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8 Settembre


Dave97

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Testo dello Short Armistice firmato dal governo Badoglio con gli Alleati

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Le seguenti condizioni d'armistizio sono presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate, il quale agisce per delega dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e nell'interesse delle Nazioni Unite, e sono accettate dal maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo italiano.

 

1) Cessazione immediata di ogni attività ostile da parte delle forze armate italiane.

2) L’ Italia farà ogni sforzo per negare ai tedeschi tutto ciò che potrebbe essere adoperato contro le Nazioni Unite.

3) Tutti i prigionieri e gli internati delle Nazioni Unite dovranno essere consegnati immediatamente al comandante in capo alleato, e nessuno di essi potrà ora, o in qualsiasi altro momento essere trasferito in Germania.

4) Trasferimento immediato della flotta italiana e degli aerei italiani nei luoghi che saranno designati dal comandante in capo alleato, secondo le disposizioni sul loro disarmo che saranno da lui descritte.

5) Il naviglio mercantile italiano potrà essere requisito dal comandante alleato per supplire alle necessità del suo programma militare-navale.

6) Resa immediata della Corsica e di tutto il territorio italiano, sia delle isole che del continente, agli alleati, per essere usati come basi di operazioni e per altri scopi, secondo le decisioni degli alleati.

7) Garanzia immediata del libero uso da parte degli alleati degli aeroporti e basi marittime in territorio italiano, senza tener conto dello sviluppo dell'evacuazione del territorio italiano da parte delle forze tedesche. Questi porti ed aeroporti dovranno essere protetti dalle forze armate italiane finchè questo compito non sarà assunto dagli alleati.

8) Immediato richiamo in Italia delle forze armate italiane da ogni partecipazione alla guerra in qualsiasi zona in cui si trovino attualmente impegnate.

9) Garanzia da parte del governo italiano che se necessario impiegherà tutte le sue forze disponibili per assicurare la sollecita e precisa esecuzione di tutte le condizioni d'armistizio.

10) Il comandante in capo delle forze alleate si riserva il diritto di prendere qualsiasi misura che egli ritenga necessaria per la protezione degli interessi delle forze alleate per la prosecuzione della guerra, e il governo italiano si impegna a prendere quelle misure amministrative o di altro carattere che potranno essere richieste dal comandante in capo, e in particolare il comandante in capo stabilirà un governo militare alleato su quelle parti del territorio italiano che egli riterrà necessario nell'interesse militare delle Nazioni Alleate.

11) Il comandante in capo delle forze alleate avrà pieno diritto di imporre misure di disarmo, di smobilitazione, di smilitarizzazione.

12) Altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario,che l'Italia dovrà impegnarsi ad eseguire saranno trasmesse in seguito.

 

8 Settembre, Mondadori 1973

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La commedia degli equivoci

 

Il Re e Badoglio si illudevano di avere ampi margini per negoziare che l'uscita dell'Italia dal conflitto potesse in qualche modo essere «pagata» dagli alleati con robuste concessioni

 

Il 2 agosto parte per Lisbona il marchese Blasco Lanza d' Ajeta, nominato primo segretario presso la nostra legazione in quella capitale.

Deve prendere contatti con l'ambasciatore inglese Ronald Campbell, e lo fa il 4 agosto, comunicandogli il desiderio dell'Italia di uscire dalla guerra.

Ma non è in grado di proporre e di accettare nulla.

Per di più la sua impossibilita di comunicare segretamente e ampiamente con l'Italia lo colloca nella situazione di una lettera che, una volta aperta, non serve più.

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Quello stesso 4 agosto vola in aereo a Tangeri un altro diplomatico, Alberto Berio, che sostituisce nel consolato generale d'Italia un figlio del maresciallo,Mario Badoglio.

Questi ha stretto laggiù rapporti cordiali con il collega britannico, Sir Joseph Gascoigne, e ne ha riferito al padre, il quale si illude evidentemente sui possibili sviluppi dell'iniziativa

********

Intanto il 6 agosto si tiene a Tarvisio una riunione che ha dell’irreale, a un lato del tavolo ci sono Ambrosio e il nuovo ministro degli esteri Guariglia, dall'altro von Ribbentrop e il feldmaresciallo Keitel.

