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Guerra di Corea


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Ospite intruder
si, esatto l'ambasciatore russo non partecipo alle votazione (mi pare perchè l'urss aveva intenzionalmente revocato l'ambasciatore per protesta)

 

In realtà pare che Stalin non fosse proprio entusiasta dell'iniziativa coreana, spinta, si dice, da Mao (con l'opposizione disperata delle uniche teste pensanti del regime cinese, Lin Piao e Chu En-lai).

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Diciamo che quello era il periodo della guerra fredda, e ogni scusa era buona, per le due super potenze, di attaccarsi indirettamente su altri fronti. La guerra fredda non è mai esplosa in un conflitto ma USA e URSS sostenevano le nazioni che impegnavano il loro nemico. Cosicchè la corea del nord (filo comunista) decide di invadere la corea del sud (filo occidentale), sopportati dai loro alleati (Corea del nord da Cina e URSS) (Corea del sud da USA).

Stesso vale per il Vietnam!

Spero di aver dato piu o meno l'idea......grosso modo!

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Diciamo che quello era il periodo della guerra fredda, e ogni scusa era buona, per le due super potenze, di attaccarsi indirettamente su altri fronti. La guerra fredda non è mai esplosa in un conflitto ma USA e URSS sostenevano le nazioni che impegnavano il loro nemico. Cosicchè la corea del nord (filo comunista) decide di invadere la corea del sud (filo occidentale), sopportati dai loro alleati (Corea del nord da Cina e URSS) (Corea del sud da USA).

Stesso vale per il Vietnam!

Spero di aver dato piu o meno l'idea......grosso modo!

 

In realtà il conflitto Coreano è il primo caso, finora noto, in cui la guerra fredda divenne calda: buona parte dei velivoli Nordcoreani che fronteggiarono i velivoli Americani a Nord dello Yalu (soprattutto all'inizio del conflitto) erano pilotati da equipaggi Sovietici, che non erano semplici "volontari" o consiglieri militari, ma reparti effettivi ri-dislocati da basi nell'URSS a basi in Manciuria con l'esplicito scopo di contestare la superiorità aerea Alleata; non solo, ma da reparti Sovietici erano costituite una buona parte delle batterie antiaeree che difendevano gli obiettivi strategici nel Nord.

 

Anche durante il conflitto Vietnamita, c'è la possibilità che alcuni dei MiG-21 fossero pilotati da personale Sovietico. I Sovietici erano presenti in qualità di consiglieri militari ed istruttori per il personale Nordvietnamita e ci fu un caso in cui un MiG-21 da addestramento con pilota Nordvietnamita ed istruttore Sovietico si trovarono in volo durante un incursione USA, venendo abbattuti (per la cronaca, entrambi si sarebbero salvati eiettandosi).

Diversa è la storia per quello che riguarda le difese antiaeree e, se ricordo bene, il "top-gun" delle batterie missilistiche Nordvietnamite risultò essere proprio un equipaggio Sovietico!

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Ospite intruder
In realtà il conflitto Coreano è il primo caso, finora noto, in cui la guerra fredda divenne calda: buona parte dei velivoli Nordcoreani che fronteggiarono i velivoli Americani a Nord dello Yalu (soprattutto all'inizio del conflitto) erano pilotati da equipaggi Sovietici, che non erano semplici "volontari" o consiglieri militari, ma reparti effettivi ri-dislocati da basi nell'URSS a basi in Manciuria con l'esplicito scopo di contestare la superiorità aerea Alleata; non solo, ma da reparti Sovietici erano costituite una buona parte delle batterie antiaeree che difendevano gli obiettivi strategici nel Nord.

 

Anche durante il conflitto Vietnamita, c'è la possibilità che alcuni dei MiG-21 fossero pilotati da personale Sovietico. I Sovietici erano presenti in qualità di consiglieri militari ed istruttori per il personale Nordvietnamita e ci fu un caso in cui un MiG-21 da addestramento con pilota Nordvietnamita ed istruttore Sovietico si trovarono in volo durante un incursione USA, venendo abbattuti (per la cronaca, entrambi si sarebbero salvati eiettandosi).

Diversa è la storia per quello che riguarda le difese antiaeree e, se ricordo bene, il "top-gun" delle batterie missilistiche Nordvietnamite risultò essere proprio un equipaggio Sovietico!

 

 

Be', se è per questo, in Nam combatterono anche alleati NATO, sia a livello di piloti nelle missioni a basso rischio, che a livello SFs: è quasi sicuro, anche se non è mai stato ammesso, che SAS/SBS inglesi, assieme a rodesiani e sudafricani, abbiano partecipato a delle missioni, soprattutto nelle altipiani centrali e alle famose Kubark...

Modificato da intruder
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Vero, comunque in SE Asiatico, fatta eccezione per il coinvolgimento continuativo delle postazioni antiaeree opearte da personale Sovietico, si può parlare piuttosto di "episodi di guerra calda" mentre in Corea, almeno nelle parte riguardante le operazioni aeree, si può tranquillamente parlare di "guerra calda".

 

Non si può non notare, inoltre, la forma di "tacita connivenza " da parte dei governi delle due superpotenze per cui, solo dopo la caduta del muro di Berlino, si venne a conoscenza dell'estensione del coinvolgimento Sovietico e, se da parte Sovietica le motivazioni si possono far risalire agli ordini diretti ed indiscutibili di Stalin, le motivazioni da parte delle amministrazioni USA mi sono meno chiare...

Una cosa è certa: le forze Alleate conoscevano esattamente l'identità dei piloti dei caccia Nordcoreani, visto che le trasmissioni radio erano continuamente monitorizzate dagli interpreti delle varie agenzie di intelligence e, se qualche dubbio fosse mai rimasto, le informazioni che fruttarono dalla defezione di No Kum Sok, poco dopo la fine del conflitto, li fugarono presto.

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Ospite galland

Nell’ affrontare il tema della Guerra di Corea ho costatato l’estrema povertà di materiali in italiano su questo importante evento bellico; l’unica trattazione organica viene svolta nel volume di

 

Matthew B. Ridgway

 

Guerra sul 38° parallelo

 

Rizzoli, Milano, 1969

guerraal38paralleloxr7.png

 

 

Un altro interessante contributo viene fornito su Storia Militare:

 

Tullio Marcon

 

Le operazioni Aeree in Corea

 

Storia Militare n. 123 (dicembre 2003) e n. 124 (gennaio 2004)

 

Tanto a tacere di quanto proposto sul web.

 

Fortunatamente quanto sopra elencato corrisponde ad opere d’ottima fattura: la prima scritta dal comandante delle forze americane in estremo oriente (fu il successore di Mac Arthur) che seppe trattare la guerra da lui combattuta con equilibrio e probità.

 

Mentre l’ampio articolo di Marcon, firma di pregio della storiografia militare, traccia con numeri chiarissimi l’impegno aereo di quel conflitto da parte dei due fronti belligeranti.

 

Le informazioni in esse contenute possono, pertanto, essere assunte con fiducia della loro esattezza e lumeggiare quanto avvenuto nei tre anni del conflitto che sconvolse la “terra del calmo mattino”.

 

Per parte mia voglio formulare alcune brevi osservazioni.

 

Certamente il conflitto colse impreparati gli Stati Uniti, basti a tal proposito considerare come il conflitto ebbe, sotto il profilo aeronautico, un “grande assente”: il Republic P.47, troppo rapidamente radiato dalle linee di volo dell’USAF. Fuor di dubbio tale potente apparecchio avrebbe potuto fornire un appoggio tattico di prim’ordine; in sua vece l’F51 Mustang dovette ricoprire un ruolo a lui non completamente congeniale, in cui subì severe perdite.

 

Se per decenni si parlò del bipolarismo Usa-Urss in realtà, almeno a livello di opinione pubblica, non si ponderò il crescere della potenza cinese; le immense risorse umane della nazione asiatica non potevano che trasformarsi, col tempo, dalla pura quantità al livello qualitativo dei nostri giorni. Una parte non piccola del futuro della terra passa per la Piazza della Pace Celeste.

 

In realtà Corea e Indocina sono strettamente connesse: rappresentano l’ascesa dei popoli orientali nell’arena mondiale.

 

Ritengo fare cosa utile presentando una cronologia della guerra di Corea, posta in appendice al volume di Ridgway.

 

Nei prossimi giorni posterò il primo capitolo dell’opera, utile per comprendere la storia, tragica e tormentata di questa penisola.

 

 

1950

 

25 giugno L'esercito popolare nordcoreano (NKPA) invade in forze la Corea del Sud.

 

28 giugno L'esercito nordcoreano si impadronisce di Seul, capitale della Repubblica Coreana.

 

5 luglio La Task Force Smith entra in contatto con le forze comuniste nei pressi di Osan.

 

20 luglio Le forze delle Nazioni Unite abbandonano Taejon.

 

31 luglio Chinju cade nelle mani dei nordcoreani. Il generale Walton Walker dichiara: « Basta con le ritirate!».

 

1 agosto Le forze delle Nazioni Unite si ritirano nel perimetro di Pusan.

 

 

macarthureopsmith170950eb5.jpgMac Arthur e O.P. Smith

 

6-8 agosto Il generale MacArthur discute a Tokyo con Avereli Harriman e con i generali Norstad, Almond e Ridgway lo sbarco a Inchon.

 

15 settembre Sbarco a Inchon. Le forze delle Nazioni Unite si impadroniscono del porto e delle isole vicine.

 

inchonbluebeachiv4.jpgInchon, la "spiaggia blu sotto attacco" nell'imminenza dello sbarco

 

 

18 settembre Le forze delle Nazioni Unite si impadroniscono dell'aeroporto di Kimpo.

 

22 settembre Le forze di Walker escono dal perimetro di Pusan.

 

27 settembre Le forze delle Nazioni Unite che avanzano verso nord si uniscono alle forze delle Nazioni Unite che muovono verso sud, nei pressi di Suwon.

 

28 settembre Le forze delle Nazioni Unite riconquistano Seul.

 

30 settembre La III divisione dell'esercito sudcoreano (ROK) attraversa il 38° parallelo.

 

7-9 ottobre La I divisione di cavalleria dell'esercito americano attraversa il 38° parallelo.

 

11 ottobre La III divisione sudcoreana conquista Wonsan.

 

19 ottobre L'Ottava armata si impadronisce di Pyongyang, capitale della Corea del Nord.

 

24 ottobre MacArthur ordina ai suoi subalterni di avanzare con la maggior velocità possibile, utilizzando tutte le forze di cui dispongono. Contemporaneamente abolisce tutte le restrizioni sui movimenti delle forze non coreane.

 

26 ottobre La VI divisione del Terzo corpo d'armata sudcoreano arriva al fiume Yalu. Il 26° reggimento del Primo corpo d'armata sudcoreano prende prigionieri alcuni cinesi a Sudong.

 

27-31 ottobre Ha inizio la prima fase dell'offensiva cinese.

 

yalusoldaticinesivk7.jpgUna colonna cinese attraversa lo Yalu, diretta in territrio coreano

 

 

27 ottobre Il 70° reggimento della VI divisione sudcoreana viene decimato da ingenti forze cinesi nei pressi dello Yalu.

 

30 ottobre Reparti avanzati della XXIV divisione americana arrivano a quaranta miglia dallo Yalu.

 

31 ottobre/2 novembre Forti reparti cinesi attaccano l'Ottava armata neipressi di Unsan e l'obbligano a ritirarsi al di là del fiume Chongchon.

 

6 novembre MacArthur avverte gli Stati maggiori riuniti che l'avanzata dei cinesi attraverso lo Yalu «minaccia seriamente le mie truppe».

 

23 novembre Giorno del Ringraziamento.

 

24 novembre MacArthur si reca in Corea per dare il via all'offensiva verso lo Yalu. Il generale dichiara: « I cinesi non interverranno ». Il 17° reggimento della VII divisione americana arriva sullo Yalu, a Hyesanjin. L'Ottava armata inizia la sua avanzata verso lo Yalu.

 

25 novembre/9 dicembre Ha inizio la seconda fase dell'offensiva cinese.

 

unsansoldaticinesiallatus0.jpgFanteria cinese all'attacco

 

 

25 novembre Il Secondo corpo d'armata sudcoreano viene messo in rotta nei pressi di Tokchon nella Corea centrale.

 

26 novembre 200.000 cinesi attaccano l'Ottava armata a nord del fiume Chongchon e le infliggono gravi perdite.

 

27 novembre La II, la XXIV e la XXV divisione americane ripiegano al di là del Chongchon e l'Ottava armata inizia la ritirata. I cinocomunisti attaccano la I divisione dei Marines sul lato occidentale del bacino di Changjin e alcuni reparti della VII divisione americana sul lato orientale.

 

5 dicembre Pyongyang viene abbandonata dall'Ottava armata.

 

9 dicembre La I divisione dei Marines sfugge alla morsa nemica, dopo combattimenti iniziati il 27 novembre.

 

11 dicembre La I divisione dei Marines e la VII divisione americana si ritirano in un perimetro difensivo a Hungnam.

