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samurai

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Risposte pubblicato da samurai

  1. io credo che ogni popolo abbia diritto di avere un paese e credo che lo stato di israele sia legittimo prò non condivido la politica di israele,tuttavia anche i palestinesi hanno il diritto di avere un paese proprio...

     

    in realtà ce l'hanno dogfighter, il problema è che non riescono a governarlo non avendo una struttura democratica

  2. buongiorno, dato che, non mi ricordo chi sopra ha detto di essere filo israeliano io comunico che sono al contrario di lui, a mio parere la guerra dei sei giorni è stata si una mossa eccellente da parte di Israele, ma Israele non doveva nemmeno esistere, a quanto so io, correggetemi se sbaglio, israele e nato dal nulla, terra palestinese nella quale gli USA hanno deciso di piazzarci tutte le vittime dell'olocausto scatenato dai nazisti.

     

    ora, dico io, Israele vinse quella guerra probabilmente perché gli USA ed altri paesi affiliati a loro continuavano a passare armi e munizioni sempre più sofisticate al paese illegale presente tra Egitto Giordania e Siria.

     

    per questo io credo sempre più fermamente che gli israeliani debbano prendere baracca e burattini ed andarsene o mettersi sotto il controllo dei palestinesi, o, forse ancora meglio, fare come nel pre-olocausto, andare nei paesi di tutto il mondo come comuni immigrati.

     

    hai scritto cose inesatte in primo luogo, e molto ingiuriose e razziste in seconda istanza. Dovresti vergognarti tanto della tua mancanza di rispetto quanto della tua superficialissima conoscenza storica :thumbdown:

  3. da http://digilander.libero.it/air10/

     

    Il 21 novembre 1981 si svolse sulla pista di Istrana una singolare sfida (ma non fu la prima), tra una macchina ed un aereo. Nel duello si confrontarono le migliori Formula 1 del momento con alcuni F-104S. Il più veloce fu Gilles Villeneuve su Ferrari.

     

    In ricordo dell'episodio, il 17 settembre 1989, l'Aeronautica Militare Italiana decise di donare alla scuderia di Maranello l'F-104 MM 6546.

     

    L'esemplare è stato interamente dipinto in rosso e riporta i numeri 4-27, dove il quattro indica il 4° RMV (Reparto Manutenzione Velivoli) di Grosseto, mentre il 27 era il numero utilizzato in gara da Gilles.

     

    L'aereo è oggi esposto all'interno dell'autodromo di Fiorano, di proprietà della Ferrari.

    Le condizioni del velivolo - conservato all'aperto a pochi metri dalla pista senza alcuna protezione - sono da considerarsi precarie. In molte parti il rosso ormai non esiste più, "corroso" da pioggia, sole e smog. Peccato!

     

     

     

    Un F-104, una Ferrari di formula 1 e il funambolico Gilles Villeneuve. Tre miti che per un giorno si sono incontrati e sfidati. Un aereo contro una monoposto. Il tutto è avvenuto il 21 novembre del 1981, sulla pista dell'aeroporto di Istrana (Treviso), sede del 51° Stormo. Un confronto insolito, ma non unico.

    Il più noto è quello avvenuto circa cinquanta anni prima a Roma, sull'Autodromo del Littorio, l'8 dicembre 1931.

    In quell'occasione un'altro pilota automobilistico, entrato nella storia, sfidò un aereo. Quel pilota era Tazio Nuvolari, detto il "Mantovano Volante". Per il duello Nuvolari utilizzò un'Alfa Romeo 8C-2300 tipo Monza. L'aereo era invece un Caproni CA 100 pilotato da Vittorio Suster.

    La sfida prevedeva che il Caproni - in volo - seguisse l'andamento della pista. Cinque i giri in programma per un totale di km 16,998. Al via, Nuvolari fu più lesto, ma la gara venne vinta da Suster e dal suo CA 100 che coprirono la distanza nel tempo di 6'12" alla media di 164,237 km/h. Come mostra la foto pubblicata sul n° 35 de "L'Auto Italiana" di quell'anno, Nuvolari fu battuto solo di qualche metro.

    Un esito diverso ha avuto la sfida tra Gilles Villeneuve e l'F-104S 51-03 pilotato dal tenente Daniele Martinelli. In questo caso, però, si è trattato di una gara di accelerazione su 1000 metri con partenza da fermo. Il temerario pilota canadese, gareggiò senza alettoni per sfruttare al massimo la potenza e la velocità della sua Ferrari 126 CK (telaio n° 053) dotata di un motore 6 cilindri turbo. Quel giorno altri piloti e altre monoposto di formula uno sfidarono il "Cacciatore di Stelle", ma Gilles Villeneuve fu il pilota più veloce in assoluto con la sua rossa Ferrari n° 27.

     

     

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  4. L'Eurofighter si può considerare tranquillamente un aereo Inglese ...

     

    beh, insomma, non direi, vero che è stato progettato a partire dal dimostratore tecnologico EAP della British aerospace, ma il progetto si è poi piuttosto evoluto avvalendosi di fondamentali contributi italiani, tedeschi e spagnoli..

  5. io ritengo che sia meglio l'efa cosiderando che è un aereo con un avionica e un design delle più avanzate al mondo e poi è anche italiano ..........

     

    sicuramente l'EFA può contare su un sistema d'arma ed un radar più efficace, il Su-30, per ammissione degli stessi piloti RAF, è più manovrabile

  6. Il Bear, sviluppato nel 1952, volò per la prima volta nel 1954 ed entrò in linea con l’aviazione a lungo raggio sovietica l’anno successivo. Il Tu-95, con la sua enorme fusoliera e le sue lunghe ali a freccia, è tutt’oggi il più grosso bombardiere in servizio e ricorda da vicino uno Stratofortress B-52 americano con motori a elica. In questo ruolo è in grado di trasportare un carico bellico di 10000kg in una stiva bombe fusoliera. L’armamento difensivo è composto da sei torrette controllate a distanza, ciascuna dotata di due armi da 23mm. L’equipaggio di sette uomini, ovvero pilota, copilota, puntatore, navigatore, operatore radio, motorista e mitragliere di coda, è ospitato in due cabine pressurizzate, collegate tra loro da un condotto. Il carico bellico all’inizio comprendeva solo bombe termonucleari a caduta libera. La vetratura anteriore ospita il sistema di puntamento, mente, sempre a prua, sono presenti un radar di navigazione, racchiuso in una piccola carenatura, e un’asta rigida per il rifornimento in volo. Le ali, montate in posizione intermedia, hanno una freccia di 35° e presentano sul bordo d’uscita alettoni verso l’esterno ed enormi ipersostentatori Fowler verso l’interno. Il carrello principale è alloggiato in carenature sporgenti dal bordo di uscita di ciascuna ala, con una configurazione tipica dei progetti Tupolev. I piani orizzontali di coda risultano anch’essi a freccia e alle loro estremità presentano carenature il ricevitore di allarme radar e le antenne dei sistemi di disturbo attivo da guerra elettronica. I motori, racchiusi in gondole sporgenti dal bordo d’attacco delle ali, spingono due eliche controrotanti del diametro di 5.6m. che garantiscono al Bear il primato di velivolo turboelica più veloce del mondo. La versione Adel

    grosso bombardiere è la più numerosa, prodotta in oltre 300 esemplari,completati nel 1961, anche se soltanto pochi sono ancora in servizio nel ruolo originale. Il Bear B, osservato per la prima volta nel 1961, venne modificato per trasportare i missili nucleari da crociera AS-3 Kangaroo, con l’aggiunta di un radar di ricerca Crown Drum al posto della vetratura anteriore. Di questi Tu-95 ne restano ancora in servizio 110 nelle file dell’aviazione a lungo raggio, modificati però nella versione G. Il Tu-95 C, in servizio con l’aviazione navale sovietica, è simile al Bear B, ma con l’aggiunta di avionica supplementare, come dimostrano le numerose sporgenze lungo la fusoliera. La versione D è quella modificata per la guida dei missili oltre l’orizzonte, grazie a un radar Mushroom, operante in banda I contenuto in un grosso radome nella parte inferiore dell’aereo, sotto la cabina di pilotaggio, e di un secondo radome, di dimensioni ancora maggiori del precedente che racchiude un radar di ricerca Big Bulge. Da entrambi i lati della parte posteriore della fusoliera e dell’estradosso alare sporgono dielettrici dentro i quali si nascondono le antenne del sistema di monitorizzazione dei segnali (ESM); alcuni velivoli montano apparati di contromisure elettroniche, anche nella torretta di coda al posto dell’armamento e del mitragliere. La versione E del Bear, impiegata anch’essadall’aviazione navale, risulta dalla ricostruzione di esemplari della versione A, configurati per la ricognizione marittima a lungo raggio, con serbatoi supplementari di carburante e contenitori e fotocamere nella stiva delle bombe. La produzione del Bear è ripresa nel 1970 con l denominazione Tu-142 Bear F, osservato per la prima volta nel 1973, che risulta sostanzialmente diverso dai primi Tu-95. Progettato per la guerra antisommergibile a lungo raggio, il Bear F presenta una struttura rinforzata e ali irrobustite , non solo per sopportare un peso lordo complessivo maggiore, ma anche per resistere meglio alle sollecitazioni dovute alla turbolenza che il velivolo incontra durante i pattugliamenti a bassa quota. Il Tu-142 è dotato di un sistema di distribuzione di boe sonore, un rilevatore di anomalie magnetiche, un sistema di controllo tattico antisommergibile e un radar di ricerca operante in banda I/J, alloggiato nella stiva bombe anteriore. Questa nuova versione del bombardiere sovietico mantiene come armamento difensivo solo la torretta binata di coda. Dal 1972 al 1985 sono stati realizzati circa 70 Bear F. La versione Tu-95 G, ricostruzione delle precedenti B e C, è stata modificata per poter trasportare fino a tre missili supersonici AS-4 Kitchen e altri apparati elettronici. Il Bear H, ancora in produzione, è una variante specifica del Tu-142, armata con i nuovi missili da crociera AS-15 Kent, che a differenza di quelli precedenti si

    presenta simile agli americani Tomahawk. Il bombardiere può trasportare due AS-15 agganciati alla sezione interna delle ali e altri otto probabilmente all’interno della fusoliera. Il Tu-142 H presenta anche un radar di sorveglianza di notevoli dimensioni, impiegato forse per la designazione dei bersagli. Nel 1989 oltre 150 Bear delle varie versioni erano ancora in servizio con l’aviazione a lungo raggio, mentre altri 95 circa operano con l’aviazione navale.

     

    Il Tupolev 95 è uno degli aerei più rumorosi del mondo. Il rumore generato dai motori è talmente alto da essere rilevato dai sottomarini in immersione, i quali sono in grado di identificare la caratteristica firma acustica prodotta dalle otto eliche controrotanti. Ciò ha intralciato l'utilizzo del velivolo come pattugliatore marittimo. Durante la guerra fredda, i piloti da caccia occidentali inviati a intercettare e fotografare i Tu-95s in volo, li trovavano estremamente rumorosi, sebbene questi piloti operassero all'interno di cabine pressurizzate e indossassero cuffie. Gli equipaggi dei Bear stessi trovavano il livello di rumore scomodamente alto e tuttora in Russia si possono trovare ex componenti di equipaggio di Tu-95 che hanno subito danni permanenti all'udito.

     

     

    Scheda Tecnica

    Tupolev Tu-95MS "Bear-H"

     

    Ruolo: Bombardiere strategico, ricognitore, ricognitore marittimo antisommergibili

    Equipaggio: un pilota, un copilota, un navigatore, un mitragliere, tre addetti

    Primo volo: 12 novembre 1952

    Costruttore: Tupolev

    Esemplari costruiti: oltre 300

     

    Dimensioni

    Lunghezza 49,13 m

    Apertura alare 50,04 m

    Altezza 13,30m

    Superficie alare 289,90 m²

    Peso Massimo al decollo 185.000 kg

     

    Propulsione

    Motore: 4 turboeliche Samara/Kuznetsov NK-12MP

    Potenza: 14800 sHP

     

    Prestazioni

    Velocità massima: 830 km/h

    Autonomia: 10500 km

    Tangenza: 11000 m

     

    Armamento

    Artiglieria: due cannoni da 23 mm in coda

    Missili: sei missili di crociera

    Altro: fino a 15.000 kg di carico bellico che include i missili Kh-20, Kh-22, Kh-26, and Kh-55.

  7. Per saperne di più, Francesco Mattesini, “I successi degli Aerosiluranti Italiani e Tedeschi in Mediterraneo nella 2^ Guerra Mondiale”, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, marzo 2002, pag. 9 – 94.

