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La Ribellione dei Moro


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Sotto il termine Ribellione dei Moro, vanno considerate le operazioni militari americane nel cosiddetto territorio Moro, un’area (cfr cartina) abitata da diverse etnie, i Tausug, i Maranao, i Maguindanaoan, e i Banguingui fra le principali, di religione musulmana. Il nome che i suoi abitanti davano a quell’area era in realtà Bangsamoro, dal termine malese banga, patria, ma gli spagnoli preferirono chiamarlo Moro, con riferimento alla parola spagnola che indicava in genere gli islamici.

 

Gli storici radicali tendono a considerare la Ribellione Moro come parte, o estensione, dell’insurrezione delle Filippine, da loro chiamata guerra Filippino Americana, ma si tratta di una realtà che va completamente scorporata dalla precedente; anche la frammentazione etnica e tribale dell’area, rende il termine ribellione impreciso, le truppe americane non si trovarono mai a fronteggiare un movimento di insurrezione unito, ma tutta una serie di azioni che vanno dalla rivolta popolare al terrorismo alla guerriglia, compiuti su base etnica, più che religiosa, e spesso estremamente localizzati sul territorio.

 

Benché gli spagnoli abbiano colonizzato le Filippine a partire dai primi anni del XVI Secolo, ebbero sempre un controllo solo nominale sul Bagsamoro. Le etnie musulmane dell’arcipelago di Sulu e di Mindanao, resistettero fieramente a ogni tentativo di conversione al cattolicesimo. L’impervietà del territorio, isole montagnose e vulcaniche coperte di fitta vegetazione tropicale, impedirono alle truppe spagnole di spingere il loro controllo nell’interno, e si risolsero a tenere solo alcune guarnigioni costiere, dalle quali partivano occasionali spedizioni punitive verso l’interno. Soltanto nel 1876, dopo oltre tre secoli di dominio coloniale, gli spagnoli riuscirono a conquistare la città di Jolo, sede del Sultano di Sulu. Due anni dopo, le autorità coloniali e il sultano segnarono un accordo che risulta però difforme nella versione spagnola e in quella tausug (la lingua parlata dall’etnia di Sulu). Mentre nella prima si sostiene che la Spagna ha completa sovranità, nella seconda si parla di “protettorato” anziché di colonia. E nella realtà gli spagnoli non tentarono mai di imporre leggi o altre usanze alla popolazione dell’isola, limitandosi a riscuotere le tasse e a controllare il commercio, tutto il resto fu lasciato all’autorità del Sultano.

 

Nonostante questa discutibile “sovranità”, la Spagna non esitò a cedere i territori Bagsamoro agli Stati Uniti col Trattato di Parigi, che mise fine alla Guerra Ispano Americana del 1898. E quando le truppe americane raggiunsero le uniche due guarnigioni spagnole della zona, quella di Jolo il 18 Maggio 1899, e quella di Zamboanga il 4 Dicembre successivo, i comandanti spagnoli cedettero agli americani la “piena sovranità” del territorio, come se la avessero in effetti mai esercitata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I problemi emersero immediatamente, anche per l’evidente disappunto manifestato dal sultano di Sulu, Jamalul Kiram II al governatore militare americano generale John C Bates: egli aveva sperato di riguadagnare piena sovranità con la partenza degli spagnoli. Così non era, ma il generale Bates aveva istruzioni di trovare un accordo col sultano per garantire agli americani la neutralità delle etnie islamiche negli scontri in corso in altre parti dell’arcipelago. Alla fine fu siglato un accordo, il cosiddetto Bates Treaty, che conteneva però la medesima imperfezione di quello spagnolo: il testo inglese parlava di colonia, quello tausug di protettorato. E, benché sulla carta il trattato garantisse piena sovranità agli americani, esso fu criticato duramente in patria perché assicurava troppa autonomia al Sultano; in particolare era permesso di praticare la schiavitù, cosa che fece sorgere più di qualche critica. Bates, molto onestamente, ammise che il trattato era un mero espediente, siglato solo nell’attesa che l’insurrezione al nord fosse stroncata e le truppe potessero essere dispiegate al sud.

