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La Grande Giostra


Dave97

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La Grande Giostra è la storia di un pilota da caccia francese durante la seconda guerra mondiale.

L'autore, Pierre Clostermann, descrive gli estenuanti turni d'allarme, le azioni belliche contro obiettivi in volo e al suolo, i pattugliamenti di scorta ai bombardieri che lo hanno visto protagonista, dal 1943 al 1945, insieme con piloti francesi, inglesi, canadesi, neozelandesi e alleati inquadrati negli stessi reparti in cui ha prestato servizio, tutti impegnati a fronteggiare, respingere e inseguire i temibili avversari tedeschi della Luftwaffe.

Usando uno stile semplice, sintetico ma preciso dal punto di vista aeronautico, senza indugiare su particolari troppo tecnici, Clostermann ci offre un documento di primaria importanza sulla guerra aerea e nello stesso tempo una testimonianza umana di grande valore ed efficacia.

Leggendo questo libro il lettore rivivrà - nello stretto abitacolo del più celebre caccia inglese, lo Spitfire, o dei poderosi monomotori Typhoon e Tempest - le angosce, i timori, i pericoli, lo sconforto, gli entusiasmi di un soldato impegnato in difficili missioni d'attacco di giorno e di notte, con il sole o la nebbia, la pioggia o le nuvole.

Con l'avvento dei missili , l'epoca dei duelli aerei ravvicinati, combattuti a raffiche di mitragliatrice o di cannoncino, sembra molto lontana dalla realtà odierna e più vicina a quella dei cavalieri del cielo della prima guerra mondiale.

Ma è proprio per questo che il libro di Clostermann, assume un significato particolare sul piano storico.

Con le oltre 600.000 copie vendute dal 1948, anno della sua prima pubblicazione in Francia, La Grande Giostra è uno dei testi d'aviazione di maggior successo.

 

Pierre Clostermann, nato nel 1921 in Brasile, alla vigilia della seconda guerra mondiale si trova negli Stati Uniti per seguire corsi di ingegneria aeronautica.

Dopo la sconfitta della Francia nel giugno 1940, raggiunge Londra e diventa pilota dell'aviazione della Francia libera, inquadrata nei reparti della RAF.

In circa due anni, conquista nei cieli europei il titolo di asso della caccia francese con 33 vittorie omologate.

Pluridecorato, a soli trent'anni grande ufficiale della Legion d'Onore, è eletto per otto legislature all' Assemblea nazionale. In seguito ottiene importanti incarichi in industrie aeronautiche americane e francesi.

Tra i suoi libri sono stati tradotti in Italia - Fuoco dal cielo - e -- La guerra nell' aria -.

Modificato da Dave97
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Ne ho sentito parlare molto bene. Chi lo ha letto potrebbe confermarmi, o meno, se Clostermann parlando del Tempest lo descrive in grado di raggiungere 820 km/ora in orizzontale e 1100-1200 in picchiata! (il valore in picchiata è comprensibile, anche se errato, dati gli effetti di compressibilità, quello orizzontale è errato e basta). Lo si può leggere nella vecchia enciclopedia Mach1.

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Lo HAWKER TEMPEST V, col suo formidabile motore Napier-Sabre di 24 cilindri ad H, era il caccia più moderno non solo della RAF, ma di tutte le forze alleate.

Ne risultò una magnifica macchina per la guerra aerea.

Elegante, nonostante il grosso radiatore che gli dava un aspetto prepotente e protervo, il Tempest era d'una finezza incredibile. Molto pesante, disponeva, nonostante le sue sette tonnellate di peso al decollo, d'un considerevole eccesso di potenza, grazie ai 2850 cavalli del suo motore, e aveva un'accelerazione fenomenale.

Evidentemente, pilotarlo era duro, ma le sue caratteristiche di volo compensavano il rischio.

In superpotenza si poteva spingere il motore fino a 3000 cavalli e 4000 giri, e la velocità saliva a oltre 800 chilometri l'ora.

