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dalla Russia di Putin


Ospite intruder

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Ospite intruder

Un sesto dell'enorme territorio russo e' inquinato. Lo rivela la Corte dei conti del paese, dopo aver esaminato i risultati di un'indagine.Lo afferma un comunicato. L'indagine riguarda l'efficienza della tutela ambientale nel paese tra il 2005 e il 2007. Su questa vasta area abitano 60 milioni di persone, circa la meta' cioe' della popolazione russa. Stando al rapporto, la causa principale dell'inquinamento sono i rifiuti industriali, di cui vengono prodotti 75 milioni di tonnellate l'anno.

 

ansa

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cioè 3 milioni di kmq di russia sono inquinati? cacchio!

 

pandur, hai dei documenti in base ai quali affermi queste cose o sono tue idee volte a colpire il "grande satana"???

 

rispondo solo adesso: il fatto che abbiano lasciato che saddam invadesse l'iran è un argomento sufficiente. l'america era una delle due superpotenze e queste cose le possono impedire volendo...

Modificato da pandur
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Un sesto dell'enorme territorio russo e' inquinato. Lo rivela la Corte dei conti del paese, dopo aver esaminato i risultati di un'indagine.Lo afferma un comunicato. L'indagine riguarda l'efficienza della tutela ambientale nel paese tra il 2005 e il 2007. Su questa vasta area abitano 60 milioni di persone, circa la meta' cioe' della popolazione russa. Stando al rapporto, la causa principale dell'inquinamento sono i rifiuti industriali, di cui vengono prodotti 75 milioni di tonnellate l'anno.

ansa

 

Un pò OT ma vi segnalo il sito di una ragazza che si diverte a girare in moto nei pressi di Chernobyl. Vi sono anche dei reportage su ex campi di prigionia Sovietici e sui campi di battaglia nei dintorni di Kiev.

 

La ragazza è cresciuta a Pripyat e suo padre lavorava alla centrale.

 

elenafilatova.com

 

OT-off

 

Ps ho provato a cercare nel sito se era già stata postata ma non ho trovato niente.

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rispondo solo adesso: il fatto che abbiano lasciato che saddam invadesse l'iran è un argomento sufficiente. l'america era una delle due superpotenze e queste cose le possono impedire volendo...

vabè Pandur questa è un illazione senza fondamento. l'Irak non era uno stato vassallo degli Stati Uniti, non vedo perchè mai avrebbe dovuto chiedere il permesso per fare gli affari suoi. d'altronde non lo fa manco Israele.

 

comunque non andiamo OT, continuiamo sull'apposito topic ;)

Modificato da vorthex
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Dal link http://www.loccidentale.it/articolo/l%27eu...rgetica.0071907

 

riporto:

 

Il vertice di Khabarovsk

 

L'Europa può sfruttare la crisi russa per la propria sicurezza energetica

 

di Ida Garibaldi

 

22 Maggio 2009

 

 

 

 

Si è appena chiuso a Khabarovsk, in Russia, il primo vertice fra l’Unione europea e la Russia dopo la guerra in Georgia dello scorso agosto. Le condizioni politiche ed economiche dei due partner sono profondamente cambiate. La crisi economica mondiale ha avuto ripercussioni drammatiche per la Russia e ha dato all’Unione europea un inaspettato vantaggio politico rispetto a Mosca. Il vertice di Khabarovsk è l’occasione perfetta perché la UE usi la relativa predominanza economica acquisita in seguito alla crisi economica russa per spingere il Cremlino verso una relazione energetica con Bruxelles più equilibrata e più affidabile.

 

La UE dovrebbe offrire il proprio appoggio alla Russia per uscire dalla crisi a condizione che Mosca accetti di aprire il proprio settore energetico alle aziende europee. In cambio della propria assistenza, Bruxelles si assicurerebbe un nuovo, enorme mercato per le maggiori aziende energetiche europee. Allo stesso tempo, la UE dovrebbe usare la propria posizione di relativa forza economica per diversificare i propri fornitori. Se le condizioni sociali ed economiche russe dovessero improvvisamente peggiorare, sarebbe di fondamentale importanza per la sicurezza energetica europea poter fare affidamento su gasdotti alternativi a quelli russo-ucraini. Nabucco è la scelta ideale.

 

La crisi economica mondiale ha colpito la Russia nell’autunno del 2008, scatenando il panico tra gli investitori stranieri: nel solo dicembre del 2008, 130 miliardi di dollari in capitali esteri hanno lasciato il Paese. Il prezzo del petrolio ha iniziato a scendere in luglio: da 143 dollari al barile a sotto 40 dollari in dicembre, spostando gli effetti della crisi dal mercato delle borse, alla vita quotidiana. Nel 2008 beni primari quali il pane, l’olio vegetale e lo zucchero sono tutti saliti in prezzo, il pollo e il latte in particolare sono cresciuti rispettivamente del 44 e 21 percento. Le cose potrebbero peggiorare ancora, prima di migliorare. Per il 2009 il ministero delle finanze russe prevede una contrazione del 2.2 percento del PIL.

