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Pilot Reports


Dave97

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  • 2 settimane dopo...
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Io e l’Effe (2° Parte)

Quel giorno di Ferragosto ero di Strip Alert con il mio gregario di coppia, un giovanissimo sergente pilota.

Sulle spiagge, appena fuori della base, le vacanze impazzavano; gli avieri in libera uscita si spacciavano per piloti da caccia e mietevano cuori di bionde nordiche in vacanza a Rimini.

Noi due, chiusi dentro i paludamenti della sottomuta di lana e della tuta anti-G, si boccheggiava sfogliando riviste, all'ombra dei due Effe argentati in allestimento "pulito"; senza piloni né carichi esterni e con poco carburante per salire bene.

Quel giorno eravamo noi gli intercettori.

La Strip (decollo in tre minuti) era un servizio di allarme d'intercettazione assegnato a rotazione ai vari Gruppi per tener d'occhio il vicino confine dello spazio aereo dell'Est, in quegli anni di guerra fredda.

“Scramble!" - gridò il maresciallo, correndo trafelato fuori dalla baracca.

Partenza su allarme!

"Via le spine di sicurezza" ordinò agli armieri.

"Maresciallo, ma è sicuro? C'è conferma?" chiesi,mentre mi sistemavo in fretta tuta,paracadute,casco e tutte le imbracature.

"Il Radar della DAT (Difesa Aerea Territoriale) ha detto chiaro: decollo armato immediato" rispose secco.

Pensai a una bella esercitazione di Ferragosto.

La Torre, al primo contatto , mi raggelò:

"Prua 070° dopo il decollo, massimo rateo di salita per intercettazione reale ad alta quota.., cambiare con il Radar: canale 4- IFF on”

Decollammo in un baleno, ala contro ala.

Il radar ci prese subito sotto guida e ci chiese uno stimato per i 30.000 piedi.

Roba da 5 minuti, a spinta di salita militare (98 per cento).

"Due tracce, alta velocità, rotta 245, distanza 62" avvertì il controllore.

"Oh, lalà” pensai. "Questo non è il solito Dakota o Constellation".

Mentre salivamo, per rompere la tensione dissi per radio al gregario:

"Non saremo mica noi due a far scoppiare la terza guerra mondiale!..." .

Perché era chiaro che le tracce che stavamo per intercettare erano due caccia dell'Est che venivano, proprio di Ferragosto a saggiare la risposta della nostra difesa aerea.

Un ballon d'essai, molto probabilmente.

Però anche quella volta a Pearl Harbour era un quieto giorno festivo...

"Flash 4 (il mio nominativo radio), qui Radar, target ore 11, 34 miglia "

Eravamo addestrati a fare questo e lo stavamo semplicemente facendo.

Riscaldamento armi" su "heater", selettore GBR su "Guns", Radar Range Max, Collimatore prova immagine e aggancio, arroccare sulla manetta...

Stavamo dunque andando davvero al combattimènto?

"Flash 4, qui radar, missione interrotta. Fermate la salita, fate un "180" (inversione di rotta), prua 250° per rientro".

Mentre facevo il read-back (rilettura del messaggio per conferma), nel cielo davanti a noi, due scie bianche , due graffi di ghiaccio nel cielo limpido , avevano già fatto un ricciolo; richiudendosi su se stesse.

 

Il nostro nemico invisibile era tornato a casa: era stata una provocazione.

Solo allora mi accorsi di quanto ero sudato.

Ce ne tornammo giù come meteore: sorvolo della pista a 400 Kts, apertura a sinistra,io per primo poi a tre secondi il gregario (mille-uno; mille-due; mille-tre)

Flap, carrello, virata continua, tutto ftap.

Il finale venne fuori veloce.

"Diavolo, qui mi ci vuole il parafreno e magari la barriera" - pensai.

"Gina-gina-gina". Era la chiamata per far scattare la barriera d'arresto a fine pista, una robusta rete di nylon.

Ma l'aereo, in versione intercettore, era leggero, e mi fermai ugualmente con un bel margine.

Il gran volare moltiplicava gli episodi belli, ma anche brutti.

Con Giancarlo, mio compagno di corso, gregario della prima coppia, la nostra vickers di F 84F (due coppie formanti una V) raggiunse il poligono di tiro aria-terra in perfetto orario e, trasformatasi in ala destra (quattro aerei disposti in diagonale) iniziò subito l'attaccò.

"Uno in!". Il leader della prima coppia,aprì a sinistra e si avventò con le sue bombe sui bersagli con un bell'angolo di 40 gradi.

Seguì Giancarlo, poi io e, ultimo il mio gregario.

Il carosello era subito entrato in pieno svolgimento.

"Armare i razzi" ordinò il leader, iniziando il secondo passaggio e via di nuovo, uno dietro l'altro nella giostra che, dentro i tettucci di plexiglas era silenziosa e ovattata, mentre fuori l'inferno dei jet e i boati delle esplosioni metteva a dura prova gli osservatori a terra, blindati nei loro bunker in mezzo a quell'uragano.

Stabilizzare con calma il pipper del collimatore; andare giù abbastanza per la precisione, ma tirare via in tempo; senza incantarsi sull'obiettivo; caso mai fare il passaggio "in bianco”.

Queste erano alcune delle regole e procedure che dovevano essere curate per avere sicurezza e risultati.

 

Al terzo round toccava alle mitragliatrici.

Ormai era un unico circo: la formazione si chiudeva su se stessa in un treno continuo.

Dal sottovento..mi attrasse di colpo l'attenzione uno dei velivoli: aveva un' angolo di picchiata esagerato (aveva aperto troppo presto?) e indugiava a correggere la traiettoria o andare via.

Non sparava, né accennava ad alcuna manovra.

In una frazione di secondo mi resi conto che Giancarlo si era incantato a stabilizzare il pipper.

“Tira su! Tira su, Giancarlo!" gridai nella radio, sperando in Dio che ce la facesse.

Già mi aspettavo una fine catastrofica in una palla di fuoco.

Ma ecco che l'aereo cambiò bruscamente l’ assetto , anche se non molto la traiettoria per l’inerzia del bestione.

Con il muso in aria e la coda quasi in terra, l'Effe spazzò con il getto al massimo una lunga striscia del poligono, facendo volare i tabelloni e le strutture dei bersagli.

Finalmente, dietro a tutto quel polverone da lui provocato, vidi brillare le ali argentee in salita:

Giancarlo poteva dire di essere nato una seconda volta.

Un altra volta toccò a me.

Durante una navigaziome notturna in coppia, gregario attaccato all’ala del numero uno.

Entrati in un esteso banco di cirri a 35.000 piedi, il mio leader aveva dimenticato le luci di posizione su "intermittenti", invece che "fisse".

Il manuale di volo era esplicito a questo proposito: "Il flashing periodico delle luci in nube diffusa può creare illusioni sensoriali" diceva.

Dopo un poco, infatti, ebbi la sensazione , anzi la certezza , di essere in volo rovescio

"Antonio, guarda che mi sento rovescio" dissi al mio compagno

"Ma che dici rispose " Guarda l'orizzonnte artificiale”

"È diritto, d'accordo, ma io ho questa sensazione fortissima"

"Allora guardati la catenella (la piastrina militare di riconoscimento portataal collo):

è dritta o penzoloni?.., por*a miseria, le luci 'blinkano !" esclamò subito dopo.

Si era accorto dell'anomalia e mise subito le luci su "steady".

Ciononostante, io continuai a volare come se fossi in coppia rovescia.

Mi obbligai a tenere duro, anzi mi affezionai quasi, a questa illusoria posizione.

Cosicché, quando uscimmo di nuovo in aria chiara, rivedere le stelle in alto e la terra sotto, fu per me.una forte sorpresa ,quasi una delusione.

Un'altra volta, ritornando dai tifi aria-aria. al poligono di Brindisi, incrociammo (ma che caso!) una vickers di F 84F della rivale 6° Aerobrigata di Ghedi, che invece era in "andata"

ln un baleno, si scatenò un arruffato finto combattimento con otto aerei che piombavano uno addosso all’altro e scomparivano subito nel nulla, come un frenetico attacco di squali.

lo dovevo stare attaccato al mio capo-coppia, ma lui tirava tanti di quei G in tutte le direzioni che la formazione esplose ben presto e il carosello si fece individuale e caotico.

Se fosse stato un combattimento vero, non sarei riuscito a mettere a segno neanche un colpo e così penso dei miei compagni e dei miei avversari.

Allora compresi meglio quei racconti dei piloti di guerra, che descrivevano caroselli "in bianco" di questo tipo, nei quali era veramente arduo colpire; quasi un eccezione.

Poi c’erano le "manfrine".

Lo spettacolo più bello era il volo di massa per la.parata aerea del 4 Novembre: un pattugliane di decine di aerei, saldati tra di loro (pur con un certo trambusto) per sorvolare i Fori Imperiali della capitale.

Ma ancora più bello fu il lavoro di preparazione della pattuglia acrobatica del 1960, i Getti Tonanti del 5° Stormo: Francesco Picasso, Mauro Ciceroni, Gianni Orlando,Sergio Capaccioli, Gregorio Baschirotto ed Enzo Villani.

lo non potevo certo sperare di essere selezionato, fresco com'ero di reparto.

Ma mi godetti per mesi uno spettacolo indimenticabile.

Poi venne l'addio, alla fine della lunga e bellissima ferma di Complemento.

L’ attrazione fatale delle linee aeree dell'Alitalia, mi portò via da quelle ali argentate, che oggi ricordo con nostalgia.

Fu la più dolorosa e la più triste separazione .della mia vita.'

Anche perché dentro l' Effe sapevo che avrei lasciato la spensierata audacia della giovinezza.

 

Volare , Aprile 1997

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Intercettazione notturna

 

Il 2° Gruppo Caccia Terrestre con i suoi RE 2001 si rischierò sull'aeroporto di Treviso S. Angelo nel dicembre 1942 per essere addestrato all'intercettazione notturna.

Dal Libretto Personale di Volo leggo:

19 lezioni di volo strumentale su SAIMAN 200 tenute dai Ten. Rissone, De Camillis e Valsechi, 1 volo radio guidato su S.79, 2 quote assistite in RF e 2 raids rispettivamente di 200 e 400 km su C.R. 42, infine 7 tiri di lancio sul poligono di Magnago.

Il restante dell'addestramento furono voli acrobatici su C.R. 42 prima, RE 2001 dopo, con e senza la luna.

Si aggiunga, alcuni voli su M.C.200, per chi come me ne aveva il passaggio, decollo e voli su RO 41, voli di collegamento con l'F.N. 305 e voli per gioco con il BUKER JUNGMEISTER.

Quest'ultimo giunto dalla Jugoslavia, era troppo facile da pilotare per essere di qualche utilità al 1° Nucleo Addestramento Intercettori.

Di notte, senza luna, con l'oscuramento in vigore, tranne poche e sparse luci in campagna, rimanevano ad aiutarci i soli cinesini allineati sul nostro campo erboso.

 

L'acrobazia, eseguita necessariamente a quota più bassa, veniva molto facilitata dalla loro luce e tutte le manovre sfogavano nella dimensione di questo allineamento.

Evoluzioni piuttosto inutili dato il nostro prossimo impiego, così pensavo allora, finché ebbi a ricredermi il 13 agosto 1943 quando ero già pronto al combattimento nella specialità Caccia

Notturna.

Al termine di un volo di addestramento non si aprì il carrello del mio RE-2001.

Consumai il carburante e venni giù serenamente.

Molto meno sereno lo sarei stato se avessi pensato che il velivolo era munito di ganci ventrali per l'attacco della bomba. I ganci agirono da vomere.

Alcuni testimoni affermarono che mi ero fermato in 20 metri, altri in 10 o 15 al massimo.

A me premeva solo accendere un cero allo speciale vincolo pilota "AEREA" che mi tirò all'istante giusto impedendomi di rompermi l'osso del collo per il contraccolpo e che il 2001 avesse subìto davvero, quanto appariva ad un primo esame, il solo danno di due pale dell'elica piegate.

L'addestramento della mia Sguadriglia, la 358°, venne interrotto.

Giunse l'ordine di partire subito per Venafiorita - Sardegna dopo essere passati per Ferrara a ritirare i primi RE 2001 con due cannoni da 20 in gondole subalari.

Questi aerei non avevano il collimatore idoneo all'impiego notturno e perciò dal 3 maggio 1943 operammo soltanto di giorno partendo su allarme dagli aeroporti di Venafiorita, Decimomannu e San Vero Milis.

Fummo quindi rischierati a Villanova d'Albenga dove ci vennero assegnati bellissimi DEWOlTINE 520 per missioni diurne assieme con i 2001 e tre C.R. 42 nella versione Caccia notturna con ricetrasmittente e tubi di scarico smorza fiamma.

Sulla colorazione nera di questi aeroplani la fascia bianca e i fasci littorio non apparivano e solo un filo bianco disegnava la croce, sul timone di direzione.

La fauna della Squadriglia si arricchì poco dopo di un CA. 164 e di un raro esemplare di neonato l' F.L. 3

Purtroppo con il Dewoitine 520 perse la vita il Maresciallo Ricci, nonostante il coraggioso intervento del capitano Piero Casana che lo tirò ancora vivo fuori dai rottami in fiamme

Il Comando del 2° Gruppo con il suo Comandante, Maggiore Francesco Tessari, era a Genova alle dipendenze della Brigata "LEONE": la 152° Squadriglia a Sarzana e la 150° a Capua.

Al nostro covo di Villanova d'Albenga, chiuso su tre lati da montagne con una collina a fine pista e la pista stessa pendente in direzione del mare, giunse notizia che all'aeroporto di Levaldigi era arrivato il mostro della Caccia notturna, il bimotore DORNIER 17 che si preparava a sortire con qualunque tempo munito di antenne specialissime e di equipaggio addestrato in Germania; inoltre, un sofisticato sentiero d'avvicinamento ne avrebbe facilitato il rientro alla base.

Villanova d'Albenga 13 agosto 1943.

Giocavamo a pinacolo: il Maresciallo Castelletti, i Serg. Magg. Capatti e Sgubbi ed io che quella notte ero di turno al posto del Capitano Angelo Merati che comandava la Squadriglia.

Alle 23.45 decollai su allarme con il C.R. 42.

Il tempo era incerto: due segnali di pericolo sui costoni prospicienti il campo erano stati accesi dagli avieri preposti.

Poco dopo udii il “Buco”, cioè Sarzana che richiamava la propria "Barca".

Anch'io ricevetti la comunicazione di cessato allarme e a mezzanotte e dieci ero a terra.

Le luci sui costoni vennero spente.

La pioggia batteva sui vetri della Saletta Operativa e la nostra partita a carte riprese.

Alle 01.20 fu annunciato altro allarme.

Toccava a me decidere se era il caso di fare partire un aereo e quale pilota scegliere: per non avere eventuali rimorsi, assegnai a me stesso questo tentativo d'intercettazione.

Mi accompagnò al C.R. 42 la mascotte della Squadriglia, un fox-Terrier, che nel breve tratto dalla baracca all'aereo puzzava già di can-bagnato.

Dense nuvole sfioravano le creste dei monti e quando fui in aria pensavo veramente che non mi sarebbe rimasta altra alternativa che quella di girare nella conca, più o meno come il motociclista del circo evoluisce nella botte: poi, uno squarcio ristretto fra le nubi mi invitò a passare e subito dopo si chiuse alle mie spalle.

Al piano superiore, la luna non c'era a ricevermi.

Più tardi, per lo sfilamento dell'impianto elettrico di illuminazione della bussola non potei effettuarne la lettura e rimasi con il solo aiuto del direzionale.

A vista mi diressi là dove la contraerea illuminava un cielo fatto di cumuli e cumulacci, brutto skyline di nubi, ma mi resi presto conto che quella difesa era nella zona di Torino, un area che non doveva interessare noi del 2° Gruppo.

Virai verso Sud, attento a cercare d'intravedere la costa; non vidi che buio, ma udii chiaramente l'ordine di portarmi a quota 5500 metri.

Salii e appena livellato l'aeroplano un colpo di contraerea, molto vicino, mi sollevò di peso scaraventandomi sulla destra in posizione inusuale.

Approfittando del bagliore tutto attorno mi augurai di vedere i bombardieri nemici, ma finii solo per stropicciarmi gli occhi e avere paura della reazione contraerea; allo stesso tempo fui contento di avere avuto un'indicazione di posizione, perche gli spari non potevano che provenire da Genova o Savona.

