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Aer.Macchi C.200 "Saetta"


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Aer.Macchi C.200 "Saetta"

 

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Forse non è azzardato ritenere che lo sviluppo dei caccia monoplani per la Regia Aeronautica, debba qualcosa all’episodio che stiamo per ricordare. Siamo sopra un aeroporto spagnolo mentre il tenente Arrighi sta rientrando da una missione di intercettazione col CR. 32. Per lui è stata una giornata nera dato che alcuni Tupolev SB. 2 "I soliti Martin Bomber"(in quanto confuso inizialmente con il Martin B-10, nonostante il Tupolev SB-2 fosse stato esibito nella Esposizione Aeronautica di Milano nel 1935.), gli sono scappati sotto al naso, nonostante tutto l’arrancare possibile del suo buon biplano. Arrighi parcheggia, ed una volta sceso dall’aereo, davanti ai primi che si fanno incontro, eleva alti lamenti al cielo nei confronti del povero CR. 32, per le sue doti non proprio da corridore. Tra gli altri, si fa avanti un ometto in borghese, dall’aspetto mite, che molto cortesemente si interessa dell’accaduto e chiede delucidazioni. Ne approfitta Arrighi per riprendere le invettive contro il CR., e contro chi sta a Roma, invece di venire a vedere cosa è una guerra con largo impiego del mezzo aereo. A questo punto l’ometto si sente costretto a precisare: perché lui, è del Ministero, per giunta è generale addetto alla Direzione Armamento, ed è venuto in Spagna per vedere come vanno le cose e per parlare con i piloti. Cebrelli, questo è il nome dell’uomo in borghese, torna in Italia anche con il ricordo della giornata nera di Arrighi, certamente con l’obiettivo di avere presto dei caccia monoplani, veloci. Il termine « velocità » diviene così pressante in queste prime specifiche ministeriali, da ridurre ai minimi termini quanto può essere di penalizzazione nel peso, e quindi, nelle prestazioni:

una sola arma da 12,7, una sola ora di autonomia. Solo successivamente le specifiche verranno aggiornate sulle due armi da 12,7 e due ore di autonomia. E’ tale l’impegno per avere le nuove macchine monoplane da caccia, che si finisce per chiedere revisioni di progetti in avanzata fase di realizzazione.

Tornato nel suo ufficio a Varese, dopo una visita accurata al Secondo Salone dell’Aeronautica di Milano nell’ottobre del 1937, l’ingegner Mario Castoldi, Direttore Tecnico dell’Aer Macchi, prese carta e penna e di getto preparò una lettera al Ministero dell’Aeronautica.

Non sappiamo se la missiva fu effettivamente inviata ma la minuta manoscritta è giunta fino a noi e rappresenta un documento di indubbio interesse. Castoldi aveva visto a Milano il prototipo del Fiat G. 50 esposto con grande effetto scenico e l’analogo prototipo del Romeo Ro. 51 mostrato più sommessamente. Ambedue i concorrenti al concorso del caccia intercettore predisposto dalla Regia Aeronautica erano arrivati con molto anticipo rispetto alla proposta della Macchi, il C. 200, che a quella data era ancora in fase finale di allestimento. Castoldi non rimase impressionato dai due concorrenti e a conferma della sua opinione negativa, citava nella lettera il prestigioso settimanale britannico “Flight” che per bocca del suo capo-redattore nel numero deI 7 ottobre 1937 dedicato al Salone di Milano, diceva testualmente “Frankly, I was a bit disappointed in the Italian fighters, but perhaps I have been spoiled by Spitfires, Hurricanes and the rest ”. Il che, dati i tempi e la mentalità corrente, può essere considerato singolare ma al detentore del record di velocità si perdonava questo e altro. Castoldi si lanciava quindi in una appassionata illustrazione del suo “C. 200”, lamentando che negli ultimi tempi non si era notata alcuna visita di ufficiali superiori della Regia Aeronautica all’Aer Macchi. Da buon tecnico, Castoldi aveva molte ragioni nel puntualizzare i pregi della sue macchina che, implicitamente, costituivano critica più o meno sommessa agli altri due aeroplani. Il messaggio si chiudeva con l’auspicio che nonostante la ritardata presentazione rispetto al G. 50 e al Ro. 51, il C. 200 potesse essere preso in considerazione seria dal Ministero. Il che, se non altro, dimostra che in quelle settimane le idee non erano ancora completamente coagulate nell’ambito del citato requisito operativo. Il cosiddetto “Concorso 1936” per il velivolo da caccia intercettore fu una specie di commedia all’italiana, con un vincitore ‘annunciato’ in quanto il G. 50 fu ordinato in un consistente numero di esemplari già alla fine del 1936, prima del suo volo iniziale e di quello di ogni possibile competitore. Assieme alle più importanti aeronautiche militari europee (Francia, Inghilterra e Germania) e a quella degli USA, anche la Regia Aeronautica, sia pur timidamente e con frequenti ripensamenti, aveva dal 1935 affrontato il problema della nuova generazione degli aeroplani da caccia.

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Storia ed Evoluzione

 

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Al primo Salone Internazionale dell’Aeronautica organizzato a Milano nell’ottobre 1935, non furono in molti a prestare attenzione a un velivolo presentato dai russi, il Polikarpov I-16. Forse perché era così tozzo e sgraziato, forse perché si trovava in un’area un pò defilata, forse perché l’ordine di scuderia del regime alla stampa specializzata era di ignorare la presenza sovietica, l’I-16 passò quasi inosservato. Eppure esso aveva volato per la prima volta il 31 dicembre 1933 pilotato da Valerii P. Chkalov e costituiva uno dei primi rappresentanti di una formula che in breve avrebbe relegato nei musei i caccia biplani, trasformato il combattimento aereo, rivoluzionato le tattiche d’impiego e imposto la superiorità della velocità, dell’armamento e in ultima analisi di un bilancio dinamico-energetico con valore del tutto impensabile fino a qual momento. Non dimentichiamo che proprio in quei giorni (settembre 1935) effettuava il primo volo in Germania il Messerschmjtt Bf 109 e in Inghilterra si preparava al collaudo l’Hawker Hurricane (novembre 1935) mentre era in allestimento finale il prototipo del Supermarine Spitfire che avrebbe volato poco dopo, nel marzo 1936.

E per completare il quadro temporale va menzionato che quello che sarebbe diventato il caccia italiano più celebrato degli anni Trenta, il biplano Fiat CR 32, aveva volato solo otto mesi prima del caccia russo. Ma ritorniamo a Castoldi che all’inizio del 1935, terminato il gravoso impegno del programma MC 72 che aveva raggiunto finalmente traguardi prestigiosi, poté ritornare ad una attività progettativa originale. Il quinquennio precedente non era stato certamente fruttuoso per l’AerMacchi in termini economici. La spesa sostenuta per la partecipazione al Trofeo Schneider e per la conquista dei primati di velocità voluta dal Regime (e pagata solo dopo il raggiungimento degli obiettivi) era stata notevole e anche se il ritorno di immagine era stato grandissimo, le costruzioni su licenza (Ni 29, S.59, CR 20, Ca 100, ecc) avevano permesso solo una onorevole sopravvivenza. Il tema dei velivoli da caccia non era stato comunque dimenticato. In una relazione preparata da Castoldi per il Consiglio d’Amministrazione dell’AerMacchi per l’anno sociale 1936, sono elencati i progetti eseguiti negli anni precedenti (ventisette in totale di cui tre effettivamente realizzati: M 77, C 94 eC 99). Per quanto riguarda i caccia essi furono, secondo la numerazione citata dal progettista, il n. 6 - apparecchio da caccia terrestre -, il n. 7 - idrovolante supercaccia con motore raffreddato ad acqua -, il n. 10 - idrocaccia navale - (tutti dal 1933), il n. 18- caccia idrovolante monoplano, eseguito secondo le indicazioni del generale Valle, Sottosegretario per l’Aeronautica, il n. 19 - idrovolante da caccia biposto, bocciato però dal generale Pinna, Sottocapo di S.M. (tutti del 1934) e finalmente il n. 24 - caccia C 200 con motore Fiat A. 80 -, il n. 25 - versione biposto del precedente, denominato C 201 -, il n; 26 - caccia terrestre monoposto C 202, sempre con motore A. 80 - e il n. 27 - caccia terrestre monoposto con A. 80, denominato C 200 bis - (tutti del 1935).

Ovviamente le denominazioni C 200, C 201 e C 202 non avevano niente a che fare con i velivoli che ereditarono negli anni successivi le stesse identificazioni.

A seguito delle indicazioni della specifica preliminare o meglio delle linee guida a livello di requisito operativo emesso dalla Regia Aeronautica, il progetto C 200 fu rifatto attorno al motore Fiat A. 74 di minor potenza, minor peso e minor ingombro.

Sono fin troppo note le vicissitudini e le evoluzioni di pensiero della Regia Aeronautica nella elaborazione definitiva del requisito del nuovo caccia intercettore monoplano e delle parallele, altrettanto sofferte versioni del famoso piano ‘R’ di riequipaggiamento della Forza Armata.

Si è molto criticato, giustamente, l’abbandono dello sviluppo dei motori in linea decretato nel 1933 a favore dei motori radiali raffreddati ad aria. Le ragioni addotte potevano anche essere valide (minor vulnerabilità, maggior semplicità, minor costo e così via) a patto però di poter far evolvere i motori radiali in campi di potenza sempre maggiori. Si fecero ottimi aeroplani all’estero con motori radiali ed è inutile citare il Republic P-47, il Focke-Wulf 190 o il Vought F4U Corsair. Quello che purtroppo mancò ai velivoli da caccia italiani fu il cosiddetto ‘growth potential’, il potenziale di crescita che permettesse sulla stessa cellula di base o su una piattaforma molto simile un continuo affinamento di prestazioni, armamento, carico utile e autonomia e in ultima analisi di ruolo operativo. L’unico esempio, peraltro limitato, è quello del C. 202, ove l’installazione di maggior potenza permise a una cellula praticamente invariata qualche significativo incremento di prestazioni e armamento. La scheda caratteristica dei nuovi aeroplani da caccia del 1936 era comunque chiara: monoplano ad ala bassa a sbalzo (cioè non controventata), profilo alare spesso, costruzione metallica, carrello retrattile, ipersostentatori e adozione, appena possibile, di elica a passo variabile e giri costanti. Possiamo così ritornare al prototipo del C. 200 che, con qualche settimana di ritardo rispetto al previsto , eseguì in pieno clima natalizio il primo volo il 24 dicembre 1937, pilotato da Giuseppe Burei. Quest’ultimo aveva temporaneamente lasciato gli amati idrovolanti per dedicarsi alla nuova macchina, per molti aspetti innovativa, stabilendo con Castoldi il dialogo che andava ben al di là del solo aspetto professionale. Nel ricordo aziendale di chi partecipò a quella fase iniziale del nuovo caccia (si tenga conto che l’Aermacchi era a quel tempo un’entità industriale assai limitata, diversa dai raggruppamenti di ben maggiori dimensioni quali Fiat e Caproni) il primo C. 200 appare macchina piacevole, armoniosa e ben disegnata anche nei dettagli più minuti. L’intento di ridurre al minimo la resistenza aerodinamica si rivelava nell’avviamento della fusoliera, nell’impiego di rivettatura annegata, nei leveraggi di comando tutti interni, nel disegno della capottatura motore e nell’impiego del radiatore olio anulare sulla Naca.

