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Il muro del suono - Charles Elwood Yeager


Dave97

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La storia dei velivoli sperimentali e degli aero-razzi in particolare è ricca di episodi interessanti e, purtroppo, anche di gravi incidenti che hanno costellato il cammino del progresso aeronautico.

Il 14 ottobre 1947 l'aero-razzo Bell X-1 fece epoca sfrecciando nel cielo più veloce del suono, pilotato dal capitano Charles E. Yeager:

a 13.000 metri di quota raggiunse infatti Mach 1,06, pari a 1.126 km/h.

Otto mesi più tardi, quando questo exploit fu reso di pubblico dominio, fu acclamato come l'impresa più importante della storia dell'aeronautica

dopo il primo volo dei fratelli Wright , avvenuto nel lontano 1903.

Commissionato alla Bell Aircraft Corporation nel 1944 dall'Aviazione dell'Esercito degli Stati Uniti in collaborazione con la NACA

(National Advisory Committee for Aeronautics), l' XS-1, che in seguito verrà chiamato semplicemente X-1, era stato ideato in origine come un compromesso tra l'aero-razzo e l'aviogetto, in modo da utilizzare un turbogetto per il decollo e il volo a velocità di crociera, ed il motore a razzo unicamente per accrescere la spinta una volta raggiunta la quota prefissata o per raggiungere questa quota.

Questa soluzione fu accantonata in sede di progetto il 13 dicembre 1944, quando ci si rese conto che la propulsione a razzo, benchè dispendiosa, assicurava una velocità ascensionale molto più elevata di quella ottenibile con un turbogetto.

 

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Fu quindi deciso di ricorrere all'uso di una piattaforma volante ricavata dopo alcune modifiche da un bombardiere Boeing B-29 di serie, onde eliminare il consumo dei propellenti sull' aero-razzo nella fase di decollo e di salita attraverso gli strati più densi dell' atmosfera.

Fra tutte le combinazioni possibili di combustibili fu scelta una miscela di alcool, acqua ed ossigeno liquido che risultava tra le meno pericolose.

L'X-1 aveva dimensioni molto ridotte, era più piccolo di qualunque aereo da caccia dell' epoca.

Nella configurazione esterna non si discostava troppo dalla linea degli aviogetti esistenti, ad eccezione del muso, completamente privo di prese d' aria.

Identiche erano le ali, diritte, e gli impennaggi di coda, e non molto diversa l' architettura d'insieme.

Tuttavia, la robustezza dell'aero-razzo, che per primo riuscì a varcare la «barriera del suono» ed effettuò preziose ricerche sul volo supersonico, era assolutamente superiore alla media.

Nelle prove statiche alle quali l'X-1 fu sottoposto prima dell'inizio dei voli, fu in grado di sopportare l'applicazione di carichi che superavano di 18 volte il suo peso.

Naturalmente, l' eccezionale resistenza delle strutture finì per imporre all'aereo un carico alare tre volte più elevato dei più moderni velivoli allora in servizio.

Per altro, all'atto del rientro, per effetto del consumo della scorra di propellenti, il carico alare tornava ad essere normale, consentendo al pilota un atterraggio abbastanza agevole.

 

Le ali, diritte, erano state costruite espressamente per il volo supersonico cui l'X-1 era destinato.

Contrariamente a tutti gli aerei costruiti sino ad allora, esse erano state ricavate da un blocco solido di lega d' alluminio con lavorazione a macchina, e non con centine, longheroni e lamiera di rivestimento

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Il propulsore a razzo, ideato e costruito dalla Reaction Motors Corporation di Rockaway, New Jersey, pesava appena 95 chili, ma riusciva a sviluppare per due minuti e mezzo, con tutte e quattro le sue camere di combustione in funzione, una spinta massima di circa 2.720 chilogrammi.

Il motore, designato «6000C4», riusciva a sviluppare spinte dell' ordine di 680, 1360, 2040, 2720 chilogrammi secondo il programma di volo, rispettivamente con una, due, tre o quattro camere di combustione accese.

In tal modo, il pilota era in grado di regolare, sia pure in maniera piuttosto elementare, la velocità dell'aero-razzo nelle diverse fasi del volo.

Al massimo regime del motore, l'ossigeno liquido e la miscela alcool-acqua affluivano nelle camere di combustione in ragione di 14,7 litri al secondo, per effetto della pressione sviluppata con l'emissione di azoto ultracompresso in bombole.

 

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Pilotato dal collaudatore della Bell Aircraft, Jack Woolams, l'X-1 effettuò nel cielo della base aerea dell'Esercito di Pinecastle, in Florida, una serie di voli planati, in attesa della messa a punto del motore a razzo, a partire dal 19 gennaio 1946.

Le prove miravano ad accertare la funzionalità dei comandi, le caratteristiche all' atterraggio e la stabilità dell' aereo.

 

Nell'autunno del 1946, con il montaggio del motore E-6000C4, i primi due esemplari dell'X-1 lasciarono lo stabilimento di Niagara Falls alla volta dell' aeroporto di Muroc in California, dove da qualche settimana era in attività il primo nucleo di una dozzina di tecnici del NACA giunti dal Laboratorio Studi «Langley» di Hampton, Virginia.

Il secondo prototipo dell'X-1 effettuo il primo volo a motore, pilotato dal collaudatore della Bell, Chalmers H. Goodlin, l'8 dicembre 1946.

Staccatosi dal B-29 che lo aveva portato a 9.000 metri di altitudine dentro il vano ricavato in fusoliera, l'X-1 raggiunse la velocità di 885 chilometri l' ora

 

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Apertura alare : 8.53 m

Lunghezza complessiva : 9.45 m

Altezza : 3.30 m

Superficie portante : 12,10 mq

Carico alare : 490 kg/mq

Peso a pieno carico : 6354 kg

Peso a vuoto : 1980 kg

Carico utile (strumenti da ricerca) : 160 kg

Disponibilità massima propellenti

ossigeno liquido : 1310 l

acqua-alcool : 1360 l

Velocità massima di progetto : 1.1 mach

Velocità massima raggiunta : 1.45 mach

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I Piloti tedeschi ce la mettevano tutta per salvarsi la pelle durante i combattimenti aerei.

Picchiate a tutto gas e verticali, in un disperato gioco d'azzardo per scrollarci via dalle loro code.

Più di una volta li seguii quasi fino a terra.

Quando scendevo in picchiata a oltre ottocento chilometri orari, il mio Mustang tremava tutto e i comandi s'impuntavano.

Quasi piegai quella maledetta cloche, tirandola a me nelle richiamate.

