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Tear down this Wall!


Dominus

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Aggiungo un bellssimo articolo che mi è capitato solo ora di leggere.

 

La caduta del muro è stata un segnale. Un rintocco di campana, che annunciava l’inevitabile. Lo sgretolamento dei sistemi socialisti. Ma a quella campana qualcuno ha dato il colpo decisivo. È per questo motivo che mi sembra incredibile che nelle commemorazioni di questi giorni manchino puntualmente due protagonisti, forse i più rilevanti, del decennio che ha portato alle fine del più sanguinoso esperimento di ingegneria sociale della storia. I giornali abbondano di immagini di Michael Gorbaciov. Il miracolo della difficile unificazione tedesca è raccontato in modo da levare un po’ del fango che col tempo si è accumulato sul cappotto di Helmut Kohl. Da noi, la svolta della Bolognina e assieme l’eclissi di Bettino Craxi vengono rilette e riscritte, come ha fatto ieri Umberto Ranieri su questo giornale. Ma se è cosa buona e giusta, se è doveroso che soprattutto in campo ex comunista questo anniversario serva per fare finalmente i conti su che cosa il Pci è stato, per una volta liberi dalla nostalgia per le Frattocchie che non ci sono più e ci vorrebbero e anche dalle comode illusioni di qualche “vecchio liberale” che vedeva già nel 1979 il Pci maturo per governare una democrazia, non si può prescindere da quelli che furono i mazzieri della storia. Si tratta di due persone scomparse dall’iconografia del ventennio magico, e davvero a sorpresa. La prima è Giovanni Paolo II. La fine del socialismo reale ha inizio trent’anni fa, nei giorni della visita pastorale in Polonia con cui il Papa, polacco fra polacchi, afferma che il futuro del Paese sarebbe dipeso dal numero delle persone che fossero state abbastanza mature da poter essere non conformiste. Giovanni Paolo II, per noi che siamo nati nel suo pontificato, è stato per tutta la vita come il Duomo di Milano. Credo valga per credenti e no, per tutti. Era un monumento luminoso, posto silenziosamente al centro della nostra esistenza. Magari passi davanti al Duomo per andare a prendere un caffè, entri in galleria per comprare un paio di scarpe. Magari il Duomo non lo guardi. Ma il Duomo c’è. La sicurezza, l’orgoglio sereno, la “maestà” di questo Papa hanno dato speranza a milioni di esseri umani intrappolati nel vicolo cieco del socialismo reale. Il colpo di piccone che ha dato al muro lui, vale duecento altri.

 

La seconda figura mancante, il pastorello assente nel presepe, è Ronald Wilson Reagan. Fu Reagan a chiamare il comunismo col suo nome: l’impero del male. Quel che più conta, fu Reagan a interpretare il suo mandato di Presidente degli Stati Uniti come una missione. La missione di far vincere la libertà: in politica interna, riducendo il peso dello Stato. In politica estera, non accontentandosi di giocare al contenimento, ma cercando di finirla, la guerra fredda, in una duplice, lucida consapevolezza scambiata ai tempi per follia. Da una parte, Reagan aveva chiaro come nessun altro che l’esistenza di un regime totalitario, basato sul sistematico svilimento dei diritti delle persone, non poneva un problema “geopolitico”. Ma riduceva la vita di milioni di esseri umani a un simulacro di se stessa.