 

15 dicembre L'esercito sudcoreano e l'Ottava armata si ritirano al di sotto del 38° parallelo.

 

23 dicembre Il generale Walker muore in un incidente automobilistico. Il generale Ridgway è chiamato a sostituirlo.

 

24 dicembre Il Decimo corpo d'armata completa lo sgombero della testa di ponte di Hungnam e della Corea del Nord.

 

26 dicembre Il generale Ridgway assume il comando dell'Ottava armata.

 

31 dicembre/5 gennaio Ha inizio la terza fase dell'offensiva cinese, "l'offensiva di capodanno".

 

1951

 

3-4 gennaio Seul viene sgombrata dalle forze delle Nazioni Unite, che si ritirano sulla linea Pyongtaek-Wonju-Samchok.

 

7 gennaio L'Ottava armata inizia alcune puntate esplorative verso nord per riprendere contatto con le forze cinocomuniste.

 

15 gennaio L'operazione Wolfhound, un'avanzata esplorativa di un gruppo reggimentale da combattimento, arriva a ristabilire il contatto col nemico nei pressi di Osan.

 

25 gennaio L'Ottava armata e l'esercito sudcoreano sferrano l'offensiva. Ha inizio l'operazione Thunderbolt; il Primo e il Nono corpo d'armata avanzano verso il fiume Han.

 

31 gennaio/17 febbraio La II divisione americana è duramente impegnata. Il suo 230 reggimento, presso il quale è distaccato il battaglione francese di Monclar, respinge gli attacchi di cinque divisioni cinocomuniste a Chipyongni. I cinocomunisti interrompono la loro offensiva.

 

5 febbraio Operazione Roundup; ha inizio l'avanzata del corpo dei Marines sul fianco orientale.

 

11/17 febbraio Ha inizio la quarta fase dell'offensiva cinese; lo sforzo maggiore viene compiuto contro il settore occupato dalla II divisione.

 

21 febbraio Ha inizio l'operazione Killer; avanzata del Nono e del Decimo corpo d'armata americani.

 

28 febbraio Crolla l'ultima resistenza nemica a sud dello Han.

 

7 marzo Ha inizio l'operazione Ripper nelle zone centrali e orientali. Il Nono e il Decimo corpo d'armata attraversano lo Han.

 

14/15 marzo Seul viene riconquistata dall'Ottava armata.

 

 

barricataaseoulsettembruu0.jpgSeul, si combatte strada per strada. Notare sulla facciata dell'edificio il ritratto di kim il Sung.

 

31 marzo Le forze delle Nazioni Unite arrivano sulla linea Idaho. Tutti gli obiettivi vengono conquistati.

 

5 aprile Ha inizio l'operazione Rugged, un'avanzata generale verso la linea Kansas.

 

11 aprile Il generale MacArthur viene rimosso dalla sua carica di comandante supremo. Il generale Ridgway viene nominato al suo posto.

 

14 aprile Il generale Van Fleet assume il comando dell'Ottava armata. Tutte le forze delle Nazioni Unite raggiungono la linea Kansas.

 

19 aprile Il Primo e il Nono corpo d'armata raggiungono la linea Utah.

 

30 aprile Le forze delle Nazioni Unite, dopo essersi ritirate sulla nuova linea difensiva, arrestano l'offensiva cinese a nord di Seul e a nord del fiume Han.

 

16/23 maggio Ha inizio la seconda e ultima parte della quinta fase dell'offensiva cinese.

 

20 maggio L'offensiva cinese viene fermata. Le forze delle Nazioni Unite riprendono l'avanzata.

 

30 maggio L'Ottava armata torna un'altra volta sulla linea Kansas.

 

1 giugno Ha inizio l'operazione Piledriver; alcuni elementi del Primo e del Nono corpo d'armata avanzano verso la linea Wyoming.

 

15 giugno Gli obiettivi dell'operazione Piledriver vengono raggiunti.

 

23 giugno Malik, viceministro degli Esteri dell'Unione Sovietica, propone un "cessate-il-fuoco".

 

30 giugno Il generale Ridgway, dietro istruzioni di Washington, comunica ai cinesi la decisione delle Nazioni Unite di iniziare le discussioni per la conclusione di un armistizio.

 

10 luglio Hanno inizio a Kaesong i negoziati tra le forze delle Nazioni Unite e i comunisti.

 

17 agosto I comunisti chiedono che vengano loro presentate scuse per una pretesa imboscata nei pressi di Kaesong. Le scuse vengono rifiutate.

 

22 agosto I comunisti chiedono scuse per un "bombardamento". Le scuse vengono negate e le conversazioni vengono interrotte.

 

31 agosto La I divisione dei Marines inizia l'attacco nel Punchbowl.

 

2 settembre La II divisione americana sferra un attacco contro la "cresta sanguinosa" e la "cresta cuore infranto ".

 

3 settembre I Marines e la II divisione conquistano gli obiettivi previsti.

 

18 settembre I Marines avanzano fino al fiume Soyang, a nord del Punchbowl.

 

12 ottobre Il Nono corpo d'armata arriva sulla linea Jamestown.

 

15 ottobre La II divisione americana conquista la "cresta cuore infranto".

 

25 ottobre Dopo due settimane di discussioni fra gli ufficiali di collegamento, riprendono le conversazioni per arrivare a una tregua.

 

12 novembre Ridgway ordina a Van Fleet di porre termine all'offensiva e di disporsi in una difesa attiva. Operazione Ratkiller.

 

1952

 

1 gennaio Comincia un'offensiva condotta dall'artiglieria e dall'aviazione contro le posizioni comuniste; offensiva che continuerà per tutto il mese.

 

Gennaio/aprile Incominciano i disordini nei campi di prigionia con l'inizio delle selezioni.

 

7 maggio I prigionieri al campo di Koje-do si impadroniscono del generale Dodd e lo tengono in ostaggio.

 

11 maggio Il generale Dodd viene rilasciato.

 

12 maggio Il generale Ridgway abbandona il comando dello SHAEF (Quartier generale delle forze di spedizione alleate) per sostituire il generale Eisenhower alla testa della NATO. Il generale Clark prende il comando. (Il comando supremo cessò di esistere dopo la firma del trattato.)

 

6 giugno Comincia l'operazione Counter; vengono occupati undici capisaldi tenuti da piccole guarnigioni.

 

14 giugno Tutti gli obiettivi dell'operazione Counter vengono raggiunti dalla XLV divisione.

 

Dicembre Fallisce un tentativo di evasione di prigionieri da Pongam-do.

 

1953

 

Febbraio Il generale Van Fleet torna negli Stati Uniti per andare in pensione. Il generale Maxwell D. Taylor assume il comando dell'Ottava armata.

 

25 marzo I cinesi si impadroniscono di un avamposto, la collina 266.

 

28 maggio Un reggimento cinese attacca cinque avamposti della XXV divisione americana.

 

29 maggio I cinesi occupano tre avamposti.

 

10 giugno I cinesi sferrano un assalto contro il Secondo corpo d'armata sudcoreano nei pressi di Kumsong.

 

16 giugno Il Secondo corpo d'armata sudcoreano viene respinto sulla linea principale di resistenza, circa quattro chilometri più a sud.

 

15-30 giugno I cinesi attaccano il settore occupato dal Primo corpo d'armata americano e occupano due posizioni di prima linea.

 

13 luglio L'ultima offensiva cinese ha inizio con un attacco sul fianco destro del Nono corpo d'armata sferrato da tre divisioni e uno sul fianco sinistro del Secondo corpo d'armata sudcoreano sferrato da una divisione.

 

19 luglio I negoziatori a Panmunjom raggiungono un accordo su tutti i punti in discussione.

 

20 luglio La nuova linea di difesa principale viene stabilita dal Nono corpo d'armata americano e dal Secondo corpo d'armata sudcoreano sulla riva sud del fiume Kumsong.

 

27 luglio Viene firmato l'armistizio che pone fine a un conflitto durato tre anni.

 

 

594wd8.jpgLa firma dell'armistizio sancisce la divisione della Corea in due stati, l'ultima frontiera della guerra fredda ancora esistente

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La letteratura in italiano , come tu dici , e' desolatamente povera.

Ricordo , oltre quelli da te citati , un libro di autore inglese , anni 90 , incentrata sui vari aspetti della guerra di Corea , piu' che su una descrizione organica degli avvenimenti ( come tanti altri l' ho prestato e cercherò di recuperarlo fornendone le "generalità")

Altro libro , più recente , autore americano e impostato essenzialmente su un analisi politica (molto "gauchista") ,ora disperso in quella Biblioteca di Babele che mi fa da casa (cercherò anche quello).

Propongo che chi possa segnalare altri testi lo faccia.

Anche la letteratura in lingua inglese , pur molto più copiosa non è però all' altezza di quella riguardante altri avvenimenti storici precedenti e posteriori.

Non a caso , anche in America , quella coreana viene definita " The forgotten war".

 

Colgo l'occasione per chiedere una vostra opinione.

Ho letto diversi stralci delle opere di Diego Zampini (in spagnolo e in inglese) , scritti dopo l' apertura degli archivi ex sovietici ( con la collaborazione della V.V.S.)

Nei limiti delle mie capacità di confrontare le diverse fonti , ho trovato una sconcertante divaricazione fra i dati "ufficiali" delle 2 parti riguardo i kills complessivamente ottenuti e , spesso , in precisi combattimenti di alcune giornate.

lla mia "impressione" e' che , sicuramente , da parte USA/UN le overclaims siano state numerose (anche le fonti ufficiali USAF hanno fortemente ridotto i rapporti 12-1 dell' epoca) , ma che i criteri di attribuzione "rossi" fossero ancora più ottimistici e propagandistici.

In molte delle vittorie attribuite a Nicolay Sutyagin (23) e Eugeny Pepelyayev(21 , 19 , 16 ? ) non ho trovato riscontro nelle perdite ammesse dalla controparte nelle stesse circostanze .

Ovviamente e' vero anche il reciproco ma , ripeto , e' una mia impressione , in misura decisamente inferiore.

Prendendo per "buoni" i dati dei "Predatori Rossi" non si spiegherebbe la persistente superiorita' delle UN che incontrovertibilmente permise a forze nettamente inferiori di numero di reggere l' urto degli avversari.

Voi cosa ne pensate ?

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Ospite intruder
Vero, comunque in SE Asiatico, fatta eccezione per il coinvolgimento continuativo delle postazioni antiaeree opearte da personale Sovietico, si può parlare piuttosto di "episodi di guerra calda" mentre in Corea, almeno nelle parte riguardante le operazioni aeree, si può tranquillamente parlare di "guerra calda".

 

Non si può non notare, inoltre, la forma di "tacita connivenza " da parte dei governi delle due superpotenze per cui, solo dopo la caduta del muro di Berlino, si venne a conoscenza dell'estensione del coinvolgimento Sovietico e, se da parte Sovietica le motivazioni si possono far risalire agli ordini diretti ed indiscutibili di Stalin, le motivazioni da parte delle amministrazioni USA mi sono meno chiare...

Una cosa è certa: le forze Alleate conoscevano esattamente l'identità dei piloti dei caccia Nordcoreani, visto che le trasmissioni radio erano continuamente monitorizzate dagli interpreti delle varie agenzie di intelligence e, se qualche dubbio fosse mai rimasto, le informazioni che fruttarono dalla defezione di No Kum Sok, poco dopo la fine del conflitto, li fugarono presto.

 

 

C'è sempre stata una sorta di gentlemen's agreement fra le due superpotenze, i panni sporchi li sappamo ma non li diciamo. Aggiungi a quanto hai scritto che l'intelligente americana (e inglese) ha sempre infiltrato ai massimi livelli l'apparato sovietico, si dice che il segretario di Stalin fosse un agente CIA. Se l'aggressione alla Corea colse di sopresa Washington, oltre al solito problema della mancata connessione fra le varie agenzie (la CIA, vorrei ricordare, nacque come coordinamento della varie agenzie di intelligence avendo presente questo problema: il DCI, in pratica, è un ministro, nominato dal Presidente e ratificato dal Congresso), è anche per il fatto che Stalin era contrario, almeno dapprincipio.

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Ospite galland

Dal volume di

 

John E. Johnson

Il Duello aereo

Ferro edizioni, Milano, 1967

 

ilduelloaereoan8.png

 

riporto integralmente il penultimo capitolo.

 

Il volume percorre la storia del combattimento aereo dalla prima guerra mondiale sino, appunto al conflitto coreano. L'autore fu asso della RAF nel secondo conflitto mondiale con trentotto vittorie omologate e, nel dopoguerra, comandò una base dei bombardieri supersonici della serie "V".

 

A mio parere la cifra di ottocento Mig 15 abbattuti in Corea non ha aderenza alla realtà, come d'altra parte sovente avveniva nelle rivendicazioni delle vittorie nel corso della seconda guerra mondiale, per il resto ritengo il testo validissimo ed interessante.

