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Mare Nostrum


Yuri Gagarin

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Il Mediterraneo è nuovamente un'area di concentrazione delle forze?

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La contemporanea presenza di significative risorse militari, immensi interessi economici e diversi leader che hanno mostrato la loro propensione a ricorrere alla forza armata per basare la loro politica internazionale, rendono il Mediterraneo, e più precisamente il Mediterraneo orientale, una delle aree più potenzialmente esplosive del pianeta. Questa vicinanza, sia geografica che economica, con l'Europa e i suoi interessi, dovrebbe incoraggiare i leader europei ad aumentare i mezzi a loro disposizione in questo settore, ma anche a rafforzare la loro coesione, in particolare con la Grecia, per avere un potere sufficiente e credibile , l'unico in grado di imporre uno status quo pacifico a lungo termine, dal ritiro parziale della 6a flotta statunitense.

 

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Il Mediterraneo non può più essere considerato  un mare  ma un " lago allargato " con due sfoghi : uno naturale ( Gibilterra ) e  uno artificiale ( Suez ) . Proprio un medi-terraneo .

In questa pozza passano le linee commerciali che portano beni a un continente vecchio e decadente ( l'Europa ) che ha come particolarità principale il fatto di avere ancora un po' di soldi da spendere .

Sì è vero , c'è ancora un della tecnologia ( lavatrici tedesche , elicotteri italiani e aerei francesi ) , ma tra non molto tutta questa roba la faranno anche altrove. La tecnologia avanza , l'Europa arretra .

In sostanza è un continente fatto soprattutto  di consumatori  di materie prime  e  manufatti .

Ergo , se si vuol fare soldi conviene controllare  queste rotte ( soprattutto gli accessi )   e per farlo bisogna presidiarlo armati.

Per adesso fanno paura le navi turche ?   Si pensi a quando quelle cinesi attraccheranno in qualche paese compiacente o addirittura metteranno batterie di missili sulla costa . Già ora controllano Gibuti ( la periferia di Suez ) .

Altra considerazione : essendo il medi-terraneo un luogo dove le potenze importanti  ( USA , Cina , Russia , Giappone e , massì mettiamoci anche India , Nigeria e Pakistan ) non hanno territori propri che vi possano essere coinvolti , è il luogo ideale per scatenare una guerra atta al regolamento di conti tra le potenze succitate : nessun paese rivierasco sarebbe in grado di impedirla.

I prossimi anni potrebbero essere  interessanti e non solo per il traffico di clandestini.

 

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Ipotesi di una Zona economica esclusiva per l’Italia

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La carta inedita della settimana è dedicata alla creazione di una Zona economica esclusiva (Zee) per l’Italia. Anticipa il prossimo numero di Limes, L’Italia al fronte del caos, che uscirà venerdì 5 marzo e sarà incentrato su Sicilia e Nord Africa.


La Zona economica esclusiva è una porzione di mare adiacente alle acque territoriali – che può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale – sulla quale lo Stato ha sovranità esclusiva in materia di gestione delle risorse ittiche, installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture, nonché in materia di ricerca scientifica marina.


Il provvedimento legislativo per l’istituzione di una Zee italiana è stato approvato dalla Camera nel novembre del 2020; deve ancora approvarlo il Senato.


La carta di Laura Canali ipotizza l’estensione della Zona economica esclusiva italiana. Il tema è sviluppato nell’articolo dell’ammiraglio in congedo Fabio Caffio, da cui sono tratte la carta e la citazione seguente:


Immaginare il tracciato del confne provvisorio della nostra Zee è chiaramente un esercizio accademico, utile tuttavia a farci comprendere qual è la posta in gioco per il nostro paese e quali soluzioni costruttive possano adottarsi, magari facendo ricorso a «intese provvisorie di carattere pratico» (art. 74,3 Unclos). […]
Negoziare confni è un’attività quanto mai complessa e rischiosa, nel senso che c’è il pericolo che soluzioni di compromesso portino a scelte contestate ex post da settori dell’opinione pubblica e gruppi di interesse. Si pensi al caso dell’accordo con la Francia del 2015, che non è stato ancora presentato in parlamento, o a quello con la Tunisia del 1971, che dovette aspettare sette anni prima della ratifca. Il rischio fa parte del gioco, nell’ambito di una partita in cui nessuno dei due contendenti è destinato a essere del tutto perdente. La sfda è superare incomprensioni e vecchie ruggini che hanno fatto languire rapporti marittimi che la conformazione
del Mediterraneo ha sempre agevolato. Ora si può ripartire mostrando buona fede e voglia di scelte partecipate. La Zee si sovrappone alla piattaforma continentale e quindi ha una portata concettualmente più vasta: non solo idrocarburi fossili ma anche protezione ambientale, gestione sostenibile delle risorse ittiche e lotta alla pesca illegale praticata da paesi non mediterranei, energia verde dal vento prodotta in wind farms galleggianti. Tutti obiettivi che fanno parte dell’agenda mediterranea ed europea e che dovrebbero perciò essere condivisi dai nostri «vicini-molto vicini». Il nostro ruolo può essere quello di avviare un processo virtuoso partendo dall’Adriatico, ove già esistono le premesse per una governance comune ispirata al principio per cui istituire Zee non vuol dire appropriarsi di spazi di alto mare per territorializzarli, ma stabilire zone in cui la giurisdizione nazionale sia dedicata alla blue economy e all’ordinato svolgimento delle attività marittime, cui concorre la vigilanza affdata alla Marina militare.

