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Il bombardamento in picchiata


Ospite galland

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Insegne di reparti da bombardamento a tuffo della Regia Aeronautica

Nascita della specialità del bombardamento a tuffo

 

L'idea di tuffarsi con l'aeroplano sul bersaglio e quindi di sganciare la bomba lungo una traiettoria quasi verticale risale alla prima guerra mondiale: sembra che il primo a concepire un tale sistema di bombardamento sia stato un medico della Marina francese, il Dott. Laburthe che era anche pilota da caccia ed inventore.

 

Egli stesso lo sperimentò ma non fu seguito da altri, almeno durante la prima guerra mondiale. Con l'esperienza di oggi si può ben dire che le caratteristiche tecniche dei velivoli dell'epoca non si prestavano ad un tale tipo di impiego. Finita la guerra la tecnica venne ripresa dal Comandante Teste della Marina Francese che effettuò alcune prove; dette sperimentazioni però non portarono a nessun risultato pratico, tanto che il metodo cadde fra lo scetticismo generale.

 

Nel 1927 l'idea venne ripresa negli Stati Uniti dove si fecero prove intensive con due biplani di diverso tipo; l'uno relativamente leggero, il biposto Curtiss F8C-4 con motore Wasp da 450 H.P., dal peso a vuoto di 1.112 kg. che costituì il primo famoso « Helldiver », l'altro il bombardiere in picchiata Martin XT5M-1, anch'esso biposto, equipaggiato con un motore Hornet da 525 H.P., dal peso a vuoto di 2.092 kg.. Il Curtiss venne impiegato con una bomba da 105 kg. ed il Martin con una da 450. I migliori risultati si ottennero con il Curtiss; il Martin si dimostrò molto maneggevole soprattutto perché poteva essere richiamato dalla picchiata a 420 km./h. e eseguire la gran volta, la vite orizzontale ed il volo rovescio all'uscita del tuffo. Nel 1930 la nave portaerei «Saratoga» fu dotata di una Squadriglia di « Helldiver ».

 

A parità di quota di sgancio delle bombe, il bombardamento in picchiata, rispetto al bombardamento in volo orizzontale, comporta i seguenti vantaggi essenziali: maggiore precisione di tiro (a causa del minore effetto della « ritardazione » sulla bomba) e maggiore velocità di impatto della bomba sull'obiettivo. Una bomba sganciata in verticale a 1.000 metri di quota con una velocità in picchiata del velivolo di 400 km./h. (110 m./s.), accelera di ulteriori 140 m./s. a seguito della caduta libera ed impatta il terreno a 900 km./h. (250 m./s.); la stessa velocità di impatto può essere raggiunta dalla stessa bomba lanciata in volo orizzontale qualora essa venga sganciata a 3.500 metri di quota. Ma il vantaggio essenziale consiste nella maggiore precisione conseguibile che con il tiro in volo orizzontale.

 

 

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In assenza di vento e con lo sgancio da un velivolo in picchiata verticale la traiettoria della bomba è praticamente rettilinea e pertanto può essere «mirata» come quella di un'arma da fuoco; lo sgancio in volo orizzontale invece comporta per la bomba una traiettoria parabolica la cui curvatura (in funzione della velocità orizzontale, della resistenza aerodinamica della bomba e della sua densità balistica ecc....) è di difficile calcolo preventivo e di difficile collimazione; inoltre lo sgancio orizzontale non offre alcuna possibilità di aggiustamento del tiro. L'ingegnere Henry Hegener in un suo interessante articolo sulla rivista olandese « Het Vliegvld » del Dicembre 1940 ricordò che nelle prove di bombardamento in picchiata, eseguite dalla Marina Americana, si manifestarono alcuni fenomeni inaspettati: comparvero infatti vibrazioni di ali e di coda, si staccarono pezzi ed alle volte avvenne che la bomba appesa sotto la fusoliera, dopo il lancio, colpì l'elica la quale, rompendosi, dette luogo a fortissime vibrazioni determinando anche rotture al velivolo. I membri dell'equipaggio per salvarsi dovettero più volte lanciarsi col paracadute. Ma presto si scoprì dove era l'errore nell'applicazione del metodo. Infatti, mentre nello sgancio in volo orizzontale la bomba abbandona il velivolo cadendo verso il basso, nello sgancio in verticale la bomba continua a seguire una traiettoria parallela a quella del velivolo. E poiché la bomba di norma aveva allora una forma aerodinamica più penetrante di quella del velivolo, avveniva che nel suo moto di caduta precedeva il velivolo stesso ed urtava il disco dell'elica.

