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Come la BISMARCK fu preda della HOME FLEET


Dave97

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Una delle più grandi aspirazioni della Germania, attraverso i secoli, è sempre stata quella di poter competere sul mare con l'Inghilterra.

Questa ambizione che nascondeva l'inconfessato desiderio di sostituirsi alla Gran Bretagna nel dominio dei mari e quindi di poter essere la prima potenza mondiale, non poté essere soddisfatta né dalla Marina imperiale del Kaiser Guglielmo II, né successivamente dalla

Kriegsmarine" del terzo Reich.

Il trattato di Versailles aveva fortemente limitato sia il numero delle navi da guerra germaniche, sia il loro tonnellaggio; per i tedeschi fu, quindi, necessario studiare nuovi tipi di costruzioni che, pur restando nei termini imposti dal trattato, dessero alla "Kriegsmarine" il massimo della potenza.

Nacquero, così, nei cantieri germanici quei piccoli gioielli della tecnica navale che furono le corazzate "tascabili".

Navi che avevano, però, anche i loro limiti, focalizzati proprio nella necessità che era stata alla base della loro concezione.

Infatti, per guadagnare tonnellaggio a favore delle artiglierie (cannoni da 280 millimetri), erano state sacrificate nella potenza con l'installazione di numerosi motori "Diesel", in luogo delle turbine (velocità massima 26 nodi).

Ma, malgrado l'entrata in servizio di queste validissime unità, la Germania, allo scoppio del secondo conflitto mondiale, non era in grado di affrontare apertamente in battaglia la flotta inglese.

Dovette, perciò, ricorrere ancora una volta alla guerra di corsa: le antiche glorie degli incrociatori fantasma "Emden" e "Wolf" e di tanti altri dovevano rivivere con i nuovi corsari che avrebbero causato seri danni ai traffici marittimi alleati sotto tutte le latitudini.

Prescindendo dalle fortunate imprese dei mercantili trasformati per la guerra di corsa quali il "Pinguin", il "Kormoran", l'''Atlantis", il "Komet" e decine di altri e tralasciando la tragica crociera della corazzata tascabile "Graf Spee", autoaffondatasi nella battaglia del Rio della Plata, l'episodio saliente di questo tipo di guerra sul mare è rappresentato dall'uscita in Atlantico della corazzata "Bismark", orgoglio della marina germanica, per una caccia in grande stile al traffico mercantile nemico.

Impostata nei cantieri Blohm e Voss di Amburgo nel 1936 e varata il 14 febbraio 1939, la "Bismarck" era la più grande e la più potente nave da guerra della marina germanica.

Lunga 251 metri e larga 36, aveva lo scafo assai ben protetto.

La cintura corazzata aveva uno spessore massimo di 320 millimetri, mentre le torri dei pezzi da 380 millimetri erano protette con piastre dello spessore massimo di 356 millimetri e la protezione orizzontale consisteva in un ponte corazzato dello spessore di 203 millimetri.

Aveva, inoltre, un elevato numero di compartimenti e paratie a tenuta stagna che davano un alto grado di sicurezza anche per le parti immerse.

Le paratie erano realizzate in acciaio speciale di elevate caratteristiche di durezza ed elasticità, capaci di sopportare notevoli deformazioni senza spezzarsi.

Ufficialmente, il suo dislocamento, nel rispetto del trattato di Washington, dopo che la Germania per bocca di Hitler aveva denunciato nel 1935 quello di Versailles, era di 35.000 tonnellate.

In realtà la "Bismarck" dislocava ben 41. 700 tonnellate che salivano ad oltre 50.000 per una crociera di guerra a pieno carico.

Dopo i lavori di allestimento che durarono oltre diciotto mesi, il 24 agosto 1940 la grande corazzata tedesca, con una cerimonia ufficiale, fu consegnata alla "Kriegsmarine".

La "Bismarck", quarta nave da guerra cui i tedeschi davano il nome del loro "Cancelliere di ferro", una nave bellissima, rappresentava quanto di meglio l'ingegno germanico aveva potuto produrre fino ad allora nel campo delle costruzioni navali.

Era armata con otto cannoni da 380 millimetri, in quattro torri binate, in grado di mandare alla distanza di venti miglia una bordata di oltre sette tonnellate di proiettili ad alto esplosivo. Dodici pezzi da 150 millimetri, sedici da 105 antiaerei, sedici mitragliere antiaeree da 37 millimetri e sei tubi lanciasiluri ne completavano l'armamento.