 

 

Verso la fine della seconda guerra mondiale, la RAF costituì l'Ufficio Centrale Caccia, per lo studio della guerra aerea e l'addestramento dei comandanti dei reparti di questa specialità. Una volta all'anno, i comandanti dei reparti caccia della RAF, delle aviazioni del Commonwealth, e dell'aviazione degli Stati Uniti si riunirono all'Ufficio Centrale Caccia per discutere la tattica della specialità. Nel corso di queste felici e positive riunioni qualcuno illustrò la teoria del rifornimento in volo, perché tutti erano molto interessati all'invenzione di Sir Alan Cobham e la RAF aveva modificato alcuni intercettori Meteor, per metterli in grado di effettuare il rifornimento di carburante da un quadrimotore Lancaster, trasformato in petroliera volante. Il comandante di questi Meteor disse che la manovra di aggancio al quadrimotore, (durante la quale il pilota del caccia a reazione doveva riuscire a infilare la lancia di presa del suo apparecchio entro il " capezzolo volante," la manichetta che il Lancaster si lasciava dietro), richiedeva una precisione di guida irraggiungibile dalla media dei piloti, ma che se qualcuno avesse voluto fare la prova sarebbe stato il benvenuto. Parecchi piloti fecero la prova di rifornimento in volo dalla petroliera Lancaster con successo vario; ma quello che se la cavò meglio degli altri fu il colonnello David C. Schilling, dell'aviazione americana.

 

Mentre gli inglesi, data la loro posizione geografica, ancora pensavano soprattutto alla caccia in funzione difensiva, gli americani, date le dimensioni del loro paese e le responsabilità derivanti dagli impegni assunti oltremare, pensavano sempre più alle funzioni offensive della caccia, e Schilling comprese immediatamente che se ci fossero state abbastanza petroliere volanti, sciami interi di caccia avrebbero potuto essere trasferiti dagli Stati Uniti in qualsiasi parte del mondo, in poche ore di volo. Era vero, naturalmente, che i caccia potevano essere inviati egualmente, lungo le normali rotte di trasferimento, ma c'era, lungo di esse, l'impaccio del maltempo e, durante l'inverno, per esempio, la rotta America-Europa, con scali a Terranova, nel Labrador, in Groenlandia, in Islanda e in Gran Bretagna, era spesso impraticabile. Se invece i caccia avessero potuto fare rifornimento " al di sopra " delle nubi, il tempo non sarebbe più stato un ostacolo; inoltre il rifornimento in volo avrebbe allargato il raggio d'azione dei caccia e, se anche non ci fossero state petroliere volanti a sufficienza, un caccia avrebbe potuto rifornire l'altro; questa era la teoria di Schilling, e alla fine fu proprio questo il sistema adottato.

 

Schilling non perse tempo nel mettersi a rapporto col comandante dell'aviazione, il generale Hoyt S. Vandenberg, e quanto prima alcuni caccia F-84 Thunderjet della Republic vennero inviati in volo in Gran Bretagna per essere equipaggiati con l'impianto per il rifornimento in volo. Nel settembre del 1950 Schilling e il suo sezionano, Bill Ritchie, partirono da Manston sui loro due Thunderjet nell'intento di raggiungere Nuova York senza scalo. Il vento contrario li ostacolò; persero quasi un'ora alla ricerca di una petroliera volante sull'Islanda. Sul Labrador, Schilling aveva ancora carburante per tre minuti di volo, quando riuscì ad agganciarsi al " poppatoio". Ma Ritchie scoprì di , avere un guasto alla lancia di prelievo e che non avrebbe potuto più fare rifornimento. Così disse a Schilling di proseguire il volo, e riuscì a tenersi in aria, planando il più a lungo possibile, fino in prossimità della costa; poi saltò in paracadute a 22 chilometri dalla grande base di Goose Field, e venne ripescato da un elicottero. A Nuova York il tempo era diventato brutto e Schilling dovette dirottare sul Maine, e riuscì ad atterrare senza danni, dopo un volo di 5.300 chilometri in dieci ore. Come risultato di quest'impresa, venne ordinata la produzione di altri caccia con impianti di rifornimento in volo, e di altre petroliere volanti, e oggi sono molti gli aerei militari americani in grado di effettuare rifornimento senza scendere a terra.

 

Ho avuto modo di frequentare a lungo Schilling, perché dopo un anno presso il Royal Canadian Air Force Staff College (la scuola di Stato Maggiore dell'aviazione canadese) a Toronto, venni destinato, in un programma di scambio di ufficiali, al Comando Aereo Tattico della Virginia, dove lavorai alle dipendenze di un vero e proprio motore umano, il tenente generale " Pete " Quesada, come organizzatore di tutte le manifestazioni aeree e le dimostrazioni di aeroplani nella sua grande " parrocchia ". Dovetti trattare con tipi di ogni genere, che per le più disparate ragioni. volevano veder sfilare dei caccia a reazione sulle loro città. Tutti questi civili che telefonavano al nostro comando chiedendo dell'ufficiale addetto alle manifestazioni aeree rimanevano esterrefatti nel sentirsi mettere in comunicazione con un inglese. Non la finivo più di dare spiegazioni, finché un bel giorno decisi di assumere un accento meridionale e di presentarmi come "colonnello Johnson! " [1]

 

Tutto andò bene finché il sindaco di Yorktown, in Virginia, mi telefonò per chiedermi una squadriglia di caccia a reazione, che avrebbero dovuto sorvolare la città il 13 ottobre; ci sarebbe stata una rappresentanza di marines, alla banchina sarebbe stato presente un cacciatorpediniere e la parata dei jet avrebbe completato il programma. Per conto mio sarebbe andato bene, risposi, e sarebbe stato contento anche il generale Quesada. Ma avrebbe potuto, il signor sindaco, spiegarmi il perché della celebrazione? C'era forse qualche uomo politico in visita, c'era una fiera campionaria, o si trattava del centenario della città?

 

Ci fu qualche momento di stupefatto silenzio, poi il mio interlocutore esplose:

 

" Diavolo, colonnello, ma celebriamo il centosettantaduesimo anniversario della cacciata dei maledettissimi inglesi!"

 

A Langley Field, in Virginia, ebbi l'occasione di volare parecchio e quando il gruppo da caccia di stanza in quel campo ebbe in dotazione il migliore caccia intercettore di quei tempi, l'F-86-A (Sabrejet) della North American Aviation Inc., non persi tempo e volli provarlo. Il Sabre si lasciava manovrare meravigliosamente, come lo Spitfire; in quota, con la potenza di spinta di 2.270 chili del suo motore volava quasi alla velocità del suono, in picchiata a tutto motore era supersonico, e aveva una eccellente autonomia. Fu un bene che io fossi in ottime condizioni di addestramento, come pilota, perché poco dopo l'invasione nordista della Corea del Sud, il 25 giugno 1950, mentre era in corso la lunga e aspra lotta per quella penisola montagnosa, mi trovai al comando dell'aviazione americana in Estremo Oriente, a Tokio, per un altro turno di servizio attivo.

 

Allo scoppio della guerra di Corea, l'aviazione americana nel settore non era in grado di arrestare l'avanzata nemica, perché per molti anni il suo compito principale era stato la difesa aerea del Giappone e non esistevano che pochi concetti, poco materiale e scarsi mezzi di comunicazione per le operazioni di appoggio al suolo. Per fortuna degli americani, i pochi antiquati Yak in dotazione alla caccia nord coreana erano mal pilotati e vennero presto scacciati dagli F-80 (Shooting Star) americani, che erano molto superiori, e che, subito dopo, cercarono di appoggiare la 24a divisione di fanteria americana, spostata dal Giappone in Corea.

 

In quei giorni gravissimi, mentre i nordisti premevano verso Sud con l'intenzione di ributtare a mare gli americani, gli Shooting Star partivano in coppia dalle basi giapponesi ogni 15 minuti ma il lungo viaggio di trasferimento imponeva loro di trattenersi soltanto per pochi minuti sul campo di battaglia. Qualche volta atterravano in uno dei pochi aeroporti ancora utilizzabili, ma il migliore di questi, Taegu, dovette venire evacuato per due volte, data la vicinanza delle truppe nemiche. I piloti da caccia avevano scarse informazioni sulla situazione a terra, data la mancanza di comunicazioni aria-terra e anche quando i piloti della ricognizione tattica segnalavano importanti obiettivi nemici, la situazione sul terreno cambiava, spesso, prima che la notizia fosse riuscita a filtrare fino alle squadriglie da caccia. Di conseguenza, ben poco si poteva fare dall'aria per fermare i comunisti e la 24a divisione, insieme a poche unità sudiste, si trovò presto in fondo alla penisola, dove si trincerò in uno schieramento difensivo attorno al porto di Pusan. Continuava ad esistere sempre il grave pericolo di essere ributtati tutti in mare.

 

Nel frattempo, tuttavia, gli americani erano riusciti a organizzare un rudimentale centro di operazioni comuni, consistente in alcune jeep munite di radio e telefoni, chiamate ciascuna " nucleo di controllo aereo tattico", l'equivalente dei nostri " centri di contatto " in autoblindo sul fronte del deserto e durante l'invasione del 1944. Queste jeep sorvegliavano il perimetro difensivo, chiedendo l'intervento, per radiotelefono, degli aerei in arrivo dal Giappone; ma l'altezza delle montagne circostanti riduceva di molto la portata delle radio e allora gli americani fecero intervenire, per superare l'ostacolo, piccoli aerei da collegamento, chiamati " Mosquito", i cui piloti potevano tenersi in contatto con i centri a terra e con le squadriglie in volo. Questi equipaggi ottennero eccellenti risultati cercando e individuando il nemico e segnalando addirittura, col lancio di granate fumogene, i bersagli a terra. Qualche volta, poi, se i cacciabombardieri non arrivavano subito, intervenivano direttamente e, come i primi aviatori militari, scendevano a tirare bombe a mano in testa al nemico, con risultati spesso fatali a loro stessi. In seguito, il comandante delle forze di terra americane nella zona mi disse che, senza l'appoggio dei cacciabombardieri, i suoi uomini sarebbero stati rigettati in mare. La situazione era sempre molto pericolosa al punto che dovettero intervenire addirittura i bombardieri strategici. La prima volta che ciò accadde, il controllore del centro operativo non ne fu informato e apprese dell'arrivo dei quadrimotori quando il loro comandante gli chiese, per radiotelefono, dove fosse il bersaglio; il controllore, credendo di aver sempre a che fare con dei cacciabombardieri, chiese che armamento avessero in dotazione (mitragliatrici, cannoncini, spezzoni, bombe incendiarie, razzi), e il comandante dei B-29 rispose che a bordo di ogni apparecchio c'erano 48 bombe dirompenti. Erano Superfortezze Volanti!

 

Nel frattempo, gli americani si erano messi in moto, e fu tale l'afflusso di uomini e mezzi a Pusan che al principio di agosto la situazione era ormai sotto controllo. Aumentarono i centri di collegamento aria-terra e gli apparecchi leggeri Mosquito. Il sistema di comunicazioni migliorò e intervennero i radar. Cacciabombardieri Thunderjet erano in arrivo dagli Stati Uniti e il Pacifico venne sorvolato da un gigantesco ponte aereo. Rinforzi di caccia giunsero in volo da Okinawa e dalle Filippine e, più importante di tutto, il generale Vandenberg inviò un ufficiale famoso e ricco di esperienza, il maggior generale O. P. Weyland (noto a tutti come " Opi ") a comandare l'Aviazione dell'Estremo Oriente. Gli americani erano ormai pronti a restituire la botta, e in settembre riuscirono a rompere l'accerchiamento attorno a Pusan, effettuare uno sbarco presso Seul nel più puro stile Mac Arthur e avanzare fino alla capitale. Di là, dopo essersi riorganizzati, intrapresero la marcia verso Nord, congiungendosi con reparti avio-trasportati, e cominciarono a sistemare le loro posizioni, prima che la morsa dell'inverno bloccasse le operazioni su quel difficile terreno. Seguirono quasi tre anni di sanguinosi combattimenti, prima che un instabile armistizio ponesse fine alla guerra.

 

Non essendovi opposizione aerea, potei pilotare il robusto bimotore B-26, versione da ricognizione e prendere foto diurne e notturne dei concentramenti nemici. Sembrava strano poter sorvolare quelle montagne inospitali, sopra un paesaggio completamente privo di curve morbide, fino al confine settentrionale del fiume Yalu e non vedere in volo nemmeno un apparecchio dopo aver lasciato la linea del fronte. Ma, per il momento, il cielo era sgombro di aerei nemici e, salvo un po' di contraerea, non v'era opposizione di sorta. Cercai di trarre il massimo vantaggio-: dalla strana situazione poiché, oltre a permettermi di capire come andavano le cose, la grande autonomia del B-26 mi permise di osservare a lungo il lavoro dei cacciabombardieri.