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Carta di Laura Canali

 

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Manovra per decine di navi e aerei: in Turchia scatta Mavi Vatan 2021

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Le esercitazioni sono un messaggio rivolto alla Grecia? Non solo. In realtà quello della Turchia è un segnale che, come rivelato a InsideOver da fonti di alto livello, si rivolge a tutto il mondo. E il motivo è da ricercare anche in quello che sta accadendo in questi ultimi tempi proprio sul fronte del Mediterraneo allargato.

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In ogni caso, la Turchia, confermando questa nuova dottrina – che i suoi ideatori ritengono eminentemente di autodifesa – ribadisce di voler completare una trasformazione che si basa anche sulla rinnovata capacità delle forza aeronavale, sia nell’alveo della Nato che come potenza autonoma. Questo è in fondo l’obiettivo finale di Mavi Vatan: trovare un’indipendenza sempre più marcata, riformulando la geopolitica turca.

Turkish Navy kicked off BLUE HOMELAND-2021 large scale exercise

 

Modificato da Yuri Gagarin
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Immigrazione: i fatti più importanti di febbraio 2021

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Per quanto riguarda l’Italia, i dati del Ministero dell’Interno riferiscono che, dal primo al 26 febbraio, sono sbarcati 4.536 migranti. Si tratta di un aumento significativo rispetto ai 2.359 sbarcati in Italia nello stesso periodo del 2020. Le prime cinque nazionalità dei migranti sono, tunisina, ivoriana, bangladese, guineana ed eritrea. Dall’inizio dell’anno, invece, i minori non accompagnati ammontano a 398.

 

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Il 28/2/2021 in 17:42 , Yuri Gagarin ha scritto:

Una cosa è un'esercitazione di alcuni giorni ( programmata da tempo , così come lo è la politica turca da alcuni anni ) , un'altra è la capacità di sostenere uno sforzo militare per un tempo prolungato.

Per quanto  si " allarghi " nello stretto  " medi-terraneo " ,la Turchia si trova in una posizione dalla quale potrebbe minacciare Suez , ma non Gibilterra. E non credo che tra Turchia ed Egitto ci sia simpatia , al momento. Con Israele , poi.....

Mostrare i muscoli in questo modo serve a poco se non c'è un'infrastruttura industriale adeguata e linee di rifornimento ,  soprattutto di materie prime , agevoli da difendere .

Per capire meglio cosa potrebbe accadere ne lungo periodo , è meglio invece vedere con quale potenza globale Erdogan intende associarsi : gli USA di Biden ( può essere dato che questo tende a fare il contrario di Trump ) , la Russia , la Cina.

Conviene tener  d'occhio quali bandiere compariranno nei porti turchi.

 

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Lo fa finchè i sopraddetti  USA , Russia , Cina , Egitto , Israele glielo lasciano fare.

Esiste  sempre qualcuno  a cui conviene dire che c'è  un  bau - bau  in grado  di  far paura al mondo : " la salute , ( pardon ! ) la pace prima di tutto " .

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Il SAR dei migranti in acque maltesi

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Sull’appoggio di Tripoli per il SAR il nostro Maritime Rescue Coordination Center (MRSCC) non fa più affidamento perchè l’Italia non può più accettare che i migranti salvati siano riportati indietro da quando con Decreto del 2019  abbiamo incluso la Libia tra i “Paesi di origine non sicuri”.

o che bello!

