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"Boeing B-17 Flying Fortress"


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"Boeing B-17 Flying Fortress"

 

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Tra gli aeroplani che hanno fatto la storia, e non solo quella dell’aviazione, figura in primo piano la Fortezza Volante, l’aereo che con I Liberator si avvicinò più d’ogni altro, nelle prestazioni e nell’impiego che ne fu fatto, alle concezioni douhettiane circa i mezzi per esercitare il « potere aereo » sull’avversario. Prodotto in 12731 esemplari, il quadrimotore americano consentì l’effettuazione dei pesanti attacchi diurni sulla Germania condotti da enormi formazioni disposte a « scatola » (Box) per aumentare l’efficacia dell’appoggio reciproco. La disponibilità numerica permetteva di dislocare contemporaneamente numerosi velivoli sul fronte del Pacifico e di fornirne 169 alla RAF.

 

La tecnica

Il Boeing B-17G versione che prendiamo in esame come particolarmente rappresentativa dell’intera serie era un quadrimotore ad ala bassa a sbalzo di costruzione interamente metallica, con impennaggi cruciformi di notevole superficie e carrello triciclo posteriore completamente retrattile.

L’ala era su profili biconvessi simmetrici. La sua struttura era basata su due longheroni con solette tubolari in lega leggera, collegate da un traliccio di diagonalature chiodate, nonché su una fitta centinatura, anch’essa a traliccio. Il rivestimento era in lamiere di avional, irrigidito da un fasciame interno in lamiera ondulata. Le due semiali erano vincolate direttamente, mediante attacchi in acciaio ad alta resistenza, ai fianchi della fusoliera, il cui massimo diametro era circa doppio dello spessore che l’ala presentava alla radice, e ciascuna di esse era suddivisa in tre elementi distinti: il tronco interno, con le due gondole motrici e la gamba del carrello; il tronco esterno, su cui si estendeva l’alettone intelato (con angolazioni massime di ± 12°); ed il raccordo terminale. L’ala era munita di ampi ipersostentatori a spacco a corda costante, che alla massima angolazione di 45° riducevano la velocità di stallo di una quindicina di chilometri all’ora. La struttura alare era notevolmente leggera, pesando circa 20 kg al metro quadro, ed era anche estremamente robusta, essendo in grado di incassare senza cedere anche d’anni di vistosa entità.

La fusoliera, a sezione circolare, era costituita da un complesso di nove elementi: la prua, il muso, il tronco alloggiante la cabina di pilotaggio, il tronco centrale incorporante il vano bombiero, il tronco centro-posteriore, il tronco conico posteriore, quello cui erano vincolati gli impennaggi, il cono terminale con la postazione del mitragliere di coda, e l’elemento che copriva la cabina di pilotaggio e lo raccordava al dorso della fusoliera.

La struttura della fusoliera era basata su una fitta serie di diaframmi con sezione a Z, su tre robusti longheroni in estruso a doppio T (due dorsali ed uno ventrale), e su numerosi correntini di irrigidimento ad L.

L’impennaggio orizzontale, a pianta trapezoidale, e quello verticale, dalla caratteristica pinna, avevano struttura completamente metallica nelle superfici fisse, e rivestita in tela per quelle mobili. Il timone ed i due semiequilibratori, analogamente all’alettone sinistro, erano muniti di alette correttrici, mentre il bordo d’attacco delle superfici fisse e quello delle semiali esterne e dei tronchi d’ala tra la gondola motrice interna e quella esterna erano muniti di guaine per lo sghiacciamento pneumatico.

Le gambe anteriori del carrello, munite di ammortizzatori olepneumatici e di ruote di 1,424 metri di diametro, con coperture su sedici tele, si retraevano elettricamente nelle gondole motrici interne, con rotazione verso l’avanti, senza però occultarvisi completamente. Il ruotino di coda, disposto in posizione piuttosto avanzata, si retraeva nel ventre della fusoliera, ruotando verso l’indietro.

I motori del B-17G erano gli stellari a nove cilindri Wright « Cyclone » R-1820, con riduttore, carburatore ad iniezione Bendix e turbocompressori a gas di scarico General-Electric B 22, dotati di sistemi elettronici di controllo Minneapolis-Honeywell, installati nel ventre delle gondole motrici, e che ricevevano l’aria per l’alimentazione del motore e per i gruppi d’interefrigerazione dalle bocche di presa disposte nel bordo d’attacco alare. I motori erano installati in gondole ben profilate aerodinamicamente, vincolati a castelli motore in tubi d’acciaio, ed erano isolati dal velivolo mediante paratie parafiamma in lamiera d’acciaio. Essi azionavano eliche tripala Hamilton Standard a giri costanti di 3,53 metri di diametro, con possibilità di messa in bandiera e con sghiacciamento a liquido delle piste. L’impianto di alimentazione fu sempre, su tutti i B-17, la parte forse meno soddisfacente, rivelandosi alquanto vulnerabile alle offese avversarie. Esso era costituito, oltre che dalle varie tubazioni, dalle pompe, dalle valvole, dai filtri e dagli organi di controllo, da ben ventiquattro serbatoi alari (disposti due tra i fianchi della fusoliera e le gondole motrici interne, quattro tra le gondole motrici, e diciotto esternamente a queste), tutti di tipo autostagnante, cui potevano aggiungersi i serbatoi supplementari installati nel vano bombiero per voli su grandi distanze, che portavano la capacità totale dell’impianto da 10533 a 13627 litri. Il lubrificante, per complessivi 560 litri, era contenuto in quattro serbatoi autostagnanti, installati nelle gondole motrici posteriormente alla paratia parafiamma. L’impianto elettrico era particolarmente curato, e ad esso faceva capo la maggior parte delle utenze di bordo, tra cui qli attuatori degli ipersostentatori, dei portelloni del vano portabombe, e quelli per l’abbassamento e la retrazione del carrello. All’impianto oleodinamico erano invece asserviti i freni delle ruote ed i flabelli per la regolazione del raffreddamento dei motori.

Notevole cura era stata rivolta al problema di assicurare un impiego agevole e sicuro del velivolo anche su grandi distanze ed alle massime quote, ed il B-17G disponeva infatti di autopilota, di quattro distinte reti per l’inalazione dì ossigeno gassoso, e di un impianto di riscaldamento alimentato da uno scambiatore di calore a glicolo, installato nella gondola motrice interna sinistra. Pure assai sviluppate erano le apparecchiature radio per comunicazioni e per la navigazione, e l’aereo era anche munito di impianto interfonico per l’equipaggio.

