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Video: La tragedia di Katyn


picpus

Messaggi raccomandati

Eccovi 2 link:

 

http://cronologia.leonardo.it/mondo24m.htm

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Katyn

 

 

Date loro uno sguardo e capirete bene quanto selvaggiume bestiale, vi fosse nell'imperialcomunismo bolscevico sovietico!!!

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E' stato di recente girato un film sull'argomento. Ha ragione Blu Sky a dire che la guerra viene scritta dai vincitori però bisogna saper ammettere i propri sbagli...

 

sentivo al telegiornale che se in polonia si osava pronunciare quel luogo maledetto dove vennero giustiziati tutti quei soldati si rischiava gross....certo è che questo non aiuta a risolvere i problemi. Possimo dire che si tratta di una ferita che non è del tutto rimarginata ma che a causa del film-storico a riguardo si sono riaccese le polemiche e si spera di arrivare ad una giustizia per quelle vittime ingiustificate.

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E' vero cio che dici Black Knight, ma purtoppo l'umiltà di ammettere i propri errori è prerogativa di pochi <_ infatti visto che vale la massima nella storia non ammette i propri errori destinato a commetterli di nuovo ci si rende conto quanta ingiustizia c nel mondo src="http://aereimilitari.org/forum/uploads/emoticons/default_crybaby.gif" alt=":pianto:">

Modificato da Blue sky
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  • 2 settimane dopo...

Riporto dal seguente link: http://www.mulino.it/edizioni/volumi/sched...mp;vista=scheda la recensione del libro dello studioso russo Victor Zaslavsky, "Pulizia di Classe":

 

"A seguito del patto Ribbentrop-Molotov siglato il 23 agosto 1939 i tedeschi il 1° settembre invadevano la Polonia, scatenando la seconda guerra mondiale. Due settimane dopo l'Urss invase e occupò la metà della Polonia assegnatale dal patto. Durante quel periodo di occupazione, i sovietici catturarono come prigionieri di guerra migliaia di militari dell'esercito polacco. Nel marzo 1940 il Politburo ordinò la fucilazione di circa ventiduemila tra ufficiali e altri "nemici di classe" polacchi, internati in campi di concentramento presso la località di Katyn o detenuti in prigioni sovietiche. I corpi seppelliti nelle fosse di Katyn vennero poi trovati dai nazisti allorché a loro volta occuparono quelle aree dopo l'attacco all'Urss. Quella scoperta fu l'inizio di una guerra di propaganda e disinformazione destinata a durare mezzo secolo. Il regime staliniano cercò di scaricare la responsabilità per il massacro sui tedeschi, orchestrando una campagna di falsificazione, cui gli Alleati durante la guerra non ritennero di opporsi - un atteggiamento di connivenza che perdurò anche nel dopoguerra (soprattutto da parte degli inglesi) per ragioni di opportunità e di "distensione". I documenti che comprovavano la colpa sovietica furono nascosti nell'archivio supersegreto del Politburo e tutti i successivi governi sovietici fino a Gorbaciov rifiutarono di ammetterne l'esistenza. Basandosi su quei documenti, resi pubblici soltanto dopo lo scioglimento dell'Urss, Victor Zaslavsky in un saggio breve e incisivo ha ricostruito l'intera vicenda, quale caso esemplare tanto della politica della "pulizia di classe" condotta dal regime totalitario staliniano all'interno dell'Urss e nei paesi della sua orbita, quanto della durevole opera di manipolazione della storia continuata fino al crollo dell'impero sovietico.

 

Victor Zaslavsky insegna Sociologia politica alla Luiss di Roma. Con il Mulino ha pubblicato "Il consenso organizzato" (1981), "Dopo l'Unione Sovietica" (1991), "Togliatti e Stalin" (con E. Aga Rossi, 1997; premio Acqui storia 1998)."

 

 

Il filmato da me linkato nel post di apertura della presente discussione, contiene un'ampia intervista al prof. Zaslavsky.

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I documenti che comprovavano la colpa sovietica furono nascosti nell'archivio supersegreto del Politburo e tutti i successivi governi sovietici fino a Gorbaciov rifiutarono di ammetterne l'esistenza
:furioso:

Se si verrebbero a sapere tutte le manipolazioni politiche che ci sono state nel tempo ci sarabbe solo da piangere! :pianto:

Modificato da Blue sky
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  • 11 mesi dopo...

Arriva nelle sale cinematografiche italiane il film "Katyn".

 

 

Eccovi due link:

 

http://www.sorrisi.com/sorrisi/diretta/art023001043806.jsp

 

http://cineocchio.altervista.org/wordpress...ailer-italiano/

 

 

Sullo stesso argomento esiste nella presente sezione del forum, un'altra discussione al seguente link:

 

http://www.aereimilitari.org/forum/index.php?showtopic=8007

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Ospite galland

Waida è un GRANDE regista che ci ha dato film indimenticabili. Ricordo come agli inizi degli anni 80 la RAI trasmettesse, di sabato in seconda serata, un cilco dei Suoi film, "Cenere e diamanti nel fiume della storia"

 

Domani andrò a vederlo e riporterò le mie impressioni. Comunque a Roma il film viene trasmesso in UNA sola sala, data la notorietà del regista meritava certamentedi più, o valgono ancora certe censure?

 

Vorrei formulare un'osservazione: il tribunale internazionale di Norimberga fece risalire ai tedeschi la responsabilità dell'eccidio. Per evidenza la criminale politica nazionalsocialista arrivò al punto di far condannare la Germania persino per crimini commessi da altri. Ancora negli anni 60 l'enciclopedia della seconda guerra mondiale Rizzoli Purnell presentava - pudicamente - entrambe le "versioni" quella sovietica e quella dei polacchi liberi.

 

Il passo di Gorbacev deve quindi essere visto, a maggior ragione, come un onesta e genuina ammissione di responsabilità e come di una breve e chiusa stagione di democrazia e ricerca di verità.

 

Concludendo: non vedo apparire certi "soliti noti" anche l'FSB sta subendo tagli e ristrutturazioni? :asd:

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Ospite galland

Impressioni dalla visione del film

"Katin" non è un film, è un inno altissimo alla verità.

 

Nessun libro di storia, nessun memoriale, nulla ha descritto con così tanta forza espressiva e drammatica l’intima essenza dei totalitarismi, così differenti nell’esteriorità così uniti nel calpestare gli uomini.

 

La lotta tenace per la verità, che non permette compromessi e attenuazioni.

 

La macchina della propaganda, che grida la menzogna nelle strade e nelle piazze.

 

Lo sterminio degli uomini, elevato ad abominevole catena di montaggio.

 

“Katin “ ci parla di tutto questo ma ci dice anche altro: che l’unica salvezza è quello che un uomo può dare a un altro. Come quando mostra l’ufficiale russo che, sentendo prossimo l’Angelo della morte, compie un atto senza contropartite: salvare una donna e la sua bambina.

 

La salvezza non sta nelle ideologie, nel compromesso, nella resa.

 

Per tutte queste ragioni andate a vedere “Katin” e credetemi quando sarete usciti impiegherete molto tempo per tornare a parlare del campionato di calcio.

