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PHM 1 Pegasus


Rommel

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PHM 1 Pegasus

 

Negli anni '60, le moto-missilistiche sovietiche, imbarcazioni spesso convertite da vecchie moto-cannoniere e moto-siluranti, costituirono una delle principali fonti di preoccupazione per le marine occidentali. Il connubio tra le ridotte dimensioni e la grande potenzialità di fuoco poteva seriamente mettere in difficoltà le grandi flotte costituite da navi di grande stazza e ad alto costo. Nel 1970 l'ammiraglio americano Elmo Zumwalt diede inizio al programma per incrementare il numero di imbarcazioni leggere, lavorando su quello che effettivamente era un “terreno poco battuto” dalla Marina: la velocità.

 

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Il 27 febbraio 1961 venne impostato dalla Boeing Marine, nei cantieri Martinac Boatyard, il primo aliscafo da combattimento sperimentale della Marina americana, il PCH 1 HighPoint (Patrol Craft Hidrofoil), destinato ad essere seguito da altre unità sperimentali quali il Plainwiev (AGEH1), il Flagstaff della Grumman ed il Tucumcari. La Boeing Marine, realizzatrice dell'ultima unità citata, colse il segno e venne scelta per servire la base alle future evoluzioni del concetto del Tucumacari dopo essere stato confrontato con il rivale della Grumman sia in Vietnam sia in America. Tra i due, quello che garantiva la maggiore manovrabilità e tenuta a mare fu il Tucumacari e sulla sua configurazione canard, che diede alla luce i primi disegni del progetto PHM. Al progetto inizialmente partecipò non solo la U.S. Navy, ma anche la Marina Militare Italiana (alla quale sarebbero dovute spettare 4 imbarcazioni) e la Bundesmarine della Germania Ovest (per 10 unità), le quali non mancarono di influenzare grandemente i primi studi. Infatti le ricerche iniziali stabilirono che per ottenere un risultato soddisfacente il dislocamento non dovette essere inferiore al limite dalle 170 t inizialmente prefissate (in rispetto agli accordi sulla riduzione della potenzialità bellica). Quando nel 1972 il disegno di massima fu pronto, il dislocamento raggiunse le 228 t, con un margine di sviluppo per 9,5 t addizionali.

La Boeing ricevette nel '71 lo studio del progetto mentre, nel '73, ricevette il contratto per la produzione della prima unità e l'inizio della seconda, mentre la fine della seconda sarebbe rientrato nel contratto delle successive 5. Il varo venne effettuato nel novembre 1974 con il nome ufficiale di PHM 1 pegasus e fu collaudato con la percorrenza di tutta la costa occidentale americana in 31 ore e 21 minuti. Nel giugno dello stesso anno furono completate le valutazioni operative e nel 1977 venne consegnato alla marina americana.

Lo sviluppo però non fu esente da problemi, in quanto la Marina italiana si chiamò fuori dal progetto per dedicarsi ad una versione nazionale più leggera, mentre i tedeschi preferirono ritornare ad una configurazione tradizionale a scafo immerso. La U.S. Navy rimase l'unica finanziatrice del progetto, che però a causa dell'inevitabile aumento dei costi, costrinse la riduzione degli ordini a 6 unità rispetto alle 24 precedentemente pianificate. Dopo la capoclasse, vennero create la PHM 2 Hercules, PHM 3 Taurus, PHM 4 Aquila, PHM 5 Aries e la PHM 6 gemini. I lunghi tempi di gestazione permisero però un ciclo di prove molto complesso, che consentirono di migliorare tutti gli aspetti poco efficienti dell'imbarcazione.

Rispetto ai predecessori, la maggiore differenza la fece l'armamento, che passò dai classici tubi lancia-siluri ai più prestanti missili antinave. L'elevato carico bellico trasportabile pose la pericolosità di unità come i PHM su un livello senz'altro superiore, dato che il numero di armi lanciabili eguagliava quello lanciabile da uno dei due incrociatori che normalmente scortano una CV. Mutò anche la propulsione ausiliaria, che abbandonò l'entro-fuoribordo a favore di idrogetti diesel, a tutto vantaggio della prestazione.