In supervelocità, il Tempest era l'unico apparecchio alleato che raggiungesse normalmente, senza inconvenienti sensibili nel pilotaggio, velocità d'ordine sonico, cioè perfino i 1200 chilometri l'ora. .

Col suo raggio d'azione operativo di ottocento chilometri, coi suoi quattro cannoncini da 20 millimetri e ottocento colpi disposti nei quattro serbatoi di alimentazione (vale a dire quasi venti secondi di fuoco) e 1800 litri nei serbatoi, il Tempest era il corsaro ideale del giorno, degno di stare alla pari del Mosquito, corsaro della notte.

I primi due gruppi di Tempest (3° e 56° della RAF) erano stati equipaggiati e spediti, nel giugno 1944, contro le bombe volanti, le V-1, che minacciavano Londra.

Quasi novecento V-1 esplosero in alto mare sotto i loro colpi. I

Mustang e i P. 47 Thunderbolt americani, come pure gli Spitfire della RAF, non potevano raggiungere quei diabolici congegni se non in picchiata, il che diminuiva le loro possibilità di vittoria.

I Tempest invece potevano incrociare calmi a mezza potenza, poi, appena appariva una V-1, prendere posizione e sparare senza fretta, grazie alla loro fulminea velocità.

Tuttavia, questa entrata in servizio frettolosa non era stata senza inconvenienti.

Il motore Sabre assorbiva solo protestando la benzina a 150 ottani.

 

Tratto da La Grande Giostra

 

PS: il libro è facilmente reperibile in biblioteca!!!!!

Modificato da Dave97
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Dunque era proprio vero: Closterman (ma errori simili si trovano anche in altri libri di assi della caccia, come "samurai" di Saburo Sakai) forse preso troppo dai ricordi di guerra, sbaglia la potenza del motore del Tempest, la velocità orizzontale e di picchiata, il numero di V1 abbattute (638) e non considera che le migliori prestazioni del Tempest contro tali armi derivano dalla velocità a bassa quota, 625km/ora. Grazie per l'aiuto Dave!

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Beh diciamo che :

Il libro è stato scritto nel 1948, quindi i dati tecnici sul Tempest e altri aerei, potrebbero volutamente essere arrotondati per eccesso.

Per quanto riguarda i dati reali sugli abbattimenti, come testimonia Edward. Sims nel suo libro, ci vollero diversi anni prima che fossero confermati da entrambo le parti…

Se proprio dobbiamo muovere un’appunto al libro di Clostermann è che , secondo me, descrive in modo poco dettagliato le fasi dei duelli aerei mentre i libri di Sims sotto questo aspetto sono molto più coinvolgenti.

Modificato da Dave97
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Certamente è possibile che nel 1948 ancora non fossero disponibili dati certi sul numero di V1 abbattute. Ma esagerare la potenza del proprio motore e la velocità di punta, con un errore di oltre 100 km/ora è davvero troppo. Erano passati solo tre anni, va bene che la memoria gioca brutti scherzi, però...

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  • 1 anno dopo...

Ti consiglio il seguente libro, è pieno di testimonianze operative dei nostri piloti! ;)

 

9788842532378g.jpg

 

AVIATORI ITALIANI di Franco Pagliano

 

L’aeronautica militare italiana partecipò alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale con mezzi in gran parte inadeguati per quantità e caratteristiche tecniche rispetto agli altri belligeranti. L’impegno, il coraggio, lo spirito di sacrificio dimostrato da piloti e specialisti fu invece sempre di grande livello ed ebbe spesso il riconoscimento degli alleati e degli avversari. In questo libro sono descritte le storie di soldati che fecero tutti lealmente il loro dovere in un difficile conflitto, diventato ancor più complicato dopo l’armistizio quando molti di loro decisero di continuare a combattere su fronti opposti, al Nord con i tedeschi o al Sud con gli anglo-americani. Erano ufficiali e sottufficiali appartenenti ai reparti da caccia come Bordoni-Bisleri, Gorrini, Visconti, Visintini; all’assalto come Cenni e Parodi; agli aerosiluranti come Buscaglia, Erasi, Faggioni, Graziani; ai trasporti come Peroli e Setti. Uomini noti e meno noti, in gran parte morti in azione sui vari fronti.

