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Fronte russo II G.M.


mangusta11

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vedendo il nemico alle porte mi sorge spontanea una domanda ma veramente i sovietici mandavano in battaglia soldati provvisti solamente di munizioni obbligandoli a fare cariche suicide sulle postazioni tedesche e li ammazzavano pure se si ritiravano

 

oppure sono solo licenze poetiche del film

Modificato da mangusta11
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Ospite intruder

No, non lo sono, e chiunque abbia letto qualche libro serio sulla Seconda Guerra Mondiale lo sa. Del resto, prova a chiederti come mai i sovietici persero 18 milioni (secondo alcune stime più recenti addirittura 25 milioni) di soldati in battaglia.

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20 milioni di morti intruder, contando civili e militari, non 25 milioni di militari.

Ovvio che le perdite sovietiche, anche circoscritte al solo ambito militare, erano superiori forse addirittura a tutte le parti in conflitto messe insieme.

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Ospite intruder
20 milioni di morti intruder, contando civili e militari, non 25 milioni di militari.

Ovvio che le perdite sovietiche, anche circoscritte al solo ambito militare, erano superiori forse addirittura a tutte le parti in conflitto messe insieme.

 

 

Le cifre più recenti che ho letto (Armageddon, Battle for Germany, di Max Hastings), sono: 18 milioni di soldati e 9 milioni di civili, ma, scrive Hastings, secondo studi più recenti (il suo libro è del 2004), si tratterebbe di almeno 25 milioni di soldati. I civili non ne parla, quindi si suppone siano rimasti 9 milioni. In effetti, nel 1987 o 88, in URSS sentii parlare di 27-32 milioni di morti totali.

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Ospite intruder
Probabilmente non lo sapremo mai, in ogni caso non conoscevo queste nuove stime ma di certo possono essere plausibilissime.

 

http://en.wikipedia.org/wiki/World_War_II_casualties parla di 26.5 milioni di morti citando

 

Michael Ellman, Soviet Deaths in the Great Patriotic War, July 1994

 

 

 

http://en.wikipedia.org/wiki/World_War_II_...he_Soviet_Union

.

Modificato da intruder
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vedendo il nemico alle porte mi sorge spontanea una domanda ma veramente i sovietici mandavano in battaglia soldati provvisti solamente di munizioni obbligandoli a fare cariche suicide sulle postazioni tedesche e li ammazzavano pure se si ritiravano

 

oppure sono solo licenze poetiche del film

 

 

Anche se i film tendono sempre a fuorviare la realtà quello da te indicato è molto suggestivo!

Il Nemico alle Porte - Battaglia Iniziale Stalingrado

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Ospite intruder

Ai generali russi non gliene fregava niente delle perdite umane, dovevano vincere se no Baffone li mandava in Siberia (as Rokossovsky strapparono le unghie in carcere, per la cronaca).

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Ai generali russi non gliene fregava niente delle perdite umane, dovevano vincere se no Baffone li mandava in Siberia (as Rokossovsky strapparono le unghie in carcere, per la cronaca).

 

Quoto, inoltre non dimenticherò mai le pagine di Centomila Gavette di ghiaccio, dove sono descritti in modo maniacale, le tecniche di attacco a dir poco sconsiderate adottate dai Russi! ;)

Modificato da Blue Sky
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Fu un disastro per il soldato sovietico l'inizio della guerra.

 

L'ignoranza degli ufficiali gli faceva credere che un nemico ben armato poteva farsi sopraffare da una carica, anche se male armata.

Per i primi tempi la disorganizzazione fu tale che c'erano poche armi al fronte (nel film danno un fucile ogni due soldati) mentre i magazzini lontani dal fronte erano pieni di armi nuove (stessa problema che ebbero nella prima guerra mondiale).

 

Le cose poi, purtroppo per i tedeschi, cambiarono...

 

Bel film comunque, ancora si dibatte se ci fosse stato davvero un super cecchino tedesco, incaricato di uccidere Zayev (personaggio storico realmente esistito)

Modificato da Leviathan
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Beh l'ignoranza degli ufficiali era dovuta al fatto che la magica coppia Ezov&Josif aveva fatto fuori tutti quelli validi nel biennio 36-38, e quelli rimasti erano o incapaci politicamente affidabili o troppo inesperti all'inizio della guerra.