 

Bates era un militare, non un politico, e non si rese conto di alcuni problemi insiti nella natura del trattato. In teoria, il sultano di Sulu era la massima autorità riconosciuta nel Bagsamoro, ma il sultanato di Maguindanao era indipendente e autonomo, e riconosceva la supremazia di quello di Sulu solo in materia religiosa e di relazioni internazionali, ma non di politica interna. Non solo: in realtà, il sultano di Sulu aveva meno potere di ciascuno dei maggiori datto (capi tribù) dell’arcipelago, ed essi non erano stati inclusi nel negoziato, e, in pratica non lo riconobbero.

 

Problemi peggiori a Mindanao: il distretto del lago Lanao, fu diviso fra oltre duecento datto, mentre l’area di Catabato era sotto il controllo di uno solo di loro, Ali. Altri, oltre al sultano di Sulu e quello di Maguindanao, approfittarono del vuoto di potere lasciato dagli spagnoli: 32 autoproclamati sultani avanzavano richieste sulla base dell’uti possidetis.

 

Il Trattato comunque garantì la neutralità Bangsamoro nell’insurrezione delle Filippine (in molti casi, anzi, i datto furono lieti di fornire scout e ausiliari contro gli odiati cattolici che li avevano perseguitati per secoli). Le forze americane nell’area vennero organizzate nel Distretto Militare di Mindanao-Jolo, al comando del generale Bates. Le sue forze erano esigue, giusto due reggimenti di fanteria, che garantivano solo la messa in sicurezza del quartier generale di Zamboanga e il territorio circostante, non certo l’intera area teoricamente assegnata.

 

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Il generale John Coalter Bates

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Il 20 Marzo 1900, Bates fu avvicendato dal generale William A Kobbe, e il Distretto di Mindanao-Jolo fu elevato al rango di Comando regionale. Le truppe furono rinforzate dall’arrivo di un terzo reggimento, e diverse città, fra le quali Jolo, furono presidiate da una guarnigione americana, che costrinse gli insorti filippini (cattolici, l’area non era interamente islamizzata) a ripiegare sulle montagne. Kobbe si impegnò anche nella lotta alla pirateria (benché le navi americane non venissero assalite per via di un tacito accordo), e allo schiavismo, praticata da alcuni datto musulmani che da essi ricavano grossi profitti. Alcuni non meglio identificati fuorilegge (secondo la dizione americana dell’epoca, outlaws) attaccarono avamposti americani, in alcuni casi usando kamikaze ante litteram chiamati juramentados: dallo spagnolo juramentar, prestare giuramento. A differenza dei malesi amok, che uccidevano sia musulmani che indù o cristiani, i juramentados attaccavano solo i cristiani al grido "La ilaha il-la'l-lahu", c’è un solo dio, e, benché non votati al suicidio, proibito dal Corano, cercavano la loro parang sabil (via del paradiso) uccidendo più nemici possibile anche a prezzo della loro vita, come succedeva regolarmente quando attaccavano un distaccamento militare dotato di armi da fuoco. Addestrati intensamente per la missione che dovevano compiere, imbottiti di droghe e armati solo di qualche coltellaccio da giungla, non esitavano a lanciarsi urlando contro le colonne americane, riuscendo a uccidere anche due o tre soldati prima di venire abbattuti. Sembravano insensibili alle pallottole, continuavano ad avanzare benché coperti di ferite, spesso il loro apparire faceva scappare i soldati più inesperti. La Colt .45 M1911, pare, fu creata su specifica dello US Army che voleva un’arma in grado di fermare uno di questi ossessi con un solo colpo.

 

Kobbe ordinò quindi che le milizie dei datto fossero disarmate, ma la priorità alla lotta agli insorti filippini (cattolici), rinviò l’esecuzione del progetto.