Gli interlocutori si guardano in cagnesco e le reciproche domande sono improntate al massimo dei sospetti.

I tedeschi ci chiedono apertamente se avevamo iniziato trattative separate con gli alleati; gli italiani rispondono che resteranno in guerra ma nello stesso tempo vogliono sapere perchè tante divisioni germaniche stavano entrando in Italia, attestandosi soprattutto nei dintorni di Roma.

Keitel non svela che il suo Quartier Generale aveva già messo a punto il piano Alarico che minuziosamente prevedeva non solo l'occupazione militare dell'Italia ma anche l'arresto del Re e di Badoglio.

Guariglia non fa cenno che l'ambasciatore D' Ajeta già si trovava a Lisbona per avviare i primi cauti sondaggi per un armistizio.

La commedia degli inganni era in pieno svolgimento.

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Churchill, che naviga sulla Queen Mary per raggiungere Quebec, dove si incontrerà con Roosevelt, è stizzito da questa sequela di messaggi e messaggeri la cui molteplicità gli sembra «pretesto per prendere tempo :

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Berio, interprete, come Lanza d' Ajeta, delle istruzioni di Guariglia, insiste sul punto che l'Italia è disposta a trattare.

Eden stesso, dopo avere ricevuto istruzioni da Churchill (che a Quebec aveva messo a punto con Roosevelt sia l'atteggiamento da tenere con l'Italia, sia il grande piano strategico delle tre operazioni di sbarco:

Overlord in Francia, Bayton in Calabria, Avalanche a Salerno), faceva pervenire in quei giorni a Berio una comunicazione chiarissima:

«Non possiamo negoziare, ma esigiamo la resa incondizionata.

Questo significa che il governo italiano deve tenersi a disposizione dei due governi alleati, i quali gli faranno successivamente conoscere i loro propositi ».

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Naturalmente una resa incondizionata è un atto tra militari.

Adatti ad offrirla e ad accettarla; non erano dei diplomatici, ma degli ufficiali.

Nasce cosi, quando Badoglio e Guariglia sanno della reazione alleata, la missione del generale Giuseppe Castellano.

Senonchè, Castellano viene tenuto all'oscuro sia della missione Lanza d' Ajeta sia della missione Berio, e ignora la rigidità alleata sul punto della resa incondizionata.

Peggio ancora: si illude di andare a discutere la nuova collaborazione tra gli alleati e l'Italia, contro i tedeschi, non a sanzionare una sconfitta militare.

Dal canto loro, in un convulso scambio di note e contro-note tra governi e comandi, gli alleati hanno messo a punto quella che sarà la tattica, alquanto sleale, applicata a Cassibile: in primo luogo riuscire a far accettare agli italiani una «bozza corta – short armistice - » dell'armistizio cosicchè, annota Churchill, « si consegneranno a noi legati mani e piedi », e quindi propinare la « bozza lunga – long armistice » che contiene altre imposizioni e dure clausole.

 

Tratto da : I Disperati

8 Settembre

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Il 2 e 4 agosto Napoli subisce altre due pesanti incursioni.

L'11 tocca a Terni ad essere devastata con oltre 500 tra morti e feriti tra la popolazione.

Il 13 agosto un altro duro fendente viene calato su Rama.

Malgrado la presenza in volo di una settantina di caccia italiani e tedeschi solo 7 velivoli sui 432 in azione sarebbero stati abbattuti (più altri 3 dalla controaerea).

Una percentuale davvero irrisoria, se si tiene conto che l'azione era avvenuta in pieno giorno.

Molte bombe cadono sulle abitazioni civili dei quartieri Casilino, Tiburtino, Portonaccio, Appio e Tuscolano, provocando distruzioni e vittime tra la popolazione.

L'immediata conseguenza del nuovo attacco fu la proclamazione di Roma «città aperta»: tutti i Comandi militari sarebbero stati trasferiti e la stessa controaerea non avrebbe più aperto il fuoco sul cielo della capitale.

Ma ben altri colpi e di maggiore gravità stavano per abbattersi sulle città del Nord.