 

La difficile situazione economica russa pone dei seri problemi sia al Cremlino che a Bruxelles. Secondo la studiosa Lilia Shevstova del Carnegie Moscow Center, la combinazione di tensione sociale ed autoritarianismo potrebbe portare ad un’ondata di populismo: “Se si dovesse verificare una virata a destra, ci troveremmo nella condizione di dover dar ragione ad alcuni degli attuali occupanti del Cremlino, quelli che marmottano cupamente che il regime di oggi è l’acme della civilizzazione a confronto di quello che potrebbe prenderne il posto”.

 

La UE importa il 42 percento di gas naturale dalla Russia, che tra l’altro fornisce a Bruxelles anche il 33.5 percento di petrolio. La Russia è il primo Paese al mondo per riserve di gas naturale (ne possiede il 26.3 percento). La sua posizione geografica la rende un fornitore ideale e privilegiato per la UE. Tuttavia, la solidità del rapporto energetico tra i due è soggetta a due variabili. In passato la Russia ha ripetutamente utilizzato le proprie forniture di energia a scopi politici. Nel 2006 e 2009 il Cremlino ha sospeso le forniture di gas naturale all’Ucraina per risolvere una disputa relativa ad un aumento dei prezzi, con conseguenze drammatiche per i clienti europei. Non bastasse, le infrastrutture energetiche russe sono obsolete e i siti estrattivi inefficienti. Il che solleva domande inquietanti riguardo la capacità di Mosca di consegnare gas naturale alla UE in modo efficiente e puntuale.

 

La politica energetica dell’Unione mira a diminuire la propria dipendenza dalle importazioni attraverso un aumento del 20 percento nella conservazione dell’energia e dell’utilizzo di energie rinnovabili e la contemporanea diminuzione del 20 percento dei gas che causano l’effetto serra, il tutto entro il 2020. Questi obiettivi sono alla base della politica energetica detta del “20-20-20” e introdotta nel dicembre del 2008 dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Nonostante sia ambiziosa e omnicomprensiva, la “20-20-20” lascia agli Stati membri dell’Unione un ampio margine di disimpegno e opposizione.

 

Per poter trarre vantaggio dalla crisi economica in cui versa la Russia e garantirsi una maggiore sicurezza energetica, la UE deve concentrarsi su obiettivi minori che assicurino la compattezza del blocco europeo. Se la UE riuscisse a spingere la Russia ad aprire i propri mercati energetici potrebbe conquistarsi l’indiscusso appoggio di tutti gli Stati membri e delle loro industrie di settore. Questo obiettivo non è nuovo alla politica energetica di Bruxelles. La crisi economica russa offre alla UE una inaspettata occasione per raggiungerlo. L’offerta di aiuti economici e tecnici, magari tesi a migliorare le infrastrutture energetiche russe, potrebbe conquistare il favore del Cremlino. E potrebbe anche rivelarsi difficile da rifiutare in un momento in cui i russi stanno iniziando a dubitare dalla capacità del proprio governo di gestire le conseguenze della crisi.

 

La UE dovrebbe anche sfruttare il momento di relativa debolezza russa per perseguire una maggiore diversificazione dei propri fornitori, appoggiando lo sviluppo di gasdotti che circumvengano la Russia e l’Ucraina. Nabucco sarebbe un buon inizio. Il progetto è disegnato per connettere la regione del Mar Caspio con il Medio Oriente e l’Egitto attraverso la Turchia, senza attraversare la Russia. Nonostante l’opposizione di quest’ultima, Nabucco sta facendo progressi: all’ultimo summit UE a Praga, l’Egitto e la Georgia hanno deciso di aderire al progetto. Molto resta da fare.

 

Nel Libro Verde intitolato “Towards a Secure, Sustainable and Competitive European Energy Network” pubblicato alla fine del 2008, la UE sottolinea come una delle difficoltà centrali nella pianificazione e realizzazione di percorsi energetici alternativi sia rappresentata dai: “rischi politici, di sicurezza e non commerciali associati ai progetti per le nuove infrastrutture” e come essi rappresentino: “un enorme disincentivo per le compagnie private che non sono pronte ad affrontare le incognite del ‘fare la prima mossa’”. Se la UE vuole veramente emanciparsi dalla dipendenza energetica russa deve incentivare le industrie nazionali del settore energetico ad investire in gasdotti alternativi a quelli russi. La vulnerabilità economica russa fa si che la UE si trovi in una posizione avvantaggiata per sconfiggere l’opposizione politica contro Nabucco. Ma solo con il totale appoggio (finanziario) di Bruxelles Nabucco potrà finalmente volare sulle sue ali dorate.

 

Il vertice di Khabarovsk offre alla UE l’opportunità di ridefinire la propria relazione energetica con Mosca. La relativa debolezza economica russa è un vantaggio consistente per l’Unione. Se la UE dovesse riuscire ad unirsi compatta nel tentativo di aprire il mercato energetico russo alle aziende europee e alla costruzione di Nabucco il vertice di oggi potrebbe davvero dare inizio ad una nuova era nella relazione energetica con Mosca.

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Sul vertice di Khabarovsk e sui rapporti tra Russia ed Unione Europea, eccovi dal sito di "Euronews" i link a tre articoli (testo + video):

 

 

http://it.euronews.net/2009/05/22/nulla-di...tice-ue-russia/

 

 

http://it.euronews.net/2009/05/22/gli-scam...unione-europea/

 

 

http://it.euronews.net/2009/05/20/russia-u...utto-in-salita/

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Un articolo di approfondimento sull'esito del vertice di Khabarovsk.

