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Operazione - Judgement -


Dave97

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Attacare una flotta nemica in porto non era una novità, per la Royal Navy.

Nel 1587 Francis Drake aveva compiuto un’audace incursione a Cadice, distruggendo navi ed infrastrutture di quella “Invencible Armada” che la Spagna stava radunando per invadere l’Inghilterra.

Duecentoquattordici anni dopo, un altro grande ammiraglio inglese, Oratio Nelson, non esitò a forzare la munitissima rada di Copenaghen per eliminare la flotta danese, scongiurandone così l’intervento a fianco della Francia.

Agli inizi del XX secolo, la nascente arma aerea fornì un nuovo strumento per attaccare le flotte nemiche al sicuro nei loro porti; come ebbe a scrivere l’allora colonnello Giulio Douhet in un memorandum (il mezzo nuovo, gennaio 1916) diretto al Generalissimo Cadorna.

Un mezzo nuovo di guerra si affaccia sul mondo: l’aereplano potente.

E’ capace di lanciare a 500 km dalla propria base 500 kg di esplosivo, oltrepassando qualsiasi ostacolo.

Mille aeroplani potenti possono lasciar cadere nel porto di pola, una quantità di esplosivo pari a quella contenuta in 5000 siluri, di che distruggere con un solo volo tutta la flotta austriaca.

Era un’intuizione potente, anche se all’epoca tecnologicamente inattuabile;

L’alba di una nuova era, che si sarebbe realizzata appieno un quarto di secolo dopo.

 

Il piano

 

Sin dall'estate del 1935, epoca nella quale la mobilitazione italiana contro l'Etiopia (invasa nell'ottobre successivo) aveva provocato una grave crisi mediterranea, la Royal Navy progettava di colpire con attacchi aeronavali diversi porti militari della Penisola.

L'idea d'un attacco contro Taranto rimase fermo a livello preliminare; tuttavia, nel 1938, tornata ad acuirsi la tensione internazionale (ora provocata dalle pretese tedesche, appoggiate dall'Italia, in Europa centrale), la possibilità di colpire la potente flotta da battaglia italiana nel suo principale porto meridionale, ricorrendo ad una incursione aeronavale, fu nuovamente presa in considerazione.

George Lister era all' epoca un capitano di vascello, specialista di tattiche aeronavali e comandante della portaerei Eagle; inoltre, vent' anni prima era stato distaccato con una squadriglia di idrovolanti inglesi proprio nel porto di Taranto, che conosceva quindi molto bene.

Il comandante Lister riprese la progettazione dell' attacco, da compiersi con aerosiluranti partiti da portaerei.

Tuttavia, anche la nuova crisi rientrò (dopo la conferenza di Monaco), e il sacrificio della Cecoslovacchia travolse l'operazione "Judgement", ossia il piano elaborato da Lister, che pochi mesi dopo veniva peraltro promosso e destinato ad altro incarico.

Il progetto tornò inevitabilmente d'attualità con l'entrata in guerra dell'Italia (10 giugno 1940); soprattutto dopo la resa francese, che privava Londra della superiorità navale nel Mediterraneo (e a fronte d'una Regia Marina reputata moderna e bene equipaggiata, seppur con scarsa esperienza bellica).

L'ammiraglio Andrew B. Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, fu il primo a rispolverare l'idea d'infliggere un "knock-down blow" alla Regia Marina, sorprendendola in porto; le prime esperienze di guerra (battaglie di Punta Stilo e di Capo Spada, scontro notturno del 12 ottobre canale di Sicilia) avevano dimostrato che gli italiani erano, nonostante le molte carenze , dei validi combattenti.

Inoltre, gli inglesi avevano reagito all' attacco italiano contro la Grecia (28 ottobre 1940) inviando ingenti aiuti ai difensori ellenici; pertanto, si doveva tentare di mettere a segno un attacco improvviso che, correndo un rischio accettabile, infliggesse un duro colpo materiale e morale alla flotta Italiana,prima di vederla scatenarsi contro i convogli inglesi diretti in Grecia.

Vincendo le perplessità del prudente Primo Lord del Mare Dudley, Cunningham rimise mano al piano "Judgement", in questo validamente aiutato dal ritorno nel mediterraneo del contrammiraglio Lister, ora comandante della divisione portaerei della Mediterranean Fleet (portaerei Eagle e Illustrious); allo specialista il compito di aggiornare il proprio progetto, al comandante in capo quello di organizzare un' ampia manovra strategica, intesa a rendere possibile il colpo.

