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referendum anti atomiche USA in italia


Leviathan

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«Una firma per chiedere lo smantellamento degli arsenali nucleari in Italia» questo l'obiettivo della settimana di mobilitazione con cui i partiti della Sinistra, l'Arcobaleno e tutto il comitato promotore che si compone di oltre 50 reti, associazioni, riviste e coordinamenti di enti locali raccoglieranno consensi per sostenere la legge di iniziativa popolare lanciata dalle associazioni pacifiste per dichiarare il territorio della Repubblica italiana "zona libera da armi nucleari", in cui cioè non ne è ammesso né il transito né il deposito, anche temporaneo.

 

Nel nostro Paese, infatti, esiste ancora la bomba atomica, con questa provocazione, gli organizzatori dell'iniziativa ricordano come, pur avendo firmato il Trattato di Non Proliferazione (TNP) nucleare l'Italia non è ancora libera da testate atomiche. Il documento, sottoscritto nel 1975, impegnava il nostro Paese a non produrre nè ad accettare mai sul proprio territorio armi nucleari. Il TNP, è il trattato internazionale per il disarmo con il maggior numero di Stati appartenenti: ne fanno parte in tutti i membri delle Nazioni Unite tranne India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Si fonda su un accordo duplice ed inscindibile: le cinque potenze nucleari (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) si impegnano a lavorare in buona fede per il disarmo nucleare totale, mentre tutti gli altri Stati si impegnano a non dotarsene mai.

 

Ma la realtà è più complessa visto che nelle basi di Aviano e Ghedi ce ne sono 90 di testate atomiche: 50 ad Aviano (Pn), nella base delle forze armate Usa, e 40 a Ghedi (Bs), nell'aeroporto dell'aeronautica militare. I primi cittadini dei due Comuni, Stefano Del Cont e Anna Giulia Guarneri, insieme ai sindaci di altre città europee che ospitano armi nucleari, in una lettera pubblica hanno recentemente ribadito la richiesta di rimuovere dai rispettivi territori le atomiche. Ma il nostro territorio ospita anche navi e sottomarini a propulsione nucleare che attraccano negli 11 porti italiani abilitati a tale traffico e cacciabombardieri che atterrano e ripartono dagli aeroporti, sorvolando il territorio nazionale.

 

La legge vorrebbe intervenire su tutti questi fronti, ma dovrà essere sottoscritta entro la fine del prossimo marzo, da almeno 50mila persone, affinché possa iniziare il suo iter parlamentare. Secondo il diritto internazionale, infatti, l'Italia deve rifiutare tutto questo e invece, per la propria appartenenza alla Nato, ne accetta la presenza sul proprio territorio.

 

«Canada, Grecia, Danimarca, Austria ed Islanda, spiegano i promotori, hanno chiesto ed ottenuto di non ospitare ordigni atomici della Nato, pur continuandone a far parte. Anche l'Italia può ottenere la rimozione delle armi nucleari dal proprio territorio, unendosi ai 160 Paesi dove è già vietato avere od ospitare armi nucleari».

 

Un'iniziativa necessaria messa in campo non caso nella settimana dal 19 al 26 gennaio periodo in cui si promuove anche il world social forum 2008 proseguono gli organizzatori che ricordano: « In tutto il mondo ci sono circa 30.000 testate nucleari, capaci di distruggere la terra ben più di una volta sola. Riteniamo che questo sia il tempo di promuovere la pace piuttosto che le guerre, di promuovere il disarmo piuttosto che la corsa al riarmo, che sia il tempo di ribadire che mai più esploderà un'atomica».

 

In Belgio, che come l'Italia ospita armi nucleari, già da molto tempo i due rami del Parlamento chiedono al governo di eliminare le bombe statunitensi dal loro territorio. La Grecia ha già fatto rimuovere la ventina di testate atomiche (nel 2000) che ospitava.

 

Intanto la prima zona libera da armi nucleari (NWFZ) compie 40 anni e ad oggi include più della metà del pianeta: tutti gli Stati delle Americhe tranne USA e Canada, il Sud Pacifico, l'Africa, il Sudest asiatico. La più recente NWFZ è quella dell'Asia centrale. Anche lo spazio, i fondali marini e l'Antartide sono zone libere da armi nucleari in base a specifici trattati internazionali.

 

I Promotori della Campagna si pongono l'obiettivo non solo di ottenere lo smantellamento delle bombe, ma di innescare un circuito virtuoso:« ridare slancio a movimenti e sindaci degli altri Paesi europei dove si trovano armi nucleari statunitensi illegittime. Inoltre, eliminando una violazione dei trattati internazionali, un'Italia dichiarata "libera da armi nucleari" potrà diventare quella novità, benché piccola, che permetta all'intero processo diplomatico teso al disarmo e alla messa al bando delle atomiche di ricominciare».

 

Per aderire, sostenere e saperne di più il sito della campagna è:

 

 

http://www.unfuturosenzatomiche.org/

 

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=72217

 

sento che passa

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HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA......c'ho le lacrime.

 

Oddio, sì che grossa preoccupazione.....

 

 

Gia... ti capisco...

 

«Canada, Grecia, Danimarca, Austria ed Islanda, spiegano i promotori, hanno chiesto ed ottenuto di non ospitare ordigni atomici della Nato, pur continuandone a far parte. Anche l'Italia può ottenere la rimozione delle armi nucleari dal proprio territorio, unendosi ai 160 Paesi dove è già vietato avere od ospitare armi nucleari».

 

Che c'entra l'Austria, paese neutrale, con la NATO? :blink:

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GUARDATE che la politica estera quindi anche gli accordi internazionali non possono per costituzione essere oggetto di referendum ; il fatto è che a breve si vota e quindi già siamo in campagna elettorale ( lo siamo sempre stati a dire la verità)

 

quelle armi dovrebberro essere state ritirate già nei primi anni del '90 rimangono solo i reparti per deterenza io avrei in mente un altro motivo ma sono mie supposizioni :ph34r:

Modificato da cama81
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Per me questa è solo una trovata pubblicitaria: penso siate tutti d'accordo che i problemi dell'Italia sono ben altri, soprattutto con una guerra fredda che ormai dista quasi 20 anni.

 

Comunque non è assolutamente vero che l'Italia viola il Trattato di Non Proliferazione nucleare; ecco la definizione di wikipedia:

 

l Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) è un trattato internazionale sulle armi nucleari che si basa su tre principi: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare. Il trattato proibisce agli stati firmatari "non-nucleari" (ovvero che non possiedono armi nucleari) di procurarsi tali armamenti e agli stati "nucleari" di fornirgli tecnologie nucleari belliche.

 

Si nota chiaramente che non figura il deposito sul proprio territorio di armi di altri paesi.

 

Inoltre stesso ad Aviano e Ghedi si vocifera che ci siano molte meno testate, e soprattutto che molte di queste siano state disarmate e lasciate li senza nessun pericolo effettivo.

 

Ecco qui il testo completo del TNP.

 

Trattato di Non Proliferazione nucleare

 

parliamoci chiaro: questa carta fu firmata perché giravano nel mondo oltre 30.000 testate...non 90.

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ma questi non hanno proprio niente da fare che romperci le palle...

 

mode-cattivo-on

 

Il problema è che "questi" hanno perso la guerra.

Eh, sì: hanno perso la guerra fredda e ancora non si capacitano di come il "paradiso del proletariato", la vecchia urss, abbia dovuto soccombere -addirittura senza combattere- agli sporchi capitalisti yankee.

E allora? Allora 11settembre, base di aviano, produzione degli F-35 a Cameri, atomiche in Italia, G8... "tutto va ben" purchè sia antiamericano...

 

(opinione personale, eh...)

 

mode-cattivo-off

 

...in ogni caso, non credo che gli Stati Uniti si turberanno molto, anche dovessimo decidere di chiedergli di togliere le (eventuali, non sono mica così sicuro che ci siano... <_< ) atomiche restanti.

E così, senza le atomiche americane in deposito in Italia, la pace nel mondo sarà ripristinata... :rotfl:

 

Più complesso è invece il nodo della non ammissione di " né il transito né il deposito, anche temporaneo": dubito che, restando membri della NATO, ci possiamo arrogare il diritto di vietare il transito o il deposito temporaneo. Magari sbaglio.

Modificato da brain_use
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Un documento degno del governo (uscente?) più pacifista di sempre. Infatti si è ritirato dall'Iraq nelle tempistiche date dal governo precedente e dopo pochi mesi ha rischierato le truppe, i 3.000 uomini, in Libano con lo sbarco anfibio italiano più imponente dalla WW2 (se ne è approfittato per fare un'esercitazione che in patria non si può fare) e lasciando la flotta al largo per un mesetto.

