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Omaggio a Luigi Ferraro


Ospite galland

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Ospite galland

Riporto dal volume dell’Ufficio Storico della Marina Militare “"I mezzi d’assalto"”

pag. 252/256 le gesta del Comandante Luigi Ferraro, nuotatore Gamma della X MAS.

 

Lo faccio sia perché la memoria delle imprese marinaresche è poco o punto presente nel forum sia per un fatto meramente personale: ho avuto modo di conoscere Il Comandante Ferraro pochi anni prima della morte, avvenuta in età veneranda. Debbo dire di aver percepito in Lui una qualità preminente: quella di non palesare nessun senso di distacco e superiorità, era una persona semplice che parlava senza enfasi delle Sue imprese. In un’epoca in cui anche “il mestiere delle armi” è divenuto un lavoro come gli altri con straordinari, trasferte, aspettative e quant’altro ricordare quest’Uomo è parlare di un Uomo non comune. Certo quando con una cassetta di esplosivo sulle spalle si avvicinava a una nave nemica non pensava a medaglie o riconoscimenti e neppure a una successiva causa di servizio.

 

« OPERAZIONE STELLA » NEI PORTI TURCHI DI ALESSANDRETTA E MERSINA.

Più fortunati degli attacchi di Vianello e Nizzi nel porto di Huelva risultarono quelli condotti dal tenente di artiglieria di complemento Luigi Ferraro il quale, arruolatosi nella X e rivelatosi nuotatore di prim'ordine, riuscì, operando solitariamente nei porti turchi di Alessandretta e di Mersina, ad attaccare quattro piroscafi, provocando la perdita totale o parziale di 24.000 tonnellate di naviglio mercantile nemico.

Prima di essere inviato in Turchia, il tenente Luigi Ferraro aveva ricevuto, nel gennaio 1943, l'incarico di operare contro il porto di Tripoli non appena questo fosse stato riattivato dalla Marina britannica.

Il singolare gruppo di « Gamma » formato da Ferraro, dalla consorte di quest'ultimo e dall'elettricista Filippo Velardi, avrebbe dovuto attendere che l'ormai imminente capitolazione di Tripoli avvenisse, celandosi nella stessa capitale libica. Il progetto non venne però attuato perché l'occupazione di Tripoli, avvenuta il 23 gennaio, non consentì al comando della X né di preparare adeguatamente il gruppo né di metterlo in condizioni di operare.

Da informazioni pervenute in quel periodo risultava che nei porti turchi di Alessandretta e Mersina andava svolgendosi un intenso traffico di mercantili inglesi o comunque al servizio degli Inglesi che vi caricavano minerale di cromo, metallo essenziale per la produzione bellica. L'idea di portare l'offesa della X in quella zona del Mediterraneo decisamente eccentrica rispetto al teatro di operazioni navali italiano, passò in breve dalla fase di progetto (« Operazione Stella ») a quella di realizzazione e la scelta per operare nei sorgitori turchi cadde proprio su Ferraro che aveva ricevuto istruzioni di massima dal comandante Borghese per un suo prevedibile impiego a Lisbona.

La messa in scena per consentire a Ferraro di operare nei porti turchi avvalendosi di una « copertura » efficace e tale da non destare alcun sospetto nell'avversario, fu necessariamente più complessa di quella messa in atto in altre occasioni per favorire l'introduzione di operatori « Gamma » nel territorio di paesi neutrali.

Pertanto, ai primi di giugno del 1943, il tenente Luigi Ferraro, debitamente munito di passaporto diplomatico e con una lettera di presentazione del Ministro degli Esteri diretta al console italiano ad Alessandretta, Ignazio di Sanfelice, si presentava al suo « superiore » per assumere servizio in quella sede con compiti speciali. L'esenzione diplomatica dalle visite doganali dei bagagli, consentì a Ferraro di portare con sé quattro pesanti valigie contenenti non solo il completo corredo di operatore Gamma ma perfino i bauletti esplosivi che l'intraprendente « diplomatico » si riprometteva di applicare agli scafi dei mercantili nemici.

