Vai al contenuto

Falcone e Borsellino, inchieste riaperte


Ospite iscandar

Messaggi raccomandati

Ospite iscandar

Che sia la volta buona per sfondare il terzo livello???

 

Falcone e Borsellino, inchieste riaperte

caccia ad un agente segreto sfregiato

di Attilio Bolzoni

jpg_1676169.jpg

Nessuno conosce il suo nome. Tutti dicono però che ha "una faccia da mostro". E' un agente dei servizi di sicurezza. Lo cercano per scoprire cosa c'entra lui e cosa c'entrano altri uomini degli apparati dello Stato nelle stragi e nei delitti eccellenti di Palermo. Diciassette anni dopo si sta riscrivendo la storia degli attentati mafiosi che hanno fatto tremare l'Italia. Ci sono testimoni che parlano di altri mandanti, ci sono indizi che portano alla ragionevole convinzione che non sia stata solo la mafia a uccidere Falcone e Borsellino o a mettere bombe.

 

É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su via Mariano D'Amelio. É stata ufficialmente riaperta l'inchiesta su Capaci. É stata ufficialmente riaperta anche l'inchiesta sull'Addaura, su quei cinquantotto candelotti di dinamite piazzati nel giugno dell'89 nella scogliera davanti alla casa di Giovanni Falcone. Una trama. Una sorta di "strategia della tensione" - questa l'ipotesi dei procuratori di Caltanissetta titolari delle inchieste sulle stragi palermitane - che parte dagli anni precedenti all'estate del 1992 e finisce con i morti dei Georgofili a Firenze e quegli altri di via Palestro a Milano.

 

Gli elementi raccolti in questi ultimi mesi fanno prendere forma a una vicenda che non è circoscritta solo e soltanto a Totò Riina e ai suoi Corleonesi, tutti condannati all'ergastolo come esecutori e mandanti di quelle stragi. C'è qualcosa di molto più contorto e di oscuro, ci sono ricorrenti "presenze" - indagine dopo indagine - di agenti segreti sempre a contatto con i boss palermitani. Tutti a scambiarsi di volta in volta informazioni e favori, tutti insieme sui luoghi di una strage o di un omicidio, tutti a proteggersi gli uni con gli altri come in un patto di sangue.

 

I procuratori di Caltanissetta - sono cinque che indagano, il capo Sergio Lari, gli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, i sostituti Nicolò Marino e Stefano Luciani - hanno già ascoltato Vincenzo Scotti (ministro degli Interni fra il 1990 e il 1992) e l'allora presidente del Consiglio (dal giugno 1992 all'aprile 1993) Giuliano Amato per avere anche informazioni che nessuno aveva mai cercato. Su alcuni 007. Primo fra tutti quell'agente con la "faccia da mostro".

 

É uno dei protagonisti dell'intrigo. Un'ombra, una figura sempre vicino e intorno a tanti episodi di sangue. Il suo nome è ancora sconosciuto, di lui sa soltanto che ha un viso deformato. In tanti ne hanno parlato, ma nonostante quella malformazione - segno evidente per un facile riconoscimento - nessuno l'ha mai identificato. Chi è? Gli stanno dando la caccia. Sembra l'uomo chiave di molti misteri palermitani.

 

Il primo: l'attentato del 21 giugno del 1989 all'Addaura. C'è la testimonianza di una donna che ha visto quell'uomo "con quella faccia così brutta" vicino alla villa del giudice Falcone, poco prima che qualcuno piazzasse una borsa sugli scogli con dentro la dinamite. Qualcuno? Sull'Addaura c'è a verbale anche il racconto di Angelo Fontana, un pentito della "famiglia" dell'Acquasanta, cioè quella che comanda in quel territorio. Fontana rivela in sostanza che i mafiosi dell'Acquasanta quel giorno si limitarono a "sorvegliare" la zona mentre su un gommone - e a bordo non c'erano i mafiosi dell'Acquasanta - stavano portando i cinquantotto candelotti sugli scogli di fronte alla casa di Falcone.