I guerriglieri filippini nell’area erano comandati da un certo generale Capistrano, che si arrese agli americani il 27 Marzo 1901, dopo che questi ultimi (con l’aiuto dei musulmani) gli avevano fatto la terra bruciata intorno. Pochi giorni dopo, Emilio Aguinaldo veniva catturato a Luzon, mettendo fine alla fase forse più cruciale dell’insurrezione, che di fatto perse di intensità, permettendo agli americani di inviare truppe al sud, dove iniziarono la lotta ai datto ribelli che non avevano messo fine alla schiavitù e alla pirateria.

 

Il 13 Agosto 1901, Kobbe fu avvicendato dal generale George W Davis, che adottò una condotta più soft del suo predessore, pur continuando la lotta alla pirateria e alla schiavitù. Furono stabiliti contatti più pacifici con quei datto che accettavano il controllo americano, e le loro forze non vennero più disarmate come aveva fatto Kobbe.

 

Uno degli ufficiali di Davis, il capitano John J Pershing, (avrebbe comandato le truppe americane in Europa nella Prima Guerra Mondiale, guadagnando il soprannome di Black Jack), assegnato alla guarnigione di Iligan, riuscì a stabilire buone relazioni con le popolazioni di etnia Malano sulle rive settentrionali del lago Lanao, e quindi con l’ex sultano di Madaya, Ahmai Manibilang. Personaggio di grande influenza, benché deposto dagli spagnoli pochi anni prima, la sua amicizia assicurò agli americani il controllo dell’area.

 

Non tutti gli ufficiali di Davis avevano le capacità diplomatiche e umane di Pershing, purtroppo. Diversi veterani delle guerre indiane, riversarono sui Moro il principio guida delle campagne contro i pellerossa (il solo indiano buono è quello morto), e coniarono il neologismo “civilizziamo i Moros con un Krag (dal nome del Krag-Jørgensen, che nelle versioni fucile e carabina era arma standard dello US Army. I cecchini lo avrebbero usato fino alla Seconda Guerra Mondiale per la sua precisione). Il risultato fu tre imboscate sanguinose contro truppe americane al di fuori dell’area di influenza di Manibilang, più una serie di attacchi portati dai juramentados, che spinse il governatore militare delle Filippine, generale Adna R Chaffee, a ordinare, il 13 Aprile 1902, ai datto la consegna dei responsabili.

 

 

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John Joseph "Black Jack" Pershing

 

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Carabina M1892 americana, basata sul fucile Krag-Jørgensen

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Una spedizione punitiva fu guidata da un esaltato col grado di colonnello, Frank S Baldwin, che attaccò a testa bassa una sorta di fortino Moro in quella che è conosciuta come battaglia di Pandapatan o Bayan, rimediando 18 morti in pochi minuti di scontro. Il giorno dopo Baldwin tornò all’attacco e riuscì a irrompere coi suoi soldati nella fortificazione, dove seguì un massacro spaventoso, dovuto al fanatismo dei Moro e al fatto che essi portavano con sé mogli e figli nelle fortificazioni, chiamate localmente pandita.

 

Baldwin acquartierò le sue forze un miglio a sud di Pandapatan, e Davis gli assegnò Pershing come G2 e responsabile delle relazioni coi Moro, garantendogli una sorta di veto sulle azioni del pur superiore di grado Baldwin. La decisione si rivelò provvidenziale poco tempo dopo, bloccando Baldwin che voleva attaccare le fortificazioni costruite dai sopravvissuti di Pandapatan a Bacalod. Pershing lo avvertì che così facendo si rischiava di creare un forte sentimento anti americano in tutte le popolazioni circostanti, mentre l’interesse americano era di isolare la minoranza ostile. Baldwin dovette obbedire, ma chiese di essere avvicendato per non vedersi scavalcato da un semplice capitano.