Per circa un mese Ferraro, avvalendosi della collaborazione del cancelliere del consolato Giovanni Roccardi (in realtà tenente di vascello del servizio segreto della Marina e ideatore della speciale operazione organizzata dalla X in Turchia) studiò accuratamente la possibilità di attaccare i piroscafi che frequentemente si ancoravano in rada per effettuare le operazioni di carico del minerale di cromo.

Contemporaneamente Ferraro riusciva a convincere amici e nemici che il nuovo impiegato del consolato italiano ad Alessandretta, non solo non sapeva nuotare ma provava una autentica avversione per l'acqua.

La sera del 30 giugno, però, Ferraro, sempre aiutato validamente da Roccardi, indossa la tenuta da sommozzatore, fissa alla cintura due bauletti ed entra silenziosamente in acqua. La vittima designata è il piroscafo greco Orion di 7.000 tonnellate, al servizio dei Britannici, ancorato a 2.300 metri dalla riva. Ferraro, che come abbiamo detto è uno dei migliori nuotatori della X, compie la traversata in maniera perfetta; guadagna la zona di ancoraggio dell'Orion e, sfidando la luce dei proiettori di bordo e delle sentinelle che passeggiano sul ponte della nave, si immerge sotto la carena del mercantile. Fissati i bauletti alle alette di rollio, sfilati gli spilli di sicurezza, Ferraro si disimpegna senza contrasto e riesce a ritornare a riva alle 04.00 del mattino. Giova, a questo punto, ricordare che i bauletti esplosivi erano dotati di una piccola elica che veniva azionata solamente quando la nave attaccata, uscendo in mare aperto, navigava ad una velocità di almeno cinque nodi. Lo scoppio dell'ordigno poteva avvenire soltanto se e quando la piccola elica aveva compiuto un prestabilito numero di giri, corrispondenti ad alcune miglia di percorso della nave. In tal modo la nave minata affondava in mare aperto e ciò induceva l'equipaggio a credere che l'offesa fosse dovuta a siluramento di sommergibile o ad urto contro mina.

Fu appunto questa la versione che diedero i superstiti dell'Orion quando il piroscafo, ultimato il carico e lasciato il porto di Alessandretta sette giorni dopo l'azione di Ferraro, affondò in mare aperto piuttosto celermente anche a causa del suo pesante carico.

L'8 luglio Ferraro e Roccardi apprendono che nel vicino porto di Mersina è ancorato il piroscafo Kaituna di 10.000 tonnellate per il consueto carico di minerale di cromo. Il 9 i due partono alla volta di Mersina e alloggiano nel consolato italiano che, al pari di quello di Alessandretta, è prossimo al mare. La sera stessa Ferraro rinnova il suo attacco. Due giorni dopo il Kaituna salpa e, appena al largo, si verifica una esplosione in chiglia: purtroppo uno dei bauletti fa cilecca. Il grosso mercantile può pertanto essere portato ad incagliare sulla costa di Cipro evitando di affondare in acque profonde. Ricuperato e rimorchiato in bacino, il Kaituna rivela agli Inglesi il bauletto inesploso e ancora applicato ad una aletta di rollio. Quando però il servizio di sicurezza britannico può dare l'allarme, Ferraro ha già effettuato altri due attacchi.

6. FERRARO CONCLUDE LA SUA MISSIONE IN TURCHIA.

La sera del 30 luglio 1943 Ferraro e Roccardi sono nuovamente a Mersina. Obiettivo: il piroscafo inglese Sicilian Prince di 5.000 tonnellate.