Fortunatamente la Russia aveva tanti uomini da mandare a morire...

 

P.S. Quanto alla storia del super cecchino può darsi sia stata inventata dalla propaganda Russa, ma il valore di Zaysev, e di altri cecchini e cecchine russi, mi pare ve ne siano di più titolati, non si discute.

Modificato da Dominus
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Ospite intruder

Be', quando tu hai più gente da mandare al macello che il nemico pallottole da sparare, funzionano per forza. I cinesi in Corea usarono la stessa tattica, persero fra i 100 mila e il milione di soldati, ma ricacciarono i macellai imperialisti al di sotto del 38°.

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un momento, queste cariche suicide a Stalingrado non ,portarono a niente, infatti poi i sovietici iniziarono a capirlo e a predisporsi a difesa...

C'era un topic apposito sulla battaglia di stalingrado...

Si parlava anche delle Midway con gianni, non lo trovo ma c'è molto materiale

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In effetti, nel 1987 o 88, in URSS sentii parlare di 27-32 milioni di morti totali.

 

Oddio 32 milioni di morti no...non penso che l'URSS nella seconda guerra abbia perso un terzo del suoi abitanti! ( che all'epoca erano circa 110 milioni :o )

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Ospite intruder
Oddio 32 milioni di morti no...non penso che l'URSS nella seconda guerra abbia perso un terzo del suoi abitanti! ( che all'epoca erano circa 110 milioni :o )

 

 

Informati meglio: nel 1941 la popolazione dell'URSS era 174 milioni.

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Ospite galland

Circa il tema dibattuto nel topic ritengo interessante portare a cognizione un capitolo di un vasto studio sulla storia europea contemporanea:

 

Mario Silvestri

 

“La decadenza dell’Europa Occidentale – IV La catastrofe 1939-1946”

 

Einaudi Torino 1982

 

Silvestri non era uno storico ma un professore di fisica tecnica con una profonda passione per gli studi storiografici. L’opera da cui traggo il presente spunto è un saggio che partendo da una vastissima messe d’elementi statistici, tecnici, sociali traccia, con originale ed acuta lettura, il percorso del continente europeo nel XX secolo.

I passi segnati ho segnato alcuni passi, a mio parere particolarmente significativi, in reretto. Ho espunto i riferimenti bibliografici.

 

8. Il segreto della grande guerra patriottica.

 

I sovietici non hanno mai rese note in modo analitico le perdite da essi subite durante la guerra contro la Germania. Tuttavia una recente "Storia dell'Urss durante la grande guerra patriottica" è ricca di molti dati statistici parziali, con i quali si può ricostruire il mosaico. In essa si afferma che le perdite di vite umane (militari e civili) dell'Urss furono superiori a 20 milioni di morti, cifra del resto già precedentemente citata e accettata da tutti come veritiera. In altra parte dell'opera si dà il numero delle persone sterminate dai tedeschi (non in combattimento) entro i confini dell'Urss, distinguendo i civili (6 844 591) dai prigionieri di guerra (3 932 256) per un totale — esatto fino all'esasperazione — di 10 776 787. Il complemento a 20 milioni risulta pari a 9 223 213. Ma non tutti possono essere considerati caduti, mentre combattevano nelle file dell'Armata rossa, poiché sono inclusi i deceduti civili per cause di guerra entro il territorio sovietico mai occupato dall'esercito germanico. Devono quindi includere i decessi durante il terribile assedio di Leningrado (1 000 000), nonché altri decessi per bombardamenti aerei e di artiglieria, in particolare durante il selvaggio bombardamento di Stalingrado del 23 agosto 1942, che si dice abbia fatto 40 000 morti. Ammettendo che queste perdite siano state pari a 1 223 213 morti, si arriva, per i caduti in combattimento, a un totale di 8 milioni di morti (esclusi i prigionieri periti in cattività).