Taranto fu da quel momento posta sotto sorveglianza sempre più stretta; le missioni di ricognizione aerea (che giornalmente i due contendenti effettuavano sulle principali basi nemiche) furono intensificate, grazie alla cooperazione realizzata tra la Royal Air Force e la Mediterranean Fleet, assai più efficiente delle relazioni intercorrenti tra Supermarina e Superaereo, pure notevolmente impegnata nei compiti di ricognizione strategica.

A Malta fu attivato il No 431 Squadron, con il quale si poté coprire con maggiore cura la foto-ricognizione di Taranto; tra l'altro, le missioni esplorative daranno "conto con precisione degli aumentati apprestamenti difensivi (contraerea, posa di reti parasiluri) e, notizia delle più allarmanti, della creazione d'un efficace sbarramento formato da palloni frenati.

Difatti, il vero problema nell' attaccare un porto come quello di Taranto, con gli aerosiluranti, era rappresentato dal tuffo stesso che avrebbe fatto il siluro lanciato, immergendosi per parecchi metri prima di mettersi in corsa.

Per evitare che il siluro s'immergesse troppo, incagliandosi nei bassi fondali del porto (circa 15 metri), l'aereoplano doveva sganciare da una quota la più bassa possibile: operazione già di per sé rischiosa, in un' area presumibilmente saturata dalla contraerea avversaria, ma che la presenza dei cavi d'acciaio pendenti dai palloni frenati avrebbe reso praticamente impossibile.

La notizia riguardante la presenza d'un simile sbarramento mise in crisi i pianificatori inglesi, che, tra l'altro, dovevano già affrontare altri problemi di notevole rilievo: innanzi tutto, il dimezzamento delle forze d'attacco, poiché la portaerei Eagle era ancora in riparazione per i danni subiti nel luglio precedente; inoltre, l’ Illustrious (che pure aveva imbarcato cinque apparecchi dell'Eagle) era anch'essa ai lavori, dopo un incendio scoppiato nell'aviorimessa.

La data prevista inizialmente da Cunningham per l'attacco (21 ottobre, anniversario della battaglia di Trafalgar) aveva così dovuto slittare di tre settimane: grave problema, poiché Cunningham stava preparando una serie di operazioni su vasta scala, destinate a coprire la mossa principale, ossia l'incursione su Taranto; ma proprio questo ritardo avrebbe risolto il dilemma rappresentato dai palloni frenati.

 

L'obiettivo

 

Come già accennato, a Taranto la Regia Marina aveva concentrato, dopo lo scoppio della guerra, la quasi totalità della flotta, per meglio controllare il teatro di operazioni mediterraneo.

Il porto (nonostante il "peccato originale" rappresentato dalla strozzatura tra Mar Piccolo, meglio riparato, e Mar Grande, ove si era costretti a concentrare,rendendoli più vulnerabili,i principali ancoraggi) era bene attrezzato, ampio, dotato di infrastrutture logistiche adeguate, e il comandante del Dipartimento Militare Marittimo di Taranto, l'energico ammiraglio Antonio Pasetti, ne aveva potenziato le strutture difensive, pur nei limiti delle scarse disponibilità materiali.

Nel novembre 1940, oltre che sui pezzi delle navi in rada (con un notevole stato d'approntamento, soprattutto di notte), la difesa contraerea poteva contare su 21 batterie con 101 cannoni, 68 postazioni armate con mitragliatrici pesanti e 109 dotate di armi leggere, oltre a tredici stazioni d'ascolto aerofoniche collegate a 22 proiettori.

Altri proiettori (con impianti nebbiogeni per il mascheramento) erano installati sulle navi da guerra; ma Pasetti, d'accordo con il Comandante in Capo della Squadra Navale Inigo Campioni, era dell'idea che i proiettori di bordo fossero impiegati come ultima risorsa, evitando di farne preziosi punti di riferimento per eventuali attaccanti.