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Se cercate il blog di Clausneghe leggerete che in Italia ci sono almeno 200 bombe atomiche, che rischiamo l'estinzione e altri deliri.... e voi vi stupite se qualche idiota propone un referendum per togliere le atomiche dal suolo del bel paese?? Tra l'altro la sig.Guarneri sindaco di Ghedi, ha chiesto + volte al comandante della base di poter visitare i bunker in cui sarebbero custodite le B61...sapete qual'è stata la risposta????.....Provate a immaginarvela.... la sindachessa sparla tanto di armi atomiche ma nessuno sa se ci sono ancora(tranne chi deve sapere e decidere),che pensasse prima a sistemare quel cesso di paese che governa.

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In ogni caso cama ha ragione, gli ordigni, o più propriamente i gusci, sono qui grazie agli accordi di nuclear sharing della NATO, quindi non sono passibili di referendum.

Poi agli americani gliene fregerebbe poco di tenere queste armi in Italia, infatti non ci stanno, ma faremmo proprio una bella figura in sede NATO, e comunque quelle bombe sono principalmente per nostra difesa, infatti buona parte è pensata per essere usata dai nostri tornado, loro hanno altri metodi per mandarli al destinatario.

 

P.S. Tra l'altro guardate quanto sono faziosi e ignoranti: quegli stati elencati non hanno ottenuto di non avere atomiche, semplicemente non sono stati inclusi negli accordi NATO sharing o perchè considerati poco importanti (islanda, danimarca), o perchè sarebbe politicamente sconveniente darglieli dopo la fine della guerra fredda (è il caso della grecia che le ha avute fino al 2001) o perchè non sono parte della NATO! (Austria)

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  • 1 mese dopo...

togliere le atomiche dall'italia....ma siamo pazzi??!!?? :blink: :blink:

non dobbiamo toglierle da aviano e ghedi x non fare una figuraccia mondiale

 

comincio a non sapere se essere nella NATO è un bene o un male. gli americani ci controllano xro'..non dobbiamo comprare ne awacs ne atomiche che tanto ce le forniscono loro

Modificato da Raikj
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GUARDATE che la politica estera quindi anche gli accordi internazionali non possono per costituzione essere oggetto di referendum ; il fatto è che a breve si vota e quindi già siamo in campagna elettorale ( lo siamo sempre stati a dire la verità)

 

Non si parla di referendum ma di legge di iniziativa popolare...

Mi dirai che i trattati internazionali (in questo caso il trattato di adesione Nato), recepiti attraverso l'art. 11 della Cost. (quello tanto invocato dai pacifinti), diventano norme di rango Costituzionale e quindi non possono essere modificati da una legge ordinaria come quella popolare...Quindi iniziativa destinata a non avere futuro.

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Non si parla di referendum ma di legge di iniziativa popolare...

Mi dirai che i trattati internazionali (in questo caso il trattato di adesione Nato), recepiti attraverso l'art. 11 della Cost. (quello tanto invocato dai pacifinti), diventano norme di rango Costituzionale e quindi non possono essere modificati da una legge ordinaria come quella popolare...Quindi iniziativa destinata a non avere futuro.

 

Paladin, è un pò inutile queste tua precisazioni a carattere giuridico, Cama81 ha dimostrato di sapersi distracare benissimo in materia di Diritto....

E comunque non è solo il Trattato NATO a imporci determinati obblighi, visto che sussistono altri accordi bilaterali con gli USA per la concessione d'uso di basi e territori nazionali.

 

Inoltre se hai studiato Diritto Internazionale saprai che non è così pacifico il rango dei trattati internazionali, poichè secondo taluni in presenza di accordi permeati di una determinata forza (su tutti il trattato istitutivo dell'UE) le nrome ivi contenute sarebbero sovraordinate alle norme costituzionali interne. E secondo altri invece non avrebbero mai il potere di derogare alle norme costituzionali.....

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Alcune precisazioni:

- Quando si tratta di scelte legate alla difesa del paese generalmente i politici sono meno stupidi di quello che sembrano; alla firma del trattato di non proliferazione ciascun paese aveva il diritto di fare aggiungere in calce clausole con valore vincolante; l'Italia ne aggiunse ben 12, alcune assolutamente inutili del tipo le atomiche sono brutte e cattive (quelle ad uso e consumo della gente) ma altre invece fondamentali per il rispetto degli accordi NATO; in particolare la numero sei recita:

" 6. Prende atto della piena compatibilità del Trattato con gli impegni di sicurezza

esistenti; "

 

- Quelle atomiche sono fondamentali per la Difesa del paese in quanto, in caso di guerra, sono destinate ad essere utilizzate dalle nostre FF.AA. in virtù degli accordi della "doppia chiave". Cioè le testate stesse sono sotto controllo americano (o meglio la sicurezza all'interno del bunker è fatta dagli americani, all'esterno dai nostri soldati) ma i vettori che la utilizzeranno e la scelta dei target, una volta avuto il placet di Washington, spettano alle nostre forze armate e al nostro governo. Non a caso durante la guerra fredda e fino a non troppi anni fa due Tornado erano sempre pronti a decollare in caso di offensiva del PdV e i nostri piloti si sono sempre addestrati all'utilizzo di tali sistemi.

 

- La Costituzione, prima ancora del buon senso, spiega chiaramente che un trattato internazionale non può essere soggetto a referendum ne abrogativo ne consultivo; è semplicemente fuori legge

 

Mode cattivo on:

INOLTRE QUESTI DEFICIENTI SI DOVREBBERO VERGOGNARE DELLE FIGURE DI MER**A CHE CONTINUANO A FAR FARE AL PAESE E DELLE BUGIE CHE SPARGONO

Mode cattivo off

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grazie, paperinik

paladin hai ragione avevo letto solo il titolo e mi era sfuggito che fosse una legge di iniziativa popolare è stata una mia superficilalità ;)

 

rick86 puoi precisare il contenuto delle clausole ? mi interessano.

dovrebbe esserci una circa una '' costituenda'' '' force de frappe '' europea e un' altra circa la possibilità di dotarci autonomamente della bomba , qualora venisse a mancare l' ombrello atomico usa ( mi sa che è per questo che reparti e '' gusci '' li lasciano li dove sono)

Modificato da cama81
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Ma il tutto risale ad un bellissimo topic di PdD in cui un forumista scrisse una storia lunga ed interessantissima sul nucleare militare in Italia, e sopratutto su quanto arrivammo vicini a sviluppare la bomba; se interessa anche se OT posso postarla (ho salvato gli interventi sul mio hard disk, ordinandoli e dandogli un senso logico)

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Ok, è bella lunga spero i moderatori non mi bastonino

 

Se il Sig. Gigio ha illustrato dettagliatamente le vicende del nucleare civile, mi propongo di fare altrettanto per quanto riguarda il nucleare militare (cioè quanto concerne le armi atomiche). Le due vicende seguono, infatti, sviluppi diversi.

 

Innanzitutto è opportuno prendere atto di una realtà spesso nascosta: il nostro paese dal punto di vista militare non è certo aggressivo (giustamente!), ma non è quel paese dominato da quell'onnipotente buonismo misto a pacifismo che noi italiani pensiamo. Certo, questo è quello che ci fanno pensare i politici e i mass-media perchè questo è quello che ci piace pensare di noi stessi, ma in realtà l'Italia è un paese medio. Per intenderci siamo lontani mille miglia dall'arroganza anglosassone e dallo sciovinismo francese, ma assolutamente non siamo degli sprovveduti: "a ca nisciun è fess" come dicono a Napoli.

 

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Subito dopo la fine della 2°GM, nel pieno cioè degli anni '40, viste le enormi potenzialità delle armi atomiche, nasce in gran segreto il CAMEN, un centro di alti studi sull'energia atomica. Ad esso partecipano esponenti universitari esperti di energia nucleare, ma la direzione è in mano ai militari. A quei tempi le centrali atomiche non esistevano neanche nella fantasia, quindi è inutile aggiungere quale era lo scopo di tale organismo: preparare la strada allo sviluppo delle armi nucleari.

 

Allora non si era ancora compreso che la politica internazionale andava verso un rigido bipolarismo USA-URSS, e si pensava che tra breve l'Italia sarebbe tornata ad essere una potenza mondiale insieme agli altri protagonisti degli anni '30 (GB, FRancia, Germania, URSS, USA...). Ma se gli anni '50 dimostrarono che sulla scena internazionale non c'era posto per una politica autonoma neanche per Francia e GB, fu sufficente il trattato di pace del '47, nonchè l'ondata comunista dell'est Europa, per farci capire che la difesa del nostro paese e della nostra giovane democrazia non poteva essere assicurata solo dalle nostre FF.AA.