 

L'inconveniente venne successivamente eliminato fornendo l'attacco della bomba al velivolo di un dispositivo di lancio a parallelogramma (che in America fu brevettato da Schuyler and Miles ed in Germania fu realizzato da Junkers) che allontanava la bomba, in fase di sgancio, dal disco dell'elica del velivolo.

 

La picchiata, e più ancora la successiva richiamata, sottopongono l'organismo umano ed il velivolo stesso a fenomeni di accelerazione di notevole entità. Nel 1940 si riteneva che i fattori di sovraccarico nel tiro in picchiata con i velivoli dell'epoca si aggirassero intorno a 16 e che pertanto per rendere teoricamente impossibile la rottura del velivolo stesso fosse necessario conferirgli un fattore di sicurezza 29 (il velivolo in tal caso si sarebbe rotto solo quando sottoposto ad uno sforzo pari a 29 volte il proprio peso).

 

Tuttavia, poiché il corpo umano non è in grado di sopportare tali accelerazioni, fu necessario introdurre accorgimenti tali da ridurre a circa otto il valore dell'accelerazione durante la manovra di richiamata dal tiro in picchiata. Detti accorgimenti consistettero nell'impiego di speciali alette frenanti, realizzate per la prima volta da Junkers, capaci di ridurre la velocità di affondata del velivolo e quindi di contenere in limiti accettabili le accelerazioni all'atto della richiamata. Dette alette erano in sostanza dei freni aerodinamici a persiana, incernierati al bordo di attacco sul ventre di ogni ala. In volo orizzontale le persiane rimanevano unite, parallele alle ali; prima dell'affondata esse venivano disposte trasversalmente. La loro azione si esplicava non soltanto producendo una resistenza aerodinamica ma anche spezzando la corrente dell'aria sull'ala; con l'impiego di dette alette la velocità di affondata veniva limitata a 460-480 km./h.. Un notevole contributo al lancio in picchiata venne portato dall'adozione dell'elica a numero di giri costante. Se le pale dell'elica non sono regolabili l'elica, durante l'affondata, gira come un mulino a vento oltre il numero di giri ammissibile per l'asse del motore finché compaiono danni nelle parti vitali del motore stesso. L'elica a passo variabile eliminò questi inconvenienti. Nel volo in picchiata di primato che fu eseguito in America nel 1939 con il Curtiss « Hawk » 75A ad una velocità di 925 km./h., l'elica automatica a numero di giri costante impedì di oltrepassare il valore di 2.550 giri/minuto, valore considerato normale in volo orizzontale.

 

Tutte le aviazioni militari dei vari Paesi svilupparono alcuni tipi di velivoli da bombardamento in picchiata.

 

Tuttavia i tedeschi, che furono i primi a farne un impiego sistematico e che svilupperanno il metodo fino alle estreme conseguenze, realizzarono i velivoli più adatti allo scopo anzi specializzati per assolvere il compito primario di bombardieri in picchiata o a tuffo.

 

Da notare che i bombardieri in picchiata inglesi ed americani furono di solito velivoli imbarcati su navi portaerei e destinati ad operare sul mare mentre solo i tedeschi cominciarono a farne uso come aerei da appoggio alle operazioni terrestri.

 

Tra gli apparecchi tedeschi, il primo e più famoso bombardiere in picchiata fu lo « Junkers 87 » detto anche «Stuka» (contrazione di Sturzkampfflugzeug: velivolo da combattimento in picchiata) che si fece conoscere per la prima volta nella guerra di Spagna ed ancora meglio apprezzare nelle campagne di Polonia, di Norvegia e di Francia.

 

 

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Savoia Marchetti SM85 – 96° gruppo bombardamento a tuffo, Ciampino 1940

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Junkers Ju.87 R2 – 208a squadriglia 97° gruppo autonomo BT, Lecce Galatina 1943

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Reggiane Re 2002 – 238° squadriglia 101° gruppo BT, Ferrara 1943

 

Profili di velivoli da bombardamento in picchiata operativi e sperimentali all’inizio della seconda guerra mondiale, con riguardo all’allocazione del munizionamento di caduta

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FAIREY BATTLE Mk.I (1) Studiato come bombardiere leggero monoplano il prototipo del Battle volò nel 1936 e già nell'anno successivo entrò in servizio nella R.A.F. Ne furono costruiti 2.184 sino al settembre 1940. Usato nel 1939 in Francia, si rivelò facile preda dei Messerschmitt BF.109. Relegato quindi a velivolo scuola e traino bersagli fu ceduto in gran quantità al Canada come addestratore.

