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De Pinedo: "Un volo di 55.000"


Ospite galland

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VII. LUNGO LE COSTE DELL'AUSTRALIA

 

Fermai il motore e detti fondo in una zona che mi sembrava conveniente, in vicinanza di un battello, dove due individui in maniche di camicia tranquillamente pescavano. Per quanto a Broome la presenza di un idrovolante non fosse abituale (infatti il mio apparecchio era il secondo che planava nelle acque della baia, preceduto l'anno prima dall'idrovolante con cui gli aviatori australiani Goble e Mac Intyre avevano fatto il giro dell'Australia), dal battello non partì alcun saluto nè alcun segno di sorpresa. I due che erano a bordo si voltarono appena e continuarono pacificamente a pescare e a fumare la pipa.

 

Né in terra si vedeva alcun segno di vita. Mi ricordai allora che era il 31 maggio e che era domenica. E la domenica, come si sa, in tutti i paesi anglo-sassoni regna un assoluto riposo.

 

Provammo a fare qualche cenno e a chiamare, ma i due neppure ci risposero. Accendemmo allora anche noi una sigaretta, e, sdraiati sullo scafo all'ombra dell'ala superiore, ci mettemmo a fumare, aspettando filosoficamente che qualcuno si facesse vivo, cullati dal leggero dondolio delle onde nel dolce tepore del clima primaverile.

 

Dopo circa mezz'ora fummo scossi dalla nostra contemplazione da un battellino, provvisto di un piccolo motore fuori bordo. Vi erano dentro il proprietario, pescatore di perle, e il « manager » dell'Air Ways, una compagnia australiana di navigazione aerea checon apparecchi terrestri provvede alle comunicazioni aeree tra Perth e tutti i porti della costa a NW.

 

Egli ci avvisò subito che avremmo dovuto cambiare ancoraggio se non avessimo voluto trovarci in secco con la marea bassa, poiché vi era una differenza di dodici metri tra l'alta e la bassa marea; tale notizia mi fece poco piacere perchè oramai avevamo già rassettato e coperto con le cappe il motore e non potevo pensare a rimetterlo in moto.

 

Il piccolo battello si offrì a rimorchiarci. Dapprima rifiutai, perchè mi parve impossibile che potesse riuscirvi, data la piccolezza del motore. Tuttavia provammo, ed effettivamente esso riuscì a spostarci di circa 500 metri in un canale dove potevamo essere al sicuro, anche con la bassa marea.

 

Su questo battellino ci recammo a terra con i nostri bagagli; ma la marea era già discesa e per raggiungere la riva bisognò percorrere oltre 300 metri a piedi nel fango. Con santa rassegnazione ci scalzammo, e via con le valigie sulle spalle e le scarpe in mano, in fila indiana.

 

Alcuni ragazzi ci lanciarono un « hurrà »; autorità locali ci attendevano, e il nostro pilota si accinse al compito delle presentazioni.

 

Poiché nessuno pensò a liberarmi delle valigie e delle scarpe, dovetti limitarmi a fare degli inchini.

 

Ad un tratto mi sentii preso per un braccio. Era il dottore di Broome, il quale mi trasse in disparte con fare misterioso. — Siete voi malato? — mi domandò.

 

— Grazie a Dio sto benissimo, altrimenti sarei venuto in piroscafo.

 

- E il vostro compagno è malato?

 

— Sta benissimo anche lui.

 

— Guardate che non avreste dovuto venire a terra prima di essere ammesso alla libera pratica. Sareste in contravvenzione, ma lasceremo correre...

 

— Grazie! Un'altra volta alzerò la bandiera gialla.

 

Dopo una breve affrettata refezione demmo mano ai rifornimenti.

 

Non era un'operazione semplice né breve. La benzina era in bidoni di 32 litri, ben poco maneggevoli. Il battellino a motore era l'unica imbarcazione disponibile in Broome.

 

Bisognò scalzarsi nuovamente e trasportare i bidoni sull'apparecchio, due alla volta, a mezzo della provvidenziale imbarcazione. Essendo domenica, era impossibile avere qualcuno che ci aiutasse, tranne il pescatore di perle e il « manager » dell'Air Ways, che si prestarono gentilmente.

 

Di mano in mano che i bidoni venivano vuotati, il battellino tornava indietro, lasciava i vuoti a terra e ne portava altri pieni. Il sistema non era, come può ben comprendersi, molto rapido. Nessuna meraviglia, perciò, se la luna, che si levò a rischiarare l'incipiente oscurità, ci trovò ancora al lavoro. Non mancò qualche anima generosa: un ragazzo di dodici anni, con una minuscola imbarcazione, un vero guscio di noce, regalatogli dal padre perché era stato promosso agli esami, ci portò anche esso un bidone di benzina ed assistette con grande interesse a tutto il nostro lavoro.

 

Ridotti in condizioni pietose per la fatica e il fango nel quale dovevamo guazzare per il trasporto, alle 9 di sera cessammo di lavorare e rimandammo all'indomani il resto del rifornimento.

 

Campanelli riuscì, con un piccolo colpo di martello ben dato sulla camicia, a soffocare la perdita d'acqua manifestatasi ad un cilindro. D'altra parte la verifica del contenuto del radiatore ci accusò un consumo d'acqua normale, segno che la perdita era insensibile.