Nella relazione stesa da Ferraro sulle sue azioni nei porti turchi si può leggere:

« Mi rendo conto della ubicazione del bersaglio e, alle 22.00, indossata nel consolato quasi tutta l'attrezzatura, ricoprendomi con una veste da camera, scendiamo sulla spiaggia per il bagno serale. Roccardi mi aiuta nel trasporto dei bauletti e nelle operazioni finali di vestizione. Alle 22.45 inizio l'azione. Dopo circa 500 metri mi pare di udire in vicinanza dei rumori. Mi fermo, ascolto, e sento nell'oscurità, vicinissimo, il potente soffio d'un grosso bestione. Contro luce potrò poi accertare trattarsi di due grossi animali che si tuffano e sbuffano a due metri da me. Più di una volta li ho visti decisamente puntare sulla mia persona e ho sentito sotto di me lo spostamento dell'acqua prodotto dai loro colpi di -coda. Ho cercato più volte di spaventarli e colpirli col coltello, ma inutilmente, perchè con meravigliosa costanza si sono sentiti in dovere di accompagnarmi per quasi tutto il percorso. Giungo sul bersaglio, che dista dal punto di partenza circa 4.000 metri, alle 02.00 ».

Ferraro ripete la consueta manovra di attacco applicando i bauletti alle alette di rollio del mercantile: alle 04.00 è di nuovo a terra e dopo poche ore rientra inosservato con Roccardi ad Alessandretta.

Il Sicilian Prince sfugge tuttavia alla sua sorte perchè una ispezione in carena consente di rimuovere in tempo i bauletti esplosivi.

Non evita invece l'affondamento la motonave norvegese Fernplant di 7.000 tonnellate che si presenta il 1° agosto nel porto di Alessandretta per effettuare il suo carico di cromo. La sera stessa Ferraro torna all'attacco utilizzando la quarta ed ultima coppia di bauletti che ha portato con sè dall'Italia. Nelle prime ore del pomeriggio del 2 il Fernplant salpa, ma poco dopo rientra in porto. Ferraro e Roccardi vedono ricomparire il mercantile con vero sgomento temendo che l'esplosione in porto della nave possa provocare un grave incidente diplomatico con la neutrale Turchia che ha ormai assunto un atteggiamento molto guardingo verso l'Asse.

Scrive al riguardo Ferraro nella sua relazione:

« Immaginabile il nostro raccapriccio e le preoccupazioni per ciò che stava per accadere. Rassegnati, attendiamo l'ora della

esplosione che dovrebbe avvenire verso mezzanotte. Giunta l'ora, fissiamo con ansia il bersaglio, ma con nostra incredula sorpresa i minuti passano e nulla avviene. Pensiamo che solo molto tempo dopo la partenza la nave abbia raggiunto la velocità necessaria alla smobilizzazione delle elichette dei congegni esplosivi, quindi cessiamo l'osservazione. Il mattino seguente, appena giorno, mi precipito ad osservare l'accaduto, convinto di vedere la nave sbandata e arenata in qualche punto della costa. Distinguo invece la sua sagoma, perfettamente in ordine, al suo ancoraggio. Ciò in cui non osavo sperare era avvenuto: la nave, nella sua uscita, non aveva raggiunto la velocità necessaria. E' stato un grande sollievo quando, alle 18.00 del 5, l'abbiamo vista lasciare il porto ! »

Il destino della motonave si compì al largo della Siria: il Fernplant si inabissò e non lasciò tracce pericolose.

L'azione del 2 agosto fu l'ultima effettuata da Ferraro che aveva ormai utilizzato tutti i bauletti della sua dotazione. D'altro canto, il console italiano di Alessandretta era stato finalmente messo a parte dello « speciale incarico » del suo eccezionale collaboratore e temeva eventuali, possibili complicazioni con le autorità turche. Ferraro rimpatriò pertanto pochi giorni dopo « per motivi di salute » concludendo la sua avventurosa missione in Turchia.

Modificato da galland
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Da poco ci ha lasciato l'Ammiraglio di Squadra M.O.V.M. Gino Birindelli; dai uno sguardo al topic al seguente link:

 

http://www.aereimilitari.org/forum/index.php?showtopic=8713

 

 

Sinceramente ti devo confessare che ho vissuto e pianto la sua scomparsa come quella di un familiare prossimo: conoscevo le sue imprese, la sua forte personalità, il suo modo di pensare.