 

Il 4 Luglio 1902, il Presidente Theodore Roosevelt proclamò la fine delle ostilità nelle Filippine, "eccetto nell’area abitata dalle tribù Moro, dove il cessate il fuoco non sarà applicato”, benché Pershing, fedele alla sua politica di buon vicinato coi Moro, invitò oltre 700 indigeni di religione musulmana a festeggiare coi suoi ufficiali la fine delle ostilità. Quello stesso mese, Davis fu promosso e rimpiazzò Chaffee come governatore militare dell’arcipelago, e il suo posto come comandante della regione di Mindanao-Jolo fu preso deal generale Samuel S Summer.

 

Nel Settembre 1902, Pershing poté guidare la spedizione contro la tribù ribelle Macui, che si risolse in un totale successo grazie alla collaborazione dei datto coi quali aveva stabilito rapporti amichevoli. E il 10 Febbraio 1903 Sajiduciaman, sultano dei Bayan, un tempo ostile agli americani e sconfitto nella battaglia di Pandapatan, dichiarò Pershing datto, l’unico americano a ricevere questo onore. La cosa non fu priva di risvolti semi comici. Quando, in Aprile e Maggio 1903, Pershing guidò una nuova spedizione, nota come la marcia attorno il lago Lanao, che culminò nelle importanti battaglie di Bacolod e di Taraca, nel corso delle quali gli americani ottennero la resa delle ultime etnie ostili dell’area: alcuni Moro ostili si avvinarono alla colonna del maggiore Robert L Bullard, che seguiva le truppe di Pershing a un giorno di marcia, dichiarando che, giacché Pershing era un juramentado, essi dovevano marciare con la bandiera bianca per dimostrare che non erano in guerra con lui, mentre in un’altra occasione, un datto locale propose a Bullard un’alleanza per scalzare Pershing dalle sua posizione e guadagnare prestigio e comando sull’intera area del lago Lanao.

 

Il 3 giugno 1903 fu creata la Provincia Moro, che comprendeva “tutti i territori delle Filippine a sud dell’ottavo parallelo esclusa l’isola di Palawan e la parte nordorientale della penisola di Mindanao”. Benché la provincia avesse un governo civile, molte posizioni, compreso quella di governatore e dei suoi vice, erano occupate da militari. Le ragioni erano diverse, e fra queste l’ostilità dei Moro era solo una e nemmeno la più importante. La verità era che i capi Moro, col loro sistema di concezione feudale, non si sarebbero mai sottomessi a un civile, né avrebbero rispettato un soldato sottomesso a dei civili.

 

La provincia fu divisa in cinque distretti: Cotabato, Davao, Lanao, Sulu, e Zamboanga, a loro volta frammentate in numerose circoscrizioni su base tribale, ognuna delle quali era diretta da un datto con compiti di governatore e da alcuni datto minori come vice governatori, rappresentanti della legge e capi della milizia. Il sistema aveva il vantaggio di cooptare la struttura della società Moro, basata su legami parenterali, preparando però contemporaneamente la strada per una società di tipo democratico occidentale, dove fosse la carica, e non la persona, a governare.

 

Il 6 Agosto 1903, il generale Leonard K Wood, fu nominato governatore del Dipartimento di Mindanao-Jolo. Costui, si sentiva personalmente offeso dal feudalesimo tipico della società Moro, dalla pratica della schiavitù e della poligamia. Per di più si trovava a fronteggiare seri problemi con la sua carriera militare, in quanto il grado di Maggiore Generale era obiettivo di una violenta disputa al parte del Senato degli Stati Uniti, cui all’epoca spettava il compito di riconoscere le promozioni dei militari di grado superiore. La necessità di dimostrare la sua bravura di comandante, unita alle sue idee personali, lo portarono a stroncare con eccessiva durezza dispute minori che avrebbero potuto essere risolte con un minimo di diplomazia alla Pershing. Il suo periodo in carica corrisponde con la fase più cruenta della Ribellione dei Moro, anche se gli va riconosciuto l’indubbio merito di avere gettato le basi della pacificazione dell’area..

