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Joint Strike Fighter: il sottosegretario alla Difesa Crosetto fa il punto


matteo16

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15 Luglio 2010 intervista di Silvio Lora-Lamia fonte Dedalonews

 

«L’accordo-ombrello con Lockheed-Martin e il governo americano necessario ad assicurare alle nostre industrie il massimo ritorno dalla partecipazione dell’Italia al programma Joint Strike Fighter è praticamente nel cassetto. Ogni giorno tracciamo una riga sulla lista dei problemi che hanno fino a qui impedito di acquisire i contratti.» Queste alcune delle dichiarazioni sullo stato del programma JSF reseci di recente da Guido Crosetto, il sottosegretario alla Difesa che ha - tra le altre - la delega a sovrintendere alle iniziative di acquisizione di nuovi sistemi d’arma da parte delle nostre forze armate.

Parlando davanti alla IV Commissione (Difesa) della Camera, nel marzo scorso Crosetto aveva espresso insoddisfazione per lo scarso livello di lavoro assegnato alle nostre società e parallelamente di tecnologie rilasciate dagli Stati Uniti nell’ambito della nostra partecipazione al programma, un livello «inadeguato rispetto agli investimenti fatti finora». Aveva spiegato che erano state fatte precise richieste in merito al Governo USA e a Lockheed-Martin, senza tuttavia ottenere risposte adeguate. «Molto recentemente», riferisce ora il sottosegretario, «in risposta alle forti pressioni esercitate dal governo italiano, sono state avviate delle iniziative da parte americana che voglio interpretare come passi in avanti per il riconoscimento di quelle che ritengo legittime aspirazioni da parte del nostro Paese.» Insomma le risposte a quelle richieste sono arrivate, anche se, tiene a sottolineare Crosetto, "«gli accordi devono andare oltre le attuali dichiarazioni di intenti per scendere nella definizione di dettaglio di chi farà cosa e in che misura». In effetti molte aziende italiane competitive per esempio nei prodotti di eccellenza dell’elettronica militare (radar, sensoristica IR, sistemi di guerra elettronica e Communication, Navigation e Information integrati) sono ancora a bocca asciutta.

Oggi l’obiettivo di un offset industriale complessivo del 70% è più vicino, sostiene il sottosegretario, un obiettivo che beninteso va riferito ad attività produttive spalmate nell’arco di una ventina di anni e che potrebbe pure essere superato se, oltre agli oltre 3.000 F-35 delle tre versioni chiesti dagli USA e dai loro otto partner, Lockheed-Martin riuscisse a venderne altri attraverso le procedure Foreign Military Sales. A questo proposito circolano da mesi analisi che predicono per il JSF un mercato potenziale globale fino a 6.000 esemplari. A trarre vantaggi da questa prospettiva, contribuendo per prima a portare quell’offset oltre il 70%, sarebbe innanzi tutto la linea di assemblaggio finale e check-out e più avanti di manutenzione e upgrade (FACO/MRO&U) di Cameri. Questa sta ora cominciando a muovere i primi passi dopo l’assegnazione dell’appalto per la costruzione dei capannoni (compreso l’edificio riservato agli americani per i trattamenti legati alla bassa osservabilità) alla società veneta Maltauro. Questa vanta già esperienza in materia avendo già lavorato alla ristrutturazione di alcuni hangar della base di Aviano.

Insomma da marzo qualche progresso si è fatto. «Passo dopo passo si stanno ammorbidendo i meccanismi di assegnazione dei contratti ai vari fornitori», annuncia Crosetto, non nascondendo di aspettarsi che «tali ammorbidimenti vengano fatti valere oltre che per le società americane, anche per le nostre.»

A condizionare l’assegnazione delle forniture per i vari lotti di produzione in serie dell’aereo da attacco stealth di LM (fino al 2015-2016 i LRIP annuali a basso rateo, che saranno in tutto otto o nove, poi a seguire quelli della produzione full-rate, che verrà regolata da contratti pluriennali) ci sono anche varie possibili economie di scala. Avendo per esempio già assegnato ad Alenia Aeronautica la produzione di 1.200 set completi di ali (per le quali «dovranno nell’immediato essere finalizzati i relativi contratti strategici», osserva Crosetto), è lecito aspettarsi che per ulteriori fabbisogni Lockheed-Martin si rivolga ancora agli impianti di Foggia e Nola. Questi finora hanno proceduto a fabbricare e sub-assemblare, oltre ai "test article" preliminari, solo vari elementi della struttura alare per parte del LRIP 3, mentre la prima ala completa, destinata al primo F-35 italiano, uscirà solo nel 2014.

