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Eluana tra vita e morte


Ospite galland

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Ospite galland

Ogni giorno prendo il treno per andare al lavoro, quaranta chilometri e poi altri dodici in scooter.

Il palestra attivo i servizi, poi regolo la contabilità del giorno precedente calcolatrice alla mano e quindi accendo il PC e mi connetto al forum. Spesso ricevo e invio documenti a mezzo fax e mail.

A questo punto vi chiederete: ma che centra tutto questo col caso di Eluana?

In realtà ho cercato di dimostrare come tutta la nostra vita sia condizionata da delle macchine: se non ci fossero tutto muterebbe.

Se non ci fossero mezzi di locomozione che si muovono a diecine di chilometri orari già la distanza tra Anguillara Sabazia e Roma diverrebbe considerevole e sarebbe arduo, se non impossibile percorrerla cotidianamente per andare e tornare.

Se dovessi calcolare mentalmente impiegherei più tempo e sbaglierei, almeno io, più spesso.

Se non esistesse il PC ed internet tutti gli amici del forum diverrebbero lontanissimi.

Idem si dica per trasmettere documenti e quant’altro, si dovrebbe ricorrere a corrieri o messaggeri.

Tutta la nostra vita è, quindi, condizionata da delle macchine che ci permettono di compiere nello spazio e nel tempo atti altrimenti impossibili.

Ora io credo che il caso di Eluana (ma non solo il suo) appartenga a tal genere di situazione esistenziale: una macchina la tiene sospesa tra la vita e la morte. Se questa macchina non ci fosse questa condizione di sospensione verrebbe meno. E’ uno stato estremo di dipendenza o legame tra un uomo e una macchina.

Della vicenda di Eluana o di quella di Welby non faccio né un fatto politico, né religioso, né ohibò giuridico ma ESSENZIALMENTE morale.

Personalmente ho meno timore della morte che del restare sospeso tra vita e morte.

Il dolore è parte di ogni uomo: alcuno ha diritto si sottrarsi ad esso, entro un certo limite volersi sottrarre al dolore è il rifiutare qualcosa perché non ci fa piacere, questo non è condivisibile.

Ma vi può anche essere un momento in cui un essere umano ha diritto a staccarsi dalla vita e questo è molto difficile da stabilire tramite una legge, le leggi si applicano (almeno in teoria) indifferentemente alla generalità delle persone, che sono – invece – individui. In definitiva Welby diceva: - attaccato al respiratore non ce la faccio più, staccatemi, lasciatemi andare.

Vedendo IL SINGOLO CASO io dico che era qualcosa di legittimo, ma che non si può elevare a norma generale.

Più vado avanti a scrivere e più mi rendo conto di parlare di problemi di portata enorme, del senso della vita stessa.

Spero, almeno, in una discussione forte ma civile.

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Di questo problema se ne fa un problema legale e di chiesa in cui preti e giuristi rimbalzano da un media all'altro a far la voce grossa su chi deve avere ragione e ciò a mio avviso è prendersi gioco del dolore di una famiglia intera. In questo specifico caso esiste la volontà specifica di Eluana di interrompere l'alimentazione forzata e su questo non dovrebbe esserci tribunale ne civile o ecclesiastico che discuta. Per questo mi auguro che la volontà di Eluana venga rispettata, perchè è lei che soffre, lei e la sua famiglia e nessun giudice o prete potrà lenire questo dolore interminabile.

 

La vita e la morte sono due facce della stessa medaglia ed è assurdo impedire lo scorrere naturale delle cose per un concetto astratto e mutevole di morale imposta.L'uomo nasce sapendo che un giorno dovrà morire, attraverso la medicina si ceca di ritardare più possibile quel momento e magari un giorno l'uomo sconfiggerà la morte, ma fino ad allora dobbiamo sottostare alle leggi immutabili che la natura ci ha imposto. Se ci fosse stata qualche speranza di salvarla sarei stato contrario all'eutanasia, ma putroppo per Eluana non è più possibile farla tornare dai propri cari. Quest'accanimento non significa mantenerla in vita, ma far perdurare come in gioco sadico uno stato di dolore e sofferenza inimmaginabile, per lei e per tutti quelli che le stanno vicino. Una cosa che nessun uomo dovrebbe peremettersi di fare.

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....uno stato di dolore e sofferenza inimmaginabile, per lei e per tutti quelli che le stanno vicino. Una cosa che nessun uomo dovrebbe peremettersi di fare.

 

Una parte importante di questo dramma è proprio questa; il suo stato è inimmaginabile, cioé nessuno è in grado di dire veramente cosa stia provando, nel bene e nel male; e allora, siamo sicuri che lasciarla morire di fame e di sete sia la soluzione migliore?

 

Altro grande problema è la volontà espressa in vita; quante volte in condizioni ben più normali ci accorgiamo che dei giudizi espressi a freddo, lontani da certi eventi, non ci appartengono più e ci sembrano fuori luogo quando siamo coinvolti davvero un una certa situazione?

