Guest galland Posted January 29, 2009 Report Share Posted January 29, 2009 Renato, classe 1920 in forza alla 137a compagnia marconisti (termine con cui all'epoca venivano definiti i reparti addetti alla comunicazioni radio e telegrafiche), sbarca in Africa settentrionale a fine maggio del 1940. La guerra ormai imminente appare una tranquilla passeggiata: il Mediterraneo viene attraversato a bordo di un transatlantico requisito, il Neptunia (Nel settembre del 1941 verrà affondato da un sottomarino inglese). Anche le prime settimane sulla Quarta Sponda sembrano una gita turistica tra cammelli, palmizi e rovine romane. Partecipa a tutte le campagne del settore. Su e giù con le stazioni radio lungo la pietraia rovente del deserto occidentale: Tripoli, Cirene, Bardia, Tobruk. I precipitosi ripiegamenti inseguiti dagli inglesi. Durante l'estate del 1942 il suo reparto raggiunge Fuka in Egitto, forse anche lui è contagiato dal miraggio delle Piramidi… ma poi non c'è che la via della ritirata. Nel maggio del 1943 è uno delle diecine di migliaia di soldati italo tedeschi che si arrendono in Tunisia. Catturato dagli americani spera di essere portato in Usa (Vedere gli States è un suo grande sogno). Rimarrà deluso… Sarà ceduto in "quota"- come migliaia d'altri connazionali - alla forze della Francia Libera e internato nel campo algerino di Palat. Per sfuggire a condizioni prossime alla denutrizione sceglie di essere impiegato in una fattoria di proprietari francesi come bracciante, dove tirerà a campare sino alla fine della guerra. Dopo l'otto settembre rifiuterà l'arruolamento nell'esercito cobelligerante non per fatto ideologico, ma parole sue, per stanchezza… ne ha avuto abbastanza di tre anni di guerra. La madre, portinaia di un piccolo stabile al Corso (così viene definito a Roma Corso Umberto I, l'arteria del centro storico che collega piazza del Popolo a piazza Venezia) rimasta senza notizie, ricorre per conoscere la sorte del suo unico figlio, a… poteri medianici. Presso una chiesa del centro storico di Roma c'e un sacerdote in grado di dire se il soldato sia vivo o morto, basta portargli la foto. Una fila di persone attende trepidante il responso. Balcani, Africa settentrionale e orientale, Russia, Egeo; soprattutto dopo l'otto settembre migliaia di famiglie erano rimaste prive di qualsiasi notizia. Il sacerdote è sicuro: "stai tranquilla tornerà", è poi il turno della madre di un disperso sul fronte russo: "E' inutile attendere… pregate per la sua anima". Renato rivedrà l'Italia il 29 aprile 1946, non ha guadagnato medaglie, ha solo fatto il suo dovere. Ritornerà alla vita civile, al lavoro ministeriale, si sposerà e avrà un figlio. La guerra, i vent'anni spesi in Africa resteranno come una cicatrice, un ricordo. Il soldato Renato se n'è andato in punta di piedi il 24 settembre 2002 alle 19,30. Ciao papà. Galleria fotografica Lo giurate voi? Renato, in uniforme il giorno del giuramento Qui comincia l'avventura … Renato e i suoi commilitoni sul transatlantico Neptunia Sbarcato! Sulla banchina del porto di Tripoli Soldati e cammello Foto di prammatica, come in ogni viaggio turistico che si rispetti Indigeni Altrettanto di prammatica la foto con un bambino locale Acrobazie sulle palme Misurata i baldi giovani si dedicano a … giochi d'equilibrismo Che afa fa! Il caldo torrido del deserto obbliga a una tenuta … fuori ordinanza! Fra antiche memorie Cirene, seduti su resti di mura romane. Sembra strano ma anche in Africa è necessario il cappotto. Link to comment Share on other sites More sharing options...
Guest galland Posted January 29, 2009 Report Share Posted January 29, 2009 Foto di gruppo Luigi di Savoia, foto collettiva della 137a compagnia marconisti Calma apparente Bengasi 1941, tutto sembra tranquillo ma non è proprio così tra quarantotto ore la città sarà occupata dagli inglesi, Renato e i suoi commilitoni riusciranno a sfuggire di misura Lettera da casa L’offensiva britannica si è esaurita e Renato e il suo reparto sono nuovamente a Tripoli, da cui erano partiti qualche mese prima, c’è tempo di riprendere fiato e leggere una lettera da casa Link to comment Share on other sites More sharing options...
Guest galland Posted January 29, 2009 Report Share Posted January 29, 2009 Cari genitori... cartoline alla famiglia In guerra bastano poche parole, è la tranquillità che il proprio caro sia ancora vivo ... Link to comment Share on other sites More sharing options...
Guest intruder Posted January 29, 2009 Report Share Posted January 29, 2009 (edited) Non crederai, ma è quasi la stessa calligrafia di mio padre, soprattutto le "g". Forse allora a scuola insegnavano così e non lasciavano spazio ai personalismi. Sua madre, che non ho mai conosciuto perché è morta prima che io nascessi, conservava come una reliquia la prima cartolina POW che aveva ricevuto dagli USA, per mesi non avevano saputo nulla, convinti fosse morto benché gli americani avessero notificato i nomi degli aviatori catturati alla Croce Rossa Internazionale, ma le cose, in Italia, andavano così, allora come oggi. E a Bologna, a quanto so, non c'erano nemmeno i preti medium. Edited January 29, 2009 by intruder Link to comment Share on other sites More sharing options...
picpus Posted January 29, 2009 Report Share Posted January 29, 2009 Grazie, Galland, non ho altro commento da aggiungere! Link to comment Share on other sites More sharing options...
Guest galland Posted January 29, 2009 Report Share Posted January 29, 2009 Qualcosa sfugge sempre, ecco un pezzo pregiato. La cartolina inviata allo scrittore, commediografo e pubblicista Ennio Flaiano abitante nel palazzo ove mia nonna aveva il portierato. Nota bene oggi il ferragosto è legato alle vacanze, ai monti o al mare. All'epoca era, invece, legato all'Assunta. Era uso pertanto - particolarmente a Roma - lo scambio d'auguri, essendo festa solenne dipari al Natale o alla Pasqua. Link to comment Share on other sites More sharing options...
Guest intruder Posted January 30, 2009 Report Share Posted January 30, 2009 Questa del Ferragosto non la sapevo, tieni presente comunque, che Bologna è sempre stata una città profondamente laica, le feste erano solo occasione per far baldoria senza alcun collegamento con la religione. Un mio zio, anni fa, mi raccontava che, anche nei momenti più bui della Seconda Guerra Mondiale, le chiese non erano mai piene come in altre città, e che chi, tornando da messa trovava la casa distrutta da una bomba (gli alleati colpivano spesso di domenica, o durante le varie festività cattoliche, forse di proposito), mandava a quel paese tutti, a cominciare da quello che era appena andato a pregare. Di certo, era comunque un'Italia completamente diversa da quella attuale, ed è stato bene ricordarcelo. Link to comment Share on other sites More sharing options...
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