Il Comando bombardieri britannico aveva messo a punto una serie di missioni con lo scopo di rendere praticamente improduttive ai fini bellici e civili le città di Torino e di Milano. Sarebbero stati impegnati 1370 quadrimotori carichi di 4000 tonnellate di bombe e 400.000 spezzoni incendiari.

Il primo attacco su Torino e Milano avviene nella notte fra il 12 e il 13 agosto.

Nel capoluogo lombardo la saturazione delle bombe in un'area ristretta è tale da rischiare di provocare un'altra Amburgo, la città tedesca appena devastata dalla «tempesta di fuoco» degli incendi.

Non c'è pezzo della Milano storica che non subisca immense devastazioni.

Sia a Torino che a Milano gli impianti industriali, dalla Fiat alla Breda, dalla Riv alla Pirelli, dall' Alfa Romeo alla Grandi Motori, subiscono danni tali da dover ridurre al minimo la produzione.

Le vittime civili sarebbero ascese a 1600, i feriti a 3600 e a quasi mezzo milione i senzatetto .

Nell'ultima incursione su Milano il mitragliere di un bomdiere inglese si chiede, vedendo dall'alto quel mare di distruzioni e di fiamme, perchè si continuasse a sganciare bombe: «secondo me» dirà «non c'era più niente da bombardare».

Quelle tremende incursioni terroristiche avrebbero subito innescato roventi polemiche (proseguite anche nel dopoguerra).

Alla Camera dei Comuni il leader laburista Bevan criticò il governo per la mano pesante usata proprio sulle città italiane che più delle altre, con i loro scioperi, avevano manifestato vivi sentimenti antifascisti.

Churchill si difese sostenendo che la durezza degli attacchi doveva convincere Badoglio e casa Savoia a gettare definitivamente la spugna.

In effetti, appena si seppe dell'intenzione italiana di trattare la resa, gli attacchi aerei,almeno nel Nord Italia, cessarono.

 

Tratto da : I Disperati

Modificato da Dave97
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Già il 10 agosto Badoglio ha finalmente rotto il suo enigmatico silenzio anche verso collaboratori strettissimi.

Ambrosio è stato informato che bisogna munire di ampie credenziali un addetto al comando supremo, e inviarlo a Lisbona perchè prenda contatti con gli alleati.

L'emissario scelto è appunto Castellano, cui viene affiancato come buon conoscitore dell'inglese - l'abbinamento durerà fino a Cassibile - il console Franco Montanari.

Prima di partire in treno, il 12 agosto, Castellano non vede Badoglio, per quanta possa sembrare assurdo.

Incontra il ministro degli Esteri Guariglia, a palazzo Chigi, per pochi minuti, e ne riceve direttive tanto vaghe quanto velleitarie.

« Deve cercare di abboccarsi con gli ufficiali dello Stato Maggiore anglo-americano, esporre la nostra situazione militare, sentire quali sono le loro intenzioni, e soprattutto dire che noi non possiamo sganciarci senza il loro aiuto. Consigli uno sbarco a Nord di Roma, e un altro in Adriatico. Uno sbarco a Nord di Rimini risolverebbe da solo la situazione perchè i tedeschi, minacciati sul fianco delle proprie linee di comunicazione, sarebbero costretti a ripiegare dall'Italia centrale a difesa dei passi alpini»

 

Non si sa, in queste istruzioni, cosa vogliamo essere: se degli strateghi che indicano agli alleati quali piani debbano attuare, o dei bambini spauriti che vogliano essere sottratti alle grinfie del cattivo lupo mannaro.

 

Il 15 agosto Castellano è a Madrid dove sir Samuel Hoare, uomo di grande•levatura e intuito, si mostra cordiale e premuroso.

La sera del 16 giunge a Lisbona, e la mattina successiva vede l'ambasciatore Ronald Campbell.

Ma i suoi interlocutori debbono essere militari.

Sono stati scelti nelle persone del generale americano Walter Bedell Smith, capo di Stato Maggiore di Eisenhower, e del generale inglese Kenneth Strong, capo del servizio informazioni del comando alleato nel Mediterraneo.

I due, arrivano a Lisbona il 19 agosto.