 

Ci fossimo almeno potuti rifocillare serenamente, dopo una giornata così laboriosa! Neppure questo ci fu concesso, sempre perché era domenica, e la domenica sera a Broome non si trovano vivande calde. Dovemmo così accontentarci di qualche fetta di salame e di un bicchiere di acqua minerale in un piccolo bar, dove ci condusse il nostro pescatore di perle.

 

Ebbi di nuovo poi il piacere di rivedere il dottore che veniva a portarmi le pratiche numerose da firmare per il passaggio della frontiera.

 

La sera ricevetti un telegramma da Lord Bruce, Primo Ministro della Confederazione Australiana, che concludeva così:

 

« Noi vi diamo il benvenuto nel nostro paese e sentiamo che nell'emulare il successo dei nostri connazionali voi avete compiuto qualcosa che cementerà maggiormente l'amicizia esistente tra l'Italia e l'Australia. — S. M. Bruce, Primo Ministro ».

 

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Il percorso da Broome a Melbourne, della lunghezza totale di circa 6300 chilometri, si svolgeva lungo le coste Ovest e Sud dell'Australia, diviso in otto tappe, delle quali cinque di lunghezza variabile tra gli 800 e i 900 chilometri, e tre di 600 chilometri circa.

 

La tappa più difficile e da cui dipendeva, si può dire, il successo del viaggio, era quella tra Israelite Bay e Fowler Bay, di 920 chilometri, perché correva lungo la disabitata ed inaccessibile costa del Great Australian Bight. Un eventuale ammaraggio lungo tale costa era pieno di incognite, peggio che sulla rotta Kupang Broome; tanto più che le mie informazioni segnavano in tale stagione mare burrascoso e vento fresco da ponente.

 

Il l° giugno lasciai Broome.

 

Ricopio dal mio giornale di bordo la descrizione della partenza: « Decollaggio nel canale con vento al traverso a sinistra difficile perché l'apparecchio stenta ad andare sul « redan ». Una raffica improvvisa alza l'ala sinistra e l'apparecchio torna a destra contro terra; insisto e finalmente riesco a mettere l'apparecchio sul « redan ». Torno sulla sinistra, poi sulla destra, e riesco a mettere in aria l'apparecchio malgrado il forte vento da SE ».

 

Non respirai tranquillo, a dire il vero, finché non sentii in aria l'apparecchio.

 

Invece di Onslow, come avevo progettato, andai a Port Hedland secondo i consigli datimi dal « manager » dell'Air-Ways; efféttivamente il posto era molto più indicato.

 

Non facendosi in tempo a mandare quivi la benzina dislocata ad Onslow, presi la quantità che mi occorreva dal deposito dell'Air Ways.

 

Il giorno successivo ero a Carnarvon e il 3 giugno a Perth.

 

La navigazione in queste tre tappe si svolse senza alcun incidente.

 

Port Hedland è un centro più piccolo di Broome ed è sorto da pochissimi anni; le abitazioni consistono in baracche di legno e « chalet » smontabili; l'albergo dove andammo a dormire aveva le pareti costruite con latte di vecchi bidoni di benzina. Ebbi quivi un telegramma del capo del Governo, on. Mussolini, che mi colmò di gioia e che conservai come un prezioso talismano. Trovammo a Port Hedland un italiano, un padre salesiano, grasso e tarchiato, un gran brav'uomo che si mise a lavorare con noi tutto il tempo per rendersi utile; anche a Carnarvon trovammo un italiano, un operaio che abbandonò l'officina il giorno del nostro arrivo per offrirci i suoi servigi.

 

Andavamo incontro all'inverno, perché eravamo nell'Emisfero Australe, e cominciavamo a sentir freddo. Avevo perduto i miei guanti e non trovai mai il tempo nè l'occasione dì comprarne poi un altro paio, cosicché in volo avevo le mani intirizzite.

 

La costa occidentale dell'Australia è quanto mai arida, monotona e desolata. Una vastissima pianura, qualche duna sabbiosa qua e là, qualche larga zona di piante palustri sulla riva del mare. Per chilometri e chilometri non un segno di vita né sull'acqua né sulla terra.

 

Scesi a Perth, capitale dello Stato dell'Ovest, e vi ebbi entusiastiche accoglienze.

 

Ho di Perth un ricordo gradevolissimo, poiché era la prima città moderna e sviluppata che vedevo dopo tanti paesi remoti ed angusti. Essa sorge sulla riva destra di un fiume che si allarga formando quasi un piccolo lago, percorso da innumeri vele. Giardini fioriti e ridenti, case sparse sul declivio di colline verdeggianti, parchi magnifici.

 

Nella tappa successiva, il 4 giugno ebbi una fermata imprevista.

 

Già ero partito da Perth con la pioggia e con tempo poco incoraggiante, ma le condizioni, andando verso il Sud, peggiorarono sempre. L'aspetto del cielo era di una varietà fantastica, le nuvole rotte a brandelli andavano dal bianco splendente al nero più cupo, sprazzi di sole qua e là accendevano riflessi iridescenti di arcobaleno. Osservai quella volta un fenomeno assai bello e strano, che non vidi più mai. Al disotto dell'apparecchio era proiettato all'orizzonte, sullo sfondo di una nube più cupa delle altre, un alone smagliante che presentava fulgidissimi, su cerchi concentrici, tutti i colori dell'iride. In mezzo ad esso era la sagoma netta e precisa del mio apparecchio, completamente in ombra. Sembrava un fantasmagorico medaglione.

