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Concetto Strategico Italiano


Andrea75

Messaggi raccomandati

DIFESA E DETERRENZA

- la deterrenza (convenzionale + nucleare) rimane un pilastro NATO;

- sviluppo di un sistema di difesa contro un attacco missilistico, anche in collaborazione con la Russia;

- sviluppo capacità anti NBCR;

- sviluppo capacità di difesa da cyber attacchi;

 

PROMOZIONE DELLA SICUREZZA INTERNAZIONALE CON LA COOPERAZIONE

- controllo armamenti, disarmo, non proliferazione;

Perdonate l'ignoranza ma come si coniugano queste due cose? Non tanto le altre quanto quella in grassetto.

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Perdonate l'ignoranza ma come si coniugano queste due cose? Non tanto le altre quanto quella in grassetto.

 

Semplificando il discorso si può definire 'convenzionale' un'arma che non sia nucleare, chimica, batteriologica.

 

Ogni paese membro NATO possiede un arsenale 'convenzionale' (più o meno consistente, più o meno moderno). Solo alcuni dei paesi membri NATO hanno schierate armi nucleari: proprie (USA, Francia, UK) o, a seguito di accordi militari all'interno dell'alleanza, hanno dislocate un certo numero di testate nuclerai USA (ad oggi si stima circa 200 suddivise fra Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia).

I paesi NATO non possiedono armi chimiche o batteriologiche.

 

Il concetto di deterrenza si basa sul presupposto dell'assenza di guerre di conquista, e si fonda su un principio che semplifico così: io non ti attacco per primo, ma se tu mi attacchi sappi che risponderò con mezzi adeguati.

A questo aggiungo il concetto di proporzionalità della risposta (anche qui semplifico): se vengo attaccato con armi convenzionali (esempio: un missile lanciato da un aereo che distrugge un'installazione militare), risponderò utilizzando armi convenzionali, magari usandone di più, su più obiettivi, o usandole in modo più efficace se ne sono in grado, ma sempre ragionando in termini "convenzionali". Subendo un attacco 'convenzionale' non risponderò con armi 'nuclearli' perchè sono molto più devastanti (sarebbe una risposta sproporzionata) e perchè rischierei la condanna e l'isolamento in campo internazionale, esponendomi a mia volta al rischio di un attacco nucleare.

Viceversa se subisco un attacco 'nucleare' reagirò in modo 'nucleare'. Qui però è necessaria una ulteriore considerazione: la perculiarità delle armi nucleari è il loro potere distruttivo. Una escalation nuclerare porterebbe quasi sicuramente alla distruzione di una o più nazioni, per cui queste armi - sino ad oggi - non sono mai state usate in un conflitto (eccezion fatta per il Giappone nella 2° Guerra Mondiale). Questo è il principio della "Mutua distruzione assicurata" (la paura di venire annichiliti) che, durante tutto il periodo della guera ferdda, ha evitato che scoppiasse una guerra nucleare tra USA e URSS.

 

Tornando al nostro discorso iniziale, conservare un arsenale (convenzionale + nucleare) ti assicura capacità di difesa e di reazione ad attacchi, ed è al tempo stesso un messaggio ad evntuali paesi aggressori.

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Disarmo

Durante la Guerra Fredda USA e URSS (seguite da altre nazioni) hanno costituito il loro cospicuo arsenale nucleare basandosi sulla dottrina della Mutua Distruzione Assicurata. Alla fine degli anni '60 le due maggiori potenze hanno sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), accettando i controlli dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Strada facendo hanno aderito a questo trattato anche altre nazioni 'nucleari'.

Questo trattato ha portato una diminuzione del numero di testate nucleari da "un picco di 69 440 ordigni nucleari toccato nel 1986 a causa della politica di deterrenza reciproca formulata dalla teoria della distruzione mutua assicurata (MAD), ha cominciato a calare raggiungendo l'attuale quota di circa 23 000 testate nucleari.". Oggi qualcuno ritiene questo trattato oramai superato.

 

Esiste inoltre il Partial Test Ban Treaty (Trattato sulla messa al bando parziale dei test) del 1963 nato dalla preoccupazione per le possibilità di contaminazione radioattiva dell'ambiente.

 

Poi arrivano i trattati bilaterali USA-URSS START (Strategic Arms Reduction Treaty) "sono degli accordi internazionali tesi a limitare o a diminuire gli arsenali di armi di distruzione di massa, come le armi nucleari, sapendo che il numero molto alto di tali armamenti pone un serio pericolo di distruzione completa del pianeta. Il trattato fu firmato tra gli Stati Uniti e l'URSS, e proibiva ai suoi firmatari di produrre più di 6000 testate nucleari e massimo 1600 ICBM, missili balistici lanciati da sottomarini e bombardieri. Lo START è stato il più vasto e il più complesso trattato di controllo sulle armi atomiche, e, con la sua revisione finale nel tardo 2001, ha comportato l'eliminazione dell'80% delle armi nucleari in circolazione."

 

Le 2 superpotenze si sono accordate per una riduzione dei rispettivi arsenali nucleari con reciproco controllo.

 

 

Riguardo alla tua domanda:

Ops, in realtà intendevo dire come si coniuga la deterrenza, sia nucleare sia convenzionale (ma soprattutto la prima) con il disarmo e la non proliferazione.

 

I paesi che possiedono l'arma nucleare difficilmente vi rinunceranno in modo spontaneo (l'unico caso è stato il Sud Africa), perchè possedere la nuke fà acquisire alla nazione peso politico e militare nei confronti della comunità internazionale, e quindi credo (opinione personale) che non arriveremo mai ad un mondo nuke free.

 

Conuigare deterrenza e disarmo è difficile.

Credo che in questo contesto il termine "disarmo" vada considerato sinonimo di riduzione. Per poter incrementare la riduzione di armi nucleari è necessario agire al livello multilaterale: gli stati che possiedono nuke dovrebbero sottoscrivere tutti insieme un trattato per la riduzione progressiva dei rispettivi arsenali, e dovrebbero accettare i controlli degli altri stati.

Inoltre le nazioni non nucleari dovrebbero impegnarsi a non produrre armi nucleari e dovrebbero accettare controlli in proposito.

Riassumendo in un'unica parola: trasparenza.

 

Se provi a prendere le parole che ho scritto sopra e le cali nell'attuale contesto internazionale capisci bene che sono solo delle belle intenzioni o poco più.

 

La mia personale opinione, e qui mi fermo, è che il massimo che possiamo aspettarci è una progressiva, ma lenta, diminuzione del numero delle testate in alcuni paesi, ed una ricerca di equilibrio tra le nazioni nucleari.

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Aggiornamenti del programma AGS - NATO Alliance Ground Surveillance Poland in AGS System

 

Minister of National Defence Tomasz Siemoniak declared Poland's participation in AGS - NATO Alliance Ground Surveillance system at NATO ministerial in Brussels in October.