     

    L’Aeronautica italiana entrò in guerra il 10 giugno 1940 priva di una specialità aerosiluranti. E ciò sebbene essa avesse sperimentato una simile forma d’impiego fin dal 1927, effettuando prove ed esperienze che, come riferì il generale Santoro, che durante la guerra ricoprì la carica di Sottocapo di Stato Maggioredella Regia Aeronautica, furono “condotte assai a rilento senza una precisa visione del problema, e senza una decisa volontà di giungere rapidamente alla sua soluzione”. E questo anche perché “fra l’Aeronautica e la Marina si svolse una poco edificante lotta per stabilire a quale delle due Amministrazioni spettasse l’approvvigionamento dei siluri e su quali dei due bilanci dovesse gravare la spesa relativa”. Una questione che, ha specificato il generale Santoro, l’inizio del conflitto trovò purtroppo “ancora insoluta”.

    Per non parlare poi della spiacevole diatriba che si era svolta negli stessi ambienti dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica, tra il generale Valle, ex Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore, e il suo sostituto, generale Francesco Pericolo, che si assunsero entrambi il merito di aver dato vita alla specialità degli aerosiluranti. Una diatriba che assunse toni feroci proprio durante la guerra, e che vide coinvolto lo stesso Capo del Governo italiano, Benito Mussolini, al quale i due alti ufficiali si erano appellati, con lettere personali.

    Fu soltanto dopo le prime prove negative fornite dai bombardieri in quota contro il naviglio in mare, che lo Stato Maggiore dell’Aeronautica, avendo ormai percepito inequivocabilmente l’importanza degli aerosiluranti, istituì a Gorizia un primo reparto di cinque trimotori S. 79 che, al comando del maggiore Amedeo Mojoli – poi sostituito dal maggiore Vincenzo Dequal – fu denominato Reparto Speciale Aerosilurante. Si trattava di velivoli da bombardamento, veloci e manovrabili, che fin dal 1937 erano stati prescelti per la loro attitudine al lancio di siluri. In un secondo tempo nel corso del conflitto furono attrezzati per lo speciale impiego anche gli S. 84.

    Ma tali aerei, pur essendo più moderni e veloci degli S. 79, non dettero buona prova per la loro minore maneggevolezza e insospettata vulnerabilità; ragion per cui nell’autunno del 1942 essi furono ritirati dalla linea aerosiluranti, a sostenere la quale fu destinata la quasi totalità degli S. 79 disponibili, dal momento che la nostra modesta industria aeronautica non fu in grado di realizzare ex-novo un velivolo più moderno. La realizzazione quale aerosilurante del bimotore Cant Z. 1007, che univa alla doti di velocità e di maneggevolezza la possibilità di trasportare due siluri,non fu portata a buon fine, dal momento che il velivolo non superò lo stato di prototipo.

    Come detto, inizialmente gli S. 79 del Reparto Speciale Aerosiluranti furono soltanto cinque, ed uno di essi andò perduto il 15 agosto 1940 alla prima azione bellica, effettuata senza successo, per affrettata preparazione, contro il naviglio da guerra presente nella base britannica di Alessandria. I restanti quattro velivoli, dislocati in Libia, costituirono il 1° settembre 1940 la 278^ Squadriglia, detta per il suo modesto organico dei “Quattro gatti”. A partire dal 28 ottobre di quell’anno fu istituito a Gorizia, al comando dell’allora tenente colonnello Carlo Unia, il 1° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, che servì a preparare, entro il primo semestre del 1941, altre cinque squadriglie poi destinate nei vari settori operativi del Mediterraneo: la 279^ in Sicilia, la 282^ in Libia, la 281^ in Egeo, la 280^ e la 283^ in Sardegna. Queste due ultime squadriglie nell’estate del 1941 costituirono, ad Elmas, il 130° Gruppo Aerosiluranti S. 79, che poi, in settembre, fu raggiunto in Sardegna dall’intero 36° Stormo Aerosiluranti che, essendo costituito dai gruppi 108° e 109° e totalmente equipaggiato con velivoli S. 84, si installò a Decimomannu.

    Con la costituzione di altre squadriglie – il cui personale fu in gran parte addestrato dal 2° e 3° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, istituiti, nella seconda metà del 1942, a Capodichino (Napoli) e a Pisa – la specialità, nel frattempo rinforzata con il 32° Stormo (gruppi 38° e 89°), equipaggiato con velivoli S. 84, e con i gruppi 104° e 105°, 13°° e 131° che disponevano dell’S. 79, raggiunse il massimo dell’incremento organico. tanto da poter contare ai primi di novembre di quell’anno su 147 velivoli ripartiti in 12 gruppi d’impiego, ciascuno su due squadriglie. Tale ripartizione organica restò inalterata fino alla fine dell’anno quando furono disciolti alcuni reparti equipaggiati con S. 84, mentre il 36° Stormo, e l’89° Gruppo del 32° Stormo, sostituirono tale tipo di velivolo con il più affidabile S. 79.

    Successivamente, di fronte al logorio imposto dalla dura attività per contrastare il traffico nemico che si concentrava nei porti del Nord Africa, perché destinato a partecipare all’invasione della Sicilia (operazione Husky), fu necessario sopprimere altri gruppi, allo scopo di concentrare la massa degli S. 79 ancora operativamente disponibili (circa 70), nel Raggruppamento Aerosiluranti. Esso fu istituito il 1° giugno 1943 con i gruppi, 89°, 41°, 131° e 108°, mentre restarono come reparti autonomi, ma in condizioni organiche completamente deficitarie, il 104° Gruppo dislocato in Egeo, il 132° a Gorizia e il 130° a Littoria (oggi Latina). Quest’ultimo gruppo fu poi soppresso nell’estate, ed i suoi restanti equipaggi furono aggregati a quelli del 132° Gruppo, che fino all’armistizio del 8 settembre 1943 restò il reparto organico di maggior valore operativo, e quello che ottenne i risultati pratici più eclatanti.

    Secondo quanto scritto nella lettera del 4° Reparto di Superaereo n. 7025077 del 9 luglio 1943, vigilia dello sbarco degli Alleati in Sicilia, poteva essere fatto assegnamento su circa 280 velivoli siluranti dei tipi S. 79 e S. 79 bis, dei quali 180 destinati alle linee, e 100 di riserva. Tuttavia, dal momento che 170 velivoli dovevano ancora completare la trasformazione in aerosiluranti, prevista nel termine di quattro mesi – con un ritmo di circa 40 esemplari al mese – ne restavano realmente disponibili 110, dei quali, escludendo i 30 assegnati ai gruppi complementari e alle scuole, soltanto 80 velivoli erano ripartiti nei vari gruppi d’impiego

     

    ***

     

    Descrivere le operazioni a cui gli aerosiluranti presero parte sarebbe di natura complessa e di vastità tale da occupare lo spazio per una storia a puntate o per la raccolta di un grosso volume. Ci limiteremo pertanto a trattare, in forma alquanto schematica, quelli che furono i risultati realmente conseguiti, i soli successi che effettivamente ci interessano nella compilazione di questo saggio.

    I primi colpi a segno furono messi a segno dai velivoli della 278^ Squadriglia che, come detto, fu il primo reparto aerosilurante costituito. Negli ultimi cinque mesi del 1940, a partire dal 15 agosto, la squadriglia, che ancora si chiamava Reparto Speciale Aerosiluranti, effettuò un gran numero di attacchi contro il naviglio britannico operante lungo le coste libico-egiziane, conseguendo il danneggiamento di tre grossi incrociatori della Mediterranean Fleet: Kent, Liverpool e Glasgow.

    Prima di trattare brevemente nel dettaglio come si svolse il siluramento dei tre incrociatori, vediamo quali furono i primi attacchi portati in mare aperto dagli aerosiluranti della 278^ Squadriglia.

    Il primo si verificò il 27 agosto 1940, quando un S. 79, con capo equipaggio il tenente Carlo Emanuele Buscaglia, avvistò a 60 miglia a nord-est di Bardia un convoglio britannico partito da Alessandria e diretto in Grecia, al Pireo. Il velivolo lanciò il siluro contro l’incrociatore pesante Kent, ma non riuscì a colpirlo. Seguì, nel pomeriggio del 13 settembre, a sud del Canale di Caso, l’attacco di un altro S. 79 pilotato dal tenente Guido Robone, contro il convoglio AN 3, partito da Porto Said ed anch’esso diretto al Pireo, con la scorta di quattro incrociatori e sei cacciatorpediniere; ma ancora una volta il siluro, lanciato contro un piroscafo di medio tonnellaggio, fallì il bersaglio.

    Nel pomeriggio del 17 settembre due S. 79, con capi equipaggio i tenenti pilota Buscaglia e Robone attaccarono, a 40 miglia ad ovest di Marsa Matruh, la cannoniera britannica Ladybyrd che, scambiata per un incrociatore leggero tipo “Delhi”, non fu colpita dai siluri che le passarono di poppa vicinissimi.

    Finalmente, la sera di quello stesso giorno 17 ebbe termine la serie degli insuccessi per opera di Buscaglia e Robone che, ripartiti dalla base di El Adem dopo la prima sfortunata azione del pomeriggio, ottennero un primo significativo successo.

    Infatti, durante lo svolgimento di un’azione aeronavale della Mediterranea Flette contro obiettivi italiani della Cineraria, la sera del 17 settembre l’incrociatore Kent ebbe il compito di bombardare Bardia accompagnato da due cacciatorpediniere. Alle ore 23.55, trovandosi con notte di luna a 40 miglia dalla posizione di bombardamento assegnata, il Kent fu attaccato dai due aerosiluranti italiani che lanciarono altrettanti siluri da una distanza di 500 yard. Una delle armi colpì l’incrociatore all’altezza della seconda torre poppiera di grosso calibro, presso le eliche, e causò un incendio, danni estesi e la morte di trentadue uomini, nonché

    l’arresto della nave. Preso a rimorchio dal cacciatorpediniere Nubiah e protetto da altre unità accorse nella zona, il Kent fu trainato, faticosamente, fino ad Alessandria, distante 250 miglia, ove arrivò alla velocità di undici nodi, nel pomeriggio del 19 settembre; un’impresa che l’ammiraglio Cunningham, considerò “assai ardua”. Al termine di sommarie riparazioni, l’incrociatore salpò in novembre per un arsenale della Gran Bretagna, ove fu rimesso in efficienza.

    Il Liverpool, che in formazione con altre unità della Mediterranea Fleet stava rientrando ad Alessandria, dopo aver scortato un convoglio a Malta (operazione “MB. 6”), trovandosi alle 18.55 del 14 ottobre a 60 miglia a sud di Capo Misi – all’estremità orientale di Creta – fu colpito a prora da un siluro lanciato dall’S. 79 del capitano Massimiliano Erasi, nuovo comandante della 278^ Squadriglia. Il danno non era molto esteso, ma l’impatto del siluro, determinando l’incendio e l’esplosione di un deposito di benzina e di parte del deposito delle munizioni prodiere, ebbe la conseguenza di spezzare la parte prodiera dell’incrociatore, fino alla prima torre di grosso calibro, che poi rimase appesa allo scafo. L’incrociatore Orion prese il Liverpool a rimorchio di poppa, e lo trascinò faticosamente per 100 miglia, navigando, inizialmente. alla velocità di nove nodi, poi aumentata dopo che si era staccata di netto la prora del Liverpool. In tal modo l’Orion riuscì a condurlo il Liverpool in salvo ad Alessandria, ove le due navi entrarono alla mezzanotte del 16 ottobre. Il Liverpool restò immobilizzato fino al maggio del 1941, quando poté salpare per un porto della Gran Bretagna ove venne completamente riparato. In definitiva, il Liverpool resto fuori servizio per oltre un anno.

    Il terzo incrociatore ad essere colpito dagli S. 79 della 278^ Squadriglia Aerosiluranti fu il Glasgow. Trovandosi, intorno alle ore 12.30 del 3 dicembre, all’ancora nella Baia di Suda, l’incrociatore fu colpito da due siluri lanciati, da circa 300 metri di distanza dai velivoli del capitano Erasi e del tenente Buscaglia, i quali, attaccando dalla parte di terra, arrivarono nella rada di sorpresa prima che le navi e le difese della base britannica avessero aperto il fuoco. Dal momento che i danni non risultarono preoccupanti - il Glasgow, le cui perdite umane erano state limitate a tre morti e a tre feriti gravi - fu in grado di lasciare la Baia di Suda alle ore 23.00 di quello stesso 3 dicembre, e due giorni più tardi, navigando alla velocità di sedici nodi raggiunse Alessandria scortato dall’incrociatore Gloucester e da due cacciatorpediniere. Riparato provvisoriamente, alla fine di febbraio del 1941 fu inviato nelle Indie Orientali, per effettuare in altro arsenale i lavori definitivi.

    A partire dal marzo 1941 fu dislocata in Egeo la 281^ Squadriglia, comandata dal neo promosso capitano Buscaglia. Il suo primo successo di questa nuova unità fu conseguito il 18 aprile, quando il tenente Giuseppe Cimicchi affondò nello Stretto di Caso la petroliera British Science. Questa nave, che faceva parte del convoglio AN. 7 partito da Alessandria e diretto al Pireo, era stata precedentemente silurata nel corso di un attacco portato dai velivoli dei tenenti pilota Umberto Barbani e Angelo Caponetti, appartenenti alla 279^ Squadriglia, temporaneamente distaccata dalla Libia a Rodi.