 

BLACKBURN SKUA (2) Lo Skua era un caccia progettato per essere impiegato da portaerei ed ebbe anche una variante (Roc) quasi identica di tipo terrestre. Tra i primi tre velivoli prodotti ve ne fu anche uno attrezzato come versione idro. I primi voli furono effettuati a fine 1938 e la produzione terminò due anni dopo. Fu uno dei primi caccia dell'aviazione di marina inglese armato con una torretta a quattro mitragliatrici. Costruito in quantità limitata fu presto radiato e usato come traino bersagli.

 

JUNKERS JU 87 B-2 STUKA (3) Frutto delle capacità progettuali dell’ingegner Pohlmann divenne, unitamente alle forze corrazzate, il binomio vincente della blitzkrieg. Velivolo in possesso di innegabili doti di solidità, robustezza, stabilità nella traiettoria di tiro divenne facile bersaglio dei caccia avversari quando la caccia germanica perse la supremazia dei cieli. Dotato di una coppia di cannoni da 37mm. vide lungo e proficuo impiego sul fronte russo nel ruolo di cacciacarri.

 

HAWKER HENLEY III (4) Nato come bombardiere leggero il prototipo dell'Henley volò nel marzo del 1937. La Hawker usò per questo velivolo le stesse parti alari che già si applicavano all'Hurricane per evidenti ragioni produttive ma nel frattempo i concetti di bombardiere leggero erano cambiati ed esso veniva destinato come traino bersagli. L'ordine iniziale di 350 macchine fu quindi ridotto a 200. Entrò in servizio nel 1939 e operò sino al 1942 quando fu sostituito da altri tipi più moderni.

 

VOUGHT SB2U-1 (5) Primo dei 54 ordinati, il prototipo dell'SB2U-1 volò nel 1937. Dotato di un elica a passo variabile per limitare la velocità di picchiata. Venti modelli del tipo esportazione furono costruiti per la Francia nel 1939. Dopo esperimenti con carrello retrattile e carenature al carrello fisso si optò per la versione che si dimostrò più veloce e cioè quella a ruote rientranti (SB2U-3) e ne furono ordinati 57 nel 1939. I primi entrarono in servizio alla fine del 1940.

 

FOKKER G1A (6) Costruito come caccia pesante e appoggio tattico una variante fu studiata per il bombardamento in picchiata. Bimotore e con concezioni originali per l'epoca in cui volò (1937) fu ordinato da varie aeronautiche straniere tra cui quella spagnola ma con l'inizio della seconda Guerra Mondiale il governo olandese requisì alla fabbrica i velivoli pronti per impiegarli in combattimento. Buona parte di essi (circa 23 ne vennero prodotti) furono distrutti al suolo da aerei tedeschi. La Fokker sotto l'occupazione ne produsse ancora e vennero usati dalla Luftwaffe per addestramento.

 

BLOHM VOSS HA 137 V4 (7) Concepito come bombardiere in picchiata aveva l'ala uguale allo Ju 87 Stuka e lo stesso motore. Il BV 137 partecipò infatti al concorso indetto dal Ministero dell'Aria tedesco per questa specifica. La versione V4 (quarto prototipo) fu impiegata come velivolo cavia per diversi collaudi. Avendo la Luftwaffe adottato lo Junkers il Blohm Voss non fu costruito in serie ma solo in sei esemplari prototipi (V1/V6).

 

PZL P 38 WILK (8) Progettato nel 1936 come velivolo da appoggio tattico e cacciacarri il Wilk volò nel 1938 e nello stesso anno fu presentato al XVIII Salone dell'Aeronautica di Parigi. Bimotore, di linea aerodinamica d'avanguardia, montava motori americani a 12 cilindri. Solo due prototipi ne vennero costruiti prima che la Polonia venisse invasa.

 

BREWSTER SBA-1 (9) Il prototipo dell'SBA-1 fu ordinato dall'U.S. Navy nell'ottobre del 1934 ma non volò che nel 1936. Monoplano ad ala media, biposto, con stiva bombe, solo trenta ne furono ordinati nel 1938 ma la costruzione fu lunga e complessa e fu terminata nel 1941. Nel frattempo la fabbrica aveva ottenuto un ordine consistente dell'XSB2A-1, estrapolazione dell'SBA-1 con motore più potente, torretta armata per l'osservatore, maggior capacità di carico bombe, quindi le ragioni di produzione del tipo 1 cadevano.