 

Ad essi va aggiunto un congruo numero di feriti. Analizzando i dati tedeschi relativi al fronte orientale, e facendo un'analisi critica del rapporto feriti/morti per gli altri fronti di combattimento, si arriva, come conclusione, a valutare in 3,17 i feriti per ogni caduto. Agli 8 milioni di morti sovietici si devono perciò aggiungere 25,4 milioni di feriti.

 

Vi sono infine i prigionieri di guerra, che da fonte germanica furono precisati, sia durante che dopo la guerra, in 5,7 milioni. Tale cifra, sovente ritenuta incredibile, trova indiretta conferma nell'opera russa citata, in cui si registra il decesso in cattività di oltre 3,9 milioni di soldati sovietici (numero, che gli stessi tedeschi confessarono veritiero, negli ultimi mesi di guerra). Una parte dei prigionieri, tuttavia, potrebbe essere stata catturata ferita e, ammettendo generosamente (dato l'elevato numero) che la metà lo fossero, vi è una parziale sovrapposizione fra feriti e prigionieri. Facendo le debite correzioni secondo i criteri indicati, si arriva alle seguenti conclusioni:

 

 

Caduti in combattimento 8 000 000

 

Feriti (esclusi i prigionieri) 22 600 000

 

Prigionieri(di cui metà feriti) 5 700 000

 

Totale 36 300 000

 

 

Mediate sull'intera durata della guerra, durata 1417 giorni, le perdite giornaliere risultano perciò di 25 600 uomini. Volendo scorporare le perdite eccezionalmente elevate del primo assalto germanico (22 giugno - 6 dicembre 1941), che sono valutate dagli storici occidentali in 5,5 milioni di combattenti, si arriva a 30,5 milioni di perdite per il restante periodo della guerra, durante il quale l'Armata rossa fu quasi sempre all'offensiva. Ebbene, anche in questi 1249 giorni, l'usura media giornaliera fu di 24 600 uomini, cioè poco diversa dalla media generale. In questo secondo periodo (il più lungo) l'esercito sovietico a contatto col nemico ebbe una consistenza media di 6 milioni di soldati. Le perdite medie mensili risultarono perciò pari al 12,5 per cento degli effettivi impegnati.

 

Questi numeri, per le illazioni politiche che se ne possono trarre, non possono essere accettati ad occhi chiusi.

 

La cifra di 20 milioni di morti trova conferma nei dati del censimento del gennaio 1959. Da esso (vedi inserto a fine testo) si deduce un deficit di uomini rispetto alle donne di 9,575 milioni per il gruppo di età compreso fra 30 e 49 anni e di 5,312 milioni per il gruppo d'età compreso fra 50 e 59 anni. Poiché fra la data del censimento e la fine della guerra trascorsero circa 13,7 anni, il gruppo di età preso in considerazione incluse coloro che avevano età compresa fra 16,3 anni (alla fine della guerra, per i trentenni nel 1959) e 41,4 all'inizio della guerra e 45,3 alla fine (per i cinquantanovenni). Sul gruppo di età compreso fra i 5o e i 59 incidono fortemente le grandi purghe del 1936-39. I perseguitati avevano in generale un'età superiore a 30 anni, sono cioè compresi fra coloro che avevano più di 50 anni nel 1959. Dividendo quindi salomonicamente i morti del secondo gruppo di età per due e attribuendone il 50 per cento a cause di guerra e il 50 per cento alle grandi purghe, si arriva a una differenza fra uomini e donne, per sole cause di guerra, di 12 231 000 unità. Il censimento fu però tenuto a distanza di sedici anni dal baricentro temporale della guerra, e in questo periodo vi fu un assottigliamento per cause naturali, che può essere stimato intorno all'1,5 per cento all'anno, pari a quello di molte nazioni con sviluppo sanitario confrontabile con quello dell'Unione Sovietica. Capitalizzando a ritroso per sedici anni tale diminuzione naturale, essa porta a una consistenza numerica iniziale del gruppo, superiore del 28 per cento, cioè a circa 16 milioni. Bisogna però tener presente che anche le donne, durante la guerra, subirono un'elevata falcidia (specialmente quelle di razza ebraica) e anch'esse subirono, in misura certamente minore degli uomini, l'effetto delle grandi purghe. Inoltre vi furono, fra i combattenti, reclute di età superiore ai 45 anni, che nel 1959 avevano quindi superato i 59. Il tutto tende ad elevare, e non di poco, la cifra base di i6 milioni. Dal censimento del 1959 risulta dunque giustificata la cifra di almeno 20 milioni di morti per cause di guerra nell'Unione Sovietica. E ne è quindi convalidata la cifra di 36,3 milioni di perdite complessive dell'Armata rossa.