L’armamento difensivo del B-17G fu certamente tra i più efficaci e meglio studiati fra tutti quelli installati sui bombardieri della seconda guerra mondiale, ed era basato su ben 13 mitragliatrici da 12,7 mm, piazzate due in ciascuna delle torrette caudale, dorsale, ventrale ed anteriore, sotto il musone trasparente. A queste otto armi si aggiungevano le due laterali, per la difesa dei fianchi della fusol’iera, quella dorsale (spesso peraltro assente) piazzata nel comparto del radiotelegrafista, e le due installate nei fianchi del muso, Il carico di bombe, salvo che nelle missioni su brevi distanze, era viceversa piuttosto limitato, non superando solitamente i 2500 kg, anche se (peraltro piuttosto raramente) l’applicazione di travetti portabombe sotto la radice dell’ala permetteva di portare il carico offensivo a 9 454 kg, in missioni a breve raggio. Il traguardo di puntamento giroscopico Norden, installato nel musone trasparente, consentiva una buona precisione di tiro, anche se l’impiego del bombardiere Boeing in formazioni numerose (i cui componenti sganciavano contemporaneamente sul bersaglio) e da quote elevate andò costantemente a discapito dell’esattezza della mira. L’aereo era infine dotato di abbondanti blindature per la protezione dell’equipaggio.

 

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In Sequenza Didascalia dei Competitori del Boeing Model 299, lo stesso con seguente foto dell'incidente avvenuto il 30 Ottobre 1935,

 

L’evoluzione

Per il concorso bandito nel maggio 1934 per un bombardiere plurimotore, la Boeing rielaborò la tecnica del trasporto civile Modello 247 giovandosi dei miglioramenti già introdotti sul gigantesco quadrimotore da bombardamento Modello 294, allora in costruzione con la sigla XBLR-1 (poi cambiata in XB-15) per realizzare un quadrimotore relativamente piccolo ma esuberante in potenza motrice e quanto più possibile moderno. Il prototipo Model 299(che non ricevette la designazione XB-17) iniziò i voli il 28 luglio 1935 a Seattle, pilota Les R. Tower, e il 20 agosto si trasferì a Wright Field per le prove ufficiali, coprendo i 3400 km del percorso in sole nove ore, senza scalo, Il prototipo andò però distrutto il 30 ottobre in un incidente che non intaccò peraltro la fiducia conquistata nel corso dei collaudi ("Cause of crash of the Boeing bomber" ), tanto che venne ordinata una preserie di tredici Y1B-17, diversi dal prototipo nei motori (Wright GR-1820-39 da 930 cavalli anziché i P. & W. R-1690E « Horret » da 750) e nell’equipaggio di 9 anziché 8 persone. Un’altra cellula, inizialmente destinata alle prove statiche, fu completata con motori Wright GR-1820-51 dotati di turbocompressori a gas di scarico e fu siglata Y1 B-17A. Essa dimostrò tanto convincentemente i vantaggi dell’installazione che tutti i velivoli successivi ebbero i turbocompressori.

Solo nel 1938 si ebbe la prima ordinazione per una versione di serie, il B-17B, e per soli 39 esemplari. I motori Wright R-1820-51 davano 1 200 cavalli al decollo, tutta la prua era stata semplificata, il piano di coda verticale era ingrandito e così gli ipersostentatori, ma l’armamento era rimasto alle singole mitragliatrici da 7,62 mm a brandeggio manuale nelle cinque postazioni (di prua, dorsale, ventrale e laterali) che allora giustificavano il nomignolo di Fortezza Volante solo in apparenza. Già sul B-17C, ordinato in 38 esemplari nel 1939, mitragliatrici binate da 12,7 mm erano installate nella postazione dorsale e in quella (ridisegnata) ventrale e, armi singole dello stesso calibro erano nelle postazioni laterali, ora prive della copertura trasparente a bolla, mentre due affusti sui fianchi del muso sostituivano l’unico, centrale, per armi da 7,62; inoltre comparivano i serbatoi autostagnanti e la corazzatura per l’equipaggio. I motori erano i Wright R-1820-65 da 1 000 cavalli in quota. Sostanzialmente identico fu il B-17D, prodotto in 42 esemplari, cui si aggiunsero vari B-17C modificati. Una svolta significativa venne con il B-17E (costruito in 512 esemplari), grazie all’esperienza ottenuta con l’impiego bellico fatto dall’aviazione inglese, nel 1941, delle Fortezze acquistate in America. Una sezione poppiera interamente nuova unica variazione di rilievo introdotta nella evoluzione del velivolo, consentiva tanto una maggiore stabilità in quota che l’installazione di una ulteriore postazione difensiva: la preziosa postazione dietro gli impennaggi, con due armi da 12,7 mm. Identico armamento, ora però in torrette ad azionamento meccanico, avevano le postazioni dorsale e ventrale, una (talvolta due) 12,7 armava il posto del marconista e ciascuna postazione laterale, e solo negli snodi a prua restavano due armi da 7,62 mm a brandeggio manuale.

La produzione passò poi al B-17F, con molti miglioramenti ma esternamente identico salvo per l’adozione di un muso in plexiglas, con un unico affusto centrale per un’arma da 12,7 mm, anche se gli esemplari più recenti ospitarono due di queste armi mentre altre due venivano aggiunte sui fianchi del muso. Ne furono costruiti 3 400, grazie alla partecipazione alla produzione degli stabilimenti della Lockheed-Vega, che ne costruì 500 esemplari, e della Douglas che ne produsse 600. Analogamente avvenne per il B-17G, realizzato in 4025 esemplari dalla Boeing, 2250 dalla Lockheed-Vega, 2395 dalla Douglas, e ancor meglio armato, grazie all’aggiunta di due armi da 12,7 mm in una torretta sotto l’estrema prua, telecomandata. Quaranta esemplari andarono all’U.S. Navy per compiti antisom (PB-1G) e ricognizione meteo (PB-1W). Numerose furono le varianti e le conversioni di bombardieri per altri compiti, dal trasporto (C-108) alla fotoricognizione (16 F-9), dal lancio sperimentale di bombe plananti radioguidate al soccorso marittimo (130 B-17H, poi SG-17G), dall’impiego come bersagli radioguidati (DB-17) o come bombe volanti radiocomandate (una ventina di BQ-7), alle più disparate funzioni sperimentali.

