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Il coraggio dell'impossibile


Ospite galland

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Ospite galland

Spero che i racconti che seguono siano di qualche interesse; mi permetto di chiamarli non atti di eroismo ma piuttosto di coraggio, determinazione, tenacia, spirito di sacrificio e del dovere. Con questo non voglio sminuirli ma, piuttosto metterli in una giusta scala di valori:

“La parola d’ordine di Nelson davanti a Trafalgar non fu “l’Inghilterra si aspetta che ogni uomo sia un eroe” ma “l’Inghilterra si aspetta che ogni uomo faccia il suo dovere”[...]

Gli eroi, come Ercole e Teseo, erano semidei. Ancora nel fiorire dell’Ellade,il concetto fu trasferito ad uomini comuni: i caduti per la patria, i tirannicidi. Ma si trattava sempre di morti. L’idea eroica era essenzialmente culto dei morti. Il concetto di eroe era vicinissimo al concetto di defunto. Solo più tardi, e pur sempre solo retoricamente, venne applicato qua e là anche a qualche vivo.” (Johan Huizinga La crisi della civiltà, 1935)

Ritengo, perciò, che troppo spesso si parli a sproposito di eroismo, mentre sarebbe più giusto parlare delle altre qualità morali su elencate. Comunque buona lettura.

 

Piloti per caso

Non a caso il grande pilota di cui ho avuto l’ardire di usurpare il nome nel suo libro di memorie -su cui prima o poi parlerò- pone all’inizio del volume una foto che lo vede insieme al suo meccanico Meyer. Giusto e meritato tributo ad uomini che forniscono un essenziale contributo alle imprese dei piloti, e che troppo spesso vengono ignorati. Se pensiamo poi alle condizioni in cui costoro dovettero operare, sovente al limite dell’umana sopportazione, avremo completo il quadro di un contributo silenzioso ed oscuro, ma assolutamente determinante.

La nostra aereonautica, operando nel corso del II conflitto mondiale in condizioni di generale inferiorità tecnica e numerica vide essenziale un contributo di meccanici e piloti spinto all’estremo limite.

Gli italiani volano in Libia dal 1911 ma all’entrata (10 giugno 1940) nella guerra mondiale si presenta una grave crisi della linea operativa; mancano completamente velivoli da appoggio tattico che consentano di contrastare validamente le puntate offensive dei mezzi meccanizzati inglesi che, sin dai primi giorni di guerra, compiono audaci azioni sulla linea di confine e via via in profondità sui capisaldi e linee di comunicazione.

Persino velivoli da bombardamento in quota quali i Savoia Marchetti SM79 si abbassano… a mitragliare e spezzonare i mezzi meccanizzati avversari con gravi sacrifici di uomini e mezzi. La situazione diviene addirittura disperata a metà dicembre, con l’inizio della violenta offensiva inglese dall’Egitto: in pochi giorni il 29 e 33 gruppo e il 14 stormo debbono essere ritirati dalla lotta perché privi di efficienza bellica. In questa drammatica situazione merita di essere ricordato l’atto generoso del maresciallo motorista Ferruccio Morettin e dell’allievo motorista Ezio Zucco, appartenenti al 15 stormo.

Incaricati di provvedere alla riparazione di un “gobbo” costretto ad un atterraggio di fortuna, con una squadra di specialisti lavorano alacremente per alcuni giorni: all’ultimo momento, quando si deve attendere un equipaggio per il prelievo, la linea di ripiegamento investe la zona. Un ufficiale dell’Esercito invita gli specialisti a ritirarsi e a distruggere l’aereo se non può immediatamente decollare. Ed ecco i due uomini compiere il gesto incredibile: per salvare l’SM.79 “curato” dalla loro fatica salgono a bordo e facendo appello alle loro cognizioni, o forse al loro amore, riescono a decollare ed a giungere regolarmente su un aeroporto in zona sicura: anche se tecnicamente imperfetto, questo volo va considerato tra i più belli di tutta la storia dell’aviazione.

Questo non senso del dovere era comune anche in altri specialisti.

Durante le operazioni di conquista dell’Etiopia sia sul fronte eritreo sia su quello somalo sono richieste lo stesso tipo di azioni consistenti in lunghe percorrenze su territorio nemico. Il capo-motorista della 108, operante con gli IMAM Ro37 bis dal fronte somalo, quando vede partire i ragazzi della squadriglia, sa che ogni rientro è compiuto ai limiti dell’autonomia. E’ talmente preoccupato che i piloti incorrano in un atterraggio di fortuna tra popolazioni ostili che, di sua iniziativa senza consultare o avvisare nessuno, prende una drastica decisione. Mascherando l’intervento nell’ambito dei normali lavori di manutenzione, riduce la portata degli spruzzatori nei carburatori degli aerei della squadriglia. Ottiene questo risultato, martellandoli uno ad uno, con grane perizia ed infinita pazienza. I piloti notano una inspiegabile seppure lieve diminuzione della velocità, mentre l’autonomia sale a quasi cinque ore: ciò si traduce dal tornare dalle missioni in pieno margine di sicurezza. Solo più tardi il generoso sottufficiale, rivela la natura del prodigio: un’iniziativa temeraria che avrebbe potuto causare al protagonista una severa punizione.