Pagliano ha conosciuto quasi tutti i protagonisti degli episodi narrati, talvolta riuscendo ad essere anche testimone diretto, come nel caso della morte di Italo Balbo a Tobruk il 28 giugno 1940, abbattuto per errore dalla contraerea «amica». Questo libro rappresenta una significativa testimonianza del valore italiano nei cieli di guerra.

 

L'Autore

 

Franco Pagliano, nato a Genova nel 1914 e morto a Milano nel 1969, diventò ufficiale pilota nel 1936 e combatté con l’aviazione legionaria durante la guerra di Spagna. Trasferito in Africa settentrionale nel 1939, all’attività operativa affiancò quella giornalistica. Nel 1941 entrò a far parte dell’ufficio stampa del gabinetto del ministro dell’Aeronautica e dopo l’8 settembre 1943 diventò capo dell’ufficio stampa dell’aviazione della RSI. Nel dopoguerra si affermò nel settore del giornalismo aeronautico, collaborando, fra l’altro, al «Candido» di Guareschi. Ha scritto quattro libri fra cui Storia di 10.000 aeroplani (1947), ripubblicato in nuova edizione da Mursia nel 2003.

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Ti consiglio il seguente libro, è pieno di testimonianze operative dei nostri piloti! ;)

 

9788842532378g.jpg

 

AVIATORI ITALIANI di Franco Pagliano

 

L’aeronautica militare italiana partecipò alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale con mezzi in gran parte inadeguati per quantità e caratteristiche tecniche rispetto agli altri belligeranti. L’impegno, il coraggio, lo spirito di sacrificio dimostrato da piloti e specialisti fu invece sempre di grande livello ed ebbe spesso il riconoscimento degli alleati e degli avversari. In questo libro sono descritte le storie di soldati che fecero tutti lealmente il loro dovere in un difficile conflitto, diventato ancor più complicato dopo l’armistizio quando molti di loro decisero di continuare a combattere su fronti opposti, al Nord con i tedeschi o al Sud con gli anglo-americani. Erano ufficiali e sottufficiali appartenenti ai reparti da caccia come Bordoni-Bisleri, Gorrini, Visconti, Visintini; all’assalto come Cenni e Parodi; agli aerosiluranti come Buscaglia, Erasi, Faggioni, Graziani; ai trasporti come Peroli e Setti. Uomini noti e meno noti, in gran parte morti in azione sui vari fronti.

Pagliano ha conosciuto quasi tutti i protagonisti degli episodi narrati, talvolta riuscendo ad essere anche testimone diretto, come nel caso della morte di Italo Balbo a Tobruk il 28 giugno 1940, abbattuto per errore dalla contraerea «amica». Questo libro rappresenta una significativa testimonianza del valore italiano nei cieli di guerra.

 

L'Autore

 

Franco Pagliano, nato a Genova nel 1914 e morto a Milano nel 1969, diventò ufficiale pilota nel 1936 e combatté con l’aviazione legionaria durante la guerra di Spagna. Trasferito in Africa settentrionale nel 1939, all’attività operativa affiancò quella giornalistica. Nel 1941 entrò a far parte dell’ufficio stampa del gabinetto del ministro dell’Aeronautica e dopo l’8 settembre 1943 diventò capo dell’ufficio stampa dell’aviazione della RSI. Nel dopoguerra si affermò nel settore del giornalismo aeronautico, collaborando, fra l’altro, al «Candido» di Guareschi. Ha scritto quattro libri fra cui Storia di 10.000 aeroplani (1947), ripubblicato in nuova edizione da Mursia nel 2003.