 

Come già scritto nel topic predetto, consiglio a tutti la lettura del suo stupendo libro "Vita di marinaio".

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Galland, ora tocca a me farti una sorpresa che, spero, gradirai!

 

Eccoti un video dedicato alla Decima Flottiglia MAS:

 

http://www.megavideo.com/?v=HPAJ8R8Y

 

 

P.S. Ovviamente il tuo gradimento, a mio parere, potrà riguardare solo la presenza nel video dell'illustre personaggio a cui è dedicato il topic e l'interesse storico, in generale, delle vicende narrate.

Modificato da picpus
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ho letto questo topic,su un messaggio di picpus,e mi sono molto interessato.

 

so di andare OT però volevo specificare,che la X° Flottiglia M.A.S combatteva per l'onore d'Italia,non per la Repubblica di Salò,o per il Fascismo o per Benito Mussolini,ma solo per ridare all'Italia l'Onore che il fascismo aveva tolto.

 

chiedo scusa per OT,ma ci sono molte persone che ritengono la X° M.A.S,solo un corpo militare pieno di cani fascisti.....invece nella X° M.A.S ci sono più eroi(a partitre da Junio Valerio Borghese)che in tutta la guerra,loro combattevano per far vedere anche che c'erano ancora uomini(non cani fascisti),che volevano combattere per il proprio PAESE,e non per un UOMO

 

volevo segnalare un link interessante:Storia della X° Flottiglia M.A.S

 

chedo ancora scusa per OT!!

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ho letto questo topic,su un messaggio di picpus,e mi sono molto interessato.

 

so di andare OT però volevo specificare,che la X° Flottiglia M.A.S combatteva per l'onore d'Italia,non per la Repubblica di Salò,o per il Fascismo o per Benito Mussolini,ma solo per ridare all'Italia l'Onore che il fascismo aveva tolto.

 

chiedo scusa per OT,ma ci sono molte persone che ritengono la X° M.A.S,solo un corpo militare pieno di cani fascisti.....invece nella X° M.A.S ci sono più eroi(a partitre da Junio Valerio Borghese)che in tutta la guerra,loro combattevano per far vedere anche che c'erano ancora uomini(non cani fascisti),che volevano combattere per il proprio PAESE,e non per un UOMO

 

volevo segnalare un link interessante:Storia della X° Flottiglia M.A.S

 

chedo ancora scusa per OT!!

Concordo in pieno con il senso del tuo intervento!

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Ospite galland

Avrei voluto scrivere queste note qualche giorno fa ma, nelle more delle cento discussioni e topic del forum non l’ho fatto. Recupero il tempo perduto perché lo ritengo più che opportuno necessario.

La X MAS è, certamente, un icona della destra. Lo è per un complesso di motivi abbastanza ovvi e trasparenti: l’ardimento di chi batte il nemico con mezzi impari, l’audacia di azioni spericolate (quelle di Ferraro ne sono un’esemplificazione), non ultimo la figura carismatica di Borghese che, è bene rammentarlo, NON aderì né partito fascista dei venti anni né a quello dei venti mesi. Borghese è stato descritto come un capitano di ventura rinascimentale ma questo non lo considero esatto: basti avere nozione dell’abile atto politico con cui siglò un autonomo accordo con i tedeschi, unici reali decisori dei destini della parte d’Italia rimasta, dopo l’otto settembre, sotto il controllo nominale della RSI; ovvero delle sue iniziative politiche del dopoguerra quando sottoscrisse, con un essenziale affidavit, il libro del filosofo di destra Julius Evola “Gli Uomini e le rovine” che intendeva fornire indirizzo alla destra radicale o altrimenti al ruolo giocato dal “Fronte Nazionale”, da lui diretto, nella rivolta di Reggio Calabria del luglio 1970, spesso sottovalutato, se non ignorato.