Incrociai allargo sul mare, anche per evitare di confondere ancora l’artiglieria e seguii un circuito improvvisato allorché vedevo effettivamente fantasmi di aerei inglesi o americani che una volta avvicinati si rivelarono essere niente di più che stracci di nubi in volo su altre nuvole. Ricevetti l'ordine di rientrare e solo in quel momento guardai l'orologio.

Era passata un'ora e mezza dal decollo.

Dovevo affrettarmi, dovevo avvistare la costa, dovevo trovare Capo Mele e con l'aiuto dei segnali di pericolo sui costoni, infilarmi nella gola e atterrare.

Iniziai la discesa, una discesa sempre più guardinga man mano che perdevo quota; a 400 metri ebbi ancora il dubbio che quanto intravidi fosse un ennesimo scherzo dei miei occhi, ma non fu cosi.

La costa era sotto di me; il peggio era passato.

Mi rimase solo la preoccupazione per l'autonomia restante.

L'intercettazione avvenne all'improvviso: fra i corti montanti che formavano la gabana del C.R. 42 vidi grigio, non più nero.

Per istinto tirai quanto potei la cloche e ebbi la sensazione di un atterraggio eseguito alla perfezione, un atterraggio dolce su terreno morbido.

Mi voltai di scatto e vidi un pallone di sbarramento che danzava alle mie spalle.

Qualcuno mi raccontò, giorni dopo, che giù al Comando di Gruppo chiusero gli occhi per riaprirli quando il rumore del mio aereo fu udito in allontanamento.

Avevo cosi acquisito, sia pure a prezzo esoso, un'indicazione di posizione certa, senza ambiguità, perché in quei mesi lo sbarramento con palloni frenanti era stato realizzato solo a difesa della città di Genova.

Mi rimasero pochi minuti per decidere come affrontare la prossima città: evitare la contraerea di Savona allontanandomi a bassa quota sul mare fra piovaschi e buio pesto, mi parve più imprudente che prendere Savona di petto sfiorandone i tetti.

Savona accettò la mia carezza senza reagire.

Cercai di comunicare con la Sala Operativa di Squadriglia per farmi vivo, ma sapevo che volando a quota più bassa delle montagne non avrebbero potuto ricevermi.

Aguzzai gli occhi e trovai Capo Mele, virai verso le montagne e non vidi alcuna luce che ne indicasse il pericolo.

Era successo che gli avieri di servizio ai costoni, ricevuta la telefonata di cessato allarme, spensero le luci dando per scontato che l'aeroplano da assistere fosse da un pezzo al sicuro con i tacchi alle ruote.

Per non essere nuovamente colto di sorpresa guardando avanti attraverso la gabana e probabilmente questa volta non riuscire ad evitare l'ostacolo che non danza né perdona, mi inoltrai fra i monti spedalando.

Dopo poco, invece di iniziare la planata con il muso alto, assetto che tanto piaceva al C.R. 42, discesi scivolando d'ala un po' a sinistra, un po' a destra spesso abbassandone il muso finché ad un tratto vidi un filo sottile verde brillante: era la catenaria, la soglia di casa.

Una dozzina sola di lampadine colorate sarebbe stata più che sufficiente per farmi atterrare anche senza bisogno di disturbare i cinesini alle 3 .25 di notte come di fatto avvenne.

Ancora un paio di scivolate d'ala per correggere la mia quota ed ebbe inizio la peggiore situazione in assoluto in cui venni a trovarmi durante questo volo che fu tutto pericoloso dall'inizio alla fine.

Nella fase di avvicinamento, quando ormai ero in cortissimo finale, il fascio di luce di un riflettore da difesa contraerea, montato su un camion PIA T B.L. 18 della prima Grande Guerra, posteggiato nelle vicinanze della catenaria, mi investi in pieno.

Per non rimanere accecato nascosi la testa nell'abitacolo; per non "scassare", detti tutto motore e virai stretto in forte assetto cabrato.

Cominciò da questo momento la giostra con il rifletore che era deciso ad abbattermi.

Quell'inseguimento insensato doveva cessare; dovevano cessare le mie manovre evasive, acrobazie eseguite in una conca chiusa da un coperchio di nubi e disturbate dai guizzi di luci nel loro impatto con le pareti.

A questo fine il Serg. Magg. Capatti corse dalla Sala Operativa lungo tutto l'aeroporto fino a farsi scoppiaré il cuore.

Meglio sarebbe stato se a Capatti fosse scoppiato il cuore durante quella generosa corsa verso

il camion perché mesi dopo fu ucciso in combattimento aereo e, caso unico, inimmaginabile, l'aereo andò a schiantarsi proprio davanti la casa dei suoi genitori.

Ormai esasperato, decisi di fare saltare gli uomini addetti al riflettore giù dal camion: mi portai in direzione opposta a quella di atterraggio e profittando di un loro momentaneo disorientamento mi avventai.

Il fascio di luce rimase paralizzato nella posizione in cui non fu più manovrato.

Per non allontanarmi nel buio che ormai mi intimidiva, richiamai l'aereo in verticale dopo la puntata;lo costrinsi poi a scivolare d'ala in virata stretta e ciò sia per non forare il coperchio di nubi e sia per potermi allineare con la direzione d'atterraggio.

La manovra fu necessariamente violentissima: se ne lamentò con un sibilo il copertone della ruota sinistra nel toccare terra.

Riuscii a mantenere diritta la corsa, poi diressi al parcheggio dove il C.R.42 non arrivò.

La benzina era finita. L'elica era ferma.

Il Serg. Magg. Sgubbi avvicinandosi all'aereo mi apostrofò:

«Con lei Tenente non si sta mai tranquilli!».

Quella notte stentai a prendere sonno.

Ringraziai la Madonna di Loreto, ringraziai l'allenamento acrobatico notturno fatto a Treviso e da me cosi poco apprezzato, ringraziai il C.R. 42 che rimase a secco di carburante al momento giusto permettendomi e perdonandomi una scivolata d'ala irripetibile.

Qualche ora dopo fui svegliato perché il Generale Attilio Biseo, Comandante la Brigata Leone, voleva vedermi.

Ero stato alle sue dipendenze quando volavo con gli S. 79 del 33° Stormo B.T. in Libia nel 1940; lo avevo sempre ammirato questo trasvolatore "Atlantico", questo pilota e tecnico eccezionale.

Mentre mi vestivo, lui era giunto alla soglia dell'alloggio, mise una mano sulla mia spalla e disse: Calendino, per tua consolazione, ti informo che di tutta l'alta Italia in allaeme, siete andati in volo solo Balli con il Dornier e tu col C.R. 42….

 

Ala Tricolore Maggio 1989

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  • 4 settimane dopo...

LE LEZIONI DELLA "RED FLAG" Project_F16_Pilot.jpg

 

L'esperienza di un'esercitazione che avrebbe dovuto lasciare un buon ricordo.....

 

Volare su un F-16CG iniseme ed in competizione con altri piloti ad alto livello in uno scenario molto realistico è un elemento ricorrente di tutte le esercitazioni periodiche "Red Flag" che si tengono nel Nevada: Riferendomi ad un'edizione in particolare, ricordo che a far parte della componente SEAD (Suppression of Enemy Air Defense) delle Blue Forces c'era anche mio cognato Mike su un F-16CJ.

Non Dimenticherò mai quest'edizione ma,purtroppo, non in senso positivo.durante il mio volo di quel ciclo,un unico "agressor" riuscì ad eludere la nostra scorta formata da F/A-18 dei Marines. Quando fu chiaro che il nemico avrebbe potuto raggiungere la formazione degli F-16CJ, Mike virò per portarsi incontro all'ataccante. A questo punto, a causa di una certa confusione e di qualche problema, la guida-caccia della Blue Force indicò come ostile, ad una richiesta da parte di un pilota della mia formazione di quattro aerei, quell'aereo in avvicinamento. Se io fossi stato i direttori dell'esercitazione mi sarei accorto che quello era in realtà mio cognato ma io non svolgevo quel ruolo e Mike fu abbattuto (per finta). Se ci fossimo trovati in una situazione reale io avrei dovuto sciegare a mia sorella e ai miei nipotini lo svolgimento dei fatti di quel giorno. Quello, però, non fu il solo motivo per cui ricordo ancora quella Red Flag. Durante la prima settimana mi fu data l'opportunità di effettuare una missione con l'impiego di bombe a guida laser operative , per la prima volta nella mia carriera. Tuttavia, prima di arrivare all'Initial Point la reazione da parte dei caccia della Red Force e delle difese a terra ci costrinse a puntare sul bersaglio alternativo. A questo punto, però, mi trovai a corto di combustibile e poichè l'aerea del bersaglio era all'estremità nord-occidentale del poligoni della Nellis AFB, presso Tonopah, fui costretto a ritornare alla base. Come tornare indietro ed atterrare con due pesanti bombe non da esercitazione ma con carica esplosiva reale è una di quelle storie che si preferirebbe non dover raccontare, così come non è divertente dire ai meccanici che dovranno scaricare le bombe.

F-16CG_72dpi.jpg

Un paio di giorni dopo ci fu data una nuova opportunità, questa volta con bombe convenzionali per un attacco a bassa quota. Avevo avuto anni di esperienza di bombardamento convenzionale ed ero sicuro che per nessuno motivo sarei tornato inidetro con le bombe appese. Infatti non lo feci ma le cosa andarono in un modo del quale non essere orgogliosi. In quella missione seguivamo quattro F-16 portoghesi lungo la rotta di ingresso meridionale, protetti dall'orografia fino al momento di attaccare un fila di veicoli. I portoghesi dovevano seguire una rotta più a sud del nostro Initial Point ma, a causa di presenze ostili, seguirono un percorso differente. Noi, di conseguenza, li perdemmo di vista fino a quando vedemmo alcuni F-16 a bassa quota che attraversavano la nostra rotta circa 8 Km più indietro. Si trattava dei portoghesi che, a causa della diversione, si trovarono a corto di combustibile ed avrebbero dovuto rivolgersi ad un bersaglio alternativo. Decisero invece di tentare una rotta più breve, senza tener conto del fatto che si sarebbero trovati sul nostro bersaglio prorpio mentre arrivavamo noi. Fortunatamente il Numero Tre della nostra formazione quel giorno era particolarmente attento e vide gli F-16 della FAP che arrivavano sul poligono e chiese loro di invertire la rotta. In quel momento intervennero dei caccia della Red Force e fummo nuovamente costretti a cambiare direzione. Tra me pensavo a cosa mi avrebbero detto i compagni vedendomi tornare per la seconda volta a casa con le bombe. L'unica alternativa per liberarcene era sganciarle su un'area espressamente prevista per situazioni di questo genere e che era alla portata dell'autonomia che ci restava. C'era però un altro problema: io avevo studiato tutti i riferimenti lungo la rotta prevista ma non conoscevo il paesaggio che avrei incontrato con un diverso avvicinamento. Quando vidi davanti a me una fila di veicoli pensai che si trattasse di quelli che costituivano il nostro bersaglio e poichè rientravano nel Minium Attack Perimeter agganciai su di essi il radar ed iniziai la procedura d'attacco. Mi trovai un pò più basso e con un assetto più picchiato del dovuto, rispetto al previsto profilo di attacco, e feci uno sgancio pessimo, mancando il bersaglio. Avevamo fatto tutti, noi e i portoghesi, una serie di errori ma fummo fortunati perchè attorno ai bersagli, dove caddero le nostre bombe, non c'era nessuno e non vi furono conseguenze. La lezione che si può trarre è che quando si vola con un aviogetto supersonico e si portano delle bombe da 225 Kg non si deve dare nella per scontato e bisogna considerare e riconsiderare tutto quanto sta succedendo e3 cercare di ipotizzare ciò che potrebbe succedere. Io avevo ottenuto l'abilitazione all'F-16 dopo diversi anni di lavoro dietro a una scrivania e ho pagato lo scotto di questo vuoto di esperienza. Sopratutto non mi ero reso conto che riportare a casa per la seconda volta le bombe non sarebbe stato certamnete più disonorevole che sganciarle su altri aeroplani che partecipavano all'esercitazione o bombardare una postazione di osservatori dell'esercito.

Maj. Jim Roy

USAF, Langhei AFB (Virginia)

 

Fonte: Aeronautica e Difesa

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  • 3 settimane dopo...

Dall’ I-SPIT con sentimento

 

Il mio grande giorno, quello del primo volo sullo "Spitfire", è stato il 30 ottobre 1982, quando alle 13,05 sono decollato dalla pista di Malpensa.

Il primo volo dell'I-SPIT, a ricostruzione ultimata, l'aveva eseguito Paul Day il27 ottobre 1982; tre giorni più tardi Paul mi trasferiva il caccia da Vergiate a Malpensa, in modo da darmi la possibilità di mettere in pratica i preziosi consigli di piloti più esperti di me, ed in prima fila i collaudatori della SIAI:

«Almeno al primo volo su un aereo così diverso da quelli che sei abituato a portare in giro, cerca di evitare un problema in più, quello della lunghezza della pista di decollo».

In effetti, la pista di Vergiate non è poi lunghissima, e la collina a Sud ed il paese a Nord avrebbero potuto complicarmi parecchio l'esistenza, se qualcosa non fosse andato bene.

 

Paul Day atterra a Malpensa alle 12,55, tra lo stupore di comandanti DC-10 e Boeing 747 delle più svariate compagnie. che probabilmente credono di avere le traveggole, e dopo un breve rullaggio porta lo SPIT al parcheggio, dove l'aspetto, sempre col motore in moto.

Paul salta giù dall'aereo, mi aiuta a tirare le cinghie e a sistemarmi il casco, e per un attimo mi squadra con attenzione, ben consapevole di quale esperienza stia per affrontare.

Supero anche quest 'ultimo esame, perché Paul mi fa un sorriso - se gli costa fatica sa dissimularla benissimo - ripetendomi che non avrò il minimo problema; poi salta giù dall'ala.

Rullo lentamente fino al punto attesa, tenendo d'occhio le temperature del glicol e dell'olio maledettamente alte, in quanto al "Merlin", che per l'occasione ha girato a¬cuni minuti a terra, le attese non piacciono, e col carattere che si ritrova fa presto a scaldarsi; poi la torre mi autorizza al decollo.

Mi allineo con l'asse della pista, stringo un po' i freni e comincio a dare gas molto lentamente.

Poi, quando mollo i freni, do anche piede destro.

Dopo circa 200 metri di rullaggio, con un'accelerazione ed un rombo - direi meglio un fragore - che mai prima ho provato comincio ad alleggerire la coda spingendo un po' la barra avanti: mi rendo conto di quanto energica sia la coppia -me l'avevano detto e ripetuto, ma un conto è sentir raccontare, ed un conto è provare con l'l-SPIT dannatamente spostato sulla sinistra.

Colpa mia, perché non ho dato subito piede destro con tutto l'entusiasmo necessario.

Mentre mi avvicino al bordo sinistro della pista, leggo 85 nodi sull'anemometro, e tiro leggermente la barra: è un attimo, e mi trovo per aria. Mi allineo immediatamente con la pista e, a circa 100 metri di quota, eseguo la manovra di retrazione del carrello, che è piuttosto scomoda e complicata, dato che la relativa leva è a destra.

Viro a destra, e a circa 1.600 piedi riduco motore, anche se sono abbondantemente sotto la potenza massima, dato che ho decollato con poco più del 50% dei CV disponibili; viro di 180. in cabrata sulla sinistra, poi a destra, e quindi faccio 360 a media inclinazione.

Sento però dalla torre che vi sono un po' di aerei in attesa, e decido quindi di atterrare.

Fuori carrello, fuori flap, sottovento, 90" a destra, virata base di 90" ancora a destra, finale - onestamente, molto rilassato ¬mantenendo i 90 nodi indicatimi da Paul; anche se mi guarda da terra è come se fosse con me nell' abitacolo dell' I-SPIT. dopo il trattamento intensivo di raccomandazioni e spiegazioni fornitomi negli ultimi tre giorni prima del mio volo.

In prossimità della pista assumo la posizione su due punti, preparandomi a toccar terra con le due ruote avanti, a muso leggermente alto.

Tocco e lo SPIT sobbalza appena, molto dolcemente: continuo il mio primo atterraggio, tirando la barra tutta indietro, in modo da costringere il ruotino a terra per poter controllare la direzione e la velocità.

Questa va calando, e basta far funzionare leggermente i freni ad aria compressa perché lo "Spitfire" si fermi a 700 metri dalla testata pista.

Mi sento molto soddisfatto e rilassato, dopo una sensazione forse a metà tra preoccupazione e paura, e rullo fino al parcheggio, dove Paul Day è in attesa di riportare l'I-SPIT a Vergiate, in casa SIAI.