L'equipaggio era costituito normalmente da duemila uomini fra graduati e marinai.

La sua velocità, eccezionale per un'unità così potentemente armata, raggiungeva i 31 nodi.

Si trattava, quindi, di una nave modernissima.

Per la sua prima uscita di guerra in Atlantico le fu affiancato come compagno, per l'operazione "Rhein", l'incrociatore pesante "Prinz Eugen" di diecimila tonnellate, anch'esso armato nel 1940.

La "Bismarck" salpò da Gdynia il 19 maggio 1941 al comando del Capitano Lindemann, battendo l'insegna dell' Ammiraglio Giinter Liitjens, che si era imbarcato su di essa per dirigere la crociera delle due navi corsare.

Dopo una navigazione senza incidenti, il 21 maggio la '''Bismarck" ed il "Prinz Eugen" entrarono a Korsfjord a sud di Bergen in Norvegia, per rifornirsi di combustibile.

Quì vennero scoperte da un ricognitore inglese che si affrettò a tornare alla base ed a consegnare le fotografie scattate al comandante in capo della "Home Fleet", Ammiraglio Sir John Tovey, che doveva diventare l'implacabile avversario di Liitjens nei giorni seguenti. L'Ammiraglio inglese intuì immediatamente che i tedeschi stavano per mandare le due navi in Atlantico e pensò con sgomento che in quel momento la Gran Bretagna aveva già in navigazione nello stesso oceano, ben undici convogli fra i quali il "WS-8-B" che trasportava ventimila soldati inglesi per il fronte africano.

Si affrettò, pertanto, ad inviare da Scapa Flow gli incrociatori "Suffolk" e "Norfolk" la corazzata

"Prince of Wales" e l'incrociatore da battaglia "Hood" a vigilare lo stretto di Danimarca unitamente ad uno stuolo di cacciatorpediniere.

Per impedire, poi, la possibile fuga delle navi germaniche fra le Faer oer e l'Irlanda, vi mandò gli incrociatori leggeri "Arethusa", "Birmingham" e "Manchester".

Dispose, inoltre, che la portaerei "Victorious" e la corazzata "Repulse" si dirigessero anch' esse verso il nemico; a Scapa Flow, base vitale della "Home Fleet", fece mettere sotto pressione la sua nave ammiraglia: la corazzata "King George V" e quattro incrociatori; ordinò, infine, al vice Ammiraglio Somerville di salpare da Gibilterra con l'incrociatore da battaglia "Renown", la portaerei "Ark Royal" e l'incrociatore leggero "Sheffield".

Tutta la "Home Fleet" era quindi in allarme; la regina dei mari aveva steso i suoi tentacoli e le due navi tedesche dovevano necessariamente cadere nella trappola che, con tanta rapidità e dovizia di mezzi, era stata loro tesa.

Nel frattempo, nella notte del 21 maggio, la "Bismarck" ed il "Prinz Eugen" lasciarono l'accogliente fiordo norvegese mettendo la prua all'ovest.

Sul mare si stendeva una coltre nebbiosa che le nascondeva all' osservazione aerea nemica. Per tutto il 22 maggio gli inglesi cercarono disperatamente di individuare le due unità germaniche.

Nella serata del 23, mentre la nebbia persisteva, l'Ammiraglio Liitjens portava le sue due navi nello stretto di Danimarca.

Questo passaggio obbligato fra Irlanda e Groenlandia misura nel punto più stretto

180 miglia, ma per buona parte era ostruito dai ghiacci e dai campi minati inglesi.

Liitjens, in previsione di cattivi incontri ordinò il posto di combattimento.

Alle 19,22 l'incrociatore inglese "Suffolk" localizzò le due navi tedesche e ne segnalò la posizione continuando poi a seguirle.

Poco più tardi anche l'incrociatore "Norfolk" stabilì il contatto radar.

Gli operatori radar della "Bismarck", a loro volta, rilevarono i due incrociatori inglesi che prudentemente si tenevano ai limiti di portata dei localizzatori.

Per togliere di mezzo gli inseguitori che continuavano a tallonarlo ed a segnalarne la posizione, il comandante tedesco, dopo aver tentato più volte di seminarli, diresse su di loro ed alle 22,28, avvistato il "Suffolk" che appariva e spariva fra i banchi di nebbia, ordinò di aprire il fuoco.

Sorpreso dalla manovra, !'incrociatore inglese accostò e in breve scomparve nella notte proteggendosi con cortine fumogene.