Ma la più interessante conversione fu quella in « incrociatore volante », destinato a scortare (ma senza successo) gli analoghi velivoli da bombardamento. Un B-17F venne convertito nel prototipo XB-40, e altri venti in altrettanti YB-40, tutti con la torretta sotto il muso che poi sarebbe stata adottata sul B-17G, e almeno una dozzina di altre mitragliatrici da 12,7 mm disposte in vari modi.

Ultimo sviluppo della serie fu lo XB-38, un B-17E i cui motori radiali vennero sostituiti con gli Allison V-1710-89 a 12 cilindri a V, da 1 425 cavalli. L’aereo, che compì il suo primo volo il 19 maggio 1943, andò però distrutto in un incidente, ed il relativo programma venne abbandonato.

 

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YB-17A e B-17B

 

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B-17C (D) e B-17E

 

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B-17F e B-17G

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L’impiego

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Dodici Y1B-17 equipaggiarono dall’estate 1937 il 20 Gruppo da Bombardamento dell’U.S. Air Corps, distinguendosi in brillanti tournées nell’America Latina e « intercettando » a grande distanza dalle coste statunitensi dei transatlantici stranieri, tra cui l’Italiano Rex. L’episodio suscitò proteste diplomatiche e diede grande fama ai grandi bombardieri. Il primo impiego bellico lo ebbero i 20 B-17C forniti alla RAF (si dice come velivoli da addestramento per gli equipaggi dei futuri quadrimotori inglesi) che entrarono in servizio col 90° Squadron nel maggio 1941 col nome di Fortress I. Vennero impiegati prevalentemente in azioni singole, contro basi navali tedesche (anche in Olanda e Norvegia) e questa tattica, oltre a varie deficienze del velivolo, portò a risultati deludenti: in 51 missioni di aerei isolati, 26 fallirono per cause tecniche e le Fortezze rientrarono senza aver lanciato le bombe. Gli aerei operarono contro il naviglio Italiano nel Mediterraneo ed effettuarono azioni notturne su Bengasi, e nell’ottobre 1942 passarono quindi in Scozia assegnati al Coastal Command per la ricognizione marittima.Da parte americana, 33 velivoli dei modelli C e D erano nelle Filippine, altri erano nelle Hawai e un’altra dozzina vi stava giungendo, quando i giapponesi attaccarono Pearl Harbor. La maggior parte dei quadrimotori fù distrutta sui campi, ma già il 10 dicembre tre aerei della ventina di sopravvissuti effettuavano la prima azione offensiva del l’aviazione americana nel la seconda guerra mondiale, attaccando navi giapponesi prima del ritiro del 19° Gruppo in Australia. Il mese dopo quel reparto si trasferiva a Giava per riprendere l’attività offensiva, e riceveva i primi B-17E (come pure il 70, in Australia), che operarono nel Pacifico soprattutto per la ricognizione a largo raggio, dimostrandosi preziosi particolarmente il 4 giugno 1942, quando parteciparono alla battaglia delle Midway. Ancora in azioni sul mare operarono anche i 45 B-17E forniti alla RAF, che li battezzò Fortress IIA e li assegnò al Coastal Command (come pure 19 B-17F, o Fortress II); alcuni di essi vennero estesamente modificati in Inghilterra, con apparati e armi speciali per la lotta ai sommergibili. Frattanto (luglio 1942) i primi contingenti dell’8 Air Force americana prendevano stanza in Gran Bretagna per l’offensiva in Europa: la prima missione fu effettuata il 17 agosto, da dodici B-17E del 97° Gruppo, che attaccarono Rouen di giorno. Nell’autunno 1942 buona parte (16 Squadrons dei Gruppi 2°, 97°, 99° e 301°) di questa forza fu inviata in Africa settentrionale ove costituì la 15 Air Force. A reintegrare la 8’ giunsero i B-17F, che il 27gennaio 1943 compirono la prima azione dell’USAAF sul territorio tedesco attaccando Wilhelmshafen. Seguirono i poderosi, ma duramente pagati, bombardamenti diurni di Schweinfurt, Wiener Neustadt e Regensburg e, il 4 marzo 1944, la prima incursione americana su Berlino effettuata con i B-17G, il cui maggiore armamento migliorava le possibilità di difesa contro la caccia avversaria specialmente nel caso di attacchi frontali, divenuti abituali.

Frattanto nel Pacifico era stata costituita con i B-17E ed F la 10 Air Force, che operò nel settore India-Birmania-Cina, e la RAF aveva equipaggiato con 85 Fortress III (B-17G) gli Squadron 214 e 223 del Bomber Command, formanti il 100° Gruppo specializzato nelle contro- misure elettroniche.

Non si può non ricordare l’impiego che della Fortezza Volante fecero tedeschi e giapponesi. I primi arrivarono a disporre di una ventina di esemplari in grado di volare, e ne equipaggiarono un reparto speciale per operazioni di varia natura, dalla ricognizione alle « trappole » contro gli identici velivoli americani (L’USAAF reagì con uno stratagemma analogo, facendo fare da civetta ad un YB-40); i secondi riuscirono a ricostruire tre Fortezze da rottami abbandonati sui campi conquistati, facendone un uso analogo a quello escogitato dai tedeschi sia pure su scala assai minore.

Infine, dopo la guerra tre B-17G andarono a far parte della nascente aviazione israeliana, contribuendo sia pure prevalentemente in modo psicologico alla guerra del 1948. Impiego pacifico ebbero invece i pochi esemplari forniti alla Repubblica Dominicana e al Brasile, mentre addirittura in trasporti civili erano state convertite sei Fortezze confiscate dal governo svedese dopo gli atterraggi sul suo territorio durante la guerra. A guerra finita, il B-17 trovò anche impiego come « bombardiere ad acqua » per combattere gli incendi delle foreste, e come aereo da fotogrammetria per l’istituto geografico francese.

 

 

Esemplare di B-17 catturato dai Nazisti ed utilizzato dal KG200

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A third and better known KG200 B-17F was U.S.A.A.F. #42-30713 "Phyllis Marie" from the 390th bomb group, captured intact on March 8th 44. This was the only KG200 B-17 re-captured intact by the Americans. She was found on the runway at Altenburg on May 4 1945 still bearing all of her markings except for the crosses and swastikas. Link Luftwaffe KG 200

 

 

YB-40

L'Espressione massima della fortezza volante con il B-17 venne raggiunta (Come abbiamo accennato) con la versione YB-40, l'aereo era considerato letteralmente un "Incrociatore Volante" anche se i risvolti operativi non diedero il successo sperato.