Anch'io, naturalmente, torno a Vergiate, in macchina, con tre amici, abbastanza sopraffatto da tante emozioni, al punto da rimanere in silenzio per tutto il percorso

Non è questione di retorica, ma devo dire che da quel momento sentii che in me qualcosa era cambiato.

Ricordo che per una settimana non riuscii a chiuder occhio di notte, ripensando all'esperienza che avevo vissuto: fu solo dopo il primo volo, anche se breve, che riuscii a rivivere i sei minuti che avevo passato su questa splendida macchina - anzi, che questa meravigliosa macchina mi aveva regalato.

E mi trovai perfettamente d'accordo con tanti piloti da caccia della seconda guerra mondiale, concordi nel giudicare superlativa la dolcezza e il coordinamento dei suoi comandi. Secondo i collaudatori della Supermarine, che di "Spitfire" ne avevano provati certamente tanti, il Mk VIII, come il mio, era il migliore di tutti.

 

Franco Actis

Jp4 aprile 1984

 

 

s123.jpg

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L’aeroplano Impazzito

 

Tre F-86K della 51° Aerobrigata decollano da Istrana per una missione di intercettazione radar.

Rientrati i flaps, spengono uno a uno il postbruciatore mentre si avviano verso il crepuscolo in formazione di salita a breve distanza tra loro e dentro una densa nuvolaglia che ristagna a 5.000 piedi.

A 25.000 piedi escono "on top", poi attraversano il livello 350 e chiamano il CRC (controllo guida caccia) sul canale 7: sono le ore 17.28'.00".

Pluto Rosso 1: "Pluti rossi check in"

Pluto Rosso 2: "Rosso 2"

Pluto Rosso 3: "Rosso 3"

Rosso 1: "CRC da Pluti rossi, over? "

CRC: "Pluti rossi qui è il CRC, avanti"

Rosso 1: "Pluti rossi, missione 760, livello di volo 370 in salita, ora sul radiofaro di Istrana, prua 280°"

CRC: "Pluti rossi chiamate il CRC sul canale 13"

L'ufficiale guidaccia, dopo aver tentato di stabilire il contatto sulla nuova frequenza, chiama i Pluti rossi sul canale di guardia e ordina di ritornare sul canale 7.

Rosso 1: " R osso 1"

Rosso 2: "Rosso 2"

Rosso 3: "Rosso 3"

 

Rosso 1: “ CRC, CRC, Pluti rossi"

CR C: "Pluti rossi, qui è il CRC, avanti.....

Rosso 1: "livello 400, prua 280°; istruzioni; IFF Standard"

CRC: "Roger"

Improvviamente il secondo gregario vede il Rosso 2 inclinarsi fortemente in ala destra e scendere verso le nubi con il postbruciatore inserito in un pericoloso angolo di discesa.

Rosso3: "Rosso 1 da 3"

Rosso1 : "avanti"

Rosso3: "il Rosso 2 sta scendendo rapidamente...fa un picchiata, è sparito in nube...2 da 3, 2 da 3...torniamo sul canale 7"

Rosso3: "io lo vedo, tu lo vedi? "

Rosso1: "è sceso giù, vedo solo la sua scia che scende dentro le nuvole"

Rosso3: "lo vedo, vuoi che gli vada dietro? "

Rosso1: "OK, se lo vedi, inseguilo! "

Rosso3: "affermativo, ora lo chiamo su guardia... Rosso 2 da 3...Rosso 2 da 3...continua a chiamarlo su guardia, io gli vado dietro..."

Rosso3: "Rosso 1 da 3 torniamo sul canale 13, forse è lì"

I due compagni chiamano Rosso 2 sul nuovo canale, ma non ottengono risposta.

Rosso3: "Rosso 1 da 3, sono in coda a Rosso 2, ha sempre il postbruciatore inserito, scende e sale...25.000 piedi..,va a punto nove e rotti! che fa? ...non risponde...Rosso 2, 2 da 3, 2 da 3, 2 da 3...non risponde! "

Rosso1: "non capisco, ma ci vado dietro se ci riesco...ehi, siamo quasi sul Mach! Lo chiamo io adesso...se è uno scherzo..." .

Rosso1: "Rosso 2 da 1 su guardia, se mi senti canale 7, controlla ossigeno al cento per cento, over”

CRC: "Pluti rossi da CR C"

Rosso1: "avanti"

CRC: "tutto normale? Vi abbiamo perso, confermate livello di ricezione"

Rosso1: "negativo...4/5 forte e chiaro, stiamo correndo dietro al numero 2, sono in coda a un miglio, non si capisce..."

CRC: "Rosso 1 modo 1"

Rosso1: OK, OK, Rosso 1 modo 1"

CRC: "Rosso 3 IFF stand-by"

Rosso3: "CR C siete in contatto con il 2?"

CRC: "ricevuto"

Rosso3: "dite se siete in contatto con il 2! Non risponde da cinque minuti..."

CRC: "negativo, negativo"

Rosso3: "il Rosso 2 mantiene il postbruciatore dentro e sta scappando, non riusciamo a capire il perché...siamo a 34.000 piedi sempre con l'AB, non riesco a fare l'agganciamento radar sul 2; comunque ho il contatto radar"

CRC: "Rosso 1 da CRC, IFF modo 2"

Rosso1: "avanti"

Rosso3: "ha virato? ...possibilmente vai in coppia e vedi che ha...macché va dritto"

Rosso1: "roger, modo 2"

Rosso3: "attenzione al carburante...siamo...2.400 libbre...crr...crr non riesco a beccarlo...guarda! Tira su e vedi se, a destra! "

CRC: "confermate che state seguendo il 2, Rosso 1?"

Rosso1: "affermativo, sono a circa 6.000 piedi, questo scherzo dura troppo...ma che fa, è impazzito? "

Rosso3: "non lo so, adesso ha 240° di prua, sale di nuovo.....”

Rosso1: "siamo a 40.000 in salita"

Rosso3: "sto seguendo a vista, 2.000 libbre, noi si rientra?"

Rosso1: "beh, vediamo"

Rosso3: "adesso scende come un matto"

Rosso1: "se ci senti, Rosso 2 su guardia, vieni sul canale 7, controlla ossigeno al cento per cento.....”

Rosso1: "CR C, provate a chiamare Rosso 2 su guardia e ditegli che viri a sinistra, verso casa"

CRC: "roger, Rosso 2, qui è il C R C su guardia se mi sentite virate a sinistra verso casa, prua 090°. Rosso 2 controllate la pressurizzazione"

I Rossi 1 e 3 continuano il loro inseguimento dietro il Rosso 2, alla massima potenza disponibile con saliscendi continui da 25.000 a oltre 40.000 piedi

Rosso3: “siamo sempre a un miglio...crr...va su e giù, non riesco ad avvicinarmi, corre molto"

Rosso1: "continuiamo ancora un po', siamo ai limiti, semmai atterriamo a Villafranca"

CRC: "Rossi, vettore e distanza per Istrana 084°, 40 miglia"

Rosso1: "roger, dateci vettore anche per Villa"

Rosso1: "guarda il 2, ora stalla...sta andando giù di velocità...siamo a 43.000 piedi"

Rosso3: "non capisco ancora cosa gli prende, fai un altro tentativo su guardia"

CRC: "vettore e distanza per Villa, 10 miglia 210°"

Rosso1: "Rosso 2 ossigeno al cento per cento, vira a sinistra e abbassati di quota"

Rosso3: "43.000 piedi e sale ancora...farà 180 nodi, ha spento il postbruciatore! acchiappalo! "

Rosso1: "ora ci provo, porc...l'ha ridato ancora! "

Rosso3: "ho paura che stia seguendo quella stella davanti"

Rosso1: "tira su di nuovo, per me 43.000 in salita...44...45 ...140 nodi! "

Mentre i due continuano l'inseguimento chiamando sul canale 7, il Rosso 2 chiama finalmente il CRC sul canale 13.

Rosso2: "CRC, CRC"

CRC: "stazione che chiama CRC dia nominativo"

Rosso2: "Pluto Rosso 2"

CRC: "Rosso 2, ditemi che cosa avete a bordo! "

Rosso2: "a bordo niente, sto seguendo il Rosso 1"

CRC: "riducete la vostra velocità, togliete l'AB, scendete a 30.000 piedi, il Rosso 1 verrà a intercettarvi, assumete vettore 090°"

Rosso2: "roger, vedo un aereo più in alto"

Rosso1: "O K mi sto mettendo in coppia"

CRC: "roger, atterrate a Villafranca, affiancatevi al numero 1"

Rosso3: "Pluti rossi dichiarano emergenza; silenzio radio alle stazioni che trasmettono."

Il volo finisce con la penetrazione della formazione su

Villafranca, e con un felice, se pur pesante, atterraggio.

Ma cosa era accaduto in quei lunghissimi 7 minuti in cui il Rosso 2, dopo essersi rovesciato sulle ali, aveva percorso tutto il Veneto per la sua longitudine con postbruciatore inserito tra 25,000 e 46.000 piedi?

Perché tutto era tornato normale?

Il Rosso 2, interrogato su quanto era successo dalla commissione di inchiesta, rispose che aveva dato il "check in" (ora 17.29'.30") e subito dopo aver chiamato il CRC (ora 17.37'00"), dei 7 minuti di cui tutti parlavano non sapeva nulla.

Ricordava solo di aver sentito un gran freddo improvviso e di aver seguito il numero 1 (che invece era una stella).

Si accertò in seguito dall'esame dell'impianto ossigeno, che c'era stata una decompressione esplosiva associata ad una deficienza del sistema di erogazione di ossigeno: l'anossia prolungata spiegava tutto.

Non si comprese invece come mai l'F-86K della 5,.. non era precipitato in vite, pur procedendo senza controllo a 140 nodi.

Quella sera tutto il circolo di Villafranca festeggiò il Rosso 2 e il suo incontro con la signora Fortuna...

 

JP4 , aprile 1978

Modificato da Dave97
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Un Fuori Programma

Aeroporto di Brindisi, estate 1955.

Il nostro Gruppo è qui distaccato per ilperiodico turno di esercitazioni sul poligono del Golfo di Taranto ed i Thunderjet coi colori della 6a Aerobrigata si crogiolano al sole quasi a voler sottolineare il tempaccio lasciato solo poche ore fa a Ghedi.

Alle 08,00 iniziano le operazioni pre-volo ed alle 08,20 decolliamo in perfetto orario sul programma con le armi ed i serbatoi pieni; sembra un giorno come gli altri, un carosello ed un ritorno senza storia, ma questa volta il destino ha deciso diversamente ed il monotono addestramento lascerà il posta ad una frenetica attività di soccorso di un pilota e ..... quello, sarà proprio il sottoscritto.

L'incontro col Mustang addetto al traino bersaglio avviene regolarmente sulla verticale dell'aeroporto di Manduria e l'esercitazione inizia alla quota di 4.000 metri.

I nostri quattro caccia si susseguono sul bersaglio mentre le raffiche vanno a caccia della manica; la tecnica è sempre la stessa e seguo con occhio critico le manovre dei gregari di cui due sono da poco giunti in reparto e sono alle prime esperienze di tiro.

Sono proprio questi che mi danno alcune preoccupazioni, insistono nella virata iniziale e nella successiva picchiata fin sul traino bersaglio ed oltre a non ottenere un tiro efficace rischiano di portarsi a casa come ricordo il telaio della manica.

Dopo dodici passaggi lungo la rotta del poligono (190 gradi da Manduria) mi impegno nel 5° passaggio a fuoco.

Tutto regolare ... disimpegno ... ed ecco improvvisamente un rumore simile ad una raffica di mitragliatrice seguito da vibrazioni.

Lanciando maledizioni a quel. ... che mi ha impallinato, rompo ancor più decisamente riducendo con temporaneamente manetta dall'87 al 70%;.; il rumore continua e mi preoccupa, non è stato un gregario, ma è il mio motore che raschia e geme in un susseguirsi di rumori lancinanti.

Ogni pensiero è ora rivolto alla quota e mentre viro di 180° verso la costa avverto un forte colpo seguito dal silenzio assoluto e dall'accensione della spia "incendio"; porto subito la manetta su "STOP" ed il selettore benzina su "OFF" ed in pochi secondi l'odiosa spia si spegne mentre la temperatura alla scarico scende rapidamente a 600°.

I gregari che seguono il mio aereo danneggiato comunicano che il fumo bianco che prima usciva copioso dal vano degli aerofreni è ora cessato quasi completamente; e già qualcosa e non dispero di riaccendere il motore: invertitore su "Alternate", un veloce drenaggio del carburante, manetta e serbatoi chiusi, e via con l’ “Air Start”….nulla!

Riprovo perdendo la calma e azionando con temporaneamente "Air Start" e "Ground Start";mi risponde solo il rumore tagliente dell'aria e mi rendo conto che senza motore non potrò mai raggiungere la costa.

Di ammarare nemmeno a pensarci; sapevamo già in partenza che il mare era forza 3 e sinceramente non ho intenzione di sperimentare per primo in Italia la pericolosa manovra in condizioni ben lontane da quelle ottimali.

Ma anche la soluzione del lancio mi atterrisce: mi sgancerò dal paracadute, non affogherò come un topo qui a Quaranta chilometri dalla costa?

Riprendo il. controllo dei miei nervi e decido di lanciarmi a 5.000 piedi; ripasso quindi tutta la procedura di lancio e avverto i gregari delle mie intenzioni passando quindi sulla frequenza del soccorso.

Ed eccomi completamente solo con me stesso in un aereo ridotto ad un rottame e con la prospettiva di un bagno indesiderato.

Sgancio le connessioni della radio, dell' ossigeno e della tuta anti-G e a 5.500 piedi e 200 miglia aziono lo sgancio del tettuccio che vola via immediatamente lasciandomi in un turbinio violento; è il primo duro contatto col nuovo ambiente in cui sto per buttarmi a capofitto.

Porto i piedi sugli appositi ripiani al disotto del sedile, tiro la maniglia di bloccaggio delle cinghie azionando il poggia-gomiti; quello di destra non esce e devo azionarlo col bottone a molla; eccomi pronto!

5.000 piedi, cabro per ridurre ulteriormente la velocità che scende a 170-180 miglia, mi irrigidisco ed aziono il comando di espulsione.

Mi soprende la sonorita della carica mentre non avverto alcun colpo fisico e posso così rendermi conto di compiere una capriola in avanti; quindi aziono lo sgancio dal seggiolia no da cui mi separo senza difficoltà e tiro la maniglia del paracadute. Questa volta si che la botta è forte e mi lascia per alcuni istanti senza sensi.

Quando mi riprendo sto dondolando sul mare con forti oscillazioni; con la paura che il paracadute si ripieghi, cerco di smorzare il movimento ondulatorio ma desisto per non combinare guai peggiori; recupero invece il battellino che penzola sotto di me, lo libero dalla custodia e dopo aver controllato la bombola lo lascio ricadere... mi avvertirà del contatto con l'acqua.

Proprio mentre mi predispongo a sganciare la calotta scopro di essere arrivato ed ho solo il tempo di riunire i piedi prima di infilarmi in mare; lancio i più coloriti improperi per essermi lasciato prendere di sorpresa e mentre il paracadute spinto dal vento mi trascina col viso in avanti, cerco a disperatamente di togliermi dalla pericolosa posizione.

Dopo incredibili sforzi e abbondanti bevute mi rendo conto di non poter afflosciare la calotta, riesco allora a girarmi sui dorso

e ad azionare le bombole del salvagente; solo cos! mi è possibile sganciare finalmente il paracadute divenuto da strumento di salvezza, trappola mortale.

Ancora una breve lotta coi tiranti che si sono impigliati nel braccio e nella gamba destra e finalmente posso raggiungere il battellino (può sembrare incredibile ma lo raggiungo a nuoto scordandomi completamente che lo posso tirare a me grazie alla corda. ... ) la cui "scalata" assorbe le mie ultime energie.

Giaccio sul fondo del battellino completamente esaurito e quindi getto in acqua l'ancora e la fluorescina; gli aerei che orbitano sul misero galleggiante mi infondono una grande fiducia anche se il freddo comincia a penetrare nelle ossa.

Esattamente sulla verticale c'e il Mustang che ha subito scanciato la manica e che sta volando ora a circa 300 metri di altezza; più su, a 500 metri, c'e uno dei miei gregari; gli altri sano a 3.000 metri e fungono da ponte radio per i soccorsi.

I messaggi si susseguono e l'allarme è ormai scattato al Soccorso di Taranto, a quello di Gallipoli e all'Ufficio Operazioni di Brindisi.