 

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Con i primi prototipi, venne colta l'opportunità di lavorare alle diverse modalità di utilizzo, privilegiandone sempre l'impiego in acque chiuse e stretti, date le autonomie e le caratteristiche di partenze a freddo di cui godono in favore di scelte fatte riguardanti gli apparati motore. Secondo le stime realizzate dalla Marina americana, un PHM operante a velocità superiori di 40 nodi ha infatti, in missioni di intercettazione in stretti di 50 miglia di larghezza, il 93% di probabilità di conseguire un aggancio, probabilità che per una unità dislocante operante a 25 nodi scendono al 80%. Per pattugliare uno stretto di 100 miglia di larghezza 2 unità tradizionali incrocianti a 25 nodi avrebbero l'80% di probabilità di intercettazione, contro un'identica possibilità percentuale di un PHM operante un un braccio di mare di 130 miglia. Arrivando a 150 miglia le probabilità per un PHM si sarebbero potute stabilizzare intorno al 75% mentre per le dislocanti a 25 nodi scendono a 50%. La protezione offerta contro i missili antinave, gli avrebbe permesso inoltre un discreto grado di sopravvivenza sotto attacchi aerei utilizzando l'alta velocità e manovre evasive. Un rateo di virata che può arrivare a 12°/sec e 50 nodi permettono per esempio di lanciare un chaff e poi porsi al riparo dalla sua traccia in poco più di 24 secondi (che per i missili antinave dell'epoca, ad una velocità di mach 1, significavano 8 Km); in questo modo ad un PHM che procede a 45 nodi e che viri a 6°/sec, è possibile l'individuazione del missile attaccante a 12 miglia , mentre per le imbarcazioni tradizionali il valore necessario doveva arrivare quasi al doppio per avere qualche probabilità di successo. Trascurando il fattore missile-contromisure, durante lo scontro a fuoco simulato con una corvetta avente lo stesso pezzo da 76/62 OTO ad una distanza di 3000 m, l'aliscafo, compiendo virate strette a zig zag possedeva una capacità di sopravvivenza dell'80% mentre per la corvetta si attestavano a percentuali prossime allo 0, mentre a 6000 metri le percentuali salivano al 30% per la corvetta e un 90% per il PHM.

Durante il suo periodo di utilizzo, le infrastrutture minime furono gestite da un Mobile Logistic Support Grup, costituito da un ufficiale e 28 operatori, 6 container da 40 piedi e 3 rimorchi ruotati, mentre il carburante e le munizioni erano garantite dai porti della Marina; i pezzi di ricambio arrivavano per via aerea.

Il problema basilare riguardava la flessibilità dei sistemi d'arma, gli alti costi e la manutenzione, essendo infatti estremamente complesse e sofisticate. Per questo motivo furono poste in disarmo nel luglio 1993 e il programma americano sugli idrovolanti non fu più ulteriormente sviluppato. Tutti gli esemplari a fine esercizio furono smantellati, ad eccezione della Aries, esposta sul Grand River in Missouri e della gemini, convertita e poi venduta come yacht di lusso ad uso diportistico.

 

CARENA E STRUTTURA

 

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Lo scafo fu realizzato in lamiere saldate in lega di alluminio 5456 e lungo 40 m fuori tutto ad ali immerse (44,7 m ad ali ripiegate), largo 8,6 m (14,5 m con la completa apertura della ali posteriori). L'immersione risulta essere di di 7,1 ad alette abbassate, 1,9 m in navigazione ordinaria. La geometria rispetta le linee delle unità dislocanti ad alte murate, con una carena pulita a V profonda progettata per resistere a “spanciate” violente in caso di improvvisa assenza di propulsione in portanza, senza pattini longitudinali ma con una coppia di pinne stabilizzatrici verticali posizionate verso poppa e le prese a mare degli idrogetti ausiliari. Quest'ultimi sono due e trovano alloggio nella parte inferiore dello specchio poppiero, divisi centralmente dal canale di scarico dell'idrogetto principale, utilizzato invece per la planata. Subito dietro la prua, vi troviamo il tunnel trasversale per il bow thruster di manovra.