Application dated October 19 on joining the system by Poland is a result of the decision of Minister of National Defence and an announcement of Polish President during NATO summit in Chicago this year, during which AGS program was included in Defence Package.

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Ancora sull'adesione polacca al programma AGS:

 

il comunicato ufficiale del Ministero della Difesa polacco Poland in AGS system

 

ed un articolo di commento AGS: NATO’s Battlefield Eye in the Sky [Alliance Ground Surveillance]

 

la lista aggiornata dei paesi partecipanti

 

Bulgaria

Canada

Czech Republic

Denmark (rejoined)

Estonia

Germany

Italy

Latvia

Lithuania

Luxembourg

Norway

Poland (applying)

Romania

Slovakia

Slovenia

United States of America

 

 

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Revisione dello Strumento Militare nazionale: il Ministro Di Paola in Senato

 

Per chi ha la pazienza di leggere

 

RESOCONTO STENOGRAFICO - Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale seduta n. 826 del 31/10/2012

 

Resoconto stenografico della seduta n. 827 del 05/11/2012 Seguito della discussione del disegno di legge: (3271) Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale

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prosegue dal post precedete Revisione dello Strumento Militare nazionale "il Senato approva"

 

Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale - intervento del Ministro della Difesa DI PAOLA

 

alcuni estratti

Le vostre decisioni oggi incideranno sulla capacità e sulla preparazione che avranno i contingenti militari domani, quando saranno chiamati ad operare per l'interesse collettivo dell'Italia.

 

L'idea europea di difesa è ancora allo stato embrionale, è una visione di alcuni, non ancora una realtà. Non basta che sia solo l'Italia ad invocarla; per realizzarla in concreto occorre coagulare intorno a questa idea il consenso dei tanti Paesi dell'Unione, o almeno di una maggioranza dei più importanti Paesi europei.

 

l'esigenza di procedere con forza alla modernizzare delle Forze armate in un contesto europeo ed atlantico e, quindi, di portare avanti la riforma dello strumento militare oggi alla vostra attenzione. Perché ora? Perché il mutamento del quadro geostrategico della situazione, la situazione economica e le prospettive future impongono oggi scelte indifferibili per il domani del nostro strumento militare.

 

gli Stati Uniti, ..., stanno comunque riequilibrando il loro focus strategico verso l'area del Pacifico. Sulla scena internazionale, ..., si affermano nuovi attori globali impegnati in grandi programmi di rinnovamento ed ammodernamento dei loro strumenti militari.

 

diamo uno sguardo alla realtà delle risorse disponibili. Nel 2007, dunque cinque anni fa, il bilancio della difesa era pari all'1,31 per cento del PIL, nel 2012, cioè oggi, è invece pari all'1,27 per cento del PIL. Se facciamo riferimento ai fondi non del bilancio della difesa ma a quelli che vanno veramente allo strumento militare, alle Forze armate cioè alla funzione difesa, ebbene la percentuale nel 2007 era pari allo 0,94 per cento del PIL oggi è pari allo 0,87 per cento. Questo in termini monetari, ma in termini reali, cioè tenuto conto dell'inflazione il calo è stato ancora più forte. Possiamo parlare di una riduzione del 20-25 per cento. ... la più recente survey comparativa condotta dall'Agenzia europea della difesa, l'EDA un ente terzo europeo, riferita al 2010 indica che i Paesi dell'Unione hanno dedicato in media alla funzione difesa l'1,6 per cento del PIL a fronte di uno 0,92 per cento dell'Italia. Una differenza notevole, uno spread superiore al 40 per cento ma con segno negativo. ... Dalla stessa survey fatta dall'EDA, emerge che la media europea delle spese per il personale è appena superiore al 50 per cento della funzione difesa. In Italia il dato è pari al 70 per cento: uno spread, come si ama dire oggi, di oltre 20 punti percentuali.

 

A fronte di questa situazione che ho appena richiamato, non possiamo assistere al declino del nostro strumento militare senza reagire, perché questo, lo ripeto, pregiudicherebbe la capacità dell'Italia di contribuire domani alla sicurezza internazionale, misura coerente con il ruolo e la responsabilità di un grande Paese quale l'Italia.

In questa situazione vi sono solo due vie possibili: o aumentiamo le risorse o riduciamo lo strumento. La prima, e mi riferisco anche all'osservazione della senatrice Mancuso sulla insufficienza delle risorse, mi appare non percorribile in questo momento di rigore finanziario. Né ho mai sentito, nel dibattito politico italiano, qualcuno pronunciarsi in tal senso. E se me lo permettete, commenterei: anzi!

Non resta, quindi, che la seconda strada per correggere l'evidente squilibrio esistente tra l'Italia e i partner europei: procedere al ribilanciamento della ripartizione delle spese, migliorando almeno la qualità della spesa. Per tale motivo, dovremo necessariamente procedere verso uno strumento militare più ridotto, ma ottimizzato per intervenire efficacemente domani.

 

l'obiettivo di portare nell'arco di tempo di circa un decennio, o poco più, il personale militare in servizio a non più di 150.000 militari, affiancati da una componente di 20.000 civili. Una riduzione importante, molto importante: 50.000 unità (40.000 militari e 10.000 civili) rispetto ai livelli organici dell'attuale modello a 190.000, che, in effetti, è di 190.000 militari più 30.000 civili. ... Si tratta di misure che impattano in senso quantitativo più sugli alti gradi e l'alta dirigenza militare che non sui sottoufficiali e la truppa

 

lo strumento militare italiano e le Forze armate italiane devono disporre di capacità operative e tecnologiche avanzate, tra le quali certamente rientrano capacità operative nel settore delle forze aeree, come la linea dei cacciabombardieri, cui il programma F-35 si riferisce. L'ammodernamento dello strumento militare, però, è molto più ampio ed articolato ed investe programmi di rinnovamento delle forze terrestri, quali la Forza NEC (Network Enabled Capabilities, richiamata recentemente dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito in una sua intervista a «Panorama»), delle unità navali, degli elicotteri, dei sistemi satellitari, dei sistemi di difesa missilistica, dei sistemi di comando e controllo (SCC), dei sistemi di comunicazione e dei droni, che rappresentano il futuro di questo settore.

Si tratta quindi di un programma di ammodernamento ad ampio raggio delle forze speciali, della difesa cibernetica, che è la nuova frontiera della minaccia (minaccia cyber).

Queste capacità tecnologicamente avanzate sono esattamente quelle che ci vengono richieste dalle pianificazioni di difesa della NATO ed europee. ... Focalizzarsi quindi, in senso positivo o negativo, solo e soltanto su una capacità, peraltro indispensabile come ho già detto, mi sembra fuori contesto, mi sembra avulso dal complesso quadro delle capacità che ho indicato e che sono necessarie allo strumento militare.

 

Il settore industriale italiano nel campo sicurezza e difesa è un settore ad alta tecnologia e ad alta innovazione, di rilevante importanza per lo sviluppo economico e industriale di questo Paese.