 

Scritto sul treno che mi riporta a casa, col “portatile” sulle ginocchia.

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Ospite galland

In genere su un evento storico consiglio sempre questo o quello scritto, per il massacro di Katin, da ieri dirò: "vai al cinema", oppure: "compra l'home video" Wajda racconta più di qualsiasi libro.

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Ospite intruder

Mentre scrivo queste righe ascolto un CD del Coro dell'Armata Rossa, è una raccolta di canzoni della Seconda Guerra Mondiale , si chiama così anche in Russia, adesso, non più Grande Guerra Patriottica (Великая Отечественная война, attento all'aggettivo, великий indica grande di animo, di spirito, non di proporzioni, che è большой), una delle canzoni, dedicata alla vittoria, accenna al "massacro fascista di Katyn"... credo dica tutto.

Modificato da intruder
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Ospite galland

Propongo questo articolo di "Storia Illustrata" dell'agosto 1966 dedicato al massacro di Katyn. Pur non potendo accedere a quelle fonti primarie che permetteranno d'acclarare definitivamente - con buona pace dei nostalgici - le responsabilità dell'eccidio risulta evidente come la possibilità di valutare le responsabilità fosse, già allora, pienamente possibile. Ho messo in grassetto lo scambio di battute tra Kot e Vichinsky ed il successivo con Stalin in grassetto, avendolo considerato particolarmente rappresentativo.

 

Tutte le didascalie che accompagnano le foto sono quelle redazionali.

 

katynxk5.jpg

 

Dopo 25 anni l'allucinante verità

LE FOSSE DI KATYN

Le testimonianze e i documenti delle commissioni d'inchiesta, obiettivamente analizzati in questo articolo, consentono oggi consentono oggi di addossare a un equivoco ordine di Stalin la responsabilità del massacro dei diecimila ufficiali polacchi sotterrati nella foresta russa.

Giuseppe Mayda

 

La storia dell'eccidio di Katyn cominciò nell'autunno di ventisette anni fa, settembre 1939, con la cattura di gran parte delle armate polacche ad opera delle forze armate sovietiche: la Germania, infatti, aveva aggredito proditoriamente e occupato in pochi giorni la Polonia occidentale; i russi, col pretesto di curare gli interessi delle minoranze ucraine e della Russia Bianca, ne avevano invaso quella orientale. Il 30 settembre la Polonia era completamente sconfitta e il suo territorio diviso fra le due grandi Potenze secondo gli accordi segreti connessi al patto di non aggressione tra Hitler e Stalin.

 

Alla fine del 1939 il governo polacco, in esilio a Londra, chiese all'Unione Sovietica il rilascio dei prigionieri di guerra. I russi acconsentirono: nei mesi seguenti migliaia di soldati polacchi ritornarono alle loro case ma, a conti fatti, ne risultarono mancanti circa diecimila, quasi tutti ufficiali: tra gli assenti vi era l'intero Stato Maggiore dell'armata del generale Ladislao Anders. Il 21 giugno 1941 la Germania attaccò l'Unione Sovietica e il mese seguente fra Russia e Polonia libera, si stabilì un'alleanza: Stalin concesse l'amnistia a tutti i cittadini polacchi che si trovavano in Russia ed una commissione del governo della Polonia libera, diretta da Joseph Czapski, poté recarsi nell'Unione Sovietica a reclutare, fra i propri connazionali ex prigionieri, i volontari per costituire un corpo di spedizione che combattesse contro i tedeschi.

 

Risultò così che circa diecimila ufficiali polacchi catturati nell'autunno 1939 (12 generali, 130 colonnelli e 9.227 ufficiali subalterni) internati dai russi nei campi di Kozielsk, Starobielsk ed Ostashkov erano stati trasferiti nell'aprile 1940 « verso una destinazione sconosciuta » e che essi avevano cessato improvvisamente di scrivere alle famiglie all'inizio del maggio di quell'anno. Qual era stato il loro destino?

 

Sulla base di questo rapporto il 6 ottobre 1941 l'ambasciatore polacco, professor Jan Kot, chiese un colloquio al ministro degli Affari Esteri sovietico, Andrej Vichinsky, per discutere la scomparsa del gruppo di ufficiali polacchi. Jan Kot ha conservato il seguente resoconto del suo incontro con Vichinsky.

 

Kot: Signor ministro, le sottopongo alcune cifre. Il numero degli ufficiali polacchi fatti prigionieri dall'Armata Rossa e deportati in diverse parti della Russia è, almeno, di 9.500. Fino ad oggi noi non ne abbiamo ritrovato che duecento. Che ne è stato degli altri? Noi sappiamo che più di quattromila ufficiali vennero internati a Starobielsk e a Kolzielsk e di là trasferiti a campi sconosciuti. Ci aiuti a ritrovarli.

 

Vichinsky: Bisogna che lei tenga conto delle circostanze, signor ambasciatore. Dal 1939 ad oggi sono avvenuti enormi cambiamenti, nell'Unione Sovietica. Intere popolazioni hanno lasciato le loro regioni per trasferirsi altrove: figuriamoci i singoli individui... Noi abbiamo liberato un gran numero di vostri soldati: taluni hanno trovato lavoro in Unione Sovietica, altri sono rientrati direttamente in Polonia...

 

Kot: Se uno soltanto degli ufficiali cui ho accennato fosse stato veramente messo in libertà si sarebbe messo subito in contatto con noi. Non si tratta di bimbi, o di criminali obbligati a nascondersi. Non è possibile non immaginare che essi si trovino ancora in Russia.

 

Jan Kot, congedato da Vichinsky, non si arrese. Un mese più tardi, nel novembre 1941, ottenne un incontro con Stalin. Anche di questo colloquio Kot redasse un verbale.

 

Kot: Signor presidente, lei ha accordato l'amnistia a tutti i cittadini polacchi abitanti nell'Unione Sovietica. Vuole insistere con i dirigenti del governo russo affinché il suo nobile gesto sia realmente ed interamente applicato?

 

Stalin: Lei intende dire che, qui da noi, ci sono ancora dei polacchi prigionieri?

 

Kot: Almeno per quanto riguarda il campo di Starobielsk, abolito nel 1940, noi non siamo riusciti a ritrovare un solo soldato.

 

Stalin: Ordinerò un'inchiesta, glielo prometto...

 

Kot: Signor presidente, mi consenta di insistere per la liberazione dei nostri ufficiali. Ne abbiamo bisogno per preparare il nostro nuovo esercito. I documenti che possediamo stabiliscono la data in cui essi furono portati nei vari campi...

 

Stalin: Lei ha le liste dettagliate?

 

Kot: Tutti i nomi sono segnati, in ordine alfabetico, dai comandanti russi dei campi: con queste liste compivano ogni giorno l'appello dei prigionieri. Inoltre la polizia sovietica aveva aperto un fascicolo individuale per ogni ufficiale. Se si prende, ad esempio, l'armata del generale Anders ci si accorge che nessuno degli ufficiali del suo Stato Maggiore è stato ritrovato.