Hanno avuto le ultime istruzioni da Churchill e da Roosevelt, che sono sempre a Quebec, e che il 17 agosto vi hanno convocato i capi dello Stato Maggiore congiunto.

In quella occasione si stabilisce che, insieme al documento della resa incondizionata, venga consegnato a Castellano un secondo documento contenente la promessa generica che le clausole dell'armistizio saranno attenuate in relazione all'apporto del popolo e delle forze armate italiane alla lotta contro i tedeschi.

 

La sera di giovedì 19 agosto, nella residenza di Ronald Campbell , Castellano incontra i rappresentanti militari alleati, che sono rigidi e formali.

Non salutano, non stringono la mano, si limitano a un cenno del capo.

I convenuti siedono sulle poltrone e sul divano di un salotto. Smith dice secco: « Mi risulta che siete venuto per chiedere i termini di un armistizio. Ecco le condizioni »

Legge i dodici articoli dello short military armistice e aggiunge: « Questi termini non possono essere discussi, ma solo accettati integralmente. Tuttavia debbo leggervi il testo di un telegramma che ho ricevuto adesso da Quebec, a firma di Roosevelt e Churchill ».

Si trattava del già citato documento di Quebec.

Castellano vede subito sfumare i suoi sogni di negoziatore: quei sogni che in un certo senso aveva condensati prima della partenza in un promemoria sottoposto ad Ambrosio, e da Ambrosio integralmente approvato, e recepito come fosse opera propria.

Castellano pensava di essere accolto quasi come un nuovo alleato, e invece si trova davanti all'esigenza di rispondere si o no a un diktat già preparato, e non modificabile.

« Il mio compito », replica Castellano tramite la traduzione di Montanari, « è di esporre la situazione politica dell'Italia, di offrire la partecipazione delle truppe italiane alla lotta contro i tedeschi, e di rendere questa collaborazione effettiva ed efficace ».

Smith non si fa commuovere, dichiara che l'alta politica è riservata a Roosevelt e a Churchill, assicura in ogni modo che gli alleati metteranno in ginocchio l'aviazione tedesca portando in Italia le loro forze aeree.

Affermazione perfettamente credibile per Castellano, in quanto proprio in quei giorni la penisola era battuta da una serie di indiscriminati e terroristici bombardamenti.

I rappresentanti alleati sospettano che l'Italia voglia saltare dalla parte dei vincitori senza una resa formale e non si smuovono dalle loro tesi.

Il lungo incontro dalla sera si protrae fino alle sette e mezzo del mattino - ha spesso l'andamento di un dialogo tra sordi, e a volte un andamento proficuo.

Castellano riceve assicurazione che la Marina da guerra sarà trattata dignitosamente, che la nostra bandiera non sarà ammainata sulle navi.

Il delegato italiano sottolinea inoltre quanto talune clausole - come quella del ritiro delle forze dislocate fuori dai confini, o della consegna degli aeroporti agli alleati - siano irragionevoli e contrastanti con la realtà della presenza tedesca.

Smith, cui sta a cuore che l'Italia firmi, ha una risposta per tutto.

Le truppe di oltre frontiera si spostino verso le coste: mezzi alleati le raccoglieranno.

Quanto alla consegna degli aeroporti e dei prigionieri alleati, non si chiede ciò che è inattuabile, replica.

Bedell Smith si chiude in uno scudo di impenetrabilità quando il generale italiano vuole sapere da lui dove e quando avverrà lo sbarco principale in Italia e ottenere che la data dell'armistizio sia conosciuta con una quindicina di giorni di anticipo, affinchè, in base al piano di invasione, possa essere predisposta la difesa e la protezione del governo e della famiglia reale (è curioso come in queste trattative il problema di mettere al sicuro il re e i ministri prevalga, nelle ansie dei negoziatori, su quello di salvare centinaia di migliaia di soldati).

L'annuncio, spiega Smith, precederà di poche ore lo sbarco principale: gli italiani ne saranno preavvisati nella giornata stessa.

Finalmente ci si occupa delle modalità attraverso le quali il governo italiano comunicherà la sua accettazione.

