflitto di cui si sentirebbe responsabile verso le nazioni amiche che ne potrebbero essere coinvolte”, e temendo un intervento della flotta sovietica e della Francia, “con particolare riferimento al caso in cui [egli] dovesse rimanere a fronteggiarlo da solo”.

Astutamente, volendo avere le spalle protette, Franco aveva concluso affermando di essere “disposto a dare alla guerra al traffico quella forma che nazioni amiche potranno consigliare”, ragion per cui restava in attesa di comunicazioni al riguardo.

Queste richieste del generale Franco arrivavano in un momento particolarmente delicato, in cui a Roma si stava ancora discutendo sulle modalità e sulla qualità dell’appoggio da concedere alla causa nazionalista. Si trattava, per sostenere le operazioni di blocco, di prendere impegni con Franco che poi occorreva rispettare fino alle estreme conseguenze; e ciò avveniva proprio mentre si verificava un certo defilarsi da parte della Germania, dal momento che l’ammiraglio Canaris aveva affermato di ritenere giusto “che il compito del blocco” navale dovesse essere “devoluto all’Italia”. Defilarsi, che portava a scaricare su Roma l’onere politico e militare maggiore dell’aiuto a Franco, e che il famoso storico statunitense Coverdale, ha acutamente commentato nel suo famoso libro, “I fascisti italiani alla guerra di Spagna”, ( p. 151-152) come segue:

 

“Il rifiuto di Canaris di assumersi qualsiasi impegno per l’invio di truppe tedesche in Spagna era frutto di una evoluzione fondamentale avvenuta nella politica tedesca [in quanto] il trattato segreto stipulato tra Roma e Burgos, fatto immediatamente conoscere ai tedeschi dagli italiani, indusse Berlino a pensare che gli interessi di Roma in Spagna fossero molto più importanti dei propri ...

I tedeschi erano lieti che l’impegno italiano in Spagna aumentasse, perché esso non minacciava interessi tedeschi e perché dava una certa sicurezza che l’Italia non si sarebbe lasciata indurre ad abbandonare la Germania da prospettive di interesse con Londra e Parigi ... Se gli italiani aspiravano ad una posizione privilegiata in Spagna, essi non potevano aspettarsi che fosse la Germania a pagarne il prezzo.

La Germania stava provvedendo al proprio riarmo e non poteva permettersi di continuare ad inviare enormi quantità di armi alla Spagna.”

 

A questo ultimo riguardo occorre dire che fino ad allora la Germania aveva inviato ai nazionalisti mezzi e equipaggiamenti molto superiori a quelli ceduti dall’Italia.

Sebbene non intendesse abbandonare del tutto l’appoggio a Franco, Hitler badava a non provocare la Gran Bretagna e la Francia, inviando in Spagna, dopo la i reparti aerei della “Legione Condor, anche forze terrestri, a scapito del proprio programma di riarmo. Pertanto, come riferì il Führer il 21 dicembre, per la Germania era vantaggioso “vedere l’Italia impegnata per lungo tempo in Spagna”.

Fu sulla base di queste considerazioni che fin dal 2 dicembre Hitler aveva deciso di lasciare agli italiani la preminenza delle operazioni in terra iberica. Pertanto l’afflusso dei rifornimenti tedeschi a Franco, che nel novembre 1936 – anche per il trasporto di uomini e mezzi della Legione Condor – erano stati assicurati ai nazionalisti mediante l’impiego di ventisei piroscafi, calò nel gennaio 1937 a sole dodici navi da carico, che però portarono ugualmente in Spagna un’ingente quantità di armi e di equipaggiamenti.

I rifornimenti ai nazionalisti da parte della Germania sarebbero comunque continuati ad affluire in misura notevole fino al termine della guerra, in particolare sotto forma di automezzi, cannoni e quattro battaglioni carri armati al comando del colonnello Ritter Wilhelm von Toma,. Questo aiuto smentisce l’idea, avanzata da molti storici, che Hitler, non inviando truppe, avesse volutamente mirato ad un prolungamento della guerra, per tenervi impegnata l’Italia, con l’obiettivo di attirare l’allora tibutante Mussolini in un’alleanza più stretta tra Germania e Italia, a scapito di un riavvicinamento dell’Italia con Inghilterra e la Francia. Si deve invece ritenere che il Führer si era reso conto di non essere pronto a sostenere il peso di un conflitto con la Gran Bertagna e la Francia, al cui fianco avrebbe potuto schierarsi anche l’Unione Sovietica. Egli, pertanto, con la Germania che si stava ancora riarmando, preferì agire con molta cautela, dando a Franco gli aiuti indispensabili per contribuire a fargli vincere la guerra, evitando nel contempo di aumentare gli attriti con le varie potenze europee, in un momento in cui le sue mire erano di altra natura, come poi avrebbe dimostrato nel corso del 1938, con l’annessione alla Germania prima dell’Austria e poi della Cecoslovacchia. In questo gli serviva il sostegno dell’Italia, che fu pertanto lasciata libera di giocare la sua partita politica e strategica in Spagna.

L’impegno italiano nella penisola iberica ebbe inizio il 22 dicembre 1936, quando i primi 3.000 soldati sbarcarono a Cadice dal piroscafo Lombardia. Altri 5.000 vi giunsero nel gennaio 1937, andando a costituire, inquadrate nella brigata legionaria chiamata “Dio lo Vuole”, e di due brigate miste italo-spagnole (Frecce Nere e Frecce Azzurre) il primo nucleo del Corpo Truppe Volontari (C.T.V.). IL Comando fu assunto dal generale Roatta, che ne aveva ricevuto l’incarico da Mussolini, con la lettera n. 23 del 7 dicembre 1936, con l’ordine di “applicare senza indugio le riforme stabilite nella riunione italo-germanica del 6 dicembre XV a Palazzo Venezia”.

Roatta prese sotto il suo comando anche l’Aviazione delle Isole Baleari, dando al maggiore Leone Gallo, che ne era il comandante, le seguenti direttive, trasmesse il 16 dicembre:

 

1°) Approntare un aeroporto il più possibile attrezzato per farvi operare una formazione di bombardieri veloci (S. 79), con i quali “concorrere alla scoperta e repressione del traffico marittimo di materiale e personale bellico a favore dei rossi”.

 

2°) “agire, in concorso con le altre forze aeree, o navali, contro le coste rosse mediterranee”, nella zona assegnata tra il confine francese e Capo San Antonio. In tale zona gli obiettivi principali, da battere con bombe di grosso calibro per causare alle navi i danni più gravi – come suggerito dal Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Valle – erano rappresentati dai porti di Barcellona e di Valencia.

 

Il C.T.V. entrò in azione ai primi di febbraio per la battaglia di Malaga, inquadrato nell’armata Andalusa del generale Quiepo de Llano.

L’invio delle truppe italiane, che in stretto contatto con il generale Pariani era regolato nel ministero degli Esteri dal nuovo Ufficio Spagna, messo da Ciano alle dipendenze del giovane conte Luca Pietromarchi, sarebbe continuato ininterrotto fino al 16 aprile 1937. Entro quella data vennero trasportati nella penisola iberica 52.000 uomini, 3.894 automezzi e carri armati, centinaia di cannoni, decine di apparecchi da caccia, e circa 40.000 tonn. di materiale e rifornimenti, con l’impiego da parte della Marina italiana di 57 navi da trasporto; queste ultime, senza tener conto degli spostamenti navali che si svolsero tra i porti spagnoli, eseguirono nei due sensi, fra l’Italia e la Spagna, un totale di 148 viaggi.

Nei periodi successivi della guerra, nonostante le limitazioni imposte dagli accordi internazionali sul non intervento, vennero ancora trasportati via mare nella penisola iberica altri 18.000 uomini, nonché ingenti carichi di materiali e di armi, che raggiunsero complessivamente le 160.000 tonn. A questo ingente sforzo logistico della Regia Marina, che comportò l’impiego di numerose unità di superficie per le scorte navali, e che permise di tenere in attività per tutto il periodo della guerra un corpo di spedizione di circa 40.000 uomini dell’Esercito e della Milizia, si aggiunse quello della Regia Aeronautica che partecipò allo sforzo bellico con circa 6.000 uomini, fra il personale di volo e specialisti, e con un totale di 764 aerei di tutti, quantificati in: 197 bombardieri, 376 caccia, 23 velivoli d’assalto, sessantotto ricognitori, a cui sono da aggiungere gli idrovolanti.