 

Dal link http://www.loccidentale.it/articolo/il+ver...lontana.0071960

 

riporto:

 

 

Nuove crisi del gas in arrivo

 

Il Vertice UE-Russia: la sicurezza energetica europea è ancora lontana

 

di Ida Garibaldi

 

23 Maggio 2009

 

 

Dal punto di vista della sicurezza energetica il vertice di Khabarovsk tra UE e Russia si è concluso con un nulla di fatto. L’incontro tra l’Alto Rappresentate per la Politica Estera della UE Solana, il Presidente della Commissione europea Barroso e il presidente russo Medvedev ha chiarito solo un aspetto della relazione energetica tra Bruxelles e Mosca: la diffidenza è reciproca e non promette nulla di buono per la sicurezza energetica europea.

 

Le esigenze europee per una maggiore affidabilità delle forniture di gas naturale russo si sono scontrate con la determinazione del Cremlino a controllare il mercato europeo e con la sua reticenza ad aderire agli standard internazionali di cooperazione energetica.

 

A Khabarovsk, Mosca si è opposta apertamente al processo della Eastern Partnership, formalizzato all’inizio di maggio dalla UE e dai sei Paesi aderenti, tra cui Georgia e Ucraina, che tra l’altro si propone un “Un avanzamento della sicurezza energetica nei Paesi aderenti e con l’Unione europea, attraverso l’aiuto agli investimenti nelle infrastrutture, il miglioramento delle norme, l’efficienza energetica e un migliore sistema di allerta per prevenire l’interruzione delle forniture”. Il Cremlino si è anche vivacemente opposto ad aderire alla Energy Charter del 1994 che stabilisce le norme di massima per la cooperazione energetica tra i Paesi euro-asiatici. La UE ne è membro sin dai tempi della Comunità europea, la Russia non ne ha ancora ratificato l’adesione. Infine, non c’è stato accordo neanche in merito all’Ucraina. In un discorso pronunciato di fronte al Parlamento europeo nel gennaio del 2009, dopo che la crisi energetica tra Russia ed Ucraina aveva messo a repentaglio le forniture di gas al resto dell’Europa, il Presidente della UE José Manuel Barroso aveva dichiarato che: “Senza entrare nel merito delle intenzioni, siamo di fronte ad un fatto oggettivo… Gazprom e Naftogas sono incapaci di soddisfare i propri obblighi contrattuali verso i consumatori europei”. Ebbene, la risposta russa alle preoccupazioni di Bruxelles è stata quella di invitare l’UE a prestare a Kiev il denaro necessario per pagare i propri debiti alla Russia attraverso la concessione di un prestito comune russo-europeo. Non è chiaro che cosa succederà il prossimo inverno se ciò non dovesse accadere…

 

Al vertice di Khabarovsk si è persa un’occasione per riportare la relazione energetica tra Russia ed UE su binari più stabili ed equilibrati. La resistenza russa a concedere alla UE un ruolo paritario nella relazione energetica tra i due partner è stata troppo forte. E’ comprensibile: Mosca considera il settore energetico vitale per la propria sicurezza nazionale. Tuttavia, è possibile che nel corso del 2009 la Russia sarà costretta dalla crisi economica che sta scuotendo il Paese ad aprirsi ai tentativi europei di coltivare un rapporto energetico più bilanciato. Se così fosse, l’UE dovrà essere pronta a trarre il massimo vantaggio dalla relativa debolezza economica di Mosca. Spingere la Russia verso l’apertura dei propri mercati energetici alle compagnie europee e allo stesso tempo perseguire la costruzione di gasdotti alternativi a quelli russi sarebbe un ottimo inizio. Se il Cremlino dovesse chiamare, Bruxelles dovrà essere pronta ad offrire il proprio aiuto: è nell’interesse di entrambi. Ma per la sicurezza energetica europea è importante che l’UE lo faccia alle proprie condizioni.

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Un articolo sui rapporti sempre più tesi tra la Nato e la "nuova URSS" dello zar Putin.

 

Dal link http://www.loccidentale.it/articolo/d.0071885

 

riporto:

 

 

Sicurezza euro-atlantica a rischio

 

La Guerra Fredda è finita, ma tra NATO e Russia la partita è ancora aperta

 

di Emiliano Stornelli

 

23 Maggio 2009

 

 

12.00 Tra NATO e Russia lo spirito di Pratica di Mare sembra ormai essere soltanto un ricordo. Come dimostrano gli sviluppi più recenti, i rapporti sono entrati in uno stato di tensione permanente che si protrarrà prevedibilmente a lungo, finché i conti rimasti in sospeso al termine della Guerra Fredda non verranno chiusi una volta per tutte. Il crollo dell’Unione Sovietica non ha trascinato con sé il plurisecolare imperialismo connaturato all’identità russa. Mosca guarda così ancora agli Stati Uniti come parametro con il quale misurare il proprio status di potenza, in un’ottica strategica molto simile, se non immutata, rispetto a quella che aveva caratterizzato lo scontro bipolare. La politica della “porta aperta” adottata dalla NATO «verso tutte le democrazie europee che condividono i valori dell’Alleanza, e sono desiderose e capaci di farsi carico delle responsabilità e degli oneri che spettano ai membri», come ribadito all’ultimo vertice di Strasburgo-Kehl, viene considerata una minaccia diretta alla sicurezza nazionale, perché volta ad integrare nello spazio euro-atlantico i paesi del “near abroad” russo, area che Mosca rivendica come di sua esclusiva influenza. L’ingresso nell’Alleanza Atlantica delle Repubbliche baltiche e di buona parte delle nazioni balcaniche, in ultimo Croazia e Albania, è stato percepito come un forte smacco geopolitico a vantaggio degli Stati Uniti, e non come l’allargamento dell’area di stabilità e benessere assicurata dalla NATO cui poter accedere in un futuro prossimo. Da qui, l’avvio di un’intensa azione volta a impedire che anche Georgia e Ucraina, la retroguardia del mosaico “imperiale” di Mosca, riescano a passare sul versante occidentale, cui si accompagnano periodici atti di destabilizzazione dei paesi già entrati volontariamente a far parte della comunità atlantica dopo la liberazione dal comunismo, i baltici in primo luogo.