 

CURTISS SBC-4 (10) Ancora della formula biplana e derivato dall'SBC-3 ma con motore più potente. Un certo numero fu ceduto nel 1940 alla Francia per l'impiego nelle colonie. Non fu mai usato nel conflitto e fu l'ultima biplano da combattimento costruito negli Stati Uniti. Un ordine iniziale di 58 macchine fu poi portato a 89 e le consegne iniziarono nel 1939.

 

GREAT LAKES BG-1 (11) L'XBG-1 iniziò i primi voli di collaudo nel 1933. Biplano con capottina aperta. Un contratto di produzione dello stesso anno fu portato nel 1934 a 60 velivoli. Sia la Marina che i Marines lo ebbero in dotazione. Sempre nel '34 I'U.S. Navy ordinò una variante (XB2G-1) che aveva una stiva bombe e carenature in fusoliera per retrarre il carrello. Collaudato nell'anno successivo non vennero effettuati ordini perchè velivoli di altre ditte, con migliori prestazioni, si erano dimostrati più consoni.

 

NORTHROP BT-1 (12) Bombardiere in picchiata e di costruzione completamente metallica, monoplano ad ala bassa pieghevole per l'imbarco su portaerei, il BT-1 iniziò i collaudi alla fine del 1935. Successivamente si passò con modifiche al tipo XBT-2 che aveva il carrello completamente retrattile e con denominazione SBD-2 costruito dalla Douglas e piani di coda modificati divenne il famoso Dauntless.

 

LOIRE NIEUPORT LN40 (13) Simile allo Junkers Ju 87 l'LN40 era un velivolo monoplano con ala a V invertito ma a carrello parzialmente retrattile. Il prototipo iniziò i voli di collaudo nel giugno del 1938. Concepito come bombardiere in picchiata sulle orme dello Stuka, che aveva impressionato lo Stato Maggiore dell'Armée de l'Air per i suoi successi in Spagna, ne furono ordinati sia per la marina francese che per l'aviazione. Durante la seconda guerra mondiale alcune squadriglie, trasferite nel sud della Francia, bombardarono Genova ed Imperia ed effettuarono anche varie ricognizioni sulla costa ligure prima della capitolazione.

 

SAVOIA MARCHETTI SM. 85 (14) Appositamente progettato per equipaggiare la costituenda specialità della Regia Aeronautica venne assegnato al 96° gruppo con base a Ciampino. Afflitto da una serie di gravi deficienze strutturali ed aerodinamiche vide un brevissimo ed infruttuoso impiego nelle prime settimane di guerra.

 

REGGIANE Re 2002 (15) Derivato dalla positiva esperienza del cacciabombardiere Re.2001 vide l’utilizzo nei mesi precedenti l’armistizio. Il convulso periodo bellico non permise la completa messa a punto della macchina, con particolare riguardo al propulsore di buona potenza ma delicato funzionamento. Dopo l’otto settembre venne utilizzato dall’aeronautica co-belligerante.

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Partecipanti più attivi

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Ospite iscandar

Vorrei aggiungere, acnhe se sicuramente Galland lo farà dopo, che la Regia utilizzo anche il CR. 42, per il bombardamento in picchiata, anzi a candela...

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Ospite galland

Gusta precisazione quella di Iscandar, anche se ho voluto trattare di velivoli specificatamente concepiti per tale uso mentre il CR.42 era adattato. Ripropongo, comunque un brao delle memorie di un pilota italiano in Africa settentrionale, da me già citato nel forum alcuni mesi fa.

 

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"I falchi del deserto" di Sergio Flaccomio è uno dei primi libri d'argomento aereonautico che ho posseduto; lo acquistai giusto a quattordici anni, nella cartolibreria davanti scuola.

L'autore era capitano pilota della 389a squadriglia del 50° stormo d'assalto, impiegata in Africa Settentrionale durante il decisivo confronto di El Alamein. Lo stormo impegnava i Fiat Cr.42 bombe alari. Rispetto ad altre memorie di piloti colpisce il tono di sottile ironia e la coscienza di combattere e morire in condizioni d'assurda inferiorità.

Lo stile rotondo e privo di retorica della narrazione, che intercala eventi bellici (l'azione d'assalto, la scorta convoglio, l'attesa delle missione) alla vita quotidiana dei piloti, lo fa risultare di lettura interessante e godibile.

Nella vivida e drammatica descrizione dell'attacco al fortino di Bir-Hacheim riecheggiano i termini e le modalità d'impiego vigorosamente propugnati dal teorico dell'assalto Amedeo Mecozzi nel corso degli anni trenta.