 

Ritengo che sia stato un effetto della rifrazione dovuta alla forte umidità atmosferica in quelle particolari condizioni di luce.

 

Ma il tempo non mi permetteva di estasiarmi molto allo spettacolo. Il motore aveva un suono che mi metteva in sospetto e planai a Bunbury, non convenendomi in quelle condizioni tentare di doppiare il Capo Leeuwin, che gode una pessima fama tra i naviganti per l'eccezionale violenza delle burrasche che vi imperversano.

 

A Bunbury erano tutti col naso per aria a guardare lo spettacolo nuovo, mentre io giravo sulla città per riconoscere bene un fiumicciattolo largo 50 metri sul quale ammarai. Debbo dire che il Mayor mi aveva telegrafato a Perth pregandomi di passare sulla città nella mia rotta per Albany, perchè nel suo comune non avevano mai veduto un velivolo; quindi la mia discesa capitò bene a proposito e tutti poterono saziarsi nel contemplare la nuova macchina. Fra i curiosi che affluirono sulla riva del fiume erano alcuni ragazzetti di scuola che venivano a farsi firmare i loro quaderni e che mi pregarono poi, ripartendo, di passare in volo sull'edificio scolastico.

 

Mi venne fatto l'onore della « civic reception ».

 

Consiste questa cerimonia in un ricevimento ufficiale nella sala del Consiglio municipale. Il Mayor presiede e fa un discorso di saluto, proponendo un brindisi all'ospite e poi a turno parlano i consiglieri più importanti.

 

Il brindisi non può farsi se uno dei consiglieri non appoggia la proposta del Mayor. Dopo di che ha luogo il « toast ». Tutti si levano in piedi e cantano in coro:

 

 

For he is a jolly good fellow

 

And so say all of us.

 

Il jolly good fellow, che ero io, doveva intanto restar seduto. Quindi era autorizzato a prendere la parola per ringraziare. Ampie libagioni chiudevano la cerimonia.

 

Potei al Municipio mettermi in comunicazione telefonica con Port Albany. Seppi che colà era scoppiato un fortunale, che aveva messo in serio pericolo anche i bastimenti del porto. Più tardi mi avvisarono che continuavano piogge dirotte e « gales » da SW.

 

Così rinviai la partenza al giorno successivo. Fu riveduto il motore: esso era in ottime condizioni, solo le candele erano un po' sporche.

 

L'alba del 5 giugno era velata da una nebbia così diffusa che impediva di vedere al di là di cinquanta metri; però lo strato di nebbia non era molto alto, perchè i raggi del sole riuscivano a penetrarlo.

 

Dopo aver atteso un po' di tempo, avendo riconosciuto bene il fiume, decisi di partire ugualmente, e alle 8 di mattina misi in moto e decollai, regolandomi sulle sponde del fiume. Appena fui ad una quota di 15 metri, mi trovai al di sopra della nebbia.

 

Incontrai in alto molto vento da Ovest che mi fece avanzare rapidamente. Tagliai su terra decisamente in direzione di Port Albany e così la feci in barba al mal famato Capo Léeuwin.

 

Tentai a Port Albany di ripartire il giorno stesso, mion mi fu possibile per il cattivo stato del mare; dopo due tentativi infruttuosi, che ci fecero prendere un' abbondantissima doccia, rinviai.

 

La sera ricevetti un telegramma da Bunbury: gli alunni mi ringraziavano di essere passato sul tetto della scuola alla mia partenza. Io veramente me ne ero dimenticato e quindi capii che dovevo esservi passato per caso.

 

La costa fra Port Albany e Powler Bay (Port Eyre) per circa 1600 chilometri è priva di qualsiasi abitato.

 

Non potendo percorrere in un solo tratto tale distanza, avevo scelto come punto di tappa intermedio Israelite Bay, dove esiste soltanto un piccolo posto telegrafico, che serve a ritrasmettere i telegrammi sulla linea che unisce le regioni dell'Est a quelle dell'Ovest. La baia è completamente aperta a levante, ma è riparata dai venti di ponente, che sono quelli che soffiano costantemente nella stagione invernale.

 

La traversata per Israelite Bay fu compiuta il 6 giugno, alla velocità di circa 230 chilometri orari per il forte vento da ponente, lungo una costa accidentata e deserta.

 

La popolazione di Israelite Bay era così rappresentata: il capoposto dell'ufficio telegrafico, la moglie dello stesso, due bambini tra i quattro e i sei anni, due impiegati postali, quattro indigeni, una vacca, due cavalli e alcune galline.

 

Mezzi di trasporto terrestri: una carretta; marittimi: un battello a due remi.

 

Le comunicazioni con il resto del mondo da questa specie di eremitaggio avvengono quattro volte all'anno per mezzo di un piroscafo. Fu quindi molto felice il capoposto di Israelite Bay nel ricevere un sacchetto di corrispondenza che per lui mi avevano affidata a Port Albany.

 

La località non ci incoraggiava per una lunga sosta, tanto più che, come mi disse il capoposto, per quanto la baia fosse ridossata dai venti di ponente, spesso vi era mare lungo in dipendenza del cattivo stato al largo, e ciò poteva compromettere la mia manovra di partenza.