 

Si decise quindi l'entrata nella NATO, che ci forniva il suo "ombrello" nucleare con il quale ripararci da minacce esterne. L'interesse per il CAMEN scemò, ma i nostri vertici politici e militari ebbero la lungimiranza di non sciogliere tale unità.

 

Arrivarono gli anni '50, e l'Italia capisce che in un mondo rigidamente bipolare l'unica possibilità per fare una politica estera completamente autonoma è quella di favorire un'alleanza europea che, pur senza rinunciare all'indispensabile appoggio USA, sia capace di rappresentare un "osso duro" per l'URSS. A tale alleanza si defilano gli inglesi che da allora in poi si appiattirono sempre più sugli USA, grazie all'aiuto dei quali arrivaronno alle armi nucleari nel '52. I grandi dell'europa libera erano quindi Francia, Germania Occidentale e Italia.

 

Ben prima dell'arrivo della CECA nel '56 (che fu precursore della CEE e quindi della UE), nasce la CED: Comunità Europea di Difesa. Tale alleanza, incerniata sui tre suddetti paesi, è ben vista dagli USA, che si augurano che così gli europei si impegnino più seriamente nel potenziare le loro FF.AA.. Tale alleanza prevede un'integrazione completa delle FF.AA. dei singoli paesi, ben al di là di quanto si spera di fare oggi con il fantomatico esercito europeo. Addirittura si prevedeva l'istituzione di un comando unificato. Ovviamente in quel periodo storico la premessa per ogni idea di difesa comune era lo sviluppo delle armi atomiche.

 

Su quest'ultimo punto vennero al pettine alcuni problemi nati da motivazioni squisitamente politiche. Poichè di questa triade la Francia era l'unica vincitrice della 2°GM, l'unica a sedere con diritto di veto all'ONU nonchè la più forte militarmente, non intendeva l'alleanza in maniera paritaria. Per i francesi, insomma, la CED doveva essere uno strumento di difesa e nel contempo uno strumento per mettere sotto la loro influenza l'Europa occidentale. La Francia, infatti, pretendeva, tra le altre cose, che le future armi nucleari europee fossero sotto il suo comando. Poichè la Germania e l'Italia intendevano dare un altro significato politico-militare alla CED, il parlamento Francese non ratificò il relativo trattato, e la Comutità Europea di Difesa morì prima di nascere.

 

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Quando nell'immediato dopoguerra gli USA ritirarono le loro truppe di occupazione dall'Europa, divenne evidente la sproporzione tra le forze convenzionali dell'URSS e quelle delle nazioni occidentali. All'inizio tale sproporzione non destava problemi, visto che gli USA (e solo loro) detenevano un corposo arsenale nucleare, ma quando nel '49 anche i sovietici giunsero alle armi atomiche la situazione iniziò ad essere preoccupante per i leader occidentali.

 

L'arsenale nucleare USA nel suo complesso rimase sempre considerevolmente superiore a quello sovietico, ma man mano che quest'ultimo cresceva, nei leader occidentale sorgeva sempre più preoccupante una domanda: in caso di guerra, dopo che l'URSS avesse sbaragliato le FF.AA. europee, gli USA avrebbero avuto il coraggio di scatenare una guerra nucleare per sconfiggere i sovietici? Sicuramente l'avrebbero vinta, ma a costo di vedere "vaporizzate" diverse loro città sull'esempio di quanto era successo in Giappone nel tragico agosto del 1945...

Gli USA per salvare l'Europa avrebbero accettato tale sacrificio?

 

Tale domanda cominciò ad essere decisamente inquietante quando nel 1954 l'URSS mandò in orbita il suo primo satellite artificiale. Era chiaro dunque che in caso di conflitto atomico i sovietici non avrebbero avuto bisogno di mandare i loro bombardieri (che potevano essere abbattuti dai caccia USA) a colpire anche simbolicamente una città americana, sarebbe bastato premere un bottone ed un missile balistico sarebbe partito alla volta degli States. Poichè negli anni '50 non c'era possibilità alcuna di intercettare e distruggere un missile, ciò rendeva gli USA esposti sul proprio territorio ad una rappresaglia sovietica.

 

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La CED, nata per cercare un'autonomia politico-militare dagli USA, veniva a risolvere anche il sopracitato problema. Si capisce, quindi, quali grai problemi abbia causato il suo fallimento.

 

La Francia reagì sviluppando in proprio i suoi progetti con impegno sempre più crescente, ed arrivò all'arma atomica nel 1960. L'arsenale atomico francese era indubbiamente inferiore a quello sovietico, e i nostri cugini d'oltralpe non avevano difficoltà ad ammettere che in un confronto Francia-URSS la loro nazione sarebbe uscita perdente. Essi, però, dichiaravano (a ragione) che il loro arsenale nucleare avrebbe causato ai sovietici un danno molto maggiore del beneficio che l'URSS avrebbe potuto trarre dall'occupazione della Francia.

 

Anche l'Italia si incamminò in tale direzione e venne dato un forte impulso al CAMEN. Tuttavia le ristrettezze economiche e la necessità della ricostruzione e del (giustamente!) tanto agognato svilluppo economico, sottrassero risorse al nostro programma, che procedeva molto più lentamente.

 

Poichè ora gli studi erano fatti più seriamente, gli USA ne vennero a conoscenza, con buon disappunto. Difatti le potenze atomiche, per evidenti ragioni di convenienza, hanno sempre mal tollerato il fenomeno della proliferazione nucleare, che toglieva loro l'esclusività dell'arma atomica. USA ed URSS iniziarono, quindi, di comune accordo una campagna volta ad impedire, in una maniera o nell'altra, che anche le altre nazioni si dotassero di un arsenale nucleare.

 

Nei confronti dell'Italia, gli USA crearono da una parte forti pressioni politico-economiche, dall'altra si mostrarono ben disposti alla trattativa. Quest'ultima si concluse positivamente nel 1959, con l'accordo della "Doppia Chiave". Esso prevedeva lo stoccaggio in Italia di un congruo numero di armi nucleari, di proprietà USA, ma destinate esclusivamente ad essere utilizzate dalle nostre FF.AA.. Esse erano custodite in depositi all'interno dei quali la sicurezza ravvicinata era affidata alle forze USA. All'esterno vigilavano, invece, i nostri soldati. Le operazioni di manutenzione, che garantivano l'efficienza di tali ordigni, era effettuato da commissioni miste di ufficiali italiani e americani. L'utilizzo di tali armi era consentito solo con il consenso di entrambi i governi: di qui l'espressione "Doppia Chiave".

 

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A questo punto il problema potrebbe sembrare risolto.

L'Italia ha avuto le sue garanzie e ha potuto rinunciare ad un costoso programma atomico.

Se fosse una favola potremmo aggiungere "...e vissero felici e contenti"...

E INVECE PROPRIO PER NIENTE!

 

Nonostante le assicurazioni date al governo USA, il CAMEN, sia pure in maniera più discreta e con meno risorse, proseguì imperterrito i suoi studi. Anzi, il nostro governo non solo non rinunciò alle sue ricerche nel campo dell'atomica militare, ma addirittura rilanciò, manifestando anche palesemente la volontà di dotarsi di sommergibili a propulsione nucleare nonchè di missili balistici.

 

La domanda nasce spontanea: Perchè?

Perchè i nostri vertici politici nella realtà, quando si trovano a dover fare scelte di grande importanza per la nazione, si sono sempre dimostrati molto più saggi di quento appaiono nelle sceneggiate dei teatrini politici che i mass-media ci offrono quotidianamente.

 

Infatti, se è vero che la guerra fredda è il periodo del bipolarismo USA-URSS, è anche vero che un'analisi approfondita della situazione dimostrava che tale bipolarismo non era estremamente rigido come si sarebbe potuto pensare a seguito di un'analisi superficiale. Oltre ad USA ed URSS vi sono parecchi altri attori sulla scena, meno importanti dei primi, ma non per questo trascurabili...

 

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Il mondo bipolare era caratterizzato dal fatto che in qualunque vicenda politico-militare del globo le due superpotenze era sicuramente protagoniste, ma di volta in volta a seconda dei casi si aggiungevano anche altri soggetti. In Asia, ad esempio, quasi ogni vicenda vedeva accanto ad USA ed URSS paesi di non secondaria importanza quali Cina ed India, anche secondo inedite alleanze. Gli USA, infatti, più volte avevano politicamente appoggiato la Cina per sfruttare le rivalità di questa con l'URSS relativamente al ruolo di nazione guida del comunismo mondiale. Di conseguenza i sovietici avevano stretto legami politici con l'India, tradizionale rivale cinese. Quindi a sua volta il Pakistan, in eterno attrito con l'India, si era legato agli USA.