 

"In un caldo pomeriggio del giugno 1942 trentasei aeroplani Cr.42 si stanno disponendo in volo in formazione di combattimento; sono tre squadriglie, 389, 390 e 391 del 50° stormo d'assalto. Ad una trentina di metri l'una dall'altra le tre squadriglie in stretta ala destra si dirigono verso il fortino di Bir-Hacheim, caposaldo nemico da attaccare nelle vicinanze del confine egiziano a circa duecento chilometri dalla costa nell'interno.

Sono i falchi del deserto, così battezzati dallo stesso nemico, che si accingono ad una delle loro quotidiane azioni d'assalto: bombardamento in picchiata con le due bombe alari e mitragliamento a volo radente su postazioni, concentramenti, mezzi meccanizzati e corrazzati e quanto altro si possa attaccare nel deserto o sul mare e colpire con precisione.

Lo stormo d'assalto è sorto su vecchie esperienze italiane ed impegna apparecchi da caccia con due bombe leggere sotto le ali e grosse mitragliatrici fisse che sparano attraverso l'elica. E' il connubio di due specialità base dell'impiego bellico dell'aereo, la caccia e il bombardamento, con un particolare in più l'assalto.

Oggi si può parlare di caccia bombardieri poiché il mezzo meccanico, le attrezzature e gli armamenti si sono evolute. Ma allora si citavano apparecchi d'assalto, reparti d'assalto, piloti d'assalto e questa denominazione era il giusto attributo, il doveroso riconoscimento ad una tecnica di combattimento , una tattica di volo ed una specialità di impiego che meritava al definizione.

I piloti d'assalto, eredi della caccia (e venivano quasi tutti di qui), portavano nella tecnica del bombardamento la superiorità aggressiva e rettilinea della caccia; lanciavano le bombe in picchiata puntando il bersaglio con il collimatore delle mitragliatrici senza bisogno di cronometri e di traguardi e mirando con l'aeroplano in candela, proseguivano la picchiata sino a pochi metri da terra mitragliando e continuando a mitragliare in volo radente tutto ciò che volevano colpire e danneggiare.

Le loro bombe non erano grosse né potenti.

Le tre squadriglie hanno appuntamento con i caccia e li attendono sul loro campo per poi portarsi verso l'obiettivo. Nelle azioni molto impegnative infatti, come quella che si preparano ad eseguire, la protezione dei caccia è indispensabile poiché la caccia nemica attende gli assaltatori e li attacca all'uscita del loro tuffo quando raso terra mitragliano e, privi di difesa e di contrattacco, sono molto vulnerabili. C'è un fraterno legame più che affettuoso fra i cacciatori e gli assaltatori; i primi infatti sanno che costoro lavorano duro e pericolosamente e hanno bisogno di una relativa tranquillità in oda per poter portare a termine con successo la loro missione. Spesso i cacciatori si sono prodigati con foga, con generosità e con perizia.

Al comando della 389 squadriglia, la prima della formazione, seguo il comandante di gruppo che oggi ci conduce a battaglia; siamo sui tremila metri, i miei dodici gregari sono in ala destra, stretti; il cielo è meravigliosamente azzurro e ci addentriamo nella gialla e macabra distesa del deserto lasciandoci alle spalle il mare che ogni tanto mi volto a guardare per un istante pensando che altrove ci si va in barchetta ci si fa il bagno, ci si corteggia la ragazzina e che ora invece rappresenta un lontano riferimento azzurro di vita, di benessere e di un mondo che forse, e non in pochi, fra breve avremmo dovuto abbandonare.

Il bersagli è quasi sotto di noi: ce ne accorgiamo dalle prime avvisaglie contraeree che ci inquadrano con una certa efficacia. Un paio di migliaia di metri sopra di noi, i cacciatori sono già impegnati in combattimento per difenderci; si vedono sciamare traccianti, fumate nere e aeroplani che come pere o foglie morte vengono giù, di sotto, abbattuti.

Mi faccio sotto al comandante di gruppo, gli indico il bersaglio e la confusione di sopra con un rapido gesto della mano. Non abbiamo collegamento radio e i ripetuti tentativi di far funzionare quella di bordo sono stati frustrati a terra dalla sabbia, dal materiale scadente, dagli impianti imperfetti; in volo, dalla necessità di una rapida comunicazione e dalla rabbia per tutti quegli aggeggi che non valgono un fischio.

