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Dark Angel

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io ho trovato questo non so se può servirti.....

11 settembre 1973. Le quattro del mattino. Le strade di Santiago sono ancora deserte. Il colonnello Julio Polloni raccoglie ingegneri e operatori scelti per eseguire il “Piano silenzio”, interrompere le comunicazioni telefoniche e chiudere i trasmettitori delle radio filo governative. Alle cinque intanto, alla casa presidenziale, Allende riceve una telefonata. Dall’altro capo dell’apparecchio c’è il generale Jorge Urrutia, vice comandante dei Carabinieri. “Le truppe della Marina si stanno radunando nelle strade di Valparaiso, sono già uscite dalle caserme”. L’ordine di Allende è categorico: chiudere subito la strada che collega Valparaiso a Santiago. L’ufficio del viceammiraglio Patricio Carvajal nel Ministero della Difesa si trasforma dalle sei del mattino nel quartiere generale dei golpisti. Si trova a pochi metri dal Palazzo della Moneda, un luogo strategico per controllare gli spostamenti di Allende e dei suoi uomini.

 

Le sei e mezza. Allende si veste nel modo più informale: pantaloni grigi, giacca di tweed, golf di cachemire a collo alto. Al capitano dei Carabinieri José Munoz, Allende dice: “Andiamo alla Moneda, scelga la strada migliore e più rapida”. Le automobili Fiat 125 blu escono dalla casa presidenziale. Un ufficiale della Polizia Civile osserva la loro manovra a distanza, attiva il suo apparecchio radio e informa il Ministero della Difesa della partenza di Allende. Il golpe è in atto. I blindati dei carabinieri si appostano intorno alla Moneda. Alle sette e trenta, il Presidente entra dal cancello principale della sede del Governo con le auto in carovana, scende dalla vettura e sale per l’ultima volta la scala di marmo che porta al primo piano. La prima chiamata è del leader socialista Carlos Altamirano. “Dissi ad Allende che la Moneda era un luogo pericoloso per guidare le operazioni: c’era una sollevazione della Marina e i generali dell’Esercito e dell’Aviazione non rispondevano al telefono, sembravano volatilizzati”. Allende prende fiato e risponde al senatore socialista: “No, ti sbagli Carlos, il posto del Presidente è il Palazzo della Moneda, nessun altro”. In quel preciso istante, a duecento metri di distanza, i golpisti arrestano il ministro della Difesa Osvaldo Letelier. Nello studio presidenziale, tre telefoni sono collegati direttamente con le radio Magallanes, Corporaciòn e Portales. Alle sette e cinquantacinque, Allende prende il microfono e diffonde la sua prima comunicazione. Annuncia l’infedeltà alla democrazia delle truppe della Marina e chiede ai cittadini di raggiungere i propri posti di lavoro, mantenendo la calma.

 

“ In ogni caso, io sono qui, nel palazzo del Governo, e resterò qui difendendo il governo che rappresento per volontà del popolo”.

 

Due minuti dopo, un aereo militare distrugge l’antenna trasmittente di Radio Corporaciòn. Il primo proclama militare viene emesso dalla catena radiofonica della destra alle otto e trenta. La voce dura e sgraziata del tenente colonnello Roberto Guillard impartisce gli ordini. “ Tenendo presente la gravissima crisi sociale e morale che mette in pericolo in Paese, il signor Presidente della Repubblica deve procedere alla immediata consegna del suo Alto mandato alle Forze Armate e ai carabinieri del Cile”. Segue la firma di tutti i generali coinvolti nel colpo di Stato. Allende torna a parlare da Radio Magallanes, in aperta sfida ai golpisti.

 

“Non darò le dimissioni. Denuncio davanti al Paese l’incredibile atteggiamento di soldati che mancano alla loro parola e al loro impegno. Faccio presente la mia decisione irrevocabile di continuare a difendere il Cile nel suo prestigio, nella sua tradizione, nella sua forma giuridica, nella sua Costituzione”.

 

Gli aerei militari volano sempre più bassi sopra la Moneda. Allende, i suoi consiglieri, la guardia presidenziale (Gap) è appostata all’interno del palazzo. I Carabinieri e la Polizia Civile presidiano ormai buona parte della città. Il Presidente è ancora seduto nel suo ufficio con il microfono in mano.