La corazzata tedesca riprese così la sua rotta.

All'alba del 24 maggio la visibilità era buona, la giornata freddissima: alle 5,35 l' Hood e la Prince of Wales che si erano avvalse delle informazioni fornite dal Suffolk avvistarono la "Bismarck" e il "Prinz Eugen" di prora a dritta.

Due minuti dopo le quattro navi aprirono il fuoco: alle 6 l'Hood incassò una bordata della "Bismarck" che esplose al centro della nave facendo saltare in aria le riservette dei pezzi antiaerei.

Tre minuti dopo, da dodici miglia di distanza, partì la terza bordata della "Bismarck"; essa si abbatté sull’ Hood squarciandolo e penetrando in uno dei depositi munizioni.

Un bagliore accecante salì verso il cielo: l'incrociatore da battaglia "Hood", la nave più pesante del mondo, che dislocava 46.300 tonnellate, orgoglio della marina britannica, non esisteva più. Varato nel 1918 e successivamente rimodernato, aveva però una protezione troppo debole in rapporto al potere distruttivo dei grossi calibri; la sua corazza orizzontale infatti era di soli 95 millimetri.

Con l' "Hood" sparirono fra i flutti l'Ammiraglio Holland, 94 ufficiali e 1324 marinai; successivamente dal combustibile che si era steso sul mare, vennero estratti i tre unici superstiti.

A bordo delle navi tedesche che non avevano ancora incassato un colpo, la vittoria fu salutata con urla di gioia che si ripercossero come un boato in tutti i locali.

I cannoni della "Bismarck" e del "Prinz Eugen" si erano nel frattempo volti verso la corazzata "Prince of Wales" che era ormai a sole nove miglia; in breve l'unità britannica fu squassata da quattro proiettili da 380 e da tre da 203 millimetri e ridotta a poco più di un pontone, ma con una delle sue ultime salve, prima di ritirarsi lasciandosi dietro cortine fumogene che a stento nascondevano gli incendi di bordo, riuscì a danneggiare la "Bismarck".

Un proiettile da 356 millimetri colpì la prua e forò una cassa prodiera di combustibile, un altro distrusse il locale macchine numero due.

Avarie comunque riparabili che non compromettevano in alcun modo la combattività della nave germanica.

Il "Prinz Eugen" era uscito incolume dallo scontro ed i tedeschi che avevano avuto solo cinque feriti e nessun caduto, poterono assaporare per un attimo l'ebrezza della vittoria.

Ma la "Bismarck" lasciava dietro di sé una lunga scia di nafta e il colpo incassato a prua costrinse l'Ammiraglio Liitjens a rivedere i suoi piani ed a comunicare a Berlino che avrebbe fatto rotta su St. Nazaire per mettersi sotto la protezione delle forze aeree tedesche e riparare i danni.

Alle 18 dello stesso giorno ordinò al "Prinz Eugen" di staccarsi e di proseguire da solo in Atlantico per la guerra di corsa.

Di lì a poco l'incrociatore accostò ed in breve sparì fra i piovaschi per compiere la sua missione, mentre la "Bismarck" andava incontro al suo destino.

La "Home Fleet" al completo prese il mare per vendicare l'affondamento dell’ Hood e, mentre gli incrociatori 'Norfolk" e "Suffolk" ne seguivano la rotta mantenendo il contatto radar, il cerchio si stringeva inesorabilmente attorno alla nave tedesca.

Il maltempo impedì il successo di due attacchi di otto aerosiluranti lanciati dalla nuova portaerei "Victorious" distante ancora 120 miglia.

A mezzanotte la "Bismarck", attaccata da un solitario aerosilurante sbucato improvvisamente dalle nubi, fu colpita da un siluro che non le causò gravi avarie.

La sua navigazione verso la costa francese proseguì dirigendo su Brest, di oltre 100 miglia più vicino di St. Nazaire.

Nella notte, alle 3,06, a causa dei continui cambiamenti di rotta che gli inseguitori erano costretti a fare per sfuggire a possibili attacchi dei sommergibili tedeschi chiamati in aiuto dall' Ammiraglio Liitjens, la "Bismarck" scomparve dagli schermi radar inglesi.

Per lunghe ore le navi britanniche batterono il mare senza riuscire a ristabilire il contatto radar, poi l'Ammiraglio tedesco, che non si era reso conto di aver seminato il nemico, commise una fatale leggerezza: fece trasmettere a Berlino per radio un lungo rapporto sul vittorioso combattimento sostenuto, sulle condizioni di efficienza della nave e sull' allontanamento del "Prinz Eugen".

