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  1. Ogni velivolo è figlio del suo tempo e delle sue specifiche, come altri progetti morti strada facendo, ma non senza aver prima drenato risorse che avrebbero fatto comodo agli stitici sopravvissuti nella gara di sopravvivenza del post Guerra Fredda. L’F-22 è sempre stato troppo caccia e troppo estremo per adeguarsi a tempi in cui flessibilità ed efficienza erano importanti. Col senno del poi, 100-150 velivoli in più per gli USA e magari la concessione al Giappone che lo voleva tanto avrebbero consentito una base produttiva maggiore, con relativi costi di produzione e gestione limati verso il basso. Si sarebbero risparmiati un analogo numero di F-15EX oggi richiesti? Forse, ma nemmeno questa sarebbe stata la soluzione ideale, perché l’aereo quello è: non è un camion portabombe-missili, non brilla per autonomia e l’avionica ad architettura chiusa avrebbe comunque ostacolato l’evoluzione cui ambisce qualunque velivolo che si mantiene in produzione a lungo. Forse l’F-23, con le sue stive più profonde e con gli F120 a ciclo variabile si sarebbe adattato meglio agli scenari odierni (Cina inclusa) e avrebbe messo al riparo dalle frenesie odierne di acquistare gli F-15EX per tappare buchi in attesa della sesta generazione (che in effetti è tutt’altro che in sviluppo avanzato visto che siamo presumibilmente a livello di dimostratori tecnologici). Anche qui forse, perché vai a sapere che giungla di problemi avrebbe avuto l’F-23 con quei motori e con la sua avionica.
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