 

Stalin crollò la testa, prese il telefono e chiamò il capo della polizia: « Sono Stalin. Volete farmi sapere se tutti i prigionieri di guerra polacchi sono stati liberati? Richiamatemi più tardi ». Poi il dittatore, cominciò a parlare d'altro finché il telefono squillò e Stalin, senza dire una sola parola, ascoltò una lunga spiegazione da parte del capo della polizia. Infine, rivolto all'ambasciatore polacco, riprese a parlare con lui senza più accennare alla scomparsa dei prigionieri.

 

Da quel momento il governo polacco a Londra inviò all'Unione Sovietica 49 note diplomatiche chiedendo notizie sugli ufficiali mancanti. Nessuna risposta. Nel dicembre 1942 il capo del governo libero polacco - il sessantaduenne generale Wladislav Sikorski, un galiziano duro ed autoritario - decise, d'accordo col presidente della repubblica Ràczkievicz, di discutere il problema personalmente con Stalin. Accompagnato dal generale Ladislao Anders, che dirigeva l'organizzazione della nuova armata, si recò a Mosca. Il dittatore russo fu elusivo. Disse che sul territorio dell'Unione Sovietica non esistevaun solo polacco prigioniero: « Forse sono fuggiti da qualche parte, quando abbiamo proclamato l'amnistia ». « Ma dove mai? » intervenne Anders. « Chi lo sa? Probabilmente in Manciuria » ribatté impassibile Stalin.

 

Ma a mezzogiorno del 13 aprile 1943 radio Berlino avvertì che « una importante notizia » stava per essere diffusa. Nelle tre ore che seguirono questo annuncio, l'emittente tedesca compì un rapido, e cautamente ottimistico riassunto della situazione politica e bellica in Europa, Africa ed Asia. In realtà il bilancio dei primi quattro mesi dell'anno era negativo: perduta Stalingrado l'ultimo giorno di gennaio, i tedeschi combattevano duramente nel Kuban; in Pacifico l'offensiva giapponese si andava esaurendo a Guadalcanal.

 

Terminata la lettura del notiziario (erano le 15,15, ora italiana, di quel 13 aprile 1943) l'annunciatore di radio Berlino fece una lunga pausa; poi disse: « Veniamo informati da Smolensk che la popolazione locale ha indicato alle autorità tedesche un luogo in cui i bolscevichi hanno perpetrato segretamente esecuzioni in massa e dove la GPU ha trucidato diecimila ufficiali polacchi. Le autorità tedesche hanno ispezionato il luogo, chiamato Kosogory, nella foresta di Katyn, un soggiorno di riposo estivo, e hanno fatto la più terrificante delle scoperte. È stata trovata una grande fossa, lunga 28 metri e larga 16, riempita con dodici strati di cadaveri di ufficiali polacchi per un totale di circa tremila uomini. Tutti vestono l'uniforme militare e molti di loro hanno le mani legate. Tutti presentano ferite alla nuca causate da colpi di pistola. L'identificazione delle salme non presenterà grandi difficoltà a causa della proprietà mummificatrice del suolo e perché i bolscevichi hanno lasciato sui corpi delle vittime i documenti di identità. È già stato accertato che tra gli uccisi c'è il generale Smorawski, di Lublino. Questi ufficiali erano stati in precedenza a

 

Kolzielsk, presso Orel, da dove - su vagoni bestiame - erano stati portati a Smolensk nel febbraio e nel marzo 1940 e in seguito trasferiti con autocarri nella foresta di Katyn dove furono' massacrati. È in corso la ricerca e l'apertura di altre fosse comuni. Sotto gli strati già scavati vi sono nuovi strati. La cifra totale degli ufficiali uccisi viene calcolata in diecimila, cifra che corrisponderebbe più o meno all'intero numero degli ufficiali polacchi catturati dai bolscevichi come prigionieri di guerra. Giornalisti della stampa norvegese, che sono giunti qui per esaminare il luogo e potersi rendere conto della verità con i loro occhi, hanno fatto relazioni di questo terribile delitto nei giornali di Oslo ». L'annuncio di radio Berlino, trasmesso contemporaneamente in francese, inglese, polacco, russo ed italiano, raggiunge ogni angolo del mondo. La sera stessa, alle 19,15, l'emittente tedesca aggiunge altri particolari alla prima notizia: « Gli ufficiali trucidati erano stati sepolti nella foresta di Katyn, a destra della biforcazione che, dalla strada maestra' di Smolensk, conduce alla casa; di riposo estiva della NKVD (ex GPU). Le vittime venivano scaricate alla stazione ferroviaria di Gniezdovo, distante quattro chilometri, e portate sul luogo dell'esecuzione a bordo di camion. piombati ».

 

Soltanto l'indomani, 14 aprile 1943, l'Unione Sovietica rompe il silenzio sulla vicenda con una nota della « Tass » ben diversa dalle affermazioni di Stalin ai governi polacchi. Dice: « I prigionieri polacchi in questione vennero internati in campi speciali nei dintorni di Smolensk ed impiegati nella costruzione di strade. Al tempo dell'avanzata delle truppe tedesche (luglio 1941) non, fu possibile trasportarli altrove e caddero di conseguenza nelle loro nani. Se sono stati dunque trovati uccisi, vuol dire che sono stati uccisi dai tedeschi i quali, per ragioni propagandistiche, pretendono ora che il crimine sia stato perpetrato dalle autorità sovietiche ».

 

Il governo britannico, benché a diretta conoscenza dei colloqui intercorsi fra Stalin e i generali Sikorski e Anders, dà ordine di diffondere la precisazione sovietica: la BBC la trasmette, senza commento, nel notiziario delle 7,15 del 15 aprile 1943.

 

Il governo della Polonia libera, a Londra, si riunisce nel pomeriggio di quel giorno: la discussione dura dodici ore e all'alba del 16 il generale Sikorski annuncia ai giornalisti inglesi che un'inchiesta sull'eccidio sarà affidata alla Croce Rossa: « Pur essendo abituati alle menzogne propagandistiche tedesche » dichiara « noi consideriamo l'affare di Katyn di tale gravità da richiedere una rigorosissima indagine da parte veramente insospettabile quale appunto la Croce Rossa Internazionale ». Queste parole saranno forse la sua condanna a morte. Trascorrono dieci giorni di assoluto silenzio in campo alleato mentre radio Berlino aggiunge, notiziario per notiziario, altri raccapriccianti particolari sulle fosse comuni scoperte a Katyn. La mattina del 25 aprile, a Mosca, Molotov convoca il nuovo ambasciatore polacco, Romer, e gli consegna una brevissima nota di risposta alla proposta di una inchiesta su Katyn. Poiché, dice la nota, il governo polacco « rilancia le infami calunnie naziste » e « si fa complice della cricca hitleriana », l'Unione Sovietica ha deciso « di troncare le relazioni diplomatiche col governo polacco. »

 

Churchill e Roosevelt intervengono nella contesa: questa falla nel fronte alleato può essere estremamente pericolosa. I polacchi hanno immediatamente notizia della mossa anglo-americana. Il giorno stesso della rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia, l'ambasciatore polacco a Washington, Ciecanovsky, è a colloquio con Sumner Wells, sottosegretario agli Esteri. « Non riesco a comprendere » gli dice freddamente Wells « come mai il suo governo si sia rivolto alla Croce Rossa Internazionale per l'affare Katyn. È chiaro che si tratta di un crimine "montato" dalla propaganda di Goebbels ». Ciecanovsky ascolta in silenzio. Al momento del congedo si limita a queste parole: « Penso che il governo degli Stati Uniti, dinanzi al massacro di migliaia di ufficiali americani, sarebbe molto, meno ottimista ».