 

“ In questo momento passano gli aerei. E’ possibile che ci bombardino. Però sappiate che restiamo qui per dimostrare, per lo meno con i nostro esempio, che in questo Paese ci sono uomini che sanno compiere il loro dovere…”.

 

Alla Moneda, giunge la telefonata del viceammiraglio Patricio Carvajal che propone ad Allende un salvacondotto: un aereo per lui e per la famiglia che li possa portare lontani dal Cile. Allende risponde: “ Ma cosa avete creduto, traditori di merda. Mettetevi in vostro aereo nel culo. Lei sta parlando con il Presidente della Repubblica. E il Presidente eletto dal popolo non si arrende”. Allende è preoccupato per le sorti del Paese ma non perde la calma. Prende il fucile Aka e se lo mette in spalla. Poi passa in rassegna le sue truppe di difesa. Diciotto detective, venti uomini del Gap, ministri e collaboratori. Meno di cento persone. Sull’impugnatura dell’ arma, si può scorgere una placca di bronzo con la scritta: “A Salvador, da suo compagno d’armi Fidel Castro”.

 

La scena si sposta poco dopo nella sala degli addetti militari. Davanti ad Allende, ci sono tre ufficiali golpisti, Sànchez, Badiola e Grez. “ Presidente, devo trasmetterle il messaggio della mia istituzione. La Forza aerea ha preparato un Dc6 con l’ordine di portarla dove lei vorrà. Ovviamente il viaggio include la sua famiglia e le persone che lei ritiene di portare con sé”, dice il comandante Sànchez. Ma Allende è pronto al suo ultimo sacrificio: “No, signori, non mi arrenderò. Dite ai vostri Comandanti che non me ne andrò da qui, che non mi consegnerò. Questa è la mia risposta. Non mi tireranno fuori vivo da qui, anche se bombarderanno la Moneda. E guardate, l’ultimo colpo me lo sparerò qui…E ora andatevene via da qui. Tornate alle vostre Istituzioni, è un ordine ”.

 

In quelle ore, Hector Carrasco si trova nella sede della Gioventù Comunista.

 

“In quelle prime ore dell’11 settembre, nelle sede della Gioventù Comunista squillavano i telefoni in continuazione. Nessuno però sapeva cosa stesse accadendo. Le stazioni radio comunicavano notizie frammentarie e i telefoni tornavano a suonare. C’erano due stanze dove normalmente si riunivano i componenti dei gruppi di autodifesa. Mi trovai davanti al responsabile, Galvarino Diaz. Mi disse: ’Santiago brucia, Hector, non ci sono più dubbi. E’ necessario far uscire tutte le armi da qui. Potrebbero arrivare i militari da un momento all’altro, non le devono trovare. Possiamo utilizzare la Fiat 600 di Miriam’. Così iniziò il nostro viaggio a Santiago in quel 11 settembre di trenta anni fa”.

 

Non c’è tempo da perdere. Il golpe è in atto e i militari attendono solo il momento propizio per arrestare i militanti della Gioventù Comunista. Hector, Miriam, Galvarino e Mao nascondono le armi sotto i sedili della vettura: due Colt 45, una Thompson, tre mitragliette Uzi e quattro bombe a mano. Si dirigono verso i quartieri operai della città. L’obiettivo è trasportare l’arsenale nella poblacion di La Victoria. Il viaggio è lungo e rischioso, i posti di blocco dei militari sono ovunque. Da lontano scorgono un gruppo di soldati con una fascia sul braccio sinistro. Fermano ogni macchina, Monocicletta, persone a piedi e in bicicletta. Loro si fanno ancora più piccoli dentro quella 600. Dieci soldati con i fucili puntati li bloccano, intimano di scendere. Poi si trovano fuori, con le braccia appoggiate alla vettura mentre i soldati iniziano la perquisizione.