 

Un piccolo "malacarne" della borgata - tale Francesco Paolo Gaeta - assistette casualmente alle "operazioni". Fu ucciso a colpi di pistola qualche tempo dopo: il caso fu archiviato come un regolamento di conti fra spacciatori. Dopo il fallito attentato, a Palermo fecero circolare le solite voci infami: "É stato Falcone a mettersi da solo l'esplosivo". Il giudice, molto turbato, disse soltanto: "Sono state menti raffinatissime". Già allora, lo stesso Falcone aveva il sospetto che qualcuno, dentro gli apparati, volesse ucciderlo. Ma l'uomo con "la faccia da mostro" fu avvistato anche in un altro angolo di Palermo, un paio di mesi dopo. Un'altra testimonianza. Confidò il mafioso Luigi Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio: "Noi sapevamo che c'era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino".

Nino Agostino, ufficialmente agente del commissariato San Lorenzo ma in realtà "cacciatore" di latitanti, fu ammazzato insieme alla moglie Ida Castellucci il 5 agosto del 1989. Mai scoperti i suoi assassini. Come non scoprirono mai come un amico di Agostino, il collaboratore del Sisde Emanuele Piazza (anche lui cacciatore di latitanti) fu strangolato dai boss di San Lorenzo. Una soffiata, probabilmente. Il confidente Ilardo ha parlato anche di lui. E poi ha raccontato: "Io non so per quale ragione i servizi segreti partecipavano a queste azioni... forse per coprire determinati uomini politici che avevano interesse a coprire determinati fatti che erano successi, mettendo fuori gioco magistrati o altri uomini politici che volevano far scoprire tutte queste magagne". Un'altra testimonianza ancora viene da Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto ucciso: "Poco prima dell'omicidio di mio figlio vennero a casa mia a Villagrazia di Carini due uomini che si presentarono come colleghi di Nino, uno aveva un viso orribile...".

 

L'ultimo a parlare dell'agente segreto con "la faccia da mostro" è stato Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, sindaco mafioso di Palermo negli anni '70. Ai procuratori siciliani ha spiegato che quell'uomo era in contatto con suo padre da anni. Fino alla famosa "trattativa", fino a quell'accordo che Totò Riina voleva raggiungere con lo Stato italiano per "fermare le stragi". Un baratto. Basta bombe se aboliscono il carcere duro e cancellano la legge sui pentiti, basta bombe se salvano patrimoni mafiosi e magari decidono la revisione del maxi processo.

 

Ma Massimo Ciancimino non ha rivelato solo gli incontri di suo padre con l'agente dal viso sfigurato. Ha parlato anche di un certo "signor Franco" e di un certo "Carlo". Forse non sono due uomini ma uno solo: un altro agente dei servizi. Uno con il quale il vecchio don Vito aveva un'intensità di rapporti lontana nel tempo. "Fu lui - sono parole di Ciancimino jr - a garantire mio padre, rassicurandolo che dietro le trattattive, inizialmente avviate dal colonnello dei carabinieri Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, c'era un personaggio politico". Di questo "signor Franco" o "Carlo", Massimo Ciancimino ha fornito ai procuratori indicazioni precise. E anche un'agenda del padre con i loro riferimenti telefonici.

 

Un ultimo capitolo di questi intrecci fra mafia e apparati è affiorato dalle ultime indagini sull'uccisione di Paolo Borsellino. Un pentito (Gaspare Spatuzza) ha smentito il pentito (Vincenzo Scarantino) che 17 anni fa si era autoaccusato di avere portato in via D'Amelio l'autobomba che ha ucciso il procuratore e cinque poliziotti della sua scorta.

 

"Sono stato io, non lui", ha spiegato Spatuzza, confermando comunque in ogni dettaglio la dinamica dei fatti e svelando che Falcone - prima di Capaci - sarebbe dovuto morire a Roma in un agguato. Le armi, fucili e pistole, a Roma le aveva portate lui stesso. Dopo un anno di indagini i magistrati di Caltanissetta hanno accertato che Gaspare Spatuzza ha detto il vero e Vincenzo Scarantino aveva mentito. Si era inventato tutto. Qualcuno lo aveva "imbeccato". Chi? "Qualcuno gli ha messo in bocca quelle cose per allontanare sospetti su altri mandanti non mafiosi", risponde oggi chi indaga sulla strage.