 

Infine, su questa cosa dovrei ricontrollare, ma se non ricordo male, Eluana è in uno stato vegetativo che dovrebbe essere una condizione diversa dal coma irreversibile, con possibilità - per quanto ridottissime - di potersi risvegliare.

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Credo che ogni tanto si dovrebbe far si che la natura segua il suo corso, Eluana senza le macchine sarebbe viva, no sarebbe già morta e i suoi genitori avrebbero potuto elaborare il lutto e rifarsi una vita.

La situazione di questa povera ragazza e dei suoi genitori è una vera e propria prigione morale e medica, davvero faccio tremendamente fatica a comprendere come qualcuno si possa mettere a sindacare sul fatto che Eluana debba continuare o meno a stare attaccata alle macchine, certo ha un'atttività cerebrale quindi tecnicamente non è morta, ma quella che conduce è una vita? Secondo me no e in ogni caso almeno lei non soffre ma i suoi genitori che da 16 anni vedono la loro figlia ridotta ad un oggetto inanimato credo abbiano il diritto alla pace e alla serenità.

I vari cardinali insieme al Movimento per la vita e ai vari Ferrara e Binetti ecc mi fanno davvero orrore essi pretendono di essere gli unici giudici della vita e della morte delle persone in virtù delle loro convinzioni personali (anche se mi piacerebbe vederle alla prova dei fatti.

E' una finta difesa della vita, per salvare una si condanna alla sofferenza tutti gli altri è ipocrita e indegno ma questo teatrino purtroppo non finirà mai è un'occasione troppo ghiotta per i soloni della vita a tutti i costi per farsi pubblicità

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Credo che ogni tanto si dovrebbe far si che la natura segua il suo corso, Eluana senza le macchine sarebbe viva, no sarebbe già morta e i suoi genitori avrebbero potuto elaborare il lutto e rifarsi una vita.

 

Per la precisione, Eluana è alimentata e idratata artificialmente, ma non è tenuta in vita da macchine, p.e. respira da sola; e ho verificato su alcune interviste sul caso, si trova in stato vegetativo, condizione da cui è difficile riprendersi, ma non impossibile, anche a distanza di anni.

 

Non mi permetto poi di giudicare la sofferenza dei genitori, ma faccio presente che le suore che giornalmente la accudiscono si sono offerte di continuare a prendersi carico loro di Eluana.

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Io credo che la vita sia tale finchè c'è una coscienza attiave una possibilità di interazione anche minima con l'esterno (pensate a quel giornalista che scrisse "Lo scafandro e la Farfalla" da cui è stato tratto un bellissimo film), lo stesso Cristopher Reeves pur con le tremende complicazioni ha condotto fino alla fine dei suoi giorni una vita dignitosa anche se difficile, ma oggettivamente Eluana è viva? Secondo me no è comunque una forzatura medica.

 

E' diverso il caso di Welby e di altri in condzioni simili, lì diventa un discorso di dignità e di volontà di porre fine alle prorpie sofferenze in linea di principio credo che ci debba essere una legislazione precisa e non sono contrrario all'idea dell'eutanasia (avendo assistito all'agonia di una persona a me molto cara posso dire che in quelle ore le avrei io stesso fatto un'iniezione per far terminare lo strazio, non c'è stata nessuna dignità in quella morte solo una straziante agonia per lei e per noi tutti)

 

inoltre non c'è nessun ritorno di nessuna natura dalla morte di eluane (quel caso simile successo qualche anno fa negli USA ad esempio era diverso, la donna aveva un apolizza vita intestata al marito che aveve tutti gli interessi a far si che la moglie morisse, ricordo quel marito come una persona di uno squallore estremo),

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Per me quella non è vita,ma uno sciommiottamento della vita e dato che le sue facoltà mentali sono ancora attive,lei stessa dovrebbe decidere cosa fare della sua "vita",ma ciò che mi da ancora più fastdio sono cardinali e affini che si improvvisano moralisti.

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Per me quella non è vita,ma uno sciommiottamento della vita e dato che le sue facoltà mentali sono ancora attive,lei stessa dovrebbe decidere cosa fare della sua "vita",ma ciò che mi da ancora più fastdio sono cardinali e affini che si improvvisano moralisti.

 

Lo stato di Eliana non le consente di decidere; cardinali e affini fanno il loro "mestiere" ed esprimono un'opionione, che potrai poi anche non condividere, così come la esprimono altre figure, laiche e non.

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La mia opinione a riguardo è molto netta, io sono per il diritto alla morte come comprimario inalienabile del diritto alla vita e penso che le volontà di una persone debba essere rispettata anche se questa è sana e a maggior ragione in questa situazione.

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Da quanto ho capito lei in vita aveva espresso la volontà di non portare avanti l'accanimento terapeutico.Ma dato che in Italia non si pratica l'Eutanasia,se le venisse staccato il sondino morirebbe di disidratazione,no?