 

“I vostri documenti dove sono? Dove state andando? Da quale zona provenite?”. Hector sente un brivido dietro la schiena e pensa: “Accidenti…la tessera della Gioventù Comunista.. sta nel portafoglio”. “Che cos’è quella tessera azzurra”- gli chiede un ufficiale dell’esercito. Hector risponde con calma: “E’ la tessera d’iscrizione al club degli universitari che si occupano di cultura, sport e ricreazione”. Sul tesserino non c’è il simbolo del Partito, c’è il disegno di una margherita con i colori giallo, blu e azzurri. Hector è convinto di averla fatta franca ma ci sono ancora le armi nell’auto. Un soldato si avvicina a Miriam, capelli biondi, il corpo snello, gli occhi languidi e azzurri. Dalla borsa, lei estrae un porta-documenti verde. Sulla parte esterna è ben visibile lo stemma del Rotary Club, sede di Arica. A quel punto, il militare si mette sull’attenti: “ Signorina, perché non ha detto subito chi era? E cioè la figlia di Don Gustavo? Se lo avessi saputo prima le avrei evitato tutti questi inconvenienti”. Così ordina agli altri militari di interrompere la perquisizione. Miriam è figlia del Presidente del Rotary e i soldati hanno un’ammirazione profonda per quel club.

 

I ragazzi sono salvi ma il viaggio non si è ancora concluso. Lungo la Panamericana camminano migliaia di persone, a piedi, senza una meta definita. In giro si vedono pochi autobus. In quel preciso momento, Galvarino chiede a Miriam di accendere la radio. E lei gira veloce la manopola. “Siamo in contatto con Radio Magallanes”, urla a gran voce. Dagli altoparlanti si sentono le ultime parole di Salvador Allende. Hector, Miriam, Mao e Galvarino sono ormai lontani. Le loro armi sono già al sicuro.

 

“…..Lavoratori della mia patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che sempre avete avuto, la fiducia che avete posto in un uomo che fu solo interprete di grandi aneliti di giustizia, che impegnò la sua parola di rispettare la costituzione e la legge, e così fece. In questo momento definitivo, l'ultimo in cui posso rivolgermi a voi. Spero che impariate dalla lezione. Il capitale straniero, l'imperialismo, unito alla reazione, ha creato il clima perché le Forze Armate rompessero con la loro tradizione (...) Mi rivolgo soprattutto alla donna modesta della nostra terra: alla contadina che credette in noi, all'operaia che lavorò di più, alla madre che conobbe la preoccupazione per i figli. Mi rivolgo ai professionisti, patrioti, a coloro che da giorni stanno lavorando contro la sedizione appoggiata dai collegi professionali, collegi di classe creati anche per difendere i vantaggi di una società capitalista. Mi rivolgo alla gioventù, a coloro che cantarono e donarono la loro allegria ed il loro spirito di lotta; mi rivolgo all'uomo del Cile, all'operaio, al contadino, all'intellettuale, a coloro che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo già da molte ore è presente con molti attentati terroristi, facendo saltare ponti, tranciando linee ferroviarie, distruggendo oleodotti e gasdotti, di fronte al silenzio di chi aveva l'obbligo di intervenire. Si sono compromessi. La storia li giudicherà. Sicuramente Radio Magallanes, sarà oscurata ed il metallo tranquillo della mia voce non giungerà a voi. Non importa mi sentirete comunque. Sempre sarò con voi, per lo meno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale alla patria. Il popolo deve difendersi, ma non sacrificarsi. Il popolo non deve lasciarsi colpire e crivellare, ma nemmeno può umiliarsi. Lavoratori della mia patria: ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio ed amaro, nel quale il tradimento pretende d'imporsi. Proseguite voi, sapendo che, non tardi ma molto presto, si apriranno i grandi viali alberati dai quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore.Viva il Cile, viva il popolo, viva i lavoratori!...queste sono le mie ultime parole, ho la certezza che il sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, almeno, ci sarà una sanzione morale per punire la fellonìa, la codardia ed il tradimento”.

 

Un silenzio sorprendente resta sospeso nell’aria di Santiago del Cile quando Allende ritiene di aver finito il suo discorso. Il suo ultimo appello al Paese. Poi giunge la morte, improvvisa, fulminea. Gli aerei colpiscono la Moneda, il fumo acre, i blindati dei Carabinieri si fanno sempre più pressanti, i collaboratori di Allende escono dal palazzo. Dentro al palazzo i pochi rimasti con Allende si mettono le maschere antigas, poi sparano dalle finestre. Le pallottole, le bombe, la battaglia, fino a quell’ultima parola del Presidente ascoltata dal detective David Garrido: “Allende non si arrende”. Le quattordici e un quarto. Allende si uccide con l’ultima pallottola rimasta nel suo Aka. Proprio come ha promesso ai militari infedeli. Si uccide perché non intende dargliela vinta.........