Il che ci dice quanto sia sottile la linea dell’ insubordinazione…

 

Il volo della fenice

Sulla partecipazione alla guerra mondiale da parte dell’Italia tutto si è detto meno forse che una cosa: fu una guerra condotta senza fantasia, senza uno spirito d’iniziativa. Tanto più si saliva nella “catena di comando” (come si direbbe oggi) e tanto più si trova una mancanza totale di una visione lungimirante, ma anche originale nelle scelte. Appare palmare come la difesa dell’Aoi, “l’Impero” come era definito allora, fosse perlomeno di difficile definizione, e per la circostanza dell’accerchiamento del nostro possedimento tra le colonie inglesi e per l’estensione dei territori da difendere che assommava (solo per l’Etiopia) a sette volte l’Italia. Un’utile indicazione sarebbe potuta venire dal comportamento assunto, nel precedente conflitto mondiale, dalla Germania nei suoi possedimenti del Tanganika. Questo territorio si trovava nelle identiche condizioni dei nostri possedimenti (lontananza dalla madrepatria, isolamento fra nazioni ostili, grande estensione del territorio da difendere, insufficienza e vetustà delle armi a disposizione dei combattenti); il teatro operativo era sotto il comando di un valente tenente colonnello: Paul von Lettow-Vorbeck che decise per la resistenza ad oltranza: se vi fosse stata una guerra breve si sarebbe fatta salva la colonia mentre, se la guerra si prolungava si sarebbe impegnato il maggior numero possibile di avversari cercando di infliggere loro le maggiori perdite possibili.

Il ragionamento si rivelò vincente: la guerriglia impegnò 160.000 inglesi e grossi contingenti belgi e portoghesi sino alla fine delle ostilità. Le loro perdite risultarono rilevanti: i britannici ebbero 10.000 morti, 7.800 feriti e un migliaio di dispersi oltre che 50.000 portatori indigeni morti, le perdite belghe e portoghesi assommarono a 4.700 unità. I tedeschi pagarono il prezzo di 2.000 morti, 9.000 feriti 7.000 prigionieri o dispersi. Lettow-Vorbeck si arrese al suo avversario generale Van Deventer il 25 novembre 1918.

Inutile dire che nessuno, a Roma o Addis Abeba, dovette essere sfiorato da un simile precedente…

Comunque il 10 giugno 1940 tutti i mezzi presenti nell’impero vengono mobilitati: tra essi sei velivoli da trasporto Caproni Ca.148. Il velivolo costituisce lo sviluppo terminale della formula ad ala alta e carrello fisso iniziata col Ca.101. Rispetto all’immediato predecessore, il Ca.133 (l’intramontabile “caprona”), il Ca.148 è caratterizzato dall’avanzamento di circa un metro del posto di pilotaggio che, oltre a offrire migliore visibilità, lascia maggior spazio di carico in fusoliera, la porta di carico è arretrata oltre il bordo d’uscita alare ed il carrello d’atterraggio irrobustito per sostenere l’accresciuto peso a vuoto del velivolo. Tra il settembre 1938 e il febbraio 1939 vengono omologati i sei velivoli prodotti con le sigle I-GOGG, I-TESS, I-LANG, I-ETIO, I-SOMA, I-NEGH per la società Aviotrasporti con scalo di armamento ad Assab, in Eritrea. Nel maggio 1940 le due terne di velivoli sono prese in carico ad Asmara dall’Ala Littoria e già nel giugno del 1940 ricevono le matricole militari da 60477 a 60482 operando per il Comando Aereonautica Aoi, anche se solo nel febbraio 1941 passano ufficialmente in carico all’Amministrazione Militare.