 

Per fare il rifornimento avevo incagliato l'apparecchio sulla spiaggia, ma poi, essendo la marea calata, esso era rimasto completamente in secco.

 

Il nostro volo aveva destato un interesse grandissimo tra quella gente confinata lontano dal mondo.

 

Lungo la linea erano altri due posti telegrafici per la trasmissione dei messaggi (naturalmente non per necessità locali, poichè i canguri erano gli unici e soli esseri viventi che abitavano la contrada) e quel giorno essi furono in continua attività per domandare notizie e per darne. La piccola città di Ceduna nella Murat Bay telegrafò domandandomi di planare colà invece che a Powler Bay, informando che avevano preparato ed organizzato tutti i rifornimenti che mi occorrevano. Port Eyre insistette perché io non cambiassi itinerario e così si svolse una piccola gara, di cui i messaggi che mi pervenivano attraverso il filo, mi davano un'eco lontana.

 

Nella notte dal 6 al 7 vi era un magnifico plenilunio. Vista la calma assoluta che regnava sul mare, decisi di fare la traversata nelle ore notturne, partendo alla mezzanotte, ora in cui l'alta marea avrebbe dovuto far galleggiare nuovamente l'apparecchio.

 

Ma a mezzanotte ci attendeva una delusione, perché la marea fu minore di quella diurna, e il mare non arrivava neppure a lambire l'apparecchio. Aiutato allora da tutta la popolazione valida di Israelite Bay, e cioè dal capoposto, dai due aiutanti e dai quattro indigeni ci demmo con le mani. e con alcune pale a scavare la sabbia per condurre l'acqua fino allo scafo. Fu una fatica improba. Lavorammo fino alle 4 di mattina, nella quale ora sospendemmo il lavoro per la stanchezza e perché, non ostante tutti i nostri sforzi, non eravamo riusciti a portare l'acqua all'altezza necessaria.

 

Alle 6.30, dopo un breve riposo, tornammo all'impresa e questa volta mi limitai a girare l'apparecchio verso il mare, il che non fu neppure agevole, trattandosi di spostare una massa di tre tonnellate. Ciò fatto, misi in moto e con strappi successivi di motore mi riuscì finalmente di far scivolare l'apparecchio in acqua.

 

Tolgo dal mio giornale di bordo la descrizione della partenza: « Mentre fiotto, il vento cambia direzione da Nord a Ovest, e due tentativi di decollaggio non hanno risultato. L'acqua (nel radiatore) sale a 85°. Mi faccio scarrocciare al largo a motore fermo per raffreddare l'acqua, ma mi trovo quasi alla secca e do motore dirigendo diritto in terra per essere sicuro di mettere l'apparecchio sul « redan », controvento. Infatti ci riesco, ma sono obbligato, appoggiandomi in acqua col galleggiante destro, a girare abbastanza stretto di quasi 180° a breve distanza da terra. La manovra riesce ».

 

La manovra come si vede non fu semplice, perché c'era il rischio di rompere un'ala, ma non c'era da fare altrimenti.

 

La navigazione fu quanto mai monotona e uggiosa. La terra piatta, arida, disabitata si svolgeva sotto di noi con la sua linea di costa così diritta. I due posti telegrafici di Eyre ed Eucla a un terzo e a due terzi della strada furono gli unici segni di vita che vedemmo. Dopo Eucla la costa diventa inaccessibile pure al mare, perchè scende a picco sull'acqua da poca altezza come una lunghissima terrazza. I nomi stessi di questa desolata regione, Nullarbor Plain e Nomans Land, danno l'impressione del suo immenso squallore.

 

Dopo circa sei ore di volo che mi parvero interminabili, avvistai qualche scoglio e notai qualche irregolarità della costa: era Powler Bay col suo piccolo centro di Port Eyre, con le sue poche casette, qualche tettoia, un pontile di attracco per le navi. Mi sembrò quasi una metropoli dopo tanta solitudine.

 

Qui ricevetti alcuni telegrammi che mi mostrarono come a Melbourne si fossero appassionati al mio volo. La nostra avventura notturna di Israelite Bay attraverso le notizie telegrafiche e i giornali era diventato un incidente sul quale ci domandavano ansiosamente notizie. Era stato formato un comitato per ricevermi. Un programma di feste e di banchetti era pronto.

 

Poveri noi!

 

Da Flinders nella Streaky Bay sulla rotta di Adelaide, i maestri di scuola mi telegrafarono domandandomi di passare sulla città perché gli alunni mi volevano vedere!...

 

L'8 di giugno lasciai Port Eyre. Anche qui dovetti eseguire una manovra simile a quella di Israelite Bay. Deviai dalla rotta e diminuii di quota per passare su Flinders. Qui il traffico nelle strade era interrotto, la popolazione era tutta stipata nelle vie, sui crocevia, nelle piazze: immobile, attonita. Mi sembrava quasi che venisse di là dal basso una corrente di simpatia verso di me e verso il mio paese.

 

Tagliai la penisola di Eyre che termina verso Sud col Capo Catastrofe, dal quale mi tenni a rispettosa distanza, poi passai un nuovo tratto di mare, lo Spencer Gulf, un'altra penisola, quella di York, un altro golfo, il Saint Vicent e, finalmente giunsi a Port Adelaide, la capitale dello Stato del Sud.