Pensare che voliamo e combattiamo sempre in pochi, armati peggio, meno veloci e con un apparecchio del tipo più vecchio è ormai diventata un'amara e inutile ribellione: voliamo combattiamo e crepiamo perché dobbiamo farlo, perché portiamo una divisa, perché abbiamo prestato un giuramento e perché siamo tutti uomini con la U maiuscola e fra i sentimenti degli uomini con la U maiuscola esiste l'onore, il dovere e la dignità che divengono più validi nei momenti impegnativi. Ma, in verità senza maiuscole siamo poveri nani.

Il comandante del gruppo mi fa segno di si, mi volto verso il mio gregario e gli faccio un rapido segno col capo; vuol dire allontanati, lui esegue e poi tutti gli altri: la formazione si allunga, si snoda quasi in fila indiana. Il primo apparecchi effettua un lento rovesciamento e picchia in giù; io e la mia squadriglia lo seguiamo, il bersaglio è molto sotto di noi, il comandante del gruppo vuol centrare le sue due bombe e noi anche, ma il bersaglio è piccolo, è un fortino pressoché ottagonale di dimensioni limitate. Cominciarlo a centrare da tremila metri vuol dire buttarsi quasi in candela e non sarà facile tenere l'aeroplano in perfetta mira. Un piccolo errore è commesso dal comandante di gruppo; siamo andati troppo sopra l'obiettivo mentre dovevamo rimanere un po' più sulla destra e un po' più avanzati per poter fare un buon rovesciamento ed una buona puntata.

Per centrare il fortino, il maggiore va sempre più in candela, addirittura entra in vite e per stargli appresso mi accade lo stesso; penso che buona parte dei miei gregari debba adattarsi a questa strana ed inconsueta manovra d'attacco.

Intorno a noi c'è il fuoco; sopra proseguono i combattimenti dei caccia. Mi volto un attimo per vedere cosa fa la mia squadriglia: è allungata dietro di me in assetti più o meno regolari ma sta venendo giù a piombo. Nei brevi istanti ho potuto vedere esplodere per aria un aeroplano della squadriglia che mi seguiva. Un altro scendeva in fiamme.

Usciti dalla vite sia pur involontaria del mio comandante di gruppo, ormai siamo ad un migliaio di metri quasi in candela sul fortino: continuiamo a scendere e ho già in mano la leva dello sgancio delle bombe; sette, sei, cinque, duecento, chi lo sa quanti metri e chi lo potrebbe mai sapere, so che vedo il fortino sotto di me, e ora mi sembra enorme e tante fiammate che ne partono, e sento la vibrazione quasi disperata del mio aeroplano sottoposto ad una velocità e ad una sollecitazione che i suoi costruttori non hanno mai immaginato.

Vibra come una bestia, forse una bestia impaurita, ma va giù, premo il pulsante delle mitragliatrici che cominciano a vomitare e sgancio, poi comincio a richiamare continuando a mitragliare ma per qualche attimo non vedo più niente, vedo nero e mi sembra che il viso mi venga strappato dalla forza centrifuga. La cloche è dura a tirare come una vanga piantata nel terreno. Arresto per un attimo il mitragliamento per non surriscaldare le armi ed incepparle. Sono ormai a poche decine di metri e sorvolo una confusione di uomini, cannoni, mitragliere, camion, carri armati; riattacco le armi e le brucio fino all'esaurimento zigzagando raso terra sino a pochi metri.

Passo attraverso un mare di traccianti, credo che mi sparino addosso anche con le fionde, sassate a mano, magari sputi e la mia difesa è l'attacco perché con improvvise piccole cabrate e picchiate continuo a sparare cercando così di chiudere al mira agli altri. Il motore è quasi in pieno e rugge, con la velocità della picchiata devo essere un fulmine ed in questa fase la velocità e la mobilità sono le mie armi di scampo- credo di essere già in salvo, quasi fuori ormai della cerchia di fuoco e sto cabrando leggermente per prendere quota, quando uno squasso improvviso sotto l'aeroplano lo fa sobbalzare come sotto una frustrata; l'ha avuta, sono colpito, un'ala è sforacchiata e sotto ci deve essere peggio.

Prendo quota, riduco i giri, provo i comandi: rispondono, il motore va, non c'è fumo per ora; mi volto un momento indietro rapido, il mio primo gregario di destra, un maresciallo con i nervi d'acciaio, è lì, mi segue e il suo compito è quello di non lasciarmi mai. La sua faccia tonda ammicca qualcosa che non capisco, intanto ho ripreso un po di quota e mi volto. Capito: una bella scia biancastra mi segue come il pennacchio di una cometa ma è un brutto pennacchio, è carburante, ho il serbatoio colpito e di quel poco che mi resta ne perdo come una fontana.