Questo sforzo complessivo fu compiuto dalle Forze Armate del Regno senza che Roma si preoccupasse di reintegrare il materiale consumato o ceduto ai nazionalisti, mentre invece i sovietici si facevano pagare il materiale ceduto ai repubblicani con l’oro della Banca di Spagna, trasferito in Russia fin dall’ottobre 1936.

 

Le riunioni di Ceuta e di Cadice per fissare gli accordi di collaborazione per l’attuazione del blocco navale, tra Spagna, Italia e Germania

Dopo la riunione di Palazzo Venezia del 6 dicembre 1936, si svolsero in Spagna due riunioni di carattere navale, presenti alti ufficiali tedeschi, italiani e spagnoli nazionalisti, per discutere gli accordi di collaborazione per l’attuazione del blocco navale contro il traffico diretto alla Spagna repubblicana; accordi che poi entrarono in vigore nel corso del mese.

Durante una prima riunione informale, promossa il 10 dicembre 1936 a bordo dell’incrociatore Nurberg, ancorato nel porto di Ceuta, dal contrammiraglio Hermann Boehm, Comandante delle Forze di Esplorazione della Marina germanica dislocate nel Mediterraneo, furono affrontate le modalità dell’aiuto da accordare nel settore operativo e nel sostegno logistico alla Marina nazionalista spagnola. Alla riunione, parteciparono, da parte della Marina nazionalista l’ammiraglio Cervera e, in rappresentanza della Marina italiana, il capitano di vascello Giovanni Romedio Ferretti, il quale pur essendo il Capo della Missione Navale italiana in Spagna, si trovava alle dirette dipendenze del generale Roatta, con l’incarico di mantenere il collegamento tra il Comando del C.T.I. e il Comando navale nazionalista.

Nel verbalizzare le svolgimento delle discussioni, il comandante Ferretti fornì un quadro preciso delle difficoltà della Marina nazionalista a mantenere il blocco sulle coste della Spagna rossa, essendole allora rimasto disponibile il solo incrociatore Canarias, poiché gli altri due, il Baleares e il Cervera, si trovavano ancora in arsenale per lavori di messa a punto.

Nel sottolineare l’urgente richiesta di aiuti avanzata dal Capo di Stato Maggiore della Marina nazionalista, quantificata in sei cacciatorpediniere e sei sommergibili, Ferretti fece conoscere a Roma che l’ammiraglio Cervera, per la dignità dei suoi ufficiali, aveva messo bene in chiaro di non ammettere ingerenze degli italiani e dei tedeschi nella condotta delle operazioni belliche, le quali dovevano rimanere esclusivamente di sua competenza. Con ciò Cervera respingeva l’idea di costituire a Cadice uno stato maggiore misto, con rappresentanti navali delle tre nazioni, che era la tesi caldeggiata da Roma e da Berlino, e rispondendo ad una proposta fattagli dall’ammiraglio Boehm, affermò orgogliosamente: “Non ci manca chi dia ordini. Noi abbiamo i nostri Ammiragli”.

Conseguentemente, nel corso di quella prima riunione informale, l’unica concessione ammessa dall’ammiraglio Cervera fu quella di accettare che ufficiali italiani e tedeschi facessero parte del Comando della Marina a Cadice, e di impiantare in loco un servizio informativo alle dipendenze dei capi della missione navali che risiedevano a Salamanca.

Una seconda conferenza, dai contenuti ben più importanti perché fissavano le basi per una più stretta collaborazione, nel campo operativo, del Comando della Marina nazionalista con le Marine italiana e tedesca, si svolse il 30 dicembre a Cadice. Vi parteciparono, a bordo dell’incrociatore Canarias, in rappresentanza della Marina spagnola l’ammiraglio Cervera e il Comandante della flotta, capitano di vascello Francisco Moreno e, in rappresentanza delle marine germanica e italiana, il contrammiraglio Hermann von Fischel, arrivato a Cadice con la corazzata tascabile Admiral Graf Spee, e il contrammiraglio Angelo Iachino, giunto a Tangeri con il cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, presente anche il comandante Ferretti.

Le discussioni furono aperte dall’ammiraglio Cervera, ringraziando “gli Ammiragli tedesco e italiano per la collaborazione che le due marine” stavano “dando a quella spagnola nazionalista”,. Entrando poi nel concreto degli argomenti da discutere, egli ribadì la necessità “che la direzione della guerra navale” dovesse restare nelle sue mani, e quindi della Marina spagnola, ed auspicò la più utile “collaborazione fra le tre marine” alleate, anche nel campo informativo e di più sicure comunicazioni: concetti che gli ammiragli von Fishel e Iachino dichiararono di condividere.

L’ammiraglio Cervera passò quindi ad esporre le richieste della Marina nazionalista, dichiarando che, per le sue necessità di guerra al traffico, agendo contro i piroscafi contrabbandieri nelle zone tra Cartagena e Capo Cruez, desiderava la cessione, da parte della Regia Marina, di sei cacciatorpediniere modernissimi e sei esploratori, nonché di aiuti per adattare il porto di Palma di Maiorca, come base per gli incrociatori che dovevano essere impegnati in compiti esplorativi ed eventuali bombardamenti costieri nel tratto tra Capo Sant’Antonio e Capo Cruez, da svolgere sui porti e sulle unità navali nemiche.

Infine, Cervera, auspicava di poter condurre anche una guerra di mine nelle acque territoriali repubblicane, mediante sommergibili e piroscafi adeguatamente attrezzati, da impiegare nelle zone di Valencia e di Capo Cruez; e ciò allo scopo di ostacolare il più possibile il traffico diretto alla Spagna. Anche nei confronti di quelle navi neutrali che, pur non esercitando il contrabbando di guerra, potevano essere utili alla resistenza dei repubblicani e dannose alla causa dei nazionalisti.

A queste richieste di sostegno logistico e militare, di non poco conto nel campo politico, l’ammiraglio Iachino rispose che l’Italia non poteva cedere cacciatorpediniere, perché il trattato di Londra del 1936 – che non era ancora stato firmato dal governo italiano – proibiva la cessione di navi da guerra a paesi impegnati in conflitti armati. Iachino spiegò che l’eventuale cessione alla Marina spagnola nazionalista di navi italiane, creando un precedente, avrebbe potuto portare a gravi ripercussioni internazionali di cui occorreva tener conto. L’ammiraglio von Fisher condivise questa opinione del collega italiano e, mettendo le mani avanti, dichiarò che in ogni caso la Germania non poteva cedere cacciatorpediniere, avendone disponibili soltanto un numero limitato.

L’ammiraglio Cervera, mostrandosi non convinto delle giustificazioni espresse dai due ufficiali alleati, continuò ad insistere sulla necessità di ricevere i richiesti cacciatorpediniere; ed aggiunse, pur di ottenerne, che anche qualche unità di tipo più antiquato poteva ugualmente risultare utile per la scorta antisommergibile ai suoi incrociatori. Con un comportamento alquanto diplomatico, per non impegnarsi con promesse difficili da mantenere, Iachino e von Fishel risposero che la questione sarebbe stata riesaminata una volta che fosse stata accertata l’esistenza in Mediterraneo di sommergibili sovietici, che si sospettava fossero stati inviati in appoggio a quelli repubblicani, che fino a quel momento avevano dimostrato una efficienza operativa molto scarsa

Passando ad affrontare la spinosa questione del fermo delle navi neutrali, che stava generando accese proteste in Europa, soprattutto da parte dell’Unione Sovietica, giustificata dai nazionalisti coll’esercitare il diritto di visita anche al di fuori delle acque territoriali, Iachino e von Fishel fecero notare all’ammiraglio Cervera la necessità di dover studiare bene le istruzioni da impartire alle proprie unità navali, “onde evitare differenze di trattamento ed eventuali incidenti diplomatici” con le varie nazioni.