I puristi dell’aerodinamica obiettarono l’apparente ‘gobba’ di fusoliera che era invece una soluzione attentamente studiata per dare al pilota la massima visibilità, superando le richieste della specifica del concorso, senza penalizzare la resistenza aerodinamica, e che fosse frutto di una accurata disegnazione lo dimostrò qualche anno dopo il prototipo del C 201 che, nato per il disgraziato e abortito concorso del 1938, raggiunse con lo stesso motore A 74, senza la ‘gobba’ e cellula equivalente al C 200, le stesse prestazioni. Accanto al prototipo, cui fu assegnata la matricola militare MM 336, veniva intanto costruita una cellula non volante destinata alle prove statiche e un secondo esemplare designato MM 337 che avrebbe volato pochi mesi dopo, nel maggio 1938.

 

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Il primo prototipo del C. 200 in fase di allestimento finale presso la sperimentale a Varese.

Alcuni elementi (v. esempio carrello) sono ancora a livello di simulacro sperimentale.

 

 

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L’MM 337 esposto alla mostra aeronautica di Belgrado del giugno 1938.

 

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Nelle due immagini: il progettista ing. Mario Castoldie il fido collaboratore Giuseppe Burei

in occasione del primo volo del secondo prototipo, e una sorridente immagine di Giuseppe

Burei, sempre con il secondo prototipo

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Storia ed Evoluzione Cap.2°

 

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Con gli impegni di Burei legati al programma C 94 e C 99 fu deciso di affidare il compito di una prima presentazione alle autorità militari, all’ing. Ambrogio Colombo, un veterano della Breda che dopo i dissidi creatisi con i nuovi vertici della società, era stato costretto a lasciare il suo incarico nel grande complesso industriale milanese e aveva aperto, sempre a Milano, uno studio specializzato in consulenze tecniche aeronautiche.

L’ing. Colombo era uno dei pochi esempi nell’Italia di quel tempo che univa a una straordinaria perizia nel pilotaggio acrobatico una solida base tecnica.

Sotto l’assillo di recuperare almeno in parte lo svantaggio temporale verso i competitori, già il 1° marzo 1938 Colombo eseguì una spettacolare ma tecnicamente impeccabile presentazione del C 200 a Guidonia davanti alla Commissione ministeriale del concorso caccia, composta in quel momento dal generale Raffaelli, dal ten. col. Torre e dal magg. Lippi. Colombo dimostrò in ben trentotto "esercizi" le capacità della nuova macchina, in base a parametri di velocità e assetti prestabiliti in modo rigoroso. Crediamo valga la pena di riportare succintamente i contenuti della relazione ufficiale inviata dall’ing. Colombo all’alta direzione dell’AerMacchi due giorni dopo le prove, in quanto possono dare un’idea dello stile dei collaudi in uso a quei tempi e delle modalità di presentazione di una nuova macchina agli utilizzatori militari. Ecco quello che Colombo, nella sua scarna prosa, riportò nella relazione:

« L’aeroplano si trovava nelle condizioni di massimo carico e precisamente kg 2200 (carico utile kg 430). La quota scelta fu, per prescrizione della commissione, di m 3300. Le evoluzioni e acrobazie furono eseguite tutte staccate, in modo da permettere alla commissione di giudicarle (dopo ogni esercizio l’apparecchio riprendeva la quota e si orientava nella stessa direzione nello stesso punto prima di iniziare il nuovo esercizio). Il programma era stato definito dalla commissione; ad esso era stata aggiunta qualche figura per dimostrare le esuberanti qualità manovriere e acrobatiche dell’aeroplano.»

L’autore prosegue elencando i primi dodici esercizi dedicati all’esecuzione di viti a sinistra e a destra fino a cinque giri e commenta « tutte le entrate in vite avvennero naturalmente per distacco della vena fluida e i giri furono dovuti ad autorotazione... L’uscita dalla vite avvenne sempre regolarmente in meno di mezzo giro; dopo il terzo giro l’apparecchio aveva tendenza all’uscita, tanto da costringere al contrasto con gli alettoni per mantenervelo, ciò specialmente a sinistra... L’inizio del distacco di vena si ebbe sempre sui 130 km/h di anemometro... L’uscita raggiunse una velocità massima di 400/425 km/h e l’accelerazione massima si ebbe all’uscita (richiamata) con 4.5 g... Nelle viti piùlunghe (5 giri) furono persi m 1300 di quota in totale...»

I successivi ventisei esercizi includevano entrate in vite con rimessa immediata, tonneau, virata imperiale, gran volta, tripla gran volta, sestuplo mulinello a sinistra, scivolate d’ala con e senza motore, virate sostenute in velocità senza perdita di quota, spirali, inversioni di rotta, volo librato, imperiale e vite con entrata ‘cabratissima’. L’ing. Colombo concludeva così «... Il comportamento del C 200 in tutto il programma... Durissimo anche per una macchina normale, fu veramente splendido... Le doti di decollo e atterraggio sono anch’esse magnifiche».

Il che, al di là dell’evidente innamoramento del collaudatore verso la macchina affidatagli, non è comunque niente male per un prototipo che aveva volato per la prima volta solo due mesi prima. Con l’invio del secondo prototipo MM 337 a Guidonia si diede l’avvio alla giostra delle valutazioni militari, da quella preliminare dell’8 giugno con il magg. Borgogno, il cap. Lucchini e il ten. Pancera sino a quella più approfondita nel luglio con i piloti Dequal, Brambilla e Mantelli, tutti nomi importanti nella Regia Aeronautica di allora, con alle spalle il prestigio delle recenti esperienze operative in Spagna. Mantelli in particolare fu un convinto estimatore della macchina e la sua voce ebbe un peso particolare in momenti critici per le decisioni che coinvolsero la scelta definitiva (E’ interessante ricordare un episodio durante le fasi di collaudo dovuto alle ridotte caratteristiche di autonomia, tipiche del prototipo. Mantelli, nella fase dei collaudi, doveva portare frequentemente l'aereo tra Guidonia, sede del Centro Sperimentale, e Lonate Pozzolo, aeroporto della Ditta Macchi. Siccome il viaggio è superiore ai 500 km. di autonomia del velivolo, esso si svolge in due tappe, tra Guidonia e S. Damiano Piacentino, poi da questo aeroporto sino a Lonate. Il ritorno viene misteriosamente effettuato da Mantelli direttamente, senza scalo. Per questo percorso, solo metaforicamente « in discesa », Mantelli si avvale di una corrente a « getto », che è riuscito a trovare in quota. Ma dato che non tutti i piloti hanno dimestichezza con l’amico « vento », è chiaro che i 500 km. di autonomia restano tali, anzi tendono a diminuire se non si usa accortamente la potenza motrice: quindi, non sono davvero molti). Non vogliamo influenzare il lettore con una dettagliata illustrazione delle relazioni valutative eseguite a Guidonia: ci basti dire che da esse ne uscì uno sconfitto, il Ro 51, un vincitore, il C 200 e un buon secondo, il G 50, anche se non possiamo non notare un certo imbarazzo nel giudicare alcuni aspetti del caccia Fiat che a quell’epoca, non dimentichiamolo, era già avviato nella produzione di serie. La conclusione ministeriale quindi non poteva essere che l’abbandono del Ro 51, la continuazione della produzione del G 50 e l’ordinazione del C 200 con l’avvio di un vasto programma industriale.

Oltre che agli inevitabili appunti di dettaglio al prototipo, i piloti furono in genere critici nei confronti della cabina chiusa con la parte centrale scorrevole all’indietro, tipica del G 50 e del C. 200. La diffidenza dei piloti trovava giustificazione in una certa difficoltà di azionamento per gli attriti sulle rotaie di scorrimento e alla presunta pericolosità in caso di abbandono del velivolo con il paracadute.

L’industria nazionale inoltre non era ancora in grado di produrre un materiale trasparente decente da cui derivava un rapido peggioramento della visibilità. Mentre gli inconvenienti architettonici e strutturali sarebbero stati facilmente rimediabili, l'avversità nei confronti della cabina chiusa derivava da una incallita tradizione della filosofia dell’acrobazia collettiva che voleva formazioni strettissime in cui i piloti si parlavano a segni e che in effetti nascondeva una ben più grave lacuna, quella della mancanza di un efficiente apparato radio che afflisse gli aeroplani italiani per quasi tutto il conflitto. Se la guerra spagnola stava insegnando che le nuove tattiche di combattimento richiedevano formazioni ridotte di due o tre aerei, strettamente integrate già nella fase addestrativa e che volavano a distanza di almeno 150-300 metri tra loro, si vede come la comunicazione ‘a segni’ e le formazioni strette avevano fatto il loro tempo. Bene l’aveva capito infatti il magg. Bonzano che al comando di una squadriglia sperimentale con il G 50, in Spagna aveva chiaramente avvertito l’evolversi delle filosofie di impiego. Tra studi ed esperimenti eseguiti un pò da tutti, industrie, reparti, centri sperimentali e uffici tecnici si perse un sacco di tempo con il risultato che quattro anni dopo i nostri cacciatori in Russia, semicongelati nei loro abitacoli aperti e con tute elettroriscaldate di dubbio funzionamento, avrebbero amaramente rimpianto la mancanza di una confortevole cabina chiusa. Non va dimenticato a questo punto che a quell’epoca presso la Fiat era già in produzione il CR 42 biplano, ordinato a scatola chiusa nel febbraio 1938 e il cui prototipo, che non aveva nemmeno ricevuto la tradizionale matricola militare sperimentale, aveva volato il 23 maggio del medesimo anno. Le vicende che portarono l’anacronistico biplano a essere il velivolo da caccia più prodotto nel secondo conflitto mondiale sono fin troppo note. Si è affermato che il ritardo della messa a punto della nuova generazione di caccia monoplani avrebbe giustificato l’adozione di un caccia di ‘transizione’ prima dei G 50 e dei C 200, da qui l’ordinazione iniziale di un numero, peraltro consistente, del biplano Fiat.