 

perfetto! ora lo cerco e lo ordino. oltre a questo ne avresti degli altri? tipo quelli che posti nelle biografie degli aerei della WWII

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perfetto! ora lo cerco e lo ordino. oltre a questo ne avresti degli altri? tipo quelli che posti nelle biografie degli aerei della WWII

 

Ce ne sono parecchi, un'altro interessante è il seguente!

 

Il Barone Rosso (P. Kilduff)

 

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Così - si, con la punteggiatura - ricordo perfino Dante quando osservo la fotografia di Manfred Albrecht Freiherr von Richthofen, più noto col soprannome inglese di "Barone Rosso"; del resto appare evidente l'associazione - è il nome stesso a farla - tra il leggendario pilota e lo sfortunato re di Sicilia, Manfredi, nato Hohenstaufen. Ma questo ultimo, fra le altre cose, visse sino a trentaquattro anni, mentre von Richtofen non arrivò nemmeno a ventisei: ma, si sa, gli dei si prendono sempre giovani coloro che amano; inoltre Manfredi era uno svevo, mentre la famiglia Richtofen era originaria della Slesia - regione ora polacca, ma all'epoca parte della Germania guglielmina.

I miei sentimenti di fronte a questo personaggio, che ha assunto talvolta una eco letteraria e mitologica - perfino nei fumetti: chi non ricorda i celebri combattimenti tra il Sopwith Camel di Snoopy (in realtà la sua cuccia...) e il fantomatico barone? - sono combattuti: ammirazione, rispetto, timore, un po' di dubbio. Un assassino, un eroe: questi gli estremi entro il quale si muove la sua figura di giovane pilota di caccia - tuttavia, ed è qui il punto che mi preme sottolineare,l'aura leggendaria ed eroica che circonda non solo lui, ma tutta l'aviazione della Prima Guerra mondiale richiede qualche riflessione: cosa, beninteso, non poi molto difficile. Appare infatti subito evidente che il fascino esercitato dal Barone, dal suo tremendo "Circo Volante" - la squadriglia aerea o "Jasta" che comandava con ferrea disciplina - e da tutti gli altri piloti che salirono su degli aeroplani assemblati di legno, corda, fili metallici e tela, risiede proprio nel contrasto tra la "loro" guerra e "l'altra": quest'ultima fatta di trincee fangose, di mitragliatrici - ora esposte macabramente nei musei - in grado di falciare in pochi secondi centinaia di vite, di decimazioni e di pidocchi; la prima di duelli aerei, di cavalleria, di rispetto perl'avversario , di onore. Dopo di allora, pochissimi furono i momenti in cui la spaventosa guerra tecnologica riuscì ad elevarsi ad un rango nobile - ammesso che l'abbia mai avuto : sono disposto a concedere che molto di questa "nobiltà" sia in realtà una elaborazione mitologica, ma anche il mito ha un valore. Come non rimanere impressionati dalle parole di sdegno che il Barone riserva per quell'oscuro pilota nemico che, una volta costretto ad atterrare dopo un "regolare" duello aereo, gli sparò colpi di rivoltella? Il barone aveva infatti l'abitudine di scendere a terra per verificare innanzitutto la vittoria - portandosi un pezzo dell'aereo abbattuto come prova - ma anche per constatare la buona salute dei piloti abbattuti, con i quali non di rado scambiava battute e sigarette: nessun rancore con il singolo "uomo" in quella particolare guerra aerea... In quella stessa dove fu usato il gas chimico, dove si massacravano i prigionieri, e così via, si tratta di sentimenti profondi che emergono da un mondo all'epoca in estinzione, dove l'onore e la nobiltà di comportamento erano valori nei quali anche in guerra, o sopratutto in guerra, si credeva. Tutti sappiamo, o crediamo di sapere, cosa significa la guerra: figure ed episodi come quelli del Barone Rosso sono sopratutto funzionali alla propaganda di guerra - è però vero che, a mio parere, che davvero in qualche modo essi contribuissero a "nobilitarla".Il testo in questione non sfugge al fascino del personaggio von Richtofen: pur misurato nelle parole e nelle descrizioni, il libro di Kilduff - storico di cui non avevo mai letto nulla - è una diligente biografia che, come spesso accade, non scava molto in profondità, limitandosi alla descrizione delle gesta e della vita. E sulla vita di Manfred c'è davvero poco da scrivere: nato il 2 maggio 1892 a Breslau (ora Wroclaw - dolente ma a quanto pare non è qui possibile inserire correttamente l'ortografia polacca) eventi bellici a parte, la sua è una normale esistenza da rampollo "junker" della nuova nobiltà slesiana, fatta di caccia - di cui era appassionato - e di vita militare. Come ogni giovane aristocratico prussiano, infatti, la sua vita era "militare" fino al midollo: senza scadere nelle facili battute e nei luoghi comuni intorno al militarismo prussiano, è però doveroso riconoscere che più della metà della sua breve vita fu consacrata al servizio militare. Non già come pilota -l'aviazione, in Germania e altrove, nacque durante la guerra 1914-18, non prima - bensì, come doveva essere, nella Cavalleria, negli " Ulanen", gli Ulani di cui forse qualcuno avrà già sentito parlare. La sua prima "vittoria" aerea risale al 17 settembre 1916: dopo di allora gli furono accreditati 80 abbattimenti - ed all'epoca erano validi solo quelli entro il territorio occupato o quando molti testimoni potevano convalidarne la vittoria. Molti degli aneddoti e degli episodi raccolti da Kilduff riguardo gli eventi prebellici e quelli guerreschi sono quelli in genere ampiamente noti, dallo stesso Barone scritti in una sorta di diario prima della sua morte, e dai fratelli; si tratta generalmente di raccontidell'infanzia ed adolescenza di Manfred, nella narrazione dei quali in qualche modo si mettono in luce le sue qualità "standard": coraggio, raziocinio, fedeltà e lealtà. Insomma, il soldato perfetto...