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In pratica si, staccati i sondini lei morirebbe di fame e di sete, non è un bel modo di andarsene e di fatto non è un'eutanasia (è l'interruzione "volontaria" delle cure) rimane comunque il fatto che quella povera ragazza sono sedici anni che è una non viva

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Il problema di fondo della vicenda di Eluana, oltre al dramma suo e, a maggior ragione, dei suoi familiari (non oso immaginare la loro vita da quando la loro congiunta è in stato vegetativo), si inserisce in un vuoto legislativo, dovuto sia alla mancanza di una legge che regoli la possibilità di redigere, nel pieno delle proprie facoltà mentali, il cosiddetto "testamento biologico", sia nella precisa definizioni di quale realtà sia competente a giudicare casi come quelli di Eluana. Una legge sul testamento biologico è necessaria ed, oltretutto, permetterebbe ad ognuno di essere davvero tutelato e di poter esprimere la propria opinione in merito. Cioè, per dirla brutalmente, chi volesse morire potrebbe farlo, mentre chi, per mille motivi, considera la vita vegetativa alla stregua di un'esistenza normale vedrebbe tutelata ed assecondata questa sua volontà.

 

Quanto alla Chiesa, non mi accanirei troppo contro di lei; in fondo, come notava qualcun altro nel suo intervento, essa non fa che il suo mestiere, cioé difendere sempre e comunque la vita: ciò può sembrare fuori luogo ed anacronistico, per certi versi, ma è una linea di estrema coerenza che, secondo me, può provocare sì dissenso, ma non disprezzo.

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In pratica si, staccati i sondini lei morirebbe di fame e di sete, non è un bel modo di andarsene e di fatto non è un'eutanasia (è l'interruzione "volontaria" delle cure) rimane comunque il fatto che quella povera ragazza sono sedici anni che è una non viva

 

Dare da bere e da mangiare ad una persona non è equiparabile a "cure mediche" e quindi ad un accanimento terapeutico. E quale è il criterio per dire che non è viva? Perchè in questi casi non vale il principio di precauzione per cui, forse vale la pena di salvaguardare quel lumicino di speranza che ancora c'è, invece di spegnerlo del tutto e in modo così crudele?

Molti anni fa, ricoverara nella stessa stanza di mia nonna (negli ultimi giorni di vita), c'era una giovane ragazza in stato vegetativo a seguito di un'overdose; ti assicuro che guardandola, non mi è mai passata per la testa l'idea che fosse meglio lasciarla morire di fame e di sete o ucciderla in qualche altro modo, perchè era comunque una persona, dai cui occhi aperti, apparentemente inespressivi, si poteva ancora vedere l'umanità che c'era in lei.

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Lo stato vegetativo in cifre

 

o stato vegetativo è provocato da traumi, emorragie o malformazioni del cervello. La parte lesa è soprattutto la corteccia cerebrale, sede delle facoltà superiori (pensiero, coscienza). Da un punto di vista clinico il paziente si presenta come totalmente incosciente; continua però a respirare e ad aprire gli occhi di giorno e a chiuderli la sera. Per continuare a vivere gli basta spesso solo un’alimentazione attraverso un sondino.

Secondo la "Multi-Society Task Force on PVS" americana, si può parlare di "stato vegetativo persistente" dopo un mese dall’incidente, e di "stato vegetativo permanente" a 12 mesi dall’incidente. Quest’ultima condizione è praticamente irreversibile.

Negli USA ci sono circa 20.000 mila adulti e 10.000 bambini in questo stato. In Italia sono circa 1.500. La maggior parte di questi pazienti muore entro 5 anni dal trauma. Solo 1 su 50.000 sopravvive per più di 15 anni. Gli esperti statunitensi raccomandano di non rianimare queste persone in caso di crisi. E, in presenza di una volontà scritta, considerano accettabile l’interruzione dell’alimentazione e di altre cure salvavita.

 

Lo stato vegetativo persistente:

un appello alla nostra responsabilità

di Carlo Alberto Defanti

Dipartimento di Scienze Neurologiche, Ospedale Niguarda Ca' Granda, Milano.

 

Il caso E.E.

 

E.E., di sesso femminile, all’età di 20 anni fu vittima di un incidente stradale che comportò un gravissimo trauma cranio-cerebrale. Fu condotta presso un ospedale ove si rilevò radiologicamente una frattura del cranio e una frattura della colonna cervicale. Mediante la TAC vennero evidenziate raccolte di sangue in uno degli emisferi cerebrali e immagini di sofferenza nella regione talamica di ambo i lati. Clinicamente la paziente era in stato di coma con assenza quasi completa di riflessi, ma in grado di respirare spontaneamente, anche se non in modo sufficiente. I quattro arti erano paralizzati. La paziente venne sottoposta a intubazione tracheale e a ventilazione meccanica. Nei giorni successivi la situazione si aggravò ulteriormente in quanto il rigonfiamento degli emisferi cerebrali determinava la compressione del tronco encefalico e, come spesso accade in questi casi, la comparsa di un'emorragia nella parte più alta dello stesso (il mesencefalo). Superata questa fase, la paziente riprese gradualmente la capacità di respirare spontaneamente e, circa un mese dopo il trauma, cominciò a riaprire gli occhi, senza però mai riprendere contatto con l'ambiente e senza presentare alcun movimento spontaneo degli arti. Si configurò così il quadro clinico drammatico di uno stato vegetativo persistente che purtroppo si è mantenuto del tutto inalterato da allora.