Cervera assicurò che avrebbe chiesto all’ambasciata britannica il permesso di visitare le navi del Regno Unito, e dopo aver esaminato a fondo la questione, si ripropose di emanare precise norme per la guerra al traffico, per poi darne copia ai due rappresentanti delle marine alleate.

Infine, nel “Verbale di Riunione”, vennero fissarono, tra i tre rappresentanti delle marine nazionalista, italiana e germanica, norme di collaborazione operativa, le quali stabilivano che la guerra marittima sarebbe stata “diretta dall’Ammiraglio Spagnolo con la collaborazione delle frazioni delle Marine Tedesca e Italiana destinate a tale scopo”, con le unità spagnole che avrebbero protetto il proprio traffico attraverso lo Stretto di Gibilterra, ed attaccato quello di contrabbando nemico partendo dalla base di Palma di Maiorca, nelle Baleari. Sarebbero state poi emanate “norme dettagliate circa il trattamento da farsi ai piroscafi di qualunque nazionalità incontrata”. I tedeschi si impegnavano ad impiegare dragamine – anche sulle zone settentrionali del Mare Cantabrico – e ad esercitare ricognizioni ed attacchi sulle coste nemiche con gli aerei da bombardamento, mentre gli italiani avrebbero mantenuto in agguato i “Sommergibili lungo la costa Este della Spagna”, impiegato dragamine dalla base di Palma, ed esercitato con l’aviazione, sempre da Palma, voli di ricognizione per vigilanza verso la costa spagnola ed impiego di velivoli da bombardamento.

Al termine delle discussioni, l’ammiraglio Cervera era rimasto alquanto contrariato e sorpreso, per l’incomprensione che i rappresentanti delle due marine amiche avevano dimostrato riguardo la sfavorevole situazione navale in cui si dibatteva la sua flotta. Iachino e von Fisheli, esponendo l’importanza del Canale di Sicilia come punto focale più favorevole per intercettare i rifornimenti destinati ai repubblicani, nel suggerire alla Marina nazionalista di esercitare la sorveglianza delle zone di mare ad occidente delle Isole Baleari con le unità di superficie, e di sbarrare le entrate ai porti della Spagna rossa con mine e vedette veloci, mostravano di dimenticare un fatto molto importante; ossia che la Marina nazionalista non si trovava al momento in condizione di dominare il mare.

Le mancavano incrociatori sufficientemente armati e forniti di munizioni, ma soprattutto non possedeva cacciatorpediniere, le sole unità di superficie che erano in grado di assicurare un buon funzionamento del blocco navale. Erano questi i motivi per cui Cervera aveva chiesto insistentemente al rappresentante italiano la cessione di cacciatorpediniere; ma dall’ammiraglio Iachino egli ricevette soltanto la promessa che l’Italia avrebbe preso in considerazione l’idea di cedere alcuni sommergibili, con parte del personale italiano, che avrebbe indossato la divisa della Marina nazionalista.

In quel momento, dal punto di vista operativo, l’attività bellica che stavano realizzando i sommergibili della Regia Marina, l’appoggio fornito ai nazionalisti era di grande consistenza, mentre invece, riguardo agli aiuti richiesti dai nazionalisti in unità navali, Italia e Germania, per motivi di opportunità politica, si dimostrarono piuttosto avare. Alla fine di ottobre 1936 i tedeschi avevano ceduto alla Marina di Franco solo cinque motosiluranti (da S. 1 a S. 6) , che poi, una volta giunte a destinazione a bordo di piroscafi germanici, vennero impiegate per pattugliare lo Stretto di Gibilterra e per posare sbarramenti di mine lungo le coste repubblicane.

Da parte italiana, invece, furono ceduti quattro M.A.S.. Ma fu soltanto il 10 marzo 1937 che vennero consegnati i primi due, il MAS 435 e il 436, poi chiamati dagli spagnoli Candido Pérez e Javier Quiroga. Di essi, il secondo andò perduto per una collisione nelle acque dello Stretto di Gibilterra il successivo 7 maggio, e non fu rimpiazzato. Gli altri due, il MAS 100 e il 223, furono trasferiti in Spagna a bordo del piroscafo Ernani, salpato dalla Spezia nella notte del 9 gennaio 1937. Vennero consegnati alla Marina nazionalista il 16 aprile, che li ribattezzò Napoles e Sicilia.

 

L’attività dei sommergibili italiani fino al febbraio del 1937

Subito dopo la riunione di Palazzo Venezia del 6 dicembre 1936, uniformandosi alle disposizioni impartite del Duce, l’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina pianificò per i sommergibili un’altra serie di missioni, che ebbero inizio il giorno 9 del mese, quando presero il mare da Cagliari il Glauco, l’ Otaria e lo Jalea, mentre il Galileo Ferrarsi salpò dalla Maddalena. I quattro sommergibili restarono nelle zone di agguato di Cartagena, Capo Palos, Barcellona e Valencia fino al 25 dicembre; ma soltanto l’Otaria (capitano di corvetta Alessandro Marrone), il 20 gennaio riuscì a realizzare una manovra di attacco, a breve distanza dal porto di Cartagena, lanciando, contro un cacciatorpediniere repubblicano, un siluro che, mancando il bersaglio, andò a scoppiare contro la diga foranea del porto.

Anche i sommergibili che seguirono nelle missioni di guerra fino alla fine dell’anno 1936, (Toti, Manara, Delfino, Tazzoli, Jalea – alla sua 2^ missione –, Fieramosca, De Geneys), pur essendo andati al lancio in più occasioni, non ebbero fortuna. L’Enrico Tazzoli (capitano di corvetta Mario Leoni), in agguato davanti a Cartagena, effettuò tre attacchi con lancio a vuoto di quattro siluri, uno dei quali, nella notte sul 27 dicembre, diretto contro un cacciatorpediniere del tipo “Almirante Valdes”. L’Ettore Fieramosca (capitano di corvetta Mario Bartalesi), quella stessa notte sul 27, trovandosi presso Valencia, attaccò in superficie l’incrociatore “Mendez Nuňez”, diretto in porto con la scorta di due cacciatorpediniere, ma i tre siluri lanciati fallirono il bersaglio.

Infine lo Jalea (capitano di corvetta Silvio Garino), nello spazio di poche ore, tra la notte del 25 e il mattino del 26 dicembre, trovandosi in agguato presso Barcellona, lanciò a vuoto tre siluri contro due navi mercantili. Uno dei siluri, che al secondo attacco aveva fallito la motonave spagnola “Villa de Madrid”, finì sulla spiaggia senza esplodere. Rintracciato, recuperato ed esaminarono a bordo dell’incrociatore Mendez Nuñez, fornì ai repubblicani la prova che si trattava di un arma italiana, un siluro Whitehead costruito a Fiume, ed essi ne sfruttarono il grande valore propagandistico per dimostrare all’opinione pubblica internazionale che i sommergibili della Regia Marina operavano in appoggio alle forze navali di Franco.

Il motivo che non permise ai sommergibili italiani di ottenere risultati positivi contro il traffico repubblicano, era dovuto alle istruzioni e alle raccomandazioni che erano state impartite dall’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Marina. Ai battelli subacquei erano state imposte diverse restrizioni operative, dando ai comandanti l’ordine di evitare il siluramento al di fuori del limite di zona assegnata, e di portare a fondo gli attacchi soltanto contro le navi da guerra o i mercantili chiaramente identificati per repubblicane o sovietici, e contro le navi che transitavano a luci oscurate nelle zone prescritte per l’agguato.

Per motivi precauzionali, nel corso delle missioni belliche i sommergibili, imbarcarono un ufficiale della Marina spagnola nazionalista, che doveva figurare quale comandante in caso di forzata emersione in vicinanza di unità neutrali, e che doveva anche essere utile per facilitare il riconoscimento della costa e delle navi avvistate.

Come avevano previsto gli ammiragli Canaris e Cavagnari, le restrizioni operative furono effettivamente un serio ostacolo per l’attività dei sommergibili italiani, dal momento che, per essi, era assai difficile di poter identificare con sufficiente sicurezza una nave mercantile che navigava con falsa bandiera. A questo riguardo, in uno studio compilato al termine della guerra di Spagna, per conto della Regia Marina, dal capitano di fregata Candido Bigliardi, è riportato quanto segue:

 

“Le conseguenze prevedevano dunque che in ogni caso, prima di agire offensivamente, doveva essere effettuato, rimanendo naturalmente in immersione, il riconoscimento del bersaglio.