Altri due F-84G danno il cambio ai primi ormai agli sgoccioli col carburante ed ecco che alle 09,25 arrivano sulla mia verticale due Cant.Z506 di Taranto che non possono tuttavia ammarare per le condizioni proibitive del mare.

La vista di tutti quegli aerei mi rincuora, ma •la loro impotenza è tremenda; meno male che ho molte ore di luce davanti a me, se fosse sera potrei già pensare nel modo più pessimistico.

Ed ecco finalmente un motoscafo da soccorso partito da Gallipoli che, facilmente guidato da quello schieramento di aerei, mi ripesca dal mare ostile; sono le 10,05 ed è passata un'ora e 25 minuti dal momento del lancio, un lasso di tempo interminabile per me ma ben speso da tutti coloro che mi hanno soccorso.

 

JP4, Settembre 1976

Modificato da Dave97
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242_tn.jpgMustang - il primo amore del “Cacciatore”

Il "Mustang" ha cotituito l'equipaggiamento tipo di quasi tutte le aviazioni occidentali del dopoguerra ed anche la nostra aeronautica non ha fatto eccezione a tale regola; consegnati nel 1948, gli ultimi esemplari del P-51D vennero radiati solo nel 1956 lasciando un indimenticabile ricordo in migliaia di piloti e specialisti.

 

Lecce, estate 1953; è un giorno come tanti altri e sull'aeroporto, base della Scuola 3° Periodo dell'Aeronautica Italiana, si succedono i decolli e gli atterraggi di Mustang, G.59 e T-6.

Lo spettacolo non pecca di monotonia e tutte le manovre sono seguite attentamente, e molto spesso con trepidazione, dagli istruttori e dal personale di torre.

Ed ecco, tra gli altri, un Mustang che timidamente chiede il suo turno per spiccare il volo; in lontananza sembra un bel giocattolo luccicante ma la realtà è ben diversa per il suo pilota, uno spaurito allievo alle prese con una macchina che sprizza potenza da tutti i bulloni e che tra poco lo trascinerà in cielo.

Ed è proprio questa tensione che gioca un brutto scherzo al pilota. Ricevuta l'autorizzazione l'allievo entra in pista e si allinea, un'ultimo sguardo agli strumenti e via con la manetta.

Il Merlin si scatena e l'asfalto inizia a correre velocemente sotto le ali del caccia; l'accelerazione è esilarante e tutto andrebbe bene se l'allievo non spingesse troppo presto la cloche in avanti.

La coda si solleva e l'aereo, divenuto preda della coppia di reazione dell'elica, inizia una costante imbardata verso sinistra; agli occhi atterriti del pilota la corsa di decollo si trasforma in una terribile lotta ed il contrattempo diviene un dramma.

Invece di reagire con calma e delicatezza, come consiglierebbe la particolare sensibilità dei comandi del Mustang, egli ricorre ad estremi rimedi e, dato decisamente flettner al timone, spinge la pedaliera destra a fondo corsa con tanta forza da rischiare di sfondare la paratia.

Colpito così duramente nella sua sensibilità, il caccia agisce di conseguenza e mentre tutta la base assiste impotente allo strano balletto, il Mustang prende a derapare a rotta di colla dalla parte opposta sempre col motore al massimo dei giri.

Il finale è di prammatica: una volta uscito di pista salta prima un carrello seguito subito dall'altro ed un denso polverone ricopre pudicamente il teatro dell 'esibizione.

Quando giungono i primi soccorritori, c'e ben poco da fare: il Mustang

giace al suolo con l'elica contorta ed il radiatore sventrato e, per dare l'ultimo tacco commovente al quadretto, sull'ala l'allievo piange lacrime di coccodrillo ripetendo di aver provveduto, nonostante tutto, a togliere i contatti ....

Effettivamente il Mustang, benchè intensamente usato dalla Scuola del 3° Periodo (Scuole Puglie a Lecce e Scuole Sarde a Elmas) non era l'aereo più adatto a ricoprire l'impegnativo compito didattico a causa del suo spirito "cacciatore" che pur represso poteva esplodere alla minima occasione con conseguenze imprevedibili specialmente in mani inesperte.

Fissati nelle viscere di questo "mostro" gli allievi reduci dal T-6 , (solo in un secondo tempo fortunatamente temprati dal passaggio intermedio sui G.59 biposto) giungevano rudemente a contatto col velivolo da guerra, con una macchina creata ed affinata esclusivamente per il combattimento e con caratteristiche tali da interessare anche il fenomeno allora quasi sconosciuto della compressibilità.

Il terrore dell'allievo era giustificato e da parte loro gli istruttori si sforzavano di ripetere due raccomandazioni fondamentali per non avere guai col velivolo della North American:

tenerlo sempre su tre punti (in decollo e atterraggio,cercare di toccare il suolo con tutte e tre le ruote il più a lungo possibile) e non lasciarsi tentare dalle picchiate.

Chi ignorava questi due preziosi consigli e voleva sperimentare tecniche di volo personali non tardava a rendersi conto, purtroppo duramente, che in aviazione l'esperienza non ha prezzo.

La preoccupazione era tanta e tale che gli atterraggi senza carrello erano quasi una norma piuttosto che una deprecabile eccezione; impegnati negli ultimi controlli e concentrati nella delicata fase dell'avvicinamento finale gli allievi si dimenticavano della semplice manovra ed eliche e radiatori ne subivano, nel migliore dei casi, le conseguenze.

Nella fase di atterraggio l'errore più comune era quello di giungere troppo veloci, in tal caso nel momento della richiamata finale il velivolo riacquistava quota ed il pilota si trovava nella disdicevole situazione di svolazzare a diversi metri di altezza e in condizioni di stallo.

Altrettanto imbarazzante era il saltellamento che iniziava generalmente in seguito ad un ritardo nella richiamata; l'aereo, colpita con violenza la pista, rimbalzava in aria e poichè tutte le successive azioni del pilota sul timone di profondità invece di inchiodare a terra il velivolo non facevano che peggiorare la situazione, non restava che dare leggere spuntate di motore alla sommità dei balzi per attutire la caduta e, in caso di pericolo, riattaccare decisamente.

Anche un eccesso di zelo poteva causare guai; cosi se al termine di una planata regolare, una volta preso contatto col suolo col solo carrello principale, l'allievo si ricordava del consiglio dei "tre punti" e tentava di forzare in basso la coda tirando a se la cloche, il Mustang obbediva tanto più decisamente quanto più alta era la velocità ed il meravigliato allievo invece di trovarsi fermamente a terra con tutte e tre le ruote scopriva di essere decollato nuovamente mentre preziosi metri di pista scorrevano sotto le ali.

Tale era la sensibilità del velivolo e tutto ciò, lo ripetiamo, non costituiva un difetto bensì una utile qualità di un aereo da caccia, purtroppo scomoda per un addestratore.

All’ altro estremo della scala della velocità il Mustang si comportava altrettanto bene e nello stesso tempo richiedeva una ben precisa procedura di impiego esulando dalla quale si poteva incorrere a guai grossi come case.

La particolare forma penetrante della fusoliera ed il profilo laminare dell'ala lo rendevano particolarmente veloce in picchiate e capace di raggiungere uno dei più alti numeri critici di Mach fra tutti i velivoli a pistoni allora esistenti, in pratica ,il 75% della velocita del suono, prima di entrare in regime di compressibilità.

Come noto tale limite varia con la quota e più in alto ci si trova e più presto ci si avvicina alla velocita del suono; col Mustang i limiti per la rimessa da un'affondata erano:

418 Km/h a 12.192 metri

482 Km/h a 9.138 metri

643 Km/h a 6.096 metri

772 Km/h a 3.047 metri

812 Km/h a 1.521 metri

Quindi per rimettersi da una picchiata eccessivamente veloce la prima manovra da fare era quella di ridurre motore e di non cercare di richiamare il velivolo finchè non si fosse raggiunta una data quota con una velocità indicata inferiore a quella della tabella precedente. L'esatta perdita di quota e la durata del periodo di compressibilità dipendevano soprattutto dall'angolo di picchiata; solo dopo aver perso abbastanza velocità e quota di usciva dal regime di compressibilità , si poteva riprendere il controllo del velivolo senza rischi di cedimenti strutturali.

Generalmente questo discorso si materializzava in una picchiata tra i 2.500 ed i 3.600 metri a seconda delle circostanze, una bella altezza che troppo spesso portava eccessivamente vicini al livello del suolo.

Nel Mustang l'ingresso in regime di compressibilità si avvertiva per la poca rispondenza dei comandi seguita da oscillazioni in avanti e indietro della cloche che provocano un caratteristico movimento di beccheggio con ritmo crescente e sempre più violento.

Come in tutti i casi era importante conservare la calma, ma soprattutto evitare di trovarsi in simili situazioni.

 

JP4 , dicembre 1976

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105_stks.jpg- F 105 Thunderchief -

L 'allarme è stato dato, tutti gli uomini sono ai loro posti in attesa della nuova battaglia.

Hanno lasciato il lavoro nei campi correndo nella risaia, mentre la sirena risuonava tra le case del villaggio, ora le ansiose mani guidano le manovelle di governo per orientare i cannoni e lo sguardo scruta l'orizzonte oltre le basse colline di Lang Met: due formazioni di bombardieri sono segnalate in avvicinamento da sud-est e la loro direzione lascia intuire che questa volta l'obiettivo sarà il ponte sul Ron Noi.

Una colonna di autocarri proveniente da Nanning, in Cina, attende nella foresta la fine dell'attacco, se il ponte verrà colpito i mezzi attraverseranno il fiume sui traghetti di giunche.

Il cielo è 3/8 con cumuli sparsi e offre una magnifica visibilità orizzontale che favorisce il puntamento dei bersagli da entrambe le parti, ma c'e da scommettere che gli yankees avranno molte difficoltà a fare i loro passaggi con questo vento da ovest che li può spingere verso la stretta vallata del fiume.

Due giorni fa l'inferno si è scatenato su questo piccolo angolo di Vietnam ed i rottami calcinati di un Phantom schiantatosi nella risaia restano a testimoniare l'asprezza della lotta.

Ora ogni istante che trascorre aumenta il nervosismo dei serventi alle batterie, per loro è il momento peggiore perchè gli aerei possono arrivare improvvisamente e bisogna essere pronti ad inquadrare il bersaglio, anche Cha Lang Mi, che è ritenuto il più esperto cannoniere del distretto con 9 abbattimenti, non riesce a contenere l'eccitazione. Il suo pezzo compie scatti irregolari mentre copre il lento angolo di esplorazione assegnatogli dal comandante della postazione.

Il silenzio teso è rotto soltanto dagli altoparlanti che trasmettono le comunicazioni dei centri di avvistamento della zona di Hai Duong:

"La formazione è ora 30 chilometri a ovest di Dien Bien Phu, procede a 800 Km/h .... sono scesi a 1200 metri ... piegano nuovamente a est in direzione di Bao Ha, sono due squadriglie di quattro velivoli a distanza di cinque minuti ... saranno su Lang Met fra sette-otto minuti ... hanno superato il primo sbarramento di Bao Da, un velivolo è stato colpito ...”

I missili non hanno potuto fermarli per la quota troppo bassa e la caccia è impegnata contro gli americani su Hanoi e Halphong, l'ultima difesa è affidata quindi alla contraerea locale che è concentrata sulle rive del Rong Noi, intorno al ponte.

Un ultimo sguardo sulla verde risaia ed ecco il consueto, tremendo fischio delle bombe; sul paesaggio tranquillo sfrecciano i primi tre aerei che passano a bassissima quota sull'obiettivo, sono F-105 e le loro lunghe sagome scure superano il ponte per impegnarsi subito in un 'arrampicata vertiginosa, seguita dal rabbioso fuoca delle batterie. La sorpresa è stata completa perchè gli yankees sono arrivati rasentando la cima delle colline, ma le bombe hanno mancato il bersaglio oltrepassandolo di alcune decine di metri; ed ecco la seconda ondata, questa volta attaccano in leggera picchiata da media quota e la contraerea riesce ad inquadrarli subito: il cielo si riempie di esplosioni e di proiettili rossi e arancioni, i mitraglieri sparano con tutte le armi ed il rumore continuo dei cannoncini copre addirittura il rombo degli aviogetti; nonostante il fuoco i 105 sbucano dall'inferno e sganciano allontanandosi dall'obiettivo il ponte è coperto dal fumo ma anche così si vede una sezione metallica pendere nel fiume; hanno colpito duramente, ma anche un 105 si allontana trascinandosi dietro una densa scia di fumo.

Gli americani attaccano nuovamente dopo aver ripreso quota, la contraerea ormai ripresasi completamente dalla sorpresa, controbatte con efficacia impressionante: vediamo distintamente alcuni pannelli della coda volare via da un Thunderchief colpito nel ventre da un colpo di 37 mm, l'aereo, dopo un pericoloso sbandamento, sgancia il suo carico e fugge in direzione della foresta.

Sembra incredibile che questi caccia possano superare una simile muraglia di fuoco: numerosi sono i colpi che esplodono contro le loro strutture, ma nessuno precipita e nel frattempo continuano a piovere le bombe.

Con la terza ondata l'obiettivo si sposta, vengono presi di mira due postazioni di missili a valle del ponte, per alcuni istanti le rampe sono coperte dal fumo mentre le sorde esplosioni e il crepitio delle mitragliere risuonano sulle rive del Rong Noi, poi, improvvisamente, la battaglia finisce.

Rapidi come sono venuti, i 105 sono scomparsi, il cielo è ora pieno di fumo e l'odore della cordite bruciata ha raggiunto anche il nostro posta di osservazione.

Nessuno ancora si muove, tutti attendono il ricognitore americano che verrà a riprendere la scena dell'attacco; di nuovo gli occhi scrutano l'orizzonte mentre il radar e pronto ad agganciare il bersaglio solitario. Dopo due minuti lo vediamo anche noi scendere in picchiata dalle colline e la terribile muraglia difensiva si riforma nel cielo davanti all'aereo che sguscia incredibilmente tra mille esplosioni scomparendo nella vallata.

Ci assale un'ira incontenibile: il ponte danneggiato gravemente e due postazioni SAM colpite senza alcuna perdita avversaria!

Ci attacchiamo ai radiotelefoni per comunicare lo svolgimento della battaglia e finalmente riceviamo una buona notizia: un 105 danneggiato dalla contraerea di Lang Met è precipitato a circa 200 Km da noi, il pilota è stato recuperato da un elicottero americano.

A Korat i Thunderchief rientrano sgravati del loro carico bellico; le aperture si susseguono ed i caccia atterrano con regolarità raggiungendo subito lo schieramento.

Sono segnalate due "emergenze" ed il dispositivo di soccorso attende lungo la pista; uno dei 105 ha avuto i serbatoi danneggiati e sta rientrando letteralmente attaccato ad un KC-135 mentre l'altro è impegnato in una tremenda lotta con l'impianto idraulico colpito dalla contraerea e da un momento all'altro può "andare di sotto".

Sono gli ultimi momenti di ansia, ma tutto va bene;

sarà stata abilità, sarà stata fortuna?

"NO, è il THUD", dicono i piloti appena rientrati dall'azione.

Recensione della Populysti Gazetha di Bucarest

JP4 , Novembre 1973

Modificato da Dave97
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  • 3 settimane dopo...

Il comandante è volato fuori

Un volo di normale routine per presentare l'aeroplano, un Cheyenne II, a un probabile acquirente.

Da Ginevra a Digione e ritorno, poco più di un'ora di vola in tutto.

A bordo, oltre il comandante e proprietario del velivolo, salgono quattro passeggeri, due dei quali sono piloti professionisti, ma non abilitati al pilotaggio di quella macchina: uno è il comandante Guido.G., italiano (6.000 ore di volo), l'altro è il comandante Jerry S. inglese (16000 ore di volo).

Senza storia il volo fino a Digione.

Per il ritorno, al posto di pilotaggio di sinistra siede il comandante Guido assistito, nel posto di pilotaggio di destra, dal comandante responsabile del volo.

Il tempo è molto brutto, si entra in nube appena dopo il decollo, c'e turbolenza e ghiaccio; passando i diecimila piedi, si accende il segnale di "cabina non pressurizzata".

I due piloti non fermano la salita e continuano fino a 130, che è il livello richiesto nel piano di volo.

Si cerca di individuare le cause dell'inconveniente, anche se non c'e da preoccuparsi più di tanto perchè la quota richiesta consente di volare senza pressurizzazione per qualche tempo.

Tutto si svolge con calma assoluta; in pratica, non si tratta di una vera e propria emergenza.

