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L'anabasi: tredicimila Greci nell'Impero Persiano


Cavallo Pazzo

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Correva l’anno 401 a.C. Ciro “il giovane”, figlio del defunto re Dario II di Persia e fratello di Artaserse II, nonché satrapo della Lidia, della Frigia e della Cappadocia, partì dalla città di Sardi con esercito di circa 30.000 uomini tra cui 13.600 mercenari greci, con un solo scopo: spodestare il fratello e diventare il sovrano del più grande impero che il mondo abbia mai visto fino ad allora.

Ciro e il suo esercito affrontarono Artaserse II nella battaglia di Cunassa (in Mesopotamia) dove però furono sconfitti e lo stesso Ciro ucciso. I Greci però sopravvissero quasi al completo, e per loro iniziò un epico viaggio all’interno di un territorio ostile, con i Persiani alle calcagna, solo per tornare a casa. Il tutto documentato dallo storico greco Senofonte che seguì personalmente l’impresa.

 

La fine della Guerra del Peloponneso

Il grande conflitto che divise in due la Grecia per 27 lunghi anni terminò nel 404 a.C. con la sconfitta di Atene e l’inizio dell’egemonia spartana. Sparta riuscì a sconfiggere la rivale grazie all’aiuto del re Dario II che le fornì una flotta abbastanza potente. I Persiani non avevano digerito la Rivolta Ionica (in cui Atene aiutò le poleis ribelli dell’Asia Minore) e le due Guerre Greco-Persiane; e capirono che i Greci se lasciati stare si scannavano tranquillamente da soli, quindi per sottometterli bisognava dividerli.

Già in quegli anni Ciro “il giovane” progettò di appropriarsi del trono persiano al posto del fratello (legittimo erede) sfruttando anche l’appoggio della madre Parisatide, di cui era sempre stato il preferito. Strinse quindi un legame di amicizia e di alleanza con il comandante spartano Lisandro, che aspirava a diventare il sovrano di tutta la Grecia. I due si sarebbero aiutati a vicenda ottenendo i loro obbiettivi. Ciro fece quindi in modo che Lisandro comandasse la flotta spartana nella battaglia di Egospotami, in cui distrusse la flotta ateniese. Dopo la sconfitta di Atene, Lisandro divenne l’uomo più influente di tutta la Grecia: ad Atene il Regime dei Trenta Tiranni fu imposto da lui, per esempio, e nel 404 a.C., alla morte di Dario II, il piano di Ciro e Lisandro prese inizio. Il tutto fu però denunciato da Tissaferne, satrapo di Caria, e il complotto fu sventato. Ciro si salvò grazie all’intercessione della madre che lo fece perdonare.

 

La spedizione del diecimila: la preparazione

Ciro non si rassegnò a questo primo fallimento ed iniziò a preparare una nuova spedizione, e per non suscitare sospetti, disse che voleva muovere guerra al popolo dei Pisidi, la cui fedeltà all’Impero Persiano era sempre stata in discussione. Grazie a Lisandro ottenne il sostegno del governo spartano, che non cambiò idea neanche quando il re Pausania offuscò il prestigio di Lisandro. Capirono infatti che se la spedizione di Ciro avesse avuto successo, avrebbero esteso la loro influenza sull’Impero Persiano.

Il compito di reclutare l’armata di mercenari venne affidato a Clearco di Sparta (ex governatore di Bisanzio condannato a morte), e a Menone di Farsalo. I mercenari sarebbero stato radunati in Tessaglia e nel Chersoneso Tracico per poi partire alla volta di Sardi, dove Ciro li aspettava con le sue truppe.

Assieme ai soldati venne ingaggiato anche Senofonte di Atene, in esilio volontario dalla patria, come storiografo che avrebbe lasciato per iscritto ogni particolare dell’impresa. I suoi scritti, raccolti nell’opera “Anabasi” sono giunti fino a noi.

Una volta radunati, i mercenari partirono per Sardi.

 

Da Sardi a Cunassa

Arrivati a Sardi, le truppe mercenarie su unirono all’esercito di Ciro e partirono. Clearco era al comando del contingente greco, al quale poi si aggiunsero 700 opliti guidati da Chirisofo di Sparta. Solo gli ufficiali maggiori sapevano della reale destinazione della spedizione, gli altri erano convinti che si andasse a combattere contro i Pisidi.