 

Al momento della mia prima osservazione, sei anni dopo il fatto, appariva in buone condizioni generali. Manteneva gli occhi aperti durante buona parte della giornata, i globi oculari erano deviati ("deviazione sghemba") e la pupilla dell'occhio destro non reagiva alla luce. Le labbra, la mandibola e la lingua erano animate da una sorta di tremore ritmico. Gli arti erano immobili e spastici, con atteggiamento in equinismo di entrambi i piedi. Respirava spontaneamente, senza ausili meccanici. La nutrizione avveniva mediante un sondino naso-gastrico. Malgrado un'osservazione prolungata e stimolazioni di vario tipo, non si è mai riusciti a entrare in contatto con lei.

Durante la giornata e soprattutto durante la notte si osservavano momenti di sonno. Fra le indagini condotte durante la degenza, l'elettroencefalogramma prolungato per 20 ore confermava l'esistenza di un ritmo sonno-veglia.

L'attività elettrica registrata alla superficie del cranio (e proveniente dalla corteccia cerebrale) si dimostrava poco organizzata e non reagente ai diversi stimoli. La risonanza magnetica dell'encefalo dimostrava una diffusa alterazione della sostanza bianca dei due emisferi e un danno marcato del tronco cerebrale, ove si osservavano gli esiti dell'emorragia nel mesencefalo di cui ho parlato in precedenza. Lo studio dei potenziali evocati dimostrava un'assenza di risposta della corteccia cerebrale agli stimoli uditivi, un'assenza di risposta agli stimoli elettrici applicati sulle caviglie e una debole risposta corticale alla stimolazione elettrica del polso destro.

 

La diagnosi da me formulata era di stato vegetativo e la mia prognosi era negativa quanto al ricupero della coscienza; parlavo perciò, usando il termine proposto dalla "MultiSociety Task Force on Persistent Vegetative State", di stato vegetativo permanente (o, in altre parole, di stato vegetativo irreversibile). Purtroppo la previsione, del resto fin troppo facile, si è avverata ed E.E. si trova tuttora (nel febbraio 2000) nella stessa condizione clinica.

Che cos'è lo stato vegetativo persistente (SVP)

 

E' bene introdurre a questo punto una definizione di questo stato, tratta dal rapporto della Task Force4 testé citata. Si definisce stato vegetativo un quadro clinico caratterizzato da:

 

1. nessun indizio di consapevolezza di sé e dell'ambiente e di capacità di interagire con gli altri;

2. nessuna risposta comportamentale riproducibile, finalistica o volontaria a stimoli visivi, uditivi, tattili o dolorifici;

3. nessun indizio di comprensione del linguaggio altrui;

4. presenza di un ciclo intermittente di sonno-veglia;

5. conservazione sufficiente delle funzioni dell’ipotalamo e del tronco encefalico tale da permettere la sopravvivenza con semplici cure mediche e assistenza infermieristica;

6. incontinenza urinaria e fecale;

7. conservazione almeno parziale dei riflessi cranici.

 

Lo stato vegetativo può rappresentare una fase transitoria che a volte è seguita dalla ripresa della coscienza, ma talora esso si protrae. Si parla di stato vegetativo persistente quando esso dura oltre un mese. Lo stato vegetativo persistente differisce dallo stato di coma, con il quale viene spesso confuso dal pubblico, in quanto il malato è in grado di aprire gli occhi e conserva un'alternanza di sonno e veglia.

Quali lesioni cerebrali possono provocare lo stato vegetativo? Le lesioni possono variare da un caso all'altro, ma ciò che accomuna tutti questi malati è il fatto che essi conservano, in varia misura, le funzioni del tronco encefalico (responsabile sia delle funzioni vitali, come il respiro e la regolazione del circolo, sia dell'alternarsi di veglia e di sonno), mentre sono abolite le funzioni delle corteccia cerebrale (sia in seguito alla sua distruzione, sia a causa dell'isolamento delle vie nervose che la connettono ai centri sottostanti) e quindi è abolita la coscienza. L'individuo ha perso la vita cognitiva e mantiene quella vegetativa.

 

La diagnosi di stato vegetativo è relativamente semplice nelle mani di un neurologo esperto, ma richiede, a differenza di altre diagnosi, un'osservazione clinica attenta e prolungata per cogliere eventuali segni di contatto del paziente con il mondo esterno, segni che possono sfuggire a un'osservazione superficiale. La vera difficoltà che lo stato vegetativo solleva non è però la diagnosi, bensì la prognosi, vale a dire la previsione sulla sua reversibilità o meno. Dopo molte discussioni, la Task Force citata ha raggiunto un accordo su alcuni punti. Uno di essi è che prima di dichiarare permanente, cioè irreversibile, lo stato vegetativo di origine traumatica di un soggetto adulto (il caso di E.E.) è necessario attendere almeno 12 mesi. Trascorso tale lasso di tempo, la probabilità di una ripresa di funzioni superiori è insignificante.