 

Ammarai nell'Outer Harbour presso una banchina dove una moltitudine entusiasta, vociante e gesticolante mi attendeva.

 

Quando scesi a terra la polizia dovette farmi largo. Molti furono contusi nella calca. Ricevimento al Municipio, banchetti, discorsi. Era un saggio di quanto ci attendeva a Melbourne.

 

Il 9 giugno compii la traversata da Port Adelaide a Melbourne, l'ultima della prima parte del mio viaggio.

 

La coda, come suol dirsi, è la più dura a scorticare.

 

Ed infatti il motore mi dette qualche fastidio per una valvola che manifestò un lieve principio di ingrippamento. Il tempo fu cattivo ed il mare anche. Ebbi vento forte contrario alla rotta in quasi tutto il viaggio, e frequenti piogge.

 

A Queen Cliff, all'entrata di Port Philip, nell'estremo Nord del quale trovai Melbourne, mi attendevano in volo due idrovolanti dell'aviazione australiana. Essi mi pilotarono fino al campo , di aviazione di Point-Cook dove tre squadriglie di apparecchi terrestri presero il volo e mi scortarono fino a Melbourne.

 

Alle 15 presi acqua a Santa Kilda, sobborgo di Melbourne, ove circa 40.000 persone erano ad attendermi.

 

In cinquanta giorni e 160 ore di volo con varia ventura, avevo percorso circa 23.500 chilometri

La prima parte del mio progetto aveva avuto così esecuzione.

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Ospite galland

Riporto integralmente l'ottavo capitolo del libro di De Pinedo. Oltre, come logico, l'interesse per le cose aviatorie ritengo meritevoli d'attenzione i rilievi sulla società australiana e sui fenomeni migratori , sulla cui attualità credo non si debbano spendere molte parole.

 

Qualora fosse d'interesse posso collocare ulteriori capitoli.

 

 

dep3.jpg VIII MELBOURNE

 

« Il popolo australiano è felice di dare il benvenuto al primo straniero che giunge dall'Europa a Melbourne per le vie dell'aria. »

 

Così mi disse il Mayor di Santa Kilda che, vestito dell'uniforme ufficiale, mi ricevette allo sbarco.

 

Non starò a descrivere le ovazioni della folla, e le espansioni che ci accolsero alla nostra discesa in terra. La polizia dovette proteggerci da un massacro di cui ci minacciarono seriamente gli ammiratori, accalcati intorno a noi per vederci e stringerci la mano. La Colonia Italiana sembrava in preda ad una crisi di entusiastico furore.

 

L'ansia repressa di coloro che avevano seguito il nostro viaggio sempre col dubbio che un dannato incidente potesse magari in ultimo compromettere il successo, esplodeva ora in una manifestazione di giubilo, il cui ricordo è assai caro al mio cuore.

 

Eppure tutto ciò mi lasciava perfettamente indifferente. Io pensavo che il mio viaggio era ancora all'inizio e che altre e ben più dure prove mi attendevano.

 

La vita nomade, durata circa cinquanta giorni, doveva ora momentaneamente interrompersi, fino alla nuova ripresa.

 

Sottrattomi alle espansioni della folla, ritornai all'apparecchio e lo riportai in volo all'idroscalo di Point Cook, a pochi chilometri da Melbourne, dove venne ricoverato.

 

Quella sera, in albergo, avemmo un'idea della popolarità acquistata da noi, senza saperlo, tra gli Australiani; mentre tranquillamente eravamo a cena con pochi amici, il pubblico accortosi della nostra presenza ci improvvisò una spontanea e calorosa manifestazione di simpatia, che culminò con il « For he is a jolly good fellow » cantato in piedi da tutti i presenti.

 

Secondo quanto avevo stabilito, a Melbourne si doveva smontare il motore per una completa revisione. Così fu fatto. Prevedevo che il lavoro dovesse durare quattro settimane; durò invece una settimana di più, sia perchè l'Idroscalo di Point Cook dista circa diciotto chilometri da Melbourne, dove Campanelli rientrava la sera per svagarsi dopo l'arduo lavoro diurno, sia per il limitato orario di lavoro delle officine dell'Idroscalo australiano.

 

In una settimana circa il motore fu completamente smontato; i cilindri erano in perfette condizioni, ed anche i seggi delle valvole erano in ordine, tranne uno che ci aveva dato qualche fastidio nel viaggio da Adelaide a Melbourne. L'albero motore, i cuscinetti dello stesso e le bielle, erano, dopo circa 160 ore di volo, in condizioni così buone che non fu ritenuto necessario smontarli. I carburatori ed i magneti furono rimessi a posto così come stavano.

 

L'apparecchio fu verificato completamente e trovato in ottimo stato. Mi limitai, per ogni buon fine, a far cambiare i galleggiantini laterali ed un montante di ala leggermente incurvatosi. Avevo a Melbourne molto materiale di rispetto, come un timone di direzione e profondità, una coppia di alettoni ed altro, ma non cambiai più nulla, non essendovene bisogno. Anche il regolaggio dell'apparecchio fu esaminato e trovato perfetto.

 

Il rappresentante della Ditta Lorraine in Melbourne aveva messo a nostra disposizione una bellissima automobile, che fu molto utile per le quotidiane gite a Point Cook.