Attraversarono quindi l’Anatolia, passando da una provincia all’altra senza problemi, ma puntavano troppo a sud, e ben presto i soldati si accorsero del reale obbiettivo. Ne ebbero la certezza quando ormai erano in Mesopotamia, nel cuore dell’Impero Persiano. Lì re Artaserse II era in attesa con le sue truppe, informato ancora una volta dal satrapo Tissaferne.

 

La battaglia di Cunassa

Presso la città di Cunassa, sulla riva sinistra del fiume Eufrate, l’esercito di Ciro incontrò le truppe del Gran Re. Secondo Senofonte Artaserse II schierò 900.000 uomini, mentre Ciro 100.000 uomini più i mercenari greci (che erano 10.400 opliti più 2.500 peltasti, e in seguito altri uomini si aggiunsero). Gli storici moderni propongono diverse stime: secondo loro Ciro schierò complessivamente 30.000 uomini, mentre Artaserse circa 40.000. L’armata del Gran Re era stata composta in fretta e furia e quindi non era compatta e organizzata come quella di Ciro, però era superiore nella cavalleria e nei carri da guerra.

Ciro schierò i Greci sul fianco destro, vicino al fiume, e si pose al centro con la cavalleria, che comandava personalmente.

Cominciata la battaglia Ciro lanciò una serie di assalti al nemico, nel tentavo di raggiungere il fratello e ucciderlo personalmente, al contrario i Greci rimanevano compatti e la loro falange avanzava inarrestabile.

Tisssaferne fece di tutto per dividere i Greci da Ciro, e ci riuscì: infatti il principe ribelle alla fine venne ucciso.

La battaglia si conclude con una vittoria tattica per i ribelli, ma un trionfo strategico per i nemici. I ribelli erano riusciti a sconfiggere l’esercito di Artaserse (grazie ai Greci), ma la morte di Ciro fece perdere senso alla spedizione.

 

Dopo la battaglia di Cunassa

Morto Ciro i Greci rimasero soli nel cuore dell’Impero Persiano. Le truppe che li avevano accompagnati, guidati da Arieo, passarono quasi subito dalla parte dei Persiani, e iniziarono le trattative per una tregua.

Si stabilì che i Persiani non avrebbero attaccato se i Greci fossero rimasti lì dov’erano, il che non sarebbe stato per sempre dal momento che dovevano acquistare i viveri ai mercati e sfamare 12.000 e più uomini non è proprio una cosa da nulla. Così si decise un incontro tra lo stato maggiore dell’esercito greco, comprendente Clearco, Menone di Farsalo e Prosseno da Tebe (che aveva convinto Senofonte, che gli era legato da vincoli di ospitalità, a seguire l’impresa) e quello di re Artaserse, che comprendeva anche Arieo e il subdolo Tissaferne. Ma si rivelò un’imboscata, ordita da Tissaferne: l’intero stato maggiore dell’esercito greco venne fatto prigioniero e giustiziato. I Persiani attaccarono quindi il campo dei Greci, contando sull’effetto sorpresa, ma un cavaliere che accompagnava i comandanti greci arrivò prima di loro, anche se gravemente ferito (Senofonte racconta che si teneva in mano le budella, letteralmente, mentre cavalcava) e l’attacco persiano venne respinto con successo. Iniziò quindi la parte più drammatica del viaggio: in mezzo ad un immenso paese ostile, con la necessità di sfamare più di 10.000 uomini e il nemico alle calcagna che non lascia neanche un attimo di tregua.

 

I nuovi comandanti

Dopo un simile evento l’esercito si avviò sulla strada del panico, ma a quel punto intervennero Chirisofo e Senofonte che riportarono l’ordine. Tutti i soldati vennero chiamati a votare per eleggere dei nuovi comandanti che sostituissero quelli uccisi dai Persiani. I nuovi comandanti si chiamavano Timasione, Santicle, Cleanore e Filesio, ad essi si aggiungevano Chirisofo come generale e Senofonte in qualità di comandante della retroguardia.

 

La terra dei Carduchi

Andare via da lì era indispensabile: i Persiani non avevano rispettato i patti, e non c’era modo di procurarsi cibo. Era però molto problematico in quanto i Persiani avevano cavalleria, fanteria leggera e molti arcieri, quindi gli opliti greci, armati con un pesante equipaggiamento, non potevano superarli in velocità. In più i Persiani si tenevano alla larga, scagliavano giavellotti e frecce, scappando appena i Greci si organizzavano per contrattaccare.

Come uscire di lì? La risposta la trovarono alcuni peltasti di origine tracica, che prima facevano i pastori. Consisteva in pratica di muoversi di notte alternando marce e riposo, e camminando con i piedi fasciati apposta per non far rumore. I Persiani non si sarebbero aspettati una cosa del genere.