 

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I primi tre velivoli della produzione di serie (MM.4496 e seq)

 

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Immagine della linea di produzione alla Breda

 

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Immagine della linea di preparazione al volo alla Breda

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Storia ed Evoluzione Cap. 3°

 

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Titubanze, dubbi e indecisioni a livello militare e le accese rivalità a livello industriale portarono alla grottesca ‘seconda edizione’ dello stesso concorso caccia del 1936 quando nell’estate 1939 gli eterni rivali G 50 e C 200 si ritrovarono a confrontarsi con tre nuovi monoplani, il Caproni-Vizzola F 5, il Reggiane RE 2000 e l’Aeronautica Umbra AUT 18 e due biplani, il Caproni Ca 165 e il Fiat CR 42. I prototipi dei tre monoplani avevano volato rispettivamente il 19 febbraio 1939 I’F 5, il 22 aprile l’AUT 18 e il 24 maggio il Re 2000, mentre dell’anno precedente erano i primi voli dei due biplani. Nessuno di loro diceva niente di nuovo e anche lo stesso Re 2000, tanto decantato per la sua originalità costruttiva, non faceva che ripetere soluzioni e caratteristiche apparse negli USA quattro anni prima con la serie dei SEV e P. 35 progettati da Alexander de Seversky. E non si dimentichi che negli anni Trenta quattro anni volevano dire un’intera generazione aeronautica se si considera che nello stesso anno dell’F 5, del Re 2000 e dell’AUT 18 volarono i prototipi del P 38 e del FW 190. Non vorremo per questo essere tacciati di esterofilia, in quanto ‘nessuno è perfetto’: nello stesso periodo volarono in Francia, Inghilterra e USA emeriti cassoni. Quello che si vuole far intendere è che in quell’Italia, afflitta da cronica povertà dei bilanci militari, da impegni territoriali al di là delle possibilità di ragionevole controllo e di limitate risorse di materie prime, la ragione avrebbe dovuto prevalere, in vista di un conflitto prossimo, non si sapeva ancora dove e contro chi, verso un risparmio delle forze evitando la polverizzazione delle energie. Ma le ragioni industriali prevalsero e si assistette alla scandalosa proliferazione di prototipi (non solo di aeroplani da caccia), per lo più già superati prima di arrivare a Guidonia, con una varietà che solo una ottusa propaganda volle far passare come multiforme espressioni del genio latino. Le ragioni industriali arrivarono al punto della competizione ‘in casa’ per cui si vide nel gruppo Caproni, F 5 contro Re 2000 contro Ca 165, nel Gruppo Fiat, G 50 contro CR 42 e nel gruppo Macchi, C 200 contro AUT 18, solo per citare la categoria dei caccia.

Ma ritorniamo alla fase seconda del concorso iniziato nel 1936 e rileviamo che da esso scaturì l’ovvia conclusione di continuare con G 50 e C 200, di dare un contentino a Caproni con una piccola serie di Re 2000 ed F 5 e di abbandonare (per fortuna!) Ca 165 e AUT 18. L’unico che continuò imperterrito in produzione in grandi serie fu naturalmente il CR 42, ma questa è evidentemente un’altra e purtroppo triste storia. La decisione di interessare alla produzione del C 200 altre entità industriali quale la Breda a Milano e la SAI Ambrosini a Passignano sul Trasimeno fu dovuta a diversi fattori. Primo la necessità di affiancare alla casa madre che era evidentemente di capacità produttive limitate, un’industria come la Breda che soffriva di gravi carenze dopo l’obsolescenza del Breda 65 e il fallimento del Breda 88.

Veniva poi la volontà di far fare un salto di qualità, passando alle costruzioni totalmente metalliche, alla SAI Ambrosini che godeva del fatto di far parte di quella intenzione di decentrare in centro Italia e nel sud un potenziale industriale piazzato in modo pericoloso dal punto di vista strategico, quasi esclusivamente nel nord Italia. C’era infine il desiderio, anche se nessuno l’avrebbe espresso in modo esplicito, di creare quello che oggi chiameremmo un ‘polo’ in grado di contrastare il monopolio Fiat negli aeroplani da caccia.

Non fu comunque un compito facile quello di organizzare quasi contemporaneamente tre linee di produzione in località di culture aeronautiche abbastanza diverse, soprattutto con un velivolo nuovo, standardizzando i disegni, le attrezzature di produzione, i cicli di lavoro e non ultimi i costi di fronte all’Amministrazione Aeronautica. Il C 200 aveva certamente una struttura complicata e costosa: in termini di manodopera mediamente necessitava di oltre 20.000 ore a curva di apprendimento stabilizzata. Nel fare questi confronti, tuttavia, è ben assicurarsi di seguire criteri omogenei: a quell’epoca molti componenti ed accessori che più tardi sarebbero stati approvvigionati all’esterno (e quindi inclusi nella voce materiali) erano in effetti costruiti in casa, primo fra tutti il carrello, le pale dell’elica, ammortizzatori e martinetti solo per citare i più importanti. La Fiat comunque avvertì il pericolo della minaccia al suo monopolio e quando il ministero tentò nel tardo 1939 di suggerire la possibilità di costruire il C 200 anche a Torino a seguito dei risultati mediocri della prima serie di G 50, una lettera del generale Savoja, responsabile delle attività aeronautiche Fiat troncò ogni velleità affermando che «il C 200 era notevolmente complicato e poco adatto per una riproduzione in serie.» Quando già i tamburi di guerra cominciavano a rullare in Europa e l’Italia avrebbe avuto ancora dieci mesi di respiro prima di presentarsi a quello che allora, pomposamente, si chiamava ‘l’appuntamento con la storia’, i C 200 cominciarono a uscire dallo stabilimento di Masnago a Varese per essere collaudati al campo volo dell’AerMacchi a Lonate Pozzolo (Malpensa). Gli esemplari prodotti dalla ditta nel 1939 furono in totale 62, di cui 10 tra maggio e luglio, 26 tra agosto e ottobre e 26 tra novembre e dicembre. In breve sarebbero seguiti i primi della SAI Ambrosini e poi quelli della Breda. Si badi bene, ‘prodotti’ e non ‘collaudati’ o ‘ritirati’ in quanto spesso i velivoli attendevano per settimane parti mancanti al campo volo o la disponibilità di piloti per il ritiro. Questo fu un fenomeno cronico e ricorrente per tutto il conflitto, a dimostrazione delle difficoltà logistiche e di approvvigionamento che si fecero più acute man mano che le richieste del fronte divennero sempre più pressanti. Tale fenomeno fu naturalmente comune a quasi tutte le industrie italiane e non, assumendo in Francia dimensioni sconcertanti prima dell’armistizio.

I velivoli di serie non differivano molto dai due prototipi. Oltre a modifiche di piccola entità, le modifiche maggiori che furono concordate con gli organi tecnici del Ministero e che furono introdotte ove possibile già sui velivoli delle prime serie furono lo sganciamento del sistema di comando degli alettoni rendendoli indipendenti dai flaps (il progetto di Castoldi prevedeva l’abbassamento parziale degli alettoni con l’abbassamento dei flaps),l’eliminazione del sistema di retrazione della carrello di coda che fu reso fisso, l’introduzione della compensazione statica e dinamica sul timone, l’introduzione della cabina aperta e la modifica del bordo d’attacco dell’ala (smontabile) che era originariamente fissato al longherone anteriore mediante viti mordenti e che molto saggiamente furono rimpiazzate da viti speciali con olivette. Il complesso del bordo d’attacco era reso infatti solidale con il longherone utilizzando un totale di 604 viti di tre tipi diversi. L’originale elica Fiat-Hamilton infine fu sostituita da un’elica Piaggio, pure a passo variabile e giri costanti, le cui pale erano state tracciate direttamente dallo stesso Castoldi.

 

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Un C. 200 della 369 Squadriglia “La Cucaracha” all’inizio della sua carriera operativa

 

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Una vista entusiasmante di un decollo in formazione della 369a Sq. dall’aeroporto di

Treviso nei primi mesi del 1940.

 

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Schierati a Gorizia gli esemplari del "grande rifiuto" in servizio con la 91a

Squadriglia. Si noti l’emblema del Cavallino Rampante già dipinto sulla deriva.

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Storia ed evoluzione Cap. 4°

 