    L’8 maggio la 281^ Squadriglia ottenne il suo secondo successo con i tenenti Pietro Greco e Carlo Faggioni, che attaccarono il convoglio AN. 30, partito da Porto Said e diretto a Suda, colpendo con un siluro la motonave britannica Rawnsley. Nonostante i gravi danni riportati, la Rawnsley poté proseguire la navigazione alla velocità di otto nodi, trainata dal trawler Grimsby e scortata dal cacciatorpediniere australiano Waterhen. Portata ad incagliare nella Baia di Ieropetra, sulle coste meridionali di Creta, la Rawnsley venne distrutta nella notte sul 12 maggio da aerei da bombardamento tedeschi dell’8° Fliegerkorps che, dopo la resa della Grecia, si erano installati sugli aeroporti ellenici.

    Dopo un periodo di attività non confortato da nessun altro risultato positivo, l’11 agosto il capitano Buscaglia e i tenenti Giulio Cesare Graziani e Aldo Forzinetti attaccarono, a 40 miglia a nord-ovest di Porto Said, il posareti britannico Protector. Colpito alle ore 16.30 dal siluro sganciato dal tenente Forzinetti, che causò l’arresto della sala macchine, l’uccisione di due uomini, e tre feriti, il Protector fu rimorchiato a Porto Said dalla corvetta Salvia, per poi essere inviato a Bombay ove ultimò le riparazioni.

    Il 20 agosto i velivoli di Graziani e di Forzinetti attaccarono a nord di Porto Said la petroliera britannica Turbo. Colpita da un siluro ed avendo riportato danni considerevoli, la nave affondò nel porto di Beirut che aveva raggiunto dopo una lenta e faticosa navigazione.

    Infine, il 23 novembre, gli S. 79 di Buscaglia e del tenente Luigi Rovelli attaccarono a nord di Marsa Matruch la grossa nave da sbarco per fanteria (L.S.I.) Glenroy, anch’essa di nazionalità britannica. Nell’occasione quella nave fu colpita gravemente dal siluro sganciato da Buscaglia. Il Glenroy. L’unità, che trasportava mezzi da sbarco a ottanta soldati destinati alla guarnigione di Tobruk, e che era scortato dall’incrociatore contraereo Carlisle e da due cacciatorpediniere, si arrestò con una stiva e la sala macchine allagata, e fu portata dapprima ad incagliare sulla vicina costa, e poi, trainato da due rimorchiatori, condotta ad Alessandria da dove era

    salpata per la sua missione.

    La 279^ Squadriglia, che dopo il siluramento della petroliera British Science era ritornata in Libia, nel restante scorcio del 1941 operò intensamente lungo le coste della Cirenaica e dell’Egitto occidentale, e con i suoi siluri arrivò a segno altre tre volte contro navi britanniche.

    La sera del 27 agosto, il capitano Giulio Marini attaccò con decisione una formazione di quattro incrociatori britannici, che erano scortati da tre cacciatorpediniere, e alle ore 21.19, trovandosi a 30 miglia a nord di Bardia, centrò con il siluro il Phoebe. Questo incrociatore leggero, che per mezzo del radar aveva percepito l’avvicinamento dell’aereo italiano, dopo aver controllato le avarie e scortato da quattro cacciatorpediniere, riuscì a rientrare ad Alessandria precedendo alla velocità di dodici nodi. Il 13 ottobre, dopo lavori sommari, il Phoebe lasciò il Mediterraneo per essere riparato nei cantieri statunitensi di Brooklyn, per poi rientrare in Gran Bretagna nel maggio del 1942.

    Il 1° dicembre tre S. 79 della 279^ Squadriglia guidati dal capitano Giulio Marini, che aveva per gregari i tenenti Aligi Strani e Giuseppe Coci, attaccarono, presso Marsa Luck, una formazione di tre cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet, colpendo il Jackal. L’esplosione del siluro ridusse la poppa del cacciatorpediniere ad un ammasso di ferraglia. Tuttavia il Jackal riuscì a raggiungere Alessandria, rimorchiato dal sezionario Jaguar, alla velocità di 14 nodi.

    Infine, il 5 dicembre, il tenente Guglielmo Ranieri attaccò presso Marsa Luck il convoglio TA 1, e determinò il rapido affondamento del piroscafo ausiliario Chakdina, che trasportava 300 soldati britannici e 100 e prigionieri italiani evacuati da Tobruck, tra cui il generale tedesco von Ravenstein. Poco prima di essere colpita la Chakdina aveva evitato il siluro sganciato dal capitano Massimiliano Erasi, comandante della 284^ Squadriglia A.S. – da poco tempo dislocata in Libia – mentre un suo gregario, il tenente Alfredo Pulzetti, dopo aver visto nella stessa zona una nave semisommersa, che era certamente la Chakdina, lanciò il siluro contro un presunto incrociatore, mancando il bersaglio.

     

    ***

     

    Nel Mediterraneo occidentale i successi furono iniziati il 23 luglio da sei S. 79 della 283^ Squadriglia che, assieme ad altri due aerosiluranti della 280^ squadriglia, attaccarono un grosso convoglio diretto a Malta (operazione Substance), che procedeva fortemente scortato dalla Forza H, la squadra navale dislocata a Gibilterra.

    Gli aerosiluranti della 283^ Squadriglia, contrastati da un intenso fuoco di sbarramento delle navi, attaccarono il convoglio, ripartiti in due pattuglie di tre velivoli ciascuna, una delle quali, con capi equipaggio i tenenti Roberto Cipriani, Bruno Pandolfi e Francesco Aurelio Di Bella, lanciò i siluri contro le navi nemiche da una distanza stimata tra i 600 e i 1000 metri. Nel Diario Storico della 283^ Squadriglia è riportato l’affondamento di due piroscafi, il primo dei quali era stato visto saltare in aria per l’esplosione di un carico di munizioni. Inoltre, al tenente Pandolfi, il cui aereo durante il disimpegno era stato colpito e costretto ad ammarare, fu accreditato il siluramento di un incrociatore da 10.000 tonnellate tipo “Southampton”. (22)

    Nell’immediato dopoguerra, quando furono conosciuti i reali risultati conseguiti nell’attacco, nel corso del quale erano state colpite due unità da guerra, fu ritenuto di dover assegnare al tenente Pandolfi il danneggiamento dell’incrociatore Manchester, e al tenente Cipriani l’affondamento del cacciatorpediniere Fearless.

    In realtà i risultati conseguiti, basati sull’ordine di attacco dei tre velivoli della pattuglia (Cipriani, Pandolfi, Di Bella) e sulla relazione del comandante della Forza H, il famoso vice ammiraglio James Somerville, portano a ben diverse conclusioni.

    Come è anche confermato nelle relazioni dell’Ammiraglio britannico, risulta che i primi due S. 79 della 283^ Squadriglia attaccarono entrambi il Fearless, il quale dopo aver evitato il primo siluro fu raggiunto dal secondo. Il Manchester fu invece colpito dal siluro sganciato dal terzo aereo della pattuglia. Questi aveva cambiato all’ultimo momento direttrice d’attacco, puntando su una delle due navi mercantili che si trovavano vicini all’incrociatore, il quale stava a sua volta manovrando per evitare di entrare in collisione con il piroscafo Port Chalmers. Sulla base di ciò dovremmo arrivare alle seguenti conclusioni: il primo siluro, lanciato da Cipriani contro un piroscafo dall’esterno dello schermo dei cacciatorpediniere, andò perduto dopo essere passato vicino al Fearless; il secondo siluro, lanciato da Pandolfi, colpì con effetti disastrosi il Fearless, e non il Manchester; quest’ultimo fu certamente colpito da Di Bella che, sganciando contro uno dei piroscafi, centrò invece l’incrociatore il quale, manovrando sulla sinistra per evitare di scontrarsi con il Port Chalmers, si trovò ad attraversare la direttrice di marcia del siluro.

    Comunque stessero i fatti, non vi sono dubbi che l’attacco degli S. 79 della 283^ Squadriglia Aerosiluranti venne condotto dai piloti con una determinazione che fu elogiata dallo stesso ex nemico. Ha scritto infatti lo storico britannico capitano di vascello Donald Macintyre:

     

    “Si trattò di un attacco sviluppato molto abilmente dagli aerosiluranti italiani, un attacco che regge favorevolmente il confronto con le analoghe operazioni diurne compiute dgli Swordfish dell’aviazione navale”.

     

    Un altro risultato positivo fu conseguito l’indomani, 24 luglio, dagli equipaggi della 280^ Squadriglia che attaccarono, presso l’Isola La Galite, il convoglio britannico MG 1, partito da Malta e diretto a Gibilterra. All’azione parteciparono gli S. 79 del capitano Amedeo Majoli e del tenente Ugo Rivoli, che riuscirono a danneggiare con un siluro il piroscafo olandese Hoegh Hood. Fu invece sfortunata l’azione svolta il 27 agosto, a sud della Sardegna, dal tenente Alessandro Setti contro il piroscafo britannico Deucalion, dal momento che il siluro, pur arrivando sul bersaglio, non esplose.

    Anche la famosa 278^ Squadriglia, che a partire dal gennaio 1941 era stata spostata dalla Libia in Sicilia, nel corso dell’anno conseguì un solo successo con il capitano Dante Magagnoli. La sera del 27 settembre, durante la grande operazione britannica “Halberd” messa in moto da occidente per rifornire Malta, Magagnoli colpì e affondò a nord di Biserta il grosso piroscafo inglese Imperial Star.

    Il convoglio dell’operazione “Halbert” era stato attaccato quello stesso giorno in forze dagli aerosiluranti della Sardegna, e nel corso delle azioni, a cui parteciparono 25 velivoli, il maggiore Arduino Buri, Comandante dell’108° Gruppo del 36° Stormo, attaccò la corazzata Rodney, senza però riuscire a colpirla. La gemella Nelson, che rispetto alla Rodney si trovava sul fianco sud del convoglio, fu invece attaccata positivamente dal comandante del 36° Stormo, colonnello Helmut Seidl, che guidava gli equipaggi del 109° Gruppo. Colpita dal siluro, sganciato da breve distanza dal colonnello Seidl, prima che il suo S. 84 fosse stato abbattuto nella fase di scampo, la Nelson riportò a prua danni considerevoli che la costrinsero a riparazioni che si prolungarono per ben sei mesi.

    L’azione aerea che portò a questi risultati è stata da noi ampiamente descritta in un grosso saggio, pubblicato dal Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, di cui si riportano di seguito i fatti più salienti riferiti all’azione che portò al danneggiamento della Nelson.

    Fra le 13.00 e le 13.30, i venticinque aerosiluranti attaccarono, in tre ondate e sui due lati, la formazione navale britannica. Questa reagì con fortissimo fuoco contraereo, sviluppato dalle artiglierie alla massima distanza, mentre i caccia Fulmar dell’Ark Royal intercettarono gli aerei in avvicinamento, che erano stati percepiti dai radar alla distanza di 30 miglia. La portaerei britannica, che al momento del primo allarme radar aveva in volo otto Fulmar dell’808° Squadron, fece subito alzare altri sette caccia e li mandò tutti ad intercettare gli aerei italiani; continuò poi a ricevere e a far ripartire aerei durante tutto l’attacco, che fu iniziato da sei S. 84 del 108° Gruppo (maggiore Arduino Buri), proseguito dai sei del 109° Gruppo (colonnello Helmut Seidl), e dai tre velivoli della 282^ Squadriglia (capitano Marino Marini), ed infine, concluso dagli undici S. 79 del 130° Gruppo (capitano Giorgio Grossi), che pur essendo decollati per primi erano stati sorpassati dai più veloci S. 84.

    Alcune pattuglie del 130° Gruppo, trovandosi esposte al fuoco nemico dalla parte più sgombra di nubi, ritardarono lo svolgimento dell’azione celandosi dietro piovaschi, mentre i cinque della 279^ Squadriglia preferirono rientrare con il siluro. Tutti gli altri velivoli, in particolare quelli del 36° Stormo, diressero invece bravamente in avanti, andando incontro a perdite rilevanti. Sette aerosiluranti (due S. 84 del 108° Gruppo, quattro del 109° Gruppo e un S. 79 del 130°) andarono perduti assieme ad un caccia CR. 42 della scorta. Tuttavia, le azioni furono condotte con determinazione tale che molti velivoli riuscirono a superare lo schermo avanzato dalla formazione britannica, per lanciare i siluri contro le grandi navi. La corazzata Rodney fu mancata di poco, assieme ai cacciatorpediniere Lance, Isaac Sweers e Lightning, mentre invece la Nelson, la nave ammiraglia di Somerville, presa a bersaglio da due S. 84 nel corso del secondo attacco, fu colpita a prora e dovette ridurre la velocità.