Questo ordine tassativo mirò ad evitare incidenti e gravi complicazioni con le potenze più interessate nel Mediterraneo, specie con quelle che, anche dopo la nostra vittoriosa campagna d’Etiopia, non avevano ristabilito con noi rapporti politici normali.

Queste istruzioni resero evidentemente assai difficile l’azione offensiva dei comandanti perché, mentre fu sempre possibile e relativamente semplice il riconoscimento delle navi da guerra tanto più che le spagnole avevano un profilo nettamente diverso da quelle degli altri Paesi, fu sempre assai difficoltoso e spesso impossibile il riconoscimento delle navi mercantili. Per queste infatti la nazionalità non poteva considerarsi accertata che dopo il riconoscimento della bandiera o la lettura sulla poppa del nome della nave e del porto di armamento. Poiché i piroscafi in mare largo navigavano generalmente senza bandiera, la lettura del nome sulla poppa della nave era il solo mezzo di accertamento.

In questo modo però quando il riconoscimento era fatto, era anche nella maggior parte dei casi, superata la posizione favorevole per eseguire l’attacco.

Durante il periodo considerato, da metà novembre a metà febbraio, furono infatti iniziati dai sommergibili 161 attacchi; di essi soltanto 15 furono portati a fondo; gli altri dovettero essere interrotti per incertezza sulla identità del bersaglio, per mancato tempestivo riconoscimento o perché risultò trattarsi di navi spesso visibilmente con carico di contrabbando, ma con bandiera di una Potenza non contemplata nell’ordine di operazione.

Le limitazioni imposte ai sommergibili hanno quindi spesso fatto mancare occasioni, dimostrando ancora una volta che le possibilità di successo di questo particolare tipo di nave si riducono enormemente allorché la sua azione è vincolata.

Alcuni sommergibili furono anche impiegati in operazioni di bombardamento di obiettivi terrestri di particolare importanza dal punto di vista bellico, più allo scopo di pressione morale che per ottenere effettivi risultati.

Queste azioni furono sempre eseguite di notte, a distanza, dopo un accurato riconoscimento dei punti da battere effettuato di giorno in immersione. Esse furono sempre caratterizzate dalla rapidità di fuoco in modo di non dare tempo alla reazione costiera di intervenire.”

 

Malgrado le tante difficoltà incontrate delle unità subacquee italiane nelle acque territoriali repubblicane, la loro presenza finì tuttavia per causare notevole allarme nell’ambito della Marina repubblicana. I suoi comandi, molto prudenti sin dall’inizio della guerra, dopo il danneggiamento dell’incrociatore Miguel de Cervantes per opera del Torricelli, erano divenuti ancora più timorosi, evitando di avventurarsi in zone ove sapevano esistere una reale minaccia di subacquea, resa ancora più preoccupante per la presenza di sbarramenti minati posati dalle navi di superficie nazionaliste.

Nonostante le grandi speranze riposte dai nazionalisti nelle operazioni di blocco, attuate dai sommergibili, nelle due prime settimane di gennaio 1937 l’attività delle unità subacquee italiane davanti ai porti della Spagna rossa, svolta da “Calvi”, Archimede, Berillo e Sirena, continuò a causare ai repubblicani pochi disturbi e qualche allarme.

Soltanto il Pietro Calvi (capitano di corvetta Alberto Beretta), nella notte dell’8 gennaio ebbe l’occasione di concludere due manovre di attacco, con lancio di due siluri contro altrettanti piroscafi spagnoli, il Villa de Madrid incontrato a largo di Culera e il Ciudad de Barcelona presso Capo San Antonio, ma le armi ancora una volta fallirono il bersaglio. Lo stesso sommergibile ebbe poi l’ordine di bombardare la zona industriale di Valencia, che realizzò sparando, con i due pezzi da 120 mm e dalla distanza di 10.000 metri, settantuno granate dirompenti contro i cantieri e i depositi di petrolio.

Ma un notevole incremento dell’attività bellica della Regia Marina era ormai matura, e questa si concretò dopo l’arrivo a Roma, alla metà di gennaio 1937, del maresciallo del Reich Göring, venuto per discutere e concordare con Mussolini una nuova politica militare italo-tedesca, da attuare nei confronti di Franco. I motivi dell’arrivo di Göring nella capitale italiana risiedevano sul fatto che Hitler, oltre a voler concordare l’atteggiamento da tenere in Spagna impostando una comune condotta dell’intervento della Germania e dell’Italia, voleva rendersi conto delle reali intenzioni di Mussolini.

Il Duce, infatti, aveva due obiettivi: non farsi superare dalla Germania nell’acquisto di meriti verso Franco; e nel contempo indurre il Regno Unito al riconoscimento dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana. Per questo secondo obiettivo, il 2 gennaio, Mussolini aveva realizzato con il Governo di Londra un accordo, denominato Gentlement’s Agreement, firmato dal conte Ciano e dall’ambasciatore di Gran Bretagna a Roma Eric Drummond. Accordo che impegnava i governi delle due nazioni a conciliare i rispettivi interessi nel Mediterraneo, e a non modificare la sovranità degli stati che si affacciavano in questo mare. Ciò, in pratica, significava l’impegno dell’Italia a rinunciare a mire espansionistiche sul territorio della Spagna, soprattutto nei confronti delle Isole Baleari.

Ma il motivo principale dell’arrivo a Roma di Göring, e del colloquio con Mussolini che si svolse il 14 gennaio a Palazzo Venezia, era pur sempre la questione spagnola.

Dopo l’arresto sul fronte di Madrid, Franco aveva assunto un atteggiamento alquanto cauto, non condiviso dal Duce e dal Führer, che vedevano sempre più allontanarsi la possibilità di concludere l’avventura spagnola, favorevolmente in tempi brevi, Pertanto occorreva effettuare una energica pressione sul generalissimo, imponendogli di accelerare le operazioni militari entro il 31 gennaio, data entro la quale, per iniziativa della Gran Bretagna, e con l’appoggio della Francia, dovevano cessare gli aiuti massicci delle varie potenze in favore delle cause nazionalista e repubblicana. Ad una “totale chiusura della Spagna”, doveva seguire “un piano comune per il blocco” delle merci e delle armi dirette ai belligeranti, presentato al Comitato del non intervento, e ritenuto la misura più adatta per mettere fine al conflitto.

L’attuazione di queste misure non entusiasmavano il governo italiano e i suoi vertici militari, essendo consapevoli che dopo l’accordo per l’attuazione del blocco sarebbe stato difficile rifornire e rinforzare le forze nazionaliste e nazionali di complementi e di armi. Ne conseguiva che, prima della data limite del 31 gennaio, vi era la necessità di portare in Spagna, in uomini e materiali, quanti più aiuti possibili alla causa nazionalista.

Pertanto, all’indomani del colloquio tra Mussolini e Göring, il conte Ciano convocò a Palazzo Chigi i generali Pariani e Valle, l’ammiraglio Cavagnari ed altre personalità, ma escludendo, ancora una volta, per i motivi già spiegati, il maresciallo Badoglio. Nel corso della discussione del 16 gennaio, in cui apparve la volontà di non mollare fino al raggiungimento della vittoria finale, come si espresse chiaramente il generale Pariani, fu convenuto che il Governo italiano era disposto ad inviare a Franco rinforzi di aviazione, quantificati in quindici velivoli da ricognizione Ro. 37, tre bombardieri S. 79 e dodici caccia Cr. 32, che però dovevano tutti operare con equipaggi italiani. L’Esercito avrebbe fornito diciotto battaglioni, mentre la Regia Marina, oltre ad assicurare il trasporto delle truppe e dei mezzi, doveva continuare a svolgere la “pressione per tagliare i rifornimenti alle truppe rosse, tendere agguati, procedere ai bombardamenti delle città costiere, ecc”.

