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Savoia-Marchetti S.M.89


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Savoia-Marchetti S.M.89

Il Savoia-Marchetti S.M.89 era un bimotore da attacco al suolo ad ala bassa bideriva, sviluppato dall'azienda italiana Savoia-Marchetti e rimasto allo stadio di prototipo. Estrapolato dal trimotore SM.84, questa versione bimotore rappresenta uno degli aerei di più poderoso armamento che siano stati realizzati per la Regia Aereonautica.
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La struttura era sempre di tipo misto, ma i motori erano stati ridotti a 2, i potenti Piaggio P.XII Tornado da 1.500 hp. Il passaggio da tre a due unità motrici consentì la completa rielaborazione della sezione prodiera della fusoliera: nella parte superiore vi era la cabina di pilotaggio, dall’ottima visibilità, nettamente migliorata rispetto all’SM.84; sotto era alloggiato un vero e proprio arsenale, formato da due cannoni Breda da 37 mm. e da tre mitragliatrici Breda da 12,7. Per l’ispezione di queste armi l’intera sezione del muso, sia frontalmente che ventralmente, era fornita di carenature facilmente asportabili.
Il velivolo ha subito varie modifiche nel corso della messa a punto, quali, ad esempio quella dei portelli del carrello con l’abolizione dei grembiuli anteriori, sulle gambe di forza, e la riduzione delle prese d’aria sopra i motori Piaggio P.XII; egualmente solo in avanzato stato di collaudo vengono montate la torretta dorsale e quella ventrale, entrambe tipo Breda, già previste in sede di progettazione.
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Non si sa bene quando l'aereo volò per la prima volta: forse l'autunno del '41 o la primavera del '42; quello che è certo è che è trattenuto presso la ditta sino al settembre 1942. Aldo Moggi lo porta a Guidonia nel successivo mese di ottobre e di lì il velivolo compie la consueta serie di prove, comprese quelle di tuffo, in quanto l’aereo è predisposto per compiere attacchi anche in questo assetto.
L'S.M.89 prometteva bene quanto a potenza. Di fatto era molto simile, come concezione, ad un grosso Henscel Hs.129. Come questo era dotato di un abitacolo minuscolo, con il muso abbassato e piuttosto piccolo per migliorare la visibilità dell'abitacolo. La corazzatura era impressionante: 300 kg di acciaio per parte anteriore più il parabrezza blindato, 300 kg per i motori, 80 kg soltanto per la corazza posteriore. V'erano poi anche i serbatoi semapizzati (autostagnanti), sei da 2.700 l.
Successivamente il velivolo è trasferito a Furbara ove svolge le prove di tiro contro bersagli a terra (carri armati); I collaudi dell'aereo iniziarono con un solo cannone, l'altro venne poi prelevato da un FC.20 presente.
I risultati di questi cicli di valutazione sono molto promettenti, anche se il velivolo, di dimensioni e peso notevoli, soffre di una certa limitazione di potenza con l’impiego dei Piaggio da 1500 cv. L’adozione di unità motrici più potenti, come il previsto Piaggio P.XV da 1650 cv., avrebbe senz’altro dato maggiore esuberanza e migliori prestazioni al velivolo, che tuttavia resta il più brillante tra quelli che hanno portato le armi da 37 mm.
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Nel luglio 1943, il prototipo dell’SM.89 viene assegnato, per la valutazione in condizioni operative, alla 173a squadriglia. Questo reparto, dopo un lungo periodo passato in Sicilia con gli ottimi CR.25, è ora basato sull’aeroporto di Cerveteri e và considerato una unità sperimentale: infatti riceverà anche esemplari di pre-serie del CANSA FC.20.
I piloti del reparto che lo hanno pilotato sono estremamente critici verso l’SM89; il ten. Bertuzzi, infatti è costretto a far zavorrare l’aereo per correggere la tendenza ad abbassare la prua, mentre il cap. Rindone la definisce una macchina pesante malgrado la notevole potenza motrice a causa del peso dell’armamento e della corazzatura (anche le NACA dei motori e il posto di pilotaggio) e pertanto poco veloce e maneggevole, necessità di viaggiare con oltre l’80% della potenza e mantenere un assetto cabrato per non perdere quota, avvicinamento finale e atterraggio avventurosi dovendo levare motore poco prima di toccare terra per impedirgli di mettere giù il muso.
Giova rammentare che nella lotta ai mezzi corazzati sovietici sul fronte dell’Est l’utilizzo dello Ju.88P, apparecchio di peso e dimensioni paragonabili all’SM 89, vide il totale annientamento dell’unità che lo utilizzava mentre positivo e proficuo utilizzo ebbe lo Ju.87 che in tale ruolo venne utilizzato sino alla fine del conflitto.
Malgrado lo Stato Maggiore voglia impiegarlo per contrastare lo sbarco alleato a Salerno, per fortuna dei due piloti, l’aereo non vedrà mai l’impiego operativo.
Anche per questo velivolo ogni ulteriore sviluppo viene interrotto dall’armistizio. Dopo che i Tedeschi presero possesso dell'aeroporto di Foligno, nel settembre '43, dell'aereo se ne persero le tracce.

 


Scheda Tecnica

Motore: 2 x Piaggio P.XII RC.35

Potenza: 1500 cv
Apertura alare: 21,04 m
Lunghezza totale: 16,85 m
Altezza totale: 4,50 m
Superficie alare: 61,00 mq
Peso a vuoto: 8.800 kg
Peso a carico massimo: 12.635 kg
Velocità massima: 440 km/h a 4.280 m
Tempo di salita: 9’14’’ a 3.000 m
Tangenza massima: 6.700 m
Autonomia: 1.600 km
Armamento: 2 cannoni da 37 mm. e 3 mitragliatrici da 12,7 nel muso, 1 da 12,7 dorsale, 1 da 12,7 ventrale (tipo IX telecomandato e tipo V)
Progettista: Alessandro Marchetti
Pilota collaudatore: Guglielmo Algarotti
Primo volo prototipo: MM. 533 nell’autunno 1941(Vergiate -VA-)
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