Ma il proprietario del velivolo e pilota in comando vuole accertare la causa della mancata pressurizzazione (non gli era mai accaduto prima) e, dopo aver fatto tutti i controlli suggeriti dal manuale, pensa di verificare la chiusura della porta di entrata che lui stesso, salendo per ultimo sull'aeroplano, aveva accostato.

Si rivolge a Jerry S., seduto insieme ai due passeggeri, e gli chiede di verificare se la porta è chiusa.

Jerry guarda e riferisce che la maniglia è in posizione verticale.

Quando la porta è chiusa la maniglia deve essere in posizione orizzontale; l'inconveniente, dunque, nasce dalla porta.

Il proprietario dell'aereo chiede allora a Jerry di girare la maniglia, ma quest’ultimo risponde che lui, in volo, la porta non la tocca.

Anche Guido si rifiuta di toccare quella dannata maniglia.

A questo punto, visto che i due non intendono assumersi la responsabilità di rimediare alla sua disattenzione, si alza egli stesso,lascia il suo posto di "secondo" e si dirige verso la porta

nella parte posteriore del velivolo.

L'aereo è sempre in nube, la temperatura esterna è di meno 25 gradi centigradi.

Dice Jerry:

"Ho visto quel signore avvicinarsi alla porta e provare a girare la maniglia che, però, non si muoveva.

L'ho visto poi osservare i bordi laterali per qualche secondo; poco dopo, con una mano, ha toccato il pomello di sgancio e con l'altra ha tentato di girare la maniglia.

A questo punto, in una frazione di secondo, l'ho visto uscire dall'aereo come un razzo.

E’ volato via non verso il basso, ma verso l'alto.

Sparito!!

Sono andato avanti e ho detto a Guido: "He's gone".

Guido, mi ha guadato sbalordito e mi ha detto: "che cosa vuol dire gone?"

"Vuol dire che è sparito, che è uscito fuori dell'aereo, che non c'e più!".

Dice Guido:

"A un tratto avevo sentito un gran botto e contemporaneamente un vento fortissimo e entrato nell'aereo che subito ha imbardato.

Poi è venuto verso di me Jerry e mi ha detto della scomparsa del proprietario.

Non ci volevo credere.

Ho chiesto a Jerry di entrare in cabina al posto di pilotaggio di destra e lanciare il Mayday.

Io intanto mi trasferivo nella parte centrale dell'aereo sia per calmare i due passeggeri, sia per cercare di richiudere la porta che così aperta rappresentava un gravissimo pericolo.

Le cerniere che la tenevano vincolata alla struttura potevano cedere da un momento all'altro e finire sui piani di coda".

Ma, avvicinandosi alla porta, Guido fa una scoperta sbalorditiva:

un piede, il piede del comandante scomparso nel vuoto, è incastrato nella parte sinistra in basso dell'apertura.

Chiede a Jerry di ridurre la velocità (al momento dell'apertura della porta, l'aereo volava a 180 Kts) e, aggrappandosi ai lati dell'apertura, si spinge appena fuori e vede una scena raccapricciante:

il proprietario dell'aereo è, attaccato al cavo che sostiene la porta quando è aperta, completamente sospeso nel vuoto.

E’ quasi nudo, cianotico, i vestiti sono stati strappati, ha la faccia deformata dal vento.

Per metà è ricoperto di ghiaccio.

Jerry ha lanciato intanto il suo messaggio di soccorso; da terra chiedono il motivo del Mayday.

"Il nostro comandante è volato fuori dell' aereo", dice Jerry.

Da terra, rispondono impassibili:

"Copiato, mantenete il livello 130 e restate in attesa di istruzioni" .

Guido, incastrandosi tra i due sedili posteriori, è, intanto, riuscito ad afferrare il piede del comandante.

Attraverso un passeggero riesce a comunicare con Jerry, che ha ridotto la velocità a 95 Kts, flap fuori.

Il vento e il rumore nell' aereo non permettono ai due piloti di parlarsi direttamente;

Guido da le istruzioni a uno dei passeggeri (una signora) che le riferisce in cabina di pilotaggio.

Si tratta, ora, di inclinare l'aeroplano e fare opportune manovre per facilitare il recupero del comandante.

Jerry, volando in nube, da destra, senza conoscere i parametri dell'aereo su cui sta volando per la prima volta, ottempera perfettamente alle richieste di Guido.

Lo stesso Guido, continuando a lavorare davanti alla porta con eccezionale sangue freddo, riesce così a recuperare lo sfortunato comandante che viene adagiato lungo il corridoio, semi assiderato.

Ma l'emergenza non è finita.

La porta, malgrado la velocità ridotta, sembra non poter resistere ancora molto;

Guido, lasciato il passeggero alle cure degli altri, cerca di trattenere il cavo della porta in qualche modo.

Jerry, intanto, riceve le informazioni per l'avvicinamento; ma non conoscendo l'impianto radio, non cambia la frequenza su cui era sintonizzato.

E su quel a frequenza viene istruito fino a terra.

L'atterraggio avviene con la porta aperta.

Appena a terra, l'aereo è circondato da pompieri e ambulanze.

Non è stato facile spiegare non tanto l'uscita del comandante dall'aereo quanto il suo rientro.

A terra i tecnici hanno poi controllato la porta; avrebbe resistito si e no due minuti; poi, si sarebbe staccata e non ci sarebbe stata salvezza per gli occupanti del Cheyenne.

E questa storia non avremmo potuto raccontarla.

 

Volare ,Maggio 1987

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f104.thumbnail.jpgScramble-Scramble

... mentre sto cenando penso che domani mattina, dopo esser smontato, potrò finalmente andare a pesca sul lago e provare la nuova canna che ho comprato la settimana scorsa.

Sto giusto assaggiando il contorno quando l'ululato della sirena di allarme si diffonde per tutta la palazzina.

Con rammarico interrompo il pasto ed insieme al mio gregario mi fiondo verso lo shelter assegnato; mentre corro penso che prima o poi devo smettere di fumare perchè i cinquanta metri che mi separano sembrano cinquanta chilometri.

Finalmente salgo sul velivolo:

«starter, manetta su idle e piattaforma inerziale».

Comincio a legarmi aiutato dal capo velivolo.

Un'occhiata alla temperatura della turbina mi dice che la messa in moto procede regolarmente.

Dopo cinquanta secondi sono già legato con il motore "idle", il mio capo velivolo toglie le spine dal mio Martin Baker, da una rapida occhiata per controllare che in cabina sia tutto OK e infine allontana la scaletta.

Mi metto il casco e chiamo la torre di controllo che prontamente risponde con le istruzioni per il rullaggio.

Via i tacchi, Motore, e dalla luce dello shelter piombo nella oscurità notturna.

Mentre rullo speditamente, attenuo le luci cabina e faccio un rapido giro di controlli: tutto OK.

Arrivato alle spine di armamento missili, la torre mi da le istruzioni di «scramble»:

« uscita n° 4, vettore 220°, angeli 39, crc lupo, canale 27, missione per identificazione. »

Ripeto i dati via radio e li scrivo sui cosciale, chiedo l'autorizzazione di entrata in pista per decollo immediato e ricordo al n 2, il mio gregario, di effettuare i controlli predecollo.

Mentre il velivolo entra in pista do uno sguardo in cabina:

flaps su t-off , pressioni idrauliche nei limiti, spine seggiolino rimosse, tettuccio chiuso e bloccato, OK posso andare.

Motore military, giri 100 %, post bruciatore ed incomincio la corsa di clecollo facendo un controllo incrociato tra le luci pista e gli strumenti.

Stacco il velivolo dalla pista a 200 kts (360 Km/h), carrello su, spie spente, flaps su.

Molto presto raggiungo la velocità di salita e porto l'assetto a cabrare a circa 35° sull'orizzonte artificiale.

Entro dentro le nuvole a 3.000 piedi e mi concentro maggiormente sugli strumenti onde evitare di andare in vertigine dato l'assetto molto accentuato di salita e contemporaneamente penso al n° 2 che ha non poche difficoltà a seguirmi su radar di bordo; a sciogliere questi dubbi interviene la sua voce confermandomi di essere in contatto radar con il mio velivolo.

Intanto l'altimetro sta girando come un forsennato, 10.000 piedi, 15.000, 25.000, passando per i 36.000 incomincio ad attenuare il rateo variometrico, finalmente livello a 39.000 piedi (12.000 metri) prossimo a mach 1, levo il post-bruciatore e faccio un rapido giro di controlli: tutto OK.

Chiamo il CRC dandogli il livellamento a 39 angeli e subito mi conferma che siamo sotto controllo positivo del radar di terra. Chiedo informazioni sui target e risponde che la distanza attuale che ci separa e di 80 miglia, che la sua velocità è di mach 0.8 e che la curva di attacco sarà una curva Beam Stern (attacco a 90° con conversione sulla rotta del target).

Controllo di avere l'armamento in sicura e passo il radar di bordo su aria-aria.

Mentre mi avvicino al target incomincio a pensare a cosa mi troverò davanti dato che con questa notte senza luna sarà molto problematico riuscire a stabilire la matricola dello sconosciuto.

Finalmente ho una traccia sui radar in corrispondenza della posizione passatami dal CRC;

«contact con il target» esclamo via radio e contemporaneamente eseguo una accostata di venti gradi poichè sono un po' anticipato rispetto ai novanta gradi della curva di attacco.

La distanza che mi separa diminuisce rapidamente e finalmente alzando gli occhi vedo in lontananza due Strobe Lights bianche che si avvicinano a novanta gradi rispetto alla mlia rotta. L'esperienza mi dice di continuare l'intercettazione sui radar in quanto facendola a vista di notte si rischia di sbagliare la curva di caccia perchè il senso della distanza e degli angoli viene notevolmente falsato.

Arrivato finalmente al punto di inizio virata inclino il velivolo a 45° e mantenendo il target al centro del radar faccio il Lock-on trasmettendolo al CRC.

Dato che la mia velocità di chiusura sul target è elevata incomincio a ridurre un po' di motore controllando ulteriormente che l'armamento sia in sicura (m viene in mente il B.747 Sud Koreano).

Completata la curva di attacco finalmente posso alzare la testa e vedere il mio target: accidenti ha due strobe lights che sembrano due flash da fotografi tanto mi abbagliano. Cautamente incomincio ad avvicinarmi mantenendo una velocità di chiusura bassa ed ordinando al gregario di posizionarsi in range sul target.

Finalmente sono a poche centinaia di metri e dalle luci accese poste in fusoliera posso intravedere il tipo di velivolo: un Boeing 707 della Air France: non soddisfatto devo avvicinarmi ulteriormente per leggere la matricola, con notevoli sforzi nel passare con gli occhi dall'oscurita della notte alla luce soffusa degli strumenti, ma finalmente giungo abbastanza vicino da pater leggere F-ANSA.

Comunico le mie osservazioni al CRC chiedendo un recovery (rientro alla base) di minimo consumo.

Il Tacan stranamente dice che mi trovo a 180 miglia dalla base ed il carburante a disposizione non è certo abbondante.

Comunico al mio gregario di venire in coppia stretta e dopo un rapido calcolo chiedo al CRC un livello di volo compreso tra 280 e 300 che mi permetterà di consumare meno del dovuto. Finalmente dopo circa sedici minuti di volo incominciamo il GCI

, controlli pre-discesa OK, lentamente l'altimetro incomincia a diminuire ed io penso nuovamente alla cena lasciata a metà, ma in fondo non ho più fame.

Siamo a poche miglia dalla base ed il carburante mi consiglia di effettuare un atterraggio in coppia per non scendere sotto il bingo (carburante necessario per raggiungere l'aeroporto alternato).

L'altimetro segna 2.000 piedi, QNH inserito, flaps T/O, carrello giù, flaps land, ed il mio gregario esegue fedelmente i miei ordini.

Incominciamo il sentiero di discesa a circa 200 nodi dietro la voce amica dell'operatore GCA: faro acceso e via concentro sull'atterraggio.

A destra 155°, sul sentiero, ... sentiero, a sinistra 150, allineati sull'asse pista, ... sentiero, ... sentiero, minime GCA: alzo la testa e la pista illuminata mi viene incontro.

Allineandomi sulla mia mezzeria sorvoliamo la testata n° 2 aerofreni.., ora!, richiamo dolcemente diminuendo lentamente il motore, tocchiamo a 160 nodi, parafreno, freni, steering ingaggiato, faro di rullaggio.

Lasciamo la pista e ci avviamo alla piazzola di disarmo missili: pochi minuti dopo al parcheggio compiliamo il libretto e ci avviamo al gruppo per il rapporto post-missione.

Accendo una sigaretta e penso che anche se stanco posso andare a riposarmi soddisfatto del mio lavoro.

 

JP4, Maggio 1984

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f18-2.jpgF18

La missione affidatami per il volo consiste nell'orbitare attorno a un punto e a una quota stabiliti per intercettare eventuali incursori in avvicinamento alla Coral Sea.

Volerò sotto il controllo di un E2C Hawkeye, che mi chiamerà e mi guiderà su di loro.

Effettuati i controlli a terra, salgo a bordo, e mi allaccio al seggiolino.

Con l'alimentazione elettrica estema eseguo i check alle apparecchiature e avvio la piattaforma inerziale, che impiegherà circa 4 minuti ad allinearsi (cioè immagazzinare ed elaborare i parametri relativi alla missione che le sono stati immessi, n.d.r.).

E’ il momento di accendere i motori; aiutato dalla turbinetta ausiliaria avvio prima il motore di destra, poi quello di sinistra. Chiudo il canopy e mi concentro sugli strumenti: i tre CRT a mia disposizione mi permettono di scegliere e visualizzare tutte le informazioni nel modo che preferisco; la loro grafica è così semplice che basta uno sguardo per inquadrare la situazione.

Il tempo è ottimo, il mare è relativamente calmo, la portaerei ha solo un leggero beccheggio.

Ma la mia missione durerà circa 90 minuti e al mio ritorno le condizioni meteorologiche potrebbero essere cambiate.

Il "taxi-director" con un segnale convenzionale ordina ai suoi uomini di rimuovere le catene che ancorano il mio aereo al ponte; allaccio la maschera dell'ossigeno, così posso già utilizzare la radio nel caso di un'emergenza, come un guasto ai freni.

Il rullaggio di un aereo di 22 tonnellate su un ponte in movimento, reso sdrucciolevole dagli spruzzi d'acqua salmastra, dalle perdite di fluidi idraulici e di cherosene e spazzato da raffiche di vento, non è mai un'impresa facile.

A tutto questo bisogna aggiungere la notevole inerzia che l'Hornet accusa durante le sterzate a causa del muso così lungo e della gamba anteriore del carrello troppo arretrata (è uno dei pochissimi difetti di questo velivolo).

Oggi, comunque, il rullaggio è breve, perchè vengo subito diretto sulla catapulta di lancio.

Il peso del mio aereo, che è stato segnato col gesso sul portello del carrello, viene segnalato all'addetto ai comandi della catapulta, il quale regolerà di conseguenza la pressione del vapore.

Mi preparo, ripassando mentalmente le procedure di emergenza per l'eventualità di una piantata dei motori o di un malfunzionamento della catapulta: allora non c'e che il ricorso al seggiolino eiettabile.

Ci siamo.

Ricevo l'ordine di dare massima potenza: per la missione di intercettazione, che richiede l'imbarco di due Sparrow e di due Sidewinder, non è necessario usare il post-bruciatore.

Faccio un rapido controllo degli strumenti dei motori, saluto il "catapult officer" e, con la nuca contro il poggiatesta, mi preparo ad assorbire la violenta accelerazione.

In pochi attimi la sequenza si completa: il "catapult officer" controlla il mio aereo, volge lo sguardo ai suoi uomini i quali, terminati i controlli, gli fanno segno, con il pollice in su, che è tutto a posto.

Volgendosi verso prua, da il segnale di "sparo".

La corsa della catapulta è breve, ma "intensa".

L'aereo decolla senza che io debba intervenire sui comandi.

Sono in aria, tiro su il carrello e non appena sono livellato a 200-300 piedi, accendo il radar e lo seleziono sul modo aria-aria; preparo i missili ed eseguo un rapido check degli strumenti.

Noto immediatamente che il radar si è agganciato automaticamente a un aereo che mi precede di 3-4 miglia.

E’ uno dei nostri, decollato prima di me

Salgo a 20.000 piedi e, selezionata la frequenza radio dell'Hawkeye, mi faccio identificare e dirigere alla mia area di pattugliamento.

L 'F / A 18 è molto agile e la cosa mi stupisce ancora, anche se ho ormai al mio attivo circa 650 ore di volo su questo aereo, dopo averne fatte 1.500 sull'F 4 Phantom.