 

In Europa, la situazione non era meno complessa. Sappiamo tutti che i paesi dell'Est Europa erano comunisti e quindi nostri potenziali nemici in una ipotetica 3°GM, ma vi erano notevoli differenze tra di essi. Innanzitutto bisogna ricordare che la Jugoslavia non faceva parte del Patto di Varsavia, e che tra Tito e Stalin (ed i successori di quest'ultimo) vi furono parecchie tensioni. Ovviamente ciò che venne fatto nei confronti dell'Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968 non era fattibile nei confronti della Jugoslavia. Mentre, infatti, l'Ungheria è costituita da territorio pianeggiante (l'ideale per essere inondata dalle copiose unità corazzate sovietiche), la Jugoslavia presenta un territorio prevalentemente montuoso, nel quale i partigiani di Tito avevano inferto notevoli perdite alle truppe dell'Asse durante la 2°GM. Inoltre, mentre la Cecoslovacchia era praticamente circondata dai paesi del Patto di Varsavia, la Jugoslavia li aveva solo alle spalle. Per gli Usa far giungere clandestinamente aiuti ai partigiani Titini in caso di conflitto con l'URSS sarebbe stato fin troppo facile, e per i sovietici la Jugoslavia si sarebbe trasformata in quello che fu poi il Vietnam per gli americani. Non a caso i piani di guerra del Patto di Varsavia prevedevano l'invasione dell'Italia da parte di truppe sovietico-ungheresi che avrebbero dovuto passare attraverso la neutrale Austria, sbucando dal Trentino Alto Adige. A tale direttrice principale si sarebbe potuta aggiungere una seconda offensiva attraverso il Friuli Venezia Giulia, nel caso in cui anche la Jugoslavia fosse scesa in guerra.

 

Poichè "il nemico del mio nemico è mio amico", gli USA si mostrarono sempre particolarmente compiacenti nei confronti di Tito, e fecero pressioni sul nostro governo affinchè oltre ad insabbiare i casi di crimini di guerra relativi ai nazisti, insabbiassimo anche quelli relativi ai partigiani titini. Inoltre non si mostrarono mai risoluti nell'appoggiare le nostre sacrosante rivendicazioni su Trieste.

 

Contrariamente a quanto si possa pensare, la vicenda di Trieste del 1953, fu uno dei pochi esempi di vicende nella quale inavvertitamente alle due superpotenze la situazione sfuggì di mano. L'URSS aveva sottovalutato l'intaprendenza della Jugoslavia, la quale sfruttando la recente scomparsa di Stalin, non intendeva farsi "guidare" dal fratello sovietico. Gli USA, abituati alla sconfinata riconoscenza italiana per la liberazione dal nazismo nonchè per i copiosi aiuti economici ed alimentari, non immagginavano che nel nostro paese ci potesse essere quella improvvisa fiammata di patriottismo, tanto accesa quanto breve nel tempo.

 

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Tito, da abile statista, sfruttò al massimo le favorevoli circostanze geopolitiche di cui godeva il suo paese, ed iniziò anch'egli a sviluppare programmi relativi al nucleare militare. Dal punto di vista politico, un paese confinante con armi nucleari preoccupa a priori (della serie "non si sa mai!"). Tuttavia se nel caso della Francia, la comune appartenenza alla NATO eliminava ogni problema, già il timore di una Svizzera armata di ordigni atomici destava qualche preoccupazione; figuriamoci quindi nel caso della Jugoslavia di Tito!

 

Nonostante, quindi, la rinuncia formale allo sviluppo di armi atomiche a seguito degli accordi della "Doppia Chiave" (1959), non solo il CAMEN continuò i suoi studi, ma l'Italia cominciò a sviluppare alcuni programmi militari di grande ambizione.

 

Innanzitutto venne portata a termine la ristrutturazione dell'Incrociatore pesante Garibaldi, costrito negli anni '30 e diventato la nave ammiraglia della MMI dopo la radiazione delle ultime Corazzate. In tale ristrutturazione particolare attenzione fu posto nello realizzazione di 4 pozzi per il lancio dei missili balistici Polaris, da acquistare in seguito dagli USA. In teoria un missile balistico può essere utilizzato anche con testata convenzionale, ma a tale ipotesi non ci credeva nessuno. La realizzazione e la sperimentazione di tali pozzi fu lunga e dispendiosa, ma diede esito positivo. Tuttavia per il successivo rifiuto USA a venderci i Polaris, tale lavoro non ebbe nessun uso pratico.

 

Nel contampo si iniziò la progettazione di un sottomarino nucleare, il "Guglielmo Marconi" (circa 3.400t). La progettazione fu spinta in fase molto avanzata, ma il progetto naufragò per l'assoluta indisponibilità americana a fornirci qualunque aiuto tecnico.

 

Si decise allora di sviluppare una nave militare d'appoggio a propulsione nucleare, l' "Enrico Fermi" (circa 18.000t), nella speranza che nella realizzazione di tale unità, di valenza strategica notevolmente inferiore a quella di un sommergibile, i nostri alleati fossero meno indisposti. Ma anche qui gli USA furono irremovibili, ed il progetto fallì.

 

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Nel frattempo USA ed URSS cominciarono d'intesa a lavorare sempre più alacremente contro il temuto fenomeno della proliferazione nucleare. Si giunse così alla firma del TNP nel 1968, ma l'Italia, sotto pressione degli USA, diede la sua disponibilità a firmare tale trattato solo a condizione che venisse accettato anche dai nostri paesi confinanti. Nel 1969 arrivò l'adesione della Svizzera, e l'anno seguente, dietro enormi pressioni dell'URSS, quella della Jugoslavia, e quindi conseguentemente quella italiana.

 

A questo punto il problema sembrerebbe definitivamente risolto: l'Italia non solo ha ottenuto dagli USA un consistente quantitativo di armi nucleari che in caso di necessità sarebbero destinate esclusivamente alle sue FF.AA. (accordo della "Doppia Chiave"), ma si è anche assicurata che i suoi paesi confinanti abbiano firmato il TNP. Per contro tutte le iniziative relative allo sviluppo della propulsione nucleare in ambito militare erano fallite per la rigida contrarietà USA al riguardo.

 

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La qustione sembrerebbe chiusa...

E INVECE PROPRIO PER NIENTE !

Il TNP, firmato dal nostro governo, giace inspiegabilmente per anni in parlamento senza essere ratificato, il CAMEN continua i suoi studi e nel 1971 nasce il progetto Alfa...

 

Ogni paese nel firmare il TNP aveva il diritto di aggiungere delle note a margine a tale trattato, che giuridicamente equivalgono a delle clausole aggiuntive. L'Italia mise 12 note, alcune di valore simbolico (cioè dove si ribadisce in maniera altisonante il consenso italiano alla lotta al fenomeno della proliferazione nucleare), altre di valore nettamente più pratico. Tra queste ultime annoveriamo la seguente (il soggetto della frase è il governo italiano):

 

" 6. Prende atto della piena compatibilità del Trattato con gli impegni di sicurezza

esistenti; "

 

OVVERO il trattato della "Doppia Chiave" e tutto ciò che ne consegue non viola il TNP!

 

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Contrariamente a quanto pensano gli italiani, i nostri servizi segreti, nonostante gli scarsi mezzi economici e legislativi messi a loro disposizione, sono sempre stati efficienti, grazie alla vasta rete di "amicizie" che l'Italia vanta praticamente in ogni parte del globo.

 

L'unico neo riguarda uno scandalo che colpì profondamente il SISDE negli anni '80, allorchè si scoprì che alcuni suoi agenti avevano messo una bomba su un treno per poi segnalarne la presenza alle forze dell'ordine, prendendosi i meriti della "scoperta". Ma quello era il neonato servizio segreto civile, sorto dal nulla nel 1977, che poi ebbe comunque modo di farsi apprezzare per le brillanti operazioni contro il fenomeno anarchico dei primi anni '00.

 

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Il servizio segreto militare, che vanta una storia centenaria, fu quasi sempre all'altezza dei suoi compiti, riuscendo a scoprire non poche volte le spie sovietiche in Italia. Il SID (questo il suo nome nei primi anni '70) aveva scoperto che Tito, dopo aver firmato e ratificato il TNP, proseguiva indisturbato, sia pure in maniera più discreta, il suo programma di svilluppo nucleare militare. L'Italia reagì insabbiando in parlamento la ratifica del TNP, e rilanciando in grande stile sul piano militare. Il tutto, ovviamente, tenendo lontano l'occhio indiscreto dei mass-media.