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Anni fa  in America  si pensò  di " incoraggiare "  lo spirito indipendentista dell'isola    

https://www.lavocedinewyork.com/news/economia/2015/08/16/luttwak-la-sicilia-vada-via-dallitalia-e-punti-sul-separatismo-i-grillini-al-timone/

Tuttavia , non molto tempo dopo , Luttwak disse che per mantenere la Sicilia " indipendente " , bisognava pagare  cifre sconsideratamente alte  😭 😱 , considerando le pretese economiche della classe dirigente  🤑 💰💴 💵 .... 

Se comune dovesse accadere ,

1) bisognerebbe cambiare presidente  :bye: ,

2) niente ponte sullo stretto :oops: ,

3) si mangerebbero arance spagnole , 

4) niente Euro per la Sicilia , ma dobloni normanni .

 

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La cosa indica un rafforzamento dell'alleanza greco-israeliana , proiettata non solo sulla difesa militare e sul contenimento della Turchia.

Per quale motivo Israele sia disposta a  deviare una parte delle sue riserve naturale di gas verso l'Europa , mi sfugge.

Vista la sua situazione di paese in perenne stato di guerra o quasi , farebbe bene a tenersele strette  .

Quello che anche emerge è l'emarginazione dell' italietta , destinata a essere punto di passaggio di un gasdotto pensato per gli interessi altrui , come in passato fu territorio di passaggio e battaglia di eserciti altrui .

Cose che accadono quando  non c'è sovranità.

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Che senso ha la tregua tra Egitto e Turchia from Limes

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assi_ankara_dettaglio

Dettaglio di una carta di Laura Canali.

18/03/2021

Il Cairo e Ankara sono rivali strategici, quindi non c’è niente di meglio che divenire alleati tattici. Erdoğan vuole capitalizzare le scorribande militari del 2019-20, al-Sisi intende liberarsi degli Emirati. Il compromesso nelle Libie è decisivo.

La normalizzazione nei rapporti tra Turchia ed Egitto è gravida di conseguenze geopolitiche regionali e potenzialmente suscettibile di deviare la logica stessa dei conflitti in corso nel Mar Mediterraneo.


Il 12 marzo il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha annunciato che Ankara e Il Cairo hanno ripreso i contatti – interrotti dopo il golpe del 2013 con il quale il generale Abd al-Fattah al-Sisi rovesciò il presidente eletto dell’Egitto, Mohammed Morsi – “in ambito diplomatico e di intelligence”, sostanziando le enigmatiche dichiarazioni rilasciate pochi giorni prima dal ministro della Difesa Hulusi Akar. Gli egiziani hanno confermato la versione anatolica, mettendo tuttavia in chiaro che i turchi devono dimostrare con i fatti la loro buona fede.


Tradotto: l’Egitto si aspetta che la Turchia manifesti una disponibilità al compromesso in Libia (o meglio, nelle Libie). È infatti qui che la rivalità tra Ankara e Il Cairo può sfuggire di mano, palesando il rischio di un confronto militare diretto tra le due potenze musulmane. È qui, dunque, che verrà necessariamente testata la sostenibilità della riconciliazione turco-egiziana. Negli ultimi mesi non sono mancati reciproci segnali distensivi.


La scorsa estate la Turchia aveva tirato il freno a mano quando i suoi agenti di prossimità erano giunti alla periferia di Sirte. Non per timore della muraglia eretta dai russi – messi in fuga ancora pochi giorni prima dai micidiali Bayraktar Tb2 – ma per segnalare all’Egitto di comprendere i suoi interessi e timori per la sicurezza nazionale. Messaggio recepito dai diretti interessati, che anziché mandare i carrarmati in Cirenaica nel dicembre 2020 hanno inviato una delegazione diplomatica a Tripoli, la prima dal 2014.


La Turchia ha marginalizzato la componente legata alla Fratellanza musulmana e favorito l’elezione di un governo di unità nazionale retoricamente benedetto da tutti i portatori d’interessi nelle Libie. In primis dall’Egitto, che a inizio marzo nell’assegnare i diritti per l’esplorazione di alcuni giacimenti ha esibito un inedito rispetto per i confini della piattaforma continentale turca come definita dal controverso accordo per la delimitazione dei confini marittimi sottoscritto con il governo di Tripoli a novembre 2019.


Tali cortesie riflettono il concomitante slittamento tattico dell’approccio regionale di entrambi i paesi, oggi interessati a usarsi a vicenda più che a combattersi, mantenendo inalterata la propria rivalità strategica. Declinazione mediterranea dell’ormai consolidato modello turco-russo.


La tentata normalizzazione con l’Egitto è solo un tassello della pax ottomana promossa da Ankara.