Ma l'Hornet non è solo un velivolo di nuova generazione, e un sogno concretizzatosi nella realtà.: il profilo delle ali si modifica automaticamente per compensare la velocità, la quota e i carichi; e con un rapporto spinta/peso superiore a 1 si può tirare indietro con forza la cloche, spingere a fondo le manette, inserire il post-bruciatore e salire verticalmente con un'accelerazione che mozza il fiato.

E’ trascorso qualche minuto e l'Hawkeye mi chiama, dirigendomi verso un obiettivo in arrivo da nord.

Accelero, scendo per raggiungere la quota del mio target ed ecco che il radar lo aggancia, fornendomi tutte le informazioni che mi serviranno per stabilire quale tecnica mi converrà adottare per il combattimento.

La Coral Sea è impegnata in un'esercitazione con la portaerei francese Foch, che è il nostro avversario di turno.

E infatti, l'aereo che mi preparo ad affrontare è un velivolo della Marine Nationale, un Super Etendard.

Quando lo raggiungo, il suo pilota mi vede troppo tardi e cerca di guadagnare la sua prua su di me con una virata a sinistra.

Accendo la videocamera per registrare tutto il combattimento (simulato, s'intende): essa è posta proprio di fronte a me e riprende, in sovrapposizione, anche i dati dell'HUD.

Così, durante il de-briefing, potrà dimostrare il successo della mia missione.

Eccolo, è nel mirino.

Seleziono il cannone e cerco di collimare proprio sul suo abitacolo. Il francese cerca di farsi sorpassare tirando al massimo la cloche, vira a destra e comincia a scaricare combustibile, per alleggerirsi.

A questa punto, comincio a preoccuparmi del fatto che il mio "avversario" possa ritrovarsi in un assetto pericoloso (uno stallo, bassi come ci troviamo, potrebbe essere fatale) per cui decido di interrompere questo duello simulato.

E’ il momento di rientrare.

Raggiungo una cisterna KA 6D per rifornirmi: ho consumato parecchio JP 5 durante il combattimento con l'aereo della Foch.

Poi, mi aggrego ad altri due Hornet della mia squadriglia e voliamo in formazione; raggiunta la nave, abbassiamo il gancio e ci inseriamo nel circuito di atterraggio.

Siamo a 600 piedi, passiamo sulla nave e siamo in apertura.

Giù flap e carrello, veloce ripasso mentale delle procedure di emergenza.

In questo momento, mi devo concentrare su tre cose: sull'HUD, che mi indica la velocità, la direzione, la quota e l'angolo di attacco, e attraverso il quale vedo man mano ingrandirsi la nave; sulla striscia centrale della pista e sulle lenti Fresnel, che mi segnalano l'inclinazione del sentiero di discesa.

Impostato un rateo di discesa di 700-800 piedi al minuto, agisco sulle manette e sulla cloche per mantenere il mio aereo sul sentiero, tenendo conto, nel frattempo, che la nave si muove allontanandosi da me a circa 30 nodi di velocità e che la pista sulla quale mi poserò è angolata sulla sinistra di 10 gradi: si sposta, cioè, lentamente verso destra.

Ormai sono all'altezza delle funi di arresto.

Spingo al massimo le manette per essere in condizione di riattaccare immediatamente nel caso il gancio dovesse mancarle tutte e quattro.

E’ andata bene: ho agganciato la terza fune.

La frenata è violentissima, l'aereo si schiaccia tutto in avanti, poi si ferma.

Mi viene segnalato di sollevare il gancio e di ripiegare le semiali, poi vengo diretto verso l'area di parcheggio.

Per dieci minuti sarò impegnato negli ultimi controlli e a discutere con gli specialisti delle anomalie eventualmente riscontrate durante la mia missione.

Ho appena portato a termine una missione di intercettazione. Questo pomeriggio, dovrò farne una di attacco.

Niente di strano: il bello dell'Hornet è proprio questo.

 

Volare, Marzo 1986

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  • 1 mese dopo...

vamp_ami2.jpgDe Havilland D.H. 100 Vampire

E' stato il primo caccia a reazione comparso in Italia ed adottato dalla nostra Aeronautica.

Dalla caratteristica forma col doppio trave di coda, aveva una corta e panciuta fusoliera dove il pilota aveva alle spalle il motore con compressore centrifugo, quindi di grosso diametro, e sotto i piedi quattro cannoni da 20 millimetri.

Il pilotaggio era per la maggior parte molto facile, con però alcune particolarità alle quali si doveva fare molta attenzione.

La prima era che il sistema di controllo del motore era piuttosto primordiale per cui bisognava andarci molto cauti nel dare manetta.

Se questa veniva avanzata troppo in fretta poteva succedere il cosiddetto rumbling, altro non era che lo stallo del compressore che, nei casi più gravi poteva portare anche allo spegnimento del motore.

Un'altra doppia particolarità era rappresentata dal carrello.

In primo luogo se il velivolo montava le taniche subalari bisognava operare la retrazione del carrello immediatamente dopo aver staccato le mote da terra e a bassa velocità, altrimenti la depressione provocata dalle taniche impediva la chiusura dei portelli delle ruote, in secondo luogo i freni, a tamburo, erano azionati da aria compressa che provocava l' espansione di una camera elastica che faceva aderire i ferodi circolari all'interno dei cerchioni delle ruote.

Se la frenata si protraeva troppo a lungo, queste camere elastiche fondevano lasciando sfuggire tutta l'aria compressa e la frenata diventava nulla.

Non era raro il caso di aeroplani che, avendo frenato troppo, finivano la corsa di atterraggio fuori pista, quando andava bene, o contro una serie di aeroplani parcheggiati provocando un mezzo macello, quando andava male.

Nel volo di decollo, da allievi, sperimentammo per la prima volta la presenza del velivolo chase cioè di un istruttore che ci seguiva da vicino con un'altro aereo, essendo all'epoca, tutti gli aeroplani da caccia invariabilmente monoposto.

Tramite la radio potevamo quindi usufruire dei consigli dell'istruttore che ci teneva d'occhio.

Una cosa emozionante fu la missione dei tiri a fuoco.

I quattro cannoni da 20, tutti raggruppati nella pancia, provocavano un vero uragano, anche come rumore, essendo posizionati a pochi centimetri sotto il sedere.

Una particolarità curiosa: alcuni velivoli erano originali inglesi mentre altri erano quelli costruiti dalla Macchi e dalla Fiat.

Questi ultimi avevano montato degli altimetri in metri, anzichè in piedi, di provenienza francese.

Ora tutti sanno, i piloti s'intende, che l'altimetro in piedi ha la comodità di avere una lancetta che compie un giro completo in mille piedi, con la suddivisione in centinaia e decine molto ben interpretabile.

Quelli francesi invece non potendo compiere un giro ogni mille metri, scala troppo piccola, avevano una lancetta che faceva 500 metri ogni giro e un'altra più piccola che enumerava i giri compiuti dalla lancetta dei 500. Non mi stò a dilungare in altre spiegazioni ma dirò soltanto che tali altimetri erano di così difficile interpretazione che li usavano solo gli istruttori i quali tuttavia si confondevano spesso anche loro e così chiedevano a noi, che volavamo fianco a fianco e che avevamo l'altimetro in piedi : "Dimmi un po', a che quota siamo ?"

Fortuna che ben presto questi micidiali altimetri vennero buttati e sostituiti con i classici che misurano la quota in piedi.

Una ulteriore curiosità era quella dei serbatoi e relativi televel.

I serbatoi erano addirittura nove così distribuiti : due alari principali, sei secondari raggruppati a tre a tre sempre nelle semiali ed infine uno in fusoliera.

I televel erano cinque, uno per il serbatoio di fusoliera, due per i principali alari e altri due per i secondari riuniti.

Siccome però tutti i serbatoi erano in comunicazione tra di loro tramite tubazioni a portata limitata, accadeva che solo nel volo perfettamente stabile e livellato i televel indicavano lo stesso valore sia a sinistra che a destra.

Bastava una piccolissima manovra che il carburante si distribuiva in modo diseguale tra i vari serbatoi e quindi ognuno dei cinque televel segnava un valore diverso.

Ciò non aveva nessuna importanza nei voli manovrati ma quando alla fine facemmo un volo di navigazione di due ore, bisognava di tanto in tanto controllare la quantità di carburante per verificare l'esatto consumo.

Ma i televel non erano visibili facilmente perchè nascosti dalla barra di comando, piuttosto voluminosa.

Per leggerli bisognava cacciare la testa sotto e di lato e questa operazione durava una buona manciata di secondi per poter sommare cinque valori diversi.

Data l'estrema leggerezza del comando degli alettoni, caratteristica ottima in manovra, poteva succedere che durante l'operazione di sommatoria dei televel l'aeroplano si mettesse a rollare senza che il pilota se ne accorgesse, con grande spavento quando poi si riacquistava la visione estema.

A me capitò di trovarmi esattamente a coltello, ma un mio collega si trovò addirittura rovesciato, usci tirando un mezzo looping superando tutti i limiti possibili di velocità e svergolando l'aeroplano in modo notevole.

Meno male che la proverbiale robustezza di questa macchina lo preservò dalla distruzione.

Dopo il Corso da allievo, in cui si facevano in tutto una decina di ore, tornato ad Amendola come istruttore qualche anno dopo, ebbi occasione di fare solo due o tre voli su questa tipo di aeroplano.

Furono voli molto piacevoli perchè, ormai esperto pilota, potei gustare con grande soddisfazione la facilità di pilotaggio e la grande maneggevolezza di questa semplicissimo ma efficiente caccia.

 

La mia vita in aeronautica militare

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La manifestazione del 2 giugno

Siamo nel 1953, otto anni dopo la fine della guerra.

La nostra Aeronautica si sta assestando e, a dimostrazione della rinata efficienza e credibilità, viene deciso in alto loco di effettuare una grandiosa parata aerea a Roma in occasione del festeggiamento della proclamazione della Repubblica che ricorre il 2 di giugno.

Devono venire coinvolti tutti gli aeroplani in grado di volare e quindi si provvede per tempo a riposizionare molti reparti negli aeroporti vicino a Roma come basi di partenza per la parata che deve svolgersi sopra la via dei Fori Imperiali.

Quindi sull'aeroporto di Latina vengono posizionati tutti i G.59 più gli S.82. A Frosinone tutti i T.6.

A pratica di mare tutti i Vampire.

Gli F.84 rimasero nelle loro basi del nord essendo in grado di volare fino a Roma e ritorno grazie alla loro superiore velocità e sufficiente autonomia.

Noi sette novelli istruttori che siamo appena stati trasferiti in Sardegna veniamo subito coinvolti, parte sui G.59 di Elmas destinati a Latina e parte sui T.6 destinati a Frosinone.

 

Il 26 maggio verrà speso sia per la messa a punto di tutti gli aeroplani da parte degli specialisti sia per una serie di briefing per noi piloti.

Capo formazione è il colonnello Pezzè il quale si assume il compito di istruire gli equipaggi sul da farsi.

Si sistema alla cattedra della grande aula dove siamo tutti riuniti, una cinquantina circa.

Per prima cosa dice che vi sono delle norme da leggere e siccome non vuole sgolarsi chiede che il sottotenente più giovane venga al suo fianco per coadiuvarlo a leggere dette norme.

Dopo una rapida consultazione si scopre che il sottotenente più giovane sono io, perciò mi affianco, non senza un reverenziale rispetto, al famosissimo grande pilota qual' e il colonnello Pezzè e per tutti i presenti leggo a voce alta quello che lui mi indica di volta in volta.

La formazione totale dovrà essere divisa in due formazioni di sedici velivoli ognuna delle quali composta da quattro Vickers in ala destra.

La seconda formazione, che dovrà seguire vicinissima alla prima, sarà comandata dal colonnello Aurili, capo pilota di Elmas.

Il decollo viene stabilito che avvenga in sezioni di due velivoli alla volta distanziate di dieci secondi.

La prima sezione si posizionerà a circa un terzo della pista e tutti gli altri seguiranno posizionandosi il più vicino possibile e attendendo il decollo con il motore a 2300 giri che è il regime ottimale per non far bollire il glicol del raffreddamento e per non sporcare le candele.

Si scoprirà poi che non tutti i 32 velivoli riusciranno a posizionarsi entro la pista ma questo, per gli ultimi, si rivelerà un vantaggio, vedremo poi il perchè.

Eseguito il volo, che dovrà servire come allenamento ad una formazione cosi grossa alla quale nessuno aveva mai, o quasi mai partecipato, si presenterà il problema dell'atterraggio.

Bisogna sapere che essendo tutti, meno noi giovani, piloti che hanno fatto la guerra, costoro erano abituati ad atterrare sui campi di aviazione vecchio stile, senza la pista e senza nessun ordine ma come capitava capitava, arrangiandosi a schivarsi a vicenda.

Ora però la cosa è diversa, bisogna atterrare in pista e con ordine tutti quanti, compito non facile per chi non ci ha mai provato in cosi grande numero.

La cosa più logica sarebbe stata di fare l'apertura ma anche questa manovra era pressochè sconosciuta alla maggior parte di noi per cui, con salomonica decisione il colonnello Pezzè stabilsce che bisognerà atterrare come tutti o quasi siamo abituati a fare alle scuole e quindi specifica :

"passerò sulla verticale della pista nel senso dell'atterraggio alla quota di mille piedi.

Alla fine pista eseguirò una virata di 180 gradi a sinistra e mi posizionerò in sottovento.

Durante la virata tutti i gregari si distanzieranno posizionandosi in fila indiana ad una distanza ragionevole.

Tutti estrarranno il carrello e, arrivati in corrispondenza dell'inizio pista faranno quello che sono abituati a fare, cioè : motore al minimo, fuori tutti i flaps e, con una virata di 180 gradi in discesa atterreranno alternativamente uno a destra ed uno a sinistra della pista.

E'tutto chiaro?"

Il giorno dopo però il tempo è cattivo e si rinuncia alla prova di volo.

Siamo alla fine di maggio e quasi sempre la giornata inizia bene ma poi rapidamente si cosparge di numerosi cumuletti che si trasformano in cumuli e poi scaricano pioggia sotto forma di temporali, classico tempo estivo !

Il primo volo riusciamo a farlo il giorno 28.

Io sono il capo-coppia, prima sezione della seconda Vickers della seconda formazione.

Sono il numero 23 !

Ci posizioniamo in pista e attendiamo il nostro turno di decollo.

Io sono alla destra del mio capovickers sommerso in mezzo alla mare a di aeroplani.

Come da istruzioni, che del resto sapevo bene anche prima, do motore a 2300 giri, eseguo la prova motore sempre premendo con forza i pedali dei freni.

Guai se mi sfuggisse per distrazione un freno, sarebbe un macello, così vicino a tutti i velivoli che mi precedono.

Dopo un po', quando parecchi G.59 devono ancora entrare in pista, iniziano i decolli delle coppie.

I 10 secondi di intervallo tra una coppia e l'altra, scanditi dalla Torre di Controllo, mi sembrano un'eternità, comincio ad avere dei crampi ai piedi per lo sforzo fatto sui pedali che non sono affatto comodi essendo piuttosto corti.

Provo a pensare di mettere il freno di parcheggio, ma questo è troppo scomodo da raggiungere con le bretelle già strette per cui rinuncio e cerco piano piano di sistemare meglio i piedi sulla pedaliera senza però diminuire la relativa pressione.

E' una tensione terribile, mi cominciano a tremare le gambe e non vedo l'ora di decollare.

Ecco perchè considero fortunati gli ultimi che non essendo ancora entrati tutti in pista devono attendere molto meno col motore al freno.

Se Dio vuole dopo ben 11 intervalli di 10 secondi da quando è partito il primo tocca finalmente a me.

Mollo i freni e do tutto motore con grande sollievo.

Il mio gregario mi segue attaccatissimo.

Ci aggiustiamo ben presto in formazione e, dato il generale elevato grado di allenamento, il volo riesce molto bene.

 

I guai si presentano all'atterraggio.

Il colonnello capo-formazione ci porta sulla pista a 1000 piedi come annunciato e poi rompe a sinistra per portarsi in sottovento seguito da tutti i gregari che si mettono in fila indiana.

Io non mi curo di guardare a terra per controllare la mia posizione, fidando in quelli che mi precedono.

Quando quello davanti a me estrae il carrello, con un ragionevole ritardo lo estraggo anch'io e proseguo immaginando di essere sottovento.

Vedo quelli che mi precedono che, ad intervalli regolari virano a sinistra in discesa per portarsi in finale.