Dopo che Mussolini, nel corso della riunione del 15 gennaio, aveva ribadito, con ancora maggiore convincimento, la necessità di continuare ad insidiare i porti ella Spagna repubblicane, nella seconda quindicina del mese l’attività subacquea italiana fu notevolmente incrementata inviando in agguato, fra Almeria e Barcellona, dodici sommergibili: Galilei, Diamante, Otaria, Torricelli, Tazzoli, Millelire, Bausan, Speri, Menotti, Jantina, Micca e Fieramosca. Ad essi seguì,Segui , nei primi tre giorni di febbraio, la partenza dai porti dell’Italia, e l’arrivo nelle zone di operazioni spagnole, di altri cinque sommergibili: Topazio, Nereide, Ferrarsi, Fieramosca e Balilla.

Fu questo il periodo in cui le unità subacquee della Regia Marina conseguirono il maggior numero di attacchi, riuscendo anche ad ottenere due risultati positivi, contro altrettanti piroscafi spagnoli repubblicani. Il primo successo fu ottenuto dal “Ciro Menotti” (capitano di corvetta Vittorio Moccagatta), il quale il 31 gennaio attaccò il piroscafo Delfin, di 1.253 tsl, che dirigeva per entrare nel porto di Malaga, trasportando un carico di farina, e lo affondò con uno dei due siluri lanciati presso la costa al largo del faro di Torrox. Il secondo successo vide protagonista il Galileo Ferrarsi (capitano di corvetta Primo Longobardo) che l’8 febbraio, trovandosi a 7 miglia da Tarragona, colpì con due siluri il Navarra, di 1.688 tsl. Il piroscafo, che provenendo da Marsiglia era diretta a Barcellona, affondò in bassi fondali.

Successivamente lo stesso Ferrarsi attaccò con il cannone la nave cisterna spagnola Campeador Zorroza, gli sparò contro una dozzina di colpi, senza riuscire a colpirla per la distanza e la velocità del bersaglio.

Risultati altrettanto negativi conseguirono gli altri quattro sommergibili che riuscirono ad effettuare manovre d’attacco, tre delle quali seguite da lancio di siluri: si trattava del Diamante (capitano di corvetta Andrea Gasparini), che il mattino del 16 gennaio attaccò un piroscafo al largo di Valencia, con un siluro mancando il bersaglio. Dell’ Otaria (capitano di corvetta Alessandro Mirone), che non riuscì a raggiungere la distanza di lancio contro un piroscafo incontrato presso Capo de Gata Del Tazzoli (capitano di corvetta Mario Leoni), che attaccò un altro piroscafo presso Cartagena, lanciando due siluri che fallirono il bersaglio. Infine, del Torricelli, (capitano di corvetta Giuseppe Zarpellon), che operava davanti a Barcellona.

Quest’ultimo, nella notte del 18 gennaio, avvicinandosi alla città catalana, sparò quarantatré granate di cannone da 120 mm contro le navi alla banchina e i depositi di combustibile della Società CAMPA, e successivamente, spostandosi verso sud, nel pomeriggio dell’indomani, lanciò tre siluri che non arrivarono a segno contro un piroscafo. Probabilmente si trattava del transatlantico spagnolo Magallanes, che riferì di essere stato attaccato quel giorno 19 gennaio da un sommergibile al largo di Tarragona.

Avendo Mussolini indicato la necessità di colpire con le artiglierie anche i centri costieri della Spagna, dopo l’attacco contro Barcellona da parte del Torricelli quello stesso obiettivo della Catalogna fu battuto da altri due sommergibili nelle notti del’8 e del 12 febbraio. Iniziò il Fieramosca (capitano di corvetta Mario Bartalesi), che sparò trentacinque granate da 120 mm contro la darsena di Morot, mettendo a segno un colpo sulla petroliera Zorroza, di 4957 tsl, causandogli gravi danni. Il secondo bombardamento fu realizzato dal Topazio (capitano corvetta Paolo Pesci), che però dovette interrompere il tiro dopo la trentaquattresima granata per avaria al cannone da 100 mm.

I bombardamenti costieri realizzati dai sommergibili italiani, pur essendo stati svolti contro obiettivi di particolare importanza, ebbero lo scopo di esercitare sui repubblicani una pressione morale, più che quello di ottenere effettivi risultati di carattere bellico. Maggiore importanza rivestirono invece i due bombardamenti di Malaga, effettuati nelle notti fra il 2 e il 3 febbraio dal sommergibile Menotti, perché le azioni di fuoco furono rivolte contro obiettivi stradali durante la vittoriosa offensiva delle truppe italo-spagnole per la conquista di Malaga. Nel primo bombardamento, sparando in dieci minuti ventisette granate da 100 mm, il Menotti prese per bersaglio il ponte e la strada di Herradura; nella seconda, sparando in quindici minuti altre trentacinque granate del medesimo calibro, il sommergibile sparò contro il viadotto di Cala Honda.

 

Il bilancio della prima campagna sottomarina

L’attività subacquea italiana sulle coste della Spagna, che comportò lo svolgimento di missioni della durata media di circa quindici-sedici giorni di navigazione, dei quali dieci trascorsi dai sommergibili nelle zone di agguato, ebbe termine a metà febbraio 1937, quando le grandi potenze raggiunsero l’accordo, caldeggiato dalla Gran Bretagna, per il controllo terrestre e marittimo in Spagna.

Ciò comportò per il Comando della Marina italiana di richiamare alla base i sei sommergibili Colonna, Pisani, Diaspro, Da Procida, Micca e Zaffiro, salpati fra il 12 e il 14 febbraio per raggiungere le coste spagnole.

Nel corso dell’attività bellica il numero dei sommergibili in agguato, inizialmente limitato a due unità dislocate nelle zone di Cartagena e di Barcellona, finì per aumentare fino a raggiungere il numero di sei, mentre i settori di operazione furono ampliati a tutto il tratto di mare che iniziava da Capo Crues, al confine con la Francia, fino a raggiungere Malaga, agendo in zone che si estendevano fino a 25 miglia dalla costa.

Complessivamente, i sommergibili italiani che parteciparono all’attività bellica nelle acque spagnole furono 36. Essi effettuarono un totale di 42 missioni per 495 giorni di mare, durante i quali percorsero 5.822 miglia in superficie e altre 3.857 in immersione. I quindici attacchi completati contro il naviglio incontrato, e ritenuto che esercitasse il traffico per la causa dei repubblicani, comportarono il lancio di ventotto siluri, dei quali però soltanto quattro raggiunsero il bersaglio, conseguendo risultati nel complesso modesti, costituiti, come abbiamo descritto, dal danneggiamento dell’incrociatore Miguel de Cervantes e dall’affondamento di due piccoli piroscafi da carico spagnoli, il Delfin e il Navarra. Infine, nel corso dei sei bombardamenti notturni svolti contro obiettivi costieri, i sommergibili spararono un totale di duecentoquarantacinque colpi di cannone, riuscendo anche a colpire gravemente, con un proiettile, la petroliera spagnola Zarrosa, all’ancora a Barcellona.

Il totale complessivo modesto degli attacchi svolti dai sommergibili, e gli insufficienti risultati da essi conseguiti, non potevano entusiasmare il Comando della Marina nazionalista che, allo scopo di esercitare una decisa influenza nella guerra marittima, avrebbe desiderato che le unità subacquee italiane operassero con norme d’impiego meno restrittive e con minore prudenza operativa. Tuttavia l’attività della Regia Marina portò a conseguire ugualmente effetti benefici per la causa di Franco, ottenendo il risultato di far aumentare notevolmente i noli e produsse contrazioni nel traffico dei piroscafi di ogni nazionalità da e per i porti della Spagna repubblicana. Tutto ciò causò un’immediata rarefazione anche dei rifornimenti alimentari, elemento che non mancò di avere effetto sulla resistenza morale dei repubblicani.

Dal punto di vista operativo le missioni dei sommergibili, svolte durante l’inclemente stagione invernale e rese difficili soprattutto dalla necessità di non svelare la propria nazionalità, furono considerate negli ambienti della Regia Marina un ottima prova di collaudo per sperimentare in condizioni di guerra il personale e il materiale, i quali dimostrarono allora buona efficienza.