Per fortuna i Mustang resistevano un po' meglio degli aerei tedeschi alle onde d'urto che si formano alla velocità del suono.

L'aria viaggia più veloce lungo la superficie superiore curva di un ala che lungo quella piatta inferiore, creando la portanza.

In picchiata quasi verticale la turbolenza dell'aria si manifestava dietro le mie ali a 1100 chilometri orari o più, mentre le onde d'urto battevano contro i piani di coda e gli alettoni.

Al livello del mare la velocità del suono è di 1223 chilometri orari; a dodicimila metri è di 1062.

Quegli sbattimenti nelle picchiate col motore al massimo erano chiamati «compressibilità », e portarono alla convinzione largamente diffusa che esistesse un

« muro del suono», una barriera invisibile di aria che avrebbe stritolato qualsiasi aereo avesse cercato di attraversarla alla velocità di Mach 1.

 

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I primi aviogetti da caccia che avevo pilotato erano tutti subsonici; ma dopo che fui uscito dalla scuola piloti collaudatori volai su un caccia nuovo e più potente, il P-84 Thunderjet, un monoposto concepito per portare una bomba nucleare.

In volo dritto e livellato alla velocità di Mach 0,82, il Thunderjet cominciava a tremare violentemente, mentre il muso si alzava.

Capita l'antifona, riducevo il gas.

Era difficile credere che li fuori non ci fosse un muro.

Ma tutte le principali ditte aeronautiche erano in competizione per progettare motori sempre più potenti e velivoli dalle linee sempre più aerodinamiche, che ci avrebbero spinto proprio contro quella barriera nel cielo.

Tuttavia un gran numero di ingegneri cervelloni erano convinti che le leggi della natura avrebbero punito severamente chiunque fosse stato sorpreso a volare a una velocità superiore a Mach 1.

 

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Il famoso collaudatore britannico Geoffrey De Havilland jr andò in pezzi mentre cercava di farlo.

Il suo aereo sperimentale senza coda, chiamato « The Swallow», si disintegrò alla velocità di 0,94 Mach.

Fu agli inizi del 1947, durante un tuffo in picchiata di prova nel corso dei tentativi di infrangere il muro del suono.

Da allora gli inglesi rinunciarono agli esperimenti supersonici.

 

Infrangere il muro del suono era un'impresa molto complessa di cui io non sapevo quasi nulla.

Due volte, durante rapidi viaggi a Muroc per ritirare gli aerei da portare al Wright, avevo visto l’ X-1 che veniva agganciato sotto un bombardiere B-29 prima del decollo.

Era un aereo piccolo, dipinto di uno squillante color arancione e aveva la forma di un proiettile da mitragliatrice calibro 12,7.

Qualcuno mi disse che aveva un motore a razzo con una spinta di 2700 chilogrammi ed era progettato per raggiungere il doppio della velocità del suono.

Era più di quel che potessi capire e mi bastava.

 

Chuck Yeager

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Il pilota era un civile di nome Chalmers « Slick » Goodlin, che vedevo girare li intorno.

Era un bell'uomo, e si diceva che la Bell gli sganciasse un mucchio di quattrini per quei voli ad alto rischio.

Avevo sentito dire che era molto bravo, e doveva esserlo per forza, giacchè era sopravvissuto anche solo ad alcuni dei collaudi dell' X-1.

La Bell incentrava su di lui tutta la pubblicità e non potevi aprire una rivista senza leggere qualcosa su Slick.

Sembrava destinato a diventare il primo pioniere supersonico d'America.

In quei giorni compiere tutti i voli di ricerca toccava ai civili che ricevevano per questo una indennità di rischio; nessuno avrebbe chiesto a un pilota dell'aeronautica di rischiare la pelle per una busta paga militare.

Goodlin e il suo bestione color arancio appartenevano a un mondo diverso dal mio.

 

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Ero occupatissimo con le esibizioni aeree e i collaudi di volo; poichè ero il più giovane pilota collaudatore del reparto, mi sarebbe già andata bene se si fossero limitati a farmi preparare il caffe, ma riuscii a ottenere anche qualche lavoretto interessante.

Per esempio una valutazione comparativa tra lo Shooting Star e un caccia a reazione tedesco Me-262 che avevamo catturato.

Ero stato tra i primi piloti di Mustang ad averne abbattuto uno durante la guerra, cosi mi affascinò scoprire che Me 262 e lo Shooting Star avevano le stesse prestazioni; stessa autonomia, velocità massima, accelerazione e stesso rateo ascensionale.

Nel 1945 avevamo quattro P-80 in Europa, ma non si erano mai battuti con un 262.

Poi venni mandato a Long Island a collaudare il Thunderjet presso la Republic, e rimasi assente sei settimane.

 

Quando tornai a Wright, nel maggio 1947, partecipai a una riunione dei piloti collaudatori di aerei da caccia, in cui vennero chiesti volontari per l' X-1.

Hoover, Ridley e io alzammo la mano, insieme con altri cinque.

Forse fu un bene che non fossi molto in confidenza con gli ingegneri dei collaudi di volo impegnati nella sezione, poichè questi ultimi avevano avvertito alcuni dei piloti di stare alla larga dal progetto X-1 se ci tenevano a rimanere in vita.

Hoover e io eravamo dei ribelli.

Per di più eravamo altrove per la maggior parte del tempo.

Comunque non facevamo certamente parte della cricca, e così l’unica voce che ci giunse all’ orecchio fu che il programma di ricerche dell'X-1 incontrava qualche difficoltà e l'aeronautica stava cercando di rilevarlo dalla Bell e da Slick Goodlin.

Dissi: « lscrivetemi pure », ben sapendo che nella sezione c'erano altri dodici piloti più anziani di me;

quindi mi recai in volo a Cleveland per un'esibizione aerea

 

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C'era anche il vecchio e tornai indietro in volo al suo fianco.

Quando atterrò, annunciai per radio: « Mica male per un vecchio ».

Il colonnello Boyd non trovò la cosa di suo gusto.

« Chi ha parlato? » abbaiò.

Seguì un assoluto silenzio, benchè immaginassi che la cantilena del Sud mi avesse tradito.

Pochi giorni dopo mi mandò a chiamare e pensai:

«Mio Dio, ci siamo! Sarà per la battuta che ho detto mentre atterravamo ».

Il colonnello aveva l'aria più grigia che mai e quando feci il saluto davanti alla sua scrivania, mi tenne sull'attenti per quasi mezz'ora mentre parlavamo.

Me ne andai in stato di choc.

Non mi fece un'offerta vera e propria di pilotare l’ X-1, ma cominciò a girare intorno all'argomento.