Ancora sul caso

 

Il caso di E.E. corrisponde perfettamente ai criteri diagnostici su riferiti. Qual è il meccanismo attraverso cui il trauma l'ha condotta allo stato attuale? Con ogni verosimiglianza il trauma ha provocato, oltre all'emorragia nell'emisfero sinistro, che di per sé non giustificherebbe questo stato clinico, soprattutto un danno diffuso delle fibre nervose della sostanza bianca degli emisferi (si usa generalmente a questo proposito il termine inglese di diffuse axonal injury). Si può presumere che siano stati interrotti, per lo meno in gran parte, i collegamenti (sia in entrata che in uscita) fra la corteccia cerebrale e i centri nervosi sottostanti. E' come se la corteccia cerebrale, nella quale vengono elaborati i processi cognitivi, fosse isolata rispetto al mondo esterno, nel senso che non è in grado né di ricevere stimoli esterni né di comandare i muscoli del corpo. Il tronco cerebrale invece, pur essendo stato danneggiato dal trauma, non lo è stato completamente, come dimostra da un lato la ripresa della respirazione spontanea (il centro del respiro è situato nelle parti più basse del tronco, il bulbo e il ponte), dall'altro la ripresa di un’alternanza sonno-veglia, essa pure regolata dal tronco.

 

Alla luce di quanto ho detto, la diagnosi e la prognosi di E.E. sono oggi assolutamente certe: si tratta di uno stato vegetativo permanente, senza possibilità di ricupero delle funzioni cognitive. Al tempo stesso però la prognosi quoad vitam è favorevole: tale stato è stabile e, a meno di complicanze intercorrenti, il giovane e sano fisico di E.E. – se accudito con cura, come sta avvenendo – può sopravvivere per decenni.

Il problema morale e giuridico

 

Ma di che sopravvivenza si tratta? In base alle nostre conoscenze, E.E. non è consapevole di vivere, non ha sensazioni di alcun tipo, ciò che sopravvive è unicamente il suo corpo, le cui funzioni viscerali si svolgono normalmente.

Il tubo digerente assimila il cibo che però deve venire introdotto nello stomaco attraverso un sondino flessibile inserito nel naso; le feci debbono essere estratte mediante periodici clisteri; il rene elimina le scorie producendo l'urina che fuoriesce continuamente dalla vescica attraverso un catetere; la respirazione e la circolazione proseguono invece regolarmente e senza ausili esterni. Il suo aspetto è quello di una giovane donna ben nutrita e accudita i cui arti giacciono rigidi e immobili; solo il viso presenta alcuni movimenti automatici e riflessi, ma nessuna espressione umanamente significativa. In nessun modo si riesce a entrare in contatto con lei.

 

Malgrado tutto ciò che sappiamo ci autorizzi a dire che E.E. non soffre direttamente per il suo stato, è certo che la sua condizione rientra fra quelle che oggi il senso comune ritiene "prive di dignità": di lei rimane un corpo privo della capacità di provare qualsiasi esperienza, con un sondino inserito nel naso e un catetere nella vescica, totalmente dipendente dalle cure che gli vengono fornite dal personale di assistenza. La sua condizione è penosa per coloro che la assistono e che hanno ormai perduto da tempo la speranza di un risveglio e ancor più per i suoi genitori, che hanno perso una figlia ma non possono elaborarne compiutamente il lutto.

 

La più autorevole società scientifica neurologica americana, l’American Academy of Neurology, ha affrontato già nel 1995 il grave problema etico del da farsi in queste situazioni e ha sostenuto la moralità e la legittimità della sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiale – considerate come vere e proprie misure terapeutiche e non semplici misure di assistenza – qualora il paziente, prima di cadere in questo stato, abbia espresso un'opzione favorevole a questa sospensione.

E' tuttavia ovvio che nella maggior parte dei casi il soggetto non aveva manifestato in passato alcuna opzione di questo tipo, un fatto che vale tanto più in un paese come il nostro, in cui non vi è per ora nessun riconoscimento giuridico delle "direttive anticipate".

Nell’ultimo decennio si è accumulata inoltre una cospicua giurisprudenza, soprattutto americana ma anche europea (si veda per esempio il caso Bland6 in Gran Bretagna), favorevole alla sospensione delle misure di sostegno vitale anche nei casi in cui manchino direttive anticipate e in cui detta sospensione sia richiesta dai legali rappresentanti dell’individuo.

 

Sulla base di questi pronunciamenti il padre di E.E., suo rappresentante legale, ha chiesto ai medici curanti la sospensione della nutrizione e dell’idratazione, ottenendone un rifiuto. A seguito di ciò si è appellato alla magistratura: il tribunale di prima istanza (la pretura della città di Lecco) ha respinto il ricorso, assimilando questa sospensione a un atto di eutanasia e richiamandosi al diritto inviolabile alla vita e alla sua indisponibilità anche da parte del suo titolare.