Occorre tuttavia considerare che l’attività subacquea italiana fu facilitata dalla mancanza in campo avversario di efficienti misure di contrasto. Nella Marina repubblicana era infatti quasi inesistente l’organizzazione antisom, svolta in modo del tutto primordiale da poche e vecchie navi da guerra ed ausiliarie, le quali erano poi prive di apparati di rilevamento moderni e di efficaci bombe da getto.

Infine un’ultima considerazione. Per motivi precauzionali, nel corso delle missioni belliche i sommergibili imbarcarono un ufficiale della Marina spagnola nazionalista, che doveva figurare quale comandante in caso di forzata emersione in vicinanza di unità neutrali, e che doveva anche essere utile per facilitare il riconoscimento della costa e delle navi avvistate. Parteciparono alle missioni il capitano di fregata Arturo Génova, il capitano di corvetta Rafael Fernandez de Bobabilla, i tenenti di vascello Gonzalo Diaz, Juan Garcia, Obeta Bona e Blanco Cebreiro, i quali condivisero le fatiche e i rischi degli equipaggi italiani.

 

Francesco Mattesini

 

Roma, 10 Gennaio 2012

 

LE MISSIONI INSIDIOSE NELLE ACQUE DI MALAGA E L'IMPIEGO DEGLI INCROCIATORI ITALIANI PE BOMBARDARE BARCELLONA E VALENCIA

 

 

Ai primi di febbraio, durante l’offensiva del corpo di spedizione italiano del generale Roatta, che il giorno 8 del mese concluse vittoriosamente la battaglia di Malaga, un certo appoggio a sostegno del fronte terrestre fu dato dalle navi di superficie della Regia Marina. Vi furono impegnate le unità di base a Ceuta e a Tangeri, alle quali, ufficialmente, era stato affidato il compito di proteggere da qualsiasi offesa, proveniente dai repubblicani o dai loro alleati, i piroscafi nazionali che trasportavano in Spagna truppe e materiali.

Inizialmente, i generali Roatta e Queipo de Llano, avevano richiesto che la Marina italiana e quella nazionalista concorressero all’investimento di Malaga con operazioni di bombardamento contro costa. Lo scopo era quello di battere i collegamenti stradali e litoranei, e nel contempo agire contro le navi da guerra repubblicane ancorate nel porto iberico, che rappresentavano un considerevole elemento potenziale per sostenere con le loro artiglierie la difesa dei repubblicani, e che da parte spagnola vennero realizzate con l’impiego dei suoi tre incrociatori Canarias, Baleares e Cervera e delle cannoniere Canalesas e Canovas del Castillo.

Da parte della Regia Marina, invece, il contributo che poteva essere fornito apparve subito modesto, poiché era necessario non scoprirsi per motivi politici. Essa infatti contribuì alle operazioni contro Malaga con il concorso dei cacciatorpediniere Giovanni Da Verazzano (capitano di fregata Mario Schiavuta) e Scirocco (capitano di fregata Michele Mercatili), e con l’agguato, sulle rotte di accesso al porto, di due soli sommergibili (Menotti e Balilla). Fu anche progettato un attacco notturno contro le unità da guerra rosse all’ancora nel porto, da effettuare con una sezione di Mas della flottiglia di Messina (MAS 435 e MAS 436) trasportati a Ceuta il 20 gennaio nella più assoluta sicurezza dall’incrociatore Muzio Attendolo (capitano di vascello Ugo Mazzola). Dopo aver attentamente studiato le condizioni idrografiche e le informazioni fornite dall’esplorazione aerea, aveva accertato la situazione navale esistente nella rada di Malaga, i due Mas, che erano comando del capitano di corvetta Mario Giorgini, nella notte del 5 febbraio furono rimorchiati a 13 miglia a sud del porto, senza tuttavia riuscire ad entrarvi, avendo perso l’orientamento, in una notte molto buia, a causa della foschia e di una forte corrente.

Pertanto, impresa si concluse con un pieno insuccesso, che avrebbe potuto avere risvolti drammatici, perché il Mas 435 lanciò un siluro, fortunatamente andato a vuoto, contro una sagoma apparsa contro luna. Il comandante Schiavuta ritenne appartenesse ad un sommergibile rosso, mentre in realtà era quella del Da Verazzano, che in conformità con gli ordini ricevuti da Roma, attendeva il rientro delle unità insidiose mantenendosi prudentemente al largo della costa. al pari del dell’incrociatore Canarias, nave ammiraglia della flotta nazionalista, che aveva a bordo, per mantenevano i collegamenti con i Mas, il capitano di corvetta Emanuele Cuturi.

Questo incidente servì comunque a consigliare Roma ad escludere l’impiego delle proprie navi di superficie nello svolgimento di altre azioni in vicinanza della costa spagnola, e pertanto fu deciso di cedere i due Mas alla Marina nazionalista che ne aveva fatto richiesta.

Nel frattempo, poiché la caduta di Malaga aveva prodotto grande impressione nella Spagna rossa, che in alcune città portò per molti giorni a sanguinosi disordini, da parte del Governo italiano fu deciso di alimentare lo scontento dell’opinione pubblica repubblicana. Ciò avvenne realizzando, con l’impiego di tre incrociatori, il bombardamento delle due principali città repubblicane, Barcellona e Valencia, e mantenendo contemporaneamente in mare, tra la Sardegna e le Baleari, o pronti a muovere dalle basi avanzate di Cagliari, La Maddalena e Palma, un totale di altri otto incrociatori, otto esploratori, quattro cacciatorpediniere e sei sommergibili, per accorrere in sostegno delle unità impegnate nei bombardamenti se ve ne fosse stato bisogno.

La prima di queste azioni fu realizzata la notte del 14 febbraio ad opera dell’incrociatore Eugenio di Savoia (capitano di vascello Massimiliano Vietino), che aveva a bordo l’ammiraglio Vittorio Tur, Comandante della 7^ Divisione della 2^ Squadra Navale. Salpato il mattino del 13 dalla Maddalena, e dopo aver navigato ad alta velocità nonostante le condizioni di mare grosso, l’incrociatore si portò a 10.000 di distanza da Barcellona, e per quasi cinque minuti, a partire dalle ore 23.00 del 14, sparò nove salve con i cannoni principali da 152 mm, dirigendo il tiro contro il centro della città che da bordo dell’ Eugenio fu visto completamente oscurato dal fumo. Da terra alcuni proiettori illuminarono l’incrociatore e fu risposto al fuoco, con cannoni di piccolo calibro, piazzati all’imboccatura del porto senza conseguire alcun esito.

La seconda azione, sempre con partenza dalla Maddalena, fu effettuata nella notte del 15 febbraio contro Valencia da un altro incrociatore della 7^ Divisione Navale, l’ Emanuele Filiberto Duca D’Aosta (capitano di vascello Alberto Da Zara), che portava l’insegna del Comandante della 2^ Squadra Navale, ammiraglio Romeo Bernotti. L’ “Aosta”, che era accompagnato dal Raimondo Montecuccoli (capitano di vascello Mario Bonetti), poi rimasto in crociera di vigilanza al largo del porto di Valencia, alle 21.54 aprì il fuoco contro obiettivi prestabiliti da una distanza di circa 6.000, sparando in circa otto minuti 32 salve da 152 mm. Nella reazione delle batterie repubblicane, che aprirono il fuoco dopo la quarta salva dell’Aosta, questo fu colpito da una granata di piccolo calibro, che causò soltanto danni superficiali, mentre alcune schegge di un’altra granata, caduta in prossimità della nave, raggiunsero una delle torri di poppa.

Complessivamente nel corso delle due azioni contro Barcellona e Valencia furono sparati centonovantacinque proiettili. I risultati raggiunti nelle missioni di bombardamento, percorse sempre dagli incrociatori ad alta velocità, più che di carattere materiale, furono essenzialmente di carattere psicologico. Ebbero effetto soprattutto sul morale delle popolazioni, poiché, come riferì un giornalista straniero, la precisione e la rapidità del tiro navale produssero enorme impressione.

Le azioni a fuoco dell’ Eugenio di Savoia e del Duca d’Aosta contro obiettivi della costa spagnola non sarebbero più stati ripetuti dalle navi della Regia Marina, perché le condizioni imposte dall’accordo stabilito a Londra dal comitato del non intervento costrinsero il Governo italiano a sospendere ogni altra azione offensiva delle proprie navi nelle acque iberiche.