Mi domando perchè mi fossi offerto volontario, e gli risposi che mi interessava avere qualcosa di nuovo da pilotare.

Disse: «Yeager, questo è l'aeroplano da pilotare.

Il primo pilota che volerà più veloce del suono si ritroverà sui libri di storia.

Sarà il volo di maggior importanza storica dopo quello dei fratelli Wright.

L'X-1 è stato costruito per questo ».

Aggiunse che sui tavoli dei progettisti c'erano ogni genere di aerei incredibili, compreso uno che sarebbe potuto volare sei volte più veloce del suono nonchè un bombardiere supersonico spinto da un reattore atomico.

L'aeronautica stava sviluppando un programma che avrebbe mandato i piloti militari nello spazio.

Ma tutti questi progetti erano destinati a rimanere incagliati finche l'X-1 non avesse forato il muro del suono.

« Non ho dubbi che ciò avverrà », mi disse il colonnello Boyd, « e che sarà un pilota dell'aeronautica a farlo. »

 

Mi domandò se sapessi perchè l'aeronautica stesse prendendo in carico il programma.

« Signornò », risposi, « e finora non me ne è importalo proprio niente. »

Mi spiegò che Slick Goodlin aveva firmato un contratto con la Bell per portare l' X-1 fino alla velocità di 0,8 Mach 1, cosa che aveva fatto.

Quindi aveva ridiscusso il contratto chiedendo 150.000 dollari per superare Mach 1.

Otto decimi di Mach era la fase uno del programma.

La fase due consisteva nel portarlo sino a 1,1 - cioè fino alla velocità supersonica.

Slick aveva portato a termine venti voli a motore, ma si rendeva conto che la faccenda stava diventando troppo rischiosa e cercò di ridiscutere il suo compenso chiedendo di suddividerlo in cinque anni per pagare meno tasse.

La Bell ricorse al capo collaudatore, Tex Johnson, per compiere un volo di prova e accertare i pericoli che vi erano connessi.

Volò intorno a Mach 0,75 e riferì che Slick si meritava tutti i quattrini che aveva chiesto.

Ma gli avvocati della Bell respinsero la proposta di Slick di pagamento scaglionato, e finche la questione non fosse stata risolta lui si rifiutava di volare.

L'aeronautica aveva perso la pazienza e deciso di assumere in proprio il programma X-1.

Domandai al vecchio se pensava che il muro del suono esistesse.

« No, per Dio », rispose, « altrimenti non ci manderei uno solo dei miei piloti.

Ma voglio che tu sappia che cosa rischi.

Ci sono esperti d'aviazione molto in gamba i quali pensano che alla velocità del suono il carico alare possa andare a infinito.

Sai che cosa vuol dire? »

« Signorsì », risposi, « sarebbe la fine. »

Annuì « Nessuno può sapere con certezza ,quello che succede a Mach 1 finche non ci arriva. E’ una missione estremamente rischiosa e noi non l'affronteremo un passo alla volta, ma un centimetro alla volta. Questo è il nostro primo tentativo di farci assegnare le ricerche in volo, e non falliremo come gli inglesi. »

Quindi mi domandò: «Se designassi te come pilota dell'X-1 e ti lasciassi scegliere il tuo rimpiazzo e l'ingegnere di volo, tu chi prenderesti? »

Risposi che avrei scelto Bob Hoover come rimpiazzo perchè alla cloche e alla pedaliera era fantastico e Jack Ridley come ingegnere di volo perchè aveva un cervello eccezionale e oltretutto era un buon pilota.

Quella sera Ridley, Hoover e io ricevemmo l'ordine di andare in volo alla fabbrica della Bell a Buffalo, New York, per ricevere le istruzioni sull'X-1 e dare un'occhiata all'aereo-madre.

 

Chuck Yeager

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Ero frastornato!

L'incarico non era ancora mio e anche Ridley e Hoover erano stati chiamati dal colonnell Boyd, cosicche l'unica cosa che sapevamo era che tutti e tre eravamo in gara.

La cosa ci sorprendeva, perchè eravamo tre dei piloti collaudatori meno anziani di Wright.

Prima di mostrarci l'aereo, gli ingegneri della Bell ci portarono nei laboratori.

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I quattro razzi dell'X-1 erano alimentati a ossigeno liquido e alcol, e il laboratorio sembrava uscito da un film dell'orrore,con tutti i suoi grandi alambicchi fumanti. L'ossigeno liquido era alquanto freddino, qualcosa come 145 gradi centigradi sotto zero, e affinchè risultasse ben chiaro, presero con le pinze una rana, la intinsero nell'alambicco e poi la lasciarono cadere sui pavimento.

La rana si frantumò in cinque pezzi.

 

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Larry Bell era un grande incantatore.

Era un uomo che si era fatto da se, pazzo per l'aviazione da sempre e quando finì di spiegarci la bellezza del suo bestione color arancio, eravamo pronti a credere che l' X-1 sarebbe stato capace di aprirsi le porte del paradiso e ritornarne coperto di piume d'angelo.

Parecchio di quello che i suoi ingegneri ci dissero mi entrò in un orecchio e mi uscì dall'altro; non così da quello di Ridley.

Stava li a prendere appunti come il primo della classe.

Tuttavia ne capii abbastanza.

Era rassicurante apprendere che l'aereo era stato costruito per resistere a sforzi di diciotto G, ossia diciotto volte la forza di gravità.

Ma le ali sottili erano affilate come rasoi per ridurre al minimo le onde d'urto, cosicchè, se dovevi lanciarti, l'unico modo era passare attraverso una portiera laterale che ti metteva giusto in posizione per essere affettato a meta.

 

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Pigiate dentro, dal muso sino alla coda di quel piccolo aereo, c'erano una dozzina di bombole d'ossigeno che lo rendevano una bomba volante.

E con l'X-1 non si decollava, ma si veniva sganciati proprio come una bomba dal velivolo-madre, un B-29, da 7500 metri, ciò che dava al pilota il tempo di espellere il carburante e di planare a motore spento per l'atterraggio su un lago asciutto se qualcosa non funzionava.

« Senza il peso del carburante, è maneggevole come un uccello », ci spiegò Larry Bell.

«Un uccello vivo o morto? » domandò Hoover.

Più tardi entrammo in un hangar aperto su un lato, per dare un'occhiata da vicino all'X-1, che era incatenato a terra.

Entrai nella carlinga e mi invitarono ad accendere i motori.

Si poteva accenderne solo uno alla volta.

Mossi una levetta e, mio Dio, un dardo infuocato schizzò per sei metri fuori dal portello posteriore.

