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Missioni NATO e cronica mancanza di elicotteri


Thunderalex

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Uno degli aspetti meno noti della missione Isaf in Afghanistan è rappresentato dalla oramai cronica carenza di elicotteri schierati in quel Paese; nonostante i ripetuti inviti a fornire un maggior numero di velivoli in grado di supportare la vasta gamma di operazioni da affrontare (da quelle di combattimento ad altre di supporto al combattimento stesso, passando per quelle di trasporto), la situazione rimane ancora oggi insoddisfacente; si calcola infatti che i soli Stati Uniti schierino un centinaio di elicotteri (impegnati sia in ambito Isaf che Enduring Freedom), mentre quelli di tutti gli altri Paesi sono appena una quarantina. Una quantità insufficiente, a fronte dei circa 41mila uomini impegnati in Isaf e della vastità del territorio afgano (oltre 647mila chilometri quadrati).

 

In altri termini, quella che è la più grande alleanza politico-militare del pianeta, e cioè la Nato, oggi composta da 26 Paesi, i cui bilanci militari sono pari a oltre i 2/3 della spesa militare mondiale, avente a disposizione secondo alcune stime recenti un totale di oltre ottomila elicotteri - circa seimila gli Stati uniti e più di duemila gli altri membri dell’Alleanza Atlantica - e, infine, impegnata in quella che attualmente è la sua più importante missione, non riesce a soddisfare una delle più elementari necessità in ambito operativo.

 

A complicare la situazione, oltre al ridotto numero di velivoli, contribuiscono anche i vincoli posti da taluni Paesi; e così Italia( :rolleyes: ), Spagna e Germania, che pure ne schierano un buon numero, tendono a limitarne il loro impiego.

 

Sulla base di questa situazione, sotto molti punti di vista imbarazzante, alla Nato non è restato altro che fare buon viso a cattivo gioco. Nell’ottobre scorso è infatti giunta la decisione di procedere con il leasing, da società private, di 20 elicotteri (da impiegare solo in missioni di trasporto di rifornimenti, liberando gli altri velivoli per compiti più ‘combat’) :blink:

 

Di più, la missione Onu in Darfur (Unamid, United nations african union mission in Darfur), nonostante la sua importanza non riesce a reperire i 24 elicotteri necessari per il sostegno alle operazioni delle truppe dell’Onu e dell’Unione Africana in quella regione del Sudan; un’analoga sorte è toccata alla missione dell’Ue in Ciad e nella Repubblica centro africana.

 

Eppure non si può farne a meno. Elicottero vuol dire mobilità. Quando si è costretti a operare in contesti che per l’assenza di una rete viaria adeguata e/o per una conformazione orografica tormentata o ancora, quando sia comunque necessario assicurare un sostegno costante e puntuale (sotto ogni punto di vista) alle truppe impegnate in combattimento, uno degli strumenti migliori per assolvere tutti questi compiti rimane proprio l’elicottero.

 

Accanto a questi indubbi vantaggi, tuttavia, non pochi sono anche gli elementi che ne ostacolano l’impiego. Un semplice esempio: assicurare lo spiegamento di un nucleo di otto velivoli per il periodo di un anno, significa dover ruotare dalle 24 alle 32 macchine e distaccare un nucleo di 150-200 uomini per soddisfare le importanti esigenze di manutenzione. E poi ci sono i rischi elevati di perdite; nonostante la disponibilità di sistemi di autoprotezione completi e affidabili, le basse velocità e le basse quote alle quali essi operano rendono questo tipo di velivolo estremamente vulnerabile (solo in Afghanistan sono andati persi almeno 30 elicotteri da 2001 a oggi). Ciò significa poter essere colpiti con facilità, non solo da sistemi missilistici anti-aerei spalleggiabili ma anche da semplici armi automatiche di ogni genere, oltre che da Rpg (Rocket propelled grenade).

È inutile negarlo, le immagini della battaglia di Mogadiscio dell’ottobre ’93 e quella sorta di sindrome da ‘Black hawk down’ che ne è seguita, pesano ancora oggi e potrebbero farlo di nuovo qualora si ripetessero; soprattutto se a subirle fosse un Paese, e un’opinione pubblica, poco abituati ad affrontarle.

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È inutile negarlo, le immagini della battaglia di Mogadiscio dell’ottobre ’93 e quella sorta di sindrome da ‘Black hawk down’ che ne è seguita, pesano ancora oggi e potrebbero farlo di nuovo qualora si ripetessero; soprattutto se a subirle fosse un Paese, e un’opinione pubblica, poco abituati ad affrontarle.

 

vi immaginate cosa succederebbe qui in Italia se qualcuno dei nostri AB-212 dovesse essere abbattuto?Si coglierebbe l'occasione per fare propaganda politica e i pacifisti a fare casino... :thumbdown:

Modificato da dogfighter
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L'appellativo di "cronica" basta come pronostico.

 

Finchè si ha un'opinione pubblica che non sente l'importanza delle FFAA neanche la politica avvertirà tale problema, causando tagli al budget, dirottando i fondi per impiegarli in altre questioni più vicine alla gente.

 

La gente non considera le FFAA una risorsa fondamentale per il Paese, se per economia e politica estera e commercio (strettamenti legate alla politica di difesa) decidono il futuro della gente stessa giorno per giorno.

 

 

La tendenza è a voler considerare prioritarie solo le problematiche che la gente comune (per non dire ignoratnte) sente come uniche realmente importanti, ossia quelle che può toccare con mano. Senza per nulla togliere priorità a monnezza e soci, la gente dovrebbe capire che in una macchina, se un solo ingranaggio si spezza, non funziona più nulla.

 

Gli ingranaggi costano, e quello con sù scritto "Difesa" è pieno di cricche.

 

Gli elicotteri sono un segno, se a qualcuno viene in mente di considerare le operazioni in A-stan non si farebbe una buona considerazione della NATO, e inizierebbe ad agitare bandiere di guerra a destra e manca, con tutti i risvolti economici e politici immaginabili.

Modificato da tuccio14
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