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Vorremmo fare ora qualche commento sull’entrata in servizio del C 200 i cui primi esemplari furono destinati alla 91a squadriglia del 10° gruppo del 4° stormo. Si è molto scritto sul ‘rifiuto’ di quel reparto al nuovo caccia che poi scambiò i suoi C 200 con i CR 42 del 1°stormo. Il reparto rappresentava a quel tempo la ‘summa summarum’ dell’acrobazia collettiva con tutti gli aspetti conseguenti di spettacolarità e di sportività formate in numerose esibizioni entusiasmanti nei cieli d’Italia, d’Europa e dell’America Latina. Si era fatta dell’acrobazia collettiva una religione che aveva come conseguenza l’abitudine al combattimento stretto e manovrato. Il C 200 (e come lui i caccia monoplani di nuova generazione) erano lontani da questa concezione, sia per la cura attenta e precisa richiesta dal suo pilotaggio, sia per i diversi campi di velocità, sia per il cosiddetto ‘carico di lavoro’ per il pilota che doveva occuparsi di carrello retrattile, ipersostentatori, elica a passo variabile, impianto idraulico e impianto ossigeno. Il ‘rifiuto’ fu comunque abbastanza singolare in un ambiente fortemente disciplinato e non risulta che ci siano stati episodi analoghi in altre Forze Aeree. Il giudizio sul C 200, benché distaccato fu tuttavia corretto se si tiene conto dei precedenti. In una relazione allo Stato Maggioredell’Aeronautica elaborata dal Comando della 2a Squadra Aerea da cui il 4° stormo dipendeva concludeva osservando che «i piloti trovavano qualche iniziale difficoltà in quanto il comportamento del velivolo era diverso dal CR 32 e dal CR 42 sul quale erano stati allenati. Trattandosi di un tipo nuovo, fortemente caricato e di caratteristiche notevolmente diverse, non si deve ritenere che le manovre possano ottenersi per similitudine o estrapolazione di quelle alle quali i piloti sono abituati sui caccia precedenti; ma occorre invece provarle e studiarle ex-novo. Superato questo periodo iniziale di conoscenza sia dal lato tecnico che dal lato comportamento in volo, i piloti credono di poter affermare che la condotta dell’apparecchio sarà agevole quantunque siano tutti concordi nel ritenere che con tale nuovo tipo di velivolo sarà necessario provare e studiare altre modalità di addestramento e forze di impiego bellico.» Non aggiungiamo nessun commento se non la sorpresa di leggere che in venti anni (dalla prima guerra mondiale al 1939) nulla sembra essere cambiato! Ben più entusiasta fu la reazione del 1° stormo anche se, a dimostrazione della mentalità corrente vale la pena di richiamare la relazione del generale Velardi, comandante della 1a Divisione Caccia allo Stato Maggiore del 23 ottobre 1939 che così concludeva: «... Gran volte in pattuglia non sono state ancora eseguite... Mentre con esito promettente sono state provate viti orizzontali lente con pattuglie di tre. I piloti si dichiarano soddisfatti del nuovo apparecchio e sono unanimi nel ritenere che con un adeguato periodo di progressivo addestramento, potranno compiere con esso le stesse manovre e gli stessi esercizi comuni con i precedenti velivoli da caccia.» A queste situazioni psicologiche e addestrative può essere fatto risalire il verificarsi nella Regia Aeronautica nei mesi precedenti all’entrata in guerra di un fenomeno che fu drammatizzato assumendo il carattere di una vera psicosi di massa. Intendiamo riferirci alla situazione aerodinamica tipica delle manovre ad alta velocità e che fu esaltata dall’introduzione del monoplano, la cosiddetta ‘autorotazione’. Tutti sanno che alle basse velocità o meglio alle alte incidenze alari si verifica il distacco della vena fluida sul dorso del profilo alare e che tale distacco provoca la perdita più o meno brusca della portanza. Per cui all’atterraggio si deve mantenere una velocità superiore o una incidenza inferiore a quella per cui si verifica Io stallo e tutto finisce bene. L’aumento della velocità dei nuovi monoplani con profili spessi rivelò che il fenomeno dello stallo brusco poteva verificarsi anche in manovra sotto carico (ad esempio in una virata a 3 g) e lo stallo era seguito da una situazione che allora fu chiamata ‘autorotazione’, in quanto il velivolo sfugge momentaneamente al controllo del pilota in modo talvolta imprevedibile e che più correttamente si chiama ‘G-Stallo’ (stallo sotto fattore di carico). Il fenomeno non ha nulla di misterioso e può essere attenuato o evitato stabilendo con una adatta sperimentazione il complesso dell’inviluppo di volo del velivolo ovvero di quelle velocità al di sotto delle quali le manovre (virate, looping, mulinello orizzontale e verticale, richiamata e così via) non devono essere eseguite, pena la caduta in autorotazione. Analogamente l’aumento dei ‘g’ può portare a fenomeni simili o addirittura lesivi dell’integrità strutturale del velivolo. Il fenomeno era comunque noto se si pensa che già in Spagna i nostri piloti dei biplani CR 32 avevano visto gli I-16 russi schizzare in improvvise manovre incontrollate allorché erano così malaccorti da accettare il combattimento manovrato alle basse velocità del biplano. Sfortunatamente il C 200 aveva un profilo alare di derivazione NACA a cui Castoldi aveva affilato il bordo di entrata riducendo il raggio di curvatura del naso del profilo. Se la modifica aveva ridotto il coefficiente di resistenza del profilo con il guadagno di almeno 10 km/h in velocità massima, aveva però peggiorato il comportamento in ‘autorotazione’ in relazione alla imprevedibilità degli assetti dopo il ‘G-Stallo’. Purtroppo si verificarono due incidenti mortali al 1° stormo nel marzo 1940 (ten. Tinti) e nel successivo maggio (serg. magg. De Bernardinis) causati da autorotazione. La questione rischiò di diventare un affare nazionale e durante la doverosa messa a terra dei velivoli in attesa dell’inchiesta, si parlò addirittura di cancellare la produzione del C 200. Eppure al Centro Sperimentale, forse troppo pletorico e burocratizzato, si avevano tutti i dati e le conoscenze non solo per avvertire il problema ma anche per farne oggetto di una tempestiva ed esauriente regolamentazione tecnica ad uso dei reparti operativi che cominciavano a ricevere i caccia monoplani e che erano abituati a diverse (e superate) tecniche di pilotaggio. Sarebbe toccato a una semplice modifica al bordo d’attacco smontabile per ridurre l’inconveniente a dimensioni accettabili. Come detto il fatto fu non solo drammatizzato e forse strumentalizzato per ragioni più o meno chiare. Se ne parlò per vent’anni con interventi di ufficiali (anche di grado elevatissimo), di giornalisti, di storici e di divulgatori di cose aeronautiche spesso in modo non corretto tecnicamente, a dimostrazione di una diffusa ignoranza su aspetti specifici dell’aerodinamica e della meccanica del volo. Proprio in merito a questo fenomeno è doveroso riportare l'impegno di Mantelli, che nell’aprile del 1937, è stato uno dei primi a volare con i Breda Ba. 65 in Spagna, ha già al suo attivo una esperienza sulle macchine monoplane: svolge dunque un intenso ciclo di prove sul C. 200 e si pone come problema prioritario da risolvere, perché mai avvengano fenomeni di autorotazione. La sua preoccupazione non è comunque condivisa dagli ingegneri progettisti che definiscono il fenomeno come una « caratteristica » del monoplano. Il nostro collaudatore non è convinto, continua a considerare l’autorotazione come un « difetto » del monoplano e a dedicare ogni momento libero nella biblioteca del Centro Sperimentale, ove esiste materiale illustrativo sulle ali progettate da Willy Messerschmitt, e dalla N.A.C.A. americana. La causa sta infatti nelle ali a profilo costante, inizialmente adottate. Quando nel 1939, anche da noi si costruiscono ali a profilo variabile, velivoli come il Reggiane Re. 2000 e come il Caproni-Vizzola F. 5 risultano esenti dalla « caratteristica » del monoplano. In periodo successivo, nell’anno 1940, lo stesso Mantelli è presente alla realizzazione di un’ala sperimentale a profilo variabile per il C. 200, curata dall’ing. Sergio Stefanutti presso la S.A.T. Ambrosini di Passignano suI Trasimeno. Il lavoro di modifica della prima ala viene eseguito con tecniche molto semplici aggiungendo esternamente, in punti particolari, degli spessori in balsa che vengono fissati mediante incollatura, ricoperti in tela e verniciati. Le prove di volo del velivolo così modificato, danno ottimi risultati, tanto che il nuovo profilo viene adottato per le successive serie di C. 200 e verrà conservato per l’ala dello stesso C. 202.

 

 

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Operazioni di rifornimento munizioni su un C.200 della 88a Squadriglia

(VI Gruppo 1° Stormo)

 

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Recupero di un C.200 dopo un atterraggio di fortuna

 

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C.200 della 362a squadriglia (cap. Germano La Ferla) sull'aeroporto di Tirana, prima del trasferimento

sul fronte russo. Qui il reparto svolge un intenso ciclo operativo, distruggendo al suolo tredici velivoli

nemici ed abbattendone trenta in combattimento

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Storia ed Evoluzione Cap. 5°

 

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I dieci mesi di non-belligeranza italiana videro intensificarsi gli sforzi del Consorzio Italiano per le Esportazioni Aeronautiche per soddisfare le richieste dell’ultimo minuto di Paesi che necessitavano di aeroplani, anche non modernissimi, prima della definitiva chiusura delle fonti tradizionali di fornitura o per meglio affrontare emergenze già in atto. Basti ricordare il caso del CR 42 in Belgio, dei

Re 2000 in Ungheria e degli S 79 in Jugoslavia. Anche il C. 200 fu oggetto di richieste che non fu possibile soddisfare per mancanza dei benestare politici o per le difficoltà di rispettare termini di consegna ristretti. Il C. 200 fu anche presentato al Salone Aeronautico di Belgrado nel giugno del 1938 (era il secondo prototipo MM 337) e diversi Paesi richiesero offerte formali quali la Svezia, la Finlandia, la Romania e la Spagna. Un solo contratto fu stipulato formalmente con la Reale Marina Danese che ordinò nel marzo 1940 dodici C. 200 per sostituire gli anziani Hawker Nimrod. Gli eventi della primavera 1940 tuttavia, fecero tramontare la fornitura con l’invasione tedesca del Paese. Anche la Svizzera chiese un’offerta che il Consorzio presentò nel maggio 1940 al Servizio Tecnico del Dipartimento Militare Federale.

Per dare un’idea delle situazioni in questi mesi incerti e affannosi, diremo che l’offerta della Svizzera era per 36 velivoli completi, senza radio e munizioni, al prezzo unitario di dollari USA 58,000 con consegna immediata per 24 unità e i 12 successivi in 3-4 mesi dall’ordine. A differenza di altri velivoli di cui si spingeva l’esportazione, lo S.M. non fu comunque favorevole alla vendita dei C. 200 a causa delle proprie impellenti necessità. Alla data del 1° settembre 1939, inizio del conflitto in Europa, la Regia aveva in carico 29 C. 200 (contro 19 G 50 e 143 CR 42) di cui 25 presso i reparti mentre al 10 giugno 1940, data dell’entrata in guerra dell’Italia, i C. 200 erano saliti a 156 di cui 103 presso i reparti (contro 118 G 50 e 300 CR 42). Fra i velivoli in carico al Centro Sperimentale c’erano ancora i due prototipi. Il primo, MM 336, dopo aver soggiornato a lungo alla Breda come velivolo campione, ritornò alla Macchi il 23 agosto 1940. Lungamente inattivo, diede il motore alla MM 8836 e la sua cellula rientrò a Varese nel settembre 1942 ove se ne persero le tracce. Il secondo (MM 337), dopo una onorevole carriera sperimentale (servì anche da campione per le prove di mimetizzazione) rientrò in ditta e dopo un’accurata revisione fu trasportato a Rimini nel settembre 1941 dal m.llo Spazzoli. Al di là di poche modifiche secondarie come l’aggiunta della corazzatura al sedile del pilota, filtri antisabbia, radio di nuovo tipo e travetti alari per bombe di piccolo calibro, il C. 200 rimase praticamente immutato durante il suo arco produttivo. Va menzionato un tentativo fatto dalla Breda all’inizio del 1942, per incrementare le prestazioni in velocità e salita utilizzando il motore Piaggio P. XIX RC 40 da 1000 CV nominali. L’innesto del nuovo propulsore, più ingombrante e massiccio, non fu certo felice dal punto di vista della resistenza aerodinamica, per cui l’incremento di prestazioni determinato in un ciclo di prove nell’aprile-maggio 1942 dal pilota collaudatore Acerbi, fu piuttosto deludente. Castoldi fu molto seccato dai risultati di una modifica che aveva poco gradito sin dall’inizio e attribuì l’insuccesso alla potenza reale del motore, inferiore a quella prevista e alla non introduzione di altre modifiche da lui suggerite quali la capottina chiusa, il ruotino di coda retrattile e il raggruppamento dei radiatori olio nella capottatura. Trasportato a Guidonia, il C. 200 bis MM 8191, scomparve presto e giustamente, nel limbo di tanti prototipi deludenti.