La trasmissione venne intercettata, però, anche dall' Ammiraglio britannico, che in breve tempo riuscì a localizzare la posizione della corazzata tedesca.

In effetti il punto che fornì l'Ammiraglio era errato e soltanto nel tardo pomeriggio, quando le sue navi correvano da ore dietro a un fantasma, a seguito del fortuito avvistamento della "Bismarck" da parte di un idrovolante "Catalina" del Comando Costiero della RAF, dette la posizione esatta.

Quando gli inseguitori misero finalmente la prua sulla rotta giusta, la "Bismarck" aveva già un vantaggio di 150 miglia.

L'Ammiraglio Tovey sapeva che, se non interveniva un fatto nuovo, la corazzata tedesca sarebbe riuscita a raggiungere Brest ponendosi in salvo; ordinò, quindi, all"'Air Royal" di effettuare degli attacchi con gli aerosiluranti nella speranza di colpirla e di rallentarne la marcia.

Quando gli aerei britannici presero il volo dal ponte dell"'Ark Royal, spazzato dal vento e dalla pioggia, erano le 14,50 del 28 maggio.

Gli "Swordfish" si allontanarono e dopo un'ora, avvistata una grossa unità, andarono all'attacco lanciando, per un errore che poteva avere tragiche conseguenze i loro quattordici siluri contro l'incrociatore inglese "Sheffield" che manovrando riuscì miracolosamente ad evitare di essere colpito.

Al termine dell'azione i piloti si resero conto di aver silurato una loro nave e tornarono mortificati alla portaerei per fare rifornimento.

Nello stesso momento il sommergibile tedesco "U-556" inquadrava perfettamente nel suo periscopio l’ Ark Royal ed il Renown, ma il Comandante Wohlfahrt non poté affondare le ignare navi nemiche perché aveva esaurito i siluri.

Intanto gli "Swordfish" , protagoni¬ti della disavventura precedente, terminato il rifornimento e riarmati di siluri, decollarono nuovamente, al comando del Capitano di corvetta Tim Coode.

Alle 19,10 sorvolarono lo "Sheffield'" ed alle 20,53 il primo di essi iniziò l'attacco alla "Bismarck".

Furono lanciati 13 siluri, dei 15 a disposizione, senza riuscire a colpire la corazzata tedesca che, nonostante la sua mole, con rapide accostate e sparando con tutte le sue armi antiaeree, riuscì ad eludere l'offesa degli aerosiluranti britannici.

Nel cielo infuocato dagli scoppi dei proiettili antiaerei apparve poi una seconda ondata di undici "Swordfish".

Era l'ultimo attacco della giornata, prima che il sopraggiungere dell'oscurità costringesse l’Ark Royal a sospendere l'azione fino all'alba del giorno seguente, consentendo così alla "Bismarck" di distanziare vieppiù la muta dei suoi inseguitori.

I piloti inglesi, consapevoli che quella era l'ultima occasione che avevano a disposizione per fermare o almeno per rallentare la grande corazzata tedesca, attaccarono con grande determinazione e, malgrado l'impressionante reazione antiaerea, riuscirono a mettere a segno due siluri.

Uno esplose al centro della nave senza causare alcun danno, l'altro invece, per puro caso o se vogliamo per uno scherzo del destino, durante un'accostata, colpì l'unità a poppa nell'unico punto vulnerabile, il timone.

L'esplosione sfondò i locali dov' era situato l'apparato del timone allagandoli, danneggiando gli impianti e bloccando i timoni alla banda.

Il siluro aveva colpito in un modo e in una posizione particolari, un'eventualità che, a giudizio dei tecnici navali tedeschi, aveva una probabilità su centomila di verificarsi.

I danni erano tali da rendere comunque impossibile ogni riparazione in mare e il comandante tedesco, dopo un primo sommario esame se ne rese immediatamente conto.

Da quel momento, la potente unità germanica che non riusciva più a manovrare, aveva perso la sua corsa verso Brest e verso la salvezza.

Dopo disperati, ma inutili tentativi di sbloccare i timoni, l'Ammiraglio Liitjens inviò a Berlino il seguente messaggio:

"- Non è più possibile governare la nave. Combatteremo fino all'ultimo proietto. Lunga vita al Fuhrer.-"

Intanto, dopo aver girato in tondo due volte, la "Bismarck" serpeggiando, si muoveva lentamente sfruttando alternativamente le eliche per poter dirigere in qualche modo il suo moto, ma il suo destino era ormai segnato.