Sempre non casualmente l'emblema più noto e famoso della X non è quello ante otto settembre (recante un MAS navigante) ma quello dei venti mesi (con un teschio con in bocca un fiore, che riprende la strofa conclusiva dell’inno del reparto); simbolo che intende riallacciarsi, peraltro, ai simboli e allo stile degli Arditi della Grande Guerra, nonché al fascismo movimentista.

E’ necessario altrimenti osservare che la seconda guerra mondiale fu una guerra ideologica, a differenza di quella combattuta venticinque anni prima, che invece fu essenzialmente di nazioni.

Patente dimostrazione di questo carattere fu la presenza in tutti gli eserciti combattenti di reparti d’avversari che per differenti ragioni avevano ritenuto legittimo disertare (l’Atamano Krasnoff e il generale Vlassov passati dai sovietici ai tedeschi, o Paulus e Von Seydeliz che compirono l’opposto percorso o le decine di migliaia di cosacchi e caucasici passati alle file tedesche ed impiegati in Carnia in funzione antipartigiana, i Nisei - americani d’origine giapponese - che combatterono nelle file dell’esercito USA nella campagna d’Italia)questo carattere sovranazionale e ideologico (le stesse Waffen SS erano composte da volontari di non meno di dieci differenti nazioni fra cui 50mila musulmani) vide, per contro, l’esercito italiano come il meno ideologizzato fra quelli belligeranti ed il richiamo all’ideale di Patria (che aveva permeato la precedente guerra combattuta quale IV guerra d’indipendenza, per la realizzazione dell’unità nazionale) senz’altro di incerta presa. Un forte mordente ideologico fu possibile solo per formazioni d’elite ovvero per i reparti della Milizia.

Per l’odio che permea i pronunciamenti nei confronti della X ritengo opportuno venga soppesato un elemento: il concetto di “guerra civile” richiede fra le parti combattenti un livello d’odio e di ferocia ancora più intenso che in una comune guerra che veda contrapposte differenti nazioni.

Il grande giornalista e scrittore americano dell’ottocento Ambrose Birce nelle sue “Storie di soldati”, narranti episodi della guerra civile americana - che ebbe in destino di combattere - descrive esattamente il carattere di una guerra fratricida: il figlio unionista che uccide il padre confederato; l’artigliere che non esita a distruggere la sua stessa casa per colpire il nemico, uccidendo moglie e figlia, e così via. E questi si badi, non sono esagerazioni mordaci ma fatti ben reali, rese ancor più drammatiche da una circostanza essenziale: i combattenti, terminato il conflitto con un immancabile vinto e un altrettanto immancabile vincitore non potranno che rimanere nello stesso territorio e dovranno, inevitabilmente, ricreare la casa comune che entrambe hanno distrutto nella foga della lotta; compito invero terribile.

Per questa ragione, a mio parere, nel dopoguerra molto si parlò, in forma sovente retorica e ridondante di resistenza e per nulla di guerra civile (come venne fatto molti lustri dopo nel titolo del bel libro di Claudio Pavone).

In ultimo mi permetto d’infirmare l’immagine di chi combatté per la RSI come il salvatore dell’onore d’Italia, infangato dall’armistizio di Cassibile; oltre la subalternità di cui ho parlato in apertura basti considerare che i tedeschi avevano assunto e realizzato la decisione politica di smembrare il nord Italia in una serie di stati cuscinetto ove la sovranità di Salò risultava appena nominale. L’Alpenvorland e l’Adriatiskekusterland non rappresentavano semplicemente due aree operative dell’esercito germanico ma aree geopolitiche assoggettate al controllo delle autorità del Reich. Pertanto un’ipotetica - e impossibile - vittoria germanica non avrebbe portato che ad un’Italia letteralmente mutilata.