In seconda istanza il padre si è rivolto alla Corte di appello di Milano, che, dopo aver analizzato abbastanza ampiamente il caso, ha raggiunto anch’essa una decisione negativa sul ricorso. Come riporta la motivazione della sentenza (pubblicata nel fascicolo) la Corte reputa che il dibattito svoltosi in ambito internazionale sul punto cruciale della questione, se cioè la nutrizione e l’idratazione artificiale siano mezzi di terapia – che come tali possono essere sospesi quando la situazione clinica è tale che il loro impiego non dà più alcun beneficio al malato – o siano invece ordinarie misure di assistenza che debbono essere comunque mantenute, quale che sia la condizione dell’individuo, non è giunto per ora a nessuna conclusione condivisa e, quindi, che si deve attendere un più ampio consenso.

 

Una delle posizioni espresse nel dibattito su cui la Corte di appello si sofferma in modo particolare è il documento elaborato nel 1992 dal Gruppo di Studio "Bioetica e Neurologia",7 del quale chi scrive era allora coordinatore. In quel documento, in effetti, veniva criticato il punto di vista dell’American Academy of Neurology secondo il quale la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere considerate terapie mediche al pari, per esempio, della somministrazione di antibiotici e delle trasfusioni.

Tale equiparazione, a giudizio del Gruppo di studio, è problematica per due ragioni: da un lato a giudizio di molti studiosi la nutrizione e l’idratazione sono sempre doverose in quanto, mentre le terapie mirano a curare i processi morbosi, la nutrizione e l’idratazione sono semplicemente finalizzate a mantenere in vita l’organismo; dall’altro merita di essere sottolineato che, sia pure raramente, nei soggetti in stato vegetativo il riflesso della deglutizione può essere conservato, ciò che rende possibile – anche se laboriosa – la nutrizione per via naturale (cioè imboccando pazientemente l’individuo).

 

Ora, se due soggetti in stato vegetativo permanente differiscono solo per la conservazione del riflesso di deglutizione, in uno dei due a parità di tutte le altre condizioni, non sembra giustificabile l’adozione di comportamenti diversi nei loro riguardi: non sembra cioè che il semplice mantenimento di un riflesso della vita vegetativa costituisca una differenza morale rilevante. Lo stesso Gruppo di Studio, dopo aver esposto questi argomenti, sosteneva a maggioranza che in realtà ciò che giustifica la sospensione della nutrizione e l’idratazione in questi casi non è il fatto che si tratta di terapie piuttosto che di mezzi ordinari di assistenza, bensì la considerazione che, dal punto di vista morale, gli individui in stato vegetativo permanente si possono considerare morti. Ha sostenuto cioè la concezione della morte corticale, quella concezione che, come ho detto più sopra, Singer critica nel suo articolo.

Anche Singer tuttavia, come ho detto, afferma la legittimità morale di sospendere le misure di sostegno vitale in questi individui. In altre parole, il disaccordo teorico non si traduce in un disaccordo sulle decisioni da assumere nei loro riguardi. Sia che essi siano da considerare deceduti, sia che debbano essere visti come esseri viventi permanentemente privi di attività cognitiva, Singer e il Gruppo di studio italiano concordano nel ritenere moralmente lecita la sospensione dei mezzi di sostegno vitale.

 

Una discussione interessante sulla questione se la nutrizione e l’idratazione siano da considerare "terapie mediche" o "cure ordinarie" si è svolta di recente sulla rivista Ethics & Medics, cioè sulla rivista della Conferenza episcopale dei vescovi cattolici americani.8 Da un lato il domenicano K. O’Rourke si è espresso a favore della sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiale, dall’altro le sue tesi sono state vivacemente criticate dal bioeticista W.E. May e dall'editor della rivista, E. Diamond. L'argomento principale di O’Rourke si basa sulla classica distinzione teologica fra "mezzi ordinari" (sempre doverosi) e "straordinari" (non obbligatori) avanzata della scuola di Salamanca.

Tale distinzione, così come il teologo la interpreta, afferma che sono "straordinari" (e dunque non obbligatori) i mezzi che impongono carichi gravosi al malato stesso o agli altri e risultano inefficaci rispetto al raggiungimento del suo scopo di vita (scopo che, nella sua prospettiva, è essenzialmente di ordine spirituale, cioè la conoscenza e l’amore di Dio). La nutrizione e l’idratazione artificiale certamente ottengono lo scopo di prolungare la vita del malato, ma non quello di aiutarlo a perseguire il suo scopo fondamentale di vita in quanto il soggetto in stato vegetativo è privo di capacità cognitive e affettive e pertanto incapace di vita spirituale.

Al contrario May sostiene che la nutrizione e l’idratazione artificiale sono mezzi ordinari (e dunque moralmente doverosi) in quanto non sono di aggravio al paziente stesso (proprio in quanto privo di consapevolezza). Circa la loro inefficacia rispetto al raggiungimento del fine spirituale della vita, essa non è – a suo parere – rilevante ai fini della distinzione.