 

Al momento, il punto di maggiore conflittualità è la Georgia, teatro di una sanguinosa guerra nell’agosto 2008. Dopo aver “recuperato” il controllo territoriale delle due regioni separatiste, Abkhazia e Ossezia del Sud, e averle riconosciute quali stati indipendenti, non è da escludere che Mosca abbia considerato l’opportunità di rimodulare i rapporti di forza interni a danno del presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, risoluto assertore dell’ingresso di Tbilisi nell’Alleanza Atlantica, come già sperimentato con successo in Ucraina contro Viktor Yushenko. Le violente contestazioni del mese di aprile, che hanno visto l’opposizione circondare a più riprese importanti edifici istituzionali, impedendo di fatto il regolare funzionamento del governo e del parlamento, hanno avuto come strascico, stando a fonti ufficiali georgiane, un tentativo sventato di assassinare Saakashvili per stabilire un governo filo-russo e l’ammutinamento di un reparto speciale dell’esercito georgiano, che lo stesso Saakashvili, intervenendo personalmente, sarebbe riuscito a far rientrare nei ranghi. In entrambi i casi, ci sarebbe lo zampino di Mosca, che avrebbe pure contribuito a fomentare la rivolta dell’opposizione che richiedeva le dimissioni di Saakashvili. Quel che è certo è che questi ultimi avvenimenti, conditi dall’espulsione di due diplomatici russi accreditati presso la NATO a Bruxelles e dalla successiva revoca dello status diplomatico a due canadesi del “NATO Information Office” di Mosca, hanno avuto luogo in corrispondenza dell’inizio, il 6 maggio, dell’esercitazioni militari della “Partnership for Peace” che la NATO terrà in Georgia fino alla fine del mese di maggio. Alle esercitazioni era stata invitata a partecipare anche la Russia, ma il suo rifiuto è indice inequivocabile di come Mosca non tolleri in alcun modo la presenza militare dell’Alleanza Atlantica nel suo “estero vicino”.

 

Il tono acceso delle dichiarazioni del presidente Medvedev e del primo ministro Putin dà la misura dell’irritazione russa. Dopo aver annunciato l’invio di guardie di frontiera incaricate della sorveglianza dei confini di Abkhazia e Ossezia del sud, Medvedev ha condannato le esercitazioni, definendole di «aperta provocazione […] anche se qualcuno potrebbe cercare di convincerci del contrario». «Respingeremo ogni aggressione», ha ribadito Medvedev il 9 maggio, durante la celebrazione annuale per la vittoria sul nazismo, che è stata anche un’occasione per fare sfoggio di potenza militare, mettendo in mostra i gioielli delle forza armate russe. Deluso dall’atteggiamento della nuova amministrazione americana, Putin ha parlato di «segnale in un’altra direzione» rispetto a quella prospettata dal famoso reset button offerto dal segretario di Stato, Hillary Clinton, al suo omologo Lavrov. Il ministro degli Esteri russo, in segno di protesta, ha poi revocato la propria partecipazione al meeting a livello ministeriale del Consiglio NATO-Russia di Bruxelles, il primo dopo la sospensione seguita alla guerra in Georgia.

 

D’altro canto, con la scelta della Georgia per le esercitazioni militari, l’Alleanza Atlantica ha lanciato ancora una volta un segnale estremamente chiaro circa la sua politica di allargamento. L’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO sono stati rinviati a data da destinarsi, a quando, cioè, le condizioni interne e regionali lo consentiranno. Mosca, però, è intenzionata a impedire che la politica della “porta aperta” faccia ulteriori passi in avanti, e ha già dimostrato di poter condizionare in tal senso le scelte dei partner della NATO. Alle esercitazioni in Georgia non hanno aderito Armenia, Kazakistan, Moldavia e Serbia, paesi che hanno presumibilmente ceduto alle capacità persuasive del Cremlino. Da questo punti di vista, è ancor più rilevante la mancata partecipazione, ufficialmente per ragioni economiche, di Estonia e Lettonia, due membri effettivi della NATO che la Russia ritiene appartengano di diritto alla sua esclusiva zona d’influenza.

