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    Procedimento Penale Nr 527 84 A GI (Pag 4166-4169) "...1.16. Le dichiarazioni di Milani Enrico. Altre dichiarazioni concernenti la vicenda del MiG23 provengono da colonnello dell’Aeronautica Militare in congedo, tal Milani Enrico. Questo ufficiale, che ha un passato di migliaia di lanci con paracadute e di molteplici azioni di guerra nell’ultimo conflitto mondiale - tra l’altro operazioni su El Alamein e nel Nord della Siria a fini di contrasto, in collegamento con la rete del Gran Muftì di Gerusalemme, da parte delle potenze dell’Asse, di movimenti verso la Siria, la Palestina e l’Egitto dell’VIIIa Armata Inglese di stanza nell’Iraq - ha fatto anche parte dell’equipaggio del velivolo denominato Argo 16, che il 31 ottobre del 73 aveva trasferito dal nostro Paese a Tripoli di Libia i terroristi arabi arrestati il precedente 5 settembre perché trovati in possesso di un lanciamissili Strela e quindi nell’ambito di poche settimane liberati. Egli ha affermato di essere stato convocato il giorno 18 luglio 80 mentre si trovava nella sua abitazione di Sutri, presso la locale Stazione CC. per comunicazioni urgenti. Qui parlò con il generale Terzani, suo ex superiore al Servizio Militare, che gli comunicò che il generale Tascio era alla sua ricerca, e che pertanto doveva mettersi a sua disposizione. A bordo di un’autovettura mandata a Sutri raggiunse il palazzo del SIOS in via Pietro Gobetti, ma qui fu ricevuto in assenza di Tascio, già partito da Ciampino per la Sila, dal suo vice, che lo invitò a ritornare l’indomani, allorché sarebbe stato di ritorno il capo del SIOS. Milani conosceva Tascio da lungo tempo, dal tempo per la precisione in cui egli era stato Aiutante di volo del Presidente della Repubblica. L’indomani, in effetti, ritornato al SIOS, incontrò il “comandante” che subito gli mostrò parti metalliche del velivolo e “carteggio” ovviamente rinvenuto sul luogo di caduta del MiG. I reperti metallici erano parti interne dell’aeromobile ed un frammento della fusoliera, su cui si leggeva la “matricola”. Tutti questi reperti recavano segni di bruciature. Tascio richiese a Milani di analizzarli, in considerazione del fatto che su di essi vi erano scritte in carattere arabo e il Milani è profondo conoscitore di tale lingua. Tra quelli cartacei il colonnello riconobbe in uno di essi i numeri delle tabelle di volo. Vide poi un foglio di carta bruciacchiato contenuto in un frammento di busta lacerata. Su di esso apparivano segnate a mano delle scritture in arabo, che, con buona approssimazione, recitavano, in una sorta di riconoscimento di colpe, “Io sottoscritto pilota Khalil colpevole dell’abbattimento e della morte di tanti...”. Di tale scritto l’anziano ufficiale dette anche una spiegazione a Tascio; il pilota cioè, secondo lui, conoscitore oltre che della lingua araba anche della mentalità maomettana, manifestava con quello scritto la volontà di espiazione di una grande colpa con gesto suicida coerente ai dettami del Corano, e in obbedienza ad ordine impostogli dai vertici del regime del suo Paese. Il Milani ha anche aggiunto che la “matricola” sulla lamiera era composta da due numeri, l’uno in cifre arabe collocato a destra, per chi leggeva e l’altro in cifre occidentali a sinistra. Mostrategli, infine, le carte, in giudiziale sequestro, acquisite sul luogo di caduta del MiG, tutte in lingua araba, non le ha riconosciute come quelle che gli furono mostrate da Tascio. (v. esame Milani Enrico, GI il 29.01.97). Carteggio rinvenuto al S.I.S.MI, di palese grafia del colonnello D’Eliseo, all’epoca capo dell’ufficio del Direttore, conferma la vicenda della convocazione del Milani al SIOS tramite S.I.S.MI, ma colloca temporalmente il fatto in tempi di poco diversi. La prima ricerca di interprete di lingua araba - oltre che di lingua russa, cui provvedeva la Marina con Zolotariof Boris, anch’egli escusso - (vedi esame, GI 09.02.96) - avvenne nelle primissime ore del 19 luglio (sull’appunto è scritto “01.25”). Altro biglietto (datato sempre 19 ad ore 17.20 circa) conferma che la messa a disposizione è per le 20.00 di quello stesso giorno presso il SIOS, che il Milani fu prelevato con automezzo del S.I.S.MI presso la Stazione CC. di Sutri e che giunse al SIOS puntualmente alle 20.00. Conferma a tale dichiarazione viene espressa in un successivo esame, con più precise e nuove circostanze. Egli rammenta che la dichiarazione era più specifica, nel senso che si apriva con la frase “Io responsabile dell’abbattimento del velivolo civile italiano ...”