 

Il nodo fondamentale del disaccordo tra O’Rourke e May sta nella convinzione del primo che la vita fisica umana non è un bene intrinseco, bensì soltanto un bene estrinseco, cioè un bene strumentale al raggiungimento di scopi superiori (spirituali), mentre il secondo pensa al contrario che la vita fisica sia un bene intrinseco della persona e che anche un individuo in stato vegetativo, ancorché privo di vita cognitiva, conserva il suo carattere e la sua dignità di persona.

L'editor della rivista, Diamond, concorda con la posizione di May e inoltre avanza pesanti dubbi sulla certezza della diagnosi di stato vegetativo permanente. Egli cita casi anche recenti di individui che avrebbero ripreso coscienza dopo tempi molto più lunghi di quelli indicati dalla MultiSociety Task Force. In base a questo argomento (l’argomento dell’incertezza o delle eccezioni) un’influente scuola di pensiero cattolica afferma che bisogna sempre seguire l’azione più sicura (tutior) e pertanto proseguire in ogni caso il sostegno alla vita fisica del malato.

Occorre osservare a questo proposito che l’argomento tuzioristico, se applicato coerentemente, renderebbe quasi impossibile assumere decisioni in medicina. Non esistono in medicina verità assolute e ogni evidenza ha solo carattere probabilistico.

La probabilità che un individuo diagnosticato in stato vegetativo permanente secondo le indicazioni della Task Force si risvegli, anche se non facilmente calcolabile, è comunque estremamente piccola. In altre parole, il grado di certezza è almeno pari a quello di molte altre situazioni in cui assumiamo decisioni senza esitare. Non parliamo poi di un caso come quello di E.E., che giace nel suo letto da otto anni e su cui nessuno può avanzare dubbi ragionevoli circa un "miracoloso" risveglio.

 

Nella motivazione della sentenza della Corte di appello di Milano le principali posizioni espresse nell’arena internazionale sono prese brevemente in esame, purtroppo non sempre in modo chiaro e talvolta con notevoli confusioni concettuali. Tale sentenza, comunque, rappresenta una risposta assai più alta rispetto a quella del tribunale di prima istanza e – tra l’altro – avalla completamente la tesi del ricorrente secondo cui il legale rappresentante di un malato incapace ha il potere di assumere decisioni in sua vece. Questa posizione rappresenta – credo – uno dei primi passi nella direzione di una nuova giurisprudenza in questo campo: non v’è dubbio infatti che il meccanismo giuridico dell’interdizione e della nomina del tutore sono stati pensati e fin qui utilizzati soprattutto per risolvere problemi di natura patrimoniale, mentre ora vengono estesi anche a quello concernente la vita biologica.

 

Purtroppo, a differenza di quanto è avvenuto in altri paesi, in Italia un dibattito su questa tematica tarda ad avviarsi, anche perché a essa viene collegato, a dir vero impropriamente, il tema dell’eutanasia, che tende a essere vissuta ancora come un tabù. La pubblicazione della sentenza e dei suoi allegati su questo numero della Rivista è finalizzata proprio all’apertura di una larga discussione pubblica.

Non si tratta di una mera discussione teorica. Il caso E.E. è ben reale, così come la sofferenza della sua famiglia, e sollecitano tutti ad assumerci le nostre responsabilità. Lasceremo la giovane E.E. ancora per anni "intrappolata" – anche se inconsapevole – nelle maglie del nostro sistema sanitario o saremo capaci di aiutarla a trovare una morte dignitosa?

Modificato da Mirgal
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Ospite galland

L'intervento di Mirgal, ben documentato, è degno di attenzione.

Personalmente ritengo che la legge, che si applica nella generalità dei casi indistintamente, possa portare a delle abberrazioni ancora più gravi di quelle odierne.

Bene diceva Hanna Arendt asserendo che l'epoca moderna poneva all'uomo interrogativi e problemi morali mai prima posti.

Credo, comunque, che la preminenza data all'attività celebrale per parametrare le condizioni della vita umana sia un altro fattore proprio del nostro tempo.

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....Malgrado tutto ciò che sappiamo ci autorizzi a dire che E.E. non soffre direttamente per il suo stato, è certo che la sua condizione rientra fra quelle che oggi il senso comune ritiene "prive di dignità": di lei rimane un corpo privo della capacità di provare qualsiasi esperienza, con un sondino inserito nel naso e un catetere nella vescica, totalmente dipendente dalle cure che gli vengono fornite dal personale di assistenza. La sua condizione è penosa per coloro che la assistono e che hanno ormai perduto da tempo la speranza di un risveglio e ancor più per i suoi genitori, che hanno perso una figlia ma non possono elaborarne compiutamente il lutto.

 

In attesa di rileggere con la doverosa cura che il caso richiede il corposo intervento postato da Mirgal, faccio una domanda e una puntualizzazione:

 

- chi stabilisce qual'è la soglia di dignità per la vita di una persona? Con quale criterio?

 

- Le suore che accudiscono Eluana si sono offerte di poter continuare a prendersi carico di lei e non la ritengono in una condizione "penosa", dove penosa è inteso come indegno di vivere.