 

Per non portare troppe carte con me, non avevo ancora preparato le rotte dall'Australia al Giappone. Feci questo lavoro a Melbourne, e l'ufficio idrografico della Marina australiana mise gentilmente a mia disposizione tutto il materiale di cui potessi aver bisogno. Mi servii esclusivamente di carte nautiche, svolgendosi

 

la rotta quasi dovunque sul mare.

 

La mia principale occupazione nei primi giorni di sosta furono le visite ufficiali alle varie autorità australiane, la partecipazione a cerimonie e banchetti, con i quali il caldo cuore australiano volle manifestarci la sua simpatia, ed il rispondere ai numerosi telegrammi gratulatorii che mi pervennero.

 

Da questi potei accorgermi che il mio viaggio era stato seguito con più interesse di quanto io non potessi immaginare e ciò, se da un lato poteva lusingarmi, dall'altro rendeva più grave il mio compito, imponendomi oltre tutto il dovere di corrispondere degnamente alla fiduciosa aspettativa del pubblico.

 

Oltre ai saluti delle autorità governative ricevetti quello del Presidente della Camera dei Deputati e del Sindaco di Napoli, la mia bella città natale. Il Governatore generale dello Stato di Victoria ci offrì un pranzo; una colazione ci venne offerta dal governo della Confederazione al completo, ed il Mayor di Melbourne ci ricevette solennemente nel Civic Hall, onore, questo,

 

concesso assai di rado: negli ultimi anni la « civic reception » aveva avuto luogo solo per il Principe di Galles.

 

Gli Italiani di Melbourne, che superano il migliaio, ci offrirono un ricco dono, presentatoci in forma solenne in uno dei teatri della città. Un altro teatro diede una rappresentazione di gala, in occasione della quale i palchetti parevano quasi scomparsi sotto una magnifica decorazione di fiori e bandiere.

 

I giornalisti, naturalmente, non mi lasciavano in pace: ve ne era sempre qualcuno che stazionava nella « hall » dell'albergo per fotografarmi e per intervistarmi spesso anche su argomenti che nulla avevano di comune con l'aviazione. Ricordo appunto che, uno mi chiese un'intervista per conoscere le mie impressioni sul modo come era regolato in Melbourne il traffico delle automobili. Uguale intervista - mi dissero — fu chiesta al famoso violinista Kreisler, che si trovava nella stessa epoca a Melbourne per alcuni concerti!

 

Poco dopo il mio arrivo ebbi occasione di assistere all'apertura del Parlamento Australiano, in occasione della quale il Governatore generale dell'Australia lesse un messaggio relativo alle questioni politiche più importanti del momento. Il partito labourista predominava in quasi tutti gli Stati confederati, che avevano quindi governi labouristi; viceversa il governo del Commonwealth era nazionalista, e Lord Bruce, capo del partito, era il primo ministro. Una questione molto interessante per noi era in quel momento il « bill » relativo alla immigrazione in Australia. Recenti disposizioni avevano ristretto l'afflusso degli immigranti, tranne per i provenienti dall'Inghilterra; ma, invero, i maggiori rigori erano contro la immigrazione di colore, e cioè contro gli appartenenti alla razza gialla. Notai però che era abbastanza diffusa una certa incomprensione circa la posizione dell'Italia nel mondo. In alcuni ambienti gli Italiani erano addirittura considerati come gente di colore, e qualcuno giungeva persino a meravigliarsi che la tinta della mia pelle non differisse molto da quella di un australiano! Al di fuori degli ambienti più colti, in generale in Australia si ignora che l'Italia è la culla delle arti e della civiltà.

 

L'arrivo del mio apparecchio ebbe, se non altro, il merito di aprire gli occhi a molta gente sul nostro paese, poichè, eccezion fatta per due apparecchi australiani che negli anni precedenti avevano volato da Londra a Melbourne, impiegando uno tre mesi e l'altro circa otto, nessun velivolo d'altra nazione era ancora arrivato a volo in Australia.

 

Ma forse la causa principale delle restrizioni che attualmente vengono fatte colà all'immigrazione, risale a ragioni di carattere economico. L'emigrante in Australia significa mano d'opera a buon mercato, e quindi è un temibile concorrente per i lavoratori australiani che, avendo un orario più limitato di lavoro in confronto a tutti gli altri lavoratori del mondo e guadagnando più di tutti, godono di un benessere straordinario. Occorre considerare che l'Australia di oggi si è formata con immigrazioni successive di Europei che ne hanno fatto, in pochi anni, un paese progredito e moderno, sostituendo ed eliminando i pochi elementi indigeni, che erano e sono sui più bassi gradini della civiltà.

 

I primi immigrati appartenevano a colonie penali, quando il Governo Inglese, non potendo più inviare i suoi condannati nella Virginia, scelse l'Australia come stazione; nel 1788 a Port Jackson fu costituita la prima stazione di 600 condannati, i quali costruirono le loro case nella stessa località dove poi sorse Sydney.

 

A queste prime colonie successero immigrazioni di uomini liberi, che misero in maggior valore la nuova terra; gli abitanti andarono così moltiplicandosi, favoriti dall'ottimo suolo e dal clima salubre. Il miraggio della scoperta di miniere d'oro, di cui si ebbero vaghe notizie dagli indigeni, dette un nuovo e più grande impulso all'immigrazione, verso la metà del secolo XIX, finchè progressivamente si giunse all'attuale popolazione di circa 7 milioni di anime.