Su una seconda questione i due ammiragli erano invece in disaccordo, ossia le reti parasiluri. Pasetti, il cui compito era assicurare l'incolumità delle navi all'interno del "suo" porto, era deciso a costituire recinti di sicurezza attorno ad ogni nave principale, il più a ridosso possibile, lasciando di prora un' apertura mobile, e ancorando le unità di poppa in modo tale da evitarne la "ruota", ossia l'oscillazione poppiera impressa da venti e correnti, che per corazzate di 238 metri di lunghezza (con ancore filate alla catena per cinque volte la profondità del fondale, quindi altri 75 metri) significava creare un'area libera da reti di ben 313 metri di raggio.

L'ammiraglio Campioni, il cui primo pensiero andava invece alla prontezza operativa della Squadra, era ben deciso a non vedere le proprie navi impastoiate in "trincee" parasiluri, e preferiva creare degli ampi spazi recintati, appoggiati alla diga della Tarantola: tale sistemazione sarebbe stata più che sufficiente contro eventuali incursioni subacquee; ad un pericolo portato dagli aerosiluranti poco si credeva, in tal uni ambienti navali (e non).

Le preoccupazioni di Campioni non erano infondate, e Pasetti aveva le sue ragioni; ma la disputa era, a questo punto, abbastanza accademica.

Innanzitutto, le carenze nella produzione bellica italiana facevano sì che nemmeno i grandi recinti previsti per le unità ancorate nel Mar Grande (richiedenti la posa in opera di 12.800 m direti) fossero disponibili; all' 11 novembre erano stati dispiegati 4.200 m di reti, altri 2.900 m erano pronti per essere posati, e la produzione mensile s'era attestata, da settembre, sui 3.600 m.

Le "trincee personalizzate" volute da Pasetti restavano, per il momento, una chimera.

Inoltre, l'efficacia stessa delle reti era inficiata da una novità tecnica, che per la verità tanto nuova non era, visto che i tedeschi l'andavano sviluppando (al pari degli inglesi) da diverso tempo, senza tuttavia darne notizia agli alleati italiani.

Le reti parasiluro scendevano generalmente fino a 10 metri di profondità, proteggendo tutta l'opera viva della nave; ma i siluri inglesi aviolanciati avevano il nuovo innesco "duplex" a percussione e ad accensione magnetica, che permetteva di colpire lo scafo nemico (la cui massa metallica attirava l'ordigno) passando sotto le reti, e scoppiando tra l'altro in punti generalmente meno protetti.

Restavano quindi, come difesa più efficace, gli sbarramenti formati dai palloni frenati; e come la fotoricognizione inglese aveva mostrato, non si era lesinato: una novantina di palloni, ancorati a terra od ormeggiati a chiatte, coprivano con efficacia tutte le possibili rotte d'attacco.

Tuttavia, proprio mentre i pianificatori inglesi si trovavano alle prese con i ritardi imposti dalla situazione dell'Illustrious, e con l'insormontabilità del "problema palloni" (risolvibile solo sacrificando il fattore sorpresa e lanciando contro di essi aerei da caccia, il cui corto raggio d'azione avrebbe però compromesso l'intera operazione) , proprio la posposizione forzata dell' operazione risolse il dilemma.

La seconda settimana di novembre fu infatti caratterizzata da condizioni meteorologiche avverse, e una vera tempesta investì Taranto, spezzando gli ancoraggi d'una sessantina di palloni frenati.

I restanti 27, anche riposizionati nei settori più esposti, non potevano certo fare un lavoro che richiedeva una disponibilità di aerostati tre volte maggiore; e, ancora una volta, le carenze industriali italiane non consentivano una rapida sostituzione del materiale perduto, data la scarsa produzione d'idrogeno.

La nuova situazione così creatasi fu subito riportata dall' avioricognizione inglese: l'operazione "Judgement" poteva quindi prendere l'avvio.

 

L'attacco

 

Il 6 novembre (quando ancora non era stata presa una decisione definitiva circa l'attacco contro Taranto) era iniziata una complessa serie di operazioni, aventi comunque l'obiettivo primario di rifornire Malta, e coprire l'invio di altri convogli in Grecia.

Da Alessandria d'Egitto era uscita l'intera Mediterranean Fleet, con l'Illustrious e quattro navi da battaglia (seguite a distanza dalla 3a divisione incrociatori del viceammiraglio Pridham- Wippel) per proteggere i convogli diretti a Suda e a Malta: sin dall'inizio, i caccia "Fulmar" della portaerei crearono un'efficace cortina difensiva, impenetrabile ai ricognitori e ai bombardieri italiani.