 

Dall’altra, Reagan sapeva ciò che gli altri grandi dell’Occidente ignoravano. Sapeva che l’economia sovietica doveva collassare su se stessa: era solo questione di tempo. Già in libro del 1920 Ludwig von Mises aveva esposto la tesi per cui il socialismo era, sostanzialmente, impraticabile. Sopprimendo la proprietà privata dei mezzi di produzione e, assieme con essa, il libero mercato, sarebbe venuto meno il sistema dei prezzi, cioè la possibilità stessa del calcolo economico, dell’attribuire un valore alle cose. Questo avrebbe reso impossibile ad una economia evolversi, adattarsi, in una parola: vivere. L’agonia ha avuto tempi lunghi, ma la sostanza di settant’anni di socialismo reale è stata quella prevista da Mises. L’allocazione delle risorse in regime di pianificazione è stata tremendamente inefficiente, e ha ballato sul ritmo della politica. La fame, la carestia, il sottosviluppo caratterizzavano la realtà quotidiana di un Paese che faceva a gara con la Nasa a chi spediva per primo l’uomo nello spazio. Inutili spettacoli di corte, che si consumavano nella moria dei servi abbandonati nel gelo oltre il ponte levatoio. È questo il Paese che descrivono sinteticamente le tre “leggi generali dei Paesi socialisti” sinteticamente trasmesse da Enrico Berlinguer a Massimo D’Alema: “i dirigenti dicono sempre le bugie, anche quando non è necessario. (...) l’ agricoltura non funziona. (...) le caramelle hanno tutte la carta attaccata”. Una trinità di eufemismi.

 

Ecco, Ronald Reagan sapeva che un mondo incapace di incartare le caramelle non aveva futuro. E per questo spinse cocciutamente l’acceleratore, fino a quel meraviglioso discorso, che oggi tutti possiamo rivedere su YouTube: “Signor Gorbaciov, abbatta questo muro”. Perché Reagan è pressoché assente, con l’eccezione di questo giornale e del Foglio, da immagini e documenti scodellati sulla caduta del muro? Non siamo capaci di festeggiare con il 9 novembre la bancarotta del più terrificante degli Stati. Obnubilati di nuovo dall’utopia malata di una libertà che non sia capitalistica, abbiamo ricominciato a fingere di non vedere. Non vedere che tutto ciò che “non funzionava”, e di più: che tutto ciò che uccideva, nel vecchio blocco sovietico, non era altro che un elevamento a potenza delle più genuine caratteristiche degli Stati socialdemocratici ed interventisti occidentali. Uno Stato che ti può dare tutto ti può togliere tutto. Ai tedeschi dell’Est tolse tutto. Se impauriti dalla crisi ricominciamo a pensare che sia di lì che può venirci la salvezza, ci aspetta un destino non diverso. Ecco perché facciamo finta che nel novembre dell’89 Reagan fosse in Florida a giocare a golf.

 

Da Il Riformista, 8 novembre 2009

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L'autore di quell'articolo è Alberto Mingardi e non è assolutamente vicino a d'alema così come non lo è il riformista che, tra l'altro, come quotidiano d'opinione ospita molte firme non allineate con la propria linea.

 

Quanto alla merkel, chirac e tremonti si definiranno anche di destra ma la matrice ideologica è sempre quella a livello economico, esattamente come quella di Mussolini o Hitler.

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Mi sembra doveroso dedicare un ricordo ai fatti successi vent'anni fa
, per non dimenticare, come spesso molti fanno, che insieme a quel muro cadde il più grande orrore della storia dell'uomo.

 

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peccato che gli stati uniti senza nessuna coerenza appoggino le dittature che li seguono e abbiano appena fatto leggi socialiste

Modificato da BVR
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Grazie per l'informazione : ho scoperto di essere fascist-nazi-comunist-cattolico. Pensavo solo di essere un tiepido socialdemocratico, mi sottovalutavo :rotfl:

Heil Hitler!

 

 

Invece che fare dell'umorismo da cortile potresti rileggerti quello che c'è scritto nell'articolo e quello che ho detto io, poi magari se ne può parlare nel topic politico.

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  • 3 settimane dopo...
Mi sembra doveroso dedicare un ricordo ai fatti successi vent'anni fa
, per non dimenticare, come spesso molti fanno, che insieme a quel muro cadde il più grande orrore della storia dell'uomo.

 

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Berlusconi elogia l'ultimo dittatore comunista :furioso:

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