Mi tappai le orecchie per proteggere l'udito contro il più forte rumore prodotto dall'uomo che si sia mai sentito sulla terra.

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Mossi un'altra levetta e quel maledetto aereo comincio a tirare le catene;

l'hangar tremava e ci piovvero addosso polvere e calcinacci.

Il rumore era tale che mi sembrava che gli occhi stessero per scoppiare.

Hoover e io reagimmo alla paura ridendo, ma non avevamo il passo molto fermo quando lasciammo l'hangar.

Gli dissi: « Socio, non so se a te fa lo stesso effetto, ma quel figlio di pu@@@na mi spaventa da morire ».

Rispose che era un dannato mostro ma Ridley era di parere diverso.

Inalberò un sorriso da ingegnere e durante il viaggio di ritorno a Wright disse

«Dio onnipotente quanta forza bruta in quell'apparecchio!

Quei ragazzi della Belli l'hanno .calcolata bene.

Il muro del suono non ha nemmeno una possibilità di bloccarlo ».

Poi, per i due non laureati che aveva con se a bordo, tradusse in parole semplici quello che gli ingegneri della Bell avevano cercato di spiegarci.

Così avevo le idee più chiare circa le cose da riferire al colonnello Boyd quando mi mandò a chiamare per sentire le mie impressioni.

«Signor colonnello », dissi, «è l'aereo più tremendo che abbia mai visto. »

Mi domandò se volessi pilotarlo e quando risposi di si, aggiunse:

«Bene, Yeager, tocca a te, adesso ».

 

Chuck Yeager

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L'aeroplano fu ufficialmente denominato X-S-1.

La « S » fu tolta circa tre anni dopo.

«X» stava per sperimentale, ricerca.

«S» per supersonico, e il numero 1 si riferiva al fatto che era il primo contratto dell'aeronautica per un aeroplano sperimentale destinato a condurre ricerche sull'alta velocità ad alta quota.

Avrei volato più in alto (circa 13.500 metri) e piùveloce di qualsiasi altro pilota militare.

I medici dell'aeronautica decisero che Hoover e io saremmo stati esemplari perfetti su cui condurre gli esperimenti per conoscere i limiti della resistenza umana sotto il massimo peso gravitazionale e alle massime quote.

Hoover e io fummo i primi piloti « da ricerca» dell'aviazione e fummo pertanto esposti a tutte le torture che più tardi avrebbero subito gli astronauti.

L'X-1 era stato riportato alla Bell nello Stato di New York per essere dotato di una nuova coda.

Durante quella primavera del 1947, fui legato dentro centrifughe , chiuso in camere di collaudo di quota con diversi tipi di tute.

Era come inoltrarsi nell'ignoto.

Fu un'esperienza tremenda.

Hoover e io indossavamo primitive tute pressurizzate, che ci rendevano simili a palombari, e venivamo rinchiusi in camere a tenuta stagna.

«Loro» rompevano il diaframma sulla porta e in due decimi di secondo ci trovammo a 21.000 metri.

Le carte svolazzavano intorno a noi e il finestrino s'appannava.

La prima volta si dimenticarono di collegare la bombola d'ossigeno alla tuta pressurizzata di Hoover, tanto che non poteva nè inspirare nè espirare nè comunicare e la sua faccia dentro il casco diventò paonazza.

Ci portarono a 31.500 metri di altezza, il che equivaleva al massimo di aria che potevano pompare via da quelle camere, poi quasi ci ammazzarono nelle centrifughe.

Era terribile!

Bob disse: « Preferirei stare seduto in quel maledetto X-1 a far andare il motore a razzo che subire queste prove anche se l'aereo dovesse scoppiare e spararci nel cielo ».

Ero d'accordo con lui.

 

Ero intimidito da quella bestia arancione, ma Jack mi confortò anche in questo.

Disse: «Cazzate, Chuck. Tu fai rapidamente amicizia con ogni nuovo aereo che piloti.

Dopo un paio di voli sull'X-1, te ne sarai innamorato.

Non ti morderà senza prima avvertirti ».

Sapeva di che cosa stava parlando.

Cera un altro pilota che lo sapeva, per aver già volato venti volte sull'X-1.

Slick Goodlin era ancora nei paraggi e Pancho Barnes, che gestiva il bar ristorante Fly Inn sul bordo del lago prosciugato Rogers, combinò una cena per Hoover, me e Slick affinchè quest'ultimo ci desse consigli circa il pilotaggio dell'X-1.

Mangiammo una bistecca e dopo un paio di bicchieri, dissi:

« Speravo che mi potessi dire qualcosa sul pilotaggio di quel cornuto ».

Slick rispose che sarebbe stato ben lieto di istruirmi sull'X-1 non appena l'aeronautica gli avesse firmato un contratto da mille dollari.

Gli risposi: «Bene, Slick, se sei riuscito a pilotarlo tu, penso proprio di riuscirci anch'io ».

 

I primi voli sarebbero stati compiuti senza motore, per familiarizzarci con l'aereo, ed erano previsti per la meta d'agosto.

Sarei stato sganciato a 7500 metri di quota dall'aereo-madre B-29, senza carburante, e avrei veleggiato fino ad atterrare sul lago prosciugato.

In quel modo avrei potuto « sentire » l'aereo e il suo modo di reagire ai comandi, nonchè addestrarmi all'atterraggio senza motore, previsto anche per i voli a motore, perchè si scaricava il carburante rimasto e si atterrava come con un aliante.

Dovevamo fare a quel modo perchè il fragile carrello d'atterragio non avrebbe retto al peso di un aereo che portasse anche il carburante.

D'altronde, era anche più sicuro.

Il carburante dell'X-1 era instabile.

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Non feci una colazione abbondante la mattina di quel primo volo.

Ero uscito presto per vedere i meccanici che agganciavano l'X-1 sotto il B-29, spingendolo dentro un fosso a croce e trainandoci sopra il bombardiere.

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Quindi l'X-1 era stato sollevato e agganciato con un « grillo » al vano bombe del B-29.

Sarei rimasto sul B-29 finche non avessimo raggiunto la quota prevista, poi sarei sceso lungo una scala a pioli per entrare nell'X-1.

Ridley avrebbe abbassato lo sportello della carlinga, che io avrei bloccato, per poi sedermi sul seggiolino in attesa di venire sganciato come una maledetta bomba.

La carlinga era pressurizzata con azoto puro, che non è infiammabile, e io ero continuamente costretto a respirare ossigeno al cento per cento.

Non c'era sistema di riserva per la respirazione dell'ossigeno; così si lavorava a quei tempi.

Molte volte ti capitava una maschera che perdeva e atterravi intontito.