Occorreva anche decidere la direzione in cui viaggiare: o percorrere a ritroso il viaggio tornando in Anatolia, o affrontare le regioni montuose a nord della Mesopotamia. Quest’ultime erano abitate dai Carduchi, un popolo nemico del Gran Re.

Quella era la via più breve, e l’unica che permettesse di levarsi i Persiani dai piedi, e i comandanti greci ritenevano che fosse possibile trattare con i padroni di casa e ottenere il permesso di attraversare il loro territorio rifornendosi ai villaggi di ciò di cui avevano bisogno.

Lo stratagemma dei Greci funzionò per alcuni giorni, tempo sufficiente a portarsi all’inizio della Gordiene, dove abitavano i Carduchi.

 

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I Persiani però si accorsero che un intero esercito era sparito sotto il loro naso, quindi si misero alla ricerca per trovare il mago che ha fatto sparire l’armata reclutarlo per il compleanno di re Artaserse II, magari facendo fuori anche qualche greco.

Riuscirono a raggiungerli e iniziò un autentico inseguimento: davanti i Greci che abbandonavano anche i carri per arrivare al più presto nella terra dei Carduchi, dietro i Persiani che cercavano di raggiungerli. I Greci però riuscirono nel loro intento e i Persiani gettarono la spugna. Loro erano al corrente di una cosa che i Greci non sapevano: che i Carduchi erano nemici non solo del Gran Re, ma di tutti gli eserciti che si fossero addentrati nel loro territorio. Erano selvaggi, ma mica stupidi e avevano capito che, creandosi una reputazione di distruttori di eserciti, non avrebbero avuto seccature.

I Greci cercarono di trattare, ma invano. Inizialmente i Carduchi osservavano, ma all’improvviso si misero a far rotolare massi e a scagliare frecce, non le comuni frecce, ma pesanti e grosse, alle quali gli scudi greci non riuscivano a resistere, e che i soldati potevano riutilizzare come giavellotti.

La preoccupazione principale era quella di mandare la fanteria leggera ad occupare i passi prima dei nemici, in modo da permettere il passaggio della fanteria pesante, e trovare cibo. I Carduchi abbandonavano i villaggi al passaggio dei Greci e facevano trovare ben poco cibo, ma molto vino forte, nella speranza che i soldati si ubriacassero. In più agivano con tattiche di guerriglia, senza venire a contatto con gli opliti greci che li avrebbero sbaragliati, ma ogni loro attacco faceva vittime. I Greci invece non distruggevano i villaggi, trattavano bene gli occasionali prigionieri e si limitavano a prendere ciò di cui avevano bisogno.

I Greci però non erano sprovveduti, e riuscirono ad attaccare battaglia con i Carduchi, uccidendone non pochi. Riuscirono a trattare una tregua, per recuperare i morti e concedere loro un’adeguata sepoltura, ma anche questa tregua si rivelò una trappola.

Andarono avanti, sempre occupando passi prima del nemico e continuamente attaccati, affrontando il freddo e la fame (si avvicinava l’inverno).

Arrivarono alla fine in una vallata, al limite della Gordiene, oltre c’era la satrapia dell’Armenia, ed ecco un’agghiacciante sorpresa: un esercito Armeno schierato alla fine della vallata, pronto a sbarrargli la strada, e i Carduchi schierati in gran massa all’inizio per sferrare l’ultimo attacco. La situazione era disperata, e si cercava un modo per sfuggire, quando due soldati si avventurarono lungo il fiume e trovarono un guado, ma oltre c’erano gli Armeni.

I comandanti elaborarono un nuovo piano: parte dell’esercito sarebbe rimasto ad affrontare i Carduchi, il resto avrebbe guadato il fiume e affrontato gli Armeni.

Quando l’operazione ebbe inizio, i Carduchi attaccarono contando sulla loro superiorità numerica, ma dovettero fare i conti con la temibile falange oplitica, e furono sbaragliati. Gli Armeni invece furono presi di sorpresa dall’esercito in assetto da battaglia e si ritirarono. La strada così era libera, e la nuova destinazione era Trapezus.

 

Da Trapezunte a Bisanzio

I continui attacchi dei feroci Carduchi e il freddo decimarono l’armata greca, ora occorreva affrontare l’insidia dell’inverno, mentre attraversavano l’Armenia per arrivare a Trapezus (l’odierna Trebisonda). Si procuravano il cibo come al solito, razziando i villaggi, ma i comandanti si accertavano che i soldati prendessero solo il necessario per sopravvivere. Nel frattempo Senofonte elaborò l’idea di fondare una nuova colonia, di cui sarebbe stato l’ecista, ma inizialmente non propose il piano agli uomini.