 

L'indomani il generale Sikorski annuncia (in una rapidissima conferenza stampa dove le sue dichiarazioni sono lette da un addetto diplomatico ed egli rifiuta di rispondere a qualsiasi ulteriore domanda) che il governo polacco in esilio ha rinunciato ad una inchiesta a Katyn da parte della Croce Rossa. =Le relazioni polacco-russe vengono riprese. La mattina del 4 luglio 1943, una domenica, l'aereo che riporta in Gran Bretagna il generale Sikorski, reduce da una ispezione alle truppe polacche nel Medio Oriente, si inabissa misteriosamente nel. Mediterraneo dinanzi a Gibilterra. L'ipotesi è quella di un sabotaggio.

 

Per tutto l'aprile 1943 radio e stampa tedesche continuano le rivelazioni sul massacro. Pare che Goebbels,in un colloquio con Hitler, abbia gettato le basi per uno sfruttamento - sul piano politico, ideologico e propagandistico - della scoperta di Katyn. Nel Reich l'ascolto delle radio straniere e la lettura dei giornali neutrali sono puniti con la morte ma i capi nazisti sanno certamente che, da due anni, i crimini da loro compiuti contro le minoranze politiche e razziali, le guerre di aggressione e i delitti contro gli ebrei, le popolazioni civili, gli ostaggi innocenti sono oggetto di una inchiesta internazionale.

 

Questa minaccia che pesa sulla loro testa, spinge i dirigenti nazisti a dare la massima pubblicità all'eccidio di Katyn, quasi a compensare - nell'opinione pubblica interna e straniera - gli echi delle distruzioni tedesche in Polonia e Russia, l'uccisione indiscriminata dei commissari politici sovietici, le razzie per la manovalanza schiava, la deportazione all'Est degli ebrei, degli zingari, dei meticci, i campì di concentramento e di sterminio.

 

Alla metà del mese i nazisti convocano una commissione di inchiesta presieduta dal tenente generale delle SS Leonard Conti (un professore quarantaduenne, originario di Lugano ma cittadino tedesco, capo dell'ordine dei medici, che si ucciderà nell'ottobre 1945 in un campo di internamento americano perché coinvolto nell'« operazione eutanasia »). Della commissione fanno parte scienziati e medici che rappresentano l'Italia, il Belgio, la Danimarca, la Bulgaria, la Jugoslavia, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, l'Olanda, la Romania, la Svizzera, la Finlandia. La commissione, tra cui un giornalista polacco, parte per l'Unione Sovietica sul finire dell'aprile a bordo di vecchi aerei da trasporto tedeschi, gli « Ju-88 ».

 

Il luogo del massacro è lungo la strada Smolensk-Vitebsk. Piove su tutta la regione; malgrado la primavera il termometro segna 5° sopra zero. A quindici chilometri da Smolensk, la strada ha una biforcazione ed un largo sentiero si apre a destra e raggiunge una placida ansa del fiume Dniepr. Su questo tratto, che ha una superficie di quattro chilometri quadrati, si stende la fitta foresta di Katyn: accanto al fiume sorge una dacia. Al centro del bosco c'è una altura chiamata Kosogory o « Collina delle Capre » : lì, sotto i rossi abeti, sono state scoperte otto fosse comuni lunghe tutte sui 25-26 metri, larghe sedici, che contengono dodici strati di cadaveri. Sette sono tutte assieme, l'una accanto all'altra; l'ottava è isolata, verso il fiume.

 

« I tedeschi sorvegliano l'andamento generale dei lavori » narra il giornalista polacco Mackiewicz ma il lavoro vero e proprio è diretto dai membri della Croce Rossa polacca, con a capo il dottor Wodzinski di Cracovia, il quale ha a Sua disposizione degli operai volontari dei villaggi vicini ed un gruppo di prigionieri di guerra russi. Le salme vengono estratte dalle fosse ed adagiate in fila, l'una a fianco dell'altra. Poi sono esaminate e perquisite minuziosamente. Le divise sono ancora in ottimo stato e si può distinguere la stoffa di cui sono fatte ad eccezione del colore, che appare sbiadito. Tutti gli oggetti di cuoio, compresi gli stivali, a prima vista dànno l'impressione che siano di gomma. Siccome ogni cosa è inzuppata ed incollata con un li-

 

quido cadaverico ributtante ed appiccicoso, è impossibile sbottonare le tasche e togliere gli stivali. Per poter trovare gli oggetti personali è perciò necessario tagliarli con i coltelli. »

 

Tutte le vittime sono state uccise con un colpo dì rivoltella alla nuca; in qualche caso il proiettile ha attraversato il colletto della camicia. Le salme di due generali di brigata polacchi, Smorawski e Bohatyrewicz, presentano anche ferite di baionetta a lama quadrangolare, in dotazione all'esercito russo. Le mani di tutti i giustiziati sono state legate con corde di fabbricazione sovietica, fissate da un nodo speciale usato soltanto in Russia.

 

« Ogni cosa trovata » prosegue Mackiewicz « è esaminata e tutto ciò che può servire da testimonianza (documenti, libretti militari, taccuini, lettere, fotografie, medagliette religiose, libri di preghiere, sigarette, anelli, accendi- sigari, eccetera è raccolto in buste appositamente preparate e segnate con un numero progressivo. Lo stesso numero è applicato alla salma... »

 

Su quasi tutti i cadaveri si rinvengono dei ritagli di giornali, perfettamente conservati (il «Glos Radzichì », « La voce dell'Unione »; il « Rabocij Puth », « Via operaia ») stampati dai russi in lingua polacca ma nessuno di questi fogli ha una data seguente il marzo o l'aprile 1940. Nelle tasche delle divise vengono trovate, complessivamente, circa 3.300 lettere o cartoline, quasi tutte ricevute dalla Polonia: non una sola ha il timbro postale o la data posteriore all'aprile 1940. Si trovano anche diari o quadernetti di appunti: terminano tutti nell'aprile 1940. Il diario del maggiore polacco Adamo Solski dice nell'ultima annotazione: « 9 aprile, ore 5 del mattino. Veniamo scaricati dal treno e fatti salire su camion. Tutto attorno sentinelle. Arriviamo in una foresta. Ci fanno consegnare le fedi nuziali. La giornata comincia male ».