    L’azione contro la corazzata fu descritta nel rapporto del Comandante della Forza H con le seguenti parole:

     

    “Il radar rivelò che un gruppo di aerei, che si divideva in due formazioni si stava avvicinando al convoglio da Est alle 13.27. I cacciatorpediniere dell’ala destra dello schermo aprirono il fuoco alle 13.29, quando sei o sette BR. 20 [erano gli “S. 84” del 109° Gruppo – N.d.A.] furono visti avvicinarsi molto bassi sul mare dalla prora al traverso a dritta. Tre di questi apparecchi spinsero l’attacco oltre lo schermo dei cacciatorpediniere e portarono a fondo un attacco estremamente deciso contro la NELSON che stava accostando a dritta per evitare le scie dei siluri. Un aereo lanciò il siluro da 20° di prora a dritta della nave, alla distanza di 450 yard passando poi sul bastimento a circa 200 piedi di altezza. Esso fu certamente abbattuto di poppa alla NELSON dallo SHEEFFIELD e dalla PRINCE OF WALES. La scia dei siluri non fu vista fino a circa 150 yard di prora alla corazzata, la quale frattanto aveva assunto una rotta che era esattamente l’opposto alla scia. Non fu possibile in quel momento fare niente altro per evitare il siluro; si avvertì un gran colpo, la nave vibrò considerevolmente ed una grande colonna di acqua si alzò a circa 15 o 20 piedi sul castello di prora a sinistra. La velocità della NELSON fu ridotta a 18 nodi, in attesa di chiarire la situazione.

    Pochi secondi più tardi un altro silurante della stessa formazione lanciò un siluro da circa 500 piedi di quota a 1.000 yard di distanza sulla prora a dritta della NELSON; il siluro passo a circa 100 yard sulla dritta. Il terzo aereo della formazione fu abbattuto dai cacciatorpediniere. Nel frattempo tre o quattro aerosiluranti, che si erano staccati da questo gruppo attaccavano dal lato dritto senza successo. Un aereo fu abbattuto dai pom-pom della RODNEY, ma l’equipaggio fu salvato. Complessivamente tre apparecchi nemici dei sei o

    sette impiegati furono abbattuti ma la NELSON era stata colpita; ciò riduceva la sua velocità, non la sua capacità offensiva col cannone.”

     

    Da parte italiana il siluramento della Nelson fu in buona fede accreditato al comandante del 108° Gruppo maggiore Buri, che però guidò il primo attacco della giornata alle 13.05, e sul fianco sinistro della formazione britannica, lanciando il siluro da una distanza di 1.500 metri rispetto al bersaglio. La corazzata, come è ben spiegato nel rapporto dell’ammiraglio Somerville, fu colpita da un aereo, che si spinse fino a 450 yard (411 metri) di distanza, alle 13.30 ora in cui si sviluppò, sul fianco destro del convoglio (dove si trovava la Nelson), l’attacco del 109° Gruppo, che aveva alla testa delle sue due pattuglie il comandante del 36° Stormo, colonnello Emo Seidl. Tale azione fu descritta come segue dal comandante del 109° Gruppo, maggiore Goffredo Castaldi, in una relazione datata 10 ottobre 1941.

     

    “L’attacco è portato contro il centro e la coda della formazione navale. I due apparecchi della prima pattuglia, dopo aver iniziato l’accostata per l’attacco sono perduti di vista.

    Degli apparecchi partecipanti all’attacco solo due rientrarono alla base alle 14.20 e 14.35: entrambi hanno lanciato il siluro contro un Incrociatore che seguiva sul lato destro una nave da battaglia tipo “Nelson”.

     

    La perdita dei due velivoli della prima pattuglia, che era quella guidata dal colonnello Seidl, non mi ha permesso di poter stabilire con precisione quale fu la loro manovra d’attacco, che dobbiamo supporre concretamente portò al siluramento della Nelson. Non posso pertanto asserire a quale dei due equipaggi spetti la palma del successo contro la corazzata britannica, ma posso ragionevolmente ritenere che sia stato conseguito dal comandante del 36° Stormo, in considerazione del fatto che egli stava guidando l’attacco e che la Nelson fu colpita dal primo siluro sganciatogli contro da un distanza di 411 metri circa.

    Il successo di Seidl, o del suo gregario (capitano Bartolomeo Tomasino), è poi convalidato dal fatto che nella Relazione di Squadra del Comando dell’Aeronautica della Sardegna (Mod. AC. 2) riferita al 108° Gruppo è scritto:

     

    “E’ stata notata una colonna di fumo alta circa trecento metri, elevarsi da una nave da guerra di tipo imprecisato sulla quale sono stati lanciati i due siluri. Tale colonna è rimasta fino a distanza di circa 40 Km”.

     

    Naturalmente i due equipaggi superstiti del 109° Gruppo, tra cui il comandante del reparto maggiore Gastaldi, ritennero di aver colpito l’incrociatore preso a bersaglio, che seguiva la nave da battaglia tipo “Nelson”, mentre in realtà l’incendio visibile da grande distanza si era proprio sviluppato sulla nave ammiraglia di Somerville. Visto come si svolse l’attacco è certo che l’azione contro quella nave era stato portato da uno dei velivoli di non rientrati alla base, come affermò all’epoca il capitano pilota Santoro. Questi, essendo al comando dei velivoli Cr. 42 del 24° Gruppo Caccia, e trovandosi quindi sul cielo della battaglia, sostenne, nel suo rapporto di missione, che l’aereo che aveva colpito la Nelson era stato abbattuto

    immediatamente dopo il lancio del siluro.

    Quanto al maggiore Buri egli attaccò certamente la Rodney, come è dimostrato da alcune fotografie scattate nell’occasione dagli equipaggi del 108° Gruppo.

    Quella corazzata si trovava sul fianco sinistro del convoglio e la sua sagoma era esattamente simile a quella della gemella Nelson. Per evitare il siluro, sganciato come detto da una distanza di circa 1500 metri, la corazzata fu vista accostare di 90° a sinistra. In effetti, quando alle 13.05 si sviluppò l’attacco del 108° Gruppo A.S., la Rodney accostò a sinistra, anche se soltanto di 60°, per schivare il siluro che, come poté ancora accertare il capitano Santoro, passò a soli venti metri di distanza da quella nave da battaglia.

    Conclusasi l’operazione “Halberd”, nei giorni 14 ottobre e il 14 novembre, gli aerosiluranti della 283^ Squadriglia ottennero due successi contro altrettanti piroscafi isolati, diretti da Gibilterra a Malta, che furono attaccati nei pressi dell’Isola Galite, a nord della costa della Tunisia. Si trattava dei piroscafi britannici Empire Guillemot ed Empire Pelikan, che furono entrambi affondati dai velivoli “S. 79” aventi per capo equipaggio i tenenti Guido Focacci e Camillo Barioglio.

    Nella stessa zona, il 15 novembre, il comandante del 108° Gruppo del 36° Stormo Aerosiluranti, maggiore Buri, affondò con il suo velivolo S. 84 della 256^ Squadriglia il piroscafo britannico Empire Defender che, navigando isolato da Malta verso Gibilterra, fu attaccato nei pressi dell’Isola Galite. Successivamente, poco più a levante, nella zona a nord di Biserta, nel pomeriggio del 22 dicembre due piloti della 258^ Squadriglia del 109° Gruppo del 36° Stormo Aerosiluranti, il capitano Calcedonio Baculo e il tenente Mario Corsi, furono protagonisti di un disgraziato incidente, determinato da errato riconoscimento del bersaglio. Essi, infatti, avvistarono, attaccarono e colpirono, con il siluro scagliato dall’aereo S. 84 del capo formazione, il piroscafo italiano Honor, sul quale decedettero sei uomini dell’equipaggio. Fortunatamente la nave, che partita da Napoli era diretta a Bona, riuscì a salvarsi, raggiungendo a rimorchio il porto di Algeri.

     

    ***

     

    Tra il dicembre 1941 e il maggio 1942 gli aerosiluranti italiani nonostante l’incremento sugli organici – e lo positive, spesso roboanti, affermazioni di successo dichiarato dagli equipaggi di volo – non arrivarono a segno neppure con un siluro; e ciò rappresentò un fattore estremamente negativo, che nettamente contrastava con l’intensa attività bellica espletata e le molteplici roboanti affermazioni di successi, ottimisticamente dichiarati dagli equipaggi, riportati su documenti ufficiali e trasmessi sui bollettini di guerra.

    Di questo stato di fatto si rese perfettamente conto il generale di squadra aerea Rino Corso Fougier, Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica. Il 28 marzo 1942, subito dopo la conclusione delle azioni offensive svolte contro un convoglio britannico, salpato da Alessandria – e che avevano portato la flotta italiana ad intercettarlo nel Golfo della Sirte, senza però riuscire ad impedirgli di raggiungere Malta – il generale Fougier diramò ai comandi di Aeronautica e di Squadra Aerea una direttiva, dall’oggetto “Azioni offensive degli aerosiluranti” (Prot. N. 1B/4307). In essa, per ottenere in futuro migliori risultati di quelli che, erroneamente, egli riteneva fossero stati conseguiti, Fougier raccomandava quanto segue: (1)

     

    ______________________

     

    (1) In una lettera dell’Ufficio Aerosiluranti dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica, datata 5 febbraio 1942 e inviata ai Comandi di Aeronautica e di Squadra Aerea con protocollo n. 9/556, il Sottocapo di Stato Maggiore, generale di squadra aerea Giuseppe Santoro, portava a conoscenza che “in diciassette mesi di attività bellica aerosilurante” erano “stati compiuti 137 attacchi e sganciati 214 siluri dei quali 140” erano “andati a segno”. Il risultato conseguito, secondo il citato ottimistico documento, era stato il seguente: “14 navi affondate (delle quali 12 da guerra) e 64 colpite (delle quali 58 da guerra). Naturalmente, questi risultati, “raffrontati al modesto numero di siluri e di velivoli siluranti disponibili” (al momento erano in carico ai reparti d’impiego poco più di 50 aerosiluranti), furono considerati “del tutto lusinghieri”; e si presumeva che sarebbero considerevolmente aumentati con il previsto incremento dei reparti aerosiluranti, che si stavano allora costituendo (7°, 32° e 46° Stormo). Occorre comunque dire che i successi dichiarati dal generale Santoro erano fuori della realtà, dal momento che fino ad allora erano state affondate soltanto 8 navi, delle quali una da guerra (cacciatorpediniere Fearless) e 7 mercantili, e ne erano state colpite 11, delle quali 7 da guerra e 4 mercantili, compreso, per errore, il piroscafo italiano Honor.

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    “In occasione di recenti azioni offensive svolte in Mediterraneo contro unità navali ho constatato che i velivoli impiegati sono stati suddivisi contro obiettivi diversi. (2)

    In tal modo, pur raggiungendo buoni risultati [sic], a causa del frazionamento delle forze, non si è ricavato il rendimento che l’entità dei mezzi avrebbe potuto offrire.

    E’ chiara la convenienza di affondare una sola unità, anziché danneggiarne alcune.

    Pertanto è necessario far convergere l’offesa su un unico o su pochi obiettivi, se si tratta dell’impiego di vari Reparti, allo scopo di raggiungere risultati veramente tangibili e decisivi

    E soprattutto non bisogna mai dimenticare il principio di adeguare le forze alla importanza dell’obiettivo.

    Naturalmente da queste norme si potrà derogare nel caso di previsto o constatato intervento di reazione aerea nemica (presenza di navi portaerei o vicinanza di basi aeree nemiche), oppure nel caso di unità capaci di forti concentramenti di fuoco contraereo.

    In simili circostanze sarà più vantaggioso lanciare gli attaccanti in direzioni diverse allo scopo di costringere al frazionamento la reazione nemica.

    Avverto, inoltre, che ammetto estrema importanza all’accertamento dei risultati, non solo agli effetti diretti dell’azione e del dovuto riconoscimento a chi vi ha partecipato, ma soprattutto per gli apprezzamenti che ne derivano sulla reale situazione del nemico.

    Non sono ammesse formule vaghe che lascino dubbio sui reali effetti conseguiti e che, in pratica, equivalgono a non aver colpito l’obiettivo.

    Tale accertamento, che dovrà essere documentato, quando possibile, da ripresa fotografica, è sempre agevole ogni qualvolta non vi sia nave portaerei e quindi è consentito ai velivoli di restare a distanza utile visiva, fuori del raggio d’azione delle artiglierie contraeree.

    Ciò vale principalmente per i piroscafi i quali, sebbene colpiti, affondano

    rapidamente.

