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Il Monoplano Pini


Dave97

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Nel 1908 Enrico Pini era a Parigi ove svolgeva la sua attività nel commercio di articoli tecnici, quando arrivò Wilbur Wright, invitato da un Comitato francese per presentare il suo aeroplano e trattarne l'acquisto dei brevetti dopo le prove convenute.

I francesi, che prima d'allora erano increduli e propensi a giudicare i voli eseguiti in America dai due fratelli Wright come delle « americanate» dopo le prime esibizioni di Wilbur Wright, davanti a tanta maestria e sicurezza, rimasero strabilianti.

Naturale perciò che in tale clima di esaltazione, il giovane Pini (era nato nel gennaio 1889 a Milano) ne rimanesse contagiato.

Abbandonò la sua normale attività per seguire tutti gli esperimenti dell'aviatore americano, con tanto interesse da attirare l'attenzione e poi la simpatia di Wilbur Wright, che volle premiarlo prendendolo come passeggero in un breve volo.

Ormai irrimediabilmente preso dalla passione, Pini pensò di costruire anch'egli un aeroplano;

ne progettò uno, un monoplano che meglio del biplano soddisfaceva le sue esigenze estetiche, più che quelle tecniche, ma non si accontentò di stendere il progetto sulla carta, come fecero tanti altri.

A Milano Enrico Pini aveva un fratello ingegnere, Adolfo Pini, che, più anziano di cinque anni, era un elettrotecnico di grande valore ed occupava già un posto di responsabilità presso la Società Elettrica Edison.

Mise perciò al corrente dei suoi progetti il fratello, tanto da trasfondergli la sua passione per ottenere la sua partecipazione all'impresa.

Rientrò a Milano, gli sottopose i disegni e decisero la progettazione di un nuovo apparecchio, al quale Enrico apportava tutte le cognizioni aviatorie acquisite in Francia, mentre l'ing.Adolfo sopperiva alla mancanza di esperienza in materia con la sua profonda preparazione matematica.

Associandosi, i due fratelli apportavano quanto possedevano e cioè ottomila lire ciascuno.

Per l'ingegnere tale somma doveva servire per le spese del suo matrimonio, che fu perciò rimandato, ed in più si licenziò dalla Edison, per potersi dedicare completamente alla realizzazione del progetto.

Dall'industriale Bezzi, che possedeva una fabbrica di motori elettrici, ottennero di usufruire della sua officina per la costruzione dell'apparecchio, i cui pezzi furono tutti costruiti dai due fratelli con l'aiuto di qualche operaio messo a loro disposizione.

Tutto l'anno 1909 fu dedicato alla realizzazione dell'aeroplano, il cui montaggio avveniva nell'hangar della Societa Restelli, costruttrice dei motori Rebus, situato in Piazza d'Armi nuova.

A sua volta lo zio dei due fratelli e padrino di Adollo, volle aiutarli fornendo loro il motore per l'apparecchio, un Anzani a tre cilindri a ventaglio della potenza di circa 25 HP, del tipo usato da Bleriot nella sua famosa traversata della Manica.

Alla fine dell'anno 1909, il 15 novembre, veniva inaugurata a Milano la 1a Esposizione Italiana d'Aviazione organizzata dalla Gazzetta dello Sport, nei vasti saloni dello Splendido Corso Hotel;

I fratelli Pini vi esposero il modello del loro aeroplano che fu dalla giuria premiato con diploma di medaglia di bronzo.

Nella primavera del 1910 incominciarono infine le prove, pilota Enrico Pini; ma sulle prime l'apparecchio raggiungeva raramente la velocità voluta, sia per lo stato del terreno (prato) sia per l'insufficienza di potenza necessaria.

Si pensò di migliorare il fondo del terreno e di predisporre un tratto a schiena di mulo, in modo da facilitare lo stacco delle ruote dal terreno.

L'accorgimento diede ottimi risultati, talchè l'apparecchio cominciò a distaccarsi sempre più facilmente dal terreno ed a compiere i primi balzi.