 

La commissione di inchiesta rileva inoltre che, quando le fosse sono state aperte, gli abeti rossi piantati sopra di esse avevano cinque anni di età: dagli esami microscopici è risultato che il trapianto degli alberi è avvenuto all'età di due anni e che perciò i tre anni trascorsi dal trapianto all'apertura delle fosse corrispondono esattamente allo spazio di tempo che va dall'aprile 1940 all'aprile 1943. Parecchi abitanti della zona, infine, hanno testimoniato su come e dove avvenivano i massacri.

 

L'operaio Ivan Krivozhertzov, abitante a Nove Baticki, nella casa numero 119 vicinissima alla stazione di Gniezdovo, dice: « A Kosogory la GPU, fin dagli anni immediatamente seguenti la rivoluzione, uccideva i detenuti politici. Il luogo fu poi recintato. Nella primavera del 1940 mi mandarono a lavorare nella stazione di Gniezdovo. Ai primi dimarzo, quotidianamente, vidi arrivare treni di prigionieri che, in camion chiusi, venivano portati verso la foresta di Katyn: quei camion li chiamavamo "ciòrnyj woròn", i "corvi neri". Erano preceduti e seguiti da auto civili. Gli arrivi durarono per tutto marzo e aprile; i prigionieri erano polacchi e provenivano da Kozielsk ». I lavori della commissione di inchiesta si concludono nei primi giorni del maggio 1943 con la dichiarazione unanime, firmata da tutti i medici, secondo la quale « è provata la responsabilità sovietica nel massacro ».

 

Se sulla colpevolezza russa non sembra esserci dubbio, difficile è stabilire il movente. Fra le ipotesi che si avanzano, la più probabile pare quella di un tragico equivoco. Stalin, deciso ad eliminare qualsiasi possibile opposizione in Polonia dove intendeva instaurare un regime comunista, avrebbe ordinato di smantellare i campi e deportare i prigionieri in Asia. In quest'occasione egli, parlando con il capo della polizia, avrebbe usato l'espressione « liquidate i campi che sarebbe stata interpretata nel senso di sterminio fisico dei prigionieri.

 

Di Katyn, da quel momento, nessuno parla più. La guerra dura ancora due anni ma l'eccidio non è stato dimenticato dai parenti delle vittime. Nell'autunno 1945 il governo polacco, su decisione del ministro della Giustizia Swiatkovsky, apre una indagine sull'eccidio di Katyn affidandola al Procuratore generale. di Cracovia, l'avvocato Roman Martini, simpatizzante comunista. Il magistrato scopre l'elenco degli ufficiali russi che dirigevano i campi di Kolzielsk e Starobielsk e di quelli impiegati a Ka= tyn e accerta un particolare sconcertante. Nelle fosse comuni erano state rinvenute dai tedeschi grandi quantità di bossoli di proiettili: le pallottole erano tutte di produzione della ditta « Gustav Genschow e C. », uno stabilimento di Durlach presso Karlsruhe (Baden). Su ciascun bossolo era inciso il marchio di fabbrica: GECO 7,65 D. ». "Possibile", si chiede l'avvocato Martini "che se i nazisti volevano attribuire ai sovietici il massacro abbiano usato proiettili tedeschi, anziché impiegare munizioni russe di cui avevano abbondante provvista dopo la disfatta dell'Armata Rossa?".

 

Una indagine stabilisce che, dopo il trattato di Rapallo del 1924, le officine « Genschow » erano. state autorizzate ad esportare rilevanti quantità di munizioni nell'Unione Sovietica. Contemporaneamente forniture di identiche munizioni erano state acquistate dagli Stati del Baltico e la Polonia le aveva adottate per il proprio esercito. L'inchiesta del Martini si conclude nel febbraio 1946: il magistrato rientra in Polonia ed invia un memoriale al ministro della Giustizia. Prudentemente egli ne deposita prima una copia in Svezia, affidandola ad un notaio; è chiusa in una busta sulla quale Martini ha scritto a penna « Da aprirsi soltanto in caso di morte o di scomparsa ».

 

La notte dal 12 al 13 marzo 1946 due giovani fidanzati, entrambi appartenenti al « Comitato per l'amicizia russo-polacca », suonano alla porta dell'alloggio dell'avvocato Martini, a Cracovia. Sono Stanislav Wroblevsky di 19 anni e la diciassettenne Jolanda Maklakiewicz, figlia del stata interpretata nel senso di sterminio fisico dei prigionieri.

 

direttore dell'orchestra filarmonica di Varsavia. Il magistrato va ad aprire : appena l'uscio si spalanca i due giovani sparano a Martini una raffica di mitra, freddandolo, poi si allontanano. L'indomani vengono arrestati e chiusi nel carcere di Cracovia, il « San Michele », uno dei più rigidamente sorvegliati: tre giorni dopo i fidanzati « fuggono » dalla prigione di notte. Di loro non si troverà più traccia, ufficialmente.

 

Nessuna eco giunge all'estero di ciò che ha scoperto l'avvocato Martini e di quello che gli è toccato. Al processo di Norimberga l'accusa sovietica sostiene che la responsabilità del massacro ricade soltanto sui tedeschi. I due rappresentanti russi, il colonnello Pokrovskv e il giudice Smirnov, affermano che una commissione speciale istituita dall'URSS, e della quale facevano parte fra gli altri il metropolita Nicola, lo scrittore Alexis Tolstoi e l'accademico Burdenko, ha presenziato nel settembre 1943 - subito dopo la liberazione di Smolensk - alla riesumazione delle salme a Katyn ed ha ascoltato le testimonianze degli abitanti della zona.

 

La commissione è giunta a queste conclusioni: 1) i prigionieri di guerra polacchi, imprigionati dai russi in tre campi ad occidente di Smolensk ed impiegati nella costruzione di ferrovie, vi rimasero detenuti anche dopo l'occupazione tedesca di Smolensk del luglio 1941; 2) nell'autunno 1941 i nazisti sterminarono in :-Massa i prigionieri; 3) le fucilazioni furono compiute da reparti tedeschi appositamente selezionati per quel compito e celati sotto il nome convenzionale di « Comando 537, Battaglione genio », agli ordini del tenente Arnes con i sottotenenti Rochts ed Hotte; 4 nel 1943 i nazisti cercarono di attribuire il misfatto ai sovietici e si procurarono, con torture e minacce, alcuni testimoni falsi fra la popolazione russa di Smolensk.

 

Il colonnello Pokrovsky chiana a deporre il professor Boris Bazilewsky che, al momento dell'invasione tedesca, era stato nominato , sindaco di Smolensk. « Nei dintorni della città » egli dice « c'erano molti prigionieri polacchi. Nel settembre 1941 seppi che i nazisti avevano deciso di sterminarli. Un interprete mi confidò che il comandante militare tedesco, von Schwetz, gli aveva comunicato: "Saranno liquidati. La loro sorte è già decisa" ».

 

Un altro testimone per l'accusa russa è uno dei medici che presero parte all'inchiesta tedesca, il professor Marko Antonov Markov, dell'università di Sofia. Egli afferma che l'indagine a Katyn fu brevissima, dal 28 aprile al 1° maggio; che tutte le fosse erano già state aperte; che l'autopsia venne compiuta soltanto su otto cadaveri e che ai membri della commissione non fu concesso di esaminare i documenti ritrovati sulle salme.