 

Un depistaggio con frammenti di verità. Agenti segreti e scorrerie in Sicilia. Poliziotti caduti, omicidi di inspiegabile matrice. Boss e spie che camminano a braccetto. Attentati, uno dopo l'altro: prima Falcone e cinquantaquattro giorni dopo Borsellino. Una cosa fuori da ogni logica mafiosa. La tragedia di Palermo non sembra più solo il romanzo nero di Totò Riina e dei suoi Corleonesi.

Link al commento
Condividi su altri siti

Ospite iscandar
Mah a me sembra un teorema che non sta in piedi, però in Italia parlare di "strage di stato" fa sempre molto cool...

 

 

dipende se il famoso "papello" a cui siappella ciancimino Jr è vero o una fola...

Modificato da iscandar
Link al commento
Condividi su altri siti

dipende se il famoso "papello" a cui siappella ciancimino Jr è vero o una fola...

 

 

Ma chi? Quel ciancimino che ha fatto partire l'asta tra le procure per avere i suoi servigi?

 

In Italia l'opinione pubblica e i media stanno rendendo sempre più necessaria una modifica alla legge sui collaboratori di giustizia visto che questa gente ha imparato come usarla a proprio favore...

Link al commento
Condividi su altri siti

dopo la seconda metà degli anni novanta ogni volta che hanno toccato le leggi sui collaboratori di giustizia hanno fatto vere e proprie schifezze abnorme, bisogna ripescare le prime norme per me, non a caso pentiti è sempre più difficili trovarli, mentre Cosa nostra è sempre forte

Link al commento
Condividi su altri siti

Ospite caposkaw

è sempre la solita vecchia storia.

10 anni di processo a andreotti per non scoprire niente.

e adesso di nuovo.

ci scommetto che tireranno fuori il nome di berlusconi, tanto per cambiare.

Link al commento
Condividi su altri siti

Ospite iscandar
è sempre la solita vecchia storia.

10 anni di processo a andreotti per non scoprire niente.

e adesso di nuovo.

ci scommetto che tireranno fuori il nome di berlusconi, tanto per cambiare.

 

 

diciamo che il buon Silvio l'hanno già tirato in ballo, dato che ciancimino jr. ha detto che avevano fatto una proposta al berlusca, lui gli dava rete 4 e loro non gli toccavano il piersilvio

Link al commento
Condividi su altri siti

diciamo che il buon Silvio l'hanno già tirato in ballo, dato che ciancimino jr. ha detto che avevano fatto una proposta al berlusca, lui gli dava rete 4 e loro non gli toccavano il piersilvio

Più che una proposta mi sembra un ricatto/minaccia. Cmq com'è finita?

Link al commento
Condividi su altri siti

Ospite iscandar
Più che una proposta mi sembra un ricatto/minaccia. Cmq com'è finita?

 

 

per "loro" era una proposta, bhe rete 4 mi sembra ancora di mediaset, a parte il TG che è nelle mani di emilio "fido" fede...

Link al commento
Condividi su altri siti

è sempre la solita vecchia storia.

10 anni di processo a andreotti per non scoprire niente.

e adesso di nuovo.

ci scommetto che tireranno fuori il nome di berlusconi, tanto per cambiare.

 

ma insomma:

 

dalla sentenza della Cassazione:

... "colpevole ma prescritto per REATO COMMESSO fino al 1980" ...

pressapoco dice così

 

La prescrizione salva politici e colletti bianchi , ma rileggete la dicitura sorpa

Link al commento
Condividi su altri siti

Andreotti è stato imputato di essere il mandante di un omicidio e lì mi sembra che la prescrizione sia un tantino lunga...

 

Per il resto anche stavolta un pentito per farsi bello promette scottanti rivelazioni, vedremo.

 

Sinceramente non vedo nulla di anormale nella strage di Capaci e in quella di via D'Amelio, niente che la mafia non avesse benissimo potuto fare da sola.

Link al commento
Condividi su altri siti

http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

 

 

Ora che ne parla persino Totò Riina (a Bolzoni e Viviano, su la Repubblica di ieri), forse è il caso che anche i rappresentanti dello Stato dicano qualcosa sulle stragi del 1992-’93 e sulle trattative retrostanti.