 

Alla difficoltà nel conciliare le rispettive geopolitiche, è connessa pure la questione della difesa antimissilistica. Mosca è irremovibile nel suo rifiuto del terzo segmento dello scudo americano in Europa centrale. Le motivazioni, a ben vedere, sono più politiche che tecnico-militari. L’installazione del radar nella Repubblica ceca e degli intercettori in Polonia, infatti, non determinerebbe una rottura dell’equilibrio strategico a sfavore della Russia, che dispone di migliaia di testate nucleari multiple e non. Piuttosto, rappresenta una sfida tecnologica dai costi insostenibili per le finanze russe, ancor più in un quadro di crisi economico-finanziaria e con la caduta del prezzo degli idrocarburi. Il timore di essere tagliati fuori da un settore ad altissima valenza strategica e con un potenziale sviluppo tecnologico che guarda allo spazio, ha spinto finora la leadership di Mosca a un’opposizione ad oltranza, malgrado gli Stati Uniti abbiano offerto alla Federazione russa forme di accesso al programma e alle tecnologie del sistema di difesa missilistica. In risposta alle esercitazioni della NATO in Georgia, Putin ha così voluto espressamente allacciare la questione dello scudo ai colloqui in corso con gli Stati Uniti sul disarmo nucleare. La definizione di un nuovo trattato che succeda allo START (Strategic Arms Reduction Treaty), che scadrà a dicembre, rischia dunque di complicarsi, nonostante i progressi annunciati dalla Clinton e da Lavrov, al termine di un incontro a Washington il 7 maggio. Difficoltà sono sorte anche nella discussione sulle armi convenzionali in Europa. Il Consiglio NATO-Russia del 18-19 maggio avrebbe dovuto imprimere un’ulteriore spinta al negoziato sul trattato CFE (Conventional Armed Forces in Europe), dopo la decisione di Mosca, nel dicembre 2007, di sospendere la sua partecipazione. Il mancato svolgimento del Consiglio, dovuta all’assenza di Lavrov, non giova certo al tentativo di raggiungere una posizione comune sull’argomento.

 

In definitiva, la cooperazione tra NATO e Russia instauratasi al termine della Guerra Fredda, a partire dall’adesione di Mosca alla PfP (1994) e dalla firma del NATO-Russia Founding Act (1997) fino alla nascita del Consiglio NATO-Russia nel 2002, non si è evoluta nella partnership strategica auspicata da Europa e Stati Uniti. La proposta di un trattato paneuropeo sulla sicurezza più volte avanzata da Medvedev sembra, piuttosto, un modo per allontanare la sponda europea dell’Alleanza Atlantica da quella americana e indebolire la NATO. Se non sono più il nemico, gli Stati Uniti restano il competitor assoluto su cui la Russia misura se stessa e la propria forza. In quest’ottica, Mosca potrebbe non raccogliere la richiesta di aiuto giunta da Washington sul dossier nucleare iraniano, dal momento che la crescita del regime di Teheran in termini di potenza corrisponderebbe a un indebolimento degli Stati Uniti a vantaggio della Russia. Mentre la concessione di vie di comunicazione russe dirette in Afghanistan, a scopi unicamente civili e non militari, rappresenta un contributo estremamente limitato alla guerra contro talebani, qaedisti e war lords locali: il logoramento di NATO e Stati Uniti in quello che fu il Vietnam dell’Armata Rossa rientrerebbe negli interessi di Mosca.

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Ospite intruder

May 25, 2009: The U.S. has been putting pressure on Russia to not sell S-300 anti-aircraft systems to Iran, and to stop threatening its neighbors. Most of this pressure is exerted quietly, but occasionally, the arm twisting becomes visible. Sort of. A recent example has been the delay of granting Pratt & Whitney Canada permission to build the PW127 helicopter engine in Russia under license. This would have been the first such deal since Britain licensed Russia to build a Rolls Royce jet engine just after World War II. Once the Cold War got underway, there were no more such licensing deals.

The Russians want the PW127 helicopter engine for their new Mi-38 helicopter. Now they will have to switch to a less efficient Russian engine, the TV-7-117. This will delay the introduction of the Mi-38 for another year (until 2012.)

 

Russia had a hard time finding customers for its new helicopter designs, like the Mi-38. This was largely because Russia has been so successful in selling the old (updated 1960s design), but reliable, Mi-171. But now they have found a way to fund the new Mi-38 (basically the successor of the Mi-8/17/171 line). There is a demand inside Russia for a large, rugged, helicopter to support the growing number of oil and gas development projects in Russia's vast eastern forests. The Mi-38 was developed in the last decade for military use, but seems ideal for the oil industry needs. The Mi-38 is a 15 ton helicopter that can carry up to six tons and can stay in the air for up to six hours per sortie (cruising at 200 kilometers an hour). Russia can make money selling these for less than $10 million each.

 

The popular Mi-171 is based on the 1975 era Mi-17, which is the export version of original 1960s Mi-8. Weighing about 12 tons, and carrying a four ton load, the Mi-171 has a range of 590 kilometers at a cruising speed of 250 kilometers per hour. There is a crew of three, and as many passengers as can be squeezed in (about 40 people, but usually just 20 or so.) A sling underneath can also carry up to four tons. Several hundred Mi-171s have been exported. The helicopter is rugged, inexpensive ($4-5 million each) and better suited for less affluent nations.

 

Development of the Mi-38 was completed in 1998 and Russia has been pushing sales hard. There are apparently enough Mi-38 orders to get production started by the end of the year. The Mi-38 is much easier to sell if it is in production, and has some satisfied users. The Russians are not happy about being denied the more reliable American helicopter engine, and may yet agree to play ball on the subject of selling missiles to Iran, in order to get the U.S. engine.