 

Smirnov: Gli esami medico-legali confermarono il fatto che i cadaveri erano stati sepolti da tre anni?

 

Markov: Non posso rispondere che sulla base degli accertamenti compiuti sull'unica salma che potei esaminare. Il corpo era benlontano dalla decomposizione: secondo me il seppellimento risaliva a un anno, un anno e mezzo. Inoltre non potemmo interrogare i testimoni e la popolazione locale: i tedeschi ci mostrarono soltanto le deposizioni scritte in russo.

 

Sinirnov : Come mai, allora, lei firmò il verbale conclusivo? Markov: Il verbale era falso. Il documento non ci fu sottoposto né a Smolensk né a Berlino ma nel viaggio di ritorno, durante una sosta su un aeroporto isolato dove eravamo circondati soltanto da soldati tedeschi. In quelle circostanze, per me minacciose, non potevo non firmarlo... Tuttavia, appena giunto in Bulgaria, feci presente i miei dubbi e protestai col mio governo. La cosa non ebbe seguito.

 

Il tribunale internazionale di Norimberga, nella sentenza del 1' ottobre 1946, assolve i ventidue capi nazisti dall'accusa del massacro di Katyn. Tre anni dopo un giornalista americano, Julius Epstein, intervista i membri della commissione tedesca del 1943 e da uno di essi, lo svizzero Naville, apprende l'esistenza, a Stoccolma, del « dossier » dell'avvocato Martini. Il documento, ritrovato presso il notaio, è consegnato alla stampa svedese e pubblicato. Su questa base, nel 1952, una commissione del congresso degli Stati Uniti, presieduta dal senatore Ray J. Madden, dell'Indiana, indaga per l'ultima volta sull'eccidio. Le sedute si svolgono in Germania, a Francoforte. I governi di Mosca e Varsavia, invitati a partecipare ai lavori, non si presentano. Vengono interrogati alcuni fuoriusciti polacchi, i medici, gli osservatori e alcuni prigionieri alleati che fecero parte della commissione del 1943.

 

Il colonnello americano. Van Vliet dichiara: « Odiavo i nazisti. Non volevo credere alle loro affermazioni. Soltanto con grande riluttanza dovetti riconoscere che erano stati i russi a commettere l'eccidio ». Il tenente colonnello Stuart, americano, dice: « Lasciai Katyn convinto che i sovietici avessero ucciso quegli uomini. Il massacro non poteva essere una falsificazione od una messinscena dei nazisti ». Tutti i medici della Commissione (unica eccezione il professor Markov) sostengono di non aver mutato l'opinione espressa nove anni prima ed escludono di aver ricevuto velate pressioni da parte dei tedeschi per firmare il verbale conclusivo.

 

Lo svizzero Naville commenta: « Forse l'atteggiamento del professor Markov fu dettato dalla minaccia: bisogna però stabilire se questa minaccia fu esercitata dalle baionette tedesche nel 1943 o da quelle sovietiche nel 1946 ».

 

Per ultima, l'inchiesta del Congresso conclude che la responsabilità di Katyn deve ricadere sui russi. « Non può esserci' alcun dubbio » scrive l'ex ambasciatore Arthur Bliss Lane « sulla responsabilità del Cremlino per quello che è ormai giudicato uno dei più rivoltanti delitti del nostro tempo... i cadaveri scoperti nelle fosse di Katyn peseranno per sempre sulla coscienza dell'Unione Sovietica. »

 

Giuseppe Mayda

 

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Ospite galland

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UN MEDICO della commissione d’inchiesta tedesca assiste al macabro rinvenimento dei cadaveri alla fine di aprile del 1943.

 

 

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UFFICIALI polacchi al confine con l'Unione Sovietica. Pochi mesi dopo, nel settembre 1939, essi finirono internati con migliaia di altri ufficiali nei campi di concentramento russi. A Katyn furono sterminati 12 generali, 130 colonnelli e 9.227 ufficiali subalterni.

 

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DUE IMMAGINI agghiaccianti della strage. Qui sopra: salme in attesa dell'identificazione.. A fianco: una delle fosse. Le vittime presentavano ferite di pistola alla nuca.

 

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UFFICIALI tedeschi osservano una delle otto fosse. Le vittime furono trasportate in vagoni piombati e poi con autocarri nella foresta.

 

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GIORNALISTI polacchi annotano le generalità di alcuni ufficiali, secondo i documenti rinvenuti sulle salme. La foto é dell'aprile 1943, quando i nazisti, invitando a Katyn osservatori di vari Paesi, organizzarono sull'episodio una colossale propaganda

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Ospite galland

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UN GRUPPO di ufficiali anglo-americani, prigionieri dei tedeschi, assiste all'attribuzione dei cimeli.

 

 

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BANCONOTE, spalline, catenine, croci e medaglie che servirono per il riconoscimento delle salme.

 

 

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PALLOTTOLE e bossoli ritrovati, di fabbricazione tedesca a venduti all'URSS.

 

 

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ONOREFICENZA militare appartenuta al generale Smorawinski.

 

 

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UN SACERDOTE polacco benedice le salme. Nella terra di Katyn scomparve il fiore dell'armata polacca.

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Ospite intruder

Davvero grazie, Galland, per la passione, la pazienza e la cortesia di postarci questo materiale. Speriamo che all'FSB se ne stiano buoni e ci lascino riflettere sui crimini dello stalinismo senza avvelenarci con le accuse di essere russofobi. Altra pagina che bisognerebbe leggere è quella dei crimini sovietici in Polonia, a cominciare dal mancato appoggio all'insurrezione dell'Armja Kraiowa allo sterminio sistematico di tutti gli oppositori politici attuata appena "liberato" il Paese dai nazisti. E non parliamo dell'Ucraina. Certe pagine della Seconda Guerra Mondiale sono ancora tutte da scrivere.

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  • 2 settimane dopo...
Ospite galland

Riporto integralmente l'intervista al grande regista polacco sul suo ultimo film, tratta dal sito della rivista "Tempi" di cui fornisco il link

 

http://www.tempi.it/

 

 

le foto inserite nell'articolo sono quelle redazionali, tratte da fotogrammi del film.

ringrazio l'amico Lender per la segnalazione.

 

 

 

Il caso Wajda. Il maestro censurato

 

«Sono in molti ad avere interesse a che il mio film non sia proiettato, ad acquistarne i diritti per non farlo vedere». Le scomode verità del grande regista di "Katyn"

 

di Roberto Persico e Annalia Guglielmi

 

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È appena tornato da Berlino, dove il suo Tatarak ha vinto il premio speciale della giuria per un'opera che «apre all'arte cinematografica nuove prospettive». «Pensi – dice sorridendo all'inviato di Tempi nei suoi studi a Varsavia – che il riconoscimento lo hanno dato ex-aequo a me e a un regista argentino poco più che trentenne al suo primo film». Lui, Andrzej Wajda, di anni ne ha ottantatré, e di regie alle spalle ne conta oltre tre dozzine. Ma ha ancora l'entusiasmo di un giovanotto e il gusto di usare la macchina da presa per continuare a raccontare le gioie e i dolori della vita, oggi come trent'anni fa, quando opere come L'uomo di marmo, L'uomo di ferro e Danton filtravano attraverso la cappa di piombo del socialismo reale e facevano sentire anche in Occidente la voce di un uomo libero, che non ha mai rinunciato a guardare la realtà coi suoi occhi rifiutando le lenti deformanti dell'ideologia. L'arrivo nelle sale italiane, dopo lunghe peripezie, di Katyn, il film sull'eccidio degli ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale e a lungo attribuito ai nazisti tedeschi, è l'occasione per incontrare Wajda e parlare con lui di cinema. E di molto altro.