 

Una seconda verifica di tipo statistico, cioè per campione, può essere effettuata sulla base di dati parziali, forniti dagli stessi sovietici. Si tratta di campioni relativi a periodi di aspra lotta e periodi di sosta, periodi in cui tutto il fronte era in fiamme e altri, in cui lo era solo in parte. In tempi di duri combattimenti c'è perciò da attendersi valori più alti della media mensile del 12,5 per cento prima dedotta. L'opera citata dà una perdita di 289 000 uomini per il I fronte bielorusso e per il I fronte ucraino fra il 1° agosto e il 15 settembre 1944, periodo in cui questi due fronti avevano assolto ai loro principali compiti offensivi e le operazioni cominciavano a languire. La forza iniziale dei due fronti è stimata in 1 580 000 uomini, cosicché si ricava, per detto periodo, una perdita media mensile del 12,2 per cento. Dall'inizio di settembre del 1944 le truppe sovietiche tentarono invano per due mesi di collegarsi con gli insorti slovacchi e nel corso di sessanta giorni persero 96 500 uomini. La forza media di tali truppe era di 250 000 uomini, cosicché le perdite mensili risultarono del 19,3 per cento. Altro dato di fonte russa è il seguente: nei ventotto giorni precedenti il 28 febbraio 1945 (cioè a partire dall'inizio della grande offensiva scatenata il 12-14 gennaio 1945) il III fronte bielorusso perse il 22 per cento della sua forza (23,9 per cento su base mensile) e il II fronte bielorusso il 15 (16,3 su base mensile).

 

Le perdite, in cui incorsero i russi durante la battaglia di Berlino secondo quanto le autorità sovietiche dichiararono a Cornelius Ryan, furono superiori a 100 000 morti (il che comporterebbe 420 000 uomini, includendovi i feriti). La storia ufficiale sovietica afferma invece che le perdite totali per la conquista di Berlino ammontarono a 305 000 morti, feriti e dispersi. Le forze impegnate (il I e il II fronte bielorusso e il I fronte ucraino) il 16 aprile 1945 contavano 2,5 milioni di uomini. Ne consegue, accettando la seconda pii bassa cifra, una perdita, sempre rapportata teoricamente a un mese (la battaglia che si concluse con la resa di Berlino durò diciassette giorni) del 21,5 per cento. Si tratta di un minimo assoluto, poiché i tre fronti non si impegnarono solo nell'assalto di Berlino, ma anche nelle operazioni in Slesia e in Pomerania. Lo stesso maresciallo Konev dichiarò a Cornelius Ryan che il I fronte ucraino da lui comandato ebbe, da solo, 150 000 morti nelle operazioni che si estesero da Berlino fino ai confini con la Boemia. Ricordiamo infine un altro dato di origine sovietica: in terra cecoslovacca (dove i combattimenti furono intensi solo per brevi periodi) le truppe sovietiche ebbero 140 000 morti e 350 000 feriti, cioè molto più di quanto costò agli alleati l'intera campagna d'Italia.