 

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Informazioni in merito all'utilizzo operativo dell'YB-40

92nd BOMBARDMENT GROUP YB-40 History

 

 

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The XB/YB-40 was an attempt by Army Air Force and Boeing to bring additional defensive firepower to the bomber formations flying against German Luftwaffe fighters. A standard B-17F was modified with an additional Bendix upper turret mounted in place of the radio compartment guns. Additionally, a twin gun chin turret was mounted and the single waist guns were replaced by twin gun mounts. Both the waist guns and the twin tail guns were hydraulycally boosted for better control. Ammunition supplies on the YB-40 were almost trible that of a standard B-17F, 11,275 rounds compared to 3900 rounds on a B-17F. The YB-40s retained full bombing capabilities although seldom used due to the extrem weight of the extra ammunition load.

Although the XB-40 prototype was a Boeing project, all productions YB-40s were built by Douglas but identified as Vega-built aircraft! Twenty-three aircraft were built - one XB-40 and twenty-two YB-40s. They were rushed into combat during May of 1943 with the 92nd Bomb Group at Alconbury. Their career come to a quick end when it was discovered that the much heavier YB-40s could not keep pace with the main bomber stream. By August of 1943 all of the YB-40s had been withdrawn from combat. Some of the YB-40 concepts would live on late B-17F variants, the most notable being the chin turret armament found on late B-17Fs and nearly all of the B-17Gs.

 

 

Seguiranno dei Contributi fotografici su versioni ed utilizzi inconsueti del B-17

 

The B-17G with two "Loons"

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The B-17 was to become the most well-known American bomber of the Second World War well as the most used, being flown by both side ( the German's had up to 60! in service). As the B-17 was a very well built and robust aeroplane, it was the first chose when the USAAF experimented with air-launching the Republic JB-2 "Loon" to test the practically of such operations with the 1946 invasion of Japan in mind. The USAAF were so impressed with the results that the order for 1,100 JB-2's was increased to 75,000 in January 1945, how ever with the surrender of Japan in August of that year the perceived need for such a weapon and in such numbers was lost and in September of 1945 the Jb-2 program was terminated.

 

 

 

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In 1946, two B-17Gs were modified as flying testbeds for experimental turboprop engines, with the company number of Model 299-Z. All the military equipment was removed, the pilot's cockpit was moved farther back, and the nose was completely modified to accommodate the experimental engine.

Later the first aircraft was used to test the Wright XJ65 turbojet, the engine being slung below a streamlined nose structure and the intake being covered with a cap for protection during ferrying. This aircraft contuned flying untill crashing on takeoff in 1980.

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Arriva l’Ottava

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Al momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, gli strateghi dell’aria, sulle due sponde dell’Atlantico, erano giunti alla conclusione che il conflitto avrebbe potuto essere vinto

semplicemente grazie alla potenza aerea. Pensavano che sarebbe stato possibile costringere, a forza di

bombe, la Germania nazista ad

arrendersi, risparmiando così la vita a forse centinaia di migliaia di uomini, che, altrimenti, avrebbero dovuto conquistare la vittoria, un palmo alla volta, sul terreno.

Il nuovo vangelo predicava: attacchi aerei ininterrotti. La RAF doveva battere a tappeto di notte e l’USAAF doveva effettuare bombardamenti dl precisione di giorno.

La RAF dal canto suo aveva tentato il bombardamento diurno, di solito con aliquote di bombardieri sempre

inferiori ai 10 esemplari, e aveva subito perdite paurose. Per ironia della sorte, uno dei tipi di aerei impiegati dai Britannici erano state proprio le Fortezze volanti della versione B-17C, cinque esemplari acquistati per una valutazione. Armate con cinque mitragliatrici da 12,7 mm e una da 7,7 mm manovrate a mano, erano praticamente prive di difesa. Giudicate inadatte ai compiti, vennero ben presto ritirate. La Boeing, che le costruiva, prese nota del fatto e cominciò a produrre la versione B-17E, molto più efficiente. I primi gruppi dell’Ottava Forza Aerea arrivarono in volo in Gran Bretagna nei primi giorni di luglio del 1942 e si dispersero nelle loro basi in attesa dell’impiego. La prima missione fu effettuata Il 17 agosto contro 12 scali ferroviari e officine di riparazione della zona di Rouen, a Nord di Parigi, sotto una scorta di Spitfire. Tutti e 12 i quadrimotori del gruppo rientrarono praticamente indenni da quella prima missione, annunciando per di più l’abbattimento accertato di due caccia Bf 109 e l’abbattimento probabile di altri cinque contro la perdita di due Spitfire.

Da quel giorno, l’Ottava prese parte alla campagna di bombardamento con molta decisione, ma con perdite spaventose. Il principio del bombardamento diurno prevedeva che il contingente d’incursione fosse in grado di difendersi da solo, il che richiedeva l’intervento di una scorta caccia a fianco dei bombardieri. La tecnologia riuscì a mettersi al passo con la teoria soltanto nel 1944, riuscendo a produrre monoposto da caccia a grande autonomia in grado di accompagnare i bombardieri lungo tutto il percorso d’andata e di scortarli anche in quello di ritorno.

 

Ho visto Schweinfurt

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Come luccicanti insetti d’argento, con le scie bianche di condensazione che si snodavano dietro, le Fortezze Volanti volavano in una formazione lunga 16 km, lasciandosi alle spalle le scogliere della costa inglese.

Era il 17 agosto 1943, un anno esatto dal giorno in cui l’Ottava Forza Aerea americana aveva cominciato a bombardare dalle basi in Gran Bretagna la ‘Festung Europa’, la Fortezza Europa di Hitler.

Sulle basi americane dell’East Anglia il tempo era nebbioso e coperto, e gli equipaggi delle Fortezze Volanti avevano atteso con ansia di sapere se le missioni si sarebbero fatte o no; qualcuno dovette aspettare perfino 6 ore. La tensione era aggravata dall’importanza che ciascuno, dal comandante in capo in giù, assegnava alla missione di quel giorno: era la prima operazione di bombardamento completamente strategico, destinata ad annientare una parte vitale dell’industria tedesca e, di conseguenza, a ridurre la durata della guerra. “Allora, ragazzi”, disse un ufficiale durante uno dei rapporti preliminari, “oggi ce ne tocca una dura. Andiamo a colpire alcuni stabilimenti che producono cuscinetti a sfere in una città della Baviera di nome Schweinfurt. La rotta da seguire ci costringerà a sorvolare il centro della Germania,sia all’andata sia al ritorno. Quelle fabbriche producono circa la metà dei cuscinetti a sfere della Germania e, se la distruggeremo, la nostra incursione sarà un successo, anche se soltanto pochi...”