Sarebbero invece proseguite, tra la primavera del 1937 e primi due mesi del 1938, le azioni dei sommergibili italiani, due dei quali (Archimede e Torricelli) erano stati ceduti ai nazionalisti spagnoli. Dalla loro attività, che per i sommergibili italiani fu estesa nell’agosto del 1938 a tutto il Mediterraneo, dallo Stretto dei Dardanelli alle coste iberiche, ne risultò il siluramento del cacciatorpediniere Churruca e l’affondamento di dieci navi mercantili. Di queste ultime, sei furono colate a picco dai due sommergibili nazionalisti.

Inoltre, nell’agosto del 1938, alle missioni di attività bellica di blocco alle coste e ai porti repubblicani spagnoli parteciparono, operando nel Canale di Sicilia e lungo le coste dell’Algeria, anche i cacciatorpediniere della Regia Marina, che affondarono quattro navi mercantili. Occorre anche dire che durante l’intera guerra di Spagna la Regia Marina si impegnò più volte per esercitare il controllo del Canale di Sicilia, segnalando alle navi nazionaliste il passaggio di navi mercantili sospette. Ma tutto questo è un’altra Storia.

 

Francesco Mattesini

 

Roma, 19 Gennaio2012

 

__________________________________

 

Bibliografia essenziale.

 

Pery José Cervera, La guerra navale española(1936-1939), Ed. San Martin, Madrid, 1988.

Ciano Galeazzo, Diario 1937-1943, Rizzoli, Milano, 1980.

Coverdale John F, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Laterza, Bari, 1977.

Renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso e Lo Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1974 – 1981.

De Toro Augusto, L’intervento navale tedesco nella guerra civile spagnola, in R.I.D. (Rivista Italiana Difesa), novembre 1987.

Echegaray R. González, La marina mercante y el tráfico maritimo en la guerra civil, Editorial San Martin, Madrid, 1977.

Frank Willard C. Jr., Naval Operations in the Spanish civil war (1936-1939), “Naval War College Review” n. 37, 1984.

Giorgerini Giorgio, Uomini sul fondo: storia del sommergibilismo italiano dalle origini ad oggi, Mondatori, Milano, 1994.

Bargoni Franco, L’Impegno navale italiano durante la guerra civile spagnola (1936-1939), Ufficio Storico della Marina Militare, Roma, 1992.

Mattesini Francesco, Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943), Ufficio Storico della Marina Militare, 22^ Edizione, Roma, 2003.

Mattesini Francesco, Il blocco navale italiano nella guerra di Spagna (ottobre 1936 – marzo 1939)”, in “Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare”, Parte Prima (Settembre 1997), “Come si giunse alla prima campagna sottomarina e ai bombardamenti navali di Barcellona e di Valencia”, pag. 7 – 168, Parte seconda, (Dicembre 1997) “Le operazioni navali dell’estate 1937, e l’attività della Regia Aeronautica contro i porti della Spagna repubblicana”, pag. 39 – 205.

Moreno Francisco de Alboran, La guerra silenziosa y silenciad. Historia della campãna naval durante la guerra de 1936-1939; Graficas Lormo, Madrid, 1998, 5 volumi.

Nassaes J. L. Alcofar, La Marina italiana en la Guerra de España, Editorial Euros S.A., Barcellona, 1975.

Rapalino Patrizio, La Regia Marina in Spagna 1936-1939, Mursia, Milano, 2007.

Rovighi Alberto e Stefani Filippo, La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (1936-1939), Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1992, 4 volumi.

Thomas Hugh, Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, Torino, 1963.

 

Relazioni e Documenti, fondi “Spagna”, in Archivio Ufficio Storico della Marina Militare, Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico.

Link al commento
Condividi su altri siti

LE MISSIONI INSIDIOSE NELLE ACQUE DI MALAGA E L'IMPIEGO DEGLI INCROCIATORI ITALIANI PE BOMBARDARE BARCELLONA E VALENCIA

 

 

Ai primi di febbraio, durante l’offensiva del corpo di spedizione italiano del generale Roatta, che il giorno 8 del mese concluse vittoriosamente la battaglia di Malaga, un certo appoggio a sostegno del fronte terrestre fu dato dalle navi di superficie della Regia Marina. Vi furono impegnate le unità di base a Ceuta e a Tangeri, alle quali, ufficialmente, era stato affidato il compito di proteggere da qualsiasi offesa, proveniente dai repubblicani o dai loro alleati, i piroscafi nazionali che trasportavano in Spagna truppe e materiali.

Inizialmente, i generali Roatta e Queipo de Llano, avevano richiesto che la Marina italiana e quella nazionalista concorressero all’investimento di Malaga con operazioni di bombardamento contro costa. Lo scopo era quello di battere i collegamenti stradali e litoranei, e nel contempo agire contro le navi da guerra repubblicane ancorate nel porto iberico, che rappresentavano un considerevole elemento potenziale per sostenere con le loro artiglierie la difesa dei repubblicani, e che da parte spagnola vennero realizzate con l’impiego dei suoi tre incrociatori Canarias, Baleares e Cervera e delle cannoniere Canalesas e Canovas del Castillo.

Da parte della Regia Marina, invece, il contributo che poteva essere fornito apparve subito modesto, poiché era necessario non scoprirsi per motivi politici. Essa infatti contribuì alle operazioni contro Malaga con il concorso dei cacciatorpediniere Giovanni Da Verazzano (capitano di fregata Mario Schiavuta) e Scirocco (capitano di fregata Michele Mercatili), e con l’agguato, sulle rotte di accesso al porto, di due soli sommergibili (Menotti e Balilla). Fu anche progettato un attacco notturno contro le unità da guerra rosse all’ancora nel porto, da effettuare con una sezione di Mas della flottiglia di Messina (MAS 435 e MAS 436) trasportati a Ceuta il 20 gennaio nella più assoluta sicurezza dall’incrociatore Muzio Attendolo (capitano di vascello Ugo Mazzola). Dopo aver attentamente studiato le condizioni idrografiche e le informazioni fornite dall’esplorazione aerea, aveva accertato la situazione navale esistente nella rada di Malaga, i due Mas, che erano comando del capitano di corvetta Mario Giorgini, nella notte del 5 febbraio furono rimorchiati a 13 miglia a sud del porto, senza tuttavia riuscire ad entrarvi, avendo perso l’orientamento, in una notte molto buia, a causa della foschia e di una forte corrente.

Pertanto, impresa si concluse con un pieno insuccesso, che avrebbe potuto avere risvolti drammatici, perché il Mas 435 lanciò un siluro, fortunatamente andato a vuoto, contro una sagoma apparsa contro luna. Il comandante Schiavuta ritenne appartenesse ad un sommergibile rosso, mentre in realtà era quella del Da Verazzano, che in conformità con gli ordini ricevuti da Roma, attendeva il rientro delle unità insidiose mantenendosi prudentemente al largo della costa. al pari del dell’incrociatore Canarias, nave ammiraglia della flotta nazionalista, che aveva a bordo, per mantenevano i collegamenti con i Mas, il capitano di corvetta Emanuele Cuturi.

Questo incidente servì comunque a consigliare Roma ad escludere l’impiego delle proprie navi di superficie nello svolgimento di altre azioni in vicinanza della costa spagnola, e pertanto fu deciso di cedere i due Mas alla Marina nazionalista che ne aveva fatto richiesta.

Nel frattempo, poiché la caduta di Malaga aveva prodotto grande impressione nella Spagna rossa, che in alcune città portò per molti giorni a sanguinosi disordini, da parte del Governo italiano fu deciso di alimentare lo scontento dell’opinione pubblica repubblicana. Ciò avvenne realizzando, con l’impiego di tre incrociatori, il bombardamento delle due principali città repubblicane, Barcellona e Valencia, e mantenendo contemporaneamente in mare, tra la Sardegna e le Baleari, o pronti a muovere dalle basi avanzate di Cagliari, La Maddalena e Palma, un totale di altri otto incrociatori, otto esploratori, quattro cacciatorpediniere e sei sommergibili, per accorrere in sostegno delle unità impegnate nei bombardamenti se ve ne fosse stato bisogno.