 

Malgrado il passaggio ai motori a reazione, la tattica dei cacciabombardieri era di poco mutata, dopo la seconda guerra mondiale. Sezioni a ventaglio di 4 Shooting Star e Thunderjet arrivavano sulle linee del fronte a intervalli regolari, dopo essersi " prenotate " presso il centro di coordinamento operazioni che le smistava presso i vari centri di controllo aereo ravvicinato, operanti accanto ai soldati in trincea, e da questi, erano guidate verso un controllore avanzato, in primissima linea, o verso un Mosquito. Ogni volta che era possibile, il controllore avanzato segnalava con una granata fumogena colorata il bersaglio e il pilota del Mosquito sparava contro di esso piccoli razzi fumogeni. I cacciabombardieri scendevano in rovesciata d'ala, picchiavano e attaccavano l'obiettivo con le armi di bordo: bombe dirompenti, razzi, mitragliere da 12,7, e napalm, una specie di gelatina incendiaria, una sgradevolissima miscela contenente acido naftenico che si incendiava all'urto. Il napalm era l'arma più terribile dei cacciabombardieri perché mentre un 'razzo o una bomba dirompente dovevano centrare il bersaglio, per essere efficaci, sganciare una bomba al napalm [2]equivaleva a gettare un secchio d'acqua sul pavimento: il liquido gelatinoso si spandeva lungo la direttrice di lancio in una striscia di fuoco e qualche volta era in grado di distruggere un carro armato (russo T-34) a più di trenta metri di distanza. Era efficacissimo contro truppe attestate in trinceramenti, perché la terribile miscela scorreva sul terreno, scendeva in ogni cavità e avvallamento, trincee e postazioni comprese, con risultati disastrosi per chi si trovava nelle vicinanze. Si può ben comprendere che i nordcoreani odiassero la combinazione cacciabombardiere-bomba al napalm.

 

 

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Corea, gennaio 1951 operazione Thunderbolt. Un fungo di fumo si innalza da una posizione colpita col napalm dagli apparecchi delle Nazioni Unite

 

Qualche volta, durante l'avanzata da Pusan, l'aviazione americana effettuò quasi 700 missioni di cacciabombardieri al giorno, mentre apparecchi della marina e dell'aviazione dei marines, decollando dalle portaerei in navigazione attorno alla penisola, portarono il totale a circa mille missioni. Aerei a reazione e a elica attendevano in coda il loro turno di scendere in picchiata a dare addosso a tutto ciò che si muoveva, e la 77a squadriglia, un reparto degno di nota dell'aviazione australiana, si meritò l'ammirazione di tutti per l'impegno e la precisione delle sue azioni d'attacco, sia pure a bordo di apparecchi ormai piuttosto antiquati come i Mustang. I piloti preferivano volare sui jet perché, con meno parti meccaniche in movimento, rispetto ai Mustang, potevano incassare, con minori conseguenze, più colpi della contraerea; inoltre, non avendo elica, la visibilità, verso l'avanti e il basso, era migliore; e soprattutto, la cabina di uno Shooting Star era molto più silenziosa di quella di un Mustang, il che rendeva meno faticoso il pilotaggio.

 

Di fronte a un'attività offensiva diurna di questo genere da parte dell'aviazione, il nemico, saggiamente, " faceva il morto " di giorno ed effettuava spostamenti soltanto di notte. Per tenere immobilizzati i comunisti, gli americani effettuarono missioni di disturbo notturne con dei B-26 e dato che la RAF aveva molta pratica in questo campo di alta specializzazione venne inviato in Corea, come consigliere, il tenente colonnello Peter Wykeham. Peter sapeva che questo tipo di attività aerea in mezzo alle montagne richiedeva grande abilità e sosteneva che gli equipaggi migliori erano quelli composti da ex-istruttori, con moltissime ore di volo sul libretto personale e con la testa a posto, anche nelle circostanze più imprevedibili.

 

Agli equipaggi dei novellini, invece, piaceva volare al chiaro di luna perché il compito dell'ufficiale di rotta era facilitato e il pilota poteva vedere il terreno; ma la luna, soprattutto quando era bassa o velata, dava alle montagne un aspetto irreale; per questo gli esperti preferivano notti buie e serene, nelle quali era possibile individuare i bersagli, illuminarli coi bengala e scendere ad attaccarli. Secondo Wykeham, trovare la rotta con un aereo in missione di disturbo notturna era il compito più difficile del mondo. L'ufficiale di rotta aveva pochi mezzi a disposizione, il suo radar serviva a poco a bassa quota, e l'apparecchio ballava per tutti gli angoli del cielo quando il pilota avvistava obiettivi degni di attacco e iniziava l'azione. Se la navigazione non era sempre perfetta, sosteneva a tutte lettere, prima o poi l'equipaggio si sarebbe trovato spiaccicato sui fianchi di qualche montagna.

 

Tutti i piloti delle Nazioni Unite si rendevano conto che la situazione nell'aria era quanto mai anormale. Imperversavano sulla Corea senza avvistare alcun apparecchio nemico e anche i piloti della marina operavano dalle portaerei senza incontrare opposizione. C'era anche chi cominciava a dimenticare che un giorno o l'altro i comunisti avrebbero pur fatto qualcosa per cambiare la situazione, e gli esperti da poltrona protestavano già che i cacciabombardieri erano diventati l'artiglieria volante. C'era però sempre un buon numero di cacciabombardieri pronto ad annaffiare ogni tipo di obiettivo e, anche se non tutti i bersagli valevano la spesa di una missione, essa serviva, se non altro, a incoraggiare le truppe a terra che stavano passando i guai loro.

 

Un paio di volte i piloti americani in volo lungo il confine del fiume Yalu avevano notato caccia con ali a freccia decollare dalle basi della Manciuria sulla sponda opposta del fiume, ma fu soltanto nel novembre del 1950 che questi Mig-15 dimostrarono quel che sapevano fare. Ciò accadde quando il comandante di una pattuglia di quattro Shooting Star avvistò, a quota molto inferiore, sette Mig. Gli americani scesero all'attacco. Ci fu un lungo inseguimento perché i Mig tornarono in territorio mancese, sul quale i piloti delle Nazioni Unite avevano l'ordine di non volare, e così il comandante della pattuglia americana dovette abbandonare

 

l'inseguimento. I Mig, però, una volta in territorio amico salirono in quota contro sole, si divisero in coppie, tornarono sulla Corea e attaccarono di sorpresa i caccia americani. Per quanto nel breve scontro nessuno degli apparecchi avesse subito danni, gli americani si resero immediatamente conto che il Mig, snello e ben rifinito, era più veloce, poteva arrampicarsi in quota meglio degli F-80 (Shooting Star) e poteva stringere le virate come e meglio di loro.

 

Man mano che si avvicinava l'inverno vennero notate altre formazioni di Mig in posizioni e quote tali da far comprendere che erano controllati dal radar. Si pensò che venissero probabilmente fatti decollare su allarme ogni volta che i radar di primo avvistamento segnalavano l'avvicinarsi di formazioni americane, che attendessero in agguato, sulla loro sponda dello Yalu, il segnale del loro controllore, poi partissero all'attacco, sorprendendo gli F-80, e quindi tornassero in Manciuria ad attendere nuovi ordini. Il vantaggio era tutto dalla parte dei piloti comunisti perché la copertura radar americana non si estendeva fino allo Yalu; si battevano in pratica, sul loro territorio, mentre i caccia americani arrivavano in volo da aeroporti distanti centinaia di chilometri, come Kimpo e Taegu. Quando un pilota di Mig si trovava nei guai bastava che puntasse verso Nord per planare semplicemente in territorio sicuro, protetto da una falsa neutralità.

 

Nel corso delle mie missioni di ricognizione e come cacciabombardiere non ho mai visto un Mig ma, alla sera, terminato il lavoro della giornata, dopo una buona doccia, dopo esserci cambiati e avere cenato bene, noi veterani ci riunivamo e parlavamo di loro. Ciò che soprattutto ci importava non erano le loro qualità tecniche elevate ma i piloti che li manovravano. Chi erano costoro? Volavano e combattevano troppo bene per essere coreani del Nord: di conseguenza dovevano essere cinesi o russi. E se fossero stati russi, dovevano averne fatti di progressi, negli ultimi cinque anni! Perché l'uso che facevano della luce del sole, le formazioni a ventaglio di quattro e le manovre difensive in linea di fila ricordavano stranamente quelle della Luftwaffe.

 

I Mig, si scoprì più tardi, erano in mano a piloti russi, ed ebbero molto successo contro i più lenti e meno maneggevoli quadrimotori da bombardamento B-29, i bimotori B-26 e i jet Shooting Star americani e i Meteor 8 inglesi, allora in dotazione agli australiani della 77a squadriglia. Ormai i piloti delle Nazioni Unite non avevano più libertà di movimento nei cieli della Corea e Weyland si rese conto che doveva battersi per la supremazia aerea sullo Yalu e a Sud del fiume. Dovette far arrivare immediatamente in Corea i Sabre e nel dicembre essi cominciarono le operazioni dall'aeroporto di Kimpo, presso Seul. In due settimane i Sabre distrussero otto Mig perdendo un solo apparecchio e questa superiorità caratterizzò tutti gli scontri successivi.

 

L'aeroporto di Kimpo si trovava a circa 350 chilometri dallo Yalu e il problema era quello di portare il maggior numero possibile di Sabre nella zona di confine, alla quota migliore per impegnare i Mig. Verso la fine della seconda guerra mondiale la RAF aveva compreso che le azioni in formazione di stormo su 36 apparecchi [3] erano fuori moda, e ci si batteva ormai in formazione di squadriglia di 12 caccia, mentre gli americani mantenevano il loro organico di squadriglia su 16 apparecchi. In Corea però mancava carburante a sufficienza per riunire in formazione 16 Sabre su Kimpo e poi andare a battersi sullo Yalu; inoltre, la tecnica di rifornimento in volo di Schilling non era ancora praticata in seno alle squadriglie. Per di più, una volta sullo Yalu, un comandante non avrebbe potuto tenere insieme sedici Sabre alle altissime velocità impiegate perché volavano tutti al massimo dei giri per tenersi alla massima velocità e un pilota, che fosse rimasto indietro nel corso di una manovra di combattimento, non sarebbe più riuscito a raggiungere la formazione: gli mancava semplicemente la riserva di potenza e velocità per farlo.

 

I comandanti volavano quasi alla velocità del suono perché se si fossero permessi di volare a velocità inferiori sarebbero diventati ochette da tiro a segno per i Mig. C'erano poche probabilità di cavarsela con le virate strette di disimpegno perché i Mig viravano anche più stretto e i sezionari dovevano mantenere la loro posizione a ogni costo perché il caposezione era l'arma e il numero due era l'uomo di guardia, cioè " l'occhio". I Sabre raggiungevano di conseguenza lo Yalu in sezioni a ventaglio di quattro, intervallando i decolli di cinque minuti, in modo che una sezione in arrivo potesse fare da appoggio alla sezione appena arrivata, e viceversa. Così, dopo quasi 40 anni dall'inizio dei combattimenti nell'aria, il numero dei caccia che volavano insieme tornò a diminuire e nel 1951 la sezione a ventaglio di quattro non era diversa da quella inventata da Boelcke nel 1916 se non nel particolare che i piloti dei Sabre dovevano necessariamente tenere maggiori distanze fra apparecchio e apparecchio.

 

Raggiunto lo Yalu, i Sabre volavano fra gli 8.500 e gli 11.000 metri di quota allo scopo di rimanere al di sotto dell'altitudine alla quale, normalmente, si formavano le scie di condensazione e per essere in grado di avvistare quelle dei Mig che volavano a quota superiore. Quando i combattimenti erano ormai prossimi, i Sabre sganciavano i serbatoi supplementari, aumentavano la velocità e impegnavano combattimento a quattro e a coppie, finché si trovavano a corto di carburante e dovevano tornare a Kimpo. Potevano rimanere in crociera sul confine soltanto per 20 minuti e nel corso di un combattimento di 8-10 minuti scoprirono che l'altissima velocità, l'enorme resistenza della leva di comando e l'ampio raggio di virata rendevano tanto difficile la mira col collimatore giroscopico che in media, un pilota riusciva a sparare soltanto una raffica con le sue sei mitragliatrici da 12,7. Quando poi la velocità saliva a 0,95 Mach [4] e oltre, i Sabre diventavano pesanti da manovrare e difficili da tenere sotto controllo.

 

Sopra gli 8.500 metri la velocità dei Mig e dei Sabre era quasi la stessa ma a quota lievemente inferiore gli americani avevano qualche vantaggio. Qualche volta i piloti dei Sabre superavano il muro del suono, quando scendevano in picchiata, e la richiamata era una manovra piuttosto delicata. Una volta, nel corso di uno di questi scontri fra jet, un pilota americano che picchiava all'inseguimento di un Mig si trovò coi comandi bloccati, e quando tentò di richiamare l'apparecchio, la leva di controllo gli sfuggì violentemente di mano, finendo nella posizione di tutto indietro! In qualche modo riuscì a riprendere il controllo dell'apparecchio, ma dovette la pelle alla robustezza di costruzione del Sabre, il quale subì soltanto alcune lesioni superficiali al rivestimento metallico esterno.