 

 

 

in quell'anno c'è stato il colpo si stato in CILE!

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Mah...

 

l'11 settembre 1973 probabilmente i tecnici della Grumman mettevano a punto gli ultimi dettagli per il primo volo che avrebbe fatto, il giorno successivo, l' F-14B con i motori F401 (che poi non furono adottati).

 

l'11 settembre 1983 (non 1973) due F-14 iraniani furono abbattuti dagli irakeni.

 

Ma l'11 settembre 1973... non mi risulta nulla per l' F-14 !

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parole sagge tolle...

grazie a tutti raga...

domani devo esporre un riassunto di tutto questo in inglese!!! :(

almeno tu lo fai di questo a me tocca di autori della letteratura con le loro santissime opere......

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io ho trovato questo

 

 

 

Sono le 8 e qualche minuto, la radio è accesa... " Ci comunicano che effettivi dell'esercito hanno "allanato" Radio Nacional mettendola fuori uso ". La radio del MIR! Telefono preoccupato: "No, qui niente; è la pianta trasmittente, fuori città, stiamo cercando di ripararla, solita ley de armas... ". Radio Corporacion continua " trasmetteremo tra pochi istanti un messaggio del Presidente, le comunicazioni con Valparaiso sono interrotte... ".

Ma che succede? Qui è tutto tranquillo, sarà una nuova serie di provocazioni dell'esercito... “Cittadini, vi parla il Presidente della Repubblica” la voce ormai familiare “ qualche ora fa le truppe della Marina hanno occupato Valparaiso. Ciò costituisce un sollevamento illegittimo... ".

" Paolo! Corri a fermare Coppelia e la bambina! ". (J.è ancora in pigiama).In strada ,sempre tutto normale, io so, la gente non ancora: ma cosa so? Coppelia ha gia preso l’autobus per il centro. Compro i giornali, mi colpisce il titolone del Siglo “ Cada cual a su poste de combate!”(tutti ai propri posti di combattimento) ma è uno dei soliti appelli alla vigilanza. Risalgo. “Non l'ho trovata. Cosa han detto? ". “Dice che a Santiago è tutto tranquillo, di andare a lavorare, vigilare.”Però ha detto ‘ espero’che i soldati de1la repubblica siano fedeli. Espero vuol dire ‘aspetto che’ ma anche ‘ spero’... Un aereo da guerra sorvola basso il centro, lo si vede e lo si sente nella radio. Girare angosciati la manopola della radio, verso destra... da un canale inni militari e poi una voce gracchiante, come disturbata, e prepotente. “Bando numero uno... la giunta dei comandanti in capo... il signor Allende deve dimettersi... prendiamo in mano... " le firme si sentono male, chi è questo " Mendoza "? Da dove trasmettono, chi sono? E' davvero Pinochet? Seguiamo senza parlare, con le dita sulla manopola, questa battaglia delle radio. Quelle di destra smettono le loro musichette e si collegano con la vocetta prepotente, a sinistra molte già tacciono, le rimaste trasmettono inni della CUT(sindacato), frasi di propaganda, strani annunci (" La gioventù radicale ci ha pregato di trasmettere il seguente messaggio 'A Santiago e isola di Pasqua piove torrenzialmente’ "). Radio Balmaceda (della DC) tace. Ripassano gli aerei, radio Portales si è interrotta.

Ritelefono a Radio Nacional “ avete sentito che... sì, compagno, stiamo uscendo, auguri.... adios”

E' la prima volta che sento questa parola (che vengo salutato con adios). Si comincia a sentire qualche sparo lontano. Per il corso passano camion carichi di soldati armati, sette, otto... dell'esercito; la gente li guarda, nessuna reazione, con chi stanno, dove vanno?