C'era una sola batteria per far funzionare la radio, le valvole del propellente, la strumentazione e il sistema di telemetria.

Niente batteria di riserva.

La procedura di sgancio dell'X-1 non mutò mai, dal primo volo planato fino all'ultimo a motore.

 

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Una volta che a terra tutto era stato sistemato, io mettevo il mio casco nella carlinga perchè non volevo portarlo in mano mentre scendevo la scaletta.

I primi caschi di materiale duro dovevano ancora essere costruiti, così io ricavai il mio dalla sommità di un casco da carrista della seconda guerra mondiale, che s'adattava come una calotta al mio cranio, e sistemai quattro cinghie e un bottone automatico al mio casco di cuoio da pilota, che era stato adattato alla cupoletta.

Poi mi portavo il paracadute a bordo dell'aereo-madre.

 

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Mi sedevo su una cassa di mele dietro il maggiore Bob Cardenas, il pilota, e Ridley, il secondo, e rullavamo e decollavamo.

Cardenas continuava a salire a distanza di volo planato dal lago Rogers.

Il piano di volo prevedeva una salita sino a 7500 metri, seguita da un volo orizzontale di circa sessanta chilometri in modo da acquistare velocità pur rimanendo sempre a distanza di volo planato dal lago prosciugato.

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Poi abbassavo il muso dell'aereo in una picchiata di venti gradi finche raggiungeva i 390 chilometri orari strumentali.

Era previsto che se fossi stato sganciato a bassa velocità a causa di uno stallo, avrei avuto il tempo di accendere i motori a razzo, almeno finche ero al di sopra dei tremila metri.

Così a 3600 metri mi dirigevo verso quella scaletta, seguito da Ridley.

Infilarmi nell'X-1 non mi rendeva molto felice.

La scaletta era sulla destra del vano bombe di fronte al portello d'ingresso sulla destra dell'X-1.

Il vento delle quattro eliche del bombardiere era assordante e la temperatura un bel po' sotto lo zero. Indossavo una tuta di volo, ma niente guanti, in modo da poter afferrare i pioli.

Dovevo premere sulla scaletta per tenerla abbassata nonostante la corrente d'aria.

C'era un pannello metallico che proteggeva dal vento, ma era piuttosto primitivo e quella corrente bastarda ti toglieva il fiato e ti intirizziva fino alle ossa.

Scivolavo dentro l'X-1 con i piedi in avanti, indossando un paracadute a cuscino, utile soprattutto per sedercisi sopra, dato che, una volta entrato, l'unico modo per uscirne era fare un buon atterraggio.

Con quelle ali sottili a soli due metri dietro la porta, saltare non aveva senso.

Una volta arrivato dentro sano e salvo, l'equipaggio dell'aereomadre abbassava con una puleggia il portello fino a Jack, che mi seguiva lungo la scaletta.

Jack teneva il portello a posto mentre io lo bloccavo dall'interno.

Era buio come la notte in quella carlinga, all'ombra del B-29.

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Mi infilavo il casco e la maschera a ossigeno, collegandomi poi agli apparati di trasmissione in modo da poter comunicare con l'aereo-madre e con i due velivoli di scorta Shooting Star che soltanto in quel momento stavano decollando da Muroc.

Dick Frost fungeva da scorta vicina e aderiva a me durante lo sgancio perchè conosceva perfettamente i sistemi.

Hoover fungeva da scorta alta.

Nei voli a motore si piazzava sedici chilometri più avanti, a 12.000 metri, per darmi un punto di riferimento.

Dopo che avevo acceso i razzi, lo superavo sibilando in pochi secondi, ma lui cercava il più a lungo possibile di non perdermi di vista per potermi scortare quando scendevo in planata per l'atterraggio sul lago prosciugato.

In questa prima missione stavo ancora spuntando la lista dei controlli prevolo quando quel maledetto Hoover mi passò accanto rombando, così vicino che lo scarico del suo reattore quasi mi sganciava dal B-29.

Cristo, ero la appeso a dondolare e beccheggiare, spaventato a morte.

« Hoover, bastardo », dissi proprio incazzato.

« Se questa coso fosse armato ti farei volare via il culo dal cielo. »

Il vecchio Bob fece una risata: « Vieni a prendermi ».

Bene, in quel primo volo planato non ci provai.

Ma al terzo, quando lo vidi virare per venirmi addosso, diressi anch'io verso di lui e simulammo un combattimento fino a bassissima quota, proprio come a Wright, solo che stavolta per poco non mandavo in stallo quel maledetto X-1 per stare in coda a Bob.

Gente, l'adrenalina scorreva a fiumi mentre sedevo in quella carlinga, aspettando di venire sganciato per la prima volta.

Il pavimento della carlinga era in salita, verso il muso dell'aereo, così io stavo seduto sul mio paracadute a cuscino il più eretto possibile per vedere fuori.

Il parabrezza di plexiglas consentiva una visibilità ridotta durante gli atterraggi poichè, per eliminare la resistenza dell'aria, era la continuazione rasa della fusoliera.

Schiacciato li dentro, avevo le ginocchia più alte delle spalle, e i piedi appoggiati sulla pedaliera del timone.

Pilotavo mediante un volantino foggiato a forma di « H » su cui erano montate le levette d'accensione dei razzi e degli strumenti principali.

Non avevo bisogno di spostare le mani nei momenti critici, il che spiega come mai, più tardi, riuscii a pilotare con le costole rotte.

« Tutto a posto, Yeager? » domandò Ridley.

« Ci puoi scommettere », rispondo, « al lavoro! »

Alla quota prevista, Cardenas cominciò una leggera picchiata e fece partire il conto alla rovescia da dieci.

Dentro l'X-1, mi tengo forte, afferrandomi le spalle con le braccia.

« ... due, uno. »

Uno schiocco secco, come di un cavo che si spezzi, e uno scossone che mi sollevò dal sedile e mi fece tendere con le spalle gli spallacci di sicurezza.

L'X-1 era in caduta libera.

 

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La vivida luce del giorno mi acceca.

Batto le palpebre rapidamente, con gli occhi feriti dopo i lunghi minuti passati al buio pesto del vano bombe.

Muovo il volantino e senza neppure pensarci eseguo un paio di bei tonneau lenti.

Larry Bell aveva ragione:

l'X-1 plana come un uccello.

Sto volando nel silenzio totale, e avverto soltanto il suono del mio respiro attraverso la maschera d'ossigeno;

l'aereo è elegante, docile e bellissimo da pilotare.