     

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    (2) Il generale Fougier si riferiva alle azioni degli aerosiluranti che si erano svolte nei giorni tra il 21 e il 24 marzo 1942, contro un convoglio britannico diretto da Alessandria a Malta. Nell’occasione, secondo la relazione di Superaereo, “Azioni aeree dei giorni 21-22-23-24 marzo 1942 contro forze navali nemiche in navigazione fra Alessandria e Malta”, i risultati conseguiti dagli aerosiluranti erano stati considerati “ottimi”, dal momento che si riteneva fossero stati messi a segno dieci siluri su navi da guerra e tre su navi mercantili. Ne sarebbe stato conseguito il sicuro affondamento di un incrociatore e il danneggiamento di almeno sei incrociatori, di altre tre navi da guerra tra incrociatori e cacciatorpediniere, e tre piroscafi. Si trattava, in definitiva, di uno stravagante e super ottimista resoconto di Superaereo, che non trovava assolutamente riscontro nella realtà, perché sarebbero stati colpiti molti più incrociatori di quelli presenti nel convoglio britannico, mentre in realtà, neppure un siluro fu messo a segno dagli aerosiluranti, tre dei quali non rientrarono alla base. Queste incredibili affermazioni dell’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica sollevarono all’epoca sarcastici commenti in una relazione di Supermarina.

     

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    Nonostante la diramazione di queste direttive, continuarono a verificarsi attacchi di aerosiluranti nazionali non confortati da alcun risultato positivo.

    Alla fine di marzo, si verificò la partenza da Malta di un incrociatore britannico (il danneggiato Aurora, scortato dal cacciatorpediniere Avon Vale), che fu intensamente ed inutilmente attaccato sulla rotta per Gibilterra dagli aerosiluranti della Sardegna, in particolare dagli S. 84 del 36° Stormo, che impegnò quattordici velivoli, mentre il 130° Gruppo impegnò tre S. 79. Il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, si mostro, ancora una volta, deluso che neppure un siluro, dei diciassette sganciati, fosse arrivato a segno su quella nave nemica. E nuovamente, con frasi ancora più dure di quelle espresse in precedenza, egli mostrò tutta la sua irritazione in due successivi messaggi inviati al 36° Stormo, tramite il Comando dell’Aeronautica della Sardegna.

    Nel primo messaggio del 31 marzo il generale Fougier telegrafò:

     

    “1B/4400 – SUPERAEREO PUNTO Comando 36° Stormo /./ Azione siluramento giorno 30 non può avermi soddisfatto /./ Mi auguro che equipaggi 36° Stormo sappiano in avvenire essere degni massima ricompensa che fregia loro bandiera. Generale FOUGIER “.

     

    Per “massima ricompensa” che fregiava la “loro bandiera” il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, si riferiva alla Medaglia d’Oro al Valor Militare, assegnata al 36° Stormo dopo il sacrificio dei suoi equipaggi nelle operazioni contro il convoglio britannico dell’operazione “Halberd” , attaccato il 27 settembre 1941, in cui era stata silurata dal colonnello Seidl la corazzata Nelson.

    Nel secondo messaggio, diramato il 5 aprile, e destinato personalmente al Comandante del 36° Stormo, colonnello pilota Giovanni Farina, che aveva tentato di giustificare il fallimento delle azioni dei suoi velivoli, il generale Fougier, affermava:

     

    “Sono come voi convinto che molte circostanze, fra le quali non ultima la sfortuna [sic], abbiano concorso all’insuccesso del 31 marzo /./ La mia dolorosa constatazione non diminuisce la stima che ho per gli equipaggi del 36° Stormo e per il suo alto spirito /./ Sono certissimo che le prove del domani saranno migliori e conforme alle gloriose tradizioni del Reparto /./ Le vostre assicurazioni mi hanno fatto piacere ma le considero superflue, in quanto mio convincimento sulla migliore volontà dei vostri equipaggi est profondamente radicato et inalterabile. A voi ed ai vostri dipendenti giungano il mio augurio la conferma della mia stima /./ Generale FOUGIER “.

     

    Ancora non contento di come si era verificato quel fallimento, e allo scopo di imporre agli equipaggi di tutti i reparti aerosiluranti di attaccare con maggiore determinazione e precisione, il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, quello stesso giorno 5 aprile, diramò a tutti i Comandi di Grande Unità Aerea la seguente tassativa direttiva:

     

    “Recentemente una cospicua formazione di velivoli siluranti, lanciati all’attacco di un incrociatore nemico navigante isolato ad alta velocità, non ha conseguito alcun risultato nonostante che tutti gli equipaggi si siano prodigati nell’azione con l’abituale ardimento.

    La ragione dell’insuccesso, a parte le condizioni di scarsa visibilità nella zona, è da attribuirsi alla mancata simultaneità dell’attacco dei siluranti, avendo essi condotta l’azione singolarmente, e dato così al nemico – particolarmente manovriero perché isolato e molto veloce – la possibilità di evitare i siluri, uno dopo l’altro.

    Ciò mi costringe a ribadire il concetto della simultaneità degli attacchi [sottolineato nel testo] dei singoli componenti una formazione lanciata in azione di siluramento, precisando che ogni velivolo della formazione dovrà condurre l’azione con manovra cinematica indipendente ma tatticamente vincolata alla simultaneità dell’offesa verso lo stesso obiettivo.

    Tal concetto fondamentale ed assoluto di tattica di attacco dei siluranti, deve costituire un alito professionale tanto dei Comandanti che dei gregari. (3)

    Il Comandante di una formazione aerea è tale non solo perché conduce la formazione, ma soprattutto perché stabilisce una tattica di attacco che, avendo per base il criterio di cui sopra, comprende tutte le altre modalità d’azione idonee al conseguimento dei massimi risultati.

    Prego richiamare su quanto sopra tutti i Comandi di unità siluranti”.

     

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    (3) Mentre da una parte si indicava per gli aerosiluranti di effettuare attacchi in massa, allo scopo di conseguire migliori risultati, accadeva anche che le azioni offensive venissero contemporaneamente frenate dalla deficienza di siluri, che imponeva di usarli con parsimonia e sui bersagli più rappresentativi. Il 2 aprile 1942, infatti, lo stesso generale Fougier fece trasmettere ai Comandi della 5^ Squadra Aerea (Libia), e dell’Aeronautica della Sardegna, della Sicilia e dell’Egeo la seguente direttiva: “1B/4580 SUPERAEREO PUNTO Tenuto conto limitata disponibilità siluri et difficoltà reintegro prego dare agli equipaggi chiare disposizioni affinché tali armi siano lanciate contro bersagli adeguati et siano sganciate soltanto se gli elementi e le condizioni di lancio offrono buone probabilità di successo punto Fine telegramma”.

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    Nonostante gli ordini impartiti tendessero a rendere più efficienti le azioni degli aerosiluranti, i risultati deludenti continuarono a manifestarsi anche nei giorni immediatamente successivi, nei confronti dell’incrociatore britannico Penelope, salpato da Malta la sera dell’8 aprile e diretto a Gibilterra. Superato nella notte il Canale di Sicilia, il Penelope fu avvistato il mattino del 9 da un idrovolante della Ricognizione Marittima in lat. 37°23’, long. 10°15’, mentre procedeva con rotta 270°, ma riuscì a rendere vani, con la manovra e con il fuoco contraereo, le successive azioni offensive di ben trentuno velivoli dell’Asse.

    Gli attacchi, a cui presero parte, in più ondate, sei aerosiluranti e sei bombardieri S. 84 del 36° Stormo, cinque aerosiluranti S. 79 del 130° Gruppo, e quattordici bombardieri tedeschi Ju. 88, si verificarono, lungo le coste dell’Algeria, ma il Penelope evitò di rimanere colpito, reagendo con la manovra e con un nutrito fuoco contraereo. Il mattino del 10 aprile, l’incrociatore entrò a Gibilterra accolto, meritatamente, in modo trionfale. Il Penelope fu subito immesso in bacino per effettuare riparazioni di carattere temporaneo. Fu poi inviato in un cantiere degli Stati Uniti, ove arrivò ai primi di giugno, per le riparazioni definitive.

     

    ***

     

    Fu merito del 41° Gruppo dell’Egeo spezzare la catena degli insuccessi. Nell’estate 1942 tale reparto arrivò a segno sul bersaglio in tre occasioni con i sottotenenti Emilio Pucci, Dorando Cionni e Ferruccio Coloni, tutti appartenenti alla 205^ Squadriglia.

    Di essi Pucci, per mancato riconoscimento, affondò il 9 giugno, a sud di Cipro, il neutrale piroscafo svedese Stureborg, in rotta dal Pireo a Caifa con i distintivi della Croce Rossa, e successivamente, il 30 giugno, colò a picco il piroscafo britannico Aircrest che, navigando isolato, fu attaccato ad ovest di Giaffa. Infine, il 22 luglio, Cionni e Coloni attaccarono un convoglio presso Porto Said, e colpirono con un siluro la nave guida caccia Malines che, rimasta immobilizzata in quel porto egiziano fino al termine della guerra, affondò nel 1945 durante la navigazione di trasferimento verso il Regno Unito.

    Tornando al Mediterraneo occidentale nei giorni 14 e 15 giugno gli aerosiluranti schierati in Sardegna e in Sicilia, che con i rinforzi giunti dalla penisola italiana erano stati portati al numero di ottanta velivoli, furono particolarmente impegnati contro un grosso convoglio diretto a Malta (operazione “Harpoon”). In tale frangente quattordici S. 79 dei gruppi 104° e 130°, basandosi sulle istruzioni che erano state impartite in aprile dal generale Fougier, attaccarono in massa il mattino del 14 a sud della Sardegna, assieme a diciotto aerosiluranti S. 84 del 36° Stormo. Un S. 79 del 104° Gruppo, probabilmente quello pilotato dal comandante del reparto maggiore Virginio Reinero, silurò il piroscafo olandese Tanimbar, che fu subito dopo affondato dalle bombe sganciate da una formazione di diciotto Cant Z. 1007 bis del 9° Stormo B.T. Contemporaneamente altri quattro velivoli S. 79 del 130° Gruppo, con capi equipaggio il maggiore Franco Mellei, i tenenti Alessandro Setti e Angelo Caponetti, e il sottotenente Manlio Caresio, attaccarono l’incrociatore Liverpool che, colpito da un siluro dovette invertire la rotta per rientrare a Gibilterra. Nel corso delle azioni aeree descritte la Regia Aeronautica subì perdite dolorose, che inclusero ben sette aerosiluranti, dei quali sei appartenenti al 36° Stormo, alla testa del quale si immolò lo stesso comandante del reparto, colonnello pilota Giovanni Farina.

    Un secondo attacco massiccio di aerosiluranti, a cui presero parte nel pomeriggio, con decollo dalla Sicilia, quattordici S. 79 del 132° Gruppo, che erano guidati dal capitano Buscaglia, si concluse con un deludente nulla di fatto. Il reparto ebbe comunque l’occasione di rifarsi nella giornata dell’indomani, 15 giugno, mentre il convoglio britannico, che stava transitando con debole scorta nelle acque di Pantelleria, era impegnato in combattimento dalle unità navali italiane della 7^ Divisione Navale, costituite dagli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli e da cinque cacciatorpediniere.

    Nelle prime ore del pomeriggio, mentre il combattimento navale, iniziato poco dopo l’alba, stava per concludersi in modo alquanto deludente per le unità navali dell’ammiraglio Alberto Da Zara, che non erano riuscite, a causa di un errata manovra tattica, ad impedire al convoglio nemico di proseguire nella rotta per Malta, intervennero due aerosiluranti che avevano per capi equipaggio il tenente Martino Aichner e il capitano Buscaglia. I due velivoli S. 79, rispettivamente della 279^ e 281^ Squadriglia del 132° Gruppo Aerosiluranti, dettero il colpo di grazia al cacciatorpediniere di squadra Bedouin e al piroscafo Burdwan, che erano state danneggiati ed immobilizzati, rispettivamente delle artiglierie degli incrociatori italiani e da una formazione di bombardieri Ju. 88 del 2° Fliegerkorps.

    Mentre il velivolo di Buscaglia, avendo trovato un facile bersaglio, in fiamme ed abbandonato dall’equipaggio, non riportò alcun danno, l’S. 79 di Aichner, nell’attaccare il Bedouin, subito dopo lo sgancio del siluro fu colpito dalle armi automatiche dell’immobilizzato cacciatorpediniere, e fu costretto ad ammarare nelle vicinanza della sua preda. L’equipaggio del velivolo, in parte ferito, fu poi recuperato da mezzi di soccorso italiani, che si dedicarono a raccogliere anche il personale dell’unità britannica.

    Furono ancora una volta gli aerosiluranti della 279^ squadriglia che nella successiva grande battaglia di mezzo agosto (Operazione Pedestal) conseguirono, con una pattuglia guidata dal capitano Graziani che aveva per gregari il capitano Ugo Rivoli e il sottotenente Carlo Pfister, l’unico scarno successo dell’Aeronautica italiana, affondando, nel pomeriggio del 12 agosto, a nord di Biserta, il cacciatorpediniere Foresight: Esso partecipava alla scorta diretta di un grosso convoglio di quattordici piroscafi diretto a Malta., per la cui protezione erano state destinate tutte le forze navali disponibili, incluse le corazzate Nelson e Rodney, le portaerei Victorious, Indomitable, Eagle e Furious, sette incrociatori e 32 cacciatorpediniere.