Finmeccanica, la più grande delle industrie italiane nel settore, la seconda più grande azienda industriale italiana ed una tra le grandi industrie della sicurezza e della difesa a livello globale, impiega circa 70.000 unità lavorative e ha un fatturato di oltre 16-17 miliardi di euro all'anno.

Di questo fatturato, l'80 per cento - ripeto, l'80 per cento - viene dal settore sicurezza e difesa.

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Riunione dei Ministri degli Esteri e della Difesa dell’Unione Europea

 

Il Ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha preso parte alla riunione dei Ministri degli Esteri e della Difesa dell’UE in formato “Weimar +”, che si è svolta oggi a Parigi, e che ha partorito il seguente comunicato: Meeting of the Foreign Affairs Ministers and Ministers of Defence of France, Germany, Italy, Poland and Spain

 

alcuni highlights

 

Five leading EU countries, but not the UK, have said the Union needs a new military "structure" to manage overseas operations.

 

The foreign and defence ministers of France, Germany, Italy, Poland and Spain issued the call in a joint communique after a meeting in Paris on Thursday (15 November).

 

The paper says: "We are convinced that the EU must set up, within a framework yet to-be-defined, true civilian-military structures to plan and conduct missions and operations."

 

It adds: "We should show preparedness to hold available, train, deploy and sustain in theatre the necessary civilian and military means."

 

It lists a number of EU military priorities for the coming years: helping Somalia to fight Islamists and pirates; "a possible training mission to support the Malian armed forces" in reconquering north Mali; "assistance to support the new Libyan authorities" against Islamist militias; "normalisation" of the Western Balkans; "conflict resolution" in Georgia; and police training in Afghanistan.

 

The communique also calls for more "pooling and sharing" of EU defence hardware in the context of crisis-related budget cuts.

 

It identifies "space, ballistic-missile defence, drones, air-to-air refuelling, airlift capacities, medical support to operations [and] software defined radio" as pooling areas.

 

The reference to new "civilian-military structures" comes after the UK last year blocked the creation of a new operational headquarters (OHQ) in Brussels for EU military missions.

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Bill Would Give Italian Parliament Greater Control Over Defense Spending

 

In a move described as “revolutionary” by one Italian lawmaker, Parliament is set to hand itself powers to veto any defense acquisitions proposed by Italy’s military commanders.

 

The power of veto, which is included in an armed forces reform bill passing through Parliament, has cross-party backing as well as the support of the Italian government and is likely to become law before general elections expected next spring.

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In futuro credo che ci dovremo abituare a questo concetto Pooling & Sharing: si tratta di un processo (non nuovo in verità) di condivisione per lo sviluppo di progetti relativi alla difesa europea ed è stato adottato il 19/11/2012 dai Ministri della Difesa europei (fonte). (mia opinione: questo indirizzo è dettato più da esigenze contingenti di bilancio che da una reale volontà di integrazione; l'esempio più recente è il fallito matrimonio Bae-EADS - fine mia opinione)

 

Ecco il documento sottocritto

CODE OF CONDUCT ON POOLING & SHARING

 

INTRODUCTION

The objective of this Code of Conduct is to support cooperative efforts of EU Member States to develop defence capabilities. The actions herein are aimed at mainstreaming Pooling & Sharing in Member States’ planning and decision-making processes. They are to be implemented on a national and voluntary basis, in line with defence policies of Member States.

 

POOLING & SHARING

1) Systematically consider cooperation from the outset in national defence planning of Member States.

2) Consider Pooling & Sharing for the whole life-cycle of a capability, including cooperation in R&T, minimising the number of variants of the same equipment, to optimise potential savings, improve interoperability, and rationalise demand.

3) Promote where possible the expansion of national programmes to other Member States to encourage the cooperative development of increased capabilities. and facilitate operational deployment.

4) Share opportunities that could be open to Pooling & Sharing.

5) Consider the joint use of existing capabilities by Member States to optimise available resources and improve overall effectiveness.

 

INVESTMENT

In accordance with national decision-making processes:

6) When a Pooling & Sharing project is agreed, endeavour to accord it a higher degree of protection from potential cuts.

7) Harness efficiencies generated through Pooling & Sharing in order to support further capability development.

8) Endeavour to allocate the necessary investment to support the development of future capabilities, including R&T, taking advantage of synergies with wider European policies, including regulatory frameworks, standards and certification.

 

COHERENCE

9) Pursue coherence between regional clusters of cooperation, including bilateral and ongoing multinational initiatives, to avoid major gaps or possible duplication and to share best practice, using EDA as a platform for information exchange.

10) Increase transparency, share expertise and best practice on cooperative capability development and capability priorities among Member States to enhance the opportunities for cooperation and greater interoperability. Mapping of projects open to cooperation would be supported by EDA tools, such as the Capability Development Plan and the database of collaborative opportunities (CoDaBa).

11) Benefit from information through EDA when conducting national defence reviews, for example on Pooling & Sharing opportunities and the impact of budget cuts (an assessment of possible consequences on the European capability landscape).

 

ASSESSMENT

EDA to submit to Defence Ministers an annual state of play of Pooling & Sharing, on the basis inter alia of inputs/reports from Member States and the EUMC, focusing on new Pooling & Sharing opportunities and also comprising: an analysis of the capability situation in Europe; progress achieved; obstacles; the impact of defence cuts and possible solutions.

 

Good Progress of EDA Pooling & Sharing Projects

 

Air to Air Refuelling (AAR):

EDA has developed a global approach with three objectives: increasing overall capacity, reducing fragmentation of the fleet, and optimising the use of assets. The Agency has started to work on short-term solutions including access to commercial AAR services and optimised use of existing assets. Longer-term actions include the acquisition of more AAR kits and increasing the strategic tanker capability in Europe by 2020. A Letter of Intent on a European Strategic Multirole Tanker Transport initiative, prepared under the lead of the Netherlands, was signed during the Steering Board.

 

e da altra fonte (qui), ecco l'elenco dei paesi:

 

Non-EU member Norway is part of the signatories, alongside France, Spain, Portugal, The Netherland, Belgium, Luxemburg, Hungary, Poland, and Greece.

 

L'Italia non c'è (anche se non è l'unica).

Modificato da Andrea75
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segnalo questo paper “La revisione dello strumento militare italiano”, interessante perchè delinea il percorso che ha trasformato le nostre FF.AA.

 

Una nuova spinta riformatrice era dunque necessaria comunque, ma è diventata ancora più imperativa in questa delicata congiuntura economico‐finanziaria, in quanto la necessità di azzerare il deficit di bilancio, al fine di avviare la riduzione del gigantesco debito pubblico, ha spazzato qualsiasi illusione che il paese potesse dedicare alla funzione difesa più dell’attuale risicato 0,87 % del PIL, di fatto gonfiando artificiosamente ed in modo inaccettabile la quota destinata al pagamento del personale, a spese soprattutto di quella necessaria per mantenere un adeguato livello addestrativo delle unità e manutentivo dei mezzi.