Radio Corporacion (di sinistra) continua a trasmettere, disturbata. “ I lavoratori devono lasciare un picchetto in fabbrica e circondare la Moneda... no, questa e l'opinione di un nostro collega, trasmettiamo ora un comunicato della CUT”. “I lavoratori devono occupare immediatamente tutte le fabbriche, non accettare provocazioni, stare in allarme e attendere ordini centrali”. Si annuncia un nuovo messaggio del presidente, tutti attorno alla radio, la sorella di Coppelia arrivata in ansia perchè lei non è ancora tornata... La voce familiare, chiaramente emozionata, quasi interrotta da un rombo di aereo legge il messaggio. E' un discorso morale, storico, eroico, come se fossero successe già tante cose che invece non si vedono ancora, già scontata una sconfitta che non si vede ancora... conferma che sono davvero Pinochet, Leigh Merino quel1i che... “ non fare sacrifici inutili... i semi gettati germoglieranno.” Forse si sarà lasciato sconvolgere dall'emozione; e gli operai, i settori delle Forze Armate, le armi, i piani? Ma una sensazione irreparabile e impotente di sconfitta ci sta già conquistando. Coppelia è tornata, ha visto carri armati, gente che scappava, un colonnello in pensione le ha dato un passaggio. Era tutto eccitato. Dal centro adesso si sentono spari più forti, più frequenti.

“Paolo non uscire! per gli stranieri è più pericoloso....”.

“Non vado verso il centro.”

Sono passate da poco le 10, in Vicuna Mackenna, il grande corso che unisce il centro coi quartieri popolari e industriali della zona sud, molta gente. Una fiumana silenziosa che sta evacuando il centro, a piedi, sui pulman stracarichi. Qualcuno chiacchiera e sorride;lo stesso sorriso del ragazzo dell'appartamento di fronte che mi ha gridato sfottendomi " poder popular... " (merda, sanno che siamo di sinistra!). I momios cominciano a esultare. Vado verso le fabbriche più vicine. I carabinieri alle finestre del commissariato, ognuno col fucile mitragliatore in mano, a difendersi da un nemico che non sanno ancora chi è. Sapranno con chi stanno? Gli spari dal centro (1-2 chilometri di distanza). La gente silenziosa. I compagni hanno già paura di parlare?

Per un attimo fantastico: un’azione avventata di alcuni settori delle forze armate, una grossa reazione popolare, la vittoria... e il socialismo, o quasi, e io qui, a scrivere in Italia...Ma non si vede niente di tutto questo. Operai al cancello di una fabbrichetta, anziani; mi fanno parlare col dirigente. “ Stiamo qui, tranquilli, come ha detto la Cut. Ma se si aspetta siamo fottuti... Ma che vuoi fare? Credo che siamo già fottuti ".

Venti operai anziani, non fa testo, vado alla Elec Metal. Dietro il recinto sul prato, tre operai sdraiati, la radiolina accesa: " il presidente non si dimette: i nostri dirigenti ci hanno detto che ci sono truppe fedeli, aerei anche, con un segno rosso...”; al cancello, un picchetto (niente armi...) conosco di vista il dirigente sindacale. “ La riunione del Cordon è alle due... no, non sono arrivate, sai che le armi le maneggiano i partiti..” ‘Hai sentito il presidente ?’ “ Vuole passare alla storia... ma non è questo che .ci serve in questo momento, merda...” .

Si ferma un proletario che sta passando fuori; ascolta e sorride: “Io vado alla mia "comuna", lì non ci manca niente..”

 

Torno verso casa, fendendo la fiumana; gli spari lontani, ma qui non si vede niente. Possibile che manchino ancora ordini, armi? Forse nelle prossime ore. E io senza tessera da giornalista senza rullini nella Kodak col registratore ad aggiustare, impossibile telefonare a Roma... colto di sorpresa e rabbioso di impotenza. Come chissà quanti altri. Rientro nell'appartamento, c'è un va e vieni di parenti e amici, si scambiano notizie, appuntamenti. L'ultima radio di sinistra ha taciuto per sempre; su tutti i canali lo stesso inno militare e quella voce gracchiante: “Transmite la red de radiodifusion de las fuerzas armadas y carabineros de Chile..”. Hanno dato un ultimatum al presidente, minacciano di attaccare con tutti i mezzi la Moneda; un amico di casa è arrivato dal centro, i soldati dei golpisti portano un bracciale, come un segno per distinguersi. Si spara contro il GAP (Guardia Presidenziale), reparti di carabinieri, non si capisce niente.