Il resto della frase venne soffocato da un coro di gemiti. Quegli uomini avevano già sentito molte altre volte la storia della ‘missione suicida’, e sapevano che non erano tutte chiacchiere.

“La quota sarà 7000 metri e cercheremo di dividere la difesa. La 3a divisione interverrà per prima e colpirà Ratisbona (la seconda fabbrica di aerei del Reich in ordine di importanza) che si trova nelle vicinanze, poi proseguirà verso l’Africa settentrionale. Le altre due divisioni aeree colpiranno Schweinfurt e faranno ritorno in Inghilterra. Speriamo che il piano funzioni, perché, se non riusciamo a fregarli, rischiamo di trovarci addosso da 300 a 400 caccia...”

Parole profetiche. Il piano non funzionò e più di 500 giovani americani persero la vita in quella missione.

L’intero piano si basava su una sincronizzazione perfetta, 146 Fortezze Volanti, con quasi 200 caccia di scorta in quota per la prima ora, dovevano abbandonare la costa inglese a Lowestoft, zigzagare sul Mare del Nord verso l’Olanda, poi virare a Sud verso il Belgio, quindi a Sud-Est in Germania fino a Mannheim, e poi dritto verso Est per andare ad attaccare le fabbriche Messerschmitt di Ratisbona. Un bell’obiettivo, ma, in realtà, si trattava soprattutto di una manovra diversiva per stornare l’attenzione degli intercettori tedeschi. Dieci minuti dopo che la formazione di testa sarebbe decollata agli ordini di Curtis LeMay, avrebbero dovuto alzarsi in volo altri 230 B-17 e altri caccia di scorta agli ordini del brigadiere Robert Williams con destinazione le fabbriche di cuscinetti a sfere di Schweinfurt.

Per confondere ulteriormente il quadro, una formazione mista di Typhoon britannici e di bombardieri medi Mitchell americani doveva effettuare nello stesso momento un’incursione sullo stretto di Dover e attirarsi addosso il maggior numero possibile di caccia tedeschi verso il Sud, cioè verso la Bretagna.

L’ora H era fissata per le 8,30. In quel momento, però, la nebbia copriva l’Inghilterra orientale come una coperta fradicia. I gruppi di LeMay, di base in prossimità della costa del Norfolk, furono i primi a notare un cambiamento. Poco dopo le 9 cominciarono a intravvedere il fondo della pista, anche se il soffitto era ancora zero. Alle 9,30 avevano decollato tutti, e stavano effettuando un’ampia virata in cerchio, che aveva come diametro la distanza da Norwich fino alla Wash, ammazzando il tempo in attesa che il resto dell’Ottava Forza Aerea salisse a raggiungerli. Se avessero lasciato più di 10 minuti di intervallo con un’altra formazione, l’intera missione sarebbe stata soltanto una perdita di tempo. Un intervallo maggiore, infatti, invece di provocare la confusione, si sarebbe trasformato in un avvertimento per tutti i centri di controllo caccia della Germania. Ogni minuto che trascorse — e ne passarono molti — vide il piano andare gradatamente a pezzi. Oggi, col senno di poi, è facile sostenere che l’intera operazione avrebbe dovuto essere annullata immediatamente e riprogrammata per un altro giorno. Ma chi può dire cosa passava per la mente del brigadiere generale Frederick L. Anderson, seduto nel bunker del suo comando a High Wycombe, unico responsabile, che non sapeva cosa fare?

Da ogni parte venivano pressioni perché fosse sferrato un colpo mortale all’industria strategica tedesca. Pressioni venivano dall’interno della Forza Aerea americana per dimostrare che la strategia delle incursioni di massa era quella giusta. I meteorologi sostenevano che, anche se per il momento era sotto un cielo sereno, l’Europa centrale sarebbe stata poi coperta di nubi per almeno quindici giorni.

Per un’intera ora la formazione destinata a Ratisbona rimase nel circuito d’attesa, seguita attentamente, in ogni movimento di ogni aereo, dagli operatori radavolo da tutte le basi dell’Olanda e della Germania settentrionale, e anch’essi cominciarono una vana solitaria danza, proprio come un pugile si mette a combattere contro un fantasma, nel suo angolo, prima che suoni il gong della prima ripresa. I Typhoon e i Mitchell decollarono regolarmente ed effettuarono la loro inutile missione provocatoria sul Passo di Calais, ed Anderson continuava a esitare.

Alle 10 dovette decidersi. Se la formazione di Ratishona voleva atterrare sugli sconosciuti campi d’aviazione dell’Africa settentrionale con ancora un po’ di luce, doveva partire. Le telescriventi scattarono in tutte le torri di controllo della pianura dell’East Anglia, e la 3 divisione dell’Ottava Forza Aerea virò verso Est e si allontanò.

La nebbia stava cominciando a sollevarsi più a Sud e nell’interno, dove erano di base i gruppi destinati a Schweinfurt, e un po’ alla volta anch’essi decollarono. A mano a mano che un gruppo dopo l’altro si inseriva nel circuito i ritardi si accumularono; poi, alle 13,15, virarono a Sud, oltre la costa del Suffolk, attraverso il Mare del Nord e al di là del confine della ragionevolezza, in un mondo diverso. La maggior parte degli equipaggi della seconda ondata, una volta superata la costa olandese, non vide nemmeno un caccia dì scorta. Gli Spitfire della RAF erano già in quota ad accoglierli, ma i Thunderbolt della scorta a lunga autonomia decollarono con 9 minuti di ritardo rispetto al previsto e non li raggiunsero più.

Dicono che il generale Anderson aveva pensato che, se un ritardo di 10 minuti poteva provocare confusione nei ranghi della Luftwaffe, un ritardo di 3 ore avrebbe fatto altrettanto. Ma ignorare a questo modo le capacità della rete di avvistamento radar tedesca non può che essere definito criminale. Mentre 10 minuti di intervallo fra le due formazioni d’attacco avrebbero costretto i controllori dei caccia a dividere le loro forze, il lungo ritardo permise loro di dirigere tutti gli aerei disponibili, col pieno di carburante e di munizioni, contro le due formazioni, una alla volta.