Durante le missioni di trasporto anche essi arrivano a consumazione come il resto dell’aereonautica del settore. Al superstite I-ETIO, benché provato da logoranti mesi d’impiego, si rende tuttavia protagonista di una eccezionale impresa. Il 7 giugno 1941 l’aereo lascia Gimma, ormai prossima a capitolare, e si rifugia insieme a due Fiat CR42 a Gondar ove la resistenza prosegue strenuamente. Qui il Ca.148 effettua tre rifornimenti al presidio di Uolchefit e poi il Comandante della piazzaforte, generale Nasi, ne autorizza il tentativo di rientrare in Italia. L’impresa è di improbabile riuscita per le pessime condizioni dell’aeromobile, le distanze enormi, la sfavorevole situazione di guerra. Pilotato dai sottotenenti Lusardi e Caputo, marconista Di Biagio, motoristi Barilli e De Caro, il Ca.148 decolla con altre tre persone a bordo alle ore 1,30 del 15 giugno sotto un incombente maltempo e con la radio in avaria. L’aereo, che ha obliterato i contrassegni militari e ripristinato, in fusoliera e sotto l’ala, le sigle civili e l’appartenenza all’Ala Littoria mentre la banda bianca è trasformata in tricolore, atterra regolarmente a Gedda, in Arabia Saudita (località sulle rive del mar Rosso con valenza di porto per La Mecca), alle ore 8,15 ove l’equipaggio può esibire documenti civili ed evitare l’internamento. La successiva tappa per Beirut deve essere rinviata per riparare un cilindro del motore destro ed ottenere gli indispensabili rifornimenti di benzina e lubrificante. Purtroppo questo ritardo incontra l’azione inglese e della Francia Libera nel Libano per cui deve essere studiata una rotta verso l’Egeo, con prima sosta la località costiera di Buscir in Iran. Ma anche in questo paese si sta sviluppando l’azione di truppe inglesi e sovietiche per cui non resta che scegliere la meta di Derna in Libia, distante 2.200 chilometri! Dopo la rinuncia dei tre passeggeri, l’interno della fusoliera è utilizzato per disporre serbatoi di fortuna indispensabili per affrontare la grande distanza. Purtroppo la lunga permanenza del velivolo all’aperto con l’offesa della sabbia e della salsedine obbliga allo smontaggio ed alla revisione dei motori che sono accuratamente puliti in ogni loro parte. Il Governo Saudita concede soltanto 400 dei 1.000 litri di benzina promessi e così Barilli propone ai compagni di “fabbricare” (l’arte italiana di arrangiarsi!) una miscela avio mescolando opportunamente benzina automobilistica, benzolo, alcool. In tal modo si ha un “pieno” di 4.100 litri ma l’equipaggio non ottiene l’autorizzazione per alcun volo di prova in quanto il Governo ospite permette solo la partenza diretta.

Alle ore 17,10 del 9 ottobre 1941 il Ca.148 decolla pesantissimo e si avventura a 80 metri di quota lungo la costa araba. Solo dopo due ore è possibile salire un poco, sempre in silenzio radio perché l’emittente non ha ripreso a funzionare. A mezzanotte, nel sorvolare la valle del Nilo, l’aereo e fatto segno a reazione contraerea, poi l’equipaggio deve rompere i finestrini per non essere intossicato dalle esalazioni di carburante presenti in carlinga. Alle ore 4,45 il Ca.148 sorvola Tobruk, inquadrato da un violento fuoco contraereo. Per una pura combinazione i colpi incassati non fanno vittime a bordo, ma ormai il motore centrale è fuori uso. Il carburante è quasi giunto a consumazione per cui l’equipaggio si libera di ogni carico superfluo, compresi i bidoni ormai vuoti della carlinga. A 50 metri di quota l’aereo compie i suoi ultimi minuti di volo tanto da scavalcare le nostre linee ed atterrare nel deserto, 70 chilometri a sud di Ain el Gazala alle ore 6,25 del 10 ottobre. Con 36 terribili ore di marcia nel deserto l’equipaggio raggiunge tale località e già il giorno seguente ci si prodiga per soccorrere il glorioso velivolo immobilizzato nel deserto e sorvegliato dal solo Lusardi. Il 12 ottobre il CA.148 raggiunge la sospirata meta di Derna ove sono sostituiti il motore centrale e l’apparecchio radio. La mattina del 19 ottobre l’I-ETIO decolla verso l’Italia giungendo a Roma-Urbe alle ore 14,15; epilogo fortunato e felice ad un’impresa di eccezionale difficoltà.

Il coraggio dell’impossibile… credo che l’impresa venne compiuta su “imitazione” dei tre Savoia Marchetti SM73 (I-NOVI, I-ARCO, I-VADO) che effettuarono, nell’aprile del 1941, un volo similare e, non meno avventuroso, ma ugualmente coronato da successo. Concludendo se a nessuno era venuto in mente che delle tecniche di guerriglia potevano essere più incisive di quelle tradizionali neppure venne in mente, a cocci rotti, di cercare di rimpatriare con un ponte aereo piloti, motoristi, avieri di cui vi sarebbe stato bisogno in Patria. I pochi che tornarono ricorsero al fai da te.

 

Ho raccontato due episodi di guerra, quello che mi ha colpito è quanto poco possano essere retorici, ma piuttosto spontanei, improvvisati. Un’indicazione che dovrebbe esserci utile anche oggi. Spero vi abbiano interessato, arrivederci…

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Ho raccontato due episodi di guerra, quello che mi ha colpito è quanto poco possano essere retorici, ma piuttosto spontanei, improvvisati. Un’indicazione che dovrebbe esserci utile anche oggi. Spero vi abbiano interessato, arrivederci…

 

Bel Lavoro Galland! ;)

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  • 11 mesi dopo...
Ospite galland

Intruder ha "rispolverato" il mio primo topic, vecchio giusto di un anno.

Allora non sapevo cosa fosse un image hosting; pertanto riparo oggi inserendo un'immagine pittorica dell'I-ETIO

 

caproni10.jpg

 

Grazie a tutti voi.

Modificato da galland
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  • 1 mese dopo...
Ospite intruder
Veramente molto bello! Complimenti... Se Hai altro materiale.. o se mi sai dire dove posso reperire tali storie.. mi faresti un gran favore :)

 

Libri, amico mio, libri. Galland ha una biblioteca impressionante, frutto di pazienza e passione (la pazienza di frugare le bancarelle, la passione per farlo).

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