 

Nel 1971 nasce quindi il progetto ALFA. Esso si proponeva la realizzazione di un grosso missile balistico dalle prestazioni paragonabili a quelle dei Polaris, che una decina d'anni prima gli USA si erano rifiutati di venderci. La portata di tale missile era di circa 1.600 Km. Questo vuol dire che ponendo una nave equipaggiata con tali ordigni nell'Adriatico, bastava premere un bottone per colpire la capitale di qualunque paese (URSS esclusa) dell'est Europa!

 

Lo sviluppo di tale missile proseguì a gonfie vele e si giunse alla sperimentazione finale nella metà degli anni '70. Tre i lanci di prova, tutti ovviamente con carica inerte nella testata, e tre furono i successi! A questo punto, una volta in possesso di armi nucleari, a parte l'URSS nessun paese avrebbe potuto minacciarci.

 

Ovviamente a questo punto si fecero molto forti le pressioni internazionali affinchè l'Italia abbandonasse lo sviluppo di tali armamenti, e per l'URSS fu relativamente facile convincere Tito che la prosecuzione del suo programma nucleare sarebbe stato controproducente per la Jugoslavia, perchè avrebbe determinato la nascita in Italia di un ben più temibile armamento.

 

Nel 1975 finalmente il nostro parlamento ratificò il TNP, ed il programma di ricerca sul nucleare militare si fermò. Anche lo sviluppo del missile Alfa fu abbandonato, non prima, però, di aver affettuato i sopracitati lanci di prova, rispettivamente tra la fine del 1975 e l'inizio del 1976, quasi a voler far capire alla Jugoslavia che l'arma era pronta ed in caso di necessità bisognava solo costruirla in grande serie e riprendere il programma di ricerca nucleare.

 

A questo punta la vicenda è veramente conclusa. L'Italia fa parte della NATO, dispone di un corposo arsenale di armi nucleare che, anche se di proprietà USA, in caso di necessità sarebbero destinate esclusivamente alle sue FF.AA., potrebbe mettere in produzione in qualunque momento un missile balistico con cui tenere sotto tiro tutta Europa, ed era arrivata abbastanza vicina alle armi nucleari. Può dirsi completamente soddisfatta. A questo punto lo sviluppo di un arsenale nucleare sarebbe tanto inutile quanto costoso, nonchè controproducente in termini politici. Tra i tanti difetti di cui è pieno il nostro paese, non annoveriamo per fortuna l'abitudine di fare il passo più lungo della gamba nè la nostalgia per un improbabile ritorno in altre forme al passato imperiale, malattia quest'ultima che colpisce in maniera ricorrente sia i nostri cugini d'oltralpe quanto i sudditi di Sua Maesta la Regina.

 

Ma come si suol dire, certe cose "...a volte ritornano"...

E infatti, nonostante tutto ciò, negli anni '80......

 

Arrivano gli anni '80: gli anni ruggenti! L'Italia conosce uno sviluppo economico paragonabile solo al grande "Boom" degli anni '60. Ora, però, gli italiani l'indispensabile ce l'hanno già e quindi si da libero sfogo al consumismo, che fa nascere una sorta di euforia collettiva, la quale non può non influenzare la vita politica.

 

Questa vede la nascita del Pentapartito, che riunisce tutti i partiti con l'esclusione delle "estreme" (PCI ed MSI). Tale evento politico nasce dalla brusca sterzata in senso moderato che Craxi (nuovo leader indiscusso del PSI dal 1976) impone ai socialisti, rendendo possibile per la prima volta un'alleanza politica che va dal PSI al PLI (passando per PSDI, PRI e DC), la quale gode quindi di un ampia maggioranza in Parlamento. I socialisti, pur rimanendo laici, in politica estera tendono a portarsi su posizioni più addirittura più moderate di alcuni esponenti della sinistra DC (quelli che al giorno d'oggi, capitanati da Rosy Bindi, sono talvolta chiamati "cattocomunisti"), i quali si sentono obbligati ad assecondare il PSI per non farsi scavalcare a destra. Per diretta conseguenza i governi si fanno più stabili e rinasce una vera politica estera!

 

Nel 1980 l'Italia accorda protezione a Malta, fortemente minacciata dalla Libia. Due anni dopo, per la prima volta dopo la 2°GM, un contingente militare viene mandato all'estero. In Libano i nostri soldati rimarranno circa due anni, e vi sarà anche una vittima. Nel contempo, nonostante i fortissimi movimenti pacifisti che predicano il disarmo nucleare unilaterale, l'Italia è il primo paese dell'Europa continentale ad accettare l'istallazione dei micidiali missili "Cruise", successivamente seguita da molte altre nazioni. A metà degli anni '80 l'Italia conosce il più lungo periodo di stabilità politica con il famoso governo Craxi I (1983-1986), nel quale vi erano tutti "pezzi da '90": Andreotti agli Esteri, Spadolini alla Difesa, Scalfaro agli Interni, ecc... In quello stesso periodo, per evitare che l'estremismo islamico devastasse la Tunisia (sorte che poi toccò all'Algeria negli anni '90), l'Italia organizza un colpo di stato incruento per deporre il suo presidente-padrone. Questo, infatti, aveva adottato una politica di mera repressione nei confronti degli integralisti islamici, la quale, contrariamente alle intenzioni, rischiava di consolidare le posizioni degli stessi. Il nuovo presidente adottando nei confronti degli integralisti una linea inspirata alla fermezza, ma nel contempo aperta al dialogo, riportò il fenomeno sui binari della legalità. Infine nel 1985 vi fu la celeberrima crisi di Sigonella, dove l'Italia mostrò i muscoli contro la prepotenza USA, riscuotendo vasti consensi internazionali. A seguito di tale evento Craxi venne applaudito dall'intero Parlamento.

 

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Tutti questi successi in campo internazionale restituirono all'Italia, dopo una pausa di 40 anni, il rango di "potenza" accanto a Francia e Gran Bretagna. Se però per quanto riguarda l'economia e la politica il confronto con queste era orientativamente alla pari, permaneva un grande divario dal punto di vista militare. Complice la favorevole situazione politica, nonché il grande "Boom" economico, iniziò un periodo di grandi spese militari.

 

Tra i tanti furono prodotti o progettati in questo periodo: l'AMX, l'aereo italo-brasiliano da attacco al suolo, che nonostante le critiche inizialmente subite, alla prova del fuoco (guerra del Kosovo 1999) diede ottimi risultati, ricevendo diversi elogi in ambito NATO; la Blindo Centauro, prima unità del suo genere, invidiataci da tutta Europa; il Carro Ariete, mezzo non pienamente riuscito, ma che segna il ritorno dell'industria nazionale nel campo dei Carri Armati; le Fregate antisommergibile classe “Maestrale” (di dislocamento superiore alla media per quei tempi) in ben 8 esemplari. Da notare anche la riforma del 1986 che introduceva la ferma Biennale e Triennale, che, anche se non ebbe pieno successo, segnò il primo passo in senso professionistico.

 

Mancava però il grande salto, quello cioè che, in base alle regole della Guerra Fredda, ci avrebbe proiettato di prepotenza nell'Olimpo delle maggiori potenze anche in ambito militare: l’armamento nucleare. Cominciarono, sia pure in maniera molto discreta e al riparo dai mass-media, a circolare voci di corridoio... Il mondo era cambiato... ormai erano diversi i paesi dotati di armamento atomico (oltre ai 5 grandi dell'ONU, si erano aggiunti India, Israele e Sudafrica)... tanti altri volevano aggiungersi... al momento della firma del TNP l'Italia aveva aggiunto ben 12 note (alcune prettamente simboliche, altre nettamente più pratiche) e quindi forse non sarebbe stato impossibile trovare un modo per aggirarlo... ecc...

 

Tutto ciò sembrerebbe il frutto della classica dietrologia degenere che impera nel nostro paese... Ma allora perché gli USA nella prima metà anni '80 improvvisamente vieta la vendita all'Italia di Uranio? Non solo... Su pressione americana tale divieto improvvisamente ci viene imposto anche dai francesi! Cosa era successo?