Sulla base di un così severo giudizio mi si potrebbe chiedere perché ho voluto aprire un topic in ricordo di un combattente della X Mas: l’ho fatto perché non ho visto in Lui nessun odio o animosità, nessuno dei sentimenti negativi a cui ho accennato. Anzi un piuttosto un senso di tranquillità e fermezza, di chi combatte, come giustamente scrisse un grande guerriero, una guerra senz’odio.

 

Compio una modifica aggiuntiva al post: segnalando il sito ufficiale a Luidedicato:

 

http://www.luigiferraro.it/

 

e accludendo un passo da un libro dedicato alle imprese guerresche della X MAS ed inserito nel prefato sito:

 

Perduta la guerra, Ferraro ne continuò un'altra, fino alla sconfitta finale nel 1945, senza uccidere mai nessuno, senza mai sparare un colpo contro altri italiani e anzi, d'accordo coi partigiani che in teoria erano suoi nemici, salvando uomini e importanti insediamenti industriali dalla rappresaglia nazista.

Il Gruppo “Gamma” “Licio Visintini” cui Ferraro apparteneva non si sciolse l’8 settembre 1943 e passò interamente alla R.S.I. Dal novembre 1943 fu a Valdagno (Vicenza). Nel gennaio 1945 il «Gruppo Gamma» fu suddiviso in diverse Squadre, che avrebbero dovuto operare al di là delle linee per effettuare sabotaggi a mano a mano che il fronte avanzava. Nell'aprile del 1945 alcune di queste Squadre erano già dislocate nelle zone in cui si prevedeva che dovessero operare. A Valdagno era rimasto il Comando con Ferraro ed una quarantina di uomini. Il Comandante Wolk aveva ricevuto altro incarico e si era trasferito a Venezia.

Nella zona agiva una brigata partigiana denominata «Stella », che non attaccò mai gli alloggiamenti dei «Gamma », ma anzi stabili con Ferraro ed i suoi uomini un modus vivendi, richiedendo spesso l'intervento diretto del Comandante della «Decima» nei riguardi dei tedeschi per evitare inutili distruzioni e morti. Racconta in proposito Ferraro:

«Il 26 aprile arrivarono il segretario comunale e due responsabili del C.L.N. dicendo: "I poteri sono passati dalla Repubblica Sociale ai C.L.N.; avremmo bisogno di lei [ ... ] c'è una colonna tedesca che vuole far saltare il ponte e gli stabilimenti". Risposi che io ero e rimanevo la più alta autorità militare del paese, per cui, per salvare il ponte e gli Stabilimenti Marzotto, sarei intervenuto personalmente per far defluire la colonna tedesca da Valdagno, senza difficoltà però da parte partigiana.

Andai a trattare. La colonna voleva passare attraverso Valdagno ed io volevo garanzie da parte del C.L.N. per impegnarmi con i tedeschi.

In divisa della "Decima", il giorno dopo la liberazione andai dunque in paese. Cercavo dei capi partigiani validi, ma ognuno asseriva di essere un capo partigiano. Finalmente, nel centro del paese di Valdagno trovai due tipi che mi davano maggiore affidamento. Stessi discorsi, stesse promesse.

Tornato poi dal Comandante della colonna, un capitano tedesco e fornitogli le assicurazioni avute, questi mi disse: "Lei deve seguirmi". Io ero in motocicletta. Il capitano, con la pistola puntata su di me, mi segui insieme con la colonna. Tutto andò bene e Valdagno fu superata senza conseguenze. Fuori del paese, salutai e me ne tornai indietro.

Questa storia è durata una quindicina di giorni. Una volta, una colonna tedesca, invece di fermarsi nei pressi di Valdagno, decise di fermarsi a Cernedo, 5 chilometri prima della cittadina. Arrivò un ufficiale con un interprete di Trieste, dicendo che intendevano prendere un certo numero di ostaggi. La discussione durò parecchie ore. Dalla boscaglia, nel pomeriggio, parti un crepitio di fucileria. Ci fu un enorme allarme fra i tedeschi. Un maresciallo mi puntò un mitra sul petto; glielo strappai di mano e mi misi ad urlare imprecazioni contro di lui e contro tutti. Giunse l'ufficiale di corsa, un maggiore, e con tono dimesso mi disse che era disposto a credermi, ad accettare i miei suggerimenti. "Andate per Vicenza e prendete la valle di Schio".