 

In base alla coerenza degli indizi si può dunque concludere che, lungo tutto l'arco della guerra, le perdite sovietiche si aggirarono sui 25 000 uomini al giorno e che, anche nel periodo in cui l'Armata rossa fu all'offensiva con una superiorità schiacciante di uomini e di mezzi, le perdite cruente si mantennero estremamente elevate fino all'ultimo giorno di combattimento. Includendo anche i 200 000 uomini perduti dai tardivi alleati dei sovietici (polacchi, bulgari e romeni), si arriva a 36,5 milioni di uomini contro gli 8,5 perduti dall'Asse, per un totale di 45 milioni. L'esercito sovietico perse quindi 4 uomini, per ogni singola perdita inflitta agli avversari, mentre l'antico esercito imperiale russo, nella prima guerra mondiale, se l'era cavata assai meglio, perdendo 1,5 uomini per ogni nemico messo fuori combattimento. D'altronde il contributo alla distruzione della Germania è proporzionale non alle perdite subite, ma a quelle inflitte, e ciò ridimensiona il sanguinosissimo contributo sovietico alla vittoria comune.

 

Quella russa fu dunque una vera catastrofe demografica. Se prendiamo a paragone la Francia durante la prima guerra mondiale, essa con una popolazione di 36 milioni di abitanti (avendo avuto talune province invase) chiamò successivamente sotto le armi 8 milioni di uomini (esclusi i coloniali) e di essi il 73,3 per cento cioè quasi 6 milioni di combattenti andarono perduti in cinquantun mesi di guerra. Poiché la Francia riuscì a tenere in armi circa 2,5 milioni di uomini metropolitani, le perdite medie mensili furono del 4,7 per cento, pari a quelle sofferte dalla Germania sul fronte sovietico. Se si accetta il confronto con la Francia, la Russia, se non fosse stata invasa, con i suoi 196 milioni di abitanti, avrebbe potuto mobilitarne 43,5 milioni e perderne 32 milioni. In realtà, pur facendo evacuare molti potenziali coscritti verso l'interno, l'Urss raggiunse nuovamente i suoi confini solo nell'estate del 1944. Il suo sacrificio di vite fu quindi superiore — benché non di molto — a quello subito dalla Francia nella grande guerra.

 

C'è però una dissimetria fra le due situazioni: l'esercito francese mobilitato rappresentò il 31 per cento dei mobilitati e, causa le perdite, si «rinnovò» 2,4 volte in cinquantuno mesi, mentre quello sovietico rappresentò il 15 per cento dei mobilitati e «si rinnovò» 5,2 volte in quarantasei mesi. L'Armata rossa fu dunque, rispetto alle potenzialità demografiche, un esercito poco numeroso e bene armato: la sua consistenza numerica fu cioè commisurata alla disponibilità di armamenti. Ma gli uni e gli altri — uomini e macchine — vennero consumati a velocità fantastica. Data l'elevata produzione (e gli aiuti) i russi potevano permettersi di perdere giornalmente 50-60 carri armati e 70-80 aerei per un tempo indefinito. Ammettendo che i relativi equipaggi andassero perduti, si trattava però solo di 400-500 uomini al giorno. La falcidia terribile si riversò quindi totalmente sulle fanterie.

 

Quali deduzioni politiche si possono estrarre da tali aride serie di cifre? Si giustifica, innanzi tutto, la persistente incredulità da parte di Hitler che l'esercito sovietico fosse tanto forte, quanto i suoi servizi di informazione (dopo la cantonata iniziale) gli andavano ripetendo. Secondo lui l'Urss non poteva disporre di tanti uomini (sorvolando sul fatto che nell'industria bellica sovietica la manodopera femminile costituiva il 51 per cento) e comunque, sottoponendosi a tale falcidia, andava verso la distruzione fisica. Per tali ragioni, pur proclamando che il suo obiettivo fondamentale era la distruzione del comunismo, egli ebbe tendenza a sottostimare la potenza militare dell'Unione Sovietica e a temerla meno di quanto meritasse. Alla luce di quanto detto, la descrizione da parte tedesca (impressionanti sono anche le corrispondenze del giornalista italiano Curzio Malaparte) degli assalti delle fanterie sovietiche, che si ripetevano infinite volte, esaurendosi in un bagno di sangue, sono da considerare veritiere: ma — alla resa dei conti — essi passavano. Usando un metro di misura occidentale, i tedeschi credevano di riportare continue vittorie difensive, cedendo qua e là terreno a caro prezzo. Il solo preoccupato era Hitler, cui queste ritirate sembravano augurare male. In realtà, a suo modo, la vittoria la riportava Stalin.