Anche se non esattamente pertinente alle vicissitudini del C. 200 vorremmo però ricordare alcuni fatti relativi al concorso del caccia intercettore del 1938, sfortunato perché viziato in partenza da velleitarie premesse e che ebbe solo (e fortunatamente) il risultato indiretto di

avviare la realizzazione di caccia con motore Daimier Benz DB 601. La proposta dell’AerMacchi era fondata sul C. 201 teoricamente equipaggiato con l’attesissimo Fiat A 76 che mai raggiunse Io studio di accettabilità prototipica. Carità di Patria ci risparmia di dover illustrare i progetti presentati (C.201, Co 2, FN 530, Ba 100, G 52 e Ca 175). L’argomento è già stato esaurientemente trattato in passato da altri ma vorremmo precisare alcune inesattezze relative al C. 201, più o meno legate al predecessore C. 200. Castoldi non credette molto alle possibilità del caccia schematizzato nel requisito, forse perché aveva già in mente una successiva elaborazione più coerente con i tempi. Gli sforzi dedicati al progetto C. 201 furono quindi ridotti al minimo indispensabile, modificando il disegno della fusoliera del C. 200 per adattarla al nuovo propulsore. Il C. 201 fu quindi l’unico dei sette competitori a raggiungere lo studio prototipico e fu realizzato in due esemplari che ricevettero le matricole MM 436 e MM 437. I due velivoli non arrivarono mai al volo con il tanto atteso A 76 e solo per amor di impegno contrattuale furono completati con l’A 74 (propulsore standard del C. 200) mentre ferveva l’entusiasmo per il più valido C. 202. Il primo volo del C. 201 fu eseguito da Carestiato il 25 agosto 1941 (un anno dopo il C. 202) e il secondo nel settembre successivo. Le due macchine furono quindi accantonate e dopo la risoluzione di un contenzioso con l’Amministrazione Aeronautica per il riconoscimento dei sovracosti rispetto al contratto originale, ricevettero le matricole MM 8616 (ex 436) e MM 8617 (ex 437) e furono trasportati a Guidonia dal m.llo Gori e dal serg. Staube il 28 giugno 1942. Al Ministero la disposizione conclusiva del Concorso 1938 (... completare il primo C. 201 con motore A 76 e trasformare il secondo per l’installazione del DB 601...) fu in effetti disattesa in quanto il prototipo del C 202, MM 445, non ebbe niente a che fare, se non forse sul piano delle compensazioni amministrative, con l’inutile C. 201.

 

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Il Macchi del comandante del 6° Gruppo a Comiso (Maggiore Vezio Mezzetti): notare il serbatoio

supplementare raramente utilizzato e la capottina semichiusa sperimentale non adottata.

 

 

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L’installazione sperimentale di un Piaggio P XIX diede origine al C. 200 bis utilizzando la cellula

deII’MM 8191, qui fotografato alla Breda nella sua veste finale.

 

 

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Simile ma non uguale. Con lo stesso motore ma senza la gobba l”inutile”

C. 201 aveva le stesse caratteristiche del fratello.

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La Tecnica

 

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Il C. 200 era un monoplano monomotore di costruzione interamente metallica. La fusoliera era impostata su di una struttura a guscio con quattro longheroni in duralluminio riuniti da ordinate in segmenti di duralluminio stampati. Il rivestimento era in ‘superavional’ stampato chiodato alla struttura con rivettatura totalmente annegata, sì da costituire una superficie con la minore resistenza aerodinamica.

La parte centrale, solidale con la struttura, portava gli attacchi per l’unione delle due semiali, in modo da permettere una facile sostituzione, così come previsto dai requisiti della specifica del concorso. Fra i due longheroni della parte centrale era sistemato nella zona inferiore il serbatoio principale del carburante, mentre nella parte superiore erano raccolte le armi, le scatole del munizionamento e le scatole raccogli bossoli e maglioni. Era questa una caratteristica dei caccia italiani dell’epoca: non si voleva disperdere il prezioso materiale metallico dopo Io sparo delle armi, accettando la penalizzazione dell’inutile peso dopo il combattimento. Già nelle prime versioni con abitacolo chiuso da tettuccio scorrevole e nelle successive con abitacolo aperto (con diverse soluzioni), una apposita struttura resistente anticapottata era realizzata nella carenatura posteriore dell’abitacolo. Le bombole per l’estintore, per l’impianto ossigeno e per la messa in marcia erano sistemate subito dietro la cabina di pilotaggio, mentre un secondo serbatoio di carburante si trovava sotto il pavimento dell’abitacolo. Sotto la parte centrale erano inoltre previsti gli attacchi per un serbatoio ausiliario esterno, con possibilità di rapido smontaggio. Un terzo serbatoio supplementare di fusoliera era sistemato dietro il pilota. Quest’ultimo non era molto amato dai piloti in quanto causava qualche problema di centraggio. Ritroveremo questo inconveniente in molti velivoli anche stranieri e non ultimo il P. 51 Mustang americano. Le batterie erano sistemate nella parte anteriore della fusoliera e anche, quando installato, l’apparato ricevente A.R.C. 1. Il foro passante all’estremità posteriore della fusoliera permetteva il passaggio di un tubo per facilitare le manovre sul campo e sollevare la coda del velivolo. L’ala, pure interamente metallica a rivestimento liscio con rivettatura annegata, era impostata su due longheroni paralleli con solette in ‘superavional’ e pianale chiodati in lastre del medesimo materiale, opportunamente forate e irrigidite internamente. Gli attacchi di collegamento costituivano un complesso smontabile fissato al longherone anteriore con viti speciali. Mentre l’albero di rotazione per la retrazione del carrello era compreso fra i due longheroni, il martinetto di sollevamento era alloggiato nel pianetto centrale. Gli ipersostentatori, del tipo a spacco, erano completamente metallici, mentre gli alettoni, sempre di struttura metallica, erano ricoperti di tela. I comandi degli alettoni e degli impennaggi erano tutti a mezzo di tubi(soluzione cara a Castoldi) eliminando cavi e relative necessità di regolazione.

L’incidenza dello stabilizzatore era regolabile tra 1° 45’ positivo e 5° 30’ negativi ed era questo sì azionato a cavi mediante un apposito volantino.

Per attenuare l’effetto della coppia di reazione dell’elica, la semiala di sinistra aveva un’apertura maggiore della semiala destra (170 mm); pur avendo la medesima superficie, le semiali avevano ovviamente una diversa corda all’estremità. La caratteristica non era certamente il massimo in termini aerodinamici, ma Castoldi le conservò nei successivi C 202 e C 205. Altri metodi più efficaci per controllare la coppia dell’elica, che evidentemente si fece sempre più sensibile con l’aumentare della potenza dei motori per il disassamento dell’asse di trazione del motore e/o l’inclinazione laterale dell’impennaggio verticale.

Gli impianti erano tipici dei velivoli di quella generazione con azionamerito idraulico del carrello e degli ipersostentatori e costituivano rispetto alla generazione precedente di caccia italiana a carrello fisso, un indubbio aumento dell’impegno (e dell’addestramento) del pilota. Un accenno particolare merita l’installazione dell’armamento: si era convinti che le due Safat da 12,7 sparanti attraverso l’elica fornissero una precisione di tiro che l’installazione alare non sarebbe stata in grado di garantire. L’esperienza avrebbe dimostrato che la diminuzione di efficacia (cadenza di tiro) delle armi in fusoliera sarebbe stata uno svantaggio ben superiore agli inconvenienti delle armi nelle ali (momento di inerzia lungo l’asse longitudinale maggiore rispetto alle alte soluzioni, maggior complicazione della struttura alare e così via). A onore di Castoldi va detto che ancora nel 1937 egli propose al Ministero la possibilità di piazzare nell’ala del C. 200 due armi da 7,7 mm ma la proposta cadde nel vuoto. E ovvio che nella vita operativa di ogni aeroplano si assista alla progressiva introduzione di varianti e modifiche, dettate dall’esperienza, a volte dura, dei quotidiani combattimenti. A tale legge non fu esente il C. 200 che, al di là di consueti problemi di “dentizione” di cui abbiamo parlato, fu oggetto di progressivi miglioramenti e integrazioni di natura tale, però, da non cambiare radicalmente il progetto originario. Dimenticando le modifiche più ovvie, quali l’aggiunta di corazzatura al sedile di pilotaggio, l’installazione di un serbaoio aggiuntivo, l’uso di specchietto retrovisore e l’adozione di una ricetrasmittente un po’ più affidabile, ci sembrano degni di menzione, perché indubbiamente più significative alcune varianti principali. La prima, legata all’obsolescenza della macchina e nell’attivazione di un nuovo ruolo come cacciabombardiere fu la possibilità di installare due travetti sub-alari per armamento di lancio. Fu una metamorfosi comune a molte altre macchine (Hurricane, P 40, per citare due esempi noti) che costituì la fine dell’aeroplano specializzato d’attacco quando si capì che una volta liberato dal carico bellico, il velivolo ridiventava un avversario valido con capacità di autodifesa. La seconda fu l’impiego della macchina come ricognitore veloce installando fotocamere via via più raffinate. Le sperimenatazioni cominciarono a livello di squadriglia, con modifiche piuttosto artigianali usando camere tedesche del tipo “Robot” che portarono però a un impiego più efficace con i successivi C. 202 e soprattutto C. 205 V della 310a Squadriglia. Tentuto conto infine della intercambiabilità dell’ala e carrello del C. 202 con quelli del C. 200 (e fu questa una standardizzazione giustamente introdotta alla Breda e alla SAI data la coesistenza delle due linee di montaggio), fu unificata l’adozione di un’ala comune ai due velivoli. A scopo di identificazione la questione fu definita nella primavera del 1942 con una lettera dell’Ispettorato Superiore Tecnico Militare (generale Mario Bernasconi) che definì le seguenti denominazioni:

 

C 200: velivolo di serie con motore A 74 RC 38

C 200 A2: velivolo di serie con ala e carrello del C 202 - motore A 74 RC 38

C 200 B2: velivolo con solo bordo d’attacco ala tipo C 202 - motore A 74 RC 38

C 200 bis: velivolo con ala e motorino coda tipo C 202 - motore P XIX (prototipo)

 

 

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Sezione longitudinale del C.200 (da disegno originale Aer.Macchi 200/1729 - 31 genn. 1940)

e particolari dimensionali fusoliera e ala.