 

Talvolta i comunisti tentavano il trucco di inviare due apparecchi sotto la quota dei Sabre mentre gli altri attendevano, più in alto, l'occasione di un attacco di sorpresa, ma la maggior parte dei comandanti di reparto americani aveva già combattuto in Europa e non si lasciava sorprendere da questo vecchio trucco. Attendevano invece che i Mig venissero giù all'attacco; poi erano loro a sorprenderli cabrando all'assalto anziché disimpegnarsi. Soltanto di rado i Mig si esponevano nell'inseguimento dei Sabre fino a metà strada fra lo Yalu e Kimpo e gli americani sapevano che si sarebbero trovati a mal partito se fossero stati inseguiti tanto in profondità in territorio nordista. Per fortuna, i piloti russi volavano raramente sul territorio controllato dalle Nazioni Unite, probabilmente perché volevano evitare il rischio di venire fatti prigionieri.

 

I piloti dei Sabre stavano ottenendo buoni successi ma erano convinti che avrebbero potuto distruggere un maggior numero di Mig se avessero avuto un armamento di cannoncini, visto che i Mig potevano incassare molti colpi delle loro mitragliatrici. Sfortunatamente, anche il nuovo modello di Sabre, l'F-86-E, montava la dotazione normale di sei mitragliatrici da 12,7; il tiro con correzione, però, era reso più facile con un sistema di puntamento controllato dal radar, e il motore potenziato rendeva questa versione del Sabre superiore anche ai più recenti Mig-15-B. Inoltre gli americani, come quel pugno di piloti da caccia della RAF e dell'aviazione canadese che si battevano per conto delle Nazioni

 

Unite, erano meglio addestrati e avevano maggiore esperienza dei loro avversari, soprattutto verso la fine del 1951, quando piloti russi e cinesi vennero affiancati dal primo contingente di piloti nordisti a bordo di Mig di base a Uiju, presso il confine mancese.

 

Il progetto Uiju era condannato fin dalla nascita perché gli americani, sempre all'offensiva e in grado, per la prima volta, di poter attaccare una base di aviogetti nemici, assalirono i Mig giorno e notte. Le Super fortezze arrivavano rombando nella notte per martellare Uiju e, per quanto i Mig muniti di radar e pilotati dai russi partissero all'attacco, di solito non riuscivano nelle intercettazioni; di giorno, caccia a reazione a volo radente mitragliavano i Mig nelle loro postazioni a terra; dopo sei settimane di questo trattamento i nordisti si ritirarono volentieri in Manciuria e non si ripresentarono in territorio coreano che dopo l'armistizio.

 

Durante la guerra di Corea, i piloti degli F-86 delle Nazioni Unite reclamarono l'omologazione di circa 800 Mig abbattuti in combattimento, contro la perdita di 58 Sabre. Le richieste americane vennero tutte scrupolosamente controllate e un pilota da caccia avversario, il tenente Kum Sok No dell'aviazione nordcoreana, (il quale dopo l'armistizio scese ad arrendersi a Kimpo, consegnando intatto il suo Mig-15-B e incassando il premio promesso di 100.000 dollari - 62 milioni di lire circa) ha confermato queste cifre. Secondo lui, infatti, i comunisti hanno perso in Corea più di 800 Mig, compresi due interi reparti aerei russi completamente annientati, e i cinesi non riuscirono mai ad addestrare piloti in numero sufficiente a sostituire quelli abbattuti.

 

L'asso della guerra di Corea fu un ex-ufficiale di rotta, il capitano Joseph McConnell junior, che abbatté 8 Mig prima di essere ripescato in mare dopo essere stato abbattuto a sua volta dalla contraerea. Naturalmente volle tornare in combattimento il giorno successivo e riuscì in seguito a portare a 16 il numero di apparecchi abbattuti. Perse la vita nel corso di un incidente di volo.

 

In Corea, a differenza delle altre guerre, non c'erano colonnelli di meno di 30 anni. Complessi armati del tipo dei Sabre erano più sicuri in mano a piloti ricchi di esperienza e i piloti esperti erano meglio controllati da veterani della seconda guerra mondiale, molti dei quali aggiunsero vittorie in Corea a quelle conseguite contro i tedeschi e i giapponesi. Grigi di capelli, coperti di decorazioni, spesso padri di molti figli =- un valorosissimo colonnello ne aveva addirittura otto - si facevano notare non per la loro giovinezza, ma per la loro età. Erano uomini di fede, e il loro motto era " non i più audaci, ma i più maturi! " [5].

 

Non furono soltanto gli apparecchi migliori, l'addestra 345 mento migliore, il morale più elevato e la maggiore esperienza a battere i Mig sullo Yalu. La vittoria fu resa possibile soltanto perché Opi Weyland non dimenticò mai la massima di Trenchard di usare i caccia all'offensiva. Non avrebbe potuto dimenticarlo perché aveva combattuto in Europa e sapeva quale magnifico contributo aveva dato la caccia a grande raggio alla vittoria finale. Weyland non attese mai che i Mig arrivassero ma spinse i suoi aggressivi piloti, coi Sabre, fino agli estremi confini settentrionali, fino allo Yalu, fino a dove fosse permesso andare. Combatté il nemico a centinaia di chilometri dai propri aeroporti e solo così riuscì a contenere l'aviazione da caccia comunista, che era molto più numerosa.

 

 

Note

 

[1] Probabilmente l'Autore, a quell'epoca colonnello, cioè Group Captain, si presentava col suo grado inglese, che in americano non ha alcun significato. [N.d.T.].

 

[2] Già usato nella guerra del Pacifico contro i giapponesi e nei bombardamenti contro le città nipponiche. [N.d.T.].

 

[3] Anche se l'organico teorico di squadriglia della RAF era di 24 caccia, di solito le squadriglie volavano su 12 apparecchi. [N.d.T.].

 

[4] Il numero di Mach determina la velocità di un apparecchio in relazione alla velocità del suono alla quota e alla temperatura di volo

 

[5] L'originale dice: not the boldest, but the oldest.

 

Modificato da -{-Legolas-}-
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Ospite galland

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Ritengo interessante riportare il primo capitolo del volume di Ridgway, le osservazioni geografiche, storiche e politiche possono fornire, a mio parere utili strumenti per l considerazione di quel conflitto.

 

CAPITOLO I

 

La terra del calmo mattino: preludio alla tempesta

 

Nessuno può capire veramente la guerra di Corea se non ha una conoscenza almeno elementare della geografia, della storia, del clima, della situazione economica del paese e della sua popolazione. La Corea non è divisa in due dalla natura, se si fa eccezione per una catena di montagne, i Taebaek, che corrono paralleli al Mare del Giappone dal nord al sud. Geograficamente, strategicamente, economicamente ed etnicamente si tratta di un'unica entità e ogni parte è necessaria al resto come le braccia e le gambe dell'uomo lo sono per il suo corpo. La sua divisione lungo il 380 parallelo fu quasi accidentale, un semplice espediente militare, che preoccupò tanto poco gli storici militari del tempo che nessuno sa oggi chi ne ha avuto per primo l'idea.

 

Il 38° parallelo non è un vero e proprio confine. Non è difendibile militarmente e non ha nessun significato tradizionale. I coreani che vivono a nord del parallelo parlano la stessa lingua, mangiano lo stesso cibo, vestono nello stesso modo, hanno le stesse abitudini e lo stesso orgoglio nazionale di coloro che vivono a sud del parallelo.

 

La Corea, nonostante una storia di invasioni e di asservimento da parte dei suoi potenti vicini, è sempre esistita come paese indipendente nel cuore dei suoi abitanti, e il desiderio di decidere del proprio destino ha covato per secoli. Una sfortuna geografica ne ha fatto un campo di battaglia fin dal tempo in cui gli uomini hanno cominciato a scrivere cronache delle loro imprese. La Cina, la Russia e il Giappone hanno cercato in varie occasioni, nonostante si fossero impegnati a non farlo, di annettersi il suo territorio. E gli Stati Uniti, nonostante il nostro governo avesse dichiarato in molte occasioni di difendere la Corea in caso di attacco, non avevano mai alzato un dito prima del giugno del 1950 per difendere questo piccolo e sfortunato paese contro i nemici ai suoi confini.

 

La penisola di Corea, lunga 600 miglia, sporge come un piccolo pollice dalla grande massa del continente asiatico. Essa è rivolta nella direzione di Kyushu, quella più a sud delle quattro maggiori isole giapponesi, come se si offrisse all'invasione attraverso il piccolo stretto di Tsushima. Da Pusan, principale porto coreano, a Shimonoseki, che si trova all'imbocco del Mare Interno giapponese, c'è un percorso inferiore a un centinaio di miglia. La penisola coreana divide il subartico Mare del Giappone dal sub-tropicale Mar Giallo, e questo può spiegare in parte le grandi variazioni di temperatura cui è soggetto questo paese. Nonostante la Corea si trovi in zona temperata, essa soffre d'inverno di un freddo che nelle alture di circa duemila metri del nord può arrivare a meno trentacinque gradi circa, mentre nelle risaie del sud, il calore estivo può essere insopportabile. Tutti i nemici del fante sono presenti: neve alta, fango appiccicoso, fortissime piogge estive, polvere bruciante, ma ci sono anche le risaie verdi, così ricche e luminose da togliere il fiato. C'è un aspetto della Corea che ogni combattente ricorderà: il puzzo. L'uso di escrementi umani per fertilizzare i campi, il trasporto di questo concime con secchi e barili e in carri mal coperti impregnano l'aria del paese di un odore così particolare che l'animo dapprima si ribella decisamente.

 

La Corea è un paese povero. Nei bassopiani del sud, gli alberi e l'erba, sono già stati eliminati da lungo tempo e utilizzati come cibo, mangime o combustibile e adesso la vegetazione principale è costituita da arbusti radi e contorti che non offrono nessuna protezione, ben poca legna e scarsissimo riparo e verde. Gli abitanti dei villaggi del sud grattano la terra con i bastoni per raccogliere ogni possibile sostanza combustibile per i loro fuochi. Le radici, i rami secchi, la paglia, gli stracci, le immondizie di ogni genere vengono pazientemente riuniti e messi da parte per mantenere accese le stufe. Nei villaggi i rigagnoli sono fogne aperte e recano il loro contributo al puzzo diffuso ovunque. I maiali, gli animali domestici più diffusi, razzolano in mezzo ad una sporcizia indescrivibile. Gruppi di cani affamati e ringhiosi inghiottono i resti di cibo meno commestibili. I bambini giuocano fuori delle abitazioni, e i pantaloncini dei più piccoli sono aperti sul fondo, in modo che essi possano soddisfare le loro esigenze naturali in qualsiasi momento.

 

I campi di riso del sud forniscono un raccolto abbondante e i coreani coltivano molti cavoli, che spesso marciscono nel campo e vengono portati a casa per essere conservati in un gran recipiente, vicino alla stufa, insieme a teste di pesce e ad altre delicatezze, per fornire poi un cibo detto Kim Chi, che molti occidentali troverebbero immangiabile. Invece esso è molto gustato dai coreani, ed è senza dubbio una grande fonte di vitamine. Le case sono sbilenche, poco ammobiliate e illuminate da finestre coperte da carta oleata che permette alla luce del giorno di filtrare all'interno. La pianura del sud è fittamente coltivata e ci sono abitazioni dovunque.

 

La Corea del Nord, in cui è installata l'industria e che dipende in gran parte dal sud per l'alimentazione, mostra grandi cespugli di sempreverdi sulle sue ripide montagne, i cui scoscesi pendii hanno spesso pareti a picco di circa duemila metri. E il paese nel suo insieme, visto dal cielo o durante una tranquilla passeggiata sulle colline o sulle spiagge, sembra dotato di una particolare bellezza. Quando finisce l'estate, le colline ai piedi della catena centrale dove crescono alberi d'alto fusto, divengono gialle e dorate, con stupende sfumature rosse e marroni. I cieli sono spesso di un azzurro sconfinato e il mare dalle due parti della penisola si stende pulito e profondo.

 

L'estremo nord offre però visioni meno idilliche, soprattutto d'inverno, quando la neve che ricopre i grandi deserti della Manciuria cade giù fitta ricoprendo le montagne con strati alti più di tre metri. In questa parte, dove le catene di montagne si spingono verso il fiume Yalu, il paese è veramente diviso in due, tanto che è impossibile per un esercito mantenere un fronte unito, o anche efficaci contatti attraverso i picchi privi di sentieri e insuperabili. In tutto il paese le strade sono sinuose e distanti tra loro. Gli altipiani sono attraversati soprattutto da sentieri dove gli uomini o i cavalli debbono passare uno alla volta. Le foreste forniscono una eccellente copertura per la fanteria mentre le valli, numerosissime e strette, le strade in cattivo stato e penosamente rabberciate, e i crinali taglienti come coltelli possono bloccare qualsiasi movimento di un esercito pesantemente meccanizzato che non osi operare a gruppi sparsi sulle colline. Senza carri armati, con poca artiglieria, non intralciate dalla necessità di mantenere difficili linee di comunicazione, dotate di equipaggiamento leggero e munite di sole armi portabili a mano, le armate cinesi, abituate ai rigori della temperatura e alla scarsezza del cibo, ottimamente disciplinate e molto bene addestrate, vi trovarono un'ottima opportunità di manovrare e di nascondersi.