La configurazione prescelta per la Pegasus fu quella ad ali Canard e completamente immerse. La distribuzione dei pesi ha fatto si che un terzo del peso totale gravi per 1/3 sulla gamba anteriore, la quale viene ritratta facendola ruotare verso l'alto utilizzando la ruota di prua come fulcro di rotazione, alloggiandola in posizione di riposo mediante l'apertura di un portellone a due battenti che normalmente rimane chiuso tanto in dislocamento, tanto in sostentamento. Le superfici di sostentamento posteriori sono composte da due gambe poppiere che formano una unica struttura unità al centro da un'unica ala piegata in tre parti e dotata di flap per il controllo dell'assetto. La ritrazione avviene in modo simile a quelle della gamba anteriore, vincolando però le ali sulla parte superiore della murata tramite un giunto che ne permette la rotazione verso poppa di 95° passando per lo specchio di poppa. Il movimento avviene tramite l'azione di due martinetti idraulici spingenti posizionati al di fuori della murata. Il materiale utilizzato per la realizzazione di queste parti è stato l'acciaio inossidabile 17-4PH. L'attuazione e il controllo dell'assetto sui flap era idraulica ottenuta dagli stessi componenti utilizzati per la fabbricazione dell'aereo passeggeri Boeing 747, dotata di quattro circuiti ridondanti, e un correttore automatico dell'assetto ACS (Automatic Control Sistem)

Il ponte era circondato da una battagliola perimetrale continua e la sua linea aveva un leggerissimo cavallino verso proravia; la superficie interamente calpestabile aveva a prora gli elementi di ormeggio, con il foro per il passaggio dell'ancora Hall sul mascone di sinistra, seguiti dal pezzo d'artiglieria principale. La tuga era realizzata in alluminio, sormontata dalla plancia, si presentava alquanto allungata, dovendo alloggiare un numero non indifferente di locali e sistemi. L'accesso ai locali interni consisteva in tre portelli laterali (due di sinistra e uno di dritta) e un ponte superiore (posteriore alla plancia) calpestabile, dove trovano posto i due alberi sostenenti l'elettronica e i segnalamenti luminosi. Di poppa alla tuga era presente il condotto per i fumi a scarico verticale, seguito dalle prese d'aria schermate dell'apparato propulsivo (ad accezione di due maniche a vento schermate sopra la tuga), dai gavoni cilindrici di coperta per le zattere, le dotazioni d'emergenza ed infine, all'estrema poppa del ponte, dai tubi di lancio dei missili e relative intelaiature.

 

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Internamente, l'imbarcazione si divide in due moduli comunicanti, quali lo scafo e la tuga. A proravia dello scafo, era presente il gavone alloggio dell'ala prodiera e i sui meccanismi di attuazione, seguiti dalla struttura della torretta e dalla riserva di munizioni. Dietro di essa e sotto la tuga erano presenti gli alloggi per un l'equipaggio di 21 uomini, la postazione di controllo della sala macchina (centrale a sinistra) e il deposito materiale (centrale a dritta), i quali sovrastavano i quattro serbatoi di carburante da 49,9 t di gasolio o jp5 e le riserve di acqua potabile, per garantire una permanenza in mare in autonomia di 5 giorni. Dal centro verso poppa regnavano le sale macchine separate da paratie stagne per la turbina principale (centrale longitudinale), gli idrogetti, i motori diesel (di dritta e sinistra) e i gruppi elettrogeni (all'estrema poppa e a dritta al giardinetto). Nella tuga invece, come accennato, erano presenti a proravia la plancia, la sala CIC, la sala radio e quella destinata alle apparecchiature elettroniche, l'alloggio per quattro ufficiali e la restante parte poppiera per il gruppo elettrogeno aggiuntivo.

 

APPARATO DI PROPULSIONE

 

La Pegasus era un'unità di tipo CODOG, con possibilità, dato il disegno e la posizione delle prese a mare, di propulsione combinata. Per la navigazione in sostentamento l'energia necessaria era fornita da una turbina a gas General Electric LM-2500 a turboalbero da 18000 cv, posizionata nella parte centrale poppiera nella sala macchine sull'asse centrale. Essa fu scelta in base alla standardizzazione propulsiva per i battelli in seno alla marina americana, quali per esempio alla classe FFG-7 e alla classe DD963; questo fu il motivo per cui si scelse di abbandonare la propulsione a quattro turbine LM500 inizialmente assegnate. L'unità di spinta era accoppiata ad un riduttore che pilotava un idrogetto Aerojet liquid Rocket Co. a due stadi ed a due velocità. Le prese a mare erano posizionate sulle gondole più esterne nelle gambe poppiere, dalle quali l'acqua passava internamente alle ali fino all'idrogetto, attraverso un condotto a Y. L'idrogetto a pescanti sulle ali ne permetteva l'uso anche in dislocamento, sebbene tale soluzione risultasse più congeniale come booster o come alternativa d'emergenza.