 

Dopo la battaglia di Stalingrado, combattutasi dal 19 novembre 1942 alla fine di marzo del 1943, che fu la prima vittoria strategica sovietica (conclusasi con la distruzione della VI armata tedesca, la menomazione della IV armata corazzata, e la distruzione di 4 armate alleate), ma solo una mezza vittoria rispetto alle ambizioni di Stalin (che sperava di annientare 5 armate tedesche e 4 alleate) quest'ultimo, dopo aver respinto con successo — ma non senza qualche brivido — l'ultimo tentativo offensivo tedesco a Kursk nel luglio 1943, mise in moto il suo rullo compressore. Stalin era sincero con Roosevelt e Churchill, quando a Teheran, nel dicembre 1943, ammise che, senza lo sbarco alleato in Occidente, l'Urss non poteva vincere la Germania. Non lo poteva, a causa della tattica sterminatrice da lui stesso imposta, mentre lo sarebbe stato (data la superiorità di uomini e di mezzi) con una tattica meno brutale.

 

L'alto comando tedesco si attendeva, ad esempio, nel giugno 1944, un'offensiva sovietica decisiva che, partendo da Kovel, puntasse su Konigsberg, per annientare i gruppi di armate settentrionale e centrale. In realtà l'offensiva sovietica, nella sua grandiosità, si limitò a frantumare il gruppo di armate Centro, ma non impedì la ricostituzione da parte tedesca di una continuità del fronte orientale, e si dedicò successivamente a una faticosa e snervante riconquista degli stati baltici.

 

Dopo la sanguinosa controffensiva invernale del 1941/1942 e dopo la battaglia di Stalingrado, la Stavka optò dunque per una tattica «massacrante». Ad essa non rinunciò neppure dopo lo sbarco alleato in Normandia, allorché la vittoria divenne certa. Il comando sovietico osò sempre meno e continuò a consumare truppe in misura folle: uno strascico di questa «deformazione» politico-militare fu la diatriba fra il maresciallo 2ukov, comandante del I fronte bielorusso e il generale Cujkov, comandante dell'VIII armata della guardia, secondo il quale Berlino poteva essere conquistata nel febbraio, anziché nel maggio del 1945.

 

Puntando sempre pesantemente sui mezzi offensivi e sugli uomini, e lesinando sui mezzi tecnici risparmiatori di vite, i russi mercanteggiarono vite umane contro equipaggiamenti: squadre di genieri, carri attrezzati per provocare lo scoppio prematuro di mine anticarro e antiuomo, ed altre diavolerie, erano usati se possibile: in caso contrario, la fanteria andava all'assalto come se i campi di mine non esistessero. I soldati non andavano mai in licenza, né le famiglie erano informate sui caduti, perché nessuno ne teneva il conto. Così tutti gli uomini, non destinati ai carri, all'aviazione, agli autotrasporti e all'artiglieria, erano gettati nella fanteria d'assalto.

 

La diminuzione della pressione tedesca, dovuta al peso crescente dell'intervento anglo-americano, permise quindi alla Russia di combattere la sua guerra disperata, fino all'ultimo giorno. Ma l'Unione Sovietica arrivò alla fine, dissanguata e senza uomini. Fu dunque anche una tattica rischiosa, perché un errore sui tempi sarebbe stato pagato a caro prezzo. Ma ebbe un risvolto positivo, nel terrorizzare i tedeschi, che si vedevano sempre sopraffatti da masse umane compatte, da formazioni corazzate così imponenti, che fra un carro e l'altro non filtrava la luce e da nugoli di aeroplani, pilotati da maldestri aviatori, che però oscuravano il cielo. Hitler urlava che il serbatoio si stava svuotando, ma i suoi soldati lo vedevano sempre pieno. Tuttavia, un altro anno di guerra come i precedenti, e l'esercito sovietico si sarebbe ridotto a metà. Il biasimo per questa ecatombe non necessaria — su cui i sovietici non dovrebbero trovare motivo di orgoglio ma solo di riflessione — non va gettato solamente su Stalin, ma anche sul gruppo di generali macellatori, che egli allevò intorno a sé: Lukov, Konev, Tolbuchin ed altri. Essi fecero impallidire la fama truculenta di Joffre, Nivelle, Douglas Haig e Cadorna di buona memoria, della prima guerra mondiale: avevano polso di ferro e cuore di pietra.