Wood, come governatore, promulgò numerose riforme.

 

• Dietro sua raccomandazione, adducendo il pretesto dei continui attacchi pirateschi (mai diretti a naviglio americano, peraltro) e occasionali attacchi di juramentados, gli Stati Uniti abrogarono unilateralmente il Trattato Bates,. Il sultano di Sulu fu retrocesso al rango di capo religioso, con meno potere di numerosi datto suoi sottoposti; il governo degli Stati Uniti gli riconobbe uno stipendio come “cappellano islamico”, e il controllo sul Bangsamoro fu assunto direttamente dal governatore militare americano.

 

• La schiavitù fu abolita. Wood annunciò che ogni schiavo era “libero di lasciare il proprio padrone e di costruire una casa per sé ovunque desiderasse” e fu garantita protezione militare per ogni schiavo liberato che avesse voluto farlo. Simili azioni erano già state intraprese in passato da comandanti locali, ma solo dopo aver raggiunto un accordo coi datto locali, che Wood invece scavalcò d’autorità.

 

• Il codice civile Bangsamoro fu modificato. Durante la dominazione spagnola, i Moro sistemavano le loro questioni legali secondo i loro usi e costumi, la legge spagnola interveniva solo nel caso che una delle parti fosse cristiana, il che portava a una sorta di doppia legislazione per cui un Moro che uccideva un cristiano rischiava la forca, ma se uccideva un altro Moro se la cavava pagando una multa alla famiglia dell’ucciso. Wood tentò di modificare la consuetudine, ma essa tropo radicata nel costume locale, e aveva troppe varianti etniche, senza contare che l’ultima parola sperava al datto locale. Wood tentò di imporre il codice penale filippino, a sua volta ispirato alle leggi americane, ma l’attuazione della misura si dimostrò quanto mai difficile e impopolare.

 

• Fu introdotta la proprietà privata, soprattutto per aiutare gli schiavi liberati. Ogni famiglia ricevette 40 acri (circa 16 ettari) di terra da coltivare. I datto ricevettero maggiori appezzamenti in ordine al loro stato sociale, e il commercio dei terreni era sottoposto al controllo del governatore per prevenire frodi e ricatti.

 

• Venne varato anche un sistema scolastico. Nel Giugno del 1904 c’erano già 50 scuole con una media di 30 studenti per ciascuna. A causa della difficoltà di trovare insegnanti madrelingua, le classi venivano tenute in inglese, e gli insegnanti, spesso di etnie non locali, anche se musulmani, venivano istruiti in quella lingua. Molti Moro guardarono con sospetto a quella creazione, ma altri fornirono gli edifici per le scuole.

 

• Fu inoltre incoraggiato il commercio, combattendo la pirateria e il banditismo che ne erano i principali nemici. Il relativo benessere che ne derivò, sia ai datto locali che ai commercianti che alla popolazione che poteva disporre di beni di consumo prima sconosciuti o rari (e quindi costosissimi), portò a una minore opposizione della presenza americana.

 

D’altronde Wood agì maldestramente sul piano militare. Sul finire del 1903 tentò di replicare le spedizioni di Pershing nella regione di Lanao, ma fu costretto ad abbandonare per l’ostilità degli ex alleati e per fronteggiare la rivolta di Hassan, potente datto dell’isola di Jolo. Subito dopo, Wood dovette combattere la rivolta del datto Ali, che aveva ignorato il decreto antischiavitù e fatto massacrare dai juramentados diversi soldati americani. La caccia all’uomo durò oltre due anni, culminando nelle battaglie di Siranaya e di Malalag, che sconfissero definitivamente Ali di cui non si seppe più nulla. Nel corso di questa campagna, vi fu la battaglia di Bud (monte, in lingua tausug) Dajo, nel corso della quale, fra il 5 e il 7 Marzo 1906, circa 1000 uomini, donne e bambini Moro che avevano trovato rifugio in un cratere vulcanico, furono massacrati dalle truppe americane. Benché fosse una vittoria di indubbia potenza sul movimento Moro, fu anche un disastro dal punto di vista delle pubbliche relazioni, soprattutto in patria, dove la propaganda radicale, guidata dalla American Anti-Imperialist League di Mark Twain e Andrew Carnegie, parlò apertamente di comportamento criminale.