 

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Durante la navigazione ordinaria senza l'effetto portante, la spinta era assicurata da due diesel MTU 8V331-TC80 biturbo, capaci di 750 cv a 2200 rpm, con possibilità di spunti a 900 cv a 2340 rpm. Tali motori furono scelti per la loro ottima prestazione durante le partenze a freddo. Rispetto allo scarico della turbina principale, i fumi erano fatti fuoriuscire attraverso condotti separati da quelli della turbina, posti in coperta a poppavia del fumaiolo principale). Successivamente tutte le imbarcazioni pari classe furono ri-motorizzate con due MTU 8V331-TC81, con potenza portata a 815 cv l'uno. Entrambi pilotavano un idrogetto ad uno stadio della Aerojet general.

 

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Gli apparati elettrogeni come accennato si trovano uno all'estrema poppa, il secondo a dritta vicino al motore diesel mentre il terzo si trova in coda alla tuga. Entrambi sono costituiti da tre turbine a gas AiReserch ME831.800 accoppiati a tre generatori ridondanti Westinghouse da 200 KW a 450 V trifase ciascuno.

La velocità in sostentazione era di 48 nodi intermittenti e di più di 40 continuativi con mare fino a forza 5, mentre a scafo immerso raggiungeva i 12 nodi con i soli idrogetti diesel e i 15 nodi con l'aggiunta dell'idrogetto principale. L'autonomia era di 700 miglia a 48 nodi in sostentazione e di 1700 miglia a 9 nodi a scafo immerso; tra l'altro è interessante notare come prove severe condotte anche in condizioni meteo non proprio soddisfacenti (con mare fino a forza 6) abbia dimostrato che, utilizzando entrambi i sistemi propulsivi per mantenere il passo con la nave rifornitrice, pur permanendosi in navigazione a scafo immerso, i PHM furono in grado di completare un rifornimento in mare in circa 1 ora, anche con picchi d'onda di 6 m.

 

SISTEMI DI NAVIGAZIONE E PUNTAMENTO

 

Il sistema principale era il sistema del controllo del fuoco Mk92 mod1, versione americana del HSA WM28, la cui antenna era contenuta nel radome a cupola sito in cima all'intelaiatura tripode posta tra l'albero e la plancia. Essa reggeva anche l'antenna del radar di navigazione SMA 3TM20-H, successivamente aggiornata con una LN-66; l'elettronica di scoperta lavorava insieme ad un IFF AIMS Mk XII. L'ACS provvedeva al continuo controllo delle superfici dinamiche durante il decollo, il sostentamento e l'ammaraggio, allo scopo di assicurare una perfetta stabilità di piattaforma anche in condizioni meteo avverse, mentre le comunicazioni esterne erano assicurate in VHF dalla radio AN/URC-80, in UHF con l'AN/ARC-138, mentre in HF operano due radio AN/URC-75, oltre che ad una telescrivente. Per gli Harpoon venne utilizzato l'HSCLCS.

 

APPARATO OFFENSIVO E DIFENSIVO

 

L'arma primaria era un cannone navale di produzione italiana OTO 76/62 Compatto, designato Mk75, con riserve per un totale di 400 colpi. Esso ha un'elevazione di +85° e una depressione di -15°, raffreddato ad acqua di mare, capace di un rateo di 85 c/min per una portata massima di 16 Km con le munizioni HE-PFF (8 Km massimi per il tiro diretto). Nel caso dei PHM, destinati al contrasti anti nave, l'armamento principale era costituito da 2 a 8 case componibili per un totale di un massimo di 8 missili antinave Harpoon. L'autodifesa contro le armi guidate nemiche era data da 2 lancia-chaff Mk135 mod0 per un totale di 24 chaff Mk 171 mod0. Nota di riguardo, se l'acquisizione da parte della Germania Ovest fosse proseguita positivamente, la flotta tedesca avrebbe previsto l'adozione dei missili antinave francesi Exocet, in sostituzione degli Harpoon.

 

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Interconair – Aviazione e Marina – novembre 1981 N°900

Storia della Marina – profili N°10 - Fabbri Editore, ristampa 1981

Patrol Combatant Missile Hidrofoil- Design development and Production, Published as Boeing document D312-80948-1, dicember 1980

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