Nei giorni scorsi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato ufficialmente che i colloqui con la Turchia sono in pieno svolgimento. Così come sono stancamente in corso i negoziati turchi con la Grecia sulla cogestione dell’Egeo e degli spazi contesi nel Mediterraneo orientale. Anche l’Arabia Saudita ha reagito positivamente alle avance di Ankara. A dimostrazione del fatto che le esibizioni di potenza militare avvenute tra l’ottobre 2019 (Operazione Fonte di Pace a est dell’Eufrate) e il novembre 2020 (cessate-il-fuoco nel Nagorno Karabakh) non erano fini a sé stesse ma volte ad avanzare gli interessi strategici della Turchia, a riassestare i rapporti di forza con i rivali. La disponibilità a rammendare le relazioni con Ankara da parte di Israele, Egitto e Arabia Saudita è in primo luogo conseguenza diretta delle prove di forza turche a Idlib, Tripoli e nel Caucaso.


Carta di Laura Canali - 2021

Carta di Laura Canali – 2021


Gli egiziani hanno avvertito distintamente l’impatto prodotto dall’intervento turco nell’ovest libico, tanto da rifuggire il confronto diretto con il rivale malgrado l’ostile introduzione di quest’ultimo nel proprio cortile di casa. Lo Stato ebraico è rimasto affascinato dall’efficacia con la quale la Turchia ha usato assetti militari israeliani – in particolare i micidiali “droni kamikaze” Harop – nella seconda guerra del Nagorno Karabakh. Circostanza tutt’altro che secondaria in una fase in cui Israele non riesce ad annettere la Cisgiordania, malgrado gli sia stata servita su un piatto d’argento dagli Stati Uniti, e fatica enormemente a contenere la progressione iraniana verso il proprio confine.


Notevole, in tal senso, che l’asse turco-israeliano – forgiato da Washington a metà anni Novanta in assenza di un vero nemico – risorga in chiave sostanzialmente antiamericana, quale nucleo della resistenza alla probabile (ri)apertura di Biden all’Iran. Infine, i sauditi hanno preso diligentemente nota della lezione impartita dai droni turchi a pasdaran e hezbollah a Idlib. Giungendo alla conclusione che solo cooptando la potenza militare turca possono sperare di uscire vivi dalla trappola yemenita.


In questa fase l’obiettivo della Turchia è capitalizzare i benefici geopolitici delle proprie scorribande. Anche e soprattutto per cautelarsi in vista dell’inevitabile rappresaglia americana. Che i turchi possono provare a smorzare unicamente giustificando l’allargamento della propria proiezione militare con il contenimento attivo della Russia. Dunque, non solo marcandola stretta ma anche attaccandola in contropiede. Come hanno fatto nel Caucaso, che infatti non compare mai nella lista delle recriminazioni americana. Come Washington chiederà loro di fare in Libia. Scenario che impone alla Turchia di azzerare il numero dei rivali tattici, dunque dei potenziali collaborazionisti di Mosca. Anche perché il fronte turco-russo è ormai molto esteso: va da Tripoli a Baku. La reazione russa a una mossa turca a Sirte può avvenire a Idlib. Circostanza che aumenta ulteriormente l’importanza dell’Egitto agli occhi della Turchia, che può favorire l’assunzione di un ruolo di primo piano da parte del Cairo nella crisi siriana. Nella quale il principale paese arabo non ha mai toccato palla.


Tale condizione riflette le motivazioni sottostanti l’apertura egiziana ad Ankara. Dal golpe del 2013 l’Egitto è entrato a pieno titolo nell’orbita saudo-emiratina, acconciandosi per ragioni di sopravvivenza a farsi esecutore – malgrado il riconosciuto status di “cervello” del mondo arabo – di consegne “pensate” da emiri e principi del Golfo. Nel luglio dello scorso anno, ad esempio, Il Cairo accettò la richiesta irano-emiratina di inviare propri soldati al fronte di Idlib. Mossa che non ha minimamente aumentato l’influenza egiziana in Siria, a dimostrazione del fatto che piegarsi al filoassadismo degli Emirati non porta alcun beneficio all’Egitto. Assad ha già troppi padroni, non ha nulla da offrire ai suoi “fratelli” arabi.