 

Andrzej Wajda, cominciamo dalla pellicola che sta riproponendo il suo nome in Italia. Da dove nasce l'idea di fare un film sul massacro di Katyn?

Un film su Katyn fino al 1989 sarebbe stato impossibile, perché secondo la versione ufficiale imposta dai sovietici il massacro di ventiduemila ufficiali dell'esercito polacco compiuto nel 1940 nei boschi di Katyn era stato opera dei tedeschi. In realtà in Polonia tutti sapevano che i colpevoli erano i russi, e nessuno era disposto a fare un film intriso di menzogna; così Katyn nella nostra storia rimaneva una ferita aperta. Perché allora non lo abbiamo fatto subito dopo il 1989? Perché sulla vicenda c'era stato come un blocco: mentre tutti gli altri episodi drammatici della Seconda guerra mondiale avevano trovato qualcuno che ne facesse materia di qualche racconto, su Katyn non c'era nulla. Così, realizzare una sceneggiatura è stato un lavoro lungo e difficile. Io ho continuato a leggere tutta la documentazione disponibile, soprattuto i diari delle donne che, come mia madre, avevano perso il marito nella strage. Oggi tutto quel che si vede nel film è rigorosamente basato sui documenti che io ho letto nel corso di anni di ricerche.

 

 

Che cosa ha voluto dire allora per lei girare un film come questo?

Ho sempre avuto in mente che un film su Katyn avrei potuto e dovuto farlo io: farlo ha voluto dire saldare un debito con mio padre e mia madre, far conoscere a tutti l'eccidio compiuto sugli uomini e la menzogna perpetrata nei confronti delle loro donne.

 

Ci risulta, però, che l'opera abbia avuto qualche "problema di circolazione". È vero?

Guardi, in Polonia ha avuto oltre tre milioni di spettatori, posso dire di essere soddisfatto. Del resto era un'opera che la gente aspettava da sessant'anni. Il problema è che i diritti per la distribuzione all'estero sono stati assegnati alla televisione di Stato polacca, che non ha fatto nulla perché il film avesse una circolazione dignitosa: lo ritengono un film scomodo e non hanno voluto spingerlo. Pensi che nel rapporto della Televisione Polacca sulla società New Media Di-stribution, l'azienda che deve distribuire il film contemporaneamente sia in Russia sia negli Stati Uniti, ho visto una nota a margine scritta a mano che informa che «l'iniziativa potrà fallire per ragioni politiche». Tanti infatti hanno interesse a che il film non venga proiettato, e in molti paesi ci sono distributori che lo hanno acquistato per non farlo vedere. Viene mostrato solo in circuiti ristretti, nei cinema d'essai o in rassegne per un pubblico selezionato. Così si fa in modo che non incida, che non abbia un vero rilievo nella mentalità comune. Il caso più clamoroso, comunque, è quello della Russia.

 

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Per quali ragioni?

Perché in Russia, ancora oggi, Stalin è amato. Compare ancora in cima alle classifiche dei personaggi più popolari. Si sa che ha ucciso decine di milioni di persone, eppure molti russi ritengono ancora che lo abbia fatto per il bene del suo paese. Il massacro degli ufficiali polacchi a Katyn, invece, è un crimine senza giustificazioni, che ha infranto tutte le convenzioni di guerra, e quindi qualcuno non vuole che venga ricordato. Pensi che gli organizzatori della Settimana del cinema polacco, in Ucraina, a Kiev e Charków (mi stava a cuore soprattutto questa proiezione, perché proprio in quella città fu ucciso mio padre nella primavera del 1940 e là è sepolto), si sono visti recapitare una una lettera della Televisione Polacca di questo tenore: «Telewizja Polska – l'unico e solo titolare dei diritti di distribuzione del film – non è a conoscenza di NESSUNA proiezione di Katyn in programma per la Settimana del cinema polacco in Ucraina. Per favore, abbiate la cortesia di ritirare il titolo dalle vostre programmazioni, e di comunicarci nome e contatti della persona o dell'organizzazione che vi ha fornito i diritti per la proiezione». Un tono piuttosto minaccioso, non le pare?

 

Chi si oppone alla circolazione di Katyn? Gli stessi che hanno pilotato il processo che ha portato alla scandalosa assoluzione degli assassini di Anna Politkowskaya?

Non ho ancora fatto in tempo a valutare fino in fondo la notizia a cui ha accennato. Però certo mi fa impressione che in un paese che pretende di essere democratico ritornino gli assassinii politici, come ai tempi della dittatura. È un fatto che non può non preoccupare vivamente.

 

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In Italia qualcuno dice che Katyn sarà un flop perché non interessa, è una storia datata. Perché riproporla adesso che il comunismo è finito da vent'anni?

In Polonia il perché è chiarissimo: perché non potranno esserci rapporti normali fra la Polonia e l'ex Unione Sovietica fino a che non sarà detta la verità su questo crimine. I tedeschi hanno compiuto crimini peggiori, ma i loro governanti lo hanno riconosciuto, e ora i nostri rapporti con la Germania non sono più avvelenati dal rancore. Non ci può essere amicizia fra due popoli se non si riconoscono i torti commessi.

 

Le sue opere sono state armi importanti per la lotta dei polacchi contro il regime. Come giudica il mondo che da quella lotta è nato, la Polonia e l'Europa di oggi?

Non solo i miei film, ma tutto il cinema polacco ha sempre fatto di tutto per costruire un ponte con l'Occidente. La Polonia è parte dell'Europa, i polacchi si sono sempre sentiti occidentali. Dov'è il confine dell'Europa occidentale? Io dico che l'Europa finisce là dove arrivano le chiese gotiche. Dove c'è una chiesa gotica vuol dire che è arrivata non solo la religione cattolica, ma la civiltà mediterranea. Noi polacchi, pur con tutti gli ostacoli, le difficoltà che abbiamo incontrato nella storia, apparteniamo pienamente a questa cultura, a questa civiltà.

 

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Ma la Polonia di oggi è quella che immagginavate vent'anni fà?