Dal 1996 sappiamo da Giovanni Brusca, poi confermato dagli interessati e da Massimo Ciancimino, che due ufficiali del Ros dei Carabinieri, il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, dopo la strage di Capaci andarono a “trattare” con Vito Ciancimino e, tramite lui, con i capi di Cosa Nostra: lo stesso Riina e Bernardo Provenzano.

 

Sappiamo che Borsellino, dopo la morte dell’amico Giovanni Falcone, ingaggiò una forsennata lotta contro il tempo per individuare i mandanti di Capaci, e mentre interrogava uno dei primi pentiti, Gasparre Mutolo, fu convocato d’urgenza al Viminale dove si era appena insediato il ministro Nicola Mancino, poi tornò da Mutolo letteralmente sconvolto. Pochi giorno dopo, saltò in aria anche lui in via D’Amelio. Dopodichè la trattativa del Ros con Ciancimino e i corleonesi proseguì, tant’è che i secondi fecero pervenire ai due ufficiali un “papello” con le richieste della mafia per interrompere le stragi.

 

Ora, dal racconto di Ciancimino jr., apprendiamo che suo padre ricevette tre lettere di Provenzano indirizzate a Silvio Berlusconi: una all’inizio del 1992, prima delle stragi; una nel dicembre ‘92, dopo Capaci e via d’Amelio e prima delle bombe di Roma (via Fauro, contro Costanzo), Firenze, Milano e Roma (basiliche); una nel 1994, dopo la discesa in campo del Cavaliere, non a caso chiamato “onorevole”.Nell’ultima lo Zu’ Binnu prometteva all’attuale presidente del Consiglio, che aveva appena fondato Forza Italia e vinto le elezioni, un sostanzioso “appoggio politico” in cambio della disponibilità di una delle sue reti tv, guardacaso protagoniste nei mesi successivi di feroci campagne contro i magistrati antimafia e in difesa di imputati eccellenti nei processi su mafia e politica.

 

Sappiamo infine che nei momenti topici delle stragi si agitavano misteriosi soggetti dei servizi segreti, tra i quali uno col volto mostruosamente sfregiato. Ci stanno lavorando le Procure di Palermo e Caltanissetta, accerchiate dal silenzio tombale della politica e delle istituzioni. Eppure i protagonisti e comprimari di quella stagione dalla parte dello Stato sono vivi e vegeti, anzi han fatto carriera. Mancino, indicato da Brusca e Massimo Ciancimino come al corrente della trattativa, nega di aver mai visto o riconosciuto Borsellino nel fatidico incontro al Viminale, ed è vicepresidente del Csm. Mori - imputato di favoreggiamento mafioso per la mancata cattura di Provenzano nel 1996 dopo essere stato assolto con motivazioni severe dall’accusa di aver favorito la mafia non perquisendo il covo di Riina dopo la sua cattura - è stato a lungo comandante del Sisde e ora è consulente per la sicurezza del sindaco Alemanno. Gli ex procuratori di Palermo, Grasso e Pignatone, che nel 2005 trovarono a casa Ciancimino l’ultima lettera di Provenzano a Berlusconi e non ne fecero un bel nulla, sono rispettivamente procuratore nazionale antimafia e procuratore di Reggio Calabria.

Ci raccontano qualcosa, per favore?

Link al commento
Condividi su altri siti

un momento, Mori ha fatto il suo con i pochi mezzi di cui disponeva, in una regione dove, mi spiace ammetterlo, chiesa, mafia, pariti politici AL POTERE sembrano , o magari sembravano, spesso una comunella in cui tutti si danno una mano a vicenda. Diciamo nomi e coognomi, che canale 5 ospitasse Vittorio Sgarbi con sgarbi quotidibani

in cui attaccava chi faceva antimafia- tanto da essere anche ripreso da Scalfaro ad una cerimonia di commemorazione- è un fatto risaputo e di pubblico dominio, ma è anche la tv di Costanzo che della Mafia e della P2 è stato vittima (anche se, da uomo intelligentissimo, ha amici ovunque anche lì che gli hanno dato delle soffiate utilissime per la sua sopravvivenza)

Link al commento
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un membro per lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
×
×
  • Crea Nuovo...