Il generale italiano viene munito di una radio ricevente e trasmittente, occultata in una anonima valigetta.

Si provvede a escogitare un cifrario con un libro italiano reperito a Lisbona, infine si fissa per il 30 agosto il termine entro il quale l’approvazione di Roma sarà comunicata.

Se ci sarà il si di Badoglio, è previsto un nuovo incontro il primo settembre in Sicilia.

 

Tratto da: 8 Settembre, Mondadori

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Castellano resta a Lisbona fino al 23, e giunge a Roma all' alba del 27 agosto.

Il governo, che non ha predisposto alcun efficace stratagemma per comunicare con lui, è rimasto all'oscuro di tutto per due settimane.

Roma, dunque, per molto tempo rimane senza notizie di Castellano. Allora si pensa a una nuova missione.

Viene scelto il generale Giacomo Zanussi, che prende la via di Lisbona la mattina del 24 agosto.

Quando giunge a Lisbona, viene a sapere che Castellano è gia sulla via del ritorno.

 

Anche in campo alleato non manca la confusione.

Stalin, informato degli approcci italiani, è sospettoso e irritato perchè tutto si svolge a sua insaputa, e propone che sia formata una commissione politico-militare con rappresentanti delle tre grandi potenze anti-Asse, e che la commissione abbia sede in Sicilia.

 

La mattina del 28 Castellano si reca nell'ufficio di Badoglio al Viminale, dove c’è anche Guariglia.

La scena è alquanta penosa.

Badoglio tace, corrucciato, ascoltando il resoconto del delegato; Guariglia s'infuria, e rimprovera a Castellano di aver promesso e trattato più di quanto fosse autorizzato a fare.

«Il maresciallo », annoterà Castellano in un diario, «mi diede l'impressione di un imbecille. Evidentemente la paura domina Guariglia ».

Tutti sono angustiati dall'esigenza alleata di porre solo poche ore tra l'annuncio dell'armistizio e lo « sbarco principale », laddove Badoglio vorrebbe un preavviso di un paio di settimane.

Guariglia pensa, evidentemente, che Castellano ha impasticciato tutto e propone che un diplomatico riprenda in mano le fila della matassa. Ma Badoglio, Ambrosio e Carboni si oppongono risolutamente a tale proposta.

Guariglia fa allora preparare un memorandum da consegnare agli alleati.

Si tenta di scaricare la decisione ultima sul re, dal quale si recano, la mattina del 29, Badoglio, Guariglia e Ambrosio.

Ma Vittorio Emanuele restituisce subito la palla, dicendo che Badoglio deve decidere, e che poi lui si limiterà a porre la firma alla risoluzione presa legittimamente dal governo.

Badoglio vorrebbe trovare una scappatoia; una risposta agli alleati di accettazione dell'armistizio, ma non la sua proclamazione contemporaneamente allo sbarco principale.

Castellano, che ha avuto a che fare con Smith e Strong, e sa in quale modo inglesi e americani affrontino e trattino il problema dell'armistizio, spiega che sarebbe inutile inviarlo in Sicilia a far delle chiacchiere.

Badoglio lo ammonisce, sbattendo il pugno sul tavolo, che quelle in cui si sta impicciando «sono questioni di governo e che lui dovrà soltanto ripartire con le istruzioni opportune. »

Badoglio, evidentemente, si culla ancora nella illusione di poter discutere, negoziare, attenuare.

 

Ma gli alleati hanno fretta.

Premono su Badoglio, tramite D' Arcy Osborne , cui è pervenuto finalmente un cifrario nuovo di zecca , facendo sapere che il giorno successivo, 31 agosto, Castellano è atteso in. Sicilia.

Nello sforzo convulso di mantenere una certa libertà, il governo Badoglio affida a Castellano un messaggio che intende essere astuto e, come al solito, rischia di apparire ai sospettosi anglo-americani una scappatoia per tergiversare.

Vi si annuncia, con chiarezza, che il governo italiano ha deciso di denunciare l'alleanza con la Germania; che « cessa le ostilità contro le Nazioni Unite accettandone le condizioni »; che viene richiesto l'urgente aiuto delle truppe alleate; e infine, che « se l'Italia avesse libertà di azione politica e militare, chiederebbe senz'altro l'armistizio », ma aggiunge che «l'Italia non può farlo subito perchè le forze militari italiane che si trovano in contatto con quelle tedesche sono in enorme condizione di inferiorità ».