“All’ora in cui la nebbia si era diradata quanto bastava per lasciarci decollare”, ricorda uno dei superstiti della missione di Schweinfurt, “la 34 divisione doveva aver già bombardato Ratisbona e doveva essere in volo verso l’Africa. Invece di aiutarci, dividendo i caccia, aveva semplicemente avvertito il Comando Caccia tedesco che questa era un’operazione in grande stile.

 

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Flack in Azione nei cieli di Schweinfurt

 

“Noi sbucammo dalla nebbia a circa 300 metri di quota e, una volta arrivati a 7000, puntammo verso il Continente. Uno strato di nubi fitte che si estendevano da 5000 a forse 8000 metri ci sbarrava la strada e non potevamo infilarci dentro in formazione e sperare di conservarla. Il colonnello Gross, che comandava la 1 divisione aerea, doveva prendere una decisione difficile: passare sopra e correre il rischio che anche l’obiettivo fosse coperto dalle nubi, dirigersi su un obiettivo secondario oppure passare sotto la coltre. Il vantaggio di arrivare a 7000 metri di quota consisteva nel fatto che si sarebbe stati abbastanza alti da rendere difficili le cose ai caccia, Messerschmitt o Focke-Wulf che fossero. Mentre a quote inferiori, fra i 4500 e i 5500 metri, essi erano nel loro elemento.” E proprio a quella quota il colonnello Gross decise di far scendere tutta la sua formazione da bombardamento. E fu l’ultimo tocco, il chiodo finale, piantato in una bara già troppo piena.

Il massacro cominciò immediatamente. La formazione di Gross, che scontò l’errore del suo comandante, perse 10 quadrimotori in altrettanti minuti. Gli Americani, con 11 mitragliatrici da 12,7 mm per aereo, erano potentemente armati e volavano in formazione stretta di protezione. Quando, a fine giornata, fu annunciato l’abbattimento di 288 caccia nemici, si trattò, probabilmente, di un’esagerazione; però i caccia fecero veramente quello che vollero. Noi sappiamo che 147 Fortezze andarono perdute: 60 non rientrarono

più; 27 avevano subito danni tali che, pur rientrando, vennero scartate come inutilizzabili; 60 arrivarono in Africa settentrionale in condizioni tali da non poter nemmeno essere riparate. Anch’esse vennero lasciate da parte e, alla fine, smontate per utilizzarne le parti come pezzi di ricambio.

Non che la prima ondata se la sia cavata molto meglio. Racconta un pilota che apparteneva all’ultima formazione, ovviamente la più vulnerabile: “Il nostro quadrimotore fu quasi costantemente in pericolo per i rottami che ci volavano contro. Portelli d’emergenza, porte normali, paracadute aperti troppo presto, corpi umani e frammenti assortiti di Fortezze Volanti e aerei tedeschi ci volavano addosso nella scia della formazione. Noi continuammo a volare in quella scia di una disperata battaglia aerea, in cui era normale vedere quadrimotori e caccia disintegrarsi in aria”.

"Alle 10,17 presso Woensdrecht, ho visto sbocciare in cielo nelle nostre vicinanze le prime nuvolette della Flak, rade e imprecise. Pochi minuti dopo, due FW-190 ci arrivarono contro, direzione ore 1, alla nostra quota, e filarono attraverso la formazione che ci precedeva in un attacco frontale, danneggiando due Fortezze alle ali e disimpegnandosi sotto di noi in una mezza rovesciata. Entrambi i quadrimotori colpiti cominciarono a emettere scie di fumo, ma mantennero la posizione. Mentre i caccia ci sfilavano accanto, a una fortissima velocità, le mitragliatrici del nostro Gruppo aprirono il fuoco. L’odore pungente della polvere bruciata riempì la cabina di pilotaggio e il B-17 tremò tutto, sotto il rinculo delle’ mitragliatrici del muso e della torretta. Prima che scomparisse alla nostra vista, notai che dall’ala di Uno dei caccia si stacca vano frammenti. Era un assaggio della battaglia. L’equipaggio fiutò aria di guai. C’era qualcosa di disperato nel modo in cui quei due caccia ci erano venuti addosso immediatamente, appena finita la cabrata, senza preliminari. Per pochi secondi l’interfono fu pieno di consigli: ‘Anticipali di più’...‘raffiche brevi’... ‘non sprecate munizioni’... ‘ne arriveranno altri tra un minuto’.

Tre minuti dopo, i mitraglieri segnalarono caccia in avvicinamento in cabrata da ogni lato, da soli e in coppia, sia FW-190 sia Me-109. Tutte le mitragliatrici di tutti i B-17 del nostro Raggruppamento erano in azione, riempiendo il cielo di una rete di traccianti. Vittime da entrambe le parti: due Fortezze

del gruppo inferiore e una del Raggruppamento davanti a noi abbandonarono in fiamme la formazione con gli equipaggi che saltavano in paracadute; parecchi caccia precipitarono in fiamme, mentre i loro piloti scendevano dondolandosi appesi a paracadute color giallo sporco. Notai che c’era un Me-110 appostato fuori tiro sulla nostra destra; rimase con noi per tutto il percorso fino all’obiettivo,apparentemente per segnalare la nostra posizione a gruppi di intercettori che ci aspettavano più avanti. Alla vista di tutti quei caccia, provai la netta sensazione di essere in trappola. Le previsioni di sopravvivenza del nostro Raggruppamento improvvisamente ci apparvero molto ridotte, perché sembrava che i caccia saltassero le altre formazioni per darci addosso. In una virata ampia di 180° che mise in mostra i loro ‘nasi’ gialli, una formazione di 12 Me-109 ci arrivò addosso dritto in fronte, allargandosi fino a ore 2, a coppie e a quattro alla volta, e cominciò il ballo. Qualcosa di argenteo roteò in aria scavalcando la nostra ala destra. Lo riconobbi: era uno dei portelloni principali d’imbarco. Pochi secondi dopo, arrivò, capitombolando attraverso la formazione, un oggetto scuro,che evitò di poco parecchie eliche. Era un uomo, rannicchiato con le ginocchia vicino alla testa, che sembrava un tuffatore in una tripla capovolta. Non ho visto aprirsi il suo paracadute. Un B-17 si staccò lentanente dalla formazione verso destra, mantenendo la quota. In una frazione di secondo, il quadrimotore scomparve con un’esplosione che lasciò in cielo soltanto quattro piccole palle di fuoco, i serbatoi di carburante, che si consumarono rapidamente nella caduta.