E una favolosa cavalcata che vorrei non finisse mai, ma meno di tre minuti dopo comincio a virare a 1500 metri sopra il lago prosciugato e, con Bob Hoover a fianco, abbasso il carrello a quattrocento chilometri orari e mi allineo col lago prosciugato Rogers, che si stende davanti a me fin all'orizzonte.

Gli atterraggi sui letti dei laghi possono essere molto difficili; non c'erano segnali a terra in quei giorni e, senza esperienze precedenti, la capacita del pilota di calcolare le distanze veniva messa a dura prova in quello spazio così esteso;

era come atterrare su un oceano piatto.

Ma io avevo preso terra su quei laghi prosciugati sin dal 1945.

Passo sibilando, tardando il più possibile a posare le ruote, finchè atterro a trecento chilometri orari.

Quando mi estraggo dall'aereo ho dipinto in faccia un sorriso smagliante:

« il più bell'aeroplano che abbia mai pilotato », dico a Dick Frost.

Sono pronto a rifare il pieno e a tentare il muro del suono quello stesso pomeriggio.

 

Nel secondo volo planato, l'aereo è così maneggevole che lo lascio pilotarsi da solo e Frost resta allibito quando, dall'aereo di scorta, mi vede alzare le braccia gridando:

« Guarda, non uso le mani ».

Durante il volo planato finale, il giorno dopo, inseguo Hoover giù fino al lago prosciugato, in un finto combattimento spietato, dato che ho un aereo più leggero e maneggevole del suo.

Ora siamo pronti per i voli da « adulto »:

bisogna riempirlo di propellente e decollare come un proiettile verso la parte buia del cielo.

Ci occorreva una settimana per preparare l'X-1 e pianificare il nostro primo volo a motore.

Il colonnello Boyd arriva da Wright per conferire con noi.

« Andateci piano», raccomanda, « non ritardate il programma per eccesso di fretta.

Cercate di capire bene come si comporta l'aereo. »

Ridley e io ne avevamo già parlato ed eravamo d'accordo che, poichè Goodlin aveva portato l'X-1 fino a 0,8 Mach, ci saremmo posti come primo traguardo 0,82 Mach.

Il vecchio approvò.

«Va bene», disse, «vi lasceremo guadagnare venticinque-trenta chilometri orari in più ogni volo,ma non oltre. »

Era ringalluzzito dalla mia capacità di domare quel bestione color arancione e di piegarlo al mio volere.

Ero certo che l'X-1 non mi avrebbe mai giocato brutti scherzi senza darmi un leale prevviso.

E avevo ragione per quarnto riguardava il pilotaggio, ma mi sbagliavo quanto ad altri problemi inaspettati che mi avrebbero procurato non pochi incubi notturni.

Chuck Yeager

Vivere per volare

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1° Volo a Motore

Tremando dal freddo, batti le mani per scaldarle e ti allacci la maschera dell'ossigeno dentro l'aereo più gelato su cui tu abbia mai volato.

Il freddo ti entra nelle ossa, sprigionato da centinaia di litri di ossigeno liquido - abbreviazione: LOX - chiusi nel serbatoio dietro di te, alla temperatura di 145 gradi centigradi sotto zero.

Non c'e riscaldamento ne sbrinatore del parabrezza; devi solo battere i denti per i prossimi quindici minuti, cioè finchè non atterri e ti senti addosso il meraviglioso sole torrido del deserto.

Ma il freddo ti ruba energia; e come cercare di lavorare e di concentrarsi dentro una cella frigorifera.

Quel freddo però ti consentirà di compiere il più grande volo della tua vita.

 

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Guardi l'X-1 mentre fa il suo pasto delle sette in una nube vorticosa di vapori, vedi il ghiaccio formarsi sotto la sua pancia arancione.

E’ una visione magica: stai portando 2300 litri di LOX e alcol che possono farti saltare in aria appena abbassi la levetta d'accensione per poi sparpagliare i tuoi pezzi su diverse regioni.

Ma se tutto va bene, la bestia divorerà una tonnellata di propellente al minuto.

 

Chiunque abbia un cervello si chiede che diavolo stai facendo in quella situazione, legato dentro una bomba innescata che sta per essere sganciata, appunto, da un vano bombe.

Ma il rischio è il pepe della vita e questi sono i momenti per cui vive un pilota collaudatore.

Senti qualcosa nello stomaco, ma inghiotti la paura come se fosse una tavoletta energetica.

Ti tiene sveglio e concentrato.

Accetti il rischio perchè fa parte di ogni nuova sfida: è compreso nel prezzo.

Così impari tutto quello che puoi circa l'aereo e gli strumenti di bordo, cominci con le corse sulla pista e poi con i voli planati, ti prepari a ogni emergenza, finche le probabilità avverse sembrano minori.

L'X-1 ti piace; è un buon aereo, ma è anche una macchina sperimentale e tu sei un ricercatore in un volo di prova.

Sai che puoi essere spazzato via dall'imprevisto, ma puoi contare sulla tua esperienza, sulla concentrazione, sull'istinto per cavartela. E sulla fortuna.

Senza fortuna ...

Non puoi vedere te stesso mentre voli, ma sai quando ti trovi sincronizzato con la macchina, a tal punto in sintonia con gli strumenti e i comandi che la tua mente e la tua mano diventano il cuore del suo sistema operativo.

Quell'aeroplano puoi farlo parlare e, come un buon cavallo, sa quando è affidato a un esperto.

E tu sai in quali situazioni puoi cavartela.

E puoi sbagliarti una volta soltanto.

Sorridi quando leggi sul giornale che qualche pilota su un aereo in avaria è riuscito a manovrare tanto da evitare una scuola prima di sfracellarsi a terra. Palle.

Nelle situazioni d'emergenza il pilota pensa a una cosa sola: sopravvivere.

Combatti per sopravvivere fino alla fine, fino a terra, non pensi a nient'altro.

La tua capacità di concentrazione è inchiodata alla prossima cosa da fare.

Per radio non dici niente e non sai neppure che laggiu c'e una scuola. E’ proprio cosi.

Ci sono almeno una dozzina di maniere diverse con cui l'X-1 può farti fuori, così concentri tutta la tua attenzione sulle procedure di controllo pre-volo.

Pompi la giusta pressione di azoto nei collettori; e il sangue della tua vita perchè l'azoto fa muovere tutti i sistemi interni nonchè gli aerofreni e il carrello d'atterraggio.

E’ tutto in ordine.

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Mezz'ora fa abbiamo rullato fino alla pista di decollo sull'aereo-madre.

Per evitare rischi di incidenti con tutto quel propellente volatile, tengono chiusa la base finche non saremo al sicuro in aria.