Con le giornaliere prove e le modifiche tendenti a migliorare il rendimento del complesso di propulsione ed a ridurre i pesi, l'apparecchio prolungò via via i suoi balzi fino a fare dei piccoli voli di un'altezza variante fra i 50 e gli 80 centimetri dal pelo dell'erba e per una lunghezza variante dai 200 ai 500 metri.

Purtroppo i mezzi finanziari dei due fratelli vennero presto a terminare, lo zio in vista dei scarsi risultati ottenuti non volle saperne di venire in aiuto;

si cercò di ricorrere al credito, ma anche questo fu limitato per la mancanza di fiducia che si nutriva nella riuscita dell'impresa (lo stesso Bezzi era creditore di oltre seimila lire) e perciò le prove dovettero essere sospese ed i due sfortunati inventori, nonostante tutti i sacrifici e le rinuncie a cui si erano sottoposti per riuscire nei loro intenti, abbandonarono a malincuore la loro attività aviatoria.

L'autunno vide l'apparecchio smontato e depositato in una cantina e col tempo fu venduto come ferrovecchio.

Un industriale milanese, Ercole Marelli, al quale era capitato di vedere l'apparecchio dei fratelli Pini ed aveva subito apprezzato, più che le qualità aeronautiche dello stesso, la geniale ed originale costruzione, offri allora all'ingegnere un impiego nella sua azienda.

In quanto ad Enrico Pini, dopo la cocente delusione, prosegui nella sua attività commerciale con nuove coraggiose iniziative, ed infine, aiutato anche dalla fortuna riuscì a formarsi una solida posizione finanziaria.

 

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Riteniamo interessante pubblicare una completa descrizione dell'aereo essendo molto probabile che questo articolo rimanga l’unico documento storico a prova e dimostrazione della costruzione.

L'aeroplano ideato dai fratelli Pini era un monoplano ad ala alta controventata sia inferiormente che superiormente da cavi di acciaio ed in base alla distinzione che si faceva allora e che si riferiva al loro grado di stabilità, apparteneva alla categoria degli aeroplani a centri distinti del tipo a centro di gravità abbassato, che presentavano la maggiore stabilità.

L'ala aveva un'apertura di 10 metri e la sua superficie era interrotta in corrispondenza della fusoliera.

Il bordo d'attacco anzichè rettilineo presentava una notevole penetrazione.

La coda era formata dal timone di profondità in due parti, completamente mobile, mentre al timone di direzione faceva seguito un'ampia parte fissa, per compensare la mancanza di superfici verticali, essendo la fusoliera completamente disintelata.

Un equilibratore era sistemato sopra l'ala, in corrispondenza della superficie mancante ed era collegato con la manovra del timone posteriore.

Il pilota disponeva oltre che dei comandi a mezzo di volante e di pedaliera per gli organi di manovra, anche di uno speciale congegno pendolare che assicurava la stabilità automatica trasversale, che pur ingegnoso, fu in seguito, dato la momentanea inutilità, smontato.

Il motore Anzani era collocato in basso nella fusoliera, ed azionava mediante trasmissione una grande elica in alluminio, anch'essa progettata e costruita dai fratelli Pini;

detta trasmissione era inizialmente a mezzo catena, ma dato gli inconvenienti riscontrati fu sostituita da una cinghia di cuoio con due tenditori per aumentare l'aderenza sulle pulegge.

Accenniamo che a proposito dell'effetto giroscopico provocato dalla rotazione dell'elica,

l'ing. Pini aveva fin d'allora ideato uno speciale congegno per far azionare due eliche assiali controrotanti che avrebbe annullato ciò, ma le maggiori complicazioni e peso unite alla loro difficoltà costruttiva, fecero desistere dalla sua applicazione.

Solo nel 1931 l'idea verrà ripresa dalla Macchi e FIAT ed applicata sull'idrocorsa preparato per la Coppa Schneider.

La costruzione dell'aeroplano, ed era questa la parte più interessante, era quasi interamente in tubi di metallo, ma anzichè di acciaio, come già esistevano esempi, erano di duralluminio collegati fra di loro da speciali giunti smontabili brevettati, in alluminio fusi in conchiglia.