. Rammenta inoltre che quella frase tradotta la riferì soltanto al generale Terzani, il giorno successivo, sempre a luglio, nella sede del Ministero della Difesa-Aeronautica in viale dell’Università, al 4° piano, sede dell’Ispettorato Logistico. Fu proprio costui ad “ordinargli” di prelevare qualsiasi “cosa d’importante” mostratagli o rinvenuta presso Tascio e consegnargliela. Così egli fece. Si impossessò di quel foglietto, senza che Tascio se ne accorgesse - qui egli modifica la precedente versione - e lo consegnò al suo ex superiore. Questi “incamerò” il foglietto, lo ringraziò e gli ingiunse di non parlarne mai con nessuno. Non ha mai parlato con alcun altro del testo di quello scritto. Non sa dire a chi abbia potuto riferire il Terzani. Ritenne l’espressione usata dal pilota coerente con il pensiero mussulmano, giacchè secondo il Corano chi produce morte deve sacrificarsi per il male compiuto; ché altrimenti la responsabilità del malfatto ricadrebbe sulla famiglia e sugli affetti più cari. Egli ben conosce tale mentalità perché di madre siriana. (v. esame GG.II. Roma e Venezia 26.02.97). Tra le carte sequestrate presso il Gabinetto del Ministero della Difesa veniva rinvenuto un appunto a grafia dell’allora capo di Gabinetto, generale De Paolis. In tale foglio intestato al Ministero della Difesa - Capo di Gabinetto, datato 19/7, vergato a mano con grafia del De Paolis, che in tal senso riconosce, e con una sorta di titolo “Ultime” vi si riporta, come detto in altra parte, l’orario preciso al minuto di caduta del MiG e all’ultima riga, oltre ad appunti sul velivolo e sul pilota, la scritta “Documenti molto interessanti: una specie di testamento/dichiarazione”. Il teste riferisce che le notizie contenute in detto appunto gli sono state comunicate con alto grado di probabilità dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica per via telefonica e che i suoi interlocutori sulla vicenda potevano essere stati il Capo, il Sottocapo o i Capi Reparto. Anche se non esclude di poter essere stato contattato, sempre per telefono, da un ufficiale dei CC. del luogo di caduta del velivolo, che già in precedenza - e quindi solo il 18; o Inzolia o Livi - lo aveva chiamato per ragguagliarlo sul cadavere del pilota. Non ha mai letto il documento “testamento/dichiarazione”. Presume che contenesse i motivi che avevano indotto il pilota al comportamento che lo aveva portato a cadere sulla Sila. Aggiunge che in quel testamento ben poteva esserci stata una richiesta di perdono, ma esclude tassativamente che ciò gli fosse stato riferito dalla persona con cui era in contatto ed afferma, a mo’ di giustificazione, che s’è trattato di una sua pura generica illazione”. (v. esame De Paolis Mario, GI Roma, 26.11.97). Convocato nuovamente, il Milani conferma ancora le precedenti dichiarazioni, precisando che di certo, per l’incarico affidatogli, Terzani richiese ed ottenne autorizzazione da Santovito e che a costui probabilmente riferì sull’esito della traduzione. Esso Milani, da parte sua, nulla comunicò al S.I.S.MI, aggiungendo altresì che egli immediatamente associò, allorché lesse il testo del biglietto, “il velivolo civile italiano abbattuto”, al DC9 caduto nel mese precedente. Ribadendo infine che il gesto suicida trovava motivo nell’ossequio ai dettami del Corano al fine di evitare che quella colpa - e cioè aver cagionato la morte di tante persone nel Paese ove egli voleva espiare - ricadesse sulla propria famiglia. (v. esame Milani Enrico, GI Roma, 02.12.97). È difficile poter dire quale fosse l’esatto contenuto di questo scritto. Di certo esso esisteva, ed è stato fatto sparire. Di certo esso conteneva una sorta di invocazione di perdono, e per questo motivo si è temuto che potesse divenire di pubblico dominio. A cosa si riferisse non è però possibile dirlo con certezza. Potrebbe essere una specie di preghiera che ogni buon mussulmano, in particolare se rischia la vita con la sua attività e se tale attività cagiona o ha cagionato morti, porta con sè. Come potrebbe essere uno scritto che ha relazione con i fatti che sono ad oggetto dell’inchiesta...." Non dico altro, perchè se no poi dicono che queste cose le dico io e non l'Inchiesta Ufficiale dello Stato Italiano, su questa vicenda. (il Procedimento Penale Nr 527 84 A GI..) Ciao Libero
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