Guardi, io non sono preoccupato perché la Polonia non ha sviluppato quella bella forma che noi speravamo. La democrazia è un sistema difficile, si assimila solo lentamente. La cosa davvero importante è che la società adesso può parlare di se stessa, che le persone possono mettere a tema quel che sta loro a cuore: è questo, in fondo, che ci interessava. La gente prima ha dato fiducia a Solidarnosc, poi ha ridato una possibilità alla sinistra, poi ha preso altre strade. L'importante è che le persone hanno cominciato a scegliere. Poi fa parte del gioco della democrazia che alcune scelte siano felici, altre meno. Personalmente, ho apprezzato molto le decisioni del primo governo, quello di Mazowiecki, la scelta di puntare subito su una forte integrazione con l'Europa: ha rivitalizzato la nostra economia, ci ha dato una moneta forte. L'integrazione con l'Europa ormai è un fatto irreversibile, i tentativi nazionalistici sono puramente folkloristici.

Ma in Europa ci si imbatte anche in una nuova ideologia, più sottile ma non meno penetrante, un'ideologia nichilista che afferma che nulla ha valore, una "dittatura del desiderio" secondo cui l'unico valore è soddisfare i desideri immediati di ciascuno. Cosa pensa a questo proposito?

Non ho paura di questo. In Polonia la situazione è diversa, la Chiesa ha ancora un ruolo importante. A me non spaventa che la gente, dopo quarant'anni in cui ogni iniziativa era inibita, riprenda a muoversi secondo i propri desideri, che cerchi la propria soddisfazione in tutti gli ambiti della vita. La gente ha ripreso in mano la responsabilità per il proprio destino: non mi sembra che sia nichilismo. L'importante è che la Chiesa continui a essere quella che è. La Chiesa nella storia polacca ha avuto un ruolo fondamentale. I preti erano contro il nazismo, i preti erano contro il comunismo, si sapeva bene la Chiesa da che parte stava. In Polonia oggi ci sono settori della Chiesa che si intromettono troppo nella politica spicciola, che pretendono di stabilire chi debba essere quello o quell'altro ministro (il riferimento è a un gruppo di sacerdoti che da qualche tempo svolge in Polonia una chiassosa campagna politica in chiave fortemente nazionalista, da cui peraltro i vescovi hanno nettamente preso le distanze, ndr). Non è il suo compito. Il compito della Chiesa è quello di sempre, difendere la persona dal potere dell'ideologia. Vorrei che non si scostasse da questo, che è il suo ministero di sempre.

 

Un compito che è ben rappresentato dall'opera di Giovanni Paolo II. Lei lo ha conosciuto bene. Che cosa ce ne può raccontare?

Forse è meglio dire, come fece una volta Zanussi (Krzysztof Zanussi, altro grande regista polacco, ndr), a cui era stata rivolta la stessa domanda: «È lui che conosce me». Ma visto che insiste, le racconterò un episodio che per me è stato particolarmente commovente. Una volta in Vaticano era stata organizzata una proiezione alla sua presenza del mio film Pan Tadeusz, che porta sullo schermo il più classico dei testi della letteratura polacca: anche il giovane Wojtyla lo aveva interpretato quando recitava nel "Teatro rapsodico". Ebbene, a un certo punto il Papa ha chiuso gli occhi, e si vedeva che stava assaporando quelle parole, che tante volte anche lui aveva recitato. Poi li ha riaperti, ha seguito il film fino al termine e alla fine mi ha detto: «L'autore ne sarebbe soddisfatto». È stata la più importante recensione che ho ricevuto.

 

È questo che la spinge a continuare, a realizzare a ottant'anni suonati opere che vengono premiate perché «aprono all'arte cinematografica nuove prospettive»?

Chissà (Wajda sorride, ndr). Certo che non mi aspettavo proprio questo riconoscimento. Oggi va di moda realizzare film mescolando invenzione e realtà, così ci ho provato anch'io. Avevo cominciato a girare un film su questa novella di uno scrittore polacco, Jaroslaw Iwaszkiewicz, che si intitola Tatarak (è il nome di una canna selvatica che cresce lungo i fiumi, dal profumo inebriante). La storia ha come protagonista una donna il cui compagno è gravemente malato, però a un certo punto il marito dell'attrice che impersonava la protagonista, Krzystyna Janda, si è ammalato per davvero, e lei ha dovuto prendersene cura. Pensavo che non se ne sarebbe fatto più niente, invece, dopo la morte del marito Krzystyna è venuta da me e mi ha detto che era disposta a proseguire il lavoro, inserendo però anche il racconto di che cosa aveva significato per lei seguire la malattia del marito. Così è venuto fuori questo film, in cui realtà e finzione si incontrano per mettere a tema il nostro atteggiamento nei confronti della malattia e della morte, un dramma che riguarda tutti.

 

Insomma, questo significa che è ancora possibile fare del cinema che non sia di evasione, ma che aiuti a guardare più profondamente le cose.

Assolutamente sì. La differenza è che anni fa i temi prevalenti erano la politica e la società, oggi è l'uomo, i suoi drammi, i suoi desideri. E la morte, che ci aspetta dietro l'angolo, che non possiamo evitare.

Modificato da galland
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Ospite intruder

Che dirti, amico? Ancora grazie per averci ricordato una delle pagine più infami della Seconda Guerra Mondiale. Il film di Wajda sono indeciso se andarlo a vedere, qualcuno mi ha detto che è piuttosto pesante, a me che piacciono i sani film d'azione americani...

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Ricordo un numero di Storia Illustrata ( o Historia ) di mio padre , primi anni '60 su Katyn .

Pur con qualche dubbio , indicava i colpevoli in quelli che veramente erano.

( I dubbi me li tolse mio padre )

Forse , nel suo archivio , Galland puo' ritrovarlo.

PS.

Stimo tanto piu' Galland in quanto penso che il suo cuore batta a "sinistra" , per i deboli , ma , su tutto , prevale in lui la "compassione" (cum patior) e il desiderio di verita' e giustizia .

Aborro tanto più il Comunismo in quanto ha fuso la parte dei deboli con l' infamia e la menzogna .

Chiedo scusa per l' OT...

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Ospite galland
Ricordo un numero di Storia Illustrata ( o Historia ) di mio padre , primi anni '60 su Katyn .

Pur con qualche dubbio , indicava i colpevoli in quelli che veramente erano.

( I dubbi me li tolse mio padre )

Forse , nel suo archivio , Galland puo' ritrovarlo.

PS.

Stimo tanto piu' Galland in quanto penso che il suo cuore batta a "sinistra" , per i deboli , ma , su tutto , prevale in lui la "compassione" (cum patior) e il desiderio di verita' e giustizia .

Aborro tanto più il Comunismo in quanto ha fuso la parte dei deboli con l' infamia e la menzogna .

Chiedo scusa per l' OT...

 

L'articolo cui ti riferisci dovrebbe essere quello di Mayda che ho postato integralmente (comprese le foto) ai messaggi 17, 18, 19 del presente topic.

 

Circa la mia appartenenza il mio essere di sinistra corrisponde a quella sinistra incarnata da uomini come i fratelli Rosselli, o magari lo stesso Di Vittorio che Togliatti ebbe il cinismo di schiacciare quando volle opporsi all'invasione dell'Ungheria.

Che le classi più povere delle società si potessero aspettare giustizia sociale dal comunismo, campa cavallo ...

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