 

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Struttura dell'Ala

 

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Struttura della Fusoliera

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Dettagli Tecnici

 

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Nelle foto: vano anteriore della fusoliera con sistemazione armamento e pannelli di ispezione, le due mitragliatrici Safat da 12.7mm.

 

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Dettagli dei vani carrello, Castello motore

 

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Nelle immagini, dettagli della varie capottine adottate sui C.200

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Impiego operativo

 

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Il debutto operativo del C 200 non avvenne nel brevissimo periodo delle operazioni contro la Francia, vuoi per le condizioni atmosferiche che avevano resi inagibili i campi e per la messa a terra durante l’inchiesta sulla questione dell’autorotazione. Le prime missioni belliche furono effettuate dai C. 200 del 6° gruppo nel settembre del 1940 durante l’offensiva iniziale contro Malta. Il 1° novembre 1940 due C. 200 riescono ad abbattere uno Short Sunderland, al largo di Augusta. In novembre avvengono i primi scontri tra Hawker Hurricane e Macchi C. 200 Si eseguono anche le prime missioni fotografiche, su Malta, impiegando questo caccia in luogo dei più vulnerabile SM. 79 inizia così la lunga attività operativa, contro l’isola e nel cielo del Mediterraneo. A differenza della Sardegna e dell’Egeo, il velivolo è caratteristico dei gruppi caccia impiegati dall’Aeronautica in Sicilia. Molte furono le sortite come scorta agli Junkers Ju 87 dei gruppi 96° e 97° durante gli attacchi agli aeroporti britannici di Hal Far e Mikabba. Man mano che la difesa dell’isola fu rafforzata dopo i primi sparuti gruppi di Gladiator, i C. 200 si trovarono ad affrontare ripetutamente gli Hurricane della RAF dimostratisi un coriaceo avversario. E fu l’apparire di questi caccia in Grecia che causò il rischieramento dei caccia italiani nel teatro balcanico nel successivo marzo 1941. Il movimento fu effettuato richiamando i CR 42 del 150° gruppo dall’Albania e schierando a Tirana il 22° gruppo con 36 C 200, completati dalla 371a squadriglia che da Ciampino si portò a Valona. Malgrado marginalmente inferiore in velocità rispetto all’Hurricane, il C 200 utilizzò al massimo la sua superiore manovrabilità e nelle mani di piloti ben addestrati si dimostrò un avversario temibile. Durante la campagna di quattro giorni in Jugoslavia nell’aprile 1941, altri reparti di C 200, oltre a quelli già schierati contro la Grecia, furono coinvolti nelle operazioni. Il 7° gruppo (22 velivoli a Treviso), il 9° gruppo (23 velivoli a Gorizia), il 10° gruppo (23 velivoli ad Altura di Pola), il 16° gruppo (22 velivoli a Ravenna) e la 356a squadriglia (6 velivoli a Bari) a causa della limitata resistenza aerea degli avversari furono principalmente impiegati in missioni di scorta e di mitragliamento al suolo su concentrazioni di truppe, nodi stradali e idroscali. La necessità delle operazioni su Malta che avevano provocato perdite sensibili nelle file della Regia, resero necessario lo schieramento del X Corpo Aereo tedesco di base in Sicilia. I reparti da caccia italiani costituivano la maggior parte della difesa dell’isola ed effettuarono numerose missioni di scorta ai bombardieri tedeschi che attaccavano Malta. In quel periodo il 10 stormo C.T. fu avvicendato in Sicilia dal X gruppo del 4° stormo e dal 54° stormo.

Il teatro più attivo per i C 200 durante il 1941 fu però il Nord-Africa dove la prima squadriglia con questo velivolo, la 374a, arrivò in aprile. In quel momento la Cirenaica era stata quasi tutta riconquistata dalle forze dell’Asse a eccezione della piazzaforte di Tobruk. Nel luglio 1941 arrivarono i C 200 del 157° gruppo seguiti da quelli del 153° gruppo. L’opposizione alleata si andava facendo più massiccia, tanto in quantità che in qualità: accanto al già familiare Hurricane, I C 200 incontrarono i nuovi P 40 che cominciarono ad equipaggiare diversi reparti della Desert Air Force. Un tipico esempio nell’impiego operativo di un reparto equipaggiato con i C 200 può essere desunto dal riassunto delle operazioni del 153° gruppo tra luglio e dicembre 1941 (dal diario del Reparto): Ore di volo: 4686, Missioni: 3591, Combattimenti: 21 Velivoli abbattuti:19 confermati, 12 probabili, Velivoli distrutti al suolo: 35 (di cui 19 Hurricane e 3 P 40) Il C 200 si comportò complessivamente molto bene nelle difficili condizioni desertiche, grazie alla sua robusta costruzione e alle buone doti di decollo, quest’ultima particolarmente apprezzata nelle piste desertiche avanzate. In volo la risposta dei comandi era piacevole e armonica, con una visibilità eccellente e l’unico appunto fu fatto alla scarsità dell’armamento.In dicembre i reparti furono avvicendati dopo l’intensa attività e assieme alle prime unità con il nuovo C. 202, il 150° e l’8° gruppo si schierarono a El-Nofilia. Va rilevato tuttavia che in tutte le campagne libiche e per tutte le specialità, la disponibilità dei velivoli italiani fu sempre contenuta in cifre non certo cospicue. Per quanto riguarda il C. 200 la disponibilità reale non superò mai le 25 macchine mensili, con grande divario quindi fra le cifre teoriche e quelle pratiche. Durante la ripresa dell’offensiva dell’Asse nei primi mesi del 1942 che portò le truppe italo-tedesche in vista di Alessandria, i C 200 dei gruppi 8°, 13° e 150° furono chiamati principalmente a missioni di scorta ai CR 42 d’assalto. È durante questa campagna che il C 200 fu usato per la prima volta come cacciabombardiere con l’installazione di due bombe sub-alari da 50 kg. Il 18° gruppo del 3° stormo appena arrivato in Africa, schierò quaranta C 200 così armati ad Abu-Aggag in luglio, partecipando con successo a fermare un attacco alleato a Tobruk dal mare. Il 14 settembre 1942, infatti, i C. 200 del 13° partecipano attivamente nello sventare il tentativo inglese contro il porto di Tobruk, pieno di rifornimenti italo-tedeschi. L’operazione nemica destinata a sbarcare forti nuclei di guastatori, si svolge poco prima dell’alba e vede l’impiego di un incrociatore, otto cacciatorpediniere, varie motosiluranti e motobarche. I C. 200 riescono a mettere fuori combattimento il cacciatorpedifiere « Zulu », quattro motosiluranti ed una motobarca, mentre l’incrociatore « Coventry » è affondato da aerei tedeschi, il cacciatorpedifiere « Sikh » ed una motobarca, dalle batterie della Regia Marina. Nella stessa giornata, 31 C. 200 intervengono con ottimi risultati contro le puntate offensive dei mezzi meccanizzati inglesi, lanciati all’attacco in concomitanza del tentato colpo su Tobruk. Ma questo è l’ultimo successo, prima del decisivo e sfavorevole confronto di El Alamein.. Dopo lo sfondamento delle truppe alleate ad El Alamein, i C 200 furono impegnati nella copertura della ritirata italo-tedesca ma l’incalzare dell’avanzata avversaria, la progressiva mancanza di ricambi e carburante e la superiorità aerea alleata ridussero drasticamente il numero dei C 200. Quando nel gennaio 1943 tutti i reparti di non immediata impiegabilità furono rimpatriati solo una squadriglia di C 200 del 13° gruppo rimase in Africa. Un mese più tardi le macchine disponibili furono distribuite tra la 384a squadriglia a Tunisi e il 18° gruppo e il 13° gruppo, ambedue a El Hamma. Malgrado le difficoltà ambientali furono eseguite alcune missioni, ma era chiara la fine del C 200 come caccia di prima linea.

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Impiego Operativo Cap. 2°

 

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Il 22 giugno 1941 inizia l’offensiva tedesca contro la Russia. Nonostante la triste esperienza del Corpo Aereo Italiano in Belgio, il Capo del Governo non esita ad offrire alla Germania l’invio di unità aeree e, questa volta, anche terrestri. Così il 10 luglio 1941 comincia il trasferimento verso l’Ungheria del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.). L’aliquota aeronautica iniziale è formata dal 22° gruppo caccia (359a, 362a, 369a, 371a squadriglia) con 51 Macchi C. 200, e daI 61° gruppo osservazione aerea con 32 Caproni Ca. 311. I velivoli giungono in Russia nella prima metà di agosto ed avanzano, di campo in campo, seguendo le favorevoli sorti del fronte terrestre. Queste progressi territoriali, alla fine segneranno il destino delle forze italo-tedesche sperdute in un deserto, non meno temibile di quello africano. Tudora, Krivoi Rog e, dopo le favorevoli operazioni sui Dnjepr a fine settembre 1941, Saporoshje. Il 9 novembre, la 371a squadriglia è ancora più avanti, a Stalino. Nonostante alcuni progressi della controffensiva russa in dicembre, le truppe italo-tedesche rimangono nella zona del Don, sino al luglio 1942. Cosa sia stato questo primo inverno russo per i reparti della nostra aviazione ed in particolare per i reparti di C. 200, è bene illustrato da una pagina del diario della 371a squadriglia, compilata in data 6 dicembre 1941 dal capitano Enrico Meille sull’aeroporto di Stalino: insufficienti i teli di copertura, insufficienti le stesse stufe ed i covogliatori di aria calda; congelamento delle tubazioni per l’emissione della benzina per il funzionamento a basso regime; necessità di preriscaldare i motorini di avviamento e, ben più a lungo, l’olio dei motori; congelamento nella pompa di comando degli impianti idraulici; congelamento dell’olio nel circuito idraulico del carrello con conseguente impossibilità di retrazione, una volta in volo; specialisti al lavoro con 30° sotto zero, soggetti a congelamenti agli arti ed al volto; piloti che trovano inquota, negli abitacoli aperti, temperature ancora più basse e per le quali le stesse tute elettroriscaldate si rivelano insufficienti, con conseguenti fenomeni di congelamento; parabrezza degli aerei, collimatori a riflessione per il tiro, gli stessi occhiali dei piloti, permanentemente appannati con riduzione a visibilità modestissima. Nonostante tutto questo, quando i nostri caccia riescono ad intervenire, ottengono buoni successi sui velivoli russi. Tra il 25 ed il 29 dicembre, vengono abbattuti 12 velivoli sovietici contro la perdita di un solo C. 200. Il 4 e 5 febbraio seguono brillanti operazioni sull’aeroporto russo di Kranyi Liman con la distruzione al suolo di 10 velivoli nemici e l’abbattimento di altri 5, levatisi su allarme. Altri quattro velivoli russi sono abbattuti negli scontri deI 24 e 28 febbraio, 14 durante il mese di marzo, 5 in maggio, 5 in giugno, 11 in luglio. In maggio sono pervenuti 10 ulteriori C. 200 ed in giugno, l’organico di una squadriglia. Dopo Stalino, i C. 200 passano sugli aeroporti di Borvenkovo, Makejevka, Tazinskaja, Voroscilovgrad, Oblivskaja, Millerovo, Kantemirovka: dunque sempre più avanti e sempre più lontano dalle fonti di rifornimento. Pur dovendosi considerare il velivolo ormai sorpassato, esso si trova di fronte aerei decisamente mediocri e piloti non molto bene addestrati. Ne è a riprova, in tutta la campagna, la perdita di 15 Macchi C. 200, contro 88 velivoli russi. Ma i veri nemici di questa infelicissima spedizione, sono le distanze, le glaciali temperature invernali, o quegli altri periodi stagionali che impantanano gli aeroporti e le vie di comunicazione rendendo impossibile l’inoltro di rifornimenti.