Questo è l'unico riconoscimento della nostra esistenza da parte del comandante della base.

Non s'interessano ai nostri voli perchè in pratica nessuno a Muroc crede nelle nostre probabilità di successo.

Quei bastardi credono di aver fatto bene i conti.

Chiamano i nostri voli « la vendetta di Slick Goodlin », convinti come sono che lui si sia messo in salvo e abbia rinunciato per rivendicare un compenso più alto.

Manca un minuto allo sgancio.

Ridley mi trasmette l'ordine stando seduto sul seggiolino del secondo pilota sull'aereo-madre.

Ci troviamo a 7500 metri quando il B-29 abbassa il muso e comincia la sua leggera picchiata.

Il maggiore Cardenas, il pilota, comincia il conto alla rovescia da dieci.

Crrrrack.

 

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Il rilascio del « grille » portabombe ti fa saltare sul seggiolino e mentre plani fuori dal buio del portellone il sole e un'esplosione di luce.

Stai vedendo il cielo.

Errore!

Avrebbero dovuto sganciarti in posizione orizzontale.

La velocità di picchiata era troppo bassa e ti hanno sganciato col muso in alto, in posizione di stallo.

Strizzi gli occhi per recuperare la vista, combatti contro lo stallo col volantino, precipitando in basso come un ascensore col cavo rotto.

Pesi 1350 chili più che nei voli planati.

Il muso si abbassa e cominci ad acquistare velocità.

Passi in volo livellato a circa trecento metri sotto l'aereo-madre e sfiori la levetta d'accensione dei razzi.

E' il momento della verita: se devi saltare in aria, potrebbe essere la volta buona.

Accendi la prima camera di combustione.

Spiaccicato all'indietro contro lo schienale, senti un tremendo calcio in culo.

Alza in alto la prua e tieni duro.

Non si sente quasi alcun rumore, avverti soltanto la respirazione nella maschera d'ossigeno .

Stai correndo più veloce del suono che è dietro di te e ,per la prima volta in un aereo a motore , puoi sentire l’aria che pulsa contro il parabrezza, mentre quel puntino che è il P-80 della scorta alta di Hoover diventa sempre più grande.

Lo sorpassi come se fosse fermo e lui poi riferirà di aver visto onde d'urto a foggia di diamante schizzare dall'ugello in fiamme del tuo aereo.

Sali più veloce di quanto avresti mai pensato,.sfruttando una sola delle quattro camere di combustione del razzi, la spegni e ne accendi un'altra.

Stai andando a 0,7 Mach; la potenza di questo bestione è spaventosa.

Non hai mai provato un tale senso della velocità puntando alto in direzione del cielo.

A 13.500 metri di altezza la dove il mattino somiglia all'inizio del crepuscolo, accendi l'ultima delle quattro camere.

Dio, che volo! E ti resta ancora quasi la meta del propellente.

Sino a questo momento hai seguito alla lettera il piano dl volo: hai acceso solo una camera per volta, per registrare accuratamente le pressioni delle camere.

Se ne usi due o più, sono troppe da controllare, se le accendi tutte e quattro, puoi accelerare troppo rapidamente, puoi essere costretto ad alzare il muse per rallentare e trovarti in uno stallo d'alta velocità.

Ora il piano di volo esige che tu espella il propellente restant e plani sino all'atterraggio.

Ma hai gli occhi fuori dalle orbite, sei emozionato sino alla punta del capelli e il « cavaliere del cielo » prevale sul prudente pilota collaudatore.

Fottitene!

Sei lassù nella parte scura del cielo nella più favolosa macchina che sia mai stata costruita e non hai proprio voglia di tornare a casa.

Ii momento impone un bel tonneau lento e abbassi un’ala , tirando un paio di « G » finchè ti ritrovi appeso a testa in giù a zero G e il motore si spegne.

Non appena l'X-1 si raddrizza, i razzi si riaccedono.

Bravo scemo!

A zero G il propellente non può alimentare il motore e avresti potuto esplodere.

Per questa volta l'X-1 è stato clemente.

Sai che cosa si aspettano che tu faccia, ma sai anche che cosa farai.

Spegni il motore, ma invece di gettare il propellente rimasto, fai un tonneau e punti in picchiata sulla base aerea dl Muroc.

Piombiamo giù, pesanti come il piombo, con l'ago che segna 0.8 Mach, una picchiata planata più veloce di quella di molti aviogetti a pieno regime.

Stai pensando: «Facciamo vedere a quel bastardi il vero X -1 ».

Sotto i tremila metri comincia la zona di pericolo, il limite per scaricare il propellente con sufficiente tempo di manovra per compiere un atterraggio sicuro.

Ma siamo sotto i 1500 metri, allineati con la pista principale di Muroc.

E siamo ancora in picchiata.

Passiamo fischiando sopra la pista, a soli cento metri da terra, finche ci troviamo all'altezza della torre di controllo.

Un colpetto alla levetta d'accensione e le quattro camere soffiano fuori una fiammata lunga dieci metri. Cristo, la botta quasi ti ributta indietro fino alla settimana scorsa.

Il muso dell'aereo è puntato verso l'alto cosi dritto che non riesci a vedere il cielo blu attraverso il parabrezza.

Non siamo più un aereo, ma un razzo spaziale.

Non stai volando, stai aggrappandoti alla coda della tigre.

In perpendicolare, stai andando a 0,75 Mach!

In un minuto il propellente è esaurito.

Ora sei a 10.500 metri, alla velocita di 0,85 Mach.

Sei cosi eccitato, spaventato ed emozionato che non riesci a spiccicare parola sino al giorno dopo.

Gli altri, invece, ne dissero fiumi.

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La squadra del NACA mi riteneva un selvaggio.

Dick Frost mi diede una solenne lavata di capo per quel tonneau lento.

Persino Jack Ridley scosse la testa dicendo:

«Tutti quelli che ti stavano a guardare sapevano benissimo che non era Slick a fare tutto quel casino.

Va bene, figliolo, ti sei sfogato, ma ora devi rigare dritto ».

Il colonnello Boyd mi mandò una girata delle sue:

«Risponda per iscritto per quali motivi ha superato Mach 0,82 violando i miei ordini diretti ».

Chiesi a Ridley di scrivere lui la risposta.

«Sciocchezze », disse. «Tu l'hai combinata e tu la spieghi. »

La mia risposta fu:

«L'aeroplano era in condizioni talmente buone e volava cosi bene che mi sono sentito sicuro di poter superare leggermente la velocità prestabilita senza problemi.

La violazione dei suoi ordini diretti è stata causata dallo state d'eccitazione del sottoscritto e non si ripeterà ».