Se finora le nostre forze hanno potuto partecipare con dignità e riconosciuta efficacia alle operazioni di stabilizzazione decise dalla comunità internazionale, ciò è stato reso possibile grazie

al senso di responsabilità dei vertici, che hanno concentrato tutte le risorse disponibili sulle unità destinate all’impiego all’estero, a scapito delle specialità che non trovano utile impiego negli

scenari attuali, ad esempio l’artiglieria semovente, le unità corazzate, con ciò creando situazioni di squilibrio operativo, rientranti peraltro in una strategia di attenta gestione del rischio. Ma è questa una situazione che non può protrarsi nel tempo, anche perché non possiamo sperare che in caso di necessità ci vengano in soccorso i paesi alleati della NATO o i partner dell’Unione Europea, che, in termini di risorse, vivono situazioni analoghe, anche queste gestite con pesanti tagli alle strutture e con ridimensionamenti delle rispettive capacità che rendono sempre più velleitaria la volontà di mantenere anche un mero simulacro di sovranità nazionale nel campo della politica estera e di difesa.

...

La riforma Di Paola

Il provvedimento è un disegno di legge delega, con il quale il governo chiede al Parlamento l’autorizzazione a legiferare entro dodici mesi sulla base di una serie di principi esposti nel

provvedimento stesso.

La riorganizzazione del Ministero dovrebbe consentire una contrazione complessiva degli assetti organizzativi pari a circa il 30% in 6 anni. Il disegno di legge individua alcuni specifici settori di

intervento, in particolare:

‐ Assetto organizzativo del Ministero per la Difesa, con diversa ripartizione di funzioni e compiti fra l’area tecnico‐operativa (Stato Maggiore della Difesa e delle quattro Armi) e dell’area tecnico-amministrativa (Segretariato Generale della Difesa/DNA e le cinque Direzioni Generali delMinistero).

‐ Assetto organizzativo dell’area tecnico‐amministrativa, specialmente dell’area di vertice, in particolare tramite l’adozione di un modello organizzativo comune in modo da facilitare la comunicazione e la cooperazione tra le Forze armate.

‐ Comando operativo interforze, con il miglioramento delle comunicazioni con i comandi delle singole forze armate

‐ Strutture logistiche, da riorganizzare unificando ove possibile le catene logistiche attualmente separate per le differenti Armi

‐ Infrastrutture, in particolare semplificando le procedure per la dismissione e la permuta degli immobili militari non utilizzati.

‐ Addestramento e formazione, con l’accorpamento delle strutture addestrative sempre in ottica interforze.

...

si intende passare da un modello a 190 mila uomini ad uno a 150 mila entro il 2024. ... La categoria degli ufficiali passerà da circa 22 mila a circa 18 mila unità ... Il peso dei Marescialli dovrebbe essere ridotto, rispettivamente dal 13,4 al 12,1% e dal 20,3 al 14,8%. La truppa verrà aumentata al 61% del totale.

...

Gli squilibri di personale, visti in questo modo, risultano molto più difficili da sanare. Gli strumenti individuati a questo scopo, peraltro parzialmente già previsti, sono l’estensione dell’istituto

dell’Aspettativa per Riduzione di Quadri (ARQ) anche ad altre categorie, il transito presso altre amministrazioni, e forme di esenzione dal servizio.

...

Anche la componente civile del Ministero subirà un taglio netto, di circa un terzo: da circa 30 mila, i funzionari civili della Difesa passeranno a circa 20 mila. Anche in questo caso il disegno di legge individua strumenti quali la mobilità interna, la trasformazione di rapporti a tempo pieno in rapporti a tempo parziale, il lavoro a distanza, o il trasferimento presso altre pubbliche

amministrazioni.

...

Per quanto riguarda la rimodulazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento degli armamenti, l’orientamento espresso più volte pubblicamente dal Ministro Di Paola è, anche in

questo campo, una riduzione quantitativa per arrivare ad un incremento qualitativo.

Concretamente, questo significa meno piattaforme e meno mezzi, ma più avanzati tecnologicamente e meglio mantenuti. Inoltre, si concentrerà maggiormente l’attenzione sulla congruenza dei mezzi con l’attuale concetto strategico italiano, che considera la capacità di proiezione come fondamentale. Il ministro ha affermato la volontà di ridurre, per quanto riguarda la componente terrestre,mezzi pesanti, carri e blindati, elicotteri, e unità di supporto, come artiglieria e logistiche. Le brigate di manovra, tra l’altro, saranno ridotte da undici a nove. Per la componente marittima si ridurranno le unità d’altura e costiere, i cacciamine e i sommergibili. L’aviazione vedrà ridursi la difesa aerea e la componente da combattimento. In compenso, verranno devolute maggiori risorse a piattaforme e mezzi legati alle capacità di comando e controllo, comunicazione, utilizzo dei computer e intelligence (C4I), forze speciali, cyber, digitalizzazione della fanteria (Soldato Futuro e Forza NEC), e le capacità ISTAR (Intelligence, awareness, targetingacquisition and Recoinnassance).

 

Conclusioni: criticità e prospettive

In questo paragrafo intendiamo fornire alcuni spunti di riflessione e di valutazione critica in merito alla progettata riforma Di Paola. Qualsiasi critica, però, deve essere preceduta da una onesta constatazione: questa riforma avrebbe dovuto essere già in cantiere cinque anni fa. Era infatti già evidente nei primi anni del nuovo secolo che 190 mila uomini rappresentavano una dimensione eccessiva rispetto a quello che il paese ed i suoi governi sarebbero stati disposti a spendere.

...

Proprio al carattere emergenziale del provvedimento è ricollegabile forse il principale aspetto critico: cioè la sua mancata inclusione all’interno di un più ampio processo di riflessione sulla

politica italiana di difesa, e in realtà anche di quella di sicurezza. In sostanza, si è proceduto al contrario di come buon senso vorrebbe: invece di partire dagli obbiettivi della nostra politica, e poi commisurare rispetto a questi lo strumento ed i necessari finanziamenti, si è dovuti partire dai fondi disponibili, per poi cucire lo strumento sulla misura di questi. Logica avrebbe voluto un processo di riflessione, inizialmente su una possibile Strategia di Sicurezza Nazionale comprendente sia la sicurezza interna che quella esterna (cioè la difesa) e inclusiva di tutte le

minacce e gli strumenti disponibili: militari e di polizia, politici e diplomatici, economici, culturali.

...

Altri rilievi critici possono essere mossi su diverse questioni minori, tra le quali ricordiamo ad esempio il modello “normalizzato” dell’avanzamento del personale militare. Esso, attraverso le

promozioni per anzianità, crea necessariamente affollamento nelle posizioni intermedie e negli alti gradi, con grave sbilanciamento di tutta la struttura.

...

Ancora: probabilmente per la stessa ragione non si affronta minimamente il tema dell’Arma dei Carabinieri, quarta forza armata, sotto bilancio difesa, ma composta da circa 110 mila uomini dedicati al 90% a servizi di sicurezza interna.