Sono a duecento chilometri all'interno di un deserto, lontano dalle basi con l'aeroplano colpito e perdo carburante ma tutto mi sembra una sciocchezza, roba da ridere, non dico che tiro un sospiro di sollievo ma quasi. Sono arrivato intanto sui mille metri, il gregario mi è accanto e batto le ali per radunare la squadriglia. Ho perso di vista il comandante di gruppo e non ho idea di dove sia andato a finire, dirigo verso il mare, verso casa. Se ci arrivo… […]

Sono agli sgoccioli il televel segna zero, guardo sotto davanti a me, a destra, a sinistra e vedo una specie di collinetta dolce con erbacce. Mi sembra il posto più adatto e mi viene in mente, chissà perché, di venire giù e poi dargli una bella spanciata e posarlo in salita, così rullo e corro meno ed il rischio di cappottare diminuisce, già, perché i nostri aeroplani d'assalto hanno ancora il carrello fisso, carenato, le due zampe di un falco. […] la collinetta non mi sembra male e poi è ormai troppo tardi e non ho più scelta. Do un paio di strappo nate di manetta ed il motore fortunatamente tossendo mi risponde. Riesco, così, a piazzare l'aeroplano ai piedi della collinetta quasi appeso per il naso; spanciatissimo, e tocco terra con una dolcezza eccezionale. Sono un gran pilota."

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Ospite intruder

Se è per questo, qualsiasi macchina che non perdesse i pezzi per strada è stata impiegata in quel ruolo, occasionalmente o meno. Ma le macchine nate per quel lavoro erano altre.

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Pensare che voliamo e combattiamo sempre in pochi, armati peggio, meno veloci e con un apparecchio del tipo più vecchio è ormai diventata un'amara e inutile ribellione: voliamo combattiamo e crepiamo perché dobbiamo farlo, perché portiamo una divisa, perché abbiamo prestato un giuramento e perché siamo tutti uomini con la U maiuscola e fra i sentimenti degli uomini con la U maiuscola esiste l'onore, il dovere e la dignità che divengono più validi nei momenti impegnativi. Ma, in verità senza maiuscole siamo poveri nani.

 

Bellissimo articolo e resoconto operativo. Grazie Galland

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Ospite intruder
Bellissimo articolo e resoconto operativo. Grazie Galland

 

 

Ai quali aggiungo anche i miei, di ringraziamenti (interessati, chissà che non ci scappi un invito a pranzo!).

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  • 4 mesi dopo...

Non ricordo dove (non nel Sito), ma si era fatto cenno ad un aereo tedesco del 1995 progettato per l'attacco "in picchiata" contro blindati ed altri obiettivi al suolo, equipaggiato con propulsori a reazione BMW. Sembra che il discreto numero di velivoli prodotti abbia permesso di ottenere buoni risultati, per altro vanificati dalla difficilissima situazione complessiva, e che fosse stato incorporato nell'Armata Rossa quasi intatto

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Non è che ci sia una formula vincente per il bombardiere in picchiata tanto da renderlo immediatamente identificabile.

In generale comunque erano aerei con una generosa superficie alare, profili e allungamenti alari relativamente alti per operare efficacemente a velocità di crociera relativamente basse e generare un'elevata portanza al momento della violenta richiamata che seguiva la picchiata a tuffo e lo sgancio delle bombe.

 

Un utile optional di questi velivoli erano però gli aerofreni (come quelli a spacco che fuoriuscivano al bordo d'uscita del Dountless) che evitavano che il velivolo raggiungesse velocità eccessive nella picchiata, tali da superare i limiti stutturali o rendere impossibile la richiamata prima di raggiungere il suolo.

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  • 3 settimane dopo...
Ospite iscandar
CR.42 e G.50 di certo no, visto che le bombe erano appese alle ali...

 

Ciao

 

I CR.42 ed i G.50 non nascono come bombardieri a tuffo, ma nascono come caccia, è stata la capacità d'improvvisazione italica ad utilizzarli come tali, specialmente il Falco, dato che non avevamo altro, il Breda 65 era un cassone volante...