Con la sponda della Turchia, Il Cairo può ritagliarsi un ruolo autonomo nella crisi, financo a diventare il paese arabo di riferimento tra Mediterraneo ed Eufrate. Si tratterebbe di una replica di quanto già avvenuto in Libia. L’Egitto è sempre stato contrario all’offensiva su Tripoli lanciata da Khalifa Haftar nell’aprile 2019. È stato costretto a sostenerla per ragioni di forza maggiore, a causa della subordinazione geopolitica a Riyad e Abu Dhabi. L’intervento turco non ha dunque solo salvato Tripoli da Haftar, ma anche l’Egitto dai principi noti per acronimo (il saudita MbS e l’emiratino MbZ). A quasi due anni dall’inizio della marcia di Haftar, infatti, gli Emirati non hanno più alcuna influenza nell’ex Quarta Sponda. Ne sono stati completamente espunti. Mentre gli egiziani sono rientrati a Tripoli dalla porta principale e giocano un ruolo decisivo nel processo di ricomposizione delle Libie.


Carta di Laura Canali - 2021

Carta di Laura Canali – 2021


Se Il Cairo comprende la logica della cooperazione competitiva turco-russa, lo scenario libico può essere riprodotto lungo il corso del Nilo. L’Etiopia ha infatti chiesto la mediazione turca sulle controversie territoriali con il Sudan e idriche con l’Egitto, mentre per reazione Khartoum si sta rifugiando tra le braccia del vicino settentrionale. Dinamiche che fanno il gioco tanto degli egiziani quanto dei turchi, dal momento che la manovra a tenaglia permetterebbe di sganciare il regime sudanese da Abu Dhabi e avvicinarlo al Cairo, consentirebbe a quest’ultimo di sventare le conseguenze più drammatiche della faraonica diga sul Nilo progettata dagli etiopi e garantirebbe alla Turchia di radicarsi nel Corno d’Africa.


Tali sviluppi vengono scrupolosamente monitorati dagli altri rivali di Ankara, perché se consolidati hanno il potere per stravolgere la logica che informa il grande gioco mediterraneo. In particolare dai greci.


Il confronto turco-greco per l’Egeo e gli spazi contesi nel Mediterraneo orientale è infatti l’asse attorno al quale ruotano le altre contese, perlopiù confezionate strumentalmente su misura della rivalità tra Ankara e Atene. I francesi hanno segnalato ai turchi il proprio disagio rifornendo i greci di aerei da guerra e altri assetti militari. Gli israeliani allestendo un’accademia per i piloti ellenici e legando la propria rete elettrica a quella della Grecia. Gli Emirati hanno stretto accordi di cooperazione e di difesa tanto con i greci quanto con i greco-ciprioti. I sauditi si sono spinti a svolgere esercitazioni con l’Aeronautica greca nell’Egeo, mentre gli egiziani hanno stretto con Atene un accordo per la definizione dei confini marittimi in chiave ufficialmente antiturca.


L’intervento di Ankara nelle Libie ha tuttavia svelato il divario tra intenzioni e azioni. L’Egitto ha avuto paura di entrare in Cirenaica, difficilmente rischierebbe di rompersi l’osso del collo per difendere i greci a Kastellorizo. Dopo la sconfitta subita in Tripolitania i francesi hanno inteso chiudere immediatamente la vertenza con Ankara, perché hanno paura che quest’ultima dispieghi gli F-16 nella base aerea libica di al-Watiyya e che dunque li soverchi nel Sahel. Timori che non sembrano preludere a un confronto diretto franco-turco in caso di occupazione di una cosiddetta isola greca da parte della Turchia. I sauditi vengono molestati quotidianamente dall’Iran (per interposti huthi) nel proprio territorio nazionale. Alla luce dell’esito della guerra in Yemen, un intervento saudita nell’Egeo sarebbe catastrofico in primo luogo per Atene. Considerazioni analoghe valgono per israeliani ed emiratini. In fondo anche per gli americani, che si propongono di militarizzare la piattaforma ellenica per imbragare i turchi e minacciano di tornare a dare le carte a Cipro. Ma hanno bisogno di Ankara nelle Libie, nel Caucaso e persino in Afghanistan.


Le dinamiche che hanno condotto alla tregua con l’Egitto confermano la natura propriamente strategica della postura regionale della Turchia. La scaltrezza con la quale i turchi concepiscono l’uso della forza militare come componente di un approccio geopolitico più ampio, l’abilità con cui riescono a smorzare la pressione ostile isolando i punti di debolezza del nemico, facendogli percepire la cooptazione come il male minore.


Erdoğan ricorda spesso ai suoi concittadini che “abbiamo appena iniziato a mostrare la nostra potenza”. Non c’è nessuna fretta, né alcuna tendenza all’esibizionismo. La tattica è al completo servizio della strategia.

 

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