Coppelia è sempre al telefono, eccitata di vivere in mezzo a un film, un racconto "Pensa, i carri armati” . E' difficile rendersi conto che sta succedendo davvero: un'altra fila di camion militari passa nel corso Vicuna Mackenna. Sono circa le 12, i due aerei da guerra continuano a sorvolare, bassi, li vediamo dalla finestra. “E' per spaventare la gente..” No! Si abbassano, rumori più forti, si rialzano. Stanno bombardando la Moneda, allora era vero, ma sono dei pazzi criminali, non hanno paura di niente. E il Presidente là dentro.. Il bombardamento ci dà l’idea che ci troviamo di fronte a degli assassini scatenati; però non è possibile che siano tutti d’accordo, sarà l’iniziativa di un comandante, non possono andare avanti così. La voce gracchiante, alla radio, rivendica con orgoglio il bombardamento e lo usa come minaccia.

Di fronte alla mia finestra, una villetta bianca, improvvisamente a tutto volume l'Halleluia di Haendel, gli aerei continuano a bombardare, un ragazzo sale sul tetto a guardare, sorride, piazza la bandiera cilena. Non riesco neanche a odiarli, sono troppo incredibili, Haendel (casa mia.. .i dischi di mio padre) la borghesia è morte.

Dopo il bombardamento sulla Moneda, per parecchi minuti non si era sentito un solo sparo: segno come di uno sbigottimento generale. Si comincia a temere sulla sorte del presidente; ma in tutti i colpi di Stato, pensiamo, c’è sempre un po’ di galateo.

La radio annuncia il coprifuoco alle tre, in strada sempre la gente che va verso la periferia, i parenti di casa se ne vanno, la gente per strada si dirada, ogni tanto qualche camion carico di soldati, gli spari da più parti, in genere mitra contro armi corte, ma sempre lontani.

La radio annuncia che il presidente si è arreso; poi non dice più niente su questo. Riprendono sparatorie, ormai ci stiamo abituando, si può anche mangiare ascoltando gli spari: “questo dev’essere un mitra punto 30..”

A un angolo della strada un gruppo di giovani allegri, benvestiti, penso fascisti. Passa un’altra colonna di camion. Per la prima volta vanno verso la periferia, ripenso agli operai che ho visto la mattina nelle fabbriche, il gruppo di fascisti all’angolo applaude. Nuvole scure e freddo scendono dalle Ande sulla città, sembra che qualcuno lo faccia apposta.

Ci rendiamo conto di essere l’unico appartamento in questo pezzo di strada senza la bandiera alla finestra, e i fascisti ci stanno guardando, meglio che arrivi presto l’ora del coprifuoco.

I ricordi di tutte le ore seguenti, fino alla fine del coprifuoco (ore 12 del 13 settembre) non hanno più ordine cronologico. Telefonate, nuovi incredibili comunicati dalla voce gracchiante, scene dalla finestra, rumori.

Verso sera, a una delle telefonate di amici, Jaime risponde con un tono diverso, chiude il telefono, ci guarda , “guevòn, se echaron al chicho " (Hanno ucciso Allende). Silenzio. Poi cominciano le voci, si è suicidato, no, sono morti il tale e il tal'altro, ci sono città che resistono, ma la cugina, da Chillan, dice che anche li è come a Santiago.

Sempre l’11 sera, inaspettata, arriva la comunicazione con Roma che avevo chiesto invano la mattina, chissà sara una svista del controllo militare, un colpo di fortuna. E' eccezionale sentire la voce di Giorgio: “Qui ci stiamo gia mobilitando..” ma io cosa gli posso dire, solo voci, pareri.

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io faccio l'istituto tecnico per le arti grafiche e la comunicazione visiva!

 

devo ancora farmi spiegare bene, ma da quello che mi ha accennato, l'America ha attaccato non so chi come BIN LADEN HA FATTO L'11 SETT!! solo èche è quasi impossibile trovare quel fatto perchè è stato nascosto!!! mi farò spiegare meglio!

 

cmq, l'F104 è un patto con il mio compagno di banco...suo padre era pilota di F104 e volava nel 6° stormo! quella foto l'ho trovata quasi per caso, e il padre del mio compagno ha volato anche su quello!!!

 

si vede poco, ma sulla fiancata c'è scritto: "OCIO CHE TE COPO"...che qui vuol dire occhio che ti uccido...nel dialetto nostro!

:okok:

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