...

Si potrebbe discutere anche della relativa lentezza con la quale il provvedimento intende procedere alla riduzione del personale.

...

Prima ancora che per i suoi riflessi sul trattamento del personale, questa deve riverberarsi in una serie di meccanismi che costringano ad un equilibrio dinamico grazie al quale l'età media degli addetti non superi i 32/34 anni. Bisogna prevedere percorsi per accompagnare verso il mondo produttivo una adeguata percentuale di chi si è arruolato a vent'anni e lascia le Forze armate dopo un ventennio di servizio. Chi si arruola deve farlo nella consapevolezza di avere un futuro, con o senza uniforme.

...

A parte queste criticità, che ripetiamo essere giustificate dall’urgenza della crisi, il progetto di riforma della struttura militare appare pienamente condivisibile. Forse anche troppo, nel senso

che quasi tutti i provvedimenti contenuti nel disegno di legge sono provvedimenti ispirati al semplice buon senso, attesi e invocati da anni, e rappresentano non una riforma del modello di

difesa, quanto piuttosto un aggiustamento del modello preesistente. Riforma che avrebbe dovuto essere portata avanti a piccoli passi nel corso del decennio e che invece dobbiamo ora imporre nel giro di uno‐due anni.

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Esercitazione “Joint Trials 2012”

 

Nei giorni scorsi, presso il Distaccamento aeroportuale di Brindisi, si è svolta l’esercitazione sperimentale “Joint Trials 2012”, pianificata e organizzata dallo Stato Maggiore della Difesa con il Comando Operativo di Vertice Interforze, gli Stati Maggiori di Forza Armata ed il supporto dell’industria nazionale.

L’iniziativa, giunta alla seconda edizione, costituisce un importante momento di verifica dei progressi inerenti lo strumento militare sotto l’aspetto organizzativo, tecnico e dottrinale. In sintesi, rappresenta l’occasione per sperimentare nuovi modelli organizzativi di un Comando Operativo.

Questo tipo di sperimentazione si ispira al concetto NATO di “Smart Defence” e a quello di “Pooling and Sharing” dell’Unione Europea, secondo cui la partecipazione attiva dell’industria al processo di sviluppo di nuove capacità della Difesa rende più efficace l’attività di individuazione ed approvvigionamento di nuovi sistemi e riduce i rischi di un errato investimento attraverso una preventiva fase di studio e sperimentazione.

All’esercitazione hanno preso parte il Comando della Divisione “Acqui”, il Comando Proiettabile JFHQ del COI, un nucleo di risposta del Comando Brigata “Pinerolo”, l’Unità per la Sperimentazione della Digitalizzazione (31° Reggimento) ed elementi del Reggimento “San Marco”.

La direzione dell’esercitazione è stata affidata al Centro di Simulazione e Validazione dell’Esercito di Civitavecchia, con il supporto di elementi delle tre Forze Armate e del Comando Operativo di Vertice Interforze.

 

ACCORDO TECNICO TRA L’ESERCITO E LA MARINA MILITARE ITALIANA

 

Venerdì, presso il Comando dell’Aviazione dell’Esercito con sede a Viterbo, è stato firmato un accordo tra l’Esercito Italiano e la Marina Militare Italiana che riguarda la futura capacità di impiego degli elicotteri A-129 Mangusta dell’Esercito Italiano da bordo delle Unità Navali della Marina Militare, consentendo così la “proiezione dal mare”.

La firma del documento, che apre nuove prospettive per l’estensione delle capacità operative delle due Forze Armate, prevede infatti l’abilitazione di istruttori di volo della M.M. sull’A-129 Mangusta, ai fini di abilitare gli equipaggi dell’esercito nell’impiego a bordo delle Unità Navali della Marina.

Le firme dell’importante accordo sono state poste dall’Ammiraglio di Divisione Paolo Treu, Comandante del 6° Reparto Aeromobili dello Stato Maggiore e Comandante delle Forze Aeree della Marina Militare, e dal Comandante dell’Aviazione dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Enzo Stefanini.

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Riunione del Consiglio Supremo di Difesa

 

ecco il comunicato

 

Sicurezza nel Mediterraneo: ribadita la validità del processo di riqualificazione dell’impegno nelle missioni internazionali

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha presieduto oggi, al Palazzo del Quirinale, una riunione del Consiglio Supremo di Difesa.

Alla riunione hanno partecipato: il Presidente del Consiglio dei Ministri, Sen. Mario Monti; il Ministro per gli affari esteri, Amb. Giulio Terzi di Sant'Agata; il Ministro per l'interno, Dott.ssa Annamaria Cancellieri; il Ministro per l'economia e le finanze, Prof. Vittorio Grilli; il Ministro per la difesa, Amm. Giampaolo Di Paola; il Capo di Stato Maggiore della difesa, Generale Biagio Abrate. In rappresentanza del Ministro per lo sviluppo economico, Dott. Corrado Passera, è intervenuto il Sottosegretario al Ministero per lo sviluppo economico, Prof. Massimo Vari.

Hanno altresì presenziato alla riunione il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dott. Antonio Catricalà; il Segretario generale della Presidenza della Repubblica, Cons. Donato Marra; il Segretario del Consiglio Supremo di Difesa, Gen. Rolando Mosca Moschini.

Il Consiglio ha fatto il punto sulla situazione nelle aree di crisi, a partire dai drammatici eventi del confronto armato tra Israele ed Hamas e dagli ultimi sviluppi del conflitto interno siriano, valutandone il possibile impatto sugli equilibri medio-orientali e sul processo di stabilizzazione in corso nei Paesi della Primavera Araba. Su tali basi e nella considerazione della perdurante crisi economica e delle tendenze di fondo degli scenari internazionali, sono state altresì discusse le prospettive della sicurezza nel Mediterraneo e nelle regioni di più diretto interesse strategico per il nostro Paese e per l'Europa. Al riguardo, ribadita la validità e l'opportunità del processo di riqualificazione e razionalizzazione del nostro impegno nelle missioni internazionali, già da tempo avviato in linea con i più stringenti vincoli di bilancio, si è convenuto sull'esigenza che le Forze Armate italiane restino comunque pronte a fornire nuovi contributi ad interventi militari

della Comunità Internazionale, qualora se ne evidenziasse la necessità.

Il Consiglio ha quindi espresso il proprio apprezzamento per l'iniziativa assunta dall'Italia in seno alla Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), volta a promuovere la progressiva integrazione degli strumenti militari europei. Al riguardo, è stata evidenziata la necessità di avviare progetti di cooperazione tecnico-militare, inizialmente anche a livello bilaterale, che rispondano a requisiti di concretezza e innovazione e, sia nel breve sia nel medio-lungo termine, siano in grado di garantire efficacia operativa, attraverso la condivisione delle limitate risorse disponibili a supporto delle capacità di intervento dell'Unione nelle aree di primario interesse. In tale prospettiva, un ruolo importante potrà essere svolto da un'industria europea della Difesa più competitiva, economicamente remunerativa ed in grado di far fronte alle crescenti e sempre più complesse esigenze di sia nel medio-lungo termine, siano in grado di garantire efficacia operativa, attraverso la condivisione delle limitate risorse disponibili a supporto delle capacità di intervento dell'Unione nelle aree di primario interesse. In tale prospettiva, un ruolo importante potrà essere svolto da un'industria europea della Difesa più competitiva, economicamente remunerativa ed in grado di far fronte alle crescenti e sempre più complesse esigenze di sicurezza dell'Unione Europea e dell'Alleanza Atlantica, ma anche della Comunità Internazionale nel suo insieme.