    Considerando che da parte italiana furono impiegati ben 93 aerosiluranti concentrati in Sicilia e in Sardegna, che svolsero 110 missioni contro le navi britanniche, si trattò di un insuccesso assolutamente inatteso ed avvilente. Esso, inoltre, appariva umiliante nei confronti della Luftwaffe, i cui velivoli avevano danneggiato gravemente, con i bombardieri in picchiata, la portaerei Indomitable, ed affondato quattro piroscafi, due dei quali (Deucalion e Clan Ferguson) con gli aerosilurantie He. 111 della 6^ Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo Bombardamento (6/KG.26). Occorre dire, che il reparto tedesco, pur essendo stato rinforzato con velivoli provenienti dalla Scuola Aerosiluranti di Grosseto, operò con un organico alquanto modesto, limitato a dieci velivoli. Tuttavia i suoi He. 111 riuscirono a silurare e danneggiare anche un’altra nave mercantile, il piroscafo Brisbane Star.

    Andavano poi considerati i successi conseguiti dalla Regia Marina, le cui unità subacquee ed insidiose, colpirono col siluro ben quattro incrociatori, affondandone due, il Cairo e il Manchester (con il sommergibile Axum e le motosiluranti MS 16 e MS 22), assieme a cinque piroscafi, mentre la portaerei Eagle fu colata a picco

    dal sommergibile tedesco U 73 (tenentedi vascello Helmut Rosembaum), che la centrò con quattro siluri. (52)

    Per tutte queste ragioni, avendo amaramente considerato che lo sforzo profuso dai suoi reparti aerosiluranti era stato alquanto scarso – come d’altronde altrettanto modesto era risultato il bilancio conseguito dai bombardieri in quota ed in picchiata – il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica fu costretto ad inviare ai comandi delle grandi unità aeree un severo richiamo, trasmesso il 3 settembre nella seguente forma:

     

    “Le supreme necessità e le particolari caratteristiche della attuale guerra, costrinsero a superare ogni indugio e ad escludere ogni incertezza programmatica, hanno portato alla creazione della specialità “Aerosiluranti” dimostratisi, fino dalle prime azioni, arma efficientissima contro forze navali nemiche, specie nel nostro mare.

    Gli uomini scelti, dopo opportunità preparazione, ad assolvere il difficile e rischioso compito di annullare o almeno contenere i movimenti del naviglio nemico nel Mediterraneo, si sono dimostrati, di massima pari all’aspettativa, e degni della fiducia in essi riposta.

    Volontari nella quasi totalità, essi rappresentano il fior fiore dei nostri equipaggi da bombardamento e da ricognizione terrestre e marittima e, con il loro eroismo e con il loro sangue, compiendo gesta altamente meritorie, spesso leggendarie, hanno scritto di storia, che onorano la nostra Aeronautica ed il nostro Paese.

    E l’Aeronautica, fiera di questo generoso eroismo, di cui la specialità ha data innumerevoli e brillanti prove, è uscita da quel riserbo che fino ad oggi si era imposta nella considerazione che il sacrificio è patrimonio comune a tutti i suoi settori di attività, per valorizzare al massimo questa sua giovanissima Specialità e per additare alla riconoscenza del Paese gli uomini che di tali prove sono stati gli eroici protagonisti.

    Recentemente, però, alcuni indizi mi hanno fatto pensare che non manchi nell’insieme dello scelto personale che intende riposare sugli allori, pago della gloria conquistata, o addirittura vivere sul retaggio dell’altrui valore.

    Il rilevante numero di siluri lanciati nelle ultimissime azioni, ed i risultati ottenuti, lasciano supporre, infatti, che qualche inammissibile consiglio prudenziale abbia frenato quello slancio che deve costituire la essenziale caratteristica degli equipaggi aerosiluranti, i quali, del resto, dovrebbero ben sapere che il rischio di lanciare un siluro a distanza utili, è pressoché uguale a quello inerente ad un lancio effettuato a più grande distanza.

    Questo non può e non deve essere.

    Mi rendo pienamente conto delle gravissime difficoltà e dei gravi rischi insiti in ogni azione, e mentre da un lato intendo esaltare senza restrizioni il merito di chi queste azioni compie senza riserve di mente e di animo, non posso assolutamente concepire né mezzi termini né compromessi morali, in quanto gli uni e gli altri male si attagliano alla grandezza della posta ed alla bellezza delle tradizioni.

    Fermo restando il concetto che gli equipaggi di tale specialità debbono essere volontari, sono convinto che aerosiluratore non si possa essere che al cento per cento; quindi, pochi volontari siluratori ad una massa di lanciatori di siluri; sarà questa un’economia di mezzi, e al tempo stesso una garanzia di successo.

    In base a tali concetti prego le Eccellenze i Comandanti di Squadra e i signori Comandanti di Aeronautica di rivedere la posizione di ciascun elemento, e di intervenire efficacemente, e senza indugio, per eliminare da questa brillante Specialità, tutti quelli che non meritano di dividerne le glorie, e che non possono, e non devono, vivere vicino ai valorosi che ne fanno degnamente parte.

    Attuando i risultati di questa inchiesta, e soprattutto di questa messa a punto morale.

    F/to Fougier

     

    Nonostante questa lettera fosse stata “inusitatamente dura” nel contenuto, come a sottolineato in un suo articolo Tullio Marcon (pubblicato in Storia Militare), i successi degli aerosiluranti italiani continuarono ad essere molto modesti; e ciò derivò anche dal fatto che, dall’agosto al novembre del 1942, vi fu una assoluta mancanza di bersagli nel Mediterraneo centro-occidentale, mentre nel bacino orientale i pochi attacchi portati a compimento dagli S. 79 dell’Egeo e della Libia non portarono a nessun risultato. A quindi perfettamente ragione Marcon ad affermare, nel suo articolo, che, in definitiva, il maggior rendimento operativo della specialità era stato ottenuto nel primo periodo della guerra, “quando ad attaccare erano stati soltanto i soliti Quattro gatti”, mentre invece “si rivelò inversamente proporzionale al crescere dei reparti, dando così luogo ad un’apparentemente inspiegabile anomalia”.

    Ne è una inequivocabile testimonianza, lo ricordiamo, il fatto che agli attacchi dei giorni 12 - 13 e 14 agosto 1942 si erano svolte ben 110 missioni di aerosiluranti italiani, il cui unico risultato positivo fu rappresentato dall’affondamento del cacciatorpediniere Foresight, che era una delle 78 navi di superficie britanniche schierate per la grande operazione “Pedestal”.

    E i risultati negativi, come vedremo, sarebbero continuati anche nei restanti mesi di guerra, prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943.

    Nel novembre 1942 gli anglo-americani sbarcarono in Marocco e in Algeria. A partire da quel momento l’attività degli aerosiluranti, concentrati in Sardegna e in Sicilia, che dopo la battaglia di mezzo agosto era stata limitata a missioni di ricognizione armata non confortata da possibilità di attacco, pur avendo acquisito un ritmo intenso, giornaliero, non fu però premiata da risultati di prestigio. E ciò a dispetto del gran numero di velivoli impiegati e delle forti perdite subite causate dall’efficiente e sempre più sofisticata organizzazione difensiva del nemico, attuata di giorno e di notte con efficiente artiglieria contraerea e aerei da caccia.

    Il 12 novembre, nel corso di un attacco contro il naviglio nemico presente nella rada di Bougie da parte di cinque S. 79 del 132° Gruppo A.S., uno Spitfire del 242° Squadron della R.A.F., pilotato dal sergente Watling, abbatte il velivolo del maggiore Buscaglia. L’ufficiale, che era considerato l’asso degli aerosiluranti italiani, rimasto ferito dopo aver portato il proprio velivolo all’ammaraggio, fu fatto prigioniero con i membri del suo equipaggio.

    Nelle condizioni di poderosa reazione nemica, gli aerosiluranti italiani, che erano ormai costretti ad operare quasi esclusivamente con il favore dell’oscurità, a causa della difficoltà di individuare, ed attaccare i bersagli, continuarono ad ottenere successi modestissimi.

    Tali successi, conseguiti fino al termine della campagna africana (maggio

    1943), furono i seguenti.

    Il primo risultato positivo venne realizzato contro una nave scorta, lo sloop britannico Ibis, che fu affondato nel pomeriggio del 10 novembre, a 10 miglia a nord di Algeri, da cinque velivoli S. 79 della 280^ Squadriglia del 130° Gruppo Aerosiluranti, guidati dal maggiore Erasi, che aveva per gregari il capitano Giuseppe Cimicchi, e i tenenti Guido Focacci, Nino Meschiari e Antonio Vellere.

    Fu poi la volta del piroscafo norvegese Selbo. Esso fu affondato, la sera del 28 novembre, a 15 miglia da Capo Cavallo, per opera di tre S. 79 del 132° Gruppo (capitano Graziani, tenente Aichner e tenente Pfister) che, assieme ad altri tre S. 79 del 108° Gruppo, avevano attaccato il convoglio costiero britannico TE.5.

    Nelle prime ore del pomeriggio del 9 dicembre, superando condizioni atmosferiche particolarmente avverse, tre S. 79 della 254^ Squadriglia del 105° Gruppo, con capi equipaggio il capitano Urbano Mancini, il tenente Ernesto Borelli, e il sottotenente Casanova, penetrarono nella rada di Algeri per attaccarvi le navi del convoglio MKS. 31. Nell’occasione fu affondata, la corvetta britannica Marigold.

    Nel tardo pomeriggio del 29 gennaio 1943, fu poi la volta della nave ausiliaria contraerea britannica Pozarica, che fu colpita da un siluro, mentre, trovandosi nei pressi di Bougie, scortava il convoglio costiero TE. 14. L’azione era stata condotta da otto S. 79 dei gruppi aerosiluranti 105°, 108° e 130°, uno dei quali dovette allontanarsi prima di poter lanciare il siluro, essendo stato danneggiato da un aereo da caccia nemico. All’attacco, che nell’occasione si svolse con caratteristica di massa, parteciparono tredici aerosiluranti tedeschi (dieci He. 111 e tre Ju. 88) del I. e III./K.G. 26, i quali, sopraggiungendo sul convoglio britannico dopo che si era realizzato l’attacco degli S.79 italiani, danneggiarono seriamente il cacciatorpediniere britannico Avon Vale. Quest’ultimo fu costretto a portarsi all’incaglio sulla vicina costa dell’Algeria, con la prora interamente asportata, mentre la Pozarica, avendo riportato danni molto estesi, si capovolse ed affondò il 13 febbraio 1943 nel porto di Bougie, dove si era rifugiata dopo il siluramento.

    Infine, nel pomeriggio del 27 marzo, durante un attacco in massa, realizzato da dodici S. 79 dell’ 89° e 105° Gruppo e da otto aerosiluranti tedeschi He. 111 del KG. 26, la motonave britannica Empire Rowan fu affondata nel Golfo di Philippeville. Il successo fu certamente realizzato da tre velivoli del 105° Gruppo, con capi equipaggio il capitano Urbano Mancini e i tenenti Ernesto Borrelli e Paolo Marchini. Essi, purtroppo, assieme a due equipaggi dell’89° Gruppo (sottotenenti Dalmazio Corradini e Silvano Luzzato), non rientrarono alla base dalla vittoriosa missione, essendo stati tutti abbattuti da velivoli da caccia britannici “Spitfire”.

    Il loro successo fu comunque convalidato nel corso di una successiva azione, svolta contro il convoglio nemico dagli aerosiluranti dell’89° Gruppo che, arrivati nella zona subito dopo che avevano attaccato i tre S. 79 del capitano Mancini, avvistarono una grossa nave in fiamme.

    Ma vediamo come si svolse l’attacco, che ci sentiamo in obbligo di descrivere perché, praticamente, fu l’ultimo realizzato di giorno dagli aerosiluranti italiani con una certa consistenza di forze, secondo la tattica di massa, e che costò dolorose perdite.

    Tra le ore 10.10 e le ore 10.20 del 27 marzo decollarono da Decimomannu quattro pattuglie di tre S. 79, due del 105° Gruppo e due dell’89° Gruppo. Lo scopo era quello di attaccare un convoglio composto da circa venti piroscafi e navi scorta, che era stato avvistato alle 06.25, con rotta 90°, in lat. 37°03’N, long. 06°05’E. La formazione degli aerosiluranti dovette però dividersi a causa delle pessime condizioni di visibilità incontrate lungo la rotta, assieme a frequenti piovaschi. I velivoli italiani furono seguiti da una formazione di otto aerosiluranti He. 111 del II./KG. 26, che erano guidati da due bombardieri Ju. 88 del III./KG.76.