Probabilmente né questo, né altri libri riusciranno a chiarire il fascino del Barone Rosso, limitandosi a constatarlo; pilota cavaliere e maldestro corteggiatore - nel testo si ricorda la ragazza che egli frequentava e che possiamo a ben diritto chiamarla "fidanzata" - le sue umane debolezze e ritrosie raccontate da Kilduff non fanno che alimentare il mito.

Quando noi vorremmo conoscere l'uomo. Ma chi può conoscerlo ormai? Perfino la sua casa natale, con tutte le sue cose, non esiste più - il suo mito essendo stato utilizzato dai nazisti a scopi propagandistici. Però qualche dettaglio, qua e là, ne rivela parte: come il rifiuto di abbandonare la prima linea - non solo avrebbe potuto farlo, ma in qualche modo eluse sempre i tentativi dei superiori e del Kaiser stesso di collocarlo a riposo oppure in zone meno "calde" del fronte: considerava suo dovere istruire al meglio, con la propria esperienza ed abilità, i giovanissimi piloti che entravano a far parte della leggendaria "Jasta 2" del quale era comandante, per evitare che cadessero ai primi scontri. Ferito alla testa durante una missione nel 1917, non stava bene: soffriva di emicranie che lo obbligavano a frequenti riposi, e la sua vista non fu più probabilmente perfetta; fu forse questa la causa del misterioso abbattimento del barone rosso? Nessuno può dirlo: il 21 aprile 1918 a Vaux de Somme, Francia - un anno dopo il lugubre "aprile di sangue" nel quale abbatté un gran numero di velivoli - il suo triplano dipinto di rosso cadde oltre le linee tedesche, forse colpito dal capitano Brown - che mai però rivendicò la vittoria - forse da una fucileria dalle trincee canadesi o australiani che si trovavano sotto - ed i canadesi, nel caso, avevano ottimi fucili di precisione...

Modificato da Blue Sky
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