 

http://www.strategypage.com/htmw/htmurph/a...s/20090525.aspx

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Secondo Luraghi e un famoso ingegnere-storico un Paese "debole" (perchè ha poche risorse, o in crisi economica profonda) diventa paradossalmente più aggressivo, e noi tutti vediamo che la Russia di Putin e della sua cotrofigura Medvedev stano diventando più aggressivi.

Per me Puti è una minaccia per l'Europa unita non perchè sia fanatico, ma perchè in tutta onestà è un dittatore e cerca in un moo o nell'altro di indebolire le democrazie europee o con l'arma del gas o con altri metodi che in un certo senso sono stati palesati in occasione di un recente caso di cronaca avvenuto in GB

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I media filo Putin dicono che ha un forte sosegnoopopolare, però dopo l'omicidio della Politovskaya, che anche senza condanne ufficiale in molti ritengono "di regime", non è che in molti abbiano " tanta voglia" di esprimersi pubblicamente contro di lui, ed altre fonti parlano invece di forte malcontento per la cattiva condizione economica e la corruzione diffusa.

Secondo me Putin dovrebbe essere più contrastato dall'Europa, adesso come adesso sembra che faccia lui il bello ed il cattivo tempo,

Modificato da Simone
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Un interessantissimo articolo sulla situazione disastrosa della Russia/URSS!!!

 

 

Dal link http://www.loccidentale.it/articolo/quale+...vietica.0072106

 

riporto:

 

 

Lo zar a nudo

 

Perché la Russia di Putin rischia

di finire come l'Unione Sovietica

 

di Cesare Proserpio

 

30 Maggio 2009

 

 

Qualche tempo fa un amico mi chiedeva spiegazione di un mistero per lui inspiegabile. Si chiedeva come mai la Russia, con le gigantesche risorse naturali che possiede (petrolio, gas, minerali), non fosse uno stato decisamente ricco. Capiva che decenni di economia comunista avessero prostrato il paese, ma, vedendo come, in base alle statistiche, un polacco, un ceco, uno sloveno, stessero meglio di un russo, nonostante i loro paesi non possedessero quasi nessuna risorsa, non riusciva a darsi una spiegazione sensata. In effetti, per le risorse che possiede, e con una popolazione di soli 140 milioni di abitanti (in costante diminuzione), la Russia è potenzialmente uno degli stati più ricchi del mondo.

 

Per quali ragioni, allora, la Russia resta un paese dove il cittadino qualunque ha un tenore di vita che perfino nell’est europeo considerano basso? Riassumendo al massimo, le ragioni fondamentali sono tre.

 

La prima, la più facile da spiegare, è la vocazione russa ad essere una grande potenza globale, pur non possedendone i mezzi. Se il PIL (prodotto interno lordo) nominale russo, espresso in dollari USA, era inferiore nel 2008 perfino a quello italiano, ma le spese “imperiali” sono di fatto superiori a quelle di colossi come il Giappone, il peso tremendo che ciò ha sul paese diventa evidente. Viene in mente la famosa frase del ministro degli Esteri sovietico che, nel 1989, implorava un drastico taglio alle spese militari, in quanto, secondo lui, se le spese per le forze armate avessero mantenuto lo stesso livello, in poco tempo l’esercito non avrebbe più avuto uno stato da difendere. Ciononostante, la Russia di oggi sembra proseguire lungo la stessa strada, quella del fallimento.

 

La seconda ragione sta nel fatto che la Russia possiede un’economia assolutamente inefficiente e non competitiva a livello internazionale. Le esportazioni sono, nella stragrande maggioranza, rappresentate da materie prime, petrolio, gas, minerali, legname… quello che resta è soprattutto costituito da prodotti dell’industria militare. Quest’ultima è tra l’altro sempre più in difficoltà in quanto obsoleta in confronto a quella occidentale. Le vendite di armamenti erano, fino a poco tempo fa, indirizzate per i tre quarti a grandi potenze emergenti come Cina e India. Ora in questi mercati si perdono molti colpi, tanto che nel 2008 i maggiori acquirenti sono risultati Venezuela e Algeria. Il Venezuela ha ricevuto un grosso prestito dalla Russia, vincolato all’acquisto di materiale militare, e l’Algeria si è vista cancellare interamente il suo debito statale verso Mosca in cambio di commesse militari di pari importo. Insomma crollano gli acquisti “spontanei” e lo stato si organizza per stimolarne altri e fare sopravvivere l’industria del settore difesa.

 

Almeno il settore “petrolio e gas”, che fa stare in piedi il paese, va bene? Nemmeno per sogno. Sotto Putin si è avuta una parziale statalizzazione dell’economia, asserendo che in determinati settori, in quanto “strategici”, una presenza maggioritaria dello stato fosse auspicabile. Il settore energetico è stato il più toccato e i risultati si stanno vedendo ora. Con una gestione disastrosa, fatta di sprechi, mangerie e nepotismi, si è compiuto il miracolo di portare a un forte rallentamento della crescita produttiva e ora addirittura a un calo di produzione di petrolio e gas, pur in presenza di grandi riserve da sfruttare.