Mi seguirono, il maggiore con tutta la colonna. Li precedevo, come al solito, in motocicletta. Poi ci salutammo. All'ultimo momento, il maggiore mi disse: "Lei resta, noi dobbiamo andare [ ... ] mi regali la moto, serve più a noi". Gli regalai la moto, poi mi resi conto che mi trovavo a 5 chilometri da Valdagno ed ero solo con un marinaio. A Valdagno ero addirittura protetto dal C.L.N., ma lì no di sicuro. Andammo quindi nel fiume e ritornammo in città per quella via.

Intanto, giornalmente mandavo via, uno ad uno, i marinai del Gruppo, muniti di salvacondotto della brigata "Stella". Rimasi alfine solo con alcuni sottufficiali. Un giorno, per evitare il passaggio dei tedeschi, i partigiani mi dissero che volevano far saltare il ponte, ma io mi opposi. Sarebbe stato un gravissimo errore. "Lo mino io stesso - dissi loro - ma salterà solo se sarò tirato per i capelli". Andai con i miei sottufficiali e minai il ponte, tenendomi pronto a far esplodere le mine. "Se i tedeschi mi passano per le armi - ordinai al C.L.N. - procedete al brillamento, altrimenti resta tutto così". I tedeschi passarono ancora ed il ponte fu salvato.

In un dato giorno, nella seconda metà del mese di maggio, qualcosa cambiò nei miei confronti. Il Comando della brigata "Stella" mi fece sapere che aveva deciso di trasferirmi a Valdagno di Sopra, dove c'era una marmaglia pericolosa. "Niente affatto - risposi - non ho niente in comune con quelli. Mi avete cercato, mi avete chiesto di collaborare e l'ho fatto. Se è cosi, allora rientro in caserma". Altro cambiamento. Allora parlarono di salvacondotto: doveva essere la conclusione logica.

«Tutto il materiale della Marina lo inviai a La Spezia, dove fu regolarmente consegnato. Il restante materiale lo consegnai all' Amministrazione comunale. Alla fine, rimasi veramente solo, dopo avere mandato a casa il personale gradualmente. Alla fine di maggio, quando tutto fini, ci siamo abbracciati e salutati e sono partito per Bergamo ove risiedeva la mia famiglia.

Quando tutti gli uomini erano già alle loro case, cominciai a sentire notizie che ne avevano arrestato uno qua, uno là. Andai allora a Venezia al Comando alleato per fare le mie rimostranze. Da quel Comando furono inviati dispacci a tutte le polizie, per cui gli arrestati vennero immediatamente rilasciati».

Il 27 maggio giunsero a Valdagno il Capitano di Corvetta Lionel Crabb, famoso «uomo-rana» della Royal Navy ed il Maggiore Antony Marzullo, della U.S.Navy, che proposero a Ferraro una collaborazione con le forze navali alleate nella guerra contro il Giappone. Ferraro ringraziò per l’offerta ma rifiutò.

 

Sergio Nesi “Decima Flottiglia Nostra” Editore Mursia, Milano

 

 

Ritengo pertanto che quella di Luigi Ferraro possa qualificarsi come una nobile e coraggiosa figura di Italiano, alla cui memoria si possa rendere onore a prescindere dalla differente parte politica di ciascuno.

Modificato da galland
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Condivido il tuo post galland, come qualsiasi azione e/o riflessione che, a distanza di 60 anni e più, porti a superare l'odio scaturito dalla guerra civile, a storicizzare gli eventi, evitando di santificare e/o criminalizzare una parte o l'altra, in maniera generalizzata e pregiudiziale.

Modificato da picpus
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