 

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Reparti cinesi in trincea: la frugalità, resistenza, spirito di sacrificio costituirono un essenziale valore

nei confronti degli eserciti contrapposti, aventi superire armamento ed equipaggiamento

 

La nostra ignoranza della natura del terreno e la estrema approssimazione delle carte geografiche di cui cercammo di servirci diedero al nemico un vantaggio in più e fecero della sua grande conoscenza del terreno una specie di arma segreta. Le strade che cercavamo spesso non esistevano o si rivelavano essere soltanto degli stretti sentieri che nessun veicolo fornito di ruote poteva percorrere.

 

Diversamente dall'asperità del loro paese, i coreani sono decisamente ospitali, gente in genere docile e gentile, buoni soldati se bene addestrati e patrioti accaniti che covano un odio secolare per i giapponesi, di cui ricordano troppo bene la brutale dominazione. Individualisti come gli irlandesi, i coreani trovano la stessa difficoltà a sottomettersi ad una obbligatoria unanimità in campo politico. Essi non sono mai stati educati all'autogoverno e hanno pochissima esperienza nel campo della tecnica moderna; si sono così trovati di fronte a seri ostacoli nel loro tentativo di creare un paese moderno e autosufficiente. La scarsa conoscenza che essi avevano delle nostre usanze e la nostra incapacità di superare efficacemente la barriera creata dalla lingua, insieme al carattere contraddittorio di molti nostri atteggiamenti nei confronti del loro paese, resero la collaborazione molto difficile, soprattutto in una situazione in cui la presenza di un pericolo mortale non permetteva di fare piani a lunga scadenza e di osservare tutte le regole del protocollo.

 

Gli Stati Uniti hanno appreso assai tardi della esistenza della Corea e hanno allacciato con essa rapporti diplomatici in un tempo relativamente recente. Nel 1833 gli americani che cercavano di penetrare commercialmente in Giappone si interessarono alla possibilità di stabilire rapporti commerciali con la Corea, ma anche dopo che il commodoro Perry aprì "la porta del Giappone" essa venne trascurata. Nel 1866 alcuni missionari francesi e americani vennero uccisi in Corea e per un certo periodo i rispettivi governi progettarono una spedizione punitiva sul suo territorio. Per fortuna questo progetto venne abbandonato; ma alcuni tentativi successivi di aprire negoziati con la Corea portarono solo ad uno scambio di cannonate fra i vascelli americani e le batterie costiere coreane e alla cattura di alcuni prigionieri coreani. Ma i tentativi continuarono, con la mediazione prima del Giappone e poi della Cina. Infine nel 1882 a Tientsin, firmammo il nostro primo trattato col piccolo stato asiatico; esso stabiliva rapporti commerciali fra gli Stati Uniti e il regno di Corea. Un aspetto particolarmente interessante di questo trattato era costituito da una clausola che impegnava all'« aiuto reciproco nel caso che uno dei due paesi fosse stato trattato ingiustamente da un altro ». Per quanto riguarda l'espressione « ingiusto trattamento » sembra che si sia dato a questo termine nei settant'anni successivi una interpretazione piuttosto limitativa.

 

In quasi tutti i trattati, i documenti, le decisioni e le dichiarazioni sulla Corea, che da allora si sono succeduti, la parola « indipendenza » ricorre continuamente. Ma negli anni che seguirono il trattato di Tientsin, l'indipendenza non è stata che una parola. Per noi significava che la Corea doveva adempiere i suoi impegni commerciali ma che non eravamo tenuti a intervenire mentre altri paesi si disputavano il diritto di occupare e di sfruttare questa "terra del calmo mattino".

 

Quando il trattato di Tientsin fu firmato, noi riconoscemmo pubblicamente la sovranità cinese. Più tardi, mentre il Giappone e la Cina si sforzavano di impadronirsi della Corea, noi evitammo ad ogni costo di irritare l'uno o l'altro di essi, arrivando fino a richiamare il nostro rappresentante diplomatico dopo che il governatore cinese si lamentò del suo atteggiamento nei confronti dei tentativi cinesi di rafforzare il proprio controllo. Quando la rivalità cinogiapponese in Corea divenne guerra aperta nel 1894, di nuovo cercammo di non prendere posizione, limitandoci a formulare la speranza che il Giappone non infliggesse una guerra ingiusta ad un paese indifeso. Così le basi del nostro "lavarsi le mani" della Corea erano già state poste prima che Dean Acheson imparasse a compitare.

 

Durante la guerra cinogiapponese respingemmo una proposta inglese di intervenire al loro fianco e a quello della Germania, della Russia e della Francia. E quando il Giappone arrivò a controllare tutta la Corea noi riconoscemmo una volta di più l' "indipendenza" coreana e riconoscemmo i diritti del Giappone. Nei mesi che seguirono, mentre la Russia e il Giappone cominciavano a lottare fra loro per impadronirsi della penisola, il Dipartimento di Stato chiese al nostro ministro plenipotenziario a Seul di pregare gli americani che risiedevano nel paese a non esprimere opinioni antigiapponesi.

 

Nei venti anni successivi gli Stati Uniti vennero invitati per due volte ad osservare il loro impegno per impedire che la Corea fosse divorata viva da un altro paese e per due volte risposero negativamente, in modo preciso e diretto. Quando il Giappone, nei primi mesi che seguirono la guerra russogiapponese, stabilì il suo protettorato sulla Corea, il presidente Roosevelt pronunciò queste parole: « Non possiamo assolutamente intervenire a favore dei coreani contro i giapponesi. Essi (i coreani) non sono assolutamente in grado di difendersi ». Questa fu la nostra risposta alle richieste pervenuteci cinque o sei anni prima di ottenere dalle grandi potenze un trattato che garantisse l'integrità della Corea. La nostra "politica delle mani pulite" divenne ufficiale con l'accordo Taft-Katsura del 1905, mediante il quale noi consentimmo l'insediamento di un protettorato giapponese in Corea, in cambio di una dichiarazione giapponese di non nutrire intenzioni aggressive verso il nostro più recente acquisto in Estremo Oriente, le Filippine.

 

Nel periodo che seguì la prima guerra mondiale, mentre i popoli asserviti in tutto il mondo accoglievano con emozione la dichiarazione di Wilson sul diritto all'autodeterminazione, si verificò in Corea una grande esplosione di nazionalismo. Uomini si incontrarono di nascosto nelle cantine per stampare una dichiarazione di indipendenza con grossi caratteri di legno scolpiti a mano. Giovani scolari, con copie di questa dichiarazione nascoste nelle loro maniche, passavano da un villaggio all'altro senza suscitare sospetti nella efficiente polizia giapponese e neanche nelle innumerevoli spie giapponesi confuse fra la popolazione che cercavano di prevenire qualsiasi tentativo di incitamento alla rivolta aperta.

 

In centinaia di villaggi, a nord e a sud, i patrioti coreani si incontrarono segretamente per preparare il giorno della liberazione. Erano decine di migliaia di uomini e di donne, ma nessuna notizia delle loro intenzioni trapelò ai giapponesi. Il 10 marzo del 1919 trentatré dirigenti coreani, compreso Syngman Rhee, si incontrarono al ristorante della "Luna splendente" a Seul per un ultimo pasto insieme, lessero a voce alta la dichiarazione d'indipendenza, la firmarono e chiamarono la polizia. Nello stesso momento in tutto il paese milioni di persone si riunirono nelle strade per ascoltare la lettura della dichiarazione e poi sfilarono gioiosamente in ogni villaggio, dietro alla proibita bandiera coreana. I dimostranti erano disarmati e non violenti. Ma nelle settimane che seguirono migliaia di essi vennero condannati a morte dai giapponesi. Nel frattempo il Dipartimento di Stato avvertiva il nostro console a Seul perché « facesse attenzione a non lasciar credere che gli Stati Uniti fossero disposti ad aiutare i nazionalisti coreani nei loro progetti » e a non far pensare ai giapponesi che il governo degli Stati Uniti avesse la più piccola simpatia per il movimento nazionalista coreano.

 

Fu dunque nel quadro di questa tradizione che nell'aprile del 1948, di fronte ad una Corea divisa in una zona sovietica e in una zona americana, il presidente Harry Truman, su richiesta dei capi di Stato maggiore, approvò la seguente dichiarazione: « Gli Stati Uniti non debbono impegnarsi tanto a fondo nella situazione coreana da far sì che un'iniziativa presa da una fazione coreana o da qualsiasi altra potenza nei confronti della Corea debba venir considerata dagli Stati Uniti come un casus belli ».

 

Nonostante avessero ammesso alla conferenza del Cairo e a quella di Potsdam di desiderare la formazione di una Corea indipendente, gli Stati Uniti erano tornati alla tradizionale "politica delle mani pulite". Al Cairo gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Cina si erano trovati d'accordo nel dire che la Corea avrebbe dovuto diventare indipendente "a suo tempo" (il primo ministro sovietico Stalin approvò questa dichiarazione in occasione del suo incontro col presidente Roosevelt a Teheran). A Potsdam, nei giorni che precedettero la resa giapponese, nel 1945, Truman e Stalin approvarono una dichiarazione che assicurava alla Corea la sua indipendenza dopo un mandato di cinque anni esercitato dall'Unione Sovietica, dalla Gran Bretagna e dal Giappone, senza che si facesse menzione degli Stati Uniti. (Stalin insisté più tardi perché anche gli Stati Uniti venissero compresi fra le potenze mandatarie.)

 

Gli Stati Uniti che, dopo la resa del Giappone, si trovarono improvvisamente ad occupare la parte meridionale della penisola coreana, cominciarono ad assolvere i loro impegni, in virtù di un mandato che non era mai stato ufficialmente conferito, senza averlo previsto, in base a progetti piuttosto vaghi e senza tener conto delle possibili conseguenze. Essi commisero subito un grosso errore che costò loro la fiducia e la collaborazione del popolo coreano; riconfermarono i disprezzati funzionari giapponesi. Allarmati dalla indignazione generale sollevata da questa iniziativa, gli Stati Uniti cercarono di rimediare al loro errore licenziando immediatamente i giapponesi e mettendo al loro posto dei funzionari civili americani, bene intenzionati ma impreparati, che non conoscevano la lingua e non capivano i problemi imposti dalla necessità di porre le basi di una politica finanziaria ed economica della nuova repubblica coreana.

 

La mancanza di un accordo generale con l'Unione Sovietica aggravò la situazione e Mosca e Washington cominciarono ad accusarsi reciprocamente di tortuose manovre. Nel frattempo il popolo coreano cominciava ad impazientirsi e a prendersela con le due parti sospettando che esse volessero violare ancora una volta la promessa di concedere l'indipendenza.

 

Quando compresero che era ormai impossibile esercitare il mandato in collaborazione con l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti si rivolsero alle Nazioni Unite — e questo permise all'Unione Sovietica di dichiarare violato l'accordo precedente. Gli Stati Uniti proposero di tenere libere elezioni nelle due zone, ma i sovietici rifiutarono di lasciar entrare nella loro zona il comitato provvisorio delle Nazioni Unite.

 

Essi sostenevano che alle elezioni avrebbero dovuto partecipare solo quei partiti che avessero dato una « piena adesione » all'accordo di Mosca che istituiva il mandato. Questo avrebbe eliminato praticamente tutti i partiti nella zona americana, in cui la libertà di parola aveva permesso a tutti di esprimere la propria insoddisfazione per qualsiasi soluzione che — indipendentemente dal mandato — comportasse un ritardo alla concessione dell'indipendenza.

 

Finalmente si arrivò alle elezioni nella Corea del Sud nel maggio dal 1948 che portarono alla nascita della Repubblica Coreana presieduta da Syngman Rhee, nascita che fu seguita da una contromossa sovietica: la creazione della « Repubblica coreana democratica e popolare », con capitale a Pyongyang.

 

Gli Stati Uniti posero allora fine all'occupazione militare e nel settembre del 1948 cominciarono a ritirare le truppe, dimostrando ancora una volta il loro tradizionale attaccamento al principio del disimpegno. Pur avendo l'Unione Sovietica precedentemente annunziato la sua intenzione di ritirare tutte le sue forze dalla Corea per la fine dell'anno, e a suo tempo comunicò di aver ultimato il ritiro, un esame più attento della situazione avrebbe potuto svelarci che stavamo immolando nel vero senso della parola la giovane Repubblica Coreana.

 

La differenza tra il nostro modo di affrontare il problema coreano e quello sovietico stava nel fatto che noi non perseguivamo altro obiettivo che una certa "indipendenza" vagamente concepita che ci avrebbe lasciati liberi di ritirarci e di tornare ad occuparci dei nostri problemi interni. I sovietici, al contrario, pensarono fin dall'inizio ad una "indipendenza" che avrebbe lasciato la penisola coreana indipendente da tutti gli altri paesi, ad eccezione della Russia. Essi cominciarono a mirare a questo obiettivo fin da quando gli Stati Uniti entrarono in guerra e la vittoria divenne sicura.