Vidi due caccia esplodere, non molto sotto di noi, e sparire in una vampata gialla; quadrimotori che perdevano quota in ogni condizione di danneggiamento, dai motori in fiamme ai piani di coda divelti; paracadute amici e nemici che scendevano e, sullo sfondo verde del terreno,numerose pire funebri di aerei caduti, a indicare la strada. Una scena allucinante. Osservai un B-17 virare lentamente a destra con la cabina in fiamme. Il secondo pilota uscì dal suo finestrino, tenendosi con una mano, raccolse il paracadute, se lo agganciò, si lasciò andare e andò a finire dritto contro lo stabilizzatore orizzontale. Credo che l’urto lo abbia fulminato. Il suo paracadute non si aprì.

 

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L'Eccezionale robustezza del B-17 permise a molti equipaggi il ritorno alla propria base, nonostante i gravi danni riportati in azione.

 

Dieci minuti, venti minuti, trenta minuti, e nessuna sosta negli attacchi. I caccia si mettevano in fila come per fare la coda per il pane, e ci venivano addosso. Ogni secondo scandito dal tempo conteneva una granata. Il nostro B-17 continuava a vibrare per il rinculo delle sue mitragliere, e l’aria, all’interno, era satura di fumo. Faceva freddo in cabina, ma, voltandomi a guardare il pilota, notai che il sudore della fronte gli scorreva sulla maschera dell’ossigeno. Mi passò i comandi per un poco. E fu una benedizione concentrarsi a mantenere la posizione in formazione invece di osservare quegli interminabili caccia che ci arrivavano addosso. Era possibile dinienticarsi di loro. Poi le due canne delle mitragliere della torretta superiore cominciarono a martellare colpi a 30 centimetri dal mio cranio, fornendo una realistica imitazione delle granate che esplodevano in cabina. Un B-17 del Raggruppamento che ci precedeva, con i serbatoi supplementari (i Tokio-tanks) all’estremità dell’ala destra in fiamme, rallentò fino a trovarsi a una sessantina di metri sopra la nostra ala destra. Sette uomini riuscirono a saltar fuori in paracadute: quattro si lanciarono dal comparto bombe, aspettando qualche secondo prima di far aprire il paracadute: uno saltò fuori dal muso, aprì troppo presto il paracadute e per poco non si impigliò nei piani di coda; un altro si gettò dal portello della mitragliatrice laterale di sinistra ritardando l’apertura per qualche secondo. Il mitragliere di coda saltò dalla sua botola, apparentemente tirando il cordino di apertura prima ancora di essere completamente fuori: il paracadute si aprì di colpo, mancando di un filo i piani di coda e gli diede un contraccolpo tale da sfilargli entrambe le scarpe; rimase appeso, inerte, all’imbracatura, mentre gli altri, dopo l’apertura dei paracadute, avevano dato immediatamente segni di vita. Poi il B-17 cominciò a perdere quota in una vite piatta media e non vidi saltare i piloti. Lo scorsi per l’ultima volta parecchie centinaia di metri sotto di noi, con l’ala destra completamente avvolta dalle fiamme giallastre. Dopo essere stati per un'intera ora sotto attacchi ininterrotti, parve certo che il nostro Raggruppamento sarebbe stato annientato. Sette dei nostri erano stati abbattuti, il cielo era ancora pieno di caccia ed erano solo le 11,20 (mancavano ancora 35 minuti all’obiettivo). Dubito che qualcuno di noi abbia pensato davvero alla possibilità di andare molto oltre. Io avevo ormai accettato mentalmente il fatto che sarei morto; si trattava solo di stabilire quando questo si sarebbe verificato. Ho imparato di persona che un uomo può rassegnarsi alla morte certa, senza per questo lasciarsi andare al panico. La potenza di fuoco del nostro Raggruppamento era stata ridotta del 33%; le munizioni scarseggiavano. Le mitragliatrici di coda dovevano essere rifornite da un ‘altra postazione. I mitraglieri cominciavano a essere sfiniti. Presso l’IP (il punto d’inizio

del percorso rettilineo per il bombardamento), alle 11,50, un’ora e mezzo dopo il primo di una serie di almeno 200 attacchi individuali da parte dei caccia, la pressione si allentò, anche se aerei nemici erano ancora nelle vicinanze. Noi virammo sull’IP alle 11,54 con ancora 14 B-17 nella formazione; due di essi, molto danneggiati, rimasero indietro subito dopo aver sganciato, puntando poi verso la Svizzera.

 

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In Sequenza, sgancio del carico bellico su Schweinfurt, con relative foto degli effetti devastanti.

 

Le condizioni meteorologiche sul bersaglio, come durante tutto il volo, furono ideali. La contraerea era trascurabile. La formazione sganciò immediatamente dopo il comandante. Mentre viravamo, dirigendoci verso le Alpi, ebbi una sinistra soddisfazione nel vedere una colonna rettangolare di fumo sollevarsi dall’obiettivo. Il resto della missione vide un netto cambiamento di situazione. Qualche caccia fece ancora qualche passaggio contro di noi verso le Alpi.Una cittadina nel Passo del Brennero ci mandò su qualche raro e inutile colpo di contraerea. Facemmo un giro sul Lago di Garda, quanto bastava per dare ai ritardatari la possibilità di rientrare in formazione, poi proseguimmo verso il Mediterraneo, in lenta planata. La prospettiva di dover fare un ammaraggio di fortuna per mancanza di carburante, mentre ci avvicinavamo all’Africa, e la vista di altri B-17 che finivano in mare ci sembrarono cosa da nulla dopo il pazzesco incubo del lungo volo attraverso la Germania meridionale.

Alle 18,15, con tutte le spie rosse della riserva accese, le sette Fortezze ancora in formazione virarono nel circuito di atterraggio di una base in Africa settentrionale. Il nostro equipaggio era incolume. I danni riportati dalle Fortezze erano scarsi: qualche sforacchiatura in coda da schegge di contraerea e colpi da 20 mm. Dormimmo sul terreno duro, sotto l’ala del nostro quadrimotore. ma la buona terra ci parve più morbida di un cuscino di seta.”

 

(Fonti: Storia dell'Aviazione 1973 - Take Off - A&D)

 

Per rendere l'idea dell'intensità delle missioni operative che affrontavano gli equipaggi delle Flying Fortress segnalo questi contributi video molto eloquenti.

B-17 Down

B-17 Fling Fortress vs Me-262

Defense of Schweinfurt

 

Da segnalare anche questo interessante link che mostra l'elenco dei B-17 sopravvissuti (O quasi ) nel mondo!