 

 

 

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Il massacro di Bud Dajo

 

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L'arcipelago di Sulu e la sua capitale, Jolo

 

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Lo stemma del Quarto Reggimento di Cavalleria americano ricorda la battaglia di Bud Dajo: un vulcano verde e un kris, pugnale locale, sovrastato dalla sciabola gialla della cavalleria americana

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Il 1 Febbraio 1906, il generale Tasker H Bliss, rimpiazzò Wood come comandante del Dipartimento di Mindanao-Jolo. Bliss fece un primo tentativo accomodante nei confronti dei Moro, evitando di guidare spedizioni punitive contro i ribelli, anche al costo di lasciare fuori controllo tutte le aree che non erano presidiate da militari americani, che, d’altronde, proprio in quel periodo, svilupparono una tattica ben congegnata per impedire gli attacchi dei juramentados. Il morto veniva avvolto in una pelle di maiale e spesso irrorato di alcol (un peccato sprecare così del buon bourbon, ricorda l’ammiraglio Daniel P Mannix, allora semplice tenente, ma serviva eccome!), così da non poter raggiungere il paradiso (chissà, forse funzionerebbe anche oggi, nda).

 

L’11 Novembre 1909, John J Pershing, diventato generale, assunse l’incarico di governatore militare della provincia Moro. Fu il terzo, e l’ultimo, militare a occupare la carica. Come governatore, varò diverse riforme.

 

• Pershing distaccò i Philippine Scouts e i Philippine Constabulary, fino a quel momento usati come ausiliari dalle truppe americane, in piccoli distaccamenti nell’interno, affidandogli compiti di controllo del territorio tipici di una miliazia rurale. Ciò portò a una riduzione del banditismo e della pirateria che permise lo sviluppo dell’agricoltura e del commercio, migliorando la situazione economica della popolazione.

 

• Semplificò il sistema legale, espandendo la giurisdizione dei tribunali locali, su base etnica, ai quali veniva affiancato un procuratore americano. La riforma fu accolta con simpatia dai Moro, perché era semplice, veloce (il complicato sistema americano importato e imposto da Wood obbligava ad attendere fino a due anni per ottenere una sentenza anche per la più semplice delle dispute), e, fondamentalmente, rispettava i loro usi e costumi.

 

• Permise la costruzione di moschee.

 

• Accettò l'uso di servitù in cambio di vito, alloggio e protezione, purché il servo non fosse costretto a quella pratica, che per gli americani era schiavitù.

 

• I contratti di lavoro furono riformati per venire incontro ai costumi locali. I Moro, assolutamente ignari dei costumi e delle nozioni occidentali di lavoro, erano portati all’assenteismo, più che altro per motivi familiari (feste, compleanni e altro per partecipare ai quali non chiedevano nessuna autorizzazione al datore di lavoro).

 

• Le misure adottate da Pershing portarono a una notevole espansione dell’economia. I tre principali prodotti della regione, la copra, la canapa e il legname pregiato delle foreste tropicali, raddoppiarono il volume di affari nei primi tre anni, e i Moro iniziarono a depositare soldi in banca per la prima volta nella loro storia.

 

• Furono create stazioni di commercio situate anche all’interno, dove i Moro potevano vendere i loro prodotti non deperibili e acquistare generi a prezzo controllato, prevenendo così per la prima volta nella storia delle isole le speculazioni condotte solitamente dai commercianti di etnia cinese o comunque cattolici nei momenti di crisi.