 

Addestrarono fin dal principio alcuni quadri scelti per metterli in grado di stabilire e mantenere uno stato di tipo sovietico nel quale i gruppi antisovietici non avrebbero più avuto il diritto di esprimersi. E poi provvidero subito all'addestramento e all'armamento di una grossa forza coreana, che comprendeva una fanteria, delle divisioni meccanizzate e una polizia di frontiera. All'inizio queste forze furono equipaggiate con armi prese ai giapponesi al momento della resa. In seguito, quando le forze russe si ritirarono nel 1948, esse lasciarono dietro di sé armi per i nordcoreani addestrati da loro. Nei primi mesi del 1950, nel periodo precedente l'attraversamento del 380 parallelo, la Russia fornì all'esercito popolare nordcoreano un gran numero di armi moderne, ivi compreso artiglieria pesante, carri armati T-34, camion, armi automatiche e 180 aerei nuovi, fra i quali 40 apparecchi da combattimento Yak e 70 bombardieri d'assalto.

 

Prima che invadesse la Corea del Sud, l'esercito nordcoreano disponeva di otto divisioni di fanteria, due divisioni a forza ridotta, un reggimento di motociclisti, una brigata corazzata dotata di carri armati medi T-34 e cinque brigate di polizia di frontiera, nel complesso una forza di 135.000 uomini.

 

L'esercito nordcoreano non era forte solo per il numero dei soldati o per il loro equipaggiamento, ma comprendeva anche molti coreani fuggiti dal Giappone in Russia che avevano combattuto a fianco dell'esercito russo o di quello cinese, e molte altre migliaia che avevano completato, con inizio nel 1946, un periodo di addestramento di tre anni in Russia. Anche il governo era composto da personalità ben preparate, la cui maggioranza era stata sottoposta a un indottrinamento comunista in Unione Sovietica fin dal 1943 (fra questi c'era il primo ministro Kim Il Sung). Le divisioni e le altre grandi unità erano comandate soprattutto da uomini che avevano combattuto come ufficiali nell'esercito sovietico nella seconda guerra mondiale; e ogni divisione disponeva di una quindicina di consiglieri sovietici.

 

A sud del 38° parallelo, di fronte a questo esercito bene addestrato e ottimamente disciplinato, noi lasciavamo poche forze che non osavamo neppure chiamare un esercito. (Gli Stati Uniti erano così profondamente desiderosi di disimpegnarsi che i nostri rappresentanti nella Corea del Sud non avevano neppure il permesso di usare il termine "esercito" in riferimento alla forza di polizia che stavamo sforzandoci di creare per mantenere l'ordine dopo la nostra partenza). I coreani a sud del 38° parallelo non erano meno amanti della libertà e meno attaccati alla loro patria di quelli della Corea del Nord. Nella nostra zona c'erano molti nordcoreani che erano fuggiti di fronte all'occupazione sovietica. Nella Corea del Sud non erano tanto il coraggio o la volontà di combattere che mancavano, quanto piuttosto un addestramento intenso e comandanti capaci. Queste furono le due maggiori necessità che non soddisfacemmo.

 

Non basta neppure dire che eravamo degli incapaci e che non sapemmo prevedere il futuro. È una esemplificazione grossolana e sbagliata attribuire la colpa dello scoppio della guerra in Corea alla dichiarazione di Dean Acheson secondo cui la Corea si trovava al di fuori del nostro perimetro difensivo. Egli stava solo spiegando la politica degli Stati Uniti che era stata accettata da tutti. La Corea era sempre restata al di fuori del nostro perimetro difensivo e lo avevamo dimostrato molte volte nei nostri rapporti con essa. Le forze della repubblica della Corea del Sud mancavano di equipaggiamento e di dirigenti capaci soprattutto perché non attribuivamo nessuna importanza strategica alla Corea; la nostra preoccupazione era soprattutto quella di non impegnarci fino al punto di essere poi costretti a combattere al momento sbagliato nel posto sbagliato. Per questo non equipaggiammo sufficientemente il suo esercito e non tentammo di correggere i difetti dei suoi capi, la cui esperienza militare era assai scarsa.

 

 

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Seul marine americani in azioneanticecchinaggio

 

È vero che c'erano delle serie difficoltà. La Repubblica Coreana non aveva molti reduci dalla Manciuria e pochi erano coloro che erano stati addestrati alla guerra moderna. Solo pochi ufficiali coreani parlavano l'inglese e ancora minore era il numero dei consiglieri americani che parlavano il coreano. I termini militari in uso nell'esercito americano non avevano nessun equivalente in coreano. Nell'esercito della Corea del Sud "non perdere la faccia" era molto importante e gli ufficiali coreani avevano difficoltà ad accettare i consigli degli ufficiali americani di grado meno elevato, si risentivano apertamente per le opinioni contrarie alle loro, di modo che i loro sottoposti esitavano a esprimere un'opinione diversa. Molti ufficiali coreani erano stati nominati per ragioni politiche, come gli ufficiali della nostra Guardia nazionale prima della prima guerra mondiale e la loro competenza militare non era mai stata messa alla prova. Molte truppe erano dislocate in luoghi diversi per combattere il banditismo e assolvere altri compiti di sicurezza interna. L'addestramento era incompleto e meno della metà dei 67 battaglioni erano stati sufficientemente addestrati alla fine del 1949. La Repubblica Coreana non aveva artiglieria pesante, carri armati, armi anticarro, aerei. Non è sorprendente che Syngman Rhee e altri dirigenti esprimessero la loro preoccupazione per il rafforzamento della Corea del Nord e la loro corrispondente debolezza a sud del parallelo.

 

Ma tutto ciò corrispondeva alla nostra politica nei confronti della Corea. Nel 1948 il Consiglio nazionale di sicurezza degli Stati Uniti aveva seriamente pensato di creare un vero esercito nella Corea del Sud, ma il progetto fu abbandonato dietro insistenza di MacArthur, che pensava soprattutto al « diminuito potenziale delle forze americane di occupazione ». Nel 1949 eravamo ormai pienamente convinti che la prossima guerra combattuta dagli Stati Uniti, sarebbe stata una guerra globale, nella quale la Corea avrebbe rivestito un'importanza secondaria e sarebbe stata comunque indifendibile. Tutti i nostri piani,tutte le nostre dichiarazioni ufficiali, tutte le nostre decisioni militari si ispiravano a questa convinzione. Il concetto di "guerra limitata" non venne mai preso in esame. Credevamo nelle Nazioni Unite e la bomba atomica costituiva per noi una specie di ideale "linea Maginot" psicologica che ci aiutava a razionalizzare il nostro desiderio di far tornare i ragazzi a casa, di smobilitare l'esercito, di rinfoderare la spada e di far abbandonare l'uniforme a tutti i soldati, tutti i marinai, tutti gli aviatori. Alla luce degli eventi successivi è stato facile criticare questo desiderio generale di disarmare e di disperdere la più grande forza militare di cui il nostro paese abbia mai disposto. Nessun uomo politico di quel tempo avrebbe potuto restare a galla se avesse insistito per mantenere il paese in armi e per lasciare un contingente militare a 8000 miglia dalla patria.

 

In verità nel nostro giudizio sulla situazione coreana abbiamo dato troppo credito alle nostre interpretazioni sulle intenzioni del nemico e abbiamo badato troppo poco a quanto sapevamo su di esse. L'esistenza di una potente forza d'urto nella Corea del Nord e la concentrazione di truppe nei pressi della frontiera non erano un mistero per i nostri servizi d'informazione. Erano le nostre previsioni che erano sbagliate perché eravamo convinti che le forze comuniste in genere non erano pronte a rischiare la guerra atomica ricorrendo all'aggressione armata. La guerra limitata, come ho detto più sopra, era un concetto ancora sconosciuto per noi, se non nel senso in cui ogni guerra è limitata dal prezzo che i partecipanti sono disposti a pagare per il conseguimento del loro obiettivo.

 

In questa situazione si può anche criticare il momento scelto da Dean Acheson per pronunciare il suo discorso del gennaio 1950 nel quale dichiarò che la Corea era fuori del nostro perimetro difensivo. Se è vero che la debolezza delle forze armate sudcoréane e la forte pressione popolare che si esercitava sul governo americano perché richiamasse in patria tutte le forze all'estero, erano ben note ai sovietici, questa dichiarazione, secondo la quale non intendevamo difendere la Corea, non contribuì certo a distogliere il nemico dal suo proposito. È vero anche che il tracciato di un perimetro difensivo che non comprendeva la Corea non fu opera esclusiva di Dean Acheson o dell'amministrazione Truman. Fin dal settembre del 1947 alcuni studi compiuti dai capi di Stato maggiore (Leahy, Eisenhower, Nimitz e Spaatz) su istruzioni del presidente Truman furono riassunti in un memorandum nel quale era contenuta questa frase: « ... Dal punto di vista della sicurezza militare, gli Stati Uniti non hanno molto interesse a mantenere le basi e le truppe in Corea al livello attuale... ». Certo non sorprende che i punti di vista di queste quattro grandi autorità militari abbiano ricevuto l'approvazione del presidente Truman.

 

Nel 1949, in due interviste distinte, concesse l'una al giornalista inglese Ward Price e l'altra a Walter B. Matthews dell'Arizona Daily Star, il generale Douglas MacArthur parlò di un perimetro difensivo che non comprendeva Formosa. Questo non suscitò nessuna particolare emozione perché era ormai scontato, per le nostre autorità militari, che Formosa sarebbe ben presto caduta nelle mani dei comunisti cinesi. E i progetti di emergenza approntati dagli Stati Uniti per l'Estremo Oriente non prevedevano la difesa della Corea del Sud o di Formosa.

 

Quando il Dipartimento di Stato cominciò a inviare istruzioni alle missioni diplomatiche perché fossero pronte a prevenire il duro colpo che avrebbe rappresentato per gli Stati Uniti la perdita di Formosa, i rappresentanti repubblicani al Congresso chiesero finalmente che gli Stati Uniti si decidessero a difendere l'isola. Ma nessuno pretese che fosse mutata la nostra politica nei confronti della Corea. La politica valida era dunque ancora quella del "lavarsene le mani".

 

È molto più difficile spiegare perché interpretammo in modo così radicalmente sbagliato i rapporti fornitici dai nostri servizi di controspionaggio. Conoscevamo approssimativamente la forza dell'esercito popolare nordcoreano, che nel 1949 aveva raddoppiato le sue forze grazie a una mobilitazione totale e al richiamo di migliaia di coscritti. Conoscevamo anche la nostra debolezza. Fin dal 1947 il generale MacArthur ci aveva messi in guardia contro i pericoli che minacciavano l'Estremo Oriente e aveva affermato che non c'era forza che potesse sostituire la presenza di un gran numero di soldati. Ma sull'amministrazione venne esercitata una forte pressione per indurla a ridurre le spese militari e i bilanci delle singole armi furono sottoposti a drastici tagli. La marina mancava di navi da combattimento, di mezzi anfibi di qualsiasi natura, di dragamine e di mezzi posamine. L'esercito non disponeva all'inizio di aerei a reazione e aveva una dotazione insufficiente di aerei convenzionali da combattimento e di aerei per il trasporto delle truppe. I mezzi limitati di cui disponeva per eseguire rilievi fotografici e la mancanza di personale qualificato che fosse in grado di interpretare quelle fotografie mettevano le forze di terra in una posizione di serio svantaggio. Negli Stati Uniti, dove le armi e i depositi di armi erano ormai ridotti al minimo, gli impianti per la costruzione di armamenti erano stati smantellati o comunque non venivano utilizzati. Avevamo una grande fiducia nella capacità delle Nazioni Unite di prevenire una grave aggressione; sapevamo che il mondo era stanco della guerra e che i comunisti "non erano pronti" a rischiare un olocausto nucleare, inoltre facevamo tutto il possibile per non trascinare i nostri nemici potenziali in uno scontro di più vaste proporzioni.

 

Questo atteggiamento speranzoso può anche averci indotto a interpretare in modo sbagliato i rapporti trasmessi dal controspionaggio nei giorni che precedettero immediatamente l'invasione. Solo sei giorni prima che l'esercito popolare nordcoreano varcasse la frontiera in pieno assetto di guerra, un agente della CIA segnalò « vasti movimenti di truppe» a nord del 38° parallelo: questi movimenti erano stati accompagnati da « l'evacuazione di tutti i residenti a nord del parallelo su di una profondità di due chilometri; sospensione dei servizi di trasporto merci sulla linea da Wonsan a Chorwon e riserva di questa linea al trasporto dei soli rifornimenti dell'esercito; movimenti di unità armate nelle zone di confine; e trasporto di molti materiali di ordinanza e di molte munizioni nelle zone di confine ». È difficile capire come qualcuno abbia potuto leggere questo rapporto senza aspettarsi un prossimo attacco. Pure questo rapporto non servì da punto di partenza a nessun esame da parte della G-2 al quartier generale di Tokyo e venne trasmesso a Washington come una informazione qualunque, senza nessuna indicazione di urgenza. Più tardi il quartier generale cercò di negare la sua responsabilità per non aver saputo individuare subito questi preparativi e insisté di aver « trasmesso tutti i fatti » a Washington. Ma questo non spiega perché sei giorni prima dell'attacco sferrato dall'esercito nordcoreano, il quartier generale inviasse a Washington un rapporto che conteneva questa interpretazione dei fatti: « Sembra che i consiglieri sovietici credano che è giunto il momento di sottomettere la Corea del Sud con mezzi politici, soprattutto in ragione del fatto che la campagna dei guerriglieri nella Corea del Sud ha incontrato seri insuccessi ».