 

Bisogna aspettare circa 15 anni per saperlo. Nei primi anni '00, Lagorio, ex ministro della Difesa, pubblica un libro, che rivela i retroscena della politica estera e della politica militare italiana degli anni '80. Lagorio è l'esempio migliore della svolta socialista imposta da Craxi. Se tradizionalmente la sinistra italiana aveva unito il pacifismo all'antiamericanismo, ora i socialisti abbandonavano il primo in favore del secondo. Essi avevano capito che per ridurre lo straripante (e spesso negativo) protagonismo americano sulla scena mondiale era necessario poter contare un forte apparato militare con il quale ottenere un minimo di autonomia. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, dietro le quinte Lagorio era in perfetta sintonia con il Presidente Pertini, nonchè con personaggi chiave del periodo quali Cossiga, Spadolini ed Andreotti.

 

Nei primi anni '80 il ministro Lagorio si incontra più volte con l'allora Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Turrisi, per discutere dell'opzione nucleare. Le discussioni vertevano su come tecnicamente l'Italia potesse dotarsi di armi nucleari qualora vi fosse stato la relativa decisione politica. Le centrifughe avrebbero trovato posto (in gran segreto) nelle aree di ricerca del CNR a Firenze, e gli esperti potevano essere reperiti nelle centrali nucleari allora in funzione.

 

In quale ambito sarebbe dovuta maturare tale decisione politica? Si vociferava di una sorta di alleanza mediterranea, che sarebbe dovuta nascere grazie ai saldi rapporti che l'Italia aveva stretto con tutti i paesi africani bagnati dal "Mare Nostrum" e grazie allo scemare in quel periodo dell'influenza sovietica nella zona. Sono questi progetti di lungo periodo, che rimasero allo stadio concettuale per via del repentino crollo dei regimi comunisti e dell'URSS. Quello che inizialmente era parso come un lento crepuscolo, si trasformò in un'improvvisa implosione, che stravolse la situazione politica internazionale, abortendo gli ambiziosi progetti italiani.

 

Ovviamente con la fine della Guerra Fredda il problema delle armi nucleari in Italia cessa di esistere definitivamente. Le emergenze degli anni '90 sono ben altre: la corruzione dilagante, la crisi economica, un faraonico apparato militare da smantellare. Dal punto di vista militare l'attenzione si sposta sui conflitti locali, che si avvicinano più alla guerriglia che ai classici conflitti convenzionali. Poiché è assurdo ed impossibile uccidere una mosca sparando con un cannone, le armi nucleari perdono di importanza, e gli esperimenti nucleari francesi del '95, che destano nel mondo una condanna pressoché unanime, appaiono assolutamente inutili ed anacronistici.

 

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Quanto detto finora riguarda il passato...

E per il futuro?

 

Prospettive future

 

Come dice il proverbio "Mai dire mai!", quindi il fatto che in passato non siamo mai arrivati ad acquisire un arsenale nucleare nazionale non toglie che in futuro potremmo essere costretti a compiere questo passo. Ovviamente se non ha senso prendere in considerazione un futuro troppo lontano, è altrettanto privo di senso immaginare di dover compiere tale passo in un futuro imminente. Più opportunamente possiamo limitare la nostra riflessione in un intervallo di tempo che vada dal 2020 al 2040.

 

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Innanzitutto bisogna individuare le cause che potrebbero portarci a compiere un così grave passo. Iniziamo quindi a riflettere sulla possibilità che le cause che ci hanno portato in passato ad avviare un programma di sviluppo nucleare militare si possano ripresentare in futuro.

 

Negli anni '40 e '50 l'avvio degli studi sul nucleare in ambito militare era dovuto alla più elementare necessità di uno stato: l'inalienabile diritto a difendere il proprio territorio! Tale necessità fu soddisfatta dall'ingresso dell'Italia nella NATO e dal successivo accordo della "Doppia Chiave". Poiché è da ritenersi non realistico che in futuro gli USA possano disdire l’accordo della "Doppia Chiave", né tanto meno che l'Italia possa uscire dalla NATO o che tale alleanza possa dissolversi, si può concludere che non sarà certamente questa la causa che potrebbe portarci allo sviluppo di un arsenale nucleare nazionale.

 

Negli anni '60 e '70 le nostre ricerche sul nucleare in ambito militare erano state condotte in contrapposizione ad analoghi studi effettuati dalla Jugoslavia. Tale nazione, pur facendo parte del blocco comunista, per via della sua non appartenenza al Patto di Varsavia, nonché per la rivalità tra Tito e i vari capi dell'Unione Sovietica, ben si prestava alle simpatie americane. Il caso volle che, per via della questione di Trieste, fu proprio con questa nazione che noi avemmo nel 1953 la più grave crisi politico-militare del dopoguerra. Se la Jugoslavia avesse avuto un arsenale nucleare, in caso di confronto armato la NATO ci avrebbero coperto con il suo ombrello atomico? Certamente lo avrebbe fatto, ma forse a condizione di trovare una soluzione "accomodante"... Fortunatamente è facile convincersi che una situazione del genere non potrà più ripetersi in futuro. Non abbiamo più questioni aperte per quanto riguarda i nostri confini, né ne avremo mai. Gli italiani, infatti, sono tutti in Italia, e in Italia ci sono solo italiani, con l'eccezione delle minoranze linguistiche e degli immigrati: le prime sono ampiamente garantite e rispettate, e i secondi si integrano abbastanza bene.

 

Negli anni ’80 l’opzione nucleare era stata ripresa in considerazione per motivi di prestigio nazionale. Essa, tuttavia, era stata inserita in un ben più ampio ed ambizioso progetto: un’alleanza con i paesi bagnati dal Mediterraneo. Tale ipotesi poteva reggersi solo in un contesto di Guerra Fredda declinante. Infatti per mantenere assieme tanti paesi arabi (notoriamente divisi da interessi e rivalità) era indispensabile la necessità di non doversi schierare troppo apertamente con una delle due superpotenza per non subirne l’influenza, ma era altrettanto indispensabile operare in un periodo in cui si creava un vuoto a causa dello scemare della presenza sovietica nel Mediterraneo. Come sappiamo tale periodo fu brevissimo a causa del crollo repentino del blocco comunista, mentre la realizzazione di tale alleanza necessitava di tempi abbastanza lunghi per poter avere qualche possibilità di successo. E’ chiaro che i contesti sopra descritti sono pressoché irripetibili in futuro.

 

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Una volta appurata la impossibilità di ritrovarci in futuro con i medesimi problemi incontrati in passato, occorre verificare la possibilità che un domani possano nascere nuove esigenze di sicurezza nazionale. Condizione necessaria (ma fortunatamente non sufficiente) affinché tali esigenze si concretizzino è che si verifichi una larga proliferazione mondiale di armi nucleari.

 

L’argomento della proliferazione nucleare è lungo e complesso. Fin dal loro primo utilizzo in Giappone nel 1945, le armi atomiche hanno sempre suscitato grande interesse in tutte le nazioni. Tuttavia quando il processo di decolonizzazione fece nascere nuovi stati sovrani in Africa ed Asia, l’attenzione verso tali armi crebbe notevolmente poiché aumentarono vertiginosamente le tensioni regionali, che sempre più spesso sfociavano in conflitti armati. Le due Superpotenze capirono, quindi, che fare affidamento solo sulla cronica mancanza di tecnologia e sulla penuria di risorse (che affliggevano allora come oggi la maggior parte dei paesi del mondo) per scongiurare la proliferazione nucleare, era un’idea assolutamente miope: sarebbe stata solo questione di tempo, ma prima o poi le armi atomiche sarebbero state presenti in ogni angolo del mondo. Fin dai primi anni ’60 alcuni analisti americani si erano arresi a questa idea, quando improvvisamente l’allentamento progressivo della tensione tra le due superpotenze favorì una loro più o meno tacita intesa sulla lotta al fenomeno della proliferazione. Poiché tale lotta era dettata da comprensibili interessi di parte, essa fu affrontata con grande determinazione, e sfruttando la situazione politica bipolare del momento, ed alternando pressioni politiche, economiche e militari (per quanto concerne le forniture belliche), il fenomeno della proliferazione fu fortemente rallentato.

 

La fine della Guerra Fredda ha determinato l’esplosione di contrasti precedentemente tenuti sotto controllo in nome di una ideologia o in contrapposizione di un forte nemico comune. Questa volta l’assenza del bipolarismo USA-URSS ha reso molto più difficile la lotta al fenomeno della proliferazione nucleare, che è tornato di drammatica attualità. La fine del suddetto bipolarismo, inoltre, ha reso tecnicamente possibile l’esistenza di forti potenze regionali, e in ogni parte del globo sono molti i paesi che aspirano a tale rango. Sono molti gli analisti che cominciano a pensare che dopo un lungo bipolarismo USA-URSS, a cui sta seguendo un periodo di unilateralismo americano, vi sarà in futuro un lungo periodo “multipolare”. Essi ovviamente concordano sulla necessità che tale “multipolarità” non si fondi sugli arsenali nucleari, altrimenti il fenomeno della proliferazione sarà globale.