Pochi giorni dopo il vecchio mi mando a chiamare.

« Per Dio, mi aspetto che tu esegua a puntino il programma e faccia quello che ci si aspetta da te.

Non diventare zelante e vanitoso.

Vuoi rovinare il primo programma di ricerche dell'aeronautica? »

« Signorno! »

« Bene, e allora ubbidisci alle nostre dannate regole. »

Da allora in poi lo feci.

Ma con quel primo volo a motore volli far vedere a coloro che consideravano destinato a fallire il tentativo di volare più veloce del suono.

Il mio messaggio era: «Mettetevelo la dove non brilla il sole ».

L'aver superato Mach 0,85 provocò l'arresto momentaneo del programma perchè ci aveva portato oltre i limiti di quanto si conoscesse allora dell'aerodinamica ad alte velocità.

Le gallerie del vento potevano misurare solo fino a 0,85 Mach e, come Walt Williams del NACA si affrettò a spiegarmi:

«D'ora in poi, Chuck, volerai nel regno dell'ignoto ».

 

Chuck Yeager

Vivere per Volare

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Qualunque cosa succedesse, pensavo di stare meglio dei collaudatori britannici che avevano tentato i voli supersonici con le picchiate al massimo regime.

Se fosse successo qualcosa, addio! specie in un aeroplano senza coda come «The Swallow». Tutti i miei tentativi sarebbero stati compiuti in salita, la potenza del motore al massimo;

cosi, se sorgeva un problema, potevo rallentare rapidamente.

Ma il problema col motore a razzo era il propellente volatile.

Impiegando le quattro camere, il propellente mi durava solo due minuti e mezzo;

durava cinque minuti con due camere di combustione e dieci con una.

Ogni minuto salivamo più leggeri e veloci, sicchè quando superavamo i 13.500 metri eravamo al massimo della velocità.

Chi avrebbe deciso la velocità massima di ogni singolo volo?

Va bene che era un programma di ricerche dell'aeronautica, ma i diciassette ingegneri e tecnici del NACA si servivano della loro esperienza per il controllo di quelle missioni.

Erano loro ad avere esperienza di gallerie del vento ad alta velocità, ed erano loro a fare i calcoli sulla base dei dati raccolti con i voli dell'X-1;

quindi cercavano di imporci la velocità che volevano.

Ridley, Frost e io volevamo andare più veloci.

Quelli raccomandavano un dato numero di Mach;

noi tre ci riunivamo e decidevamo se seguire o no il loro consiglio.

Erano cosi prudenti che mi ci sarebbero voluti sei mesi per arrivare al muro del suono.

Volevo, si, essere prudente, ma anche portare a termine il lavoro.

Il colonnello Boyd condivideva la prudenza del NACA, che si traduceva in un aumento di velocità di soli due centesimi di Mach a ogni volo.

Una volta volai con Hoover per andare a trovare il vecchio e vedere se potevo convincerlo ad accelerare il programma.

Ci incontrammo di sera in casa sua, ma Bob prese a raccontare perchè fosse stato costretto a compiere un atterraggio di fortuna con un P-80.

Capivo che il vecchio non si beveva le spiegazioni di Bob: le sue sopracciglia spesse continuavano a inarcarsi mentre Hoover parlava e parlava, emozionandosi al punto da sputare un dente incapsulato in grembo al colonnello Boyd.

Decisi di dire la mia un'altra volta.

Cosi continuai i voli con piccoli incrementi di velocità.

 

 

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Il 5 ottobre compii il mio sesto volo a motore e per la prima volta, mentre raggiungevo Mach 0,86, sperimentai scuotimenti da onde d'urto.

Mi sembrava di guidare con ammortizzatori scarichi su una strada dissestata.

L'ala destra improvvisamente si fece pesante e cominciò ad abbassarsi e, quando cercai di correggere, i controlli mi sembrarono rallentati.

Portai la velocità a Mach 0,88 per vedere che cosa succedesse.

Vidi l'alettone vibrare per le onde d'urto e solo con uno sforzo potei mantenere l'ala livellata.

L'X-1 era stato costruito con un piano di coda alto per evitare la turbolenza dell'aria dietro le ali;

il piano di coda era anche più sottile delle ali, affinchè le onde d'urto non si formassero simultaneamente su entrambe le superfici.

Fin qui le onde d'urto e gli scotimenti potevano essere controllati, e poichè l'aereo era stato rinforzato per poter reggere fino a diciotto G, non ebbi mai il timore che le scosse lo facessero cadere a pezzi.

Inoltre io volavo solo due volte la settimana, per dare al NACA il tempo di tradurre in termini matematici tutti i dati di volo e di analizzarli.

Speciali sensori individuavano i punti esatti di ogni parte della cabina dove si manifestavano le onde d'urto.

I dati raccolti rivelavano che l'aereo stava funzionando esattamente secondo i piani dei progettisti.

Ma al volo immediatamente successivo ci trovammo nei guai.

Stavo volando a Mach 0,94 a quota 12.000 metri e avvertivo i consueti scotimenti;

tirai indietro il volantino e, Cristo, non successe niente!

L'aereo continuava a volare con lo stesso assetto e nella stessa direzione.

Era come se i cavi si fossero spezzati.

Non capivo che cosa diavolo stesse succedendo.

Spensi il motore e decelerai.

Gettai il propellente e atterrai con la certezza di aver compiuto l'ultimo volo sull'X-1.

Volando a Mach 0,94, avevo perso il controllo sul piano verticale.

 

Chuck Yeager

Vivere per Volare

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Eh vabbe!! mi sono sfuggite :pianto:

:sm::sm: mi auto punisco!!!

L'importante è che abbiate apprezzato il testo di un libro che , secondo me,

è l'essenza della passione del volo.

direi quasi Contagioso! :lol:

 

Eppoi, volevo vedere se qualcuno se ne accorgeva :lol::lol:

 

 

EDIT:

Aggiungo

...COme sempre Yeager ha un modo tutto suo di raccontar le cose eeheh...

Le racconta semplicemente alla Chuck Yeager......

Ha la fortuna di chiamarsi così! :adorazione::adorazione:

Modificato da Dave97
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Mah, più che tirarsela tantissimo.

Lui ha sempre detestato i collaudatori civili, perché facevano il suo stesso lavoro (forse) prendendo molti più soldi.

Questo concetto viene più volte ripetuto nel libro in questione, e forse è l’aspetto che mi piace meno.

Ma , come si dice in questi casi, non tutto è perfetto!

 

PS: Lo possiamo perdonare , No? <_<

Modificato da Dave97
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