Tra l'altro, il 6 il maltempo aveva ostacolato la quotidiana ricognizione effettuata dalla Regia Aeronautica su Alessandria; il 7, i ricognitori avevano rilevato l'uscita delle navi inglesi, senza tuttavia scoprirne la rotta.

Nel frattempo, da Gibilterra era salpata la "Forza R": si erano andati formando diversi convogli, le due grandi forze inglesi si erano frazionate, parzialmente ricongiungendosi, nonostante il contrasto aereo italiano , nelle acque di Malta (10 novembre), mentre un convoglio giungeva a Suda.

Il vasto movimento inglese, interpretato (non erroneamente) come copertura al passaggio di preziosi convogli, aveva portato Supermarina ad aumentare la vigilanza nel canale di Sicilia, allertando nel contempo Campioni per un'eventuale uscita in mare.

Ma stava per scattare la vera mossa inglese: esaminate le ultime fotografie raccolte dai reparti di ricognizione maltesi, contenenti l'esatta posizione d'ormeggio delle unità italiane e, soprattutto, la mutilazione subita dallo sbarramento di palloni, Cunningham aveva autorizzato l'operazione "Judgement", coordinando un nuovo audace frazionamento delle proprie forze.

Mentre il comandante in capo sarebbe rimasto di copertura con le navi da battaglia presso Malta, l'Illustrious, scortata da quattro incrociatori e quattro cacciatorpediniere avrebbe dovuto raggiungere il punto previsto per il lancio degli apparecchi, 170 miglia a sud-est di Taranto; inoltre, gli incrociatori di Pridham- Wipple avrebbero dovuto compiere un'incursione diversiva nel canale d'Otranto; un apparecchio da ricognizione proveniente da Malta avrebbe sorvolato Taranto fino ad un quarto d'ora prima del lancio dell' attacco, per evitare un'uscita a sorpresa della flotta italiana.

Partita da Malta verso le 18.00, alle 20.30 l'Illustrious raggiunse il punto prestabilito: nei dieci minuti successivi, si levarono in volo i 12 apparecchi del primo raid, seguiti,un'ora dopo, da otto velivoli della seconda ondata (un nono apparecchio rientrò per noie ai serbatoi).

I 20 aerei che, distanziati (e frazionati anche dal difficile volo notturno), stavano per avventarsi sull' orgoglio della Regia Marina, erano i biplani "Swordfish", in servizio dal 1936, dalla linea goffa e sorpassata, ma capaci di sorprendenti prestazioni.

11 aerei erano armati di siluro a doppio innesco, gli altri nove portavano bombe, spezzoni e bengala illuminanti.

La prima ondata d'attacco non arrivò del tutto inaspettata nel cielo di Taranto, ove per tutta la serata la contraerea (in stato di massima allerta da vari giorni) aveva aperto il fuoco, sia per falsi allarmi, sia per la reale presenza dei ricognitori provenienti da Malta; tra l'altro, le postazioni aerofoniche segnalarono i rumori provenienti dal primo raid quando questo era ancora a 45 miglia da Taranto, al traverso di Gallipoli.

Alle 22.52 i primi aerei iniziarono l'azione; sei minuti dopo due bengalieri illuminavano la base, per poi attaccare i depositi di nafta: un quarto d'ora dopo, aveva inizio l'azione degli aerosiluranti e dei bombardieri (in tutto 15) impegnati sul Mar Grande.

Gli undici siluri lanciati colpirono ,tra le 23.14 e 00.01 , le corazzate Cavour e Duilio (un colpo ciascuna), mentre la modernissima nave da battaglia Littorio veniva centrata da ben tre siluri, e mancata da altri due.

Altri quattro siluri mancarono le corazzate Vittorio Veneto e Doria e l'incrociatore pesante Gorizia.

Nel frattempo, si andavano sviluppando gli attacchi dei bombardieri contro le unità alla fonda nel Mar Piccolo (5) e le infrastrutture portuali e aeroportuali tarantine, provocando danni, vittime, e la distruzione di due idrovolanti.