La grande offensiva russa inizia l’11 dicembre 1942. Sono in linea 32 Macchi C. 200 e 11 C. 202, arrivati sul fronte in settembre. Una squadriglia da caccia abbandona in tutta fretta il campo avanzato di Kantemirovka, mentre i russi avanzano con imponenti forze corazzate I caccia, i BR. 20 ed i Ca. 311, gli SM. 81 da trasporto, fanno in questo difficilissimo periodo di pieno inverno, quanto è possibile fare: in poco più di un mese, 27 tra piloti, osservatori e personale di bordo, risultano deceduti o dispersi. Il 17 gennaio 1943 il 21° gruppo che dalla primavera del 1942 ha rilevato i C. 200 del 22°, inquadrandoli nella 256a, 382a e 386a squadriglia, esegue un’ultima missione di mitragliamento nella zona di Millerovo con l’impiego di 25 apparecchi. Dopo, non rimane che ripiegare, cercando di salvare gli aeroplani e tutto il materiale logistico che può essere recuperato. Al 15 maggio 1943, gli ultimi aerei lasciano definitivamente la zona di Odessa per rientrare in Italia. Dietro rimangono i ricordi legati a 1.000 km. di avanzata, la dispersione di un materiale che sarebbe stato ben più proficuo sul vacillante fronte africano, e soprattutto il sacrificio di tanti soldati appartenenti a ben dieci divisioni dell’esercito italiano. Tirando le somme, durante diciotto mesi di attività operativa con una disponibilità mensile di non più di trenta macchine, i caccia Macchi effettuarono 1983 missioni di scorta, 2557 missioni offensive, 511 missioni di attacco e 1310 missioni di mitragliamento rivendicando ottantotto abbattimenti con la perdita di quindici velivoli.

Esaminiamo gli ultimi impieghi operativi del C. 200. Nella seconda settimana del giugno 1943, piccoli nuclei di C. 200 con bombe alari, vengono impiegati per contrastare il naviglio anglo-americano che opera contro Pantelleria.

Nel luglio 1943, alla vigilia dell’invasione della Sicilia il C 200 era ancora presente, in una certa consistenza, nel 2° stormo (41 velivoli), nel 22° gruppo (3 velivoli), nel 157° gruppo (13 velivoli), nel 161° gruppo (4 velivoli) e nelle squadriglie 392a e 85a (20 velivoli). All’armistizio dell’8 settembre solo 33 macchine erano utilizzabili: 23 raggiunsero il sud, principalmente quelli dell’8° gruppo che avevano scortato la flotta da La Spezia a Malta. Pochi esemplari furono al nord, usati solo come addestratori. Nell’estate 1944 i C 200 al sud vennero assegnati alla Scuola Caccia di Leverano ma presto la solita legge dell’età e della mancanza di ricambi ebbe il sopravvento.

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Con gli Occhi del nemico

 

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Come riconoscimento della carriera di un velivolo è talvolta più significativo il ricordo di chi stava dall’altra parte rispetto al rimpianto di chi con esso ha combattuto. Ed è per questo che ci piace riportare quanto lo Squadron Leader D.H. Clarke, D.F.C., Royal Air Force scrisse nel lontano 1955, e quindi in epoca non sospetta, sul RAF Flying Review, organo semi-ufficiale della prestigiosa aeronautica britannica.

«... Trovai il C 200 a Sorman, un attraente aeroporto circondato da palme sulla superficie di un lago salato, lungo la costa tra Tripoli e Zuava. Era in un solitario splendore come se fosse stato appena consegnato e l’unico danno era un parabrezza malridotto come se il pilota lo avesse rabbiosamente colpito con una chiava inglese prima di andarsene con il resto degli specialisti. Ho scritto col gesso l’identificazione del mio squadrone, LD, sulla fusoliera e dopo tre giorni di lavoro dei miei specialisti ho trasportato il ‘mio’ Macchi MM 5285 alla nostra base provvisoria di EI Assa. Era mio ed era una vera bellezza! Anche se alla fine tentò di uccidermi non fu per sua colpa e anche oggi, dopo aver pilotato più di cinquanta tipi differenti di velivoli, ricordo con speciale piacere le poche ore di volo che ebbi con il mio C. 200.

L’abitacolo era spazioso e aperto, senza parti scorrevoli che ostruissero la visibilità. Due pannelli trasparenti si richiudevano lateralmente cosicché sembrava che la tua testa facesse parte della struttura esterna, completamente separata dal resto del tuo corpo all’interno. Con solo una ridotta carenatura all’indietro, la visibilità era perfetta: si poteva vedere senza sforzo al di sotto del piano orizzontale (cosa che poteva essere ottenuta con il P 40 manovrando in orizzontale o aprendo il tettuccio).

Non c’era blindovetro al parabrezza e malgrado il sedile corazzato apparisse confortevole non forniva la stessa protezione che avevamo sui velivoli inglesi. L’armamento era carente, solo due 12,7 sincronizzate per il tiro attraverso l’elica. Il contacolpi sul cruscotto (un lusso veramente utile) indicava una tale riserva di colpi per arma che dava grandi probabilità di fare centro anche a una cattiva mira. C’erano due anemometri con due pitot alle estremità alari: poteva creare confusione ma era molto interessante confrontare le loro indicazioni in volo librato. Il resto della strumentazione era efficiente ma non così elaborato come nei nostri caccia e la sola peculiarità era la manetta motore che funzionava al contrario rispetto alle nostre: un punto da ricordare bene durante il rullaggio! Il motore, un Fiat A 74 RC 38 radiale, funzionava armoniosamente come una ben lubrificata macchina da cucire. Ricordo di essere rimasto stupefatto quando a 1700 giri motore la velocità indicata era di 365 km/h. Era quasi veloce come l’Hurricane ma certamente più manovrabile. La corsa al decollo era breve in modo fantastico se confrontata con il nostro pesante P 40. Le qualità di manovrabilità erano ‘finger-light’ (leggero tocco delle dita). Ho eseguito alcuni finti combattimenti con Hurricane II, Kittyhawk III e Spitfire V e sorpreso ho constatato che in alcune circostanze potevo virare più stretto di ognuno di essi. Malgrado fossero più veloci (l’Hurricane solo marginalmente) potevo in alcuni casi avvicinare in velocità di salita le prestazioni dello Spitfire V .

Il solo aspetto negativo che ho trovato nel C. 200 era il modo con cui abbassava l’ala destra improvvisamente, senza preavviso, prima di toccare il suolo. Era strano, perché non lo faceva mai durante le prove di stallo in quota. Era il suo unico difetto e il suo carrello dall’ampia carreggiata era in grado di prevenire i danni, a patto che la rotazione non avvenisse a quota ancora elevata sul terreno. Alternativamente era meglio eseguire l’atterraggio su tre punti anche se personalmente era una manovra che non ho mai gradito.» Concludendo, ci sembra che miglior conclusione non poteva essere data agli eventi di uno dei più significativi velivoli da caccia della storia aeronautica italiana.

(Tratto da Dimensione Cielo Caccia Assalto - Ali D'Italia - Storia dell'Aviazione - Aviatori Italiani)

Modificato da Blue Sky
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PRODUZIONE:

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MM. 336 -primo prototipo

MM. 337- secondo prototipo

MM. 4495-4593 - n.99 (giu. 1939-mar. 1940, Macchi)

MM. 4857-4880 - n.24 (giu. 1940-gen. 1941, Ambrosini)

MM. 4881-4896 - n.16 (gen-mar. 1941, Ambrosini)

MM. 4897-4906 - n.10 (mar.-mag. 1941, Ambrosini)

MM. 5081-5162 - n.82 (giu.-set. 1940, Breda)

MM. 5163-5200 - n.38 (set.-dic. 1940, Breda)

MM. 5201-5260 - n.60 (nov.-dic. 1940, Breda)

MM. 5261-5360 - n.100 (dic. 1940-mar. 1941, Breda)

MM. 5770-5814 - n.45 (mar-giu. 1940, Macchi)

MM. 5815-5920 - n.106 (mar.-set. 1941, Breda)

MM. 6490-6544 - n. 55 (dic. 1940-mar. 1941, Macchi)

MM. 6660-6703 - n. 44 (giu.-nov. 1941, Ambrosini)

MM. 6715-6724 - n. 10 (mag. 1941, Ambrosini)

MM. 6725-6744 - n. 20 (mag.-giu. 1941, Ambrosini)

MM. 6795-6804 - n. 10 (giu.-Iug. 1940, Macchi)

MM. 6805-6828 - n. 24 (lug.-ag. 1940, Macchi)

MM. 6829-6890 - n. 62 (lug.-dic. 1940, Macchi)

MM. 7659-7708 - n. 50 (mag.-set. 1941, Macchi)

MM. 8289-8338 - n. 50 (nov. 1941-feb. 1942, Breda)

MM. 8131-8250 - n. 120 (mar.-ott. 1942, Breda)

MM. 8437-8466 - n. 30 (nov. 1941-apr. 1942, Ambrosini)

MM. 8596-8615 - n. 20 (apr.-giu. 1942, Ambrosini)

MM. 8618-8643 - n. 26 (giu.-ag. 1942, Ambrosini)

MM. 8794-8843 - n. 50 (dic. 1941-lug. 1942, Macchi)

 

I primi diciannove lotti produttivi furono numerati singolarmente per ogni ditta, mentre i successivi furono numerati con cifre romane in sequenza.