La prima di queste azioni fu realizzata la notte del 14 febbraio ad opera dell’incrociatore Eugenio di Savoia (capitano di vascello Massimiliano Vietino), che aveva a bordo l’ammiraglio Vittorio Tur, Comandante della 7^ Divisione della 2^ Squadra Navale. Salpato il mattino del 13 dalla Maddalena, e dopo aver navigato ad alta velocità nonostante le condizioni di mare grosso, l’incrociatore si portò a 10.000 di distanza da Barcellona, e per quasi cinque minuti, a partire dalle ore 23.00 del 14, sparò nove salve con i cannoni principali da 152 mm, dirigendo il tiro contro il centro della città che da bordo dell’ Eugenio fu visto completamente oscurato dal fumo. Da terra alcuni proiettori illuminarono l’incrociatore e fu risposto al fuoco, con cannoni di piccolo calibro, piazzati all’imboccatura del porto senza conseguire alcun esito.

La seconda azione, sempre con partenza dalla Maddalena, fu effettuata nella notte del 15 febbraio contro Valencia da un altro incrociatore della 7^ Divisione Navale, l’ Emanuele Filiberto Duca D’Aosta (capitano di vascello Alberto Da Zara), che portava l’insegna del Comandante della 2^ Squadra Navale, ammiraglio Romeo Bernotti. L’ “Aosta”, che era accompagnato dal Raimondo Montecuccoli (capitano di vascello Mario Bonetti), poi rimasto in crociera di vigilanza al largo del porto di Valencia, alle 21.54 aprì il fuoco contro obiettivi prestabiliti da una distanza di circa 6.000, sparando in circa otto minuti 32 salve da 152 mm. Nella reazione delle batterie repubblicane, che aprirono il fuoco dopo la quarta salva dell’Aosta, questo fu colpito da una granata di piccolo calibro, che causò soltanto danni superficiali, mentre alcune schegge di un’altra granata, caduta in prossimità della nave, raggiunsero una delle torri di poppa.

Complessivamente nel corso delle due azioni contro Barcellona e Valencia furono sparati centonovantacinque proiettili. I risultati raggiunti nelle missioni di bombardamento, percorse sempre dagli incrociatori ad alta velocità, più che di carattere materiale, furono essenzialmente di carattere psicologico. Ebbero effetto soprattutto sul morale delle popolazioni, poiché, come riferì un giornalista straniero, la precisione e la rapidità del tiro navale produssero enorme impressione.

Le azioni a fuoco dell’ Eugenio di Savoia e del Duca d’Aosta contro obiettivi della costa spagnola non sarebbero più stati ripetuti dalle navi della Regia Marina, perché le condizioni imposte dall’accordo stabilito a Londra dal comitato del non intervento costrinsero il Governo italiano a sospendere ogni altra azione offensiva delle proprie navi nelle acque iberiche.

Sarebbero invece proseguite, tra la primavera del 1937 e primi due mesi del 1938, le azioni dei sommergibili italiani, due dei quali (Archimede e Torricelli) erano stati ceduti ai nazionalisti spagnoli. Dalla loro attività, che per i sommergibili italiani fu estesa nell’agosto del 1938 a tutto il Mediterraneo, dallo Stretto dei Dardanelli alle coste iberiche, ne risultò il siluramento del cacciatorpediniere Churruca e l’affondamento di dieci navi mercantili. Di queste ultime, sei furono colate a picco dai due sommergibili nazionalisti.

Inoltre, nell’agosto del 1938, alle missioni di attività bellica di blocco alle coste e ai porti repubblicani spagnoli parteciparono, operando nel Canale di Sicilia e lungo le coste dell’Algeria, anche i cacciatorpediniere della Regia Marina, che affondarono quattro navi mercantili. Occorre anche dire che durante l’intera guerra di Spagna la Regia Marina si impegnò più volte per esercitare il controllo del Canale di Sicilia, segnalando alle navi nazionaliste il passaggio di navi mercantili sospette. Ma tutto questo è un’altra Storia.

 

Francesco Mattesini

 

Roma, 19 Gennaio2012

 

__________________________________

 

Bibliografia essenziale.

 

Pery José Cervera, La guerra navale española(1936-1939), Ed. San Martin, Madrid, 1988.

Ciano Galeazzo, Diario 1937-1943, Rizzoli, Milano, 1980.

Coverdale John F, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Laterza, Bari, 1977.

Renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso e Lo Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1974 – 1981.

De Toro Augusto, L’intervento navale tedesco nella guerra civile spagnola, in R.I.D. (Rivista Italiana Difesa), novembre 1987.

Echegaray R. González, La marina mercante y el tráfico maritimo en la guerra civil, Editorial San Martin, Madrid, 1977.

Frank Willard C. Jr., Naval Operations in the Spanish civil war (1936-1939), “Naval War College Review” n. 37, 1984.

Giorgerini Giorgio, Uomini sul fondo: storia del sommergibilismo italiano dalle origini ad oggi, Mondatori, Milano, 1994.

Bargoni Franco, L’Impegno navale italiano durante la guerra civile spagnola (1936-1939), Ufficio Storico della Marina Militare, Roma, 1992.

Mattesini Francesco, Betasom. La guerra negli Oceani (1940-1943), Ufficio Storico della Marina Militare, 22^ Edizione, Roma, 2003.

Mattesini Francesco, Il blocco navale italiano nella guerra di Spagna (ottobre 1936 – marzo 1939)”, in “Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare”, Parte Prima (Settembre 1997), “Come si giunse alla prima campagna sottomarina e ai bombardamenti navali di Barcellona e di Valencia”, pag. 7 – 168, Parte seconda, (Dicembre 1997) “Le operazioni navali dell’estate 1937, e l’attività della Regia Aeronautica contro i porti della Spagna repubblicana”, pag. 39 – 205.

Moreno Francisco de Alboran, La guerra silenziosa y silenciad. Historia della campãna naval durante la guerra de 1936-1939; Graficas Lormo, Madrid, 1998, 5 volumi.

Nassaes J. L. Alcofar, La Marina italiana en la Guerra de España, Editorial Euros S.A., Barcellona, 1975.

Rapalino Patrizio, La Regia Marina in Spagna 1936-1939, Mursia, Milano, 2007.

Rovighi Alberto e Stefani Filippo, La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (1936-1939), Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1992, 4 volumi.

Thomas Hugh, Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, Torino, 1963.

 

Relazioni e Documenti, fondi “Spagna”, in Archivio Ufficio Storico della Marina Militare, Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico.

 

 

Grazie per il gradimento dell'articolo. Era stato compilato, con alcune tabelle statistiche, iper essere pubblicato sulla Rivista Marittima, ma poi la Redazione prese la decisione di non stamparlo, evidentemente per argomenti mal digeribilii nelle Alte Sfere e ai lettori di quel periodico. Il Prof. Alberto Santoni, mio amico personale, mi ha fatto dono del suo libro, appena uscito. Vi sono argomenti, come quello dell'Ultra, che non conoscevo. Nella guerra di Spagna le informazioni ricevute dall'Ultra non ebbero alcun peso sulla condotta della guerra in favore dei Repubblicani, servirono soltanto per tenere al corrente gli inglesi sulle intenzioni italiane e migliorarne il sistema delle decrittazioni in vista di una guerra con l'Italia, come in effetti avvenne.

Saluti

Francesco Mattesini

 

Complimenti per il bel lavoro.

 

Recentemente è uscito un libro di Alberto Santoni che parla dell'intervento di Ultra fin dalla guerra Spagnola: lei ha notizia che sia stato positivo, questo utilizzo, anche nelle operazioni navali?

Link al commento
Condividi su altri siti

Complimenti Mattesini, sai più tu di un'enciclopedia.Davvero complimenti, mi meraviglio di essere stato l'unico fino ad ora a mettere un +.Io l'ho messo solo nel secondo articolo ( quello più specifico su Malaga,parte1 ) perchè ho finito la quota delle valutazioni positive per oggi ma arriverà presto il + anche sula prima parte.Rinnovo i complimenti.

Modificato da tornado4ever
Link al commento
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un membro per lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
×
×
  • Crea Nuovo...