Le bombe (in tutto una sessantina) centrarono anche l'incrociatore Trento, mettendo fuori uso un complesso da 100 mm, e inflissero lievi danni da schegge a due cacciatorpediniere.

Alle 00.30 si svolse l'ultimo attacco; tre quarti d'ora dopo la base cessava l'allarme, mentre gli apparecchi inglesi tornavano alla portaerei: due erano mancanti, altri due gravemente danneggiati; ma si lasciavano alle spalle metà della flotta da battaglia nemica fuori combattimento, una cinquantina di vittime, ed un morale molto scosso.

Il prezzo pagato era stato più che equo.

 

Bilanci e conseguenze

 

Per la prima volta nella storia, un attacco aereo partito da portaerei aveva ottenuto un incisivo risultato anche sul piano strategico; come scrisse l'ammiraglio Cunningham:

«E' evidente che il fortunato attacco ha grandemente aumentato la nostra libertà di movimento nel Mediterraneo e rafforzato il controllo sulla zona centrale lasciando libere unità per operazioni in altri teatri

L'effetto sul morale degli italiani deve essere stato notevole».

Le unità superstiti furono spostate nel meno attrezzato porto di Napoli (o in Sicilia), mentre le tre corazzate silurate entravano in arsenale per riparazioni, che per il Cavour non sarebbero mai state completate: Littorio e Duilio sarebbero invece tornate in linea nella primavera 1941.

L'attacco avrebbe tecnicamente influenzato anche l'andamento della guerra nel Pacifico, ispirando l' ammiraglio giapponese Yamamoto e i suoi collaboratori (grazie al viceaddetto navale Takoshi Naito, giunto a Taranto subito dopo l'attacco) nell' elaborazione del piano d'incursioni aeronavali contro Pearl Harbor, base navale dalle caratteristiche molto simili a quelle del porto pugliese.

Peraltro, proprio il confronto tra le due operazioni (pur tenendo conto della scala immensamente maggiore,e oceanica,del raid giapponese, condotto con ben 353 apparecchi partiti da sei portaerei) assolve le difese approntate dall' ammiraglio Pasetti.

Non si può infatti non notare come, di spiegando un volume di fuoco (13.489 colpi sparati dalle sole postazioni a terra, senza contare il contributo delle navi) paragonabile a quello sviluppato dagli americani il 7 dicembre 1941, contro soli 20 aerei, e per di più di notte, la contraerea italiana abbattesse il 10% della forza nemica, e ne danneggiasse gravemente un altro 10%

La contraerea americana abbatté invece solo 22 dei 353 aerei attaccanti (danneggiandone 74), pari al 6,2%, mentre altri sette velivoli furono abbattuti da due caccia P-40 levatisi in volo da una pista secondaria: questo di giorno, disponendo di forze aeree difensive ingenti (ma sorprese a terra), e per un attacco durato a lungo e sviluppatosi contro diversi obiettivi (6); le azioni inglesi a Taranto furono tutte diversioni rispetto all'obiettivo primario, ossia le navi da battaglia in Mar Grande.

Vero che l'Italia era in guerra da cinque mesi, mentre la Pacific Fleet americana fu attaccata a tradimento; pure gli "avvisi di tempesta" non erano mancati, la tradizione militare nipponica era piena di attacchi a sorpresa, e l'incursione aeronavale contro Pearl Harbor era stata prevista con precisione dal "profeta eretico" dell' Air Power americano, il generale William Mitchell, sin dal 1923.

Per quanto riguarda poi le reti parasiluri e i palloni frenati (peraltro mancanti anche a Pearl Harbor), le colpe non erano certo da ascriversi a Pasetti o a Campioni, nonostante le loro divergenti opinioni; vera responsabile era la carente produzione industriale italiana, nonché le arretratezze tecniche degli accorgimenti difensivi messi in opera in tal uni settori.

E le reticenze tedesche circa lo sviluppo degli inneschi magnetici non facilitavano certo le cose; un più equo scambio informativo, avrebbe certo portato alla costruzione di reti più profonde di quelle allora ritenute adatte in Italia.