 

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Uno dei pericoli maggiori attinenti il fenomeno della proliferazione nucleare è che vi sia una sorta di “effetto domino”. Infatti l’acquisizione di un arsenale nucleare da parte di un stato potrebbe stravolgere determinati equilibri, portando conseguentemente anche altri stati a dotarsene.

 

Immaginiamo per ipotesi che l’Iran riesca veramente a costituire un proprio arsenale nucleare. In tal caso cercherebbe di imporsi come potenza regionale, cosa che la vicina Arabia Saudita, forte della sua potenza economica derivante dall’essere la maggior produttrice mondiale di petrolio, non permetterebbe. Al di là delle classiche rivalità nazionali, qui è presente la forte contrapposizione tra i paesi arabi sciiti (che fanno capo all’Iran) e quelli sunniti (che fanno capo all’Arabia Saudita e all’Egitto). Voci di corridoio riferiscono di una sorta di minaccia che l’Arabia Saudita abbia fatto agli USA: il loro ritiro dall’Iraq coinciderebbe con l’inizio di un programma nucleare saudita. Infatti un ritiro USA darebbe campo libero all’Iran.

 

Ma se l’Arabia Saudita è la nazione leader dei paesi arabi sunniti per quanto concerne l’economia, l’Egitto, dopo l’uscita di scena dell’Iraq, si può confiderare una sorta di leader militare. Questi due paesi “dirimpettai” sono separati da quella sottile striscia di mare che è il Mar Rosso. Se l’Arabia Saudita giungesse ad acquisire un proprio arsenale nucleare, per un’analoga decisione egiziana sarebbe solo questione di tempo.

 

Posizione particolare occupa, nel complesso mosaico mediorientale, la Siria. Questo paese arabo sunnita è stato in passato fortemente legato all’Egitto, tanto da dar vita con esso nei primi anni ’60 alla R.A.U. , acronimo di Repubblica Araba Unita, un vero e proprio stato unitario. Di recente, invece, come è noto la Siria si è fortemente legata all’Iran. Difficile immaginare che qualora Egitto ed Iran diventino potenze nucleari la Siria rimanga completamente estranea ai rispettivi programmi nucleari.

 

La Siria, però, confina con la Turchia, paese dove le FF.AA. rivestono grande importanza anche dal punto di vista politico, in quanto rappresentano fattore di stabilità. E’ l’unico paese dove formalmente il Capo di Stato Maggiore delle FF.AA. non risponde al Ministro della Difesa o al Governo, ma direttamente al Capo dello Stato. Considerando che la Turchia è una repubblica parlamentare, tale regola indica una volontà del costituente di riconoscere l’indipendenza parziale delle FF.AA. dalla sovranità popolare. In Turchia, infatti, è sempre stato forte il senso laico dello stato, che le FF.AA. si sentono chiamate a difendere in ogni caso da una ingerenza religiosa, anche se questa derivasse dalla volontà popolare. Considerando che l’annosa questione curda potrebbe in futuro far nascere delle tensioni tra la Turchia e gli stati ad essa confinanti, non si può escludere che in presenza tra questi ultimi di potenze nucleari, i turchi possano dotarsi a loro volta di armi atomiche. Certo la Turchia fa parte della NATO, ma come abbiamo sperimentato noi nella vicenda di Trieste del 1953, questa alleanza, in determinati casi, potrebbe non garantire sufficiente autonomia di trattativa.

 

Se per ipotesi la Turchia giungesse alle armi atomiche, allora sarebbe a dir poco “matematico” che il giorno dopo vi giungerebbe anche la Grecia, per le croniche e talvolta pericolose tensioni che investono periodicamente i due paesi.

 

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Questi pochi esempi dimostrano come sia possibile (anche se fortunatamente al momento poco probabile) una futura proliferazione di armi atomiche a livello mondiale. Tuttavia l’adesione dell’Italia alla NATO, nonché la presenza sul nostro territorio nazionale di testate atomiche sotto regime della “Doppia Chiave”, continuerebbero a garantire la nostra sicurezza, e non renderebbero necessario l’acquisizione di un arsenale nucleare nazionale neppure nella sventurata ipotesi di una proliferazione mondiale generalizzata.

 

Tuttavia, se si leggono con attenzione le clausole del trattato della NATO, si possono individuare dei particolari che sembrano ovvietà, ma ovvietà non sono…

 

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Nell'immaginario comune la NATO è un'alleanza nella quale, in caso di aggressione di uno degli stati membri, gli altri siano obbligati ad intervenire in sua difesa. Tale obbligo è espresso dal famigerato art. 5, che fu "attivato", sia pure simbolicamente, in occasione degli attentati alle "Torri Gemelle". Come sottolinearono allora i mass-media, l'art. 5 venne in tale occasione invocato per la prima volta. Dunque ciò implica che sicuramente esso non fu applicato allorché la Gran Bretagna subì l'invasione delle isole Falkland da parte dell'Argentina... Perché?

 

Come recita testualmente l'art. 5, "Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o Nord America, deve essere considerato come un attacco contro tutte...". Quindi la Nato è tenuta a sostenere un paese membro aggredito solo se l'aggressione viene perpetrata in Europa o Nord-America. Di conseguenza nessun paese era tenuto ad intervenire in aiuto della Gran Bretagna, che dovette provvedere da sola alla riconquista delle sue isole.

 

Per paesi come l'Italia il problema apparentemente non si pone, poiché il territorio sul quale lo stato italiano esercita la sovranità è esclusivamente in Europa. Tuttavia se andiamo a sfogliare le pagine del nostro passato recente, ci rendiamo conto che per fare una politica estera "attiva", sia pure improntata sulla pace e la diplomazia, non si può fare affidamento solo sulla NATO.

 

Negli anni '70 Malta, divenuta pienamente indipendente, decide lo smantellamento delle basi alleate sul suo territorio. Successivamente, nel tentativo di trovare percorrere una terza via tra i due blocchi politici del periodo, si lega fortemente alla Libia. Ma il paese africano diventa improvvisamente minaccioso allorché viene rilevata la presenza di giacimenti petroliferi all'interno delle acque territoriali maltesi. La piccola isola cerca quindi l'aiuto italiano, e nel 1980 viene firmato un accordo con il quale l'Italia offre protezione a Malta. Cosa sarebbe successo se la Libia avesse invaso tale isola? La NATO non sarebbe intervenuta, e noi avremmo dovuto liberarla da soli... Tale evenienza, tuttavia, non era preoccupante poiché, data la sproporzione delle forze in campo tra Libia e Italia, possiamo ben immaginare che il paese africano non si sarebbe mai azzardato a sbarcare sulla piccola isola mediterranea. Tuttavia questo è un esempio da tenere presente per il futuro...

 

 

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E’ facile convincersi che nel mondo multipolare del futuro le relazioni politiche e economiche cresceranno esponenzialmente. Per intenderci nel mondo globalizzato non ci saranno più confini e tutti si occupano di tutti.

 

In particolare si comincia a dare fin da ora sempre più attenzioni al continente africano, poiché si presuppone che potrà essere, in un futuro sia pure lontano, fonte di interesse. Mentre, infatti, alcuni paesi poco sviluppati quali Brasile, India e Cina si stanno avviando sulla strada del progresso, con un effetto trascinante sui rispettivi continenti, l'Africa è rimasta una terra fortemente arretrata. Quando inevitabilmente un domani il progresso comincerà a prendere piede anche qui, il "Continente Nero" diventerà pian piano meta di investimenti. Le maggiori potenze economiche si stanno già attrezzando: la Cina si sta legando al Sudan, che appoggia con decisione al consiglio di sicurezza dell'ONU per le vicende inerenti la travagliata regione del Darfur; l'Italia è stata l'unica nazione non africana ammessa ad intervenire in una recente riunione della UA (unione africana); gli USA, sempre attenti a prevenire situazioni di caos (nelle quali il terrorismo può prendere piede più facilmente), si interessano sempre più alla Somalia; ecc...

 

Inoltre non si può escludere che in futuro vi sia una di quelle periodiche “rinascite” di interesse in alcuni angoli del globo “già noti”, come ad esempio in America del Sud o in Estremo Oriente. A volte determinati eventi politici (instaurazione o caduta di regimi dittatoriali) o scientifici (nuove scoperte che facciano nascere nuovi interessi economici), mettono in moto una serie di reazioni a catena che nel lungo periodo possono trasformare la situazione geopolitica di una regione.