Quando anche il mio immediato predecessore vira, aspetto qualche secondo e faccio quello che aveva detto il colonnello Pezzè :

eseguo la procedura che ho imparato a scuola e cioè tolgo tutto motore, estraggo tutti i flaps e con 180 gradi di virata mi porto in finale….

….ma a questa punto mi viene un colpo !

Sono vicinissimo a terra ma anzichè la pista sono quasi sugli alberi e vedo davanti a me un buon numero di aeroplani che razzolano bassissimi.

Della pista neanche l'ombra !

Do tutto motore e procedo col cuore in gola sfiorando le piante cercando di non perdere di vista quelli che mi precedono, naturalmente con grande difficoltà dato l'assetto molto cabrato e i quasi quattro metri di muso che ho davanti agli occhi.

Come se non bastasse, ad un certo punto vedo che alcuni di quelli davanti a me cambiano la relativa posizione rispetto al lato della pista, cosicchè io che dovevo atterrare a destra devo spostarmi a sinistra.

Dopo un tempo che mi sembra un'eternità finalmente vedo la pista davanti a me e con grande sollievo metto le ruote a terra, non senza avere un ulteriore spavento perchè all'ultimissimo momento mi accorgo di passare vicinissimo ad un ostacolo che si erge immediatamente fuori della pista.

Come un'ombra che mi sfila a pochi metri dalla mia ala sinistra che sarà ?

Lo spavento si ripete appena esco sul raccordo e guardo indietro per scoprire che cos'era quell'ombra che mi è sfrecciata di lato !

Orrore !

L'ombra non era altro che uno dei nostri G.59 che si era messo sull'attenti al margine della pista.

Che cosa era successo ?

Come da briefing, tutti quanti dalla posizione di sottovento avrebbero dovuto chiudere motore e virare in finale in corrispondenza del passaggio al traverso dell'inizio pista.

La manovra esatta però la fece solo il colonnello Pezzè.

Il secondo velivolo tardò leggermene e così il terzo, il quarto e cosi via.

Dalla mia posizione di 23esimo semplicemente seguendo quello che mi precedeva è evidente che eseguii la manovra a qualche chilometro di distanza dalla pista.

Come se non bastasse addirittura il numero tre si portò tanto basso in finale da urtare, abbattendolo, un palo della luce in cemento con la gamba sinistra del carrello, ciò che gli provocò una violenta imbardata a sinistra con relativa messa in piedi sulla sinistra del bordo pista.

Quei poveracci, erano in due a bordo, non solo stettero in quella posizione vedendosi sfiorare da tutti gli altri che dovevano, come me atterrare sulla sinistra, oltretutto sul lato contrario al previsto, con la paura che qualcuno li investisse, ma quando poi vennero tolti da quella posizione e si recarono, come tutti, al debriefing in aula, per poco non svennero nell'apprendere che nessuno di quelli che gli erano passati vicinissimi si erano accorti di loro, tale e tanta era stata la tensione di atterrare alla meno peggio.

 

Non vi dico l'umore col quale il colonnello Pezzè fece a tutti quanti una terribile ramanzina.

Mi ricordo che, con un gesto di rabbia scagliò violentemente un gessetto che aveva in mano mandandolo a rimbalzare sulla cattedra.

Il giorno dopo, 29 maggio, non si potette volare a causa del cattivo tempo.

Rimanevano solo due giorni prima della data fatidica cioè il 30 e il 1° giugno.

Bisognava accelerare i tempi.

Il nostro capo perciò ci avviso :

"io domani faccio il percorso dovuto e passo sui fori imperiali qualunque cosa accada, siete tutti avvisati "

Infatti il giorno dopo, nonostante che le condizioni meteo non fossero migliorate affatto partimmo per la prova del percorso.

Fino ad un certo punto tutto andò bene, ma proprio sul centro di Roma vi era un terribile temporale con un muro d'acqua impressionante.

Non so che percorso ci fece fare il nostro capo anche perchè potete capire che la mia tensione era tale per mantenermi in stretta formazione che non potevo permettermi certamente di guardare di sotto, fatto sta che ad un certo punto il capo-formazione impostò una virata a coltello ma ciononostante entrammo ugualmente nella muraglia d'acqua.

Tutti i capovickers, che avevano l'elica a non più di tre metri dietro al velivolo che li precedeva, dissero poi che per qualche secondo la forte pioggia fu tale da azzerare assolutamente la visibilità verso l'avanti.

Stettero fermi in quella posizione sperando di uscire al più presto da quella situazione.

 

Io che guardavo di lato verso sinistra, continuavo a vedere i due aeroplani al mio fianco e ricordo benissimo che pochi metri oltre il secondo aereo vidi sfilare velocissima la facciata bianca della stazione Termini ad una distanza veramente ridotta .

In quelle condizioni e inclinati a coltello, con tutti e otto i capovickers completamente accecati, solo la Madonna di Loreto ci può avere guidato e impedito che trentadue aeroplani si scontrassero precipitando in pieno centro di Roma causando uno spaventoso macello !

Tornammo a Latina e questa volta l'atterraggio andò per il meglio ma rimanemmo tutti piuttosto tesi.

Il giorno dopo, 1 ° giugno, di nuovo non si volo e cosi ci trovammo al giorno della manifestazione senza che si fosse potuto verificare tempi e modalità di svolgimento del percorso, ma questo è niente.

Non posso descrivere quel che successe il giorno 2.

Sono assolutamente sicuro che non verrei creduto.

Mi limiterò a dire che il tempo meteorologico fu decisamente peggiore dei giorni precedenti, la Madonna di Loreto lavorò oltre ogni limite per evitare che questa volta non trentadue ma un centinaio aeroplani si scontrassero tra loro.

Le nubi erano talmente basse che ogni volta che si virava si sentivano i lamenti dell'ultimo gregario di sinistra che diceva

"si alzi, Comandante, io sfioro le piante"

ma subito dopo quello più in alto a destra implorava

"noo, io sono nelle nubi".

Finalmente venne il momento in cui la sfilata venne cancellata e tutti potettero tornare alle loro basi.

Se ben ricordo riuscirono a sfilare solo quattro F.84 e basta.

Il giorno 3 alle 12 e 15 noi dodici aeroplani di Elmas decollammo per Pisa dove atterrammo dopo 75 minuti.

Il giorno dopo ancora, 4 giugno, con un volo di due ore, da Pisa raggiungemmo Elmas da dove poi, con mezzi terrestri, io mi trasferii nella mia sede di Aighero per iniziare la mia carriera di istruttore con gli allievi del 12° Corso A.U.P.C.

 

 

Nota : Vickers è il nome che prende una piccola formazione di 4 velivoli. Normalmente essa si sviluppa in ala destra e in tal caso il capo-formazione ha alla sua sinistra il gregario n° 2 e alla sua destra i gregari numero 3 e 4 Può però trasformarsi in ala sinistra ed allora il numero 2 si posiziona a destra del leader mentre il 3 ed il 4 si partano a sinistra.

 

 

Tratto da La Mia vita in Aeronautica Militare

Modificato da Dave97
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Il cielo è quello del Texas, con batuffoli bianchi di nuvole sull'azzurro scuro.

Da noi, questo cielo,si trova spesso in Puglia nelle giornate di vento, in primavera.

La Puglia è la mia terra e il mio ricordo costante, ma dovrò stare qui, in questa base americana, a fare da istruttore ai piloti della NATO, per almeno altri sei mesi.

 

[CUT]

 

"Non è niente", mi dice, "Non è niente...".

Da quel giorno non ha mai più volato.

Tratto da Volare 7 - 1998

 

 

da brividi

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  • 2 settimane dopo...

Tra il secondo 1423 e il secondo 1797

Scese la sera sul campo, erano andati via tutti, i meccanici, l’istruttore, gli uomini della torre, la signora del bar, restavo solo con le luci della pista, insetti azzurrini tra l' erba, insetti luminosi e muti in file regolari.

Guardavo le ombre dei tavoli proiettate dalla luna sulla terrazza, guardavo la notte, l' orizzonte sconfinato della notte, cielo e mare separati soltanto da sottili strisce di luce di coste lontane.

Io mi sentivo custode di questo spazio notturno, qualcuno mi aveva lasciato la chiave della torre, prima di andar via dovevo spegnere le luci della pista.

Non ero mai rimasto fino a così tardi, la notte d'agosto scivolava in un caldo umido verso il suo cuore più profondo.

Forse fu il caldo, o forse mi addormentai, ma il secondo successivo mi accorsi della loro presenza.

Erano seduti nel buio di fronte a me, come avevo fatto a vederli solo adesso?, erano in due, pensai che fosse un'immagine mentale, ma la voce, con un brivido, mi dette la certezza che erano proprio li.

Ci fosse stato un tempo cosi quella sera, disse l'uomo più giovane, ci fosse stata una luna così, un sereno così..., poi distolse lo sguardo dal cielo, abbassò il viso e mi fissò, e io distinsi con un nuovo brivido i suoi occhi nell' oscurità.

L' altro, più anziano, guardava di lato come se volesse rendersi conto del luogo, guardava di lato e con l'unghia di una mano tormentava un'unghia dell'altra, quasi che parlare fosse una fatica o un dolore insopportabile.

Adesso, disse il più giovane, adesso, dopo tanto tempo possiamo contare il tempo che fu così breve quella sera, un tempo di stupore assoluto, lo stupore con cui nell'istante finale tu dicesti «precipitiamo ... » senza nemmeno gridare, con la voce soffocata dalla pressione e dalla gravità che ci tirava giu, rassegnato a un evento incredibile, un evento così stupido, così antiquato, come uno stallo da ghiaccio.

Eri tu il comandante, io il tuo secondo, oltre all' età ci separava la tua abitudine ai jet e la mia abitudine all' elica ...

Al secondo 1423, riprese il più giovane, tu dicesti alla hostess di distribuire la cena ai passeggeri, ricordi?, avevi un tono conviviale, tutto andava bene, nessuna turbolenza, quando fai il caffè me ne porti un po' con lo zucchero?

Si, parlammo del cibo, poi al secondo 1492, quando l' aereo fu ben impostato nella salita verso le Alpi tu dicesti riposiamoci un po', e fu più o meno in quei secondi che passammo per il punto esatto in cui un altro aereo prima di noi aveva invertito la rotta per via del ghiaccio, ma chi poteva saperlo?

noi eravamo collegati su un' altra frequenza e non sentimmo le sue comunicazioni.

Continuammo a salire e al secondo 1653 mi resi conto che qualcosa non andava, perdevamo velocità ascensionale, pensammo tutti e due la stessa cosa, pensammo subito al ghiaccio.

Io accesi le luci d' ala e cercai di vedere dove si stesse formando, non sembrava anche a te che fosse lungo il bordo d'uscita dell'ala?

Tu mi rispondesti si, è là sopra, guarda.

Ghiaccio vetroso, il peggiore !

Ghiaccio che si forma di colpo come uno schiaffo entrando in nube, difficile da mandare via, acqua sopraffusa all'interno di una nuvola, acqua ancora allo stato liquido nonostante la temperatura sia sotto zero.

Goccioline invisibili in equilibrio instabile che restano goccioline solo per la pellicola d' acqua che avvolge ogni gocciolina e le impedisce di ghiacciare, ma non appena qualcosa urta la pellicola e la rompe le goccioline solidificano istantaneamente attorno a ciò che le ha rotte.

Noi entrammo in quella nube a duecentosettanta chilometri l' ora, rompemmo milioni,e milioni di goccioline che solidificarono attaccandosi di colpo alle ali come crostacei a una balena.

Ci riempimmo di ghiaccio vetroso, il profilo delle ali non era più quello, per non parlare del peso.

Al secondo 1740 tu mi dicesti guadagna quegli altri quattro nodi se no non saliamo più, e io eseguii, ma al secondo 1748 ci fu un'improvvisa caduta d'ala dalla mia parte, di colpo l' aereo andò giù sul fianco di quaranta gradi, nemmeno tanti, sembrava una virata stretta, sganciai immediatamente il pilota automatico e presi il volantino.

Fui così rapido che tu nemmeno te ne accorgesti, dicesti stacca l' autopilota e io ti risposi ma l'ho già staccato.

Al secondo 1750 suonò l'avviso di stallo, cercavo di tener dritto l' aeroplano che cominciava a perdere quota ma ci fu una caduta d' ala dalla tua parte, cento gradi di inclinazione a sinistra, cento gradi, lei sa cosa vuol dire?

domandò il giovane rivolgendosi a me.

Vuol dire l' ala a coltello, un aereo passeggeri messo a coltello, e scosse la testa sconsolato.

Al secondo 1755 sentii un colpo sui comandi, era il congegno automatico che spinge in avanti il volantino con una pressione di quaranta chili per fronteggiare lo stallo, io dissi a voce alta giù ... giù ... giù ... , tu dicesti a voce alta fermo ... fermo ... , e prendesti i comandi.

Stallammo di nuovo, era il terzo stallo, questa volta andò in stallo di nuovo l'ala dalla mia parte, altri cento gradi a destra, tu gridasti un'imprecazione contro l'aereo, gridasti mortacci sua, me lo ricordo bene ...

Il comandante ascoltava come se quei secondi li avesse percorsi e ripercorsi un milione di volte.

Lo sente?, mi domandò aggiustandosi la visiera del berretto, sente come ne

parla?, 1492, 1653, 1748, come se fossero anni, date storiche, furono appena trecento secondi, cinque minuti, cinque minuti per capire, per renderci conto, per agire disperatamente in una notte di primo autunno, in un attraversamento eterno delle nubi, in un cielo di ghiaccio terribile.

Ecco, non facciamo altro, siamo rimasti uniti anche dopo lo schianto, lui non si da pace,eppure ci attenemmo al manuale, nè più nè meno, ma vede com'e lui, forse perchè è giovane.

Tacemmo tutti e tre e il nostro silenzio porto in superficie le cicale e il soffio caldo del mare.

Poi, riprese piano il giovane in divisa, poi al secondo 1760 l'aereo andò giù di nuovo dalla mia parte, tu mi ordinasti di ridurre motore e io eseguii, al secondo 1764 suonò ancora l' avviso di stallo, l' ala dalla tua parte stallò per l'ennesima volta, e questa volta fino a 135 gradi, l'aereo affondò quasi rovesciato, ci pensa?, un aereo passeggeri in volo rovescio, sospirò il giovane girando la mano col palmo verso l' alto e lasciandola cadere, anche tu e io eravamo rovesciati, e non so come, col sangue alla testa e mentre tutto ballava io riuscii a distinguere l' anemometro tra le luci sul pannello dei comandi, la velocità saliva rapidamente da 185 a 231 nodi, piano piano l'inclinazione si ridusse, cessarono gli stalli d' ala, pensai ce la facciamo forse, forse lo riprendiamo, tentammo una rimessa cabrando un po', era il secondo 1771, io ti gridai tiralo su ... tiralo su ... , tu mi rispondesti sto tirando.

In quel momento superammo i 250 nodi, la velocità massima operativa, e così prese a suonare anche l' allarme di overspeed.

Al secondo 1779 tu dicesti nuovamente sto tirando, ma eravamo in picchiata, oltre 330 nodi di velocità, il limite massimo di manovrabilità e tu gridasti ho i comandi bloccati.

Al secondo 1787 gridasti ancora tira su e io ti risposi sto tirando, suonavano gli stalli, suonava l' overspeed, suonava tutto, tutto vibrava e cadeva e a quel punto, davvero non so con quale forza, in quella posizione e a quella velocità io aprii la radio, era il secondo 1789, aprii la radio e dissi

Milano, Alitalia 460, siamo in emergenza ... , come se quel messaggio potesse salvarci, come se qualcuno potesse fare qualcosa per noi e per l'aereo, capii che l'avevamo perduto, eravamo perduti, come crederci? eppure eravamo perduti, e fu a quel punto, al secondo 1797, che tu mi dicesti piano, con voce soffocata, precipitiamo, dicesti piano e desolato e stupefatto precipitiamo ...

Il secondo successivo ...

Ti prego, disse il comandante, ti prego, e lo disse come una preghiera rituale e un po' scettica sul risultato, non tanto perchè non volesse ascoltare il fracasso di quell'ultimo istante,forse voleva tranquillizzare il suo primo ufficiale, forse voleva che quell'istante non lo ascoltasse lui, che dimenticasse per sempre quell'istante.

Preghiera inutile, perchè l'istante successivo il giovane riprese nello stesso tono, disse non si vedeva più nulla, precipitavamo a diecimila piedi al minuto, io mi accorsi che qualcosa nell' aereo non andava al secondo 1653, al secondo 1797, meno di due minuti dopo, quello non era più un aereo, eravamo semplicemente quindicimila chili di metallo e fibre e plastica e persone che venivano giù a piombo, quasi rovesciati, nel buio e nell' opaco della notte e delle nubi, senza poter far niente, senza neanche renderci conto di come e perchè fosse accaduto.