Circa l'uso fatto (e non fatto) di proiettori e nebbiogeni durante l'attacco, la questione resta aperta: i proiettori erano certo un utile strumento, nel corso di un raid notturno, tanto per individuare quanto per accecare gli attaccanti; tuttavia, l'accensione dei proiettori di bordo avrebbe inevitabilmente fornito,come ben compresero i responsabili della difesa,ulteriori punti di riferimento al nemico, senza contare la possibilità, nella mischia, che i difensori si accecassero vicendevolmente.

Il mancato uso dei nebbiogeni scatenò invece diverse polemiche: in effetti, sarebbero stati un efficace artifizio per occultare le navi; ma non bisogna dimenticare che la creazione di una cortina artificiale richiede tempo (e quindi un certo preavviso), soprattutto quando si è all'ancora, e dipende dal vento, che se troppo forte la disperderebbe subito (magari gettandola contro le postazioni contraeree di terra, accecandole).

Il disastro di Taranto ebbe un risvolto positivo, anche in questo assomigliando a Pearl Harbor, dove l'eliminazione delle corazzate portò la US Navy alla costituzione di veloci gruppi di combattimento incentrati sulle uniche "capital ship" rimaste, le portaerei, rivoluzionando così la guerra navale.

Dopo l'attacco inglese, ottenne infatti maggiore considerazione una specialità che in quei mesi era stata misconosciuta, nonostante che un pugno di ardimentosi pionieri ne avesse già dimostrato l'efficacia ottenendo,con mezzi irrisori,diversi successi (compreso il danneggiamento grave degli incrociatori Kent e Liverpool); né va dimenticato l'attacco notturno di cinque S.79, partiti da Bengasi, contro la flotta inglese all'ancora ad Alessandria d'Egitto che, pur fallito, avrebbe dovuto far suonare qualche campanello d'allarme anche in Italia

Pochi giorni dopo Taranto, la 278a Squadriglia aerosiluranti del comandante Erasi danneggiava il Glasgow, e così Mussolini si accorse che anche in Italia esisteva un'arma non meno efficace ("questione portaerei" a parte) di quella impiegata dagli inglesi.

Scrive Gianni Rocca (8) rievocando una scena molto consueta fra vertici politici e militari del fascismo:

«Quando Pricolo va a portare la bella notizia al Duce si sente rispondere - Molto bene questi aerosiluranti. Quanti ne abbiamo? - Una decina, duce. - Così pochi? - Infatti sono pochi. Ma dieci mesi or sono esisteva soltanto un siluro da esercitazione...».

I recenti avvenimenti, e soprattutto la lezione di Taranto, avrebbero portato a riconsiderare la questione.

Per la portaerei era ormai troppo tardi, ma qualcosa si fece (seppur poco) per la specialità degli aerosiluranti: dal gennaio 1941 nuove squadriglie sarebbero state create, e nuovi assi (come Graziani e Buscaglia) sfornati dal primo centro addestramento sorto a Gorizia al comando del colonnello Carlo Unia.

E i risultati ottenuti, nonostante la cronica carenza di uomini e mezzi, avrebbero ben ripagato il tardivo interessamento mussoliniano.

 

Rivista Aeronautica , Marzo 2000

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  • 2 settimane dopo...

premetto che vista la lunghezza del post....non trovavo il coraggio di leggere...poi ho preso un respiro eh..............giù....però bellissimo!

 

lo rileggerei!!!

Modificato da edo
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è abbastanza ridicola,però, la parte dove si tenta di dar lustro A TUTTI I COSTI alla nostra difesa contra-aerea: noi facemmo una pessima figura, molto maggiore di quella degli americani ed è inutile ora cercare scuse e false glorie!!!

 

per il resto bell'articolo, da dove lo hai preso?

 

ah... per la cronaca... non erano gli swordfish capaci di strabilianti prestazioni... ma gli avversari capaci di ridicole difese

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Senza nulla togliere all'ericolo di Dave, su Wiki si possono anzi osservare alcune belle immagini dei danni portati dall'attacco, lo schema sommario dell'esecuzione, com'è fatto un proiettore italiano dell'epoca...ecc...

 

Anche questo sito è ricco di foto.

Modificato da -{-Legolas-}-
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Beh, mettiamola così

Vi sono alcuni articoli molto belli, secondo me, pubblicati su vecchie riviste che è un peccato relegarli in cantina a prendere polvere.

Lo scopo è quello di renderli disponibili a coloro che magari a causa della giovane età non hanno avuto modo di poterli leggere.

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