 

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E’ ovvio che contrariamente a quanto avveniva nel mondo bipolare della guerra fredda, nel futuro mondo multipolare ci sarà più spazio per le potenze medie come l’Italia, ed è altrettanto ovvio che il nostro paese non deve assolutamente farsi trovare impreparato, onde evitare di perdere un’occasione storica. Si ripeterebbe in tal caso quello che è avvenuto nel XIX e XX secolo: l’Italia, nonostante fino alla 2° guerra mondiale fosse annoverata tra le grandi potenze, disponeva di un impero coloniale dal valore inferiore ai possedimenti coloniali di piccoli stati quali Belgio, Olanda, Portogallo ecc… Questo fu dovuto al ritardo con il quale il nostro paese raggiunse l’unità e si cominciò ad occupare attivamente della politica estera.

 

E’ chiaro in futuro l’influenza che un grande paese come l’Italia potrà avere in una determinata parte del globo, dovrà essere improntata non solo al pieno ed incondizionato rispetto della sovranità delle entità statuali del luogo, ma anche ad una reale indipendenza economica delle stesse. Tale influenza dovrà essere esercitata soprattutto in forma politica, sfruttando le organizzazioni internazionali nonché la nostra grande capacità diplomatica, ed esclusivamente al fine di garantire la stabilità. Il ritorno economico sarà dato proprio dall’aumento delle vantaggiose transazioni economiche che notoriamente nascono nelle zone più stabili.

 

Tuttavia non possiamo ignorare di vivere in un mondo dove la politica di una nazione, per essere credibile, non solo deve essere affiancata da adeguate organizzazioni sovrannazionali e da una solida struttura economica (che possano esercitare, quando indispensabile, forti pressioni diplomatiche ed economiche), ma anche da una consistente struttura militare. Di conseguenza appare evidente che sia indispensabile aumentare in futuro le spese militari non solo con semplici aumenti di bilancio nelle annuali leggi finanziarie, ma anche con apposite leggi speciali, seguendo l’esempio di quanto fatto per la MMI nel 1975. E’ chiaro che ogni potenziamento dello strumento militare non può in nessun caso prescindere dalle capacità di proiezione, che diventano l’aspetto principale delle FF.AA. del nostro paese.

 

 

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Non possiamo purtroppo ignorare che talvolta, nonostante gli impegni profusi, le pressioni politico-economiche possono non essere sufficienti e può diventare tristemente necessaria l’opzione militare. Questa deve essere sempre esercitata tramite contingenti multinazionali e con il consenso dell’organizzazione sovrannazionale per eccellenza: l’ONU, l’unica a potere autorizzare formalmente l’uso della forza. Solo in questa maniera l’operazione militare potrà essere ed apparire assolutamente imparziale, condizione indispensabile affinché essa oltre ad essere vittoriosa sul campo di battaglia possa esserlo anche politicamente (e le vicende relative all’Iraq e all’Afghanistan dimostrano che la vittoria politica non è meno importante di quella militare).

 

Tuttavia ogni regola ha le sue eccezioni. La guerra del Kosovo del 1999 è un esempio di conflitto moralmente ineccepibile che non ebbe l’avallo ONU per cause squisitamente politiche (il governo Russo mise il veto per non alienarsi le correnti nazionaliste interne, che si sentivano vicini ai serbi per via della comune appartenenza slava). La guerra fu comunque condotta da una coalizione multinazionale (in quel caso la NATO), e la missione di pace che ne seguì vide la partecipazione anche di reparti dell’esercito russo.

 

Nel 1980 la MMI fu sola a fronteggiare la marina libica, che minacciava le imbarcazioni civili incaricate dal governo maltese di effettuare determinati rilevamenti petroliferi. E in futuro l’Italia potrà trovarsi nuovamente sola a fronteggiare un’aggressione ad un paese amico. Sicuramente in questo caso l’aggressione non proverrebbe da una grande potenza come USA, Russia, Cina, e i vari paesi europei. Infatti mentre i paesi europei hanno culturalmente abbandonato da tempo le azioni militari unilaterali, Russia e Cina, che pure non disdegnano culturalmente l’uso della forza, hanno capito che essa è controproducente nella politica mondiale di contrapposizione agli USA, a cui essi tengono sempre più. Solo gli USA sembrano credere ancora all’unilateralismo, ma probabilmente abbandoneranno presto tale politica. In ogni caso, viste le innumerevoli basi americani sul nostro territorio, appare scontato che tra i due paesi non potrà mai esserci più di una semplice divergenza di opinioni.

 

Il suddetto aggressore, se mai vi sarà, apparterrà ai cosiddetti paesi minori che, per questioni squisitamente locali, potrà essere tentato di usare per primo la forza. Il nostro apparato militare convenzionale, adeguatamente riorganizzato e rinforzato nel prossimo futuro, sarà pienamente in grado di reggere questa sfida. Ma se vi sarà una proliferazione generalizzata delle armi atomiche, allora per assolvere ai doveri internazionali assunti, potrà essere necessario disporre di un arsenale nucleare nazionale.

 

In ogni caso, se ciò avverrà, non sarà nulla di sensazionale, come alcuni di noi possono pensare. I mass-media saranno tenuti all’oscuro. Appena comincerà a trapelare qualcosa vi sarebbe subito forti smentite, e quando la cosa non potrà più essere nascosta, verrà fortemente minimizzata. Si dirà che in realtà le nostre FF.AA. hanno sempre avuto in dotazioni armi nucleari per semplice deterrenza, facendo riferimento al quelle relative al trattato della “Doppia Chiave”, le quali non saranno assolutamente smantellate. Infatti, un nostro eventuale arsenale nucleare nazionale non andrebbe a sostituire quello relativo all’accordo della “Doppia Chiave” (che basandosi su armi USA può all’occorrenza diventare tanto corposo quanto economico), né tanto meno a sostituirsi all’ombrello protettivo NATO. Semplicemente i nostri eventuali ordigni nucleari andrebbero ad affiancarsi alle nostre forze convenzionali, per affrancarle dal timore di un attacco condotto con armi NBC da parte di qualche nazione di secondaria importanza, nella ipotesi che l’Italia, per difendere un paese amico extraeuropeo, si dovesse trovare da sola a fronteggiarla.

 

Dimentichiamo quindi i film americani che ci hanno abituato a vedere il presidente seguito dall’immancabile valigetta con i codici relativi alle armi atomiche. Non perché di queste non ve ne sarebbero, anzi in armonia con il nostro sistema costituzionale di valigette ve ne sarebbero due (una per il Capo dello Stato ed una per il Capo del Governo), ma nessuno le vedrà mai (come probabilmente nessuno del grande pubblico ha mai visto l'analoga valigetta inglese, francese o cinese).

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Paladin, è un pò inutile queste tua precisazioni a carattere giuridico, Cama81 ha dimostrato di sapersi distracare benissimo in materia di Diritto....

E comunque non è solo il Trattato NATO a imporci determinati obblighi, visto che sussistono altri accordi bilaterali con gli USA per la concessione d'uso di basi e territori nazionali.

 

Inoltre se hai studiato Diritto Internazionale saprai che non è così pacifico il rango dei trattati internazionali, poichè secondo taluni in presenza di accordi permeati di una determinata forza (su tutti il trattato istitutivo dell'UE) le nrome ivi contenute sarebbero sovraordinate alle norme costituzionali interne. E secondo altri invece non avrebbero mai il potere di derogare alle norme costituzionali.....

 

 

Ci tengo sempre a precisare le cose. Deve essere una mia deformazione. E comunque ci tengo a dire che il mio intervento non era assolutamente rivolto nei confronti di cama che appunto ha dimostrato, in diverse occasioni, di sapersi districare nella giungla giuridica.

 

Visto che me la chiami però un ulteriore precisazione la faccio: Dottrina maggioritaria e soprattutto la giurisprudenza della Corte Cost. negano la possibilità di riconoscere ai trattati internazionali il rango di norme sovraordinate alle norme Cost. perchè, se così fosse, avrebbero la possibilità di derogare ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico (principi che stanno al di sopra delle norme Costituzionali e che sono portatori di valori assoluti e fondanti il nostro ordinamento democratico). ;)

 

Detto ciò, nulla da dire sull'ottima ricostruzione fatta da Rick.

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Maggioritaria: Nega sovraordinazione dei trattati alle norme cost.; ne afferma la parificazione; quindi impossibilità per legge ordinaria di derogare alle norme cost.

Dov'è la cosa oscura?

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