    Il convoglio britannico, che in codice era chiamato “Untrue”, era protetto nelle ore diurne da sezioni da caccia britanniche della R.A.F., costituite da velivoli Hurricane del’87° Squadron e da Spitfire del 43° e 242° Squadron. Inizialmente, una sezione di due Hurricane (sottotenenti pilota Thompson e Johnson) intercettò due He. 111 del II./KG.26, e ne abbatterono uno in fiamme all’altezza di Capo Takauch.

    Poi intervennero gli Spitfire del 242° Squadron che colpirono gravemente un secondo uno dei due Ju. 88 del III./KG.26, il quale, al rientro in Sicilia, si sfasciò in atterraggio, determinando la morte dell’intero equipaggio. Un’altra sezione del 43° Squadron, i cui due velivoli erano pilotati dai sottotenenti Torrance e Turkington, intercettò una formazione di sei He. 111, senza però conseguire risultati tangibili. Successivamente la stessa sezione di Spitfire intercettò altri tre aerei, e li insegui fino all’esaurimento delle munizioni. Doveva trattarsi di una pattuglia di tre S. 79 del 105° Gruppo, comandata dal capitano pilota Giulio Ricciarini, che, giunta nei presso della costa Africana all’altezza di Capo de Fer, fu intercettata da velivoli dai caccia britannici e costretta a rientrare alla base.

    La seconda pattuglia di tre S. 79 del 105° Gruppo non rientrò alla base, essendo stata intercettata e interamente distrutta da un’altra sezione di due Spitfire del 43° Squadron, pilotati dal sottotenente Snell e dal sergente Hermiston. L’ufficiale riuscì ad abbattere due aerosiluranti, il sottufficiale il terzo. Alle ore 12.20 il velivolo capo formazione, quello del capitano Mancini – a cui fu concessa, per il suo sacrificio che seguiva un’intensa attività di guerra, la Medaglia d’Oro alla memoria – era riuscito a trasmettere: “Eseguita missione rientro”.

    La formazione dei sei S. 79 dell’89 Gruppo A.S., che nel dirigere verso l’obiettivo era rimasta riunita agli ordini dei tenenti Mura Gian Battista e Irnerio

    Bertuzzi, avvistò il convoglio nemico in lat. 37°05’N, long. 07°05’E. Gli equipaggi notarono un grosso piroscafo, semisommerso e in fiamme, e nelle immediate vicinanze il relitto di un velivolo S. 79 capovolto, in preda alle fiamme, con nelle immediate vicinanze un battellino di salvataggio con tre naufraghi a bordo. I sei velivoli della formazione, suddivisi in tre sezioni di due velivoli ciascuna, effettuarono l’attacco alle 15.50 contro tre grossi piroscafi, e ritennero, erroneamente, di averli colpiti, e di averne lasciati due in fiamme e in stato di affondamento.

    Due aerosiluranti dell’89° Gruppo, persi di vista dagli altri velivoli dopo l’attacco, non rientrarono alla base. Secondo le fonti britanniche uno degli S. 79 venne intercettato e costretto all’ammaraggio dai due Spitfire del 43° Squadron che avevano ai comandi i già citati sottotenenti piloti Torrance e Turkington. Il secondo S. 79 fu abbattuto dal fuoco combinato di uno Spitfire pilotato dal comandante del 323° Wing, colonnello Pedley, e delle artiglierie contraeree del convoglio.

    Per la ricerca dei cinque equipaggi perduti furono inviati nella zona un S. 79 del 105° Gruppo A.S. e un idrovolante Cant Z. 506 della 613^ Squadriglia Soccorso. Ma sebbene gli equipaggi dei due velivoli avessero avvistato un battellino di salvataggio con naufraghi a bordo, lo perdettero subito dopo per le cattive condizioni di visibilità e non riuscirono più a rintracciarlo.

    Inviando la sera di quello stesso girono 27 marzo la sua relazione n. 1775/O a Superaereo, il Comandante dell’Aeronautica della Sardegna, generale Aldo Urbani, elogiò il comportamento e lo Spirito di sacrificio dei suoi equipaggi di volo, trasmettendo per telescrivente:

     

    “Compio il dovere di segnalare ancora una volta il magnifico comportamento dei Reparti siluranti della Sardegna che malgrado le ingenti perdite subite si prodicano senza tregua e con la più alta audacia et la più condizionata dedizione di dovere nella ferma e decisa volontà di infliggere al nemico le maggiori perdite”.

     

    L’attività dei reparti aerei italiani e tedeschi dislocati negli aeroporti della Sicilia, e che nel corso degli ultimi dieci giorni di marzo si era dimostrata, soprattutto con gli aerosiluranti, particolarmente decisa e pericolosa, non poteva mancare di allarmare il nemico. Il giorno 31, novanta bombardieri B. 17 statunitensi, contrastati da ventisette caccia italiani (12 Mc. 202 e 15 Re. 2001 del 24° e 150° Gruppo) attaccarono Decimomanni, Monserrato e Villacidro, causando gravi danni tra i bombardieri Cant Z. 1007 bis e gli aerosiluranti S. 79 parcheggiati negli aeroporti.Gli aerosiluranti S. 79 andarono poi incontro ad un vero disastro il 5 aprile. Ne fu sfortunato protagonista il 41° Gruppo, che era stato ritirato dall’Egeo per rinforzare lo schieramento in Sardegna. Quel giorno un’intera formazione di quattro velivoli della 205^ Squadriglia – guidata dal capitano Ernesto Brambilla e partita nel tardo pomeriggio per attaccare con le ultime luci del crepuscolo un convoglio avvistato alle ore 14.00 a nord di Bougie, con rotta levante – per cause non accertate non rientrò alla base. Questo significò di limitare ancora di più il modesto organico dei velivoli aerosiluranti della Sardegna, ridotto a disporre di sedici S. 79: sette dell’89° Gruppo, sette del 105°, e due soltanto nella 205^ Squadriglia del 41° Gruppo.

    Dopo questi salassi gli aerosiluranti furono in gran parte ritirati nelle basi della Toscana, dove, il 2 giugno 1943, con quattro dei sei gruppi rimasi disponibili fu costituito, negli aeroporti di Pisa e di Siena e alle dipendenze della 3^ Squadra Aerea, il Raggruppamento Aerosiluranti. Il suo scopo, oltre a concedere al reparto una maggiore potenza organica, divenne quello di agire, di volta in volta e con formazioni più o meno potenti, nelle zone in cui il l’intervento degli aerosiluranti, ormai quasi sempre ridotto alle singole missioni notturne, era ritenuto prioritario o urgente.

    Nel Mediterraneo orientale i successi dei nostri aerosiluranti furono invece di consistenza insignificante, dal momento che l’unico risultato positivo fu rappresentato dall’affondamento del motoveliero egiziano Al Ameriaah, conseguito il 6 febbraio 1943, con azione di mitragliamento, da tre S. 79 della 253^ Squadriglia del 104° Gruppo Aerosiluranti, guidati dal capitano Errico Marescalchi, che aveva per gregari il tenente Mario Dattrino e il sottotenente Giovanni Del Ponte.

    Anche durante la campagna di Sicilia, a dispetto delle affermazioni dei bollettini di guerra che nel periodo 1° luglio 5 settembre 1943 vantarono l’affondamento di ben 36 navi e il danneggiamento di altre 68, i successi degli aerosiluranti italiani si contarono sulle dita di una mano.

    Il primo risultato fu conseguito poco dopo la mezzanotte del 16 luglio dal capitano Carlo Capelli, che alla guida di un S. 79 della 204^ Squadriglia del 41° Gruppo riuscì a colpire, a 50 miglia a sud di Capo Passero, la grossa portaerei britannica Indomitable.

    Sul danneggiamento della Indomitable, che con il locale caldaie di sinistra e alcuni compartimenti adiacenti devastati, fu costretta a dirigere alla velocità di quattordici nodi verso Gibilterra, da dove poi si trasferì in Gran Bretagna per effettuare le riparazioni, riporto integralmente quanto ho personalmente scritto in La partecipazione tedesca alla guerra del Mediterraneo (1940-45); opera nella quale ho curato tutta la parte operativa, statistica e iconografica.

     

     

    Riferiscono gli inglesi che nelle prime ore del mattino [del 16 agosto] la portaerei INDOMITABLE fu silurata a cinquanta miglia a sud-est di Capo Passero (latitudine 36°22’ nord, longitudine 16°08’ est) da un aerosilurante italiano e che alcune ore più tardi, esattamente alle 06.40, un sommergibili [ALAGI – tenente di vascello Renato Puccini] colpì con un siluro l’incrociatore CLEOPATRA al largo di Augusta (latitudine 37°13’ nord, longitudine 16°00’ est).

    Fino ad oggi nessuno era riuscito a stabilire la paternità del siluramento dell’INDOMITABLE, tanto che recentemente tale successo italiano è stato messo in dubbio e si è tentato di assegnarlo ad un aerosilurante Ju. 88 tedesco. In realtà nessun velivolo germanico armato con siluro operò quella notte nelle acque della Sicilia orientale mentre da parte italiana vennero impiegati otto S. 79. Fu proprio uno di questi ultimi, appartenente al 41° Gruppo Autonomo Aerosiluranti della 4° Squadra Aerea (Puglia) ad

    effettuare l’attacco in questione. Il velivolo, pilotato dal capitano Carlo Capelli e dal sottotenente Ennio Caselli, approfittando della mancanza di luminosità lunare, alle 00.25 del 16 sganciò contro una grossa unità facente parte di una formazione navale di oltre dieci navi con rotta 100° a ottanta chilometri a levante di Capo Passero e dall’equipaggio dell’aereo, che riuscì a dileguarsi prima che da bordo aprissero il fuoco, fu osservato lo scoppio del siluro sul bersaglio. Il capitano Capelli riferì trattarsi di un piroscafo di 15.000 tonnellate, mentre il secondo pilota apprezzò giustamente trattarsi di una portaerei.

     

    Secondo la ricostruzione dell’episodio fatta nel citato articolo da Tullio Marcon, l’avvicinamento dell’S. 79 del capitano Capelli fu favorita dall’assenza di reazione della formazione navale britannica, che procedeva in linea di fila, aperta dall’incrociatore Aurora, seguito dalle corazzate Nelson e Rodney, dalla Indomitable e dall’incrociatore Penelope, mentre otto cacciatorpediniere si trovavano di prora in posizione di scherno difensivo. La manovra di sgancio, effettuata con i motori al minimo, fu agevolata dal fatto che sebbene la Nelson avesse avvistato l’aereo italiano alla distanza di 8 miglia, e la stessa Indomitable si fosse accorta della sua presenza, le due navi britanniche ritennero, erroneamente, si trattasse di uno dei sei velivoli Albacore che stava rientrando sulla portaerei da un volo di pattugliamento notturno antisom. Le navi britanniche cominciarono a sparare soltanto pochi istanti prima che il siluro arrivasse a segno sulla fiancata sinistra dell’Indomitable, allagando il locale caldaie e causando sette morti, ragion per cui l’S. 79 di Capelli poté agevolmente allontanarsi senza subire danni. Quanto alla Indomitable, essa arrivò a Malta alle 07.30 del 17 luglio, navigando alla velocità di undici nodi.

    Tre, degli altri quattro risultati positivi conseguiti dagli aerosiluranti italiani, si verificarono a metà agosto. Le azioni videro protagonisti gli S.79 del 132° Gruppo A.S., cinque dei quali erano stati trasferiti da Littorio a Decimonannu, in Sardegna, per svolgere, nel periodo favorevole di luna, un ciclo operativo contro il naviglio nemico in movimento lungo le coste dell’Algeria e della Tunisia.

    Il primo successo fu conseguito dal capitano Carlo Faggioni che, pilotando un velivolo della 278^ Squadriglia, la sera del 15 agosto affondò, nei pressi dell’isola Cani (a nord di Biserta), la nave da sbarco per carri armati britannica LST 414. Poi, nel corso della notte seguente, due S. 79 della 281^ Squadriglia, con capi equipaggio il capitano Giuseppe Cimicchi e il tenente Vezio Terzi, rispettivamente colarono a picco il piroscafo britannico Empire Kestel, a 10 miglia da Capo Bougaroni, e danneggiarono, a 16 miglia da Capo De Garde (Bona), il piroscafo statunitense Benjamin Contee, proveniente da Bona e diretto ad Orano con 1.800 prigionieri italiani. I danni prodotti a quest’ultima nave mercantile risultarono talmente gravi

    che essa non fu neanche sottoposta ai lavori di riparazione e venne poi usata in Normandia, nel giugno 1944, come elemento di uno dei famosi porti artificiali.