Resta il fatto che le società italiane (salvo rare eccezioni, come Aerea spa, specializzata in sistemi di aggancio dell’armamento e tanto attiva sul mercato da aver aperto propri uffici negli States) lamentano grosse difficoltà in tema di liability dell’intero ciclo di sviluppo-produzione-impiego delle componenti oggetto dei contratti (liability che le costringe a ricorrere a onerose coperture assicurative); poi per l’obbligo, in quanto sub-contraenti, di munirsi delle certificazioni industriali americane (a questo proposito alcuni hanno osservato come, di fatto, di internazionale il programma F-35 abbia ben poco); infine riguardo le limitazioni intrinseche a ogni commessa che segua logiche non pluriennali. Anche qui il sottosegretario alla Difesa usa il metro del bicchiere mezzo pieno. «Quelle che oggi appaiono come minacce alla partecipazione industriale italiana, possono essere lette come altrettante opportunità di crescita e di un significativo cambio di mentalità. Per quanto apparentemente complesso e artificioso, il sistema USA costringe le nostre aziende a misurarsi con la propria capacità di allineare gli standard organizzativi e produttivi con quelli delle migliori realtà del settore su scala mondiale. Sarà una sfida che stimolerà un processo di crescita che, unito all’elevata competenza imprenditoriale e tecnica italiana, potrà aprire opportunità commerciali ben oltre l’esperienza, già di per sé decisamente significativa, del JSF.» Concetti e prospettive interessanti che al tempo stesso adombrano un trend sul quale probabilmente bisognerà riflettere: alla progressiva rinuncia a una creatività capace di aggregare, seguirà l’abbandono di logiche di partecipazione in qualità di soggetti industriali "primi inter pares" tipiche dei grandi programmi industriali europei.

Qualche incertezza resta in ogni caso per il motore dell’F-35. Crosetto spiega che «allo stato attuale la soluzione offerta dal consorzio FET [che raggruppa General Electric e Rolls-Royce per lo sviluppo e la produzione dell’F136, il propulsore alternativo all’F135 di Pratt & Whitney fortemente osteggiato dall’amministrazione USA; ndr] risulta, in termini di partecipazione industriale, sicuramente quella più vantaggiosa per l’Italia. Tuttavia, anche nel caso dell’F135 esistono opportunità di un coinvolgimento comunque non trascurabile per le aziende italiane. Non va poi dimenticato,» prosegue, «che la misura dei ritorni industriali dipende non solo dalla quota di lavoro percentuale, ma anche dal numero complessivo di motori F135 e F136 ordinati, e questo è ancora un dato molto incerto, dipendendo da scelte tecnico-operative che saranno operate individualmente dai paesi partner nel corso della produzione di serie. Sebbene nella scelta italiana del motore per i propri F-35 il ministero della Difesa terrà conto dei pareri dell’Aeronautica Militare e della Marina Militare, l’accordo industriale esistente fra FET e la nostra Avio circa i termini di partecipazione di quest’ultima alla produzione e manutenzione del motore F136, particolarmente interessante in termini tecnologici e di volumi produttivi, non potrà non essere un fattore nella scelta del propulsore per i JSF italiani.»

Quanto alla gestione e all’impiego operativo dei velivoli, ufficiali di Segredifesa e delle due forze armate proseguono negli USA i colloqui con le autorità statunitensi per definire i termini della logistica e prima ancora della "sovranità" tecnico-operativa dell’aereo, in gran parte appannaggio degli USA. Riguardo il livello di "degradazione" delle capacità dei velivoli destinati ai paesi partner di cui si va parlando da tempo, il Sottosegretario chiarisce che «inizialmente ci saranno velivoli che esprimeranno la stessa capacità operativa per tutti i partner. Le consegne successive avranno standard operativi progressivamente più sofisticati, cui i velivoli iniziali saranno successivamente adeguati. Le intrinseche capacità di crescita delle caratteristiche davvero uniche dell’F-35 consentiranno di incrementare le sue prestazioni e capacità operative.»

Circa il prezzo del velivolo, «le oltre 3.000 unità previste dai nove partner portano a un costo unitario medio per tutte le versioni di circa 65 milioni di dollari, riferito alle condizioni economiche 2002, anno di riferimento finanziario perché coincide con l’avvio della fase di sviluppo. Le già previste vendite ad altri paesi dovrebbero permettere di abbattere ulteriormente i prezzi e di recuperare parte dei costi sostenuti attraverso il meccanismo delle royalties.»

Sull’altra sponda dell’Atlantico le idee sul costo dell’F-35 appaiono meno chiare, almeno per quanto riguarda le prime centinaia di aerei prodotte nell’ambito dei lotti a basso rateo di produzione, la gran pare dei quali andranno all’USAF, alla US Navy e all’US Marine Corps. Gli organi del Dipartimento della Difesa preposti a valutare i vari programmi danno alcune cifre, il Congresso altre, il Government Accountability Office altre ancora. Da parte sua Lockheed-Martin intende offrire al Pentagono parte o tutti gli F-35 del LRIP 4, attualmente oggetto di trattative contrattuali, al 20% in meno rispetto al costo stimato dal Dipartimento della Difesa. I primissimi aerei destinati al nostro Paese dovrebbero appartenere a uno degli ultimi LRIP, probabilmente al 6°, ma al riguardo nulla è ancora stato stabilito in via definitiva, come del resto gli stessi ordinativi per gli aerei.

Aeronautica e Marina, assicura Crosetto, con buona volontà appianeranno le divergenze che nascono in particolare dallo schierare entrambe lo stesso modello di JSF, la versione F-35B a decollo corto e atterraggio verticale, destinato a sostituire gli AV-8B Harrier II della Marina e gli AMX dell’Aeronautica Militare.

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