Pertanto l'armistizio potrà venire solo quando, «in seguito a sbarchi degli alleati con contingenti sufficienti ed in località adatta, cambiassero le attuali condizioni »

Infine che « il latore di questo documento è autorizzato a fornire al generale Eisenhower tutte le delucidazioni ».

 

 

Castellano è frastornato, non a torto, da un tale accavallarsi di istruzioni poco chiare, a volte contraddittorie, e soprattutto poco aderenti alle informazioni che egli aveva fornito dopo la missione a Lisbona.

Prima di tornare nelle fauci degli alleati annota sul suo diario: «In questa situazione, con un imbecille come capo del governo, e con un codardo come ministro degli Esteri, non si può prendere nessuna via maestra »

Castellano raggiunge in aereo, il 31 agosto, Termini Imerese, dove viene rilevato da Smith e Strong e condotto ancora in aereo nei pressi di Siracusa, e successivamente a Cassibile.

L'arrivo del delegato è stato comunicato agli anglo-americani grazie alla radio che Castellano aveva ricevuto in consegna a Lisbona.

A Cassibile cominciano immediatamente i colloqui.

Castellano, cerca di destreggiarsi.

Spiega che l'Italia ha la migliore buona volontà di arrendersi, anzi di collaborare, ma che, da quando egli ha descritto la situazione a Lisbona, le cose sono cambiate, e nettamente in peggio.

I tedeschi hanno continuato a inviare truppe.

Per questo non è sensato dare l'annuncio dell'armistizio prima che . siano già sbarcati in Italia consistenti reparti anglo-americani.

Inoltre Castellano, interprete delle istruzioni di Badoglio, insiste per sapere dove e quando gli alleati sbarcheranno in forze.

 

Da quell'orecchio il generale americano e il generale inglese assolutamente non ci sentono.

Vogliono un si o un no, e minacciano terribili rappresaglie aeree se l'Italia non cede.

L'atteggiamento dei governi alleati e di Eisenhower produrrà, visto alla luce dei successivi avvenimenti, pessimi frutti.

Ma non può essere definito irragionevole.

L'Italia è ancora una nazione nemica.

Nessuno può garantire agli alleati che i delegati italiani, una volta informati dei loro piani di guerra, non si precipiteranno a riferirli ai tedeschi.

Certo le operazioni sono state concepite con forze insufficienti, e con strategia miope.

Lo sbarco di Salerno è troppo meridionale, lascia scoperta Roma e dà agio ai tedeschi di organizzare la resistenza.

 

Castellano non riesce dunque a sapere assolutamente nulla di certo. Ma, basandosi su congetture, crede di poter stabilire, anzitutto, che lo sbarco principale avverrà non lontano da Roma; e lo deduce da una assicurazione di Smith che gli alleati sbarcheranno il più a Nord possibile, «compatibilmente con la copertura aerea».

Peggio ancora, Castellano si culla nella sua illusione che, essendo stata usata l'espressione «entro due settimane » per la proclamazione dell'armistizio, si arriverà con tutta probabilità al 12 settembre.

La conversazione del mattino è spigolosa, tanto che gli alleati, irritati, pensano perfino di trattenere Castellano in Sicilia e di rispedire a Roma Montanari e il generale Zanussi che da Lisbona era approdato a Cassibile con itinerario tortuoso.

Nel pomeriggio, l'atmosfera è più e nel congedarsi da Castellano, gli alleati ribadiscono il punta fondamentale.

L'armistizio dovrà essere proclamato contemporaneamente allo sbarco principale.

La sera del 31 Castellano è di ritorno a Roma e riferisce ampiamente ad Ambrosio sui risultati della sua missione, precisando il punto di vista degli alleati.

« Se il governo italiano insiste nel non voler proclamare la cessazione delle ostilità nella stesso giorno dello sbarco in forze, contrariamente a quanto il generale Eisenhower ha stabilito con l'approvazione di Londra e di Washington, non avrà più in avvenire alcun potere per trattare con i militari, e quindi per concludere l'armistizio.