Il Capitano Lindemann e l'Ammiraglio Liitjens erano pienamente consci di aver perso la partita, ma non potevano più far nulla per sovvertire il corso degli avvenimenti: a quel punto non restava che attendere l'arrivo degli inseguitori per combattere l'ultima battaglia.

Alle 22,30 una fiottiglia di cacciatorpediniere inglesi, al comando del Capitano Vian, attaccò la corazzata germanica e riuscì a colpirla con un siluro che però non perforò la blindatura della prua.

L'Ammiraglio Lutjens, dopo che le vedette, alle 8,43 del 27 maggio avevano avvistato le corazzate "King George" e "Rodney", parlò all'equipaggio; la radio trasmise in tutti i locali le sue ultime parole:

"- Parla l'ammiraglio, siamo circondati da unità nemiche. Se il destino vorrà che moriamo per la patria, cadremo da bravi marinai. La nostra bandiera sventolerà fiera fino alla fine. Aufwiedersehen!-"

Alle 8,47, le navi aprirono il fuoco da ambo le parti, ma per la "Bismarck" non c'era alcuna possibilità di scampo: la nave senza timone non poteva manovrare e gli avversari, con il sopraggiungere di tutti gli inseguitori, aumentavano sempre.

L'impari lotta si protrasse per un'ora e trentotto minuti; poi il Capitano Lindemann ordinò di abbandonare la nave, ridotta ad un pontone fiammeggiante. Ma sembrava che la " Bismarck", pur così straziata, non volesse affondare; si avvicinò, allora, l'incrociatore "Dorsetshire" e, incurante delle centinaia di marinai tedeschi che nuotavano attorno alla grossa nave, le lanciò contro, in rapida successione, tre siluri che con la loro esplosione straziarono i naufraghi.

Alle 10,36, la "Bismarck" con la bandiera al vento si inabissava lentamente trascinando con sé, nel risucchio spumeggiante del gorgo che si era formato, centinaia di marinai, oltre al Capitano Lindemann e all' Ammiraglio Lutjens, ai quali l'antica tradizione del mare imponeva di condividere la sorte della propria nave.

Successivamente, le navi inglesi trassero in salvo 110 superstiti ed alcuni altri furono salvati dal sommergibile germanico "U-47", ma molti altri erano nel frattempo annegati, perché i britannici, per timore degli U-Boote, avevano interrotto quasi subito le operazioni di salvataggio.

Circa duemila marinai tedeschi, fra i quali quattrocento allievi della scuola navale che non avevano ancora superato il diciannovesimo anno di età, erano scesi per sempre in fondo al mare.

La "Home Fleet" , alla quale il fato, dopo l'affondamento dell' Hood, era stato più volte benigno, era riuscita a vendicare, nello spazio di poche ore, una delle più umilianti sconfitte subite sul mare dall'Inghilterra in tutta la sua storia.

Ancora una volta l'antico adagio britannico "non esiste nulla di più terribile al mondo dei cannoni inglesi manovrati dai marinai inglesi", aveva avuto la sua tragica conferma: la "Bismarck", che aveva spiegato al vento con orgogliosa fierezza la sua bandiera di combattimento sfidando la regina dei mari, giaceva per sempre negli abissi.

Nel valutare questo scontro, ormai assurto a fatto storico di rilievo, non va dimenticato il ruolo decisivo che ebbe l'aeroplano in questa come nella maggior parte delle battaglie navali della seconda guerra mondiale.

È infatti evidente che, senza l'avvistamento effettuato dal "Catalina", la "Home Fleet" avrebbe continuato a navigare a vuoto mentre la "Bismarck" sarebbe riuscita ad allontanarsi del tutto indisturbata e in via definitiva.

E successivamente, anche dopo essere stata avvistata, avrebbe ancora potuto salvarsi, se il siluro dell'ultimo "Swordfish" prima del sopraggiungere del buio, non le avesse così fortunosamente bloccato il timone.

Malgrado quindi la grande potenza e la giusta fama della "Royal Navy", senza i due interventi aerei sopra citati la flotta inglese non sarebbe riuscita, pur con tutte le sue navi e con tutti i suoi cannoni, a raggiungere la "Bismarck" ed a vendicare l'affondamento dello "Hood" ed il grave danneggiamento della "Prince of Wales"

Giorgio Evangelisti

 

Aeronautica Febbraio 1996

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