 

 

EDIT; non mi piace inserire post troppo lunghi, ma in questo caso faccio un'eccezione: da http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=3876:

 

 

La Sentenza di Morte emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante, fa venire i brividi, cancellando definitivamente le nostre speranze e condannando duramente tutti i disabili gravissimi: mi chiedo cosa ne sanno i Tribunali e la Scienza Medica dello Stato Vegetativo? Di cosa si sono accertati? Esistono dei parametri e dei criteri validi per confermarne l'irreversibilità? Assolutamente no.

Rimango scioccato dal duello che appare solamente tra il Signor Englaro e la Chiesa, e noi protagonisti direttamente coinvolti, nulla di tutto ciò.

Staccare il sondino che porta l'alimentazione sarà una morte veramente atroce, la definirei alquanto orribile.

La definizione di Stato Vegetativo permanente si riferisce invece a una prognosi sottoposta a gravi margini di errore. Non esistono tutt’oggi validi criteri per accertare l'irreversibilità del Coma e dello Stato Vegetativo.

Prova schiacciante senza ombra di dubbio è la mia storia, quest'ultima confermata anche da Bob Schindler fratello di Terri Schiavo. Oggi ho quasi 43 anni, sono stato vittima di uno spaventoso incidente stradale (come Eluana Englaro Glaswos Coma scale di 3-4 grado) avvenuto a Catania l’11 settembre del 2003, riportando danni assonali diffusi che interessavano anche la ragione ponto-mesencefalica entrando in coma, successivamente trapassando lo stato vegetativo permanente. Ho vissuto nell'incubo per quasi due anni, incredibilmente nel 2005, mi risveglio e riesco a raccontare che io sentivo e capivo tutto.

Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Finalmente oggi riesco a sentire il sapore del cibo perché riesco ad essere nutrito dalla bocca (fino ad oggi sono portatore di PEG).

Io sentivo ma nessuno mi capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio stesso corpo, proprio come lo sono oggi.

Provavo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un “vegetale” e i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente.

Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, e iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. I medici parlavano sempre di stato vegetativo permanente e irreversibile, lo ribadivano e lo scrivevano.

Io riesco a comunicare tramite un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo.

Oggi a distanza di quasi 5 anni vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked.in “uomo incatenato”. La mia storia la raccontai anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo “inutilmente” di lottare per la vita.

Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo.

Questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente una sentenza agghiacciante: se applicata, si inizia la nuova era dell'eutanasia con l'eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza.

Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere.

Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio.

Ringrazio chi, anche durante la mia “vita vegetale”, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre.

Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità?

La mia famiglia sfidava la scienza e la statistica dei grandi numeri svenandosi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. Urlando in Tv (Porta a porta e similari) minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono.

Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico da avvizzita foglia d’insalata?

Cara Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi, né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi “esperti” di qualità di vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui.

Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza.

Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato.

Signor Presidente della Repubblica, solo il suo intervento (ma con i fatti) potrà evitare ulteriori richieste di eutanasia, in alternativa ordini di chiudere tutti i reparti di rianimazione.

 

(Salvatore Crisafulli)

Modificato da lender
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La soglia di dignità l'aveva stabilita la stessa Eluana prima dell'incidente, avendo riferito più volte di non voler essere ridotta a vivere come un vegetale.

 

Per quanto riguarda il passaggio inerente il bimbo anencefalico, è di grande effetto emotivo, ma purtroppo del tutto scientificamente inattendibile.

La speranza di vita di questi bambini è di circa 3-4 giorni, solo in un caso si è registrata la sopravvivenza fino a 11 giorni.

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Se solo in Italia si praticasse l'Eutanasia(che è una forma di civiltà) avrebbe una morte più tranquilla.Ma a quanto pare su queste questioni la chiesa impera.

 

 

VIOLAZIONE DEL REGOLAMENTO

E SIAMO GIA' A 2 OGGI...

Modificato da argonauta
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Ospite dottoressa
***

 

...condivido anche perchè secondo me è ipocrita la posizione della chiesa, se una per vivere ha bisogno di una macchina vuol dire che il patreterno aveva deciso che morisse e gli uomini sono andati contro la decisione di Dio o della natura.........

Modificato da dottoressa
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io sono dell idea che la chiesa si potrà intromettere in questioni che riguardano la medicina o comunque la vita di altre persone solo quando vescovi,cardinali ecc,ecc.. saranno diplomati in medicina..

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Ospite dottoressa
Ma cavolo eppure pensavo che si potesse esprimere liberamente ciò che si pensa :unsure:

 

.........sono cattivissimi!!!!!!!!!! sti moderatori.......

Modificato da dottoressa
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Ospite intruder

Poiché, come dice il Corano, tutti dobbiamo morire, vorrei che fosse possibile farlo nella maniera più dignitosa possibile e secondo le mie volontà. Che non sono quelle di stare attaccato, incosciente, per anni a una macchina e far soffrire i miei familiari tutto il tempo.

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