Se ciò avvenisse, si dovrebbe indire una conferenza tra i diplomatici delle nazioni alleate che, meno favorevolmente disposti nei nostri riguardi dei militari, ci imporrebbero condizioni ben più gravi ».

La mattina successiva, 1 settembre, nell'ufficio di Badoglio al Viminale si riuniscono, con il capo del governo, Castellano, Ambrosio, il ministro degli Esteri Guariglia, il ministro della Real Casa Acquarone e il generale Carboni.

Castellano ripete quel che è avvenuto a Cassibile, ed esibisce anche un verbale dei colloqui che lascia chiaramente capire ai presenti come siano inesistenti le possibilita di indurre gli alleati a una maggiore flessibilità.

Nel verbale si minaccia la distruzione di Roma «se necessario», qualora gli italiani non accettino, «senza tener conto dell'opinione pubblica cattolica »; si localizza «a Sud di Roma » dove avverrà lo sbarco principale ; si suggerisce che il Re e la famiglia reale si trasferiscano a Palermo, che gli alleati sono disposti•a evacuare, «e dove in una certa misura la sovranità italiana potrebbe essere ristabilita»; si precisa che «l'opinione pubblica anglo-americana non potrà mai accettare che l'armistizio venga concluso dopo lo sbarco».

Gli alleati sostengono che negli Stati Uniti e in Inghilterra non sarebbe tollerata la prospettiva di perdite di uomini ad opera degli italiani, quando già l'Italia e gli alleati avessero messo nero su bianco le condizioni di armistizio.

La mattina del 2 settembre, Castellano parte per Termini Imerese, su un aereo pilotato dal maggiore Vassallo, il pilota di fiducia di Ambrosio, per la firma dello short armistice.

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Alle 17 in punto del 3 settembre 1943 il generale americano Walter Bedell Smith, capo di Stato Maggiore di Eisenhower, raggiunge a Cassibile la tenda dove dal giorno precedente sono ospitati, e praticamente confinati, i tre delegati del governo Badoglio venuti in Sicilia per firmare il documento che porrà fine allo stato di guerra tra l'Italia e gli anglo-americani.

Anzi, il vero delegato è uno solo, il generale di brigata Giuseppe Castellano.

Lo affiancano il console Franco Montanari, parente di Badoglio - che funge da interprete - e il maggiore Luigi Marchesi.

Il comando alleato è installato tra gli ulivi, nei pressi di un oscuro paese siciliano, Cassibile, che acquisterà, per il dono della cronaca. rinomanza duratura.

Jeeps, autocarri, motociclette vanno e vengono sollevando un polverone.

I tre italiani sono turbati.

Hanno vissuto ore di estrema tensione, e non possono dimenticare la scena dell'irruzione nella loro tenda del generale inglese Harold Alexander, comandante delle forze di terra alleate operanti in•Italia, mentre si aspettava da Roma un telegramma che autorizzasse esplicitamente Castellano a firmare l'armistizio.

In alta uniforme, stivali lucidi, Alexander aveva apostrofato duramente gli italiani:

« Siete dei rappresentanti o delle spie?

So che non avete i pieni poteri, e questa è una maniera molto buffa di trattare da parte del vostro governo »

I tre sono sottoposti a una pressione spietata.

Anche questo «inizio della fine » di una guerra sciagurata è punteggiato di stupidaggini, meschinità, inutili machiavellismi, incertezze.

Finalmente il messaggio del governo di Roma è nelle mani degli alleati.

Dice: «Il generale Castellano è autorizzato dal governo italiano a firmare l'accettazione delle condizioni di armistizio».

E Bedell Smith, come si è visto, non perde tempo.

Gli italiani sono accompagnati nella grande tenda della mensa dello Stato Maggiore.

«Eisenhower », riferisce Castellano, « è in piedi dietro un grosso tavolo. Sono presenti, oltre a Walter Bedell Smith, il generale Strong, il generale Rooks capo del reparto operazioni, il commodoro Dick e il capitano Dean, interprete.