Il Ministro della Difesa ha poi illustrato lo stato dei lavori parlamentari per l'approvazione del disegno di legge delega relativo alla riforma delle Forze Armate e gli sviluppi del progetto. Al riguardo, ha sottolineato la necessità di rendere operanti strumenti normativi idonei a ridurre gli organici nella misura e nei tempi previsti, garantendo ogni possibile tutela del personale interessato ma tenendo anche conto dell'irrinunciabile esigenza di continuare ad assicurare un regolare, seppur ricalibrato, flusso dei reclutamenti. In tale quadro, sono in corso di elaborazione disposizioni regolamentari per l'armonizzazione dell'accesso al sistema pensionistico del personale del comparto difesa e sicurezza con le norme di recente adottate in materia per la Pubblica Amministrazione.

Una significativa riduzione dei costi della Difesa deriverà anche dal settore della gestione delle infrastrutture. A tal fine, è in atto una profonda revisione dell'articolazione delle Forze Armate nel Paese, ispirata a criteri di distribuzione bilanciata su tutto il territorio nazionale.

Il Consiglio ha ribadito il proprio apprezzamento per il lavoro svolto, auspicando che il progetto venga approvato dal Parlamento prima della fine della legislatura, in linea con i criteri di riequilibrio dei settori funzionali di spesa e gli obiettivi di qualificazione delle capacità posti a fondamento della sua attuazione, in modo che il Paese possa continuare a disporre di uno strumento militare efficiente e pienamente in grado di far fronte alle crescenti e sempre più complesse esigenze di sicurezza.

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Articolo, in merito, del quotidiano "L'Unità" ....

 

Napolitano: l'Italia pronta a nuove missioni estere

Dalla rassegna stampa del Ministero della Difesa .... http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/PdfNavigator.aspx?d=29-11-2012&pdfIndex=10

 

Mi chiedo .... ma non abbiamo già dato abbastanza?

Siamo in un terribile periodo di crisi .... c'è un'evidente penuria di fondi disponibili in tutti i settori .... e questi, felici e contenti, si dichiarano disponibili a nuove e COSTOSE avventure militari all'estero ....

 

Fra tutti quelli presenti .... ed erano tanti ....

 

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha presieduto oggi, al Palazzo del Quirinale, una riunione del Consiglio Supremo di Difesa.

 

Alla riunione hanno partecipato:

 

il Presidente del Consiglio dei Ministri, Sen. Mario Monti;

il Ministro per gli affari esteri, Amb. Giulio Terzi di Sant'Agata;

il Ministro per l'interno, Dott.ssa Annamaria Cancellieri;

il Ministro per l'economia e le finanze, Prof. Vittorio Grilli;

il Ministro per la difesa, Amm. Giampaolo Di Paola;

il Capo di Stato Maggiore della difesa, Generale Biagio Abrate.

In rappresentanza del Ministro per lo sviluppo economico, Dott. Corrado Passera, è intervenuto il Sottosegretario al Ministero per lo sviluppo economico, Prof. Massimo Vari.

 

Hanno altresì presenziato alla riunione

 

il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dott. Antonio Catricalà;

il Segretario generale della Presidenza della Repubblica, Cons. Donato Marra;

il Segretario del Consiglio Supremo di Difesa, Gen. Rolando Mosca Moschini.

 

.... ce ne sarà stato uno .... dico uno .... che si sia dissociato o abbia per lo meno espresso un qualche dubbio?

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Ma vedi, la risposta alla tua domanda si può trovare nella pagina precedente di questa stessa discussione:

 

segnalo questo paper L’Italia e le missioni internazionali. Una lettura interessante

 

Leggendo solo l'introduzione del paper puoi trovare la risposta di chi propugna la necessità di continuare nelle missioni (non dico di condividerla, anzi andrebbero giustamente valutati il rapporto tra i costi - non solo quelli economici - e i vantaggi).

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Purtroppo questa situazione è la conseguenza del "vuoto" della politica che abbiamo nel nostro Paese.

 

Mi spiego meglio. Una nazione che aspira ad essere una potenza economica, aperta verso il consesso internazionale, membro di enti/associazioni internazionali, fattore di stabilizzazione di aree di crisi (ed altro ancora), deve avere ben chiaro un concetto: qual'è "l'interesse del Paese". E deve avere ben chiaro questo concetto in ogni foro internazionale, in ogni teatro di crisi, in ogni opportunità di commercio, ecc...

Con la consapevolezza di conoscere e perseguire "l'interesse del Paese", le azioni e le posizioni assunte diventano una conseguenza (lo so, sto semplificando). Diventa una conseguenza la politica estera, diventa una conseguenza l'apparto delle FF.AA., diventa una conseguenza la politica industriale (altra enorme lacuna), diventano una conseguenza le missioni commerciali all'estero, e tante altre cose. E' il concetto - spesso definito in TV o letto sui giornali - di politica estera e di difesa.

 

L'Italia (il Parlamento) non ha mai legiferato su questo. Ad oggi noi non abbiamo un concetto di interesse nazionale al pari dei paesi nostri amici ed alleati. Questo ci espone (a mio parere) ad una pericolosa dipendenza dagli interessi degli altri paesi, anche se alleati.

Alcuni esempi: Afghanistan: qual'è l'interesse italiano in quel paese? Il fatto che gli USA hanno subito l'attato dell'11 settembre 2001 e noi, come loro alleati, dobbiamo dimostrare lealtà (specifico: penso sia stato giusto andare laggiù, però avremmo dovuto farlo con una consapevolezza differente che doveva derivare dal nostro concetto di interesse nazionale); Guerra in Libia: l'Italia commerciava con Gheddafi, perchè attaccare? Francia e UK (più gli USA) hanno deciso che dovevano approffitare anche loro di opportunità commerciali in Libia e quindi un interesse nazionale di paesi nostri alleati (per noi controproducente?) è finito per diventare un nostro interesse.

 

Ciò che sostengo è che l'assenza di una definizione di cosa sia l'interesse nazionale dell'Italia ci espone all'obbligo (pena l'emarginazione) di perseguire gli interessi dei paesi nostri alleati. In alcuni casi può andarci bene, in altri casi potremmo venirne penalizzati.