 

 

 

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Ospite galland

Ad ulteriore completamento di quanto presentato ieri riporto la descrizione di un combattimento nelle prime fasi della campagna di Russia. L’autore, Paul Carell, ha descritto in due ponderosi volumi [*] lo svolgimento dell’intera campagna con l’occhio del soldato tedesco.

 

Va notato come l’autore, già funzionario del ministero della propaganda, non sia molto obiettivo nella sua narrazione: sopravalutando l’organizzazione russa e trascurando degli aspetti non marginali della campagna (in centinaia di pagine non ricorre mai la parola ebreo o le violenze cui furono sottoposti i prigionieri e le popolazioni dei territori invasi). Pur con questi limiti l’opera, frutto della raccolta delle testimonianze di centinaia di combattenti, risulta di utile e avvincente lettura.

 

Ritengo, prima di lasciare alla lettura, di dover proporre una nota personale: il rapporto esistente, nell’esercito zarista, tra soldati ed ufficiali era – intuitivamente – quello esistente nella società, prettamente agraria, della Russia prerivoluzionaria: i primi erano contadini, i secondi proprietari fondiari. Da ciò doveva scaturire un rapporto con caratteristiche paternalistiche. Nulla del genere nell’esercito sovietico ove i commissari rappresentavano direttamente il potere politico nei reparti, condizionando fortemente le decisioni sin sul piano tattico.

 

 

A questo punto bisogna dare atto alla capacità strategica di Guderian che non si ubriaca per la vittoria riportata, che non cede alla tentazione di fare qualche centinaio di migliaia di prigionieri. Egli sa che non è compito delle unità corazzate quello di recitare la parte del battitore, di montare la guardia alla periferia della sacca, di raccogliere le colonne di prigionieri. Questo compito spetta alle divisioni di fanteria. Le truppe celeri devono continuare l'avanzata, sfruttare l'occasione. Così, i reparti corazzati avanzano, superano la Beresina, il Dnjepr. Puntano verso il primo grande obiettivo della campagna: Smolensk.

 

Questo era il motivo per cui Guderian voleva sganciare la 29° divisione di fanteria (motorizzata) del generale von Boltenstern dai combattimenti volti a impedire i tentativi di sortita dei russi alla periferia sud della sacca, presso il fiume Zelvianca, e alla periferia della cittadina di Zelva, per utilizzarla a nord nella puntata contro Smolensk. Ma la 29° divisione di fanteria, chiamata anche divisione Falco, perché la sua insegna tattica recava un falco, era duramente impegnata lungo un fronte di settanta chilometri alla periferia della sacca contro i russi che tentavano disperatamente di sfuggire al loro destino e volevano a tutti i costi praticare una falla nello schieramento tedesco. Dopo ogni attacco andato a vuoto si raggruppavano nei folti boschi, per gettarsi poi nuovamente all'assalto, appoggiati da artiglierie e carri armati, contro la poco consistente linea di resistenza formata dalla divisione.

 

Interi squadroni di cavalleria avanzarono di galoppo a sudovest del villaggio di Jesiornitsa sul terreno battuto dal tiro incrociato delle mitragliatrici pesanti del battaglione fucilieri-motociclisti e del V battaglione mitragliatrici pesanti. Le formazioni russe respinte ripiegavano per ripartire quasi subito all'assalto, gridando « urrà! urrà », a gruppi di battaglioni o addirittura reggimenti compatti.

 

Presso Zelva riuscirono ad arrivare fino alle posizioni avanzate del reparto esplorante. I due reggimenti di fanteria tedeschi, il 15° e il 71° rispettivamente di Kassel e di Erfurt, combattono senza soste. Particolarmente precaria è la situazione dei battaglioni del 15° reggimento fanteria. La 5a compagnia è schierata a due chilometri di distanza dalla cittadina di Zelva. Quest'ultima rigurgita di russi. E i russi continuano ad attaccare senza posa con assordanti « urrà! urrà! » Vanno all'assalto a compagnie, a battaglioni, a reggimenti interi.