 

E il resto delle industrie russe? Roba da piangere. Il settore manifatturiero è mantenuto artificialmente in vita, grazie a forti barriere doganali e impedimenti burocratici vari, ed è massicciamente aiutato dai sussidi statali, basti pensare, ad esempio, alle tariffe ridicole per le forniture energetiche, date a prezzi che noi definiremmo “politici”.

 

L’industria russa si rivolge quindi quasi solo al mercato interno, non essendo in grado, per qualità dei prodotti e scarsa competitività dei prezzi, di inondare i mercati esteri, come fanno invece cinesi, indiani e anche gli altri paesi dell’est europeo. In presenza di tutte queste barriere come fanno gli occidentali a vendere ancora in Russia? E’ molto semplice: esportano verso Mosca i prodotti che i russi non sanno fare o che hanno una qualità di livello alto. Le industrie russe, infatti, nonostante barriere doganali e aiuti di stato, sono riuscite a eliminare soltanto le importazioni di fascia bassa, il livello tecnologico non permette altro!

 

Il terzo e ultimo motivo dell’arretratezza russa è il più sorprendente. Siamo abituati a considerare l’immensità del territorio russo come la sua grande fortuna e ricchezza. Tanto territorio significa tante risorse da spartire tra poche persone e in teoria sarebbe così. Il guaio è che, per la mentalità russa, un territorio non è veramente posseduto se non è popolato. Gli zar svuotarono le casse statali per unificare il paese dal Baltico al Pacifico, creando forti, villaggi e cittadine di provincia e spendendo somme colossali per infrastrutture come la ferrovia transiberiana. Gli effetti disastrosi si videro poi con le catastrofiche guerre col Giappone (1905) e con gli imperi centrali (1914-1917) e che portarono dritti al crollo dell’impero dei Romanov.

 

L’Unione Sovietica fece ancora peggio, creando addirittura metropoli dove esistevano villaggi e sonnacchiose cittadine. Il tutto accompagnato da massicci trasferimenti di popolazione in zone climaticamente infami e dalla costruzione di grandi industrie che mai persona sana di mente avrebbe portato in quei luoghi. Insomma un po’ come se gli americani avessero portato 10 milioni di persone ad abitare in Alaska, creando città e industrie e continuando a finanziarle all’infinito per tenerle artificialmente in piedi… un suicidio economico.

 

Ci sono oggi parecchi milioni di russi che abitano in zone dove, in virtù della logica, non dovrebbe viverci nessuno o quasi. Per tenere popolate la Siberia e l’estremo oriente russo, lo stato si dissangua letteralmente e anzi cerca disperatamente di frenare l’esodo naturale della popolazione aiutando in ogni modo le attività economiche locali che, senza abbondanti aiuti statali, sarebbero altrimenti già morte e sepolte. C’è chi si è preso la briga di calcolare il peso di questa follia economico-demografica e ne ha dedotto che, in assenza di correttivi, in caso di stasi prolungata delle entrate di petrolio e gas, il sostegno dato all’80% del territorio russo per permetterne la stabilità di popolamento, ucciderà il paese.

 

Per questo non capisco quanti, in questi ultimi anni, ci hanno parlato di grande rinascita della Russia, senza rendersi conto che era l’inarrestabile crescita dei prezzi delle materie prime a spingere in alto la ricchezza del paese. Ora il giocattolo si è rotto e, come diceva il titolo di un vecchio film, "sotto il vestito niente".

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Bellissima e azzeccatissima quest'ultima analisi che hai postato pic, ed in qualche modo si ricollega perfettamente agli articoli riguardanti il summit energetico Russia-UE. L'analisi è semplice e sconsolante: la Federazione Russa per giocare in politica estera da grande costringe alla fame il suo popolo, esattamente come faceva l'URSS. Ha una popolazione numericamente grande meno della metà di quella europea o statunitense, e la stessa ha un tenore di vita mediamente basso. E pretende di tenere testa ad entrambi. Per non parlare della Cina...

 

E' sconcertante quello che è venuto fuori dal vertice di Khabarovsk: pur di non cedere parte della propria momentanea egemonia energetica a Bruxelles, Mosca ha impedito l'afflusso di ingenti capitali europei nelle proprie casse statali (dette anche Gazprom). Non voglio immaginare quanto lavoro porterebbe una campagna industriale energetica europea in Russia, per non parlare del know-how...

 

Come riportato nell'ultimo articolo postato da picpus, la Russia misura la propria potenza su scale che non le apparterrebbero.

 

Vogliono essere sconfitti anche nella Seconda Guerra Fredda...

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Ospite intruder
Vogliono essere sconfitti anche nella Seconda Guerra Fredda...

 

Se agli americani andrà di combatterla, perché gli europei non vedo speranza, come al solito.

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Non so se è questa la sezione giusta, ma in quest'articolo si parla del rapporto del nostro governo con la russia di Putin

 

Cossiga: “Silvio pesta i piedi agli Usa, ecco perché lo vogliono far fuori”

 

di Andrea Cangini

 

Il presidente emerito parla a tutto campo: “Berlusconi è un istintivo, un ingenuo. Non dovrebbe replicare alle accuse e invece s’è inventato piccole balle. All’America non piacciono la sua sintonia con Putin e con la Libia”.

 

PRESIDENTE Cossiga, solo lei può svelare l’arcano: c’è un complotto per disarcionare Berlusconi o no?