Mentre sto per entrare sotto la tenda, ne escono due borghesi in maniche di camicia.

Sono i consiglieri diplomatici di Eisenhower che non rimarranno presenti per sottolineare così, con maggiore evidenza, che l'armistizio è un fatto prettamente militare».

I due «consiglieri» sono l'americano Robert Murphy e l'inglese Harold Macmillan, il futuro primo ministro.

Castellano è in doppiopetto scuro.

Nega che, tratta di tasca una penna, questa si sia rifiutata di funzionare. Sostiene soltanto che il diplomatico Franco Montanari volle prestargli la sua, ed egli non gli negò questa piccola soddisfazione.

Castellano inforca gli occhiali, siede al tavolo sui quale è poggiato un telefono, sottoscrive tre copie del «corto armistizio »,per delega del maresciallo Badoglio.

Quindi Smith, che lo aveva osservato rimanendo in piedi, appone la sua firma per delega del generale Eisenhower.

Sono le 17,15.

Eisenhower si avvicina a Castellano e gli stringe la mano.

Si brinda.

I militari alleati indossano la divisa kaki estiva, con la camicia a maniche corte; gli italiani sono tutti in borghese.

Sono ammessi i fotografi, che scattano alcune istantanee.

Si serve del whisky.

Eisenhower, che non ha voluto sanzionare con la sua firma quello

« sporco affare », uscendo dalla tenda stacca una fronda di ulivo da un albero, e la sventola in segno di pace.

Il «corto armistizio » che Castellano ha firmato è in sostanza la resa incondizionata che gli alleati hanno sempre preteso, con in più impegni di collaborazione come la protezione dei porti e degli aeroporti « finchè questo compito non sarà assunto dagli alleati ».

Al documento principale è stato peraltro allegato un promemoria, il cosiddetto «documento di Quebec », che lo si precisa chiaramente all'inizio «non contempla l'assistenza attiva dell'Italia nel combattere i tedeschi », ma prevede che «la misura nella quale le condizioni saranno modificate in favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'apporto dato dal govemo e dal popolo italiano alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra ».

Castellano spera, a questa punto, che le emozioni siano finite.

Ma gliene viene riserbata una grossa.

Il generale Alexander illustra puntigliosamente, con molti particolari, la portata dei termini dell'armistizio , nel frattempo Eisenhower è ripartito per Algeri.

Tocca a Bedell Smith, a questa punto, un compito ingrato: propinare a Castellano, dopo il «corto armistizio », l'armistizio lungo, previsto da quello «corto» e ricco di clausole ancora più particolareggiate e vessatorie.

Il delegato italiano ignorava l'esistenza di una simile «appendice».

«Questo documento », precisa Smith, «è identico a quello che l'ambasciatore inglese a Lisbona ha consegnato al generale Zanussi »

Ma il documento affidato a Zanussi ha seguito chissà quali vie traverse, tanto che Badoglio e Ambrosio giureranno sempre di non averne conosciuto l'esistenza prima che Castellano ne parlasse. Castellano stesso se lo vede piombare addosso inaspettato:

«Che novita è questa? », protesta.

«Non so se il mio governo, conoscendo queste condizioni, avrebbe firmato l'armistizio ».

Al soprassalto di indignazione segue la rassegnazione, anche perchè gli alleati, essendosi resi conto di come il delegato italiano sia ben disposto e volonteroso, non vogliono giocarselo.

E Bedell Smith ripete che tutte quelle clausole saranno modificate sulla scia degli avvenimenti, e che il lungo armistizio rimarrà segreto. Castellano promette a sua volta, secondo una versione dell'americano Murphy, «di tener nascosto il documento al Re e a Badoglio sino a quando non si siano pubblicamente impegnati per la proclamazione dell'armistizio ».

Gli alleati non mollano la presa.

Hanno fretta, una terribile fretta.

I loro piani procedono, tutte le date sono fissate (anche se Castellano non lo sa).

Hanno inoltre paura che Badoglio venga spazzato via da un momento all'altro, e che la fatica occorsa per piegarlo, l'opera di convincimento esercitata su Castellano, la adesione del re, tutto vada in fumo.

 

8 settembre , Mondatori 1973

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