    I nostri aerosiluranti conclusero la serie dei successi la sera sul 7 settembre 1943, vigilia dell’armistizio dell’Italia, per opera di un altro S. 79 della 281^ Squadriglia del 132° Gruppo, pilotato dal tenente Vasco Pagliarusco. Questi attaccò, presso Termini Imerese, il convoglio d’invasione “FFS 2”, salpato da Biserta e diretto a Salerno, danneggiando la nave da sbarco britannica LST 417, che, per evitare l’affondamento fu costretta ad incagliarsi sulla vicina costa siciliana.

     

    ***

     

    Dopo l’armistizio dell’8 settembre un gruppo di aerosiluranti fu costituito dall’aviazione di Mussolini, ma non ottenne risultati concreti se si eccettua il danneggiamento del piroscafo britannico Sansylarna, conseguito, come vedremo, nella notte del 4 agosto 1944 a nord di Bengasi da tre S. 79, aventi per capi equipaggi i tenenti Luigi Morselli, Adriano Merani e Domenico De Lieto.

    Sull’attività del gruppo Aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana che si era istituito sull’aeroporto di Gorizia e che ebbe un organico di ventisette S. 79 ripartiti in tre squadriglie, una delle quali di addestramento, sono state scritti, e continuano ad essere scritti, fatti assolutamente inesatti, nonostante esistano i miei dati, elaborati su dati ufficiali per l’Ufficio Storico della Marina Militare (anno 1975), e pubblicati, fin dal 1980, con nominativi e statistiche.

    Vediamo come realmente si svolsero gli avvenimenti.

    Nei mesi di marzo e aprile 1944 il Gruppo degli Aerosiluranti italiani, decollando dal campo trampolino di Sant’Egidio, presso Perugia, impegnò, in missione notturna, un totale di 15 velivoli contro il naviglio alleato che stazionava davanti alla testa di sbarco di Anzio; ma contrariamente alle ottimistiche e roboanti dichiarazioni degli equipaggi le missioni non furono confortate da alcun successo. Il costo pagato fu inoltre assai elevato poiché non rientrarono alle basi i velivoli del maggiore Carlo Faggioni, comandante del gruppo, e di tre gregari, mentre altri sei S. 79 furono abbattuti il 6 aprile da aerei da caccia P. 47 statunitensi presso Arezzo, durante il trasferimento a Sant’Egidio.

    Avendo sospeso, dopo tali dolorose perdite, l’attività offensiva, il reparto aerosiluranti della Repubblica Sociale fu riorganizzato dal maggiore Marino Marini che il 4 giugno, decollando da Istres nella Francia meridionale, guidò 10 aerei all’attacco delle navi nemiche all’ancora nella rada di Gibilterra. Anche questa missione, a dispetto di quanto dichiarato dagli equipaggi, che ritennero di aver silurato quattro piroscafi, non conseguì alcun risultato positivo.

    Successivamente, dopo aver organizzato un’altra azione contro il porto di Bari, svolta il 6 luglio da cinque S. 79 partiti da Treviso, il maggiore Marino Marini portò i suoi equipaggi sull’aeroporto ellenico di Eleusis, a nord di Atene, per attaccare il traffico nemico in movimento, che si svolgeva fra le basi egiziane e la penisola italiana. Le missioni si svolsero durante i mesi estivi, periodo nel quale furono effettuati cinque attacchi ai convogli, che non ebbero per altro i risultati asseriti, poiché l'unico successo conseguito, il 4 agosto a nord di Bengasi, fu costituito, come abbiamo detto, dal danneggiamento del piroscafo britannico Samsylarna.

    L’attività operativa, dobbiamo ammetterlo, risultò particolarmente desolante di risultati, e fu inoltre pagata con la perdita di una mezza dozzina di aerei, in gran parte incidentati. Conseguentemente il gruppo aerosiluranti fu costretto nuovamente a dedicare aerei ed equipaggi ad un periodo di riorganizzazione, che si prolungò fino a novembre 1944. In tale mese fu ripresa una modesta attività nel Tirreno e nell’Adriatico, nel corso della quale, con il consueto ottimismo, fu dichiarato il siluramento di due piroscafi.

    Le suddette presunte vittorie portarono il totale degli affondamenti e dei danneggiamenti dichiarati dal Gruppo Aerosiluranti della Repubblica Sociale Italiana a ventisei navi, in gran parte mercantili, per 115 000 tonnellate, mentre in realtà i reali successi da me accertati furono assai modesti poiché si ridussero al danneggiamento di un solo piroscafo per 7.100 tonnellate. Tale risultato è reso ancora più avvilente se confrontato con le perdite riportate dal reparto. Si era infatti verificato, nel corso delle operazioni, l’abbattimento di quindici S. 79, a cui si aggiunse la distruzione al suolo di otto velivoli per attacchi aerei nemici, mentre altri quattro S.79 si sfasciarono al suolo per incidenti durante i voli di addestramento. Le perdite umane furono di un centinaio di uomini. Tra essi vi erano trent’otto piloti (18 ufficiali e 21 sottufficiali) pari al 38,7% dell’intero organico del gruppo). Le, azioni compiute erano state undici e i siluri lanciati cinquanta.

     

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    Concludendo, secondo i miei dati, nel corso della seconda guerra mondiale gli aerosiluranti italiani affondarono complessivamente otto navi militari per 15.968 t e quindici navi mercantili per 77.552 t.s.l., e danneggiarono quattordici navi militari, per 131.688 t, e tre navi mercantili per 23.627 tsl. Tali cifre possono apparire alquanto modeste, soprattutto se confrontate a quanto, esageratamente, era stato affermato dalla propaganda di guerra, nonché allo sforzo profuso e alle perdite subite. Queste ultime risultarono in effetti assai elevate dal momento che dalle circa 2.500 missioni belliche svolte dagli aerosiluranti non rientrarono alla base oltre 110 aerei della specialità.

    Sebbene gli aerosiluranti italiani avessero conseguito nel Mediterraneo risultati complessivamente inferiori a quelli ottenuti degli aerosiluranti inglesi, e da quelli tedeschi, nondimeno tra i loro successi vi era da mettere sul conto il danneggiamento di una corazzata (Nelson), di una portaerei (Indomitable) e di ben sei incrociatori (Kent, Liverpool – silurato due volte – Glasgow, Manchester e Phoebe).

    Considerando che da parte tedesca fu danneggiato un solo incrociatore (Arethusa), dobbiamo convenire che il rendimento complessivo ottenuto dai nostri equipaggi contro le navi militari nemiche rappresenta un elemento di tutto rispetto. Soprattutto, se tale risultato è paragonato ai modesti successi conseguiti nel Mediterraneo dalle altre specialità della Regia Aeronautica (bombardieri in quota e a tuffo), ed anche, purtroppo, da quelli ottenuti della Regia Marina con le sue molte specialità d’impiego, compresi i sommergibili, escludendo però, naturalmente – per le dovute proporzioni di armi e uomini impiegati – i mezzi d’assalto.

     

    Francesco Mattesini

  8. Ciao Samurai e grazie delle tue parole.. sia per quelle in generale,sia per quelle riferite in particolare a me :)

    Io comunque ho scelto un'altra strada.. ho visto che l'Accademia Navale non fa per me e perciò ho deciso di lasciare il posto a chi nutre più passione per mamma Marina,a differenza di me che prediligo l'Aeronautica e l'Esercito. Per l'Aeronautica non posso concorrere nel ruolo piloti,quindi nel 2008 tenterò di nuovo sicuramente e solamente per l'Accademia di Modena... e si vedrà che combino :)

    Per adesso sono una civile neodiplomata intellettuale mantenuta :lol:

     

    ok, giusta decisione, sei molto giovane e fai molto bene a ponderare le tue scelte... allora in bocca al lupo per Modena, altra gloriosa Accademia frequentata da molti dei miei più cari amici, persone tutte in gamba.

  9. Si ma usano per la maggior parte armamenti USA e chi meglio degli americani sa usare le proprie armi e sa come difendersi da queste,naturalmente ci sarebbero delle perdite ma non così ingenti...

     

    non credere, per farti un esempio i sommergibili disel-eletrrici giapponesi sono estremamente silenziosi e hanno un sonar addirittura migliorato rispetto a quello degli SKK americani, tant'è che in esercitazione hanno più volte avuto la meglio sui nucleari a stelle e strisce (è riuscito anche in nostri vecchi toti e sauro!)... gli F-15J della JSDAF hanno spesso fatto passare brutti momenti nei dogfights a F-16 e F15 di Misawa e agli F 18 delle portaerei. L'aeronautica giapponese ha piloti estremamente selezionati (l'iter addestrativo è durissimo, più selettivo di quello israeliano!!) e possiede persino reparti "aggressors"... in combattimento costituisce un avversario davvero formidabile! E del resto Clancy nel descrivere la sua realtà romanzata si basa sulle analisi del pentagono e sui pareri degli aviatori e marinai statunitensi

  10. aereo rivoluzionario per la singolare ala a bordo d'attacco variabile, caccia temibilissimo con impressionante rapporto abbattimenti/perdite contro i mig17 e 21 nordviet (28/4), nonchè ricognitore tattico, coinvolto tra l'altro nella crisi dei missili di Cuba del 1963. Durante questo episodio questo aereo riportò le prime foto particolareggiate a bassa quota delle istallazioni sovietiche sull'isola (sono protagonisti di una spettacolare scena nel film "Thirteen Days"). Gli ultimi reparti dell'Us Navy e USMC Reserve sono stati ritirati solo nel 1987, mentre L'aeronavale francese l'ha utilizzato fino al 2003!!!

     

    Tra l'altro una modifica del progetto ha portato all'altrettanto valido e longevo A7 Corsair, utilizzato sia da Us Navy/USMC che dall'Air Force. Combattente del Viet Nam, gli ultimi A7 della Marina hanno partecipato alla guerra del Golfo del 1991

  11. Cari ragazze e ragazzi,

    rileggendo i vostri messaggi ho ritrovato i sogni e le speranze di quando avevo la vostra età (qualche anno fa, in fondo non tantissimi!!!)... complimenti e auguri a tutti, personalmente sono molto felice che i giovani italiani non siano rappresentati solo da gente che trascorre 8 ore al giorno davanti ad un televisore sognando di fare la velina o di entrare al grande fratello....

     

    Auguro a tutti voi di avere successo negli esami di ingresso alle varie Accademie... se comunque non dovesse andare bene, non fatevi prendere dallo sconforto, perchè nella vita non è mai detto! Personalmente per una serie di ragioni che sarebbe tedioso spiegare qui a 18 anni, pur molto motivato, non entrai nei corsi normali dell'Accademia Navale... ho preso una laurea "civile" e mi sono ritrovato in Accademia con 10 anni di ritardo rispetto al preventivato!!!! Ragazzi, veramente non si può mai dire!!!

     

    In particolare in bocca a lupo a Taigete per Livorno.... sono sicuro che ti troverai molto bene e che in Marina troverai diverse opzioni che ti permetteranno di fare attività di volo anche senza essere necessariamente un pilota... forse più che in Aeronautica...

     

    Complimenti a tutti!!!

  12. inutile dire che tom clancy è un grande di suo vorrei leggere stormo da caccia,me lo consigliate?tornado al libro non credo che nella realtà l'usaf e us navy subiscano tante perdite contro il giappone..

     

    tutta la serie di libri di Clancy dedicata ai reparti operativi è piuttosto valida, anche se con qualche errore e un pò troppo "bando d'arruolamento"... io possiedo ali d'acciaio e eroi degli abissi e non sono male. Stormo da caccia è sicuramente un libro valido, puoi acquistarlo in edizione economica e sono soldi ben spesi.

     

    Aeronautica e Marina giapponesi sono ben equipaggiate e con personale addestrato e motivato e sarebbero un avversario pericoloso per chiunque, come ben sanno cinesi e nordcoreani... quindi le persdite americane in un "impossibile" conflitto sono assolutamente plausibili...

  13. O dall'Inghilterra o Diego Garcia, ma mi sembra più facile la seconda.

     

    non saprei dirti, ma credo che all'epoca il Medio Oriente venisse coperto dalla base europea, Diego Garcia era dedicata alla ricognizione su India e sud-est asiatico

  14. E' un romanzo ma estremamente accurato, ben documentato e avvincente: "il pugno di Dio" di Federick Forsyth... è in edizione oscar mondadori ed è decisamente consigliatissimo (l'autore è il celebre romanziere inglese, ex pilota da caccia della RAF ed ex-inviato durante la guerra del Biafra)

  15. Il problema è che l'A-10 è un aereo estremamente specializzato e quindi piuttosto "costoso", non in termini assoluti ma relativi, per aereonautiche di paesi che non aspirano al ruolo di potenza regionale e che dedicano al CAS macchine più polivalenti come l'AMX quando non addestratori armati

  16. Ciao a tutti,

    sono samurai, chirurgo ortopedico, ex ufficiale di Marina e appassionato di aviazione militare e dintorni da circa un quarto di secolo!!! Spero di dare un mio piccolo contributo, per il momento complimenti per il sito!!!

     

    Check six and fly safe!!!

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