 

Poi accade qualcosa che lascia senza parola i soldati tedeschi. I russi vengono all'assalto in ordine chiuso, su tre o quattro sterminate righe in linea di fronte.

 

« Devono essere impazziti! » dicono quelli del 29°. Esterrefatti, i soldati tedeschi vedono avanzare una muraglia compatta di uniformi color della terra, composta di uomini a contatto di gomito che avanzano con pesante passo cadenzato. Le lunghe baionette inastate sui fucili sporgono dalla muraglia come tante lance.

 

« Urrà! Urrà! »

 

« Ma questo è assassinio! » geme il capitano Schmidt, comandante del I battaglione. Ma che altro è la guerra se non un continuo assassinio? E per spezzare questo gigantesco assalto, ed evitare che gli attaccanti cerchino anzitempo copertura gettandosi a terra, bisogna aspettare. « Aspettare il mio ordine prima di aprire il fuoco! » ordina il capitano. E la muraglia continua ad avanzare, a passo pesante: « Urrà! Urrà! »

 

I tiratori aggrappati alle manopole delle mitragliatrici pesanti sono sconvolti, non ne possono più. Come si fa a resistere a una simile tensione? Poi, finalmente: « Fuoco a volontà! » I tiratori fanno scattare le leve degli otturatori. E riflettono: o loro o noi! Le mitragliatrici pesanti fanno udire il loro regolare ticchettio. « Fuoco! » Le carabine abbaiano. Le pistole-mitragliatrici crepitano. La prima ondata di uniformi color della terra crolla, e su di essa la seconda. La terza fa dietrofront e si ritira come la risacca. La grande distesa è coperta da mucchietti color grigio terra.

 

Sul far della sera ritornano. Questa volta sono accompagnati da un treno blindato, un'arma tipicamente russa, adatta forse alla guerra civile, ma non a una moderna battaglia di mezzi meccanici. La locomotiva corazzata traina carri sui quali sono montati dei cannoni, e carri blindati carichi di fucilieri. Il mostro avanza da Zelva ansimante, vomitando fumo e fuoco. Contemporaneamente, a sinistra del terrapieno ferroviario, arrivano di galoppo due squadroni di cavalleria, mentre a destra alcuni carri armati T26 puntano verso le posizioni del II battaglione.

 

Un cannoncino anticarro da 37 millimetri della 14a compagnia, subito intervenuta, incendia con pochi colpi il treno corazzato, dopo che i genieri tedeschi hanno fatto saltare i binari bloccandolo. L'attacco della cavalleria crolla sotto il tiro incrociato delle mitragliatrici della 8° compagnia. È la peggiore esperienza che sia mai toccata a quei fanti tedeschi. Si odono le grida dei cavalli. Sì, i cavalli gridano perché hanno il corpo dilaniato, si rotolano sulla schiena, annaspano con le zampe anteriori come impazziti nell'aria.

 

 

[*] Paul Carell “Russia: 1941 – 1945 Operazione Barbarossa” Longanesi & C. Milano 1967, “Russia: 1941 – 1945 Terra bruciata” Longanesi & C. Milano 1968. I due volumi sono stati recentemente ristampati da Rizzoli unitamente ad altre due opere del Carell: “Le volpi del deserto” e “Sie kommen!” dedicate, rispettivamente alla campagna del nord Africa ed a quella di Normandia. Il testo da me presentato è tratto dall’edizione Longanesi, ben superiore come caratteristiche editoriali alla successiva.

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un momento, queste cariche suicide a Stalingrado non ,portarono a niente, infatti poi i sovietici iniziarono a capirlo e a predisporsi a difesa...

C'era un topic apposito sulla battaglia di stalingrado...

Si parlava anche delle Midway con gianni, non lo trovo ma c'è molto materiale

 

Forse cercavi il topic Sigaron Spusson

 

Lo so, il nome non c'azzecca nulla...

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