 

Il controllo dell’ordine pubblico si rivelò di più difficile attuazione, il banditismo essendo parte della cultura locale da secoli. Pershing attese che il Genio terminasse di costruire le strade di cui aveva necessità per far muovere le truppe e le forze di polizia che avrebbero protetto la popolazione, quindi ne ordinò il disarmo, dopo aver convocato una riunione di tutti i datto locali, molti dei quali si trovarono d’accordo con lui. Il commercio aveva portato un benessere fino allora sconosciuto, e la parte più progressista dei datto era d’accordo che il banditismo andasse combattuto anche se ciò costava la rinuncia a una vecchia tradizione locale.

 

La resistenza al disarmo fu tuttavia molto forte, soprattutto nel distretto di Jolo, e portò alla seconda battaglia di Bud Dajo (che Pershing gestì con maggiore tatto della precedente, pur sterminando senza troppa misericordia i ribelli), e in quella di Bud Bagsaak (11-15 Giugno 1913), che Pershing guidò personalmente e portò all’uccisione di 2000 combattenti Moro (oltre a 196 donne e 340 bambini). Fu l’ultima battaglia combattuta nel Bangsamoro.

 

Pershing, ora poteva passare la mano ai civili, pur col paerere contrario di Washington. Avendo compreso a fondo la cultura locale, si era reso conto che un’amministrazione civile sarebbe stata bene accetta ai Moro, che stimavano e rispettavano i militari in quanto combattenti,ma al contempo trovavano incomprensibili i loro continui avvicendamenti. Per i loro costumi individualistici e basati sui legami familiari, un cambio di amministrazione significava anche un cambio di regime, cosa che li gettava nello sconforto assoluto. Per questa ragione, e battendosi duramente, Pershing chiese — e ottenne — governatori civili che rimanessero però in carica il più a lungo possibile. Nel Dicembre di quello stesso anno, la transizione all’amministrazione civile fu completata quando Pershing fu rimpiazzato da un civile, il governatore Frank J Carpenter.

 

La ribellione dei moro poteva dirsi conclusa.

 

Le perdite da parte americana non furono particolarmente pesanti, i caduti in azione in tutto ammontarono a 130, con 323 feriti, mentre altri 500 militari morirono di malattia, principalmente colera e febbre gialla. I Philippine Scouts dovettero lamentare 116 caduti e 189 feriti in azione, mentre i Philippine Constabulary ebbero perdite più pesanti, dato il loro impiego nella lotta al banditismo: 727 morti e 1200 feriti. Non si conoscono le perdite fra i Moro, che sono comunque stimate fra i 10 e i 20000 (i soliti radicali isterici portano il totale a mezzo milione, ma quella era la popolazione totale dell’area all’inizio della Ribellione), con un numero sconosciuto di feriti.

 

Dulcis in fundo, negli anni Trenta, quando appariva ormai chiaro che gli Stati Uniti avrebbero concesso l’indipendenza alle Filippine, una delegazione Moro, guidata dal sultano di Sulu, si recò a Washington per chiedere di rimanere sotto protettorato americano, giacché le autorità civili statunitensi garantivano il diritto di culto e alcune tradizioni locali, cosa che i politici filippini, provenienti dalle file più fondamentaliste della "fede" cattolica, non parevano intenzionati a fare.

 

La Ribellione dei Moro divenne anche soggetto di un film, non molto rispettoso dei particolari storici (si vedono guerriglieri islamici affaccendati a seppellire al collo nei formicai prigionieri americani perché siano spolpati vivi dalle formiche, ma quella era una pratica seguita dai buoni guerriglieri cristiani; i musulmani trattarono sempre dignitosamente i propri prigionieri americani, i maltrattamenti furono sporadici e non è segnalata tortura) e credo inedito in Italia, The Real Glory, diretto da Henry Hathaway nel 1939, starring Gary Cooper.

 

BIBLIOGRAFIA:

• Mythe, Donald. Guerrilla Warrior: The Early Life of John J. Pershing

• Vandiver, Frank E. Black Jack: The Life and Times of John J. Pershing.

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