«Un po’ sì, un po’ no».

 

Risposta ambigua.

«Caro mio, a essere ambigua è la realtà! E gli arcana imperii non vanno mai svelati del tutto. L’ho anche detto a Berlusconi…».

 

Cos’ha detto a Berlusconi?

«Diverse cose. La prima, fondamentale, è di tacere».

 

In che senso?

«Tacere, non replicare alle accuse per non aizzare nuovi attacchi».

 

Berlusconi, invece…

«Berlusconi è un istintivo, non s’è tenuto. Bastava dicesse ‘io mi occupo di politica e non di gossip’, invece è andato a Porta a Porta, ha gridato al complotto, s’è inventato una serie di piccole balle…».

 

E i media ne hanno approfittato.

«Ovviamente, più elementi dai più elementi troveranno».

 

E’ la regola del giornalismo d’inchiesta.

«Ma quale giornalismo? Ma quale inchiesta?».

 

Quella di Repubblica, no?

«Sarebbe meglio parlare dell’editore di Repubblica, De Benedetti».

 

Perché?

«Come perché? De Benedetti, come tutti gli imprenditori, punta a far quattrini, e con Berlusconi è rimasto fuori dalle fusioni bancarie, dall’affare Alitalia, dalla ricostruzione dell’Aquila e pare non intenda infilarlo neanche nella holding di Telecom in via di costituzione».

 

De Benedetti, dunque…

«S’è incazzato e, secondo me, grazie a una gola profonda nell’entourage del premier ha messo su lo ‘scoop’ sulla festa di Casoria».

 

Era prevedibile?

«Largamente. Ma Berlusconi non ha capito che un presidente del Consiglio deve aspettarsi che ogni dettaglio della sua vita privata venga passato al microscopio».

 

C’è chi parla di «delirio di onnipotenza».

«Posto che quando uno comincia come cantante sulle navi da crociera e poi entra nella lista degli uomini più ricchi del mondo un certo senso di onnipotenza ci può anche stare…».

 

Posto ciò?

«La verità è che Berlusconi è un giocherellone; se lo invitano a una festa a Casoria, lui ci va».

 

E ora, che dovrebbe fare?

«Tre cose: far avere la cittadinanza italiana allo ‘svizzero’ De Benedetti, farlo entrare nell’affare Telecom, affidare a una società presieduta dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro, una parte della ricostruzione dell’Aquila».

 

Potrebbe non bastare, c’è chi sospetta che l’intrigo abbia ormai dimensioni internazionali.

«La questione è seria, ma di un’operazione del genere sarebbero capaci solo pochi Stati. Vediamo: la Francia non può essere stata perché ha bisogno dell’Italia per contrapporsi agli Stati Uniti; la Federazione russa neanche, perché Putin ha un eccellente rapporto con Berlusconi; Israele non ne avrebbe interesse, e comunque non fa operazioni di disinformazione ma solo omicidi mirati…».

 

Dunque, non resta che…

«Non resta che l’America. E’ infatti noto che Obama non ama l’Italia e non mi meraviglierei che disertasse pure il G8».

 

Non amare l’Italia le pare un motivo sufficiente?

«Se ha ragioni concrete, sì. La principale riguarda l’evidente asse politico che lega Berlusconi a Putin e l’accordo miliardario appena sottoscritto dall’Eni con Gazprom per la costruzione di un colossale gasdotto che approvvigionerà l’Italia e l’Europa».

 

Iniziativa che intacca gli interessi americani?

«Sì, perché rafforza Putin e penalizza fortemente il gasdotto che passa per l’Ucraina, sul quale gli Stati Uniti hanno una sorta di egemonia di fatto».

 

Altre ragioni di inimicizia?

«Ci sono, e sono sempre legate alla politica estera ed energetica. Ne dico due: Berlusconi è amico di Gheddafi ed ha firmato un trattato in base al quale l’Italia non concederà le proprie basi militari in caso di attacco alla Libia; l’Italia, a differenza degli Stati Uniti, è interessata a mantenere buoni rapporti con l’Iran».

 

Insomma, abbiamo individuato il burattinaio.

«Ma nooo, affatto. L’avremmo individuato se non fosse che Obama è un noto pacifista e se non avesse ordinato agli agenti della Cia di sospendere l’attività di intelligence per dedicarsi unicamente al gioco del golf e del baseball».

 

Capito. Secondo lei, ora, cosa dovrebbe fare Berlusconi?

«Stare calmo, dare per scontato che l’affare Noemi non gli toglierà voti e semmai gliene procurerà di nuovi e dimettersi subito dopo le europee per stravincere le elezioni anticipate. Capisco, teme che le Camere non verrebbero sciolte e l’incarico sia dato a Fini, ma sbaglia: Fini ha ormai dalla sua solo il ministro Ronchi».

 

Quotidiano .net

 

http://www.circololucedelsud.it/?p=10516

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1) repubblica catto comunista ?? :asd:

2) che avrebbe fatto Cossiga?

mi sfuggirà qualcosa...

 

Anzi sarei più propenso a dare tale merito a Scalfaro avendo rifiutato di firmare il decreto salva ladri, che avrebbe eliminato il reato di finanziamento illecito ai partiti, salvando quasi tutti

Modificato da Leviathan
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