Sul numero dei lotti del C.200 prodotti, ci sono dati contrastanti sul totale, i dati apportati sono quelli considerati storicamente più attendibili.

 

 

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Primo prototipo del Macchi C.200, MM. 336, come si presentava al momento del primo volo, effettuato il 24 Dicembre 1937.

 

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Secondo prototipo del Macchi C. 200, MM. 337, consegnato nel 38, introduceva modifiche al disegno della capottina e agli scarichi del motore.

 

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I primi 25 esemplari della Ia serie costruttiva, vennero consegnati nella configurazione illustrata, dotati di eliche Fiat-Hamilton 34D-1 e di ogiva a protezione del mozzo e dei meccanismi dell’elica. Tutti gli esemplari successivi furono dotati di eliche Piaggio P.1001.

 

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I rimanenti esemplari della la serie, come quello qui rappresentato, ebbero notevoli modifiche che li avvicinarono alla configurazione definitiva.

 

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Il passaggio dalla Ia alla IIa serie costruttiva portò solo a piccole modifiche di dettaglio, le più evidenti delle quali furono l’introduzione del compensatore aerodinamico sul timone e l’abolizione del ruotino di coda retrattile. Notare anche la disposizione dell’antenna radio.

 

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Ben presto le capottine trasparenti scorrevoli vennero abbandonate, sostituendole con diversi tipi di configurazioni ad abitacolo aperto.

Questo, in particolare, è un esemplare della XXIIIa serie, dotato di travetti portabombe subalari che gli permettevano di trasportare due bombe da 50

 

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Un esemplare di Macchi C. 200 dotato di filtro antisabbia per la presa d’aria del carburatore ed un radiatore aggiuntivo, per l’impianto di circolazione dell’olio.

 

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Un C.200 è stato rimotorizzato con Piaggio P XIX RC45 da 1.175 cv e designato C.200 bis. Nel disegno è rappresentato al momento della sua uscita dalla fabbrica prima dell’introduzione di alcune modifiche effettuate dalla Breda.

 

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Il C.201 con motore Fiat A.76 RC38 da 1.000 CV, rimase allo stadio di prototipo

 

 

 

Macchi C.200 - Caratteristiche e Prestazioni-

Dati dal Manuale C.A. 444 Edizione del 1941 (Copie Stampate N°265) valido per la VII Serie Aer. Macchi

 

Motore: Fiat A. 74 RC 38

Lunghezza m:8,196

Altezza m:3,52

Apertura alare m:10,58

Superficie alare m2:16,80

Peso a vuoto kg:2014

Peso totale kg:2533

Carico utile kg:519

Velocità max (a 4500 m) km/h:503

Velocità minima km/h:128

Salita a 5000 m:5.52

Tangenza pratica m:8900

Autonomia oraria:1h,20'

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Verranno riportati alcuni esempi delle livree utilizzate per il Macchi C.200

 

 

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Il primo prototipo del C.200. MM.336. in occasione del primo volo avvenuto a Lonate Pozzolo il 24 Dicembre 1937 ai comandi del capo collaudatore Giuseppe Burei. La finitura era interamente alluminio con fasci alari a fondo bianco sia sotto che sopra le ali, fascio policromo sotto l’abitacolo e tricolore sul timone. La matricola militare compariva sulla fusoliera in caratteri neri, sotto l’indicazione del tipo. Il prototipo, costruito come intercettore per il concorso del 1936, fu poi trasferito a Guidonia nel Marzo 1938 per essere ufficialmente presentato alla commissione ministeriale del concorso caccia. La configurazione originale non montava alcuna struttura anticapottata. mentre i tubi di scarico erano lunghi e avevano una caratteristica forma ad esse. Anche gli sfoghi d’aria dietro al cofano motore erano presenti in numero ridotto.

 

 

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Aermacchi C.200 della 369a Squadriglia (152° Gruppo. 54° Stormo CT.). Treviso S.Angelo. novembre 1939. In seguito allo scambio di macchine col 4° Stormo, il 54° Stormo fu effettivamente la prima unità della Regia Aeronautica interamente equipaggiata col nuovo monoplano. La mimetica standard, che sarà poi applicata alla maggior parte dei C.200 prodotti, era a tre toni con le macchie Giallo Mimetico 4 e Bruno Mimetico sul fondo Verde Mimetico 2, con le superfici inferiori Grigio Mimetico. Questo gruppo, formato in prevalenza da veterani della guerra di Spagna portava, su un triangolo azzurro posto dietro codici di reparto, l’insegna che già aveva ornato i CR.32 del XVI Gruppo ‘Cucaracha’. Le insegne alari erano a fondo bianco sopra le ali e nero sotto. Questo aereo, ancora uno dei primi 25, era stato già modificato col muso di serie con bugne centrali corte e tromboncini alle mitragliatrici. Per il resto la macchina manteneva tutte le caratteristiche delle macchine di preserie, compresa l’elica originale con ogiva.

 

 

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Aermacchi C.200 del capitano Giovanni Cervellin, comandante la 369a Squadnglia (22’ Gruppo Autonomo CT.), Stalino, febbraio 1942. Mimetica standard a tre toni, con macchie tipo Macchi Giallo Mimetico 4 e Bruno Mimetico su fondo Verde Mimetico 2, con superfici inferiori Grigio Mimetico. L’aereo apparteneva al nuovo comandante, designato dopo la morte di lannicelli. Sotto l’abitacolo compariva l’insegna di gruppo raffigurante lo spauracchio che era stata disegnata dal tenente Giuseppe ‘Bepi Biron. L’aereo era caratterizzato da insegne molto simili a quelle della macchina precedente, a parte il fatto che il codice 11 assegnato al comandante di squadnglia non era più rosso ma bianco (come su tutti gli altri aerei del reparto in questo periodo) e non si sovrapponeva al disco bianco, I fasci alari erano a fondo neutro sopra e sotto l’ala. La croce di Savoia appariva modificata, probabilmente sul campo, secondo un disegno comune ad altre macchine di questo reparto. Il 22° Gruppo rimase a Stalino fino al 4 maggio 1942. quando fu rilevato dal 21° Gruppo C.T. giunto dall’italia.

 

 

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Aermacchi C.200. MM. 7688. del sergente Zani, della 384a Squadriglia (157° Gruppo Autonomo CT.), Castelvetrano. maggio 1943. Lo schema mimetico di questa macchina della 7a Serie Macchi era molto particolare, a tre toni con macchie Verde Mimetico 2 e Bruno Mimetico su fondo Giallo Mimetico 4. Superfici inferiori Grigio Mimetico e fasci atari a tondo neutro. Codici di reparto bianchi portati a cavallo della fascia di fusoliera. Apparentemente questo schema a chiazze mimetjche di forma e colori insoliti, era utilizzato solo dal 157° Gruppo, pertanto è probabile che fosse stato appositamente realizzato per il fronte nord africano in sede di revisione, quando il gruppo era stato trasferito in Libia nell’ottobre 41. Dopo un altro lungo ciclo di operazioni in Egeo iniziato nel gennaio 1942, il reparto rientrò a Castelvetrano nel marzo del 1943. prendendo parte prima all’estrema difesa della Tunisia, e poi della Sicilia nell’estate ‘43.

 

 

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Aermacchi C.200 della 153a Squadriglia (3° Gruppo Autonomo C.T.), Chinisia, aprile 1943. Questo aereo, di costruzione SAI, aveva uno schema mimetico Verde Oliva Scuro 2 uniforme, con le superfici inferiori Grigio Azzurro Chiaro i Insegne alari a fondo neutro e codici di reparto rossi e neri all’interno della fascia bianca, dietro alla quale compariva la famosa insegna del diavolo rosso, entro un cerchio nero. Questa era l’insegna del 6° Stormo di cui il gruppo aveva fatto parte fino al Luglio del 1941 quando lo stormo era stato sciolto. Da allora il gruppo aveva sempre operato autonomamente prima in Africa Settentrionale coi CR.42 e poi a Ciampino e Chinisia coi Macchi 200. ma lo spirito del diavolo ghignante fu sempre molto sentito dai piloti, tanto che l’insegna Continuò saltuariamente a Comparire sugli aerei. Sarà poi ancora applicata sui Messerschmiti Bf.109G di cui fu dotato il gruppo nel giugno ‘43. che furono utilizzati per la difesa della Sicilia dagli sbarchi alleati nel luglio ‘43.

 

 

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Aermacchi C.200 utilizzato dalla Royal Air Force in Sicilia nel settembre 1943. Dopo l’armistizio, i reparti alleati in Sicilia ebbero l’occasione di appropriarsi di materiale aeronautico italiano in gran quantità ed in discrete condizioni di volo, tra cui questo Macchi 200 (appartenuto probabilmente ad una squadriglia del 157° Gruppo Autonomo) utilizzato dai nuovi proprietari dopo un rapido e quanto mai sommario cambio d’insegne di nazionalità. Sopra la fascia di identificazione ottica ora dipinta di giallo, era stata applicata una grande coccarda inglese col bordo giallo, e con La proporzione tra i colori non regolamentare. Il tricolore della RAF era stato apposto sulla deriva, mentre il timone era interamente dipinto di giallo, probabilmente per coprire la croce di Savoia Anche una banda, apparentemente rossa., era comparsa sul muso. L’aspetto sportiveggiante e la semplicità delle macchine italiane attiravano molto i piloti alleati. Conseguentemente divennero spesso bottini personali, soltanto per essere poi abbandonate quando giungeva l'ordine di trasferimento su un altro campo.

 

 

Contributi Video

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Macchi c200 and c202 In Action

Regia Aeronautica in Action - Russia 1942

Afrika Korps - Regia Aeronautica in Action 1940-41

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Non so se è stato gia chiesto, ma qual era la motivazione che spinse all'adozione, in alcune versioni, dell'abitacolo aperto (questo vale anche per il G50)? Su un libro avevo letto che i piloti italiani preferivano questa soluzione, rispetto a quello chiuso, mi sembra strano... :blink:

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