 

Per ciò che attiene al "settore Difesa" (quello più vicino a queso forum) abbiamo avuto una serie di libri bianchi che, pur programmando acquisti e stanziamenti non definisce (giustamente in quanto prerogativa parlamentare) qual'è l'interesse nazionale da perseguire. Con i libri bianchi abbiamo seguito la scia delle altre nazioni - bilanci permettendo - senza assumere una posizione (per carità, con molta probabilità avremmo comunque operato in modo simile, ma la differenza è che lo avremmo fatto per scelta nostra).

 

Per questo ritengo che nell'ultimo Consiglio Supremo di Difesa non si potesse esprimere posizioni poi tanto differenti. Ora come ora o noi seguiamo la scia (cha sia USA, NATO, ONU, EU, altro) o siamo destinati all'emarginazione e all'irrilevanza come paese.

Modificato da Andrea75
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Ora come ora o noi seguiamo la scia (cha sia USA, NATO, ONU, EU, altro) o siamo destinati all'emarginazione e all'irrilevanza come paese.

Già .... la scia ....

 

Il fatto è che nella turbolenza della scia .... si può anche affogare.

 

Quanto all'irrilevanza .... mi vengono in mente certi grossi contratti militari cancellati o ridotti ai minimi termini da parte di un "alleato" cui, in più di un'occasione abbiamo dimostrato fedeltà e lealtà .... o la penosa questione dei due fucilieri di marina trattenuti in India che, a livello internazionale, non mi pare abbia ricevuto quello sperticato sostegno che ci si sarebbe aspettato provenisse da tanti dei nostri "alleati" ....

 

Scusate lo sfogo .... oggi non è giornata ....

Modificato da TT-1 Pinto
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Dico, ma perchè vi stupite?

 

Anche recentemente i vertici più alti della difesa hanno detto che lo F35 serve 'a essere presenti in missioni internazionali, che l'aereo è perfettamente integrato ecc ecc', come se un mezzo venisse acquistato per partecipare a missioni (leggasi: a guida USA) INVECE che per tutelare l'interesse nazionale tout court, come giustamente dice Andrea.

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  • 2 settimane dopo...

... il Parlamento Italiano avrà maggiori poteri di controllo sulla spesa per armamenti (come li userà?) Parlamento più forte sugli armamenti

 

La recente riforma dello strumento militare rafforzerà notevolmente i poteri di controllo del Parlamento sull’acquisizione di armamenti. Bisognerà però vedere se l’assemblea sarà in grado di farne buon uso: il provvedimento contiene infatti delle criticità che sarà necessario affrontare e risolvere.

La riforma recentemente approvata dal Parlamento in via definitiva è già analizzata da studio IAI. In particolare, è opportuno soffermarsi sulle nuove misure di controllo parlamentare introdotte dalla riforma, con l’auspicio che possano rivelarsi utili una volta che essa verrà applicata.

 

Più informazioni e poteri per l’Assemblea

Le modifiche al sistema di controllo sulle acquisizioni di armamenti sono state inserite nel disegno di legge delega che riforma lo strumento militare italiano, durante il dibattito nella Commissione difesa del Senato, su iniziativa del Partito Democratico. All’art. 4 comma 2, lettera a, il disegno di legge prevede ora che ad inizio anno il ministro della difesa trasmetta al Parlamento un piano di impiego pluriennale contenente il quadro generale delle esigenze operative delle Forze armate, comprensive degli indirizzi strategici e delle linee di sviluppo, nonché l’elenco dei programmi d’armamento e di ricerca in corso, con la programmazione finanziaria relativa almeno ai tre anni successivi.

L’elenco conterrà, e questo è un primo elemento di novità, anche tutti i contributi erogati da amministrazioni differenti da quella della difesa. Il sempre sofferente bilancio della difesa ha potuto negli ultimi anni essere integrato da un contributo annuo indiretto di circa un miliardo di euro da parte del Ministero dello sviluppo economico, che finanzia annualmente progetti industriali considerati di rilevanza strategica nazionale, inclusi alcuni afferenti al settore difesa.

In futuro questo contributo verrà inserito direttamente nell’elenco dei programmi di sviluppo della difesa, garantendo maggiore trasparenza. Il disegno di legge specifica inoltre che le voci inserite nell’elenco dovranno anche contenere riferimenti precisi ad eventuali clausole penali stipulate per la cancellazione di un programma.

Una modifica davvero strutturale all’attuale sistema è però contenuta nel comma 3, che stabilisce in sostanza un potere di veto del Parlamento sui programmi di sviluppo e acquisizione. I programmi e gli impegni di spesa sono approvati con legge, se di natura straordinaria, con decreti ministeriali se invece si tratta di programmi finanziati dagli stanziamenti ordinari. I decreti sono poi sottoposti al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti, a parte quelli riferiti a programmi pluriennali già partiti e che non richiedano stanziamenti straordinari, ed esclusi ovviamente i programmi riferiti al mantenimento delle dotazioni o al ripianamento delle scorte.

In caso di opposizione o di richiesta di integrazioni da parte delle Commissioni, da esprimere entro quaranta giorni, il governo dovrà fornire le sue contro-valutazioni sulle quali le Commissioni avranno poi trenta giorni per esprimersi. In caso di ulteriore parere negativo espresso a maggioranza assoluta, sulla base della mancata coerenza del programma con il piano di impiego pluriennale, il programma non potrà essere adottato.

 

Dalla culla alla tomba

Il controllo parlamentare sulle acquisizioni in materia di difesa è fondamentale. I membri delle assemblee legislative sono nella migliore posizione per valutare se un programma avrà un impatto negativo sulle finanze pubbliche nel lungo termine, e per bilanciare le necessità della sicurezza esterna - ossia della difesa - con quelle della sicurezza sociale. Il controllo parlamentare garantisce inoltre maggiore trasparenza, che si traduce in maggiore responsabilità e qualità delle spese militari, nonché in minori occasioni di malversazioni e abusi.

Come scrisse Louis Brandeis, “la luce del sole è il migliore disinfettante”. Finora però il Parlamento italiano non ha potuto svolgere al meglio il ruolo di controllore, a causa di vistose deficienze di carattere sia regolamentare che culturale. Ogni rafforzamento dei poteri del Parlamento in quest’ambito, perciò, va certamente visto con favore.

Gli strumenti inseriti nella riforma non garantiscono tuttavia automaticamente un efficace controllo parlamentare. La facoltà di sospendere un programma di acquisizione è un’arma formidabile a disposizione dell’assemblea, ma è necessario sapere esattamente in quali circostanze utilizzarla. Per impiegare correttamente il potere di veto sono indispensabili due aspetti: informazioni complete riguardo al processo decisionale che termina con la richiesta di acquisizione, e le conoscenze essenziali per interpretare queste informazioni.

Un sistema di controllo parlamentare dovrebbe infatti essere basato su un approccio olistico e omnicomprensivo. Il Parlamento dovrebbe essere parte in causa, o quantomeno seguire, tutte le fasi del complicato processo decisionale che porta all’acquisizione di un sistema d’arma: dall’identificazione delle minacce e l’inserimento in un concetto di costruzione di capacità di lungo periodo, alla valutazione delle caratteristiche tecniche, ai previsti costi di utilizzo nell’intero ciclo di vita del bene, inclusa manutenzione e aggiornamenti, senza dimenticare le complesse questioni industriali.