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Lo Ju-88 effettuava l’attacco in picchiata così:

 

il pilota livellava l’aereo perfettamente e si allineava col bersaglio. Cercava di calcolare la forza del vento, osservando il fumo o le onde. Attraverso la vetratura sul pavimento osservava il bersaglio. Sul trasparente erano segnate linee orizzontali per valutare la distanza. Manette al minimo, eliche al passo massimo, attivava il traguardo di puntamento e l’audioaltimetro che lo avrebbe avvisato quando l’aereo avesse raggiunto i 1500 metri di quota. Quando il bersaglio passava sotto l’ultima linea, il pilota attivava gli aerofreni, questi provocavano una variazione di assetto, sollevando la coda. Il bombardiere picchiava a 60° sottoponendo l’equipaggio a diversi G negativi. Il pilota puntava il bersaglio attraverso il traguardo di puntamento. Su uno dei trasparenti laterali erano segnate altre linee a 40°-50°-60° e 70° rispetto all’orizzonte. Da 3000 metri la picchiata durava 15 secondi e l’aereo raggiungeva i 650 orari. A 1500 metri l’altimetro acustico avvisava di prepararsi al lancio che avveniva a 1000 metri dopo pochi secondi. Un comando automatico, al momento dello sgancio, portava l’equilibratore alla massima angolazione a cabrare. L’aereo, durante la richiamata superava i 5 G.

 

Il fatto di picchiare a 60° invece che a 90°, non rendeva per questo meno preciso il tiro. Oltrepassati i 60° lo scostamento è minimo. Ma quanto può essere preciso un attacco in picchiata ? Gli Aichi D3A Val giapponesi pare abbiano piazzato oltre l’80% delle bombe sul bersaglio, anche contro navi in movimento.

Modificato da gianvito
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:adorazione: grazie una risposta di altissima e preziosa competenza. Da ultimo ti chiedo : conosci procedure simili per il lancio di bombe con monomototi tipo P-40e che per quel poco che ne so picchiavano anche essi a 60° circa? Infine questi angoli più limitati sono frutto di esperienza bellica o picchiare vicino alla verticale qualche vantaggio lo dava?
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:ph34r: certo e si tratta di una risposta eccellente, ma si sa l'appetito vien mangiando, la mia curiosità a questo punto, visto che ho trovato un esperto e capire perchè si è fatta tanta fatica per realizzare velivoli specifici per picchiare a 90 gradi. Inoltre vorrei capire fino a che punto lascelta di utilizzare i caciabombardieri al posto dei "tuffatori" sia stata indovinata.
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Ringrazio, ma sono semplicemente ricorso al mio archivio, perché a memoria non ricordo tutto e non volevo scrivere inavvertitamente delle cavolate, come ho fatto sopra citando dei dati sulla Guerra di Spagna inesatti, che ho provveduto ad eliminare.

 

Perché ci hanno messo tanto a realizzare i tuffatori ? La risposta è nello scritto introduttivo di Galland, che elenca molti motivi.

 

Giusta la domanda a proposito dell’impiego dei cacciabombardieri al posto degli aerei da attacco in picchiata. Si potrebbe sostenere che il caccia bombardiere sia intrinsecamente più flessibile nell’impiego, in grado di difendersi decisamente meglio e, se impiegato in gruppi numerosi, di ovviare ad una certa imprecisione nel tiro. Ma c’è un altro fattore: i bersagli terrestri sono in genere fissi, più semplici da colpire. Nel caso dei carri armati, si è preferito l’impiego di razzi (lanciati in picchiata a 60°). Nell’attacco alle navi, sia nel Pacifico che in Europa, gli aerei da attacco in picchiata sono stati impiegati fino alla fine della guerra perché, contro bersagli navali, dei semplici cacciabombardieri non avrebbero ottenuto la stessa precisione. Nel caso della Germania l’arrivo di bombe guidate ha reso poi superfluo un tipo di attacco che metteva comunque in pericolo il bombardiere. Sono migliorati poi i sistemi di puntamento per l’attacco in orizzontale: già nel 1940 sugli Ju-88 era disponibile il sistema Lotfe in grado di ottenere, contro bersagli fissi, una precisione paragonabile ad un attacco in picchiata.

 

Nel dopoguerra gli A-1 Skyraider, in Corea, pare fossero in grado di piazzare, su di un bersaglio fisso, oltre il 90 % delle bombe. Così l’impiego è continuato, anzi è proseguito anche nella guerra del Vietnam. L’arrivo degli aerei a reazione ha però dettato le regole del gioco. Sostituire gli aerei ad elica era necessario, anche a spese della precisione. L’attacco in picchiata è continuato anche sui nuovi aviogetti, ad altezze ovviamente più elevate. L’arrivo delle bombe a guida laser ed elettroottica negli anni ’60 ha consentito poi di ottenere la precisione richiesta…Anzi decisamente superiore.

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