 

Sebbene una parte dell'immenso territorio australiano non sia abitabile, l'attuale popolazione dell'Australia, che ha una densità media di un abitante, per kmq., è ben lungi da quella che permetterebbero e comporterebbero le immense possibilità e risorse locali. L'aumento costante della popolazione del mondo deve produrre inevitabilmente una trasmigrazione di abitanti dai paesi più densi a quelli meno densi, specialmente nei confronti dell'Australia che, come dicevo, ha la densità di un abitante per kmq., mentre esistono nazioni che hanno 140 abitanti e anche più per kmq. D'altra parte l'Australia di oggi è un risultato e un merito dell'immigrazione e non si può certo affermare che il paese sia già saturo.

 

Si tratta di selezionare e regolare l'immigrazione, che certo deve essere graduale e relativa allo sviluppo del paese. Io ritengo che i nostri connazionali possono contribuire enormemente al progresso di questa immensa e magnifica regione, e mi auguro che il problema della immigrazione, al quale ho accennato perchè è uno di quelli che più appassiona l'opinione pubblica australiana, possa essere risolto con reciproca soddisfazione dei due paesi, come possono far prevedere le relazioni amichevoli e cordiali esistenti e di cui ho avuto la esperienza personale nel mio breve soggiorno colà.

 

In Australia si vedono i germi di quella che sarà in avvenire una nuova razza umana distinta dalle altre. È la eterna evoluzione delle razze che ha periodi millenari: già gli Australiani hanno perduto molte caratteristiche del ceppo originario anglosassone.

 

L'assenza di scrupoli e di pregiudizi tradizionali, l'amore all'indipendenza da qualunque legame, agli « sports » e alla vita libera all'aria aperta, il cuore franco e generoso dànno a questo popolo una distinta fisonomia, che lascia sperare moltissimo sul suo avvenire.

 

È ammirevole il grande incremento delle scuole. L'analfabetismo si può dire che non esiste. Un analfabeta in Australia è un fenomeno così raro che egli vi è considerato come un individuo affetto da una malattia strana e sconosciuta. Il Governo, gli Stati, i Municipi dedicano somme vistosissime per la organizzazione degli istituti di educazione, dei quali sono giustamente fieri. Gli stessi alunni mi invitarono più di una volta a visitare le loro scuole, e ricordo che in una delle mie visite fui accolto ufficialmente con grandissimi onori da tutti gli allievi schierati per classi, in presenza dei quali il rettore mi lesse un indirizzo contenente infinite lodi per il nostro Paese; e più tardi argomento della lezione di geografia era appunto l'Italia, di cui gli alunni dovevano disegnare le coste, ricopiandole da una grande carta murale. Fu questo un pensiero gentile e delicato, di cui fui assai commosso.

 

Questa grande diffusione della cultura fa sì che in Australia, anche per la penuria di popolazione, non si trovino che assai difficilmente uomini che si adattino a servizi umili pur necessari per la vita di un popolo. Ciò si ripercuote grandemente sul costo della vita che diviene, come potei notare da un confronto recente, più cara che nella stessa Inghilterra.

 

Scevri come sono gli Australiani da pregiudizi sociali, hanno creato un ambiente più libero e dove è più facile vivere. Le fanciulle conducono una vita del tutto indipendente, si dedicano con passione agli « sports » e sono trattate dagli uomini fraternamente come dei veri camerati. Sono spigliate e intelligenti, belle di salute e di forza. Questa promiscuità e indipendenza porta ad una maggiore franchezza e ad una minore ipocrisia nelle relazioni sociali. Gli uomini si occupano principalmente degli « sport » e poi delle loro amiche, e la maldicenza a danno delle fanciulle, che è una vera piaga in altri paesi, là non esiste. Se una sera per caso accompagnate una fanciulla ad un teatro o ad un ballo e poi la riconducete a casa, poniamo alle tre di notte, nessuno se ne meraviglia o trova da ridire o a ricamarci malignamente sopra.

 

Il sistema costruttivo delle città favorisce una vita sana all'aria aperta. Le case sono tutte ad un piano,separate tra di loro e intramezzate da giardini e da piante. Non esistono i colossali palazzi, veri alveari umani che condannano ad una vita poco igienica e disamorano della casa. L'estensione di una città come Melbourne è quindi enorme, ma vi sono rapidi e bene organizzati mezzi di comunicazione, vie ampie e ben lastricate.

 

Tutti i moderni trovati della scienza sono apprezzati e adottati con entusiasmo. Non esiste una casa anche umile che non abbia un piccolo apparecchio radiotelefonico.

 

Abbondano parchi e giardini ricchi di piante rare o caratteristiche del paese; numerosi e vastissimi i campi sportivi, molto curati e assiduamente frequentati. Per gli impiegati, che non sono liberi nelle ore diurne, vi sono campi di « tennis » notturni, illuminati a giorno da grosse lampade elettriche, dove si vede giuocare con entusiasmo fino alle ore più tarde della sera.

 

Anche in vicinanza di Melbourne vi sono passeggiate e parchi magnifici, dalla vegetazione ricca e rigogliosa. Talune specie di piante, comuni da noi, arrivano colà a sviluppi e proporzioni colossali. Le piante caratteristiche della flora australiana cambiano la corteccia invece delle foglie, le quali sono disposte verticalmente in modo che attraverso di esse filtra la luce solare. Non sono rare specie arboree che giungono all'altezza di 150 metri.