Il controllo andrebbe cioè esercitato “dalla culla alla tomba” di un programma, prendendo in considerazione tutte le dimensioni del problema: quella strategico/militare, quella tecnologico/industriale, quella economico/finanziaria. Votare a favore o contro l’acquisto del sistema X ad un costo Y non dovrebbe essere che la parte conclusiva di un lungo processo di supervisione.

 

Arma spuntata

Il ruolo attivo del Parlamento presuppone non solo che i parlamentari abbiano a disposizione per tempo le copiose informazioni necessarie, ma anche che possano interpretarle correttamente. Non è detto che i membri del Parlamento possiedano le competenze specifiche per valutare un programma di acquisizione e sviluppo: qualche anno fa, scherzando ma non troppo, un membro della Commissione difesa disse che se i militari avessero chiesto di comprare mongolfiere per la difesa aerea, allora la Commissione avrebbe preso le mongolfiere.

Sarebbe opportuno che i parlamentari avessero a disposizione una struttura indipendente di informazione e analisi dedicata esclusivamente a queste tematiche, organica ai Servizi studi istituzionali oppure anche esterna, ma comunque impegnata regolarmente al servizio delle Commissioni difesa. Diversi studi hanno dimostrato che la mancanza di esperti civili e indipendenti rappresenta uno dei maggiori ostacoli, se non il maggiore, all’efficacia delle istituzioni preposte al controllo dei militari. È inutile, infatti, possedere un’arma se non si sa come usarla.

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I quattro pilastri della riforma della Difesa

 

La riforma dello strumento militare italiano, recentemente approvata in via definitiva dal Parlamento, può determinare un significativo miglioramento delle forze armate in termini di efficienza ed efficacia. Il suo reale impatto dipenderà tuttavia dai decreti attuativi del prossimo governo necessari a dare corso a quanto appena deciso.

Il disegno di legge delega sulla riforma era stato presentato ad aprile dal ministro della difesa Giampaolo di Paola, che ne aveva già illustrato le linee guida sia in Parlamento che al Consiglio supremo di difesa. Il Senato ha approvato il testo lo scorso 6 novembre, e la Camera ha dato il suo via libera l’11 dicembre. I partiti che hanno sostenuto il governo Monti hanno dato prova di serietà e costanza su questo tema strategico per il paese, nonostante il recente deterioramento del quadro politico nazionale.

 

Quattro linee guida

In primis, la riforma fissa un nuovo tetto per le dotazioni organiche di esercito, marina e aeronautica, che nel complesso dovranno ammontare a 150 mila unità. Rispetto alle attuali 183 mila, si tratta di un taglio di circa il 18% (33 mila persone). Il personale civile del Ministero della difesa non dovrà invece superare le 20 mila unità, rispetto alle 30 mila di oggi (-33%). La riduzione complessiva di 43 mila unità dovrà avvenire, gradualmente, entro il 2024. Si tratta di un cambiamento significativo e ambizioso, ma assolutamente necessario per adeguare le dimensioni alle risorse disponibili. Con l’obiettivo precipuo di mantenere le attuali capacità operative.

In secondo luogo, il personale dirigente di esercito, aeronautica e marina, dovrà essere di 310 unità, tra ufficiali generali e ammiragli (-25% rispetto al numero attuale), e 1.566 tra colonnelli e capitani di vascello. Una specifica particolarmente importante alla luce dello squilibrio nella dotazione organica delle forze armate già evidenziato da uno studio IAI.

In terzo luogo, la riforma razionalizza le strutture operative, logistiche, formative, territoriali, anche tramite soppressioni e accorpamenti, per ottenere una “contrazione strutturale complessiva non inferiore al 30%”. Tale contrazione dovrà avvenire entro sei anni dall’adozione dei decreti attuativi della riforma. La ratio è l’adeguamento delle infrastrutture militari al modo in cui oggi si difende la sicurezza nazionale, che non implica necessariamente il presidio su ogni singola provincia italiana, utilizzando in modo più efficiente assetti sotto-impiegati.

Infine, la riforma stabilisce due punti finanziari importanti. Da un lato, la sua attuazione non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Allo stesso tempo, i risparmi conseguiti dovranno essere reinvestiti nel bilancio della difesa. Tali risparmi vanno tuttavia calcolati al netto della somma derivata dai tagli al bilancio già previsti dal decreto legge di “spending review” del luglio 2012, che andrà invece a contribuire al risanamento della finanza pubblica.

In altre parole, il comparto difesa ha già subito tagli e fatto sacrifici al pari degli altri settori (istruzione, sanità, ecc) toccati dalle misure di austerità di bilancio, e i prossimi risparmi dovranno invece servire a mantenere e migliorare le capacità operative dello strumento militare. Ciò, secondo la riforma, significa soprattutto riequilibrare i finanziamenti alle diverse voci di spesa.

Come già rilevato da uno studio IAI, infatti, i fondi destinati alla funzione difesa nel 2012 sono andati per il 70,6% al personale, mentre soltanto il 18,2% ha finanziato gli investimenti e l’11,2% le spese di esercizio (addestramento e formazione dei militari, manutenzione dei mezzi, ecc).

Questa ripartizione è non solo inefficiente ma anche dannosa per l’operatività delle strutture militari. Non a caso i principali partner europei con cui si vorrebbe consolidare una politica di difesa comune si orientano verso il modello che prevede metà del bilancio destinato al personale, un quarto agli investimenti e un quarto all’esercizio.

 

L’incognita dell’attuazione

La riforma è chiaramente volta a migliorare l’interoperabilità dello strumento militare con i partner in ambito Ue e Nato, la capacità di condurre operazioni di gestione delle crisi al di fuori del territorio nazionale, la sostenibilità dello strumento medesimo alla luce del prevedibile permanere dei limiti di bilancio, e il carattere interforze delle forze armate - inclusi manutenzione, logistica e addestramento.

In sintesi, la riforma mira a mantenere l’operatività delle forze armate messa seriamente a rischio dallo squilibrio delle spese - troppo per il personale, troppo poco per esercizio e investimenti - e dalla drastica riduzione di bilancio operata negli ultimi quattro anni - meno11,6% al netto dell’inflazione.

Il disegno di legge delega approvato alla fine di questa legislatura non è però sufficiente, da solo, a conseguire in pieno questi obiettivi. Molto dipenderà dal contenuto dei decreti legislativi che il governo è tenuto ad adottare per attuare la riforma entro 12 mesi. Purtroppo, si è già assistito in Italia a buone riforme approvate dal Parlamento e poi mutilate o rinnegate in fase di attuazione. Il testimone passa dunque al prossimo governo, che dovrà completare un’opera certamente ben avviata ma ancora lontana dall’effettiva attuazione.

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