Surviving B-17 Flying Fortresses

 

B-17 Walkaround

B-17 BOMBER-INSIDE AND OUT--New Video

 

Ed infine un contributo ad un B-17 che nell'immaginario collettivo occupa un posto di rilievo!

 

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The Memphis Belle - The Final Chapter in Memphis (Part 1of2)

The Memphis Belle - The Final Chapter in Memphis (Part 2of2)

Modificato da Blue Sky
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Ringrazio tutti per la stima nei miei confronti, è un piacere inoltre condividere argomentazioni aeronautiche con persone altrettanto competenti! :okok:

 

quando si parla di gondole motrici cosa si intende di preciso?

 

Se rileggi bene la frase dalla quale hai estrapolato le parole Gondole motrici, vedrai che tutto ti sarà più chiaro! ;)

 

Le due semiali erano vincolate direttamente, mediante attacchi in acciaio ad alta resistenza, ai fianchi della fusoliera, il cui massimo diametro era circa doppio dello spessore che l’ala presentava alla radice, e ciascuna di esse era suddivisa in tre elementi distinti: il tronco interno, con le due gondole motrici e la gamba del carrello; il tronco esterno, su cui si estendeva l’alettone intelato

 

Quale elemento dell'ala può avere una funzione motrice??? :P Nella gondola motrice veniva alloggiato il motore, ed in questo caso per ogni semiala ve ne erano 2! :)

 

Ti posto uno spaccato del B-17 con tutti gli elementi messi a "Nudo" :whistling:

2u935lx.jpg

 

alcune immagini non si vedono se riesci stistemale....

Mmm.... Strano sono visibili sia a me che ad altri! :hmm:

Modificato da Blue Sky
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Ringrazio tutti per la stima nei miei confronti, è un piacere inoltre condividere argomentazioni aeronautiche con persone altrettanto competenti! :okok:

Se rileggi bene la frase dalla quale hai estrapolato le parole Gondole motrici, vedrai che tutto ti sarà più chiaro! ;)

Quale elemento dell'ala può avere una funzione motrice??? :P Nella gondola motrice veniva alloggiato il motore, ed in questo caso per ogni semiala ve ne erano 2! :) .....

 

lo avevo immaginato che si trattavano dei vani motorema non ero sicuro,ora mi hai dato la conferma....grazie per la risposta Blue!!!!

 

...per le immagini mi riferivo come dice iscandar a quelle hosted by tripod...

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Ringrazio tutti per la stima nei miei confronti, è un piacere inoltre condividere argomentazioni aeronautiche con persone altrettanto competenti! :okok:

 

:adorazione: Non posso che aggiungermi alla lunga lista dei ringraziamenti e dei complimenti... Ormai sei come un enciclopedia a fascicoli con uscite periodiche, appena ne arriva uno subito si aspetta quello nuovo...! Non pensare di andare in vacanza!

Interessanti gli aneddoti sui B-17 "tedeschi"!

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Non posso che aggiungermi alla lunga lista dei ringraziamenti e dei complimenti... Ormai sei come un enciclopedia a fascicoli con uscite periodiche, appena ne arriva uno subito si aspetta quello nuovo...! Non pensare di andare in vacanza!

Interessanti gli aneddoti sui B-17 "tedeschi"!

 

Ehm.....Così mi lusingate :blushing: Comunque anche nei giorni feriali cercherò di contribuire anche se con il portatile non ho proprio tutta la dotazione necessaria! :rotfl::okok:

 

...per le immagini mi riferivo come dice iscandar a quelle hosted by tripod...

 

Corrette.... Sperando che non ci siano altri inconvenienti! ;)

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un po dalle monografie , un po da siti inglesi.

 

Ehm.... Non sempre Flankedd, dipende dai casi, infatti per ogni aereo può cambiare la fonte di approvvigionamento che viene integrata, in alcune circostanze con siti oppure link adatti al caso! ;)

 

Fine OT ^_^

Modificato da Blue Sky
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Grande come sempre blue sky, mi ricordi papa castoro quando si mette gli occhiali e racconta le sue appasionanti storie, :asd::asd: in quest caso quella della fortezza volante....

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Ospite galland

Ritengo fare cosa utile fornendo i dati tecnici del B.17G, ultima versione operativa del quadrimotore americano, comparati a quelli del Piaggio P.108B di II serie (MM. 24315-24326 – 12 esemplari, novembre 1942/agosto 1943).

I primi sono tratti da: Autori Vari “Profili di aerei militari della II guerra mondiale” Fratelli Fabbri editori, Milano 1976.

I secondi da: Giancarlo Garello “Il Piaggio P.108” edizioni Bizzarri, Roma 1973. In cui viene resa ristampa anastatica della “tabella di prestazione pratica” del velivolo.

 

Scheda tecnica

BOEING B.17G FLYING FORTRESS (Piaggio P.108B)

 

Apertura alare m 31,633 (32,00)

Lunghezza totale m 22,677 (22,92)

Altezza m 5,817 (7,70 a carrello estratto)

Superficie alare mq 131,93 (135,34)

Peso a vuoto kg 16400 (17320)

Peso totale kg 24948 (26820)

Peso in sovraccarico kg 29710

Velocità massima km/h 462 (430)

alla quota di m. 7620 (4200)

Velocità di crociera km/h 293

alla quota di -

Salita a 6096 m (5000)

nel tempo di 37’ (31’)

Quota di tangenza pratica m 10851 (6000)

Autonomia km 3219 con 2722 kg di bombe (2500 con 3500 kg di bombe)

Autonomia massima km 5472 (3600 con 100 kg di bombe)

Armamento 13 x 12,7 mm., kg 7893 di bombe (massimo) (5 da 12,7 2 da 7,7 3500 kg di bombe)

Motori Wright R-1820-97 (Piaggio PXII RC35)

Potenza massima al decollo cv 1217 (1200)

Potenza massima a 7620 (3500) m, cv 1014 (1350)

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  • 2 settimane dopo...
Forse lo conoscete già, ma in questo sito http://www.daveswarbirds.com/b-17/contents.htm ci sono diverse foto di B-17 danneggiati in combattimento. Alcune sono impressionanti, da tenere presente che tutti gli aerei nelle foto sono riusciti a tornare a casa.

 

Si è un sito molto ben fatto, dal quale ho tratto del materiale fotografico per la reaizzazione del topic stesso, alcune foto sono realmente incredibili! :)

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  • 1 mese dopo...

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