Arrivarono quindi a Trapezus, dove ricevettero aiuto (sulla costa del Mar Nero c’erano molte poleis greche). In cambio dettero la disponibilità a condurre delle incursioni contro gli indigeni locali, che causavano non pochi problemi. Si misero quindi in marcia verso Cotiora, percorrendo la costa. Lì si presentarono altri problemi come uomini che disertavano e andavano a cercare un imbarco da soli, altri che uscivano di nascosto dall’accampamento con il loro gruppo di soldati per fare razzie, con il risultato che spesso l’intero esercito doveva intervenire per salvarli, quando le cose si mettevano male.

Così giunsero a Cotiora, e poi arrivarono a Bisanzio.

Anche lì inizialmente vennero accolti, ma dovettero affrontare la morte del loro generale Chirisofo (aveva 35 anni), che fu avvelenato probabilmente per ordine del governo Spartano. Senofonte acquisì quindi il comando dell’armata. Anche l’accoglienza di Bisanzio si rivelò essere una trappola, ma i Greci lo scoprirono e riuscirono in tempo ad occupare la città salvandosi.

 

Seute e la Tracia

I mercenari, che ormai erano meno di 8.000, furono assoldati da Seute, un signorotto della Tracia in lotta per acquisire il dominio su questa regione. Quindi ciò che rimaneva dell’armata che affrontò Artaserse II a Cunassa partì per la Tracia, sotto la promessa di una buona paga e molti regali. Si tornò quindi a ripulire i villaggi per procurarsi il cibo, ad affrontare nemici e dopo un po’ di tempo anche Seute, si perché si dimostrò crudele, ma soprattutto perché la paga non arrivava. Si indisse quindi un’assemblea: Seute rinnovò le promesse, assicurando che avrebbe pagato i mercenari al termine dell’impresa, ma le sue promesse questa volta non servirono. Intanto il freddo e i nemici avevano ridotto l’armata a 6.600 uomini circa, che ricominciarono a vagare. Prima Salmodissa, poi Lampsaco e infine Pergamo dove trovano un ingaggio da parte del governo Spartano che nel frattempo aveva dichiarato guerra ai satrapi Tissaferne e Farnabazo. Alla fine il generale spartano Tibrone assume il comando dell’armata e Senofonte torna ad Atene, da dove in seguito sarà esiliato per aver aiutato Ciro.

 

Epilogo

Dopo la battaglia di Cunassa Tissaferne iniziò a vantarsi di aver ucciso personalmente Ciro, e re Artaserse, visto che il suo fedele satrapo, oltre che cognato, aveva sventato due volte i piani di Ciro, gli affidò la satrapia della Lidia. Quindi decise di attaccare le città che erano state fedeli a Ciro (alla caduta di Atene i due rivali cercarono di ottenere il controllo sulle città greche dell’Anatolia ma solo Mileto cadde nelle mani di Tissaferne. In più quando Ciro fu perdonato gli venne anche assegnata la gestione della Caria, e a Tissaferne rimase solo Mileto) ma nel 399 a.C. Sparta gli dichiarò guerra. Tissaferne cercò nuovamente di usare l’astuzia e la diplomazia ma il re di Sparta Agesilao II lo sconfisse duramente presso Sardi. Tissaferne fu quindi rimosso dal suo incarico di satrapo (anche sotto pressione del satrapo Farnabazo e del chiliarca di Sardi). Poco tempo dopo, la regina madre Parisatide lo fece rapire, deportare a Colossi e decapitare, vendicando così la morte di suo figlio Ciro. La testa di Tissaferne venne quindi inviata al re Agesilao II per chiedere una tregua.

La spedizione di Ciro, ma soprattutto la ritirata dei Greci, rivelarono che l’Impero Persiano stava andando in frantumi: i satrapi erano in continua lotta per il potere e c’erano molte carenze militari imperdonabili e ancora di più la superiorità dei soldati e delle tecniche di combattimento greche.

 

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Un interessante saggio dell'archeologo-storico-romanziere Valerio Massimo Manfredi, pubblicato nel 1986 da "Edizioni Universitarie Jaca" (284 pagine, foto, mappe e grafici - Lire 35.000) ....

 

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.... nel quale l'autore narra di come abbia ripercorso la strada affrontata millenni prima dai mercenari Greci ....

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