 

Lo sviluppo del senso artistico nella razza australiana non è ancora molto progredito; a ciò naturalmente concorre la mancanza di tradizioni. Rari sono i monumenti architettonici di importanza; il teatro d'opera non esiste, e solo di tanto in tanto vengono allestiti spettacoli con artisti stranieri.

 

Verso la fine del mio soggiorno a Melbourne, il Console Generale Comm. Grossardi offrì un grande banchetto cui furono invitate tutte le maggiori autorità australiane, le quali avevano con-

 

cesso il loro valido e cortese appoggio in occasione del mio volo.

 

La grande sala da pranzo del Menzies Hotel era stata in quella occasione trasformata in una vera serra di piante, ed al banchetto, cosa nuova per cerimonie ufficiali, furono convitate anche numerose signore. Mi vennero fatti vani brindisi di saluto ed augurio, ed il Primo Ministro Lord Bruce ebbe parole di grande simpatia per il nostro Paese.

 

Ed eccoci a ricominciare ora, dopo la breve e gaia parentesi, la vita ardua e nomade.

 

Nella prima settimana di luglio il motore era finalmente pronto e fu rimesso a posto sull'apparecchio che il 10 luglio traemmo dal1'« hangar ».

 

Provammo allora il motore, che funzionò con tanta regolarità da suscitare una grande ammirazione nei meccanici australiani presenti, che si congratularono con Campanelli. Lo stesso giorno, nonostante che ci fosse un mare corto da levante molto noioso per il decollaggio, feci un breve volo di prova su Melbourne.

 

Fui molto soddisfatto del perfetto funzionamento, e mi riservai di fare un nuovo volo d'un paio d'ore per essere maggiormente sicuro dopo di aver ritoccati alcuni dettagli. E poiché era venerdì, nei due giorni successivi, causa l'orario festivo australiano, la nostra buona volontà fu costretta a sonnecchiare. Del resto nella domenica le condizioni atmosferiche non potevano essere peggiori, poiché pioveva e soffiava un forte vento da Est, che impediva di mettere l'apparecchio in mare. Debbo a questo proposito rilevare che l'idroscalo di Point Cook è in cattiva posizione, poiché lo scivolo, per il quale vengono messi in acqua gli apparecchi, trovasi in mare completamente libero e aperto, e coi venti di levante, che per fortuna non sono frequenti, non è assolutamente possibile eseguire la manovra di messa in mare d'un idrovolante. Ed infatti il lunedì 13 luglio, per le condizioni del mare, dovetti rinunziare al progettato volo di prova. Ma non persi tempo. Approfittai della necessaria inazione per cercare nel porto di Melbourne un posto dal quale potessi sicuramente partire.

 

Stabilii così di portare l'apparecchio nel porto alle foci del Yarra e di partire di là; così, anche se si fosse levato vento di levante, avrei potuto prendere il volo senza ulteriori ritardi.

 

Il giorno successivo le condizioni del tempo migliorarono e volai per circa due ore con a bordo il Console Generale Italiano, compiendo alcuni giri su Melbourne. Discesi assai soddisfatto di quella prova, ammarando nel porto di Melbourne, dove era stata per mia richiesta già preparata una boa per l'ormeggio dell'apparecchio.

 

Nel pomeriggio feci il carico completo di benzina, poichè la tappa per Sydney era di circa 1000 chilometri, e fissai la partenza per il giorno successivo, mercoledì 15. Nella notte dal martedì al mercoledì, la temperatura fu per Melbourne veramente eccezionale, poichè scese al di sotto dello zero. Ma ciò non mi dispiacque, perchè determinava una condizione molto più favorevole per il decollaggio. Così alle 8.20 del 15 eravamo a bordo, salutati dal Console Generale e da alcuni amici, nonchè dal Comandante dell'Aviazione Australiana. Sbrigati gli ultimi preparativi, decollai alle 10.

 

Ma, appena in volo, il motorista mi avvertì che bisognava scendere perchè vi era una forte perdita di benzina ad un raccordo delle pompe A M.

 

Ammarai di nuovo immediatamente. La fuga della benzina dipendeva da una guarnizione assai vecchia applicata alle nuove pompe che avevo messo a posto. A causa dell'ubicazione di queste, il lavoro di riparazione prese per le lunghe, cosicché fui costretto a rinviare la partenza al giorno successivo. Campanelli si procurò la guarnizione nuova, tagliandola dal gambale di cuoio di uno dei curiosi presenti, il quale chiese per compenso che il motorista apponesse una firma sul gambale mutilato.

 

La mattina del giovedì, 16, era molto nebbiosa e fosca. Alle 8.45 mi misi in moto e decollai. Ma la nebbia non aveva una grande estensione in altezza; infatti, a 50 metri di quota, mi trovai al disopra. di essa, salutato da una magnifica giornata.

 

Una grigia cortina presto mi nascose alla vista Melbourne, che lasciai col rammarico più vivo, e che rimane ancora, fra le città visitate nel mio viaggio, una di quelle che hanno lasciato in me il più nostalgico ricordo.

 

 

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Sydney: ormeggiando l'apparecchio

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Sydney: i connazionali ci offrono fiori

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Sydney: salutando il Console all'arrivo

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