Le mezze ali avevano longheroni in tubo di duralluminio rinforzato, sui quali erano ficcate le centine in legno di frassino nostrano.

Così pure erano i timoni e gli alettoni, costituiti da tubi di duralluminio e centine di frassino.

La copertura dell'ala e di tutti i piani era di uno speciale tessuto gommato fornito dalla Pirelli.

Il pericolo delle buche disseminate sul terreno era però una delle preoccupazioni più gravi dei costruttori per l' integrità dell' apparecchio; perciò al ruotino di coda faceva seguito un' ampia gruccia molleggiata, mentre due piccoli pattini erano fissati all'altezza dei mozzi delle ruote per prevenire l'affondamento delle stesse in buche più grosse ed infine, ad evitare poi che l'ala urtasse sul terreno, un'altra gruccia era sistemata ad ogni estremità dell'ala.

Il peso totale dell'apparecchio, compreso il pilota, era di soli Kg. 300, risultato davvero notevole riguardo alle dimensioni dell'apparecchio.

Non essendovi dell'aeroplano Pini rimasta altra documentazione che le due fotografie che corredano questo breve scritto, abbiamo tentato di ricavare da queste un trittico, che meglio illustri le caratteristiche dell'apparecchio e che anche se imperfetto sarà ugualmente apprezzato dagli appassionati.

Se i risultati pratici conseguiti dal monoplano Pini, non furono quelli sperati, specie confrontati con quelli ottenuti nella stesso periodo di tempo da altri pionieri, è indubbio che ciò deve attribuirsi unicamente alla mancanza di mezzi finanziari.

Potendo proseguire le prove e apportando tutte quelle modifiche e cambiamenti che di mano in mano l'esperienza suggeriva, come d'altra parte potendo applicare un motore più potente, come poteva essere il motore Gnome da 50 HP e un'elica di maggior rendimento come la Chauviere, ambedue adottati da quasi tutti i costruttori dell'epoca, la genialità dell'ingegner Adolto Pini avrebbe fornito un aeroplano di sicuro successo.

Basterebbe potere seguire, ciò che esula dal nostro scopo e dalla materia trattata da questa rivista, tutte le realizzazioni conseguite alla Marelli.

Citiamo ad esempio, Bleriot, il cui apparecchio usato per la traversata della Manica nel luglio 1909, era l'undicesimo della serie, senza contare che talvolta uno stesso apparecchio della serie veniva ricostruito parecchie volte ed anche con diversi tipi di motori.

 

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Prima di raggiungere dei risultati apprezzabili, Bleriot impiegò diversi anni e spese un patrimonio.

Dobbiamo però mettere in giusto rilievo, e questa è la parte veramente importante del contributo apportato dai fratelli Pini al pionierismo aviatorio e che farà segnare la loro presenza al Museo Storico dell'Aviazione Italiana che sarà inaugurato quest'anno a Torino, che ad essi spetta indubbiamente la priorità nel mondo di essere stati i primi ad applicare duralluminio nella costruzione di aeroplani, quando solo la Germania cominciava a produrlo industrialmente.

Nel duralluminio l'ingegnere Pini vedeva il metallo nuovo che possedeva le qualità per essere considerato il metallo aeronautico dell'avvenire e ciò per la sua leggerezza, la sua resistenza, la facilità di lavorazione e di riparazione.

Il monoplano Pini, costruito in un'epoca nella quale dominava incontrastata la costruzione in legno, additava la via da seguire, ciò che nel 1917 Junkers farà propria, seguito da Dornier, Rorbach, ecc., con i risultati che a circa cinquant'anni di distanza possiamo ben valutare.

Un altro merito dell'inventività dell'ing.Pini è quello di avere risolto il problema del collegamento dei tubi in duralluminio, con speciali giunti smontabili in alluminio fusi in conchiglia che permettevano inoltre, con la più assoluta sicurezza e solidità, il rapido montaggio e smontaggio a tempo di record, di qualunque parte dell'apparecchio, facilitando in quei tempi le sostituzioni e riparazioni, dovute ai cattivi atterraggi.

 

Gastone Camurati

Interconair, agosto 1964

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