 

Mi pare evidente che il quartier generale, come molti altri nostri dirigenti, in patria e fuori, fosse influenzato dalla convinzione che tutti questi allarmi e queste incursioni rappresentassero soltanto aspetti consueti della "guerra fredda" psicologica nella quale ci trovavamo impegnati, non solo in Corea ma in settori per noi molto più importanti. Inoltre prevaleva a Tokyo la tendenza a non credere ai nostri informatori e a ritenere in particolare che i sudcoreani avessero la tendenza a gridare "al lupo" anche quando non ne esisteva alcuno nelle vicinanze. E'vero che movimenti del genere erano stati osservati anche nel 1947, anno in cui i nordcoreani avevano iniziato a alternare periodicamente reparti completamente equipaggiati fra il 38° parallelo e l'interno del paese.

 

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Soccorsi a un ferito americano

 

Quello che secondo me non può essere scusato e che ci costò un alto prezzo di sangue fu la errata valutazione che fu data dell'alto livello di efficienza militare cui era giunto l'esercito popolare nordcoreano. Quando i combattimenti iniziarono, il quartier generale fu costretto ad aumentare quasi tutti i giorni la sua valutazione delle forze che sarebbero state necessarie a fermare gli invasori. Non avevamo mai studiato attentamente il grado di preparazione del nemico.

 

Cominciammo infatti a ritirare i nostri ultimi reparti dalla Corea proprio nel momento in cui la tensione fra le due Coree stava aumentando sensibilmente. Lo facevamo, si diceva, per obbedire ad una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma quella risoluzione, che chiedeva il ritiro di tutte le truppe straniere, era stata redatta e presentata dagli Stati Uniti stessi nonostante che la commissione delle Nazioni Unite e Syngman Rhee stesso affermassero che la Corea era sull'orlo di « una barbara guerra civile ». Tutto il paese era deciso a liquidare questo imbarazzante impegno militare e ci tappammo le orecchie di fronte al rumore di armi che proveniva dalla frontiera mentre ritiravamo le nostre truppe. La nostra sola concessione alle esigenze della situazione fu una decisione del marzo 1949 di completare l'equipaggiamento delle forze di polizia sudcoreane (le autorità della Repubblica Coreana sostituirono subito questo termine, contenuto nella risoluzione, con quello di "esercito") e di fornire ad una guardia costiera di quattromila uomini i mezzi di cui aveva bisogno « per reprimere il contrabbando, la pirateria e la penetrazione di nemici per via di mare ». I "reparti corazzati" di questo esercito consistevano in qualche vettura da esplorazione e in qualche trattore. Le quattro divisioni esistenti erano composte soltanto da due reggimenti di fanteria (invece che da tre) e tutto l'esercito disponeva soltanto di novantuno pezzi da 105 millimetri. (In base al regolamento di organizzazione dell'esercito degli Stati Uniti avrebbero dovuto esserci 432 pezzi d'artiglieria per ogni divisione, appoggiati da battaglioni, non facenti parte della divisione, dotati di armi dello stesso calibro e di calibro superiore.)

 

Le nostre forze nella Corea del Sud, che erano state dapprima ridotte ad un gruppo reggimentale da combattimento, consistevano allora in una équipe di consiglieri militari — il famoso KMAG (Korea

 

Military Advisory Group) composto di circa cinquecento ufficiali e soldati comandati dal brigadiere generale William L. Roberts. Questo gruppo aveva il compito di fornire consiglieri all'esercito della Repubblica Coreana fino al livello di battaglione. Questo è tutto ciò che restava nella Corea del Sud, mentre i nordcoreani stavano facendo gli ultimi preparativi per l'invasione. Nel giugno del 1949, dopo una serie di piccoli scontri lungo il 380 parallelo, le forze nordcoreane invasero una parte del territorio della Repubblica Coreana nella penisola di Ongjin, quasi nello stesso momento in cui alcune unità tattiche degli Stati Uniti venivano ritirate. La frontiera primitiva non venne ristabilita fino a luglio. Nello stesso mese la città di Kaesong, a sud del 380 parallelo, venne attaccata dalla fanteria e dall'artiglieria nordcoreane. Di nuovo in agosto la penisola di Ongjin venne invasa e i nordcoreani vennero respinti dopo duri combattimenti. Nel maggio del 1950 Kaesong fu di nuovo esposta ad un violento fuoco di artiglieria proveniente dal nord. Intanto il nostro disimpegno procedeva.

 

Non si deve credere però che le nostre autorità militari o anche civili fossero unanimi nel chiedere che ci ritirassimo dalla Corea o che cercassero di guardare con ottimismo a questo infelice paese. Fin dal 1948 il generale Omar N. Bradley, capo di Stato maggiore dell'esercito, con la sua caratteristica acutezza, mise in dubbio la tesi sostenuta dagli Stati maggiori riuniti, secondo la quale la Corea era « di scarso valore strategico », e che « qualunque impegno ad usare le forze armate americane in Corea sarebbe imprudente ». Egli riconobbe che un'invasione nordcoreana era molto probabile e raccomandò, nel caso che essa avesse luogo, che i cittadini americani venissero immediatamente evacuati e che la questione fosse sottoposta senza indugio all'esame del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Egli sostenne anche che la situazione coreana doveva essere riesaminata prima che le nostre truppe da combattimento fossero ritirate, ma le sue proposte vennero respinte.

 

Un ufficiale superiore del KMAG, il colonnello John E. Baird, lanciò un avvertimento isolato. Egli informò il nuovo ambasciatore americano in Corea, John Muccio, che la natura e la qualità del materiale a disposizione dell'esercito della Repubblica Coreana non era sufficiente a difendere la frontiera esistente. Egli affermò che le truppe sudcoreane, già inferiori di numero, disponevano di un'artiglieria molto inferiore a quella dei nordcoreani che infatti disponevano di cannoni da 122 millimetri con una portata di circa ventisei chilometri di fronte ai cannoni sudcoreani da 105 millimetri, forniti dagli americani, la cui portata non superava i dieci chilometri. E insisté perché alle truppe sudcoreane venissero forniti mezzi di difesa contro gli attacchi aerei, raccomandando che venissero dotate anche di aerei F-51. La sua richiesta non venne esaudita.

 

Anche alcuni uomini politici, compreso il presidente Truman, si erano pronunciati contro il troppo rapido smantellamento del nostro apparato bellico e la "messa in frigorifero" della nostra industria bellica. Ma, come avrebbe detto Truman nelle sue memorie, queste affermazioni furono « soffocate dal Congresso e dalla stampa ». Così quando il fuoco dell'artiglieria pesante diede il segnale dello scoppio di una autentica guerra in Corea, la piccola repubblica che avevamo creato fu solo in grado di offrire una resistenza puramente simbolica e ci trovammo impreparati per adempiere al nostro impegno di fornirle aiuti militari.

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galland i tuoi interventi sono fantastici :adorazione: :adorazione: :adorazione:

 

ho capito molte piu cose dai tuoi interventi,che a scuola!! :rotfl: :rotfl:

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  • 5 mesi dopo...
Ospite galland

Credo utile segnalare, presso la Casa Editrice “Il Mulino” (il cui nome rappresenta, a mio parere, sinonimo di serietà e rigore editoriale) due volumetti dedicati alle guerre combattute in estremo oriente nel corso della guerra fredda:

 

Steven Hung Lee

 

La Guerra di Corea

 

p. 224 Euro 12,00 collana “Universale Paperbacks”

 

prefazione/introduzione/il contesto storico/le grandi potenze e le due Coree (1945-50)/la guerra mondiale di Corea (1950-51)/soldati e civili: per una storia sociale della guerra di Corea/combattere e negoziare: la guerra e l’armistizio (1951-54)/le conseguenze della guerra di Corea a livello mondiale/la Conferenza di Ginevra (1954)/conclusioni, la “lunga pace”/cronologia/letture consigliate.

 

 

Mitchell K. Hall

 

La guerra del Vietnam

 

p.200 Euro 11,50 collana “Universale Paperbacks”

 

introduzione, alle origini del conflitto/l’America entra in guerra/Le svolte decisive/la “fine del tunnel”/l’esito e le conseguenze della guerra/carte/cronologia.

 

 

La collana, particolarmente ricca di una messe di titoli su tutte le epoche storiche, si propone di fornire un’ informazione di base sulle materie trattate. Il pondus dei volumi, intorno le duecento pagine, assicura una trattazione attendibile dell’oggetto di studio.

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Ospite intruder

Quoto. Pur forzatamente per le poche pagine, questi libri riescono a fornire un quadro esaustivo generico. Sicuramente da consigliarne l'acquisto.

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non sono uno stratega, ma a mio avviso l'inizio delle ostilità fu provocato dalla "previsione" nordcoreana che l'offensiva- avvenuta in un contesto difficile per la corea del sud dove vi era una "guerriglia" attiva filo-comunista- sarebbe stata così rapida che USA e GB avrebero dovuto accettare il "fatto compiuto", contando anche nel vto sovietico ad una eventuale proposta di condanna ufficiale dell'ONU. Se vediiamo, già in vietnam c'erano delle azione anti-occidentali supportate da forze comuniste, e l'india solo pochi anni prima era divenuta indipendente (avicinandosi all'uRSS) senza che USA e gb si fossero impegnate a fondo. E' possibilissimo che gli strateghi nordcoreani ritenessero che in occidente il conflitto sarebbe stato visto come quello vietminh anti-francesi, cioè con molta indignazione, ma poche reazioni de facto.

In effetti non è che in Europa, e pure negli USA, TUTTI i plitici morissero dalla voglia di combattere in Corea, il ricordo della guerra mondiale era ancora vivo, e di nuovi morti e nuove scene di guerra molti non ne volevano-giustamente, anche- neppure sentire parlare.

In effetti i "pro-intervento" dissero sostanzialmente che

a) l'invasione assomigliava molto a quelle fatte negli anni '30 e '40 dall' ASSE (e chi può dar loro torto su questo punto?), e accettando il fatto senza reagire avrebbe significato "concedere" a chi lo desiderasse di invadere il vicino meno forte. tutti i principii dell'onu sarebbero diventati di colpo carta straccia

b) nel mondo già operavano movimenti di "guerriglia" filo-comunisti. una vittoria comunista in corea del nord avrebbe dato ulteriore energia ai movimenti

alcuni negli USA avrebbero desiderato una 2soluzione finale" del comunismo visto come "male assoluto", e non gli pareva vero poter disporre del pretesto tanto atteso invano dal 1946.

Sotto varii aspetti, l'andamento ricorda, nelle prime fasi,un pò la campagna d'europa "accorciata": "blitzkrieg" nord coreana simile a quelle tedesche del 39-41, ritirata sudcoreana/usa a pusan, strenua resistenza fino all'invio di enormi masse di mezzi, sbarchi riusciti- come anzio o normandia- esponenziale rinforzo in uomini e mezzi, travolgimento del nemico come accaduto al reich nel 1945. poi venne l'intervento cino-russo.

Fu anche l'ultima guerra "massiva" doveconcorsero così tante nazioni contrapposte, e sotto certi aspetti fu la continuazione della serconda guerra mondiale, all'inizio le armi erano quelle del 1945, mustang p-51, f-80, bazooka m-9, ed è strano come si potesse pensare che il pur validissimo p-51 potsse competere alla pari con gli aere a reazione mig

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  • 2 settimane dopo...

Fu anche l'ultima guerra "massiva" doveconcorsero così tante nazioni contrapposte, e sotto certi aspetti fu la continuazione della serconda guerra mondiale, all'inizio le armi erano quelle del 1945, mustang p-51, f-80, bazooka m-9, ed è strano come si potesse pensare che il pur validissimo p-51 potsse competere alla pari con gli aere a reazione mig

 

 

leggendo queste ultime righe e affiorato un ricordo

l esercito americano al inizio delle operazioni aveva puntato molto sulla carabina m1 in calibro 30

vedendosi costretto in seguito reintrodurre massicci quantitativi di garand

le truppe si lamentavano scarsa gittata del m1

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Il fatto è che la carabina M1, pur essendo concettualmente più moderna del garand, risultava sottopotenziata rispetto alle munizioni intermedie che i sovietici avevano già introdotto con l'AK, e questo portò gli americani a rivalutare, sbagliando, il concetto di battle rifle portando ad avere un fucile superato, l'M14, come successore dell'M1.

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Ospite intruder

Per altro, in Corea, i comunisti pure usarono parecchia roba della seconda guerra, dai T34 ai pepescià. Non mi pare di avere visto foto di truppe con l'AK, comunque.

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