Ci pensa?

Avevamo sbattuto contro una nube, avevamo preso in pieno una nube che pochi secondi dopo, intatta e sgravata di qualche quintale di ghiaccio, proseguiva pacifica verso est, e il mattino dopo, quando ci trovarono in un bosco, scivolava inconsapevole sullo Ionio o sui Balcani.

Lei è qui ogni sera?, domandò cambiando argomento.

E’ fortunato, sa, è proprio un bel posticino, a quest' ora poi, e di questa stagione, disse aggiustandosi la visiera del berretto, guardando attorno con un'infinita, sconsolata nostalgia.

Dopo un secondo aggiunse potrei dare un' occhiata agli aerei nell' hangar?

Mi dispiace, risposi io, mi dispiace davvero ma non ho le chiavi, ho solo le chiavi della torre per spegnere le luci della pista.

Peccato, disse il comandante e si alzò in piedi.

Anche il giovane primo ufficiale si alzò, ed io con lui.

Camminavamo verso la torre, camminavamo senza fretta, ciascuno preso nei propri sentimenti, tutto ciò che poteva accadere era già accaduto….

Anche il tono dell'uomo giovane si era fatto più pacato e distante, avanzava con le mani in tasca e lo sguardo chino sull' erba, diceva

entrammo in nube e non ne uscimmo più….

Eppure noi facemmo quel che c' era scritto sul manuale, nè più nè meno, rispettammo il manuale dell' aereo alla lettera.

Il comandante rispose , è inutile parlarne disse col tono di una consolazione rituale, con quel ghiaccio non ce l'avremmo fatta comunque, ghiaccio vetroso, credimi, nessuno ce l' avrebbe fatta.

Sai, disse il più giovane, mi sono sempre chiesto che cosa pensa chi ascolta le voci dei piloti nel voice recorder, quella delle due scatole nere che da le voci di cabina.

Io ho conosciuto uno che faceva questa mestiere, disse il comandante, era un vecchio tecnico di volo in pensione, lavorava nelle commissioni d'inchiesta sui disastri aerei, una volta gli domandai ma non ti fa,impressione ascoltare quelle voci?

Lui rispose no, perchè?

Ma cosa cerchi che non sia gia nel flight recorder, nella registrazione delle manovre di volo?

Cerco il tono delle voci, è importante sai, mi disse, il tono delle voci.

Ai piedi della torre di controllo mi voltai, mi sentivo in colpa per non poterli portare nell' hangar e li invitai a salire, ma il comandante, dopo un attimo di incertezza, disse no, la ringrazio, è meglio di no.

Capisco, risposi, ci metto un secondo è torno giù, e fissai negli occhi l'uomo più anziano in uniforme e lui disse ma certo, sollevando appena le spalle.

Il secondo dopo salivo i gradini a quattro a quattro, entrai nella sala buia, trovai l'interruttore nella luminosità della luna che inondava attraverso i finestroni la saletta circolare e gli strumenti, abbassai la leva e le due file di luci azzurre tra l' erba scomparvero nella notte, una strada che si dissolve nell'oscurità pensai, anche la pista va a dormire, l'istante dopo saltavo i gradini in discesa, ancora un istante e uscii fuori.

Mi guardai attorno, non so che secondo fosse ma loro due non c ' erano.

Corsi tra l' erba, corsi verso gli alberi, poi verso l'hangar, poi verso la terrazza, e infine li vidi:

camminavano lungo la pista spenta, lontani, lenti e di spalle, uno discuteva con se stesso muovendo la mano a coltello e rovesciando il palmo, l' altro, il più vecchio, sembrava tenergli compagnia .ma volgeva lo sguardo di lato, guardava la luna e la nave passeggeri verso il largo.

Io restai a osservarli finchè si dissolsero nell'alba, nel mare, nel cielo.

 

Tratto da Staccando l’ombra da terra

Modificato da Dave97
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Buttarsi contro

Mi ci devo ancora abituare; finora ero sempre stato un pilota da caccia, attaccavo con il mio aeroplano altri aerei su nel cielo; ora con il mio Macchi devo andare alla ricerca di obiettivi a terra o sul mare, puntare verso il basso e buttarmi contro colonne meccanizzate, postazioni d'artiglieria, naviglio tedesco.

Buttarmi contro; come oggi.

L'ordine operativo giunto al 4° Stormo riportava, fra l'altro:

« ... inviare coppia di velivoli in ricognizione offensiva lungo le coste albanesi e isole litoranee »,

una cosa di ordinaria amministrazione in questi giorni della prima decade di ottobre.

Decollo verso le 8 assieme ad un gregario; appena lasciata la pista di Lecce faccio quota fin sui 2000 metri, poi livello l'aeroplano e faccio il solito controllo degli strumenti: tutto normale.

Di lato, spostato un poco verso l'indietro, l'altro Macchi 205 vola vicinissimo a me con perfetto allineamento.

Sotto di noi il mare è calmo, il cielo è sereno, qualche nuvola bianca qua e la; dopo circa una ventina di minuti sorvoliamo le isole costiere, all'orizzonte appare la costa.

Occhi aperti con leggeri movimenti laterali sulla cloche inclino l'aeroplano su di un lato e poi sull' altro, alternativamente, il che mi consente di vedere meglio la zona di mare sotto di me.

Per ora nulla, seguiamo la costa: insenature, strapiombi, isolette, bracci di mare più o meno larghi;

il volo procede normalissimo.

A ridosso di uno strapiombo nota qualche cosa che non mi convince; viro stretto di 90°, punto verso il basso; un'occhiata di fianco:

il gregario è sempre al suo posto, sa il suo mestiere.

Perdo velocemente quota; sto picchiando con un angolo di 45°, la velocità tocca i 600/620 Km. orari, il costone roccioso si avvicina velocemente sulla mia destra; inclino l'apparecchio e osservo addossati alla costa un grosso veliero e qualche imbarcazione più piccola. Continuo ad abbassarmi; in cuffia mi giunge la voce del gregario, anche lui ha visto; alzo la mano e con l'indice puntato verso il basso gli segnalo che attacchiamo.

Inizio a picchiare sull'obiettivo.

Dalle imbarcazioni aprono il fuoco contro di noi.

Me ne accorgo dal comparire improvviso sui natanti di nuvolette di fumo grigiastro: le mitragliere contraeree sono entrate in azione.

I proiettili mi passano vicinissimi, non posso variare la traiettoria; continuo a picchiare.

La contraerea ci ha inquadrati e non ci molla; basta un colpo che mi colpisca in una parte vitale della macchina e sono fregato!

Faccio partire una raffica lunga; la velocità dell'aereo mi impedisce di vederne l'effetto.

Sfilo la nave sul fianco, volando basso verso il mare aperto, con continui spostamenti di rotta per disorientare i serventi germanici, ma penso che ora saranno alle prese con il mio sezionario.

Viro largo e tiro in quota; guardo verso la costa, anche l'altro velivolo sta tirando su in candela, nessun effetto appariscente del nostro tiro sulle imbarcazioni.

La contraerea continua a sparare per impedire un nostro nuovo avvicinamento.

Sui 2000 metri, viro di nuovo e mi butto di nuovo in affondata: occhio al traguardo di puntamento, mano sulla leva di sparo: ora so cosa vuol dire

« buttarsi contro ».

Durante un duello aereo hai la possibilità di manovra; attacchi, ti sganci, attacchi di nuovo, scegliendo il momento e la posizione per farlo; per non farti inquadrare dalle armi dell'avversario fai dell'acrobazia, ti senti sempre in grado di agire secondo la circostanza e le tue decisioni sono in funzione della situazione che muta continuamente.

In questi attacchi contro obiettivi fissi tutto è diverso:

sei obbligato a cacciare indietro la paura che ti spinge a deviare la rotta del velivolo, e devi invece continuare a tenerlo fermo in mezzo alle traccianti nemiche.

Questa è la differenza: la sto provando durante questa seconda puntata.

Ho paura, vorrei virare, basterebbe un colpetto di cloche e schizzerei via a 600 Km/h, e giù faticherebbero parecchio per riavermi nei loro reticoli di puntamento, ma ormai sono indurito sui comandi, gli attimi più brutti sono passati, ora sono pronto a sparare ed a colpire, la reazione alla paura viene proprio dall'ingigantirsi dell'istinto di conservazione, dal fatto di poter in qualche modo reagire all'offesa nemica.

Sparo con rabbia: uccidere per non essere ucciso.

Continuo a premere sullo sparo, le mie raffiche colpiscono il ponte del veliero; rifaccio quota ed attendo l'altro apparecchio.

Devo aver colpito qualche postazione, perchè la contraerea ora è molto ridotta. Controllo il televel: la benzina è appena sufficiente per tornare a casa.

Per radio comunico l'ordine di rientro al mio gregario;

appena siamo di nuovo in coppia, dirigo verso le coste pugliesi.

Ecco la costa; giro in quota per ottenere il permesso di atterraggio, poi le solite manovre e tocchiamo di nuovo terra.

Rullaggio verso i decentramenti, elica ferma, fuori dell'abitacolo, via il paracadute, e mi dirigo assieme al collega verso il comando per fare il rapporto.

Le gambe sono dure, risentono della tensione e della inattività del volo; anche il collo è indolenzito; mentre cammino mi slaccio le varie cerniere della combinazione di volo, frugo nelle tasche alla ricerca di una sigaretta.

Nella baracca comando ci sono molti piloti dello Stormo:

Annoni, Salvi, Labanti, Mariotti, Mutti, Piccolomini, Reiner, Ferrazzani, Dallara, Gaspari, Bucher, Morelli, Gensini, Voltan e altri;

tutta gente che in questi giorni ha provato più volte che cosa vuol dire attaccare in picchiata.

Nessuno parla, ascoltano il mio rapporto, poi il locale si svuota.

Vado a buttarmi in branda, ma non riesco a dormire.

Sono ancora sotto tensione: il combattimento è ancora dentro di me.

Mi accorgo di pensare a quanto facevano giù in Africa settentrionale quelli del 50° Stormo d'assalto, i ragazzi di Vossilla;

loro attaccavano sempre così i carri armati inglesi, e li attaccavano con dei lenti Breda 65 o dei C.R. 42.

Dovevano essere dei leoni!

Tratto da Ali Nella Tragedia

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26 dicembre 1943

I piloti del 51° decollano da Catania, per raggiungere Leece;

i Macchi ed i Reggiane volano in pattuglie di quattro, cinque unità, scalate nel tempo; una di queste pattuglie è formata da sottufficiali vecchi del reparto, gente con gli zebedei grossi così, che ha fatto tutta la campagna di Russia, poi ha volato nel cielo tremendo del Mediterraneo negli ultimi mesi precedenti l'armistizio.

Sono i sergenti Munarin e Ferrini, il sergente maggiore Baldini ed il maresciallo Zedda.

Ad un tratto, appena in vista della costa calabra, il velivolo di Munarin fa le bizze, ed il pilota è costretto ad abbandonare la formazione e a cercare un pezzo di terra decente ove tentare di atterrare.

Munarin, con un po' di fortuna e tanta praticaccia, riesce a non accopparsi, eseguendo un atterraggio al limite, nei campi attorno al paese di San Crispino.

Gli altri tre proseguono ma, mentre stanno ancora pensando a come se la sarà cavata il loro compagno, anche l'aeroplano di Zedda comincia a denunciare noie al motore.

Dapprima qualche perdita di colpi, poi il numero dei giri diminuisce progressivamente: solite moine, ma che non risolvono nulla.

Zedda aguzza la vista e vede in mezzo ai brulli crinali delle montagne calabre un prato che può fare al caso suo.

Sembra un fazzoletto, ma il Macchi dovrebbe starci dentro;

in ogni modo il motore ormai non tiene più, per cui non è il caso di star a scegliere: giù il muso ed in bocca al lupo!

Continue correzioni di cloche per scavalcare gli ultimi ostacoli, dossi, massi, piante, poi ecco il pianoro: barra tutta avanti, tolto contatto al motore; barra di nuovo contro lo stomaco ed il pilota si irrigidisce contro lo schienale del seggiolino.

Un fruscio, poi un rumore sordo sotto la pancia dell'aereo, sobbalzi continui, scricchiolii che denunciano che il caccia ha toccato terra.

Improvvisamente, quando il Macchi striscia ancora veloce sull'erba e senza possibilità di controllo, Zedda vede dinnanzi al muso del velivolo che sobbalza irregolarmente una massa bianca, una massa che si muove, ondeggia, si fraziona e si riunisce:

sono pecore!!!

L'aeroplano centra in pieno il gregge e avviene una carneficina:

lana, brandelli di carne, pecore intere volteggiano in aria; altre vengono stritolate sotto il ventre del velivolo.

Finalmente il 202 si ferma, mentre le poche pecore superstiti, impazzite dal terrore, fuggono in tutte le direzioni.

Il pilota apre il tettuccio, slaccia le cinghie, si lascia scivolare sull'ala, si guarda in giro desolato:

una ventina di pecore giacciono sopra e sotto l'aeroplano, completamente sventrate.

Sopra la sua testa passa ora basso uno dei suoi gregari; Zedda con cenni delle mani lo rassicura:

è sana e salvo.

Il velivolo tira in quota e si allontana.

Ad un tratto, dal bosco al limite del pascolo escono due ragazzini, i pastorelli, che fuggono inorriditi dinnanzi allo spettacolo del loro gregge massacrato. Zedda non sa cosa fare, poi si incammina a piedi verso il piano; improvvisamente un uomo gli si para davanti;

il nostro non capisce una parola del dialetto calabrese, ma capisce benissimo dall'eccitazione e dallo sguardo dell'individuo che quello vuol «farlo fuori» per l'eccidio delle pecore.

Dopo un po' di sudori freddi ed in un alternarsi di paura e di speranza, Zedda riesce a calmarlo, a spiegargli che l'aeroplano non stava più in aria, che lui è un pilota italiano e che il governo risarcirà il danno involontariamente arrecato. Il pastore a poco a poco si calma e si offre di guidare il maresciallo verso il paese più vicino: ora si trovano sui monti ad una trentina di chilometri circa da Catanzaro.

Sul prato, il Macchi rimane a testimoniare un'avventura a lieto fine.

Zedda lo guarda per l'ultima volta e poi giù a piedi verso l'abitato, sperando che la guida rimanga calma e non ritorni ai propositi di vendetta.

28 dicembre: tutto il 51° Stormo, sebbene con qualche aeroplano in meno, è giunto a destinazione sull'aeroporto di Galatina, compreso il suo comandante, anche se con una caviglia ingessata.

Dopotutto è un buon Natale.

 

Tratto da Ali Nella Tragedia

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I miracoli di Fiorio & C

Oggi è successo qualcosa che ci ha risollevato il morale: sono giunti i primi tre velivoli americani tipo P. 39 Airacobra su cui sarà montato, appena terminato l'addestramento, il mio Stormo.

Stamane, ai limiti della pista, eravamo in molti del 4° ad attendere i nuovi velivoli e quando i tre aeroplani si sono fermati sul piazzale abbiamo cominciato a girare attomo alle nuove macchine, per la verità un po' bruttine in confronto ai nostri Macchi e con innovazioni meccaniche per noi inusitate.

Il carrello triciclo, l'abitacolo con la porta laterale identica ad una portiera di automobile, il motore sistemato dietro al posto di pilotaggio, un armamento molto pesante che comprende persino un cannoncino da 37 mm.

Ognuno di noi sbircia, tocca, fa commenti; azzardiamo giudizi, affiorano speranze; ad un tratto lo sguardo spazia sulla linea di volo verso i nostri Macchi 202 e 205.

Ormai, dopo tanti voli, tanti avvenimenti, lieti e tristi, dobbiamo lasciarli; sono ormai al limite dell'efficienza.

Li stiamo consegnando, al 5° Stormo i 202, al 51° i 205 S.

Prima di ritornare a volare, subiranno però una revisione completa al reparto tecnico dove avvengono dei «miracoli» inspiegabili.

Pezzi di lamiera ormai da buttare ritorano ad essere aeroplani pienamente efficienti.

Appunto a questi miracoli la mente ritorna in questo momento, dinnanzi alla visione dei nostri vecchi Macchi, e rivivo la situazione catastrofica del primo periodo post-armistiziale, con i velivoli efficienti Macchi e Reggiane, che per il continuo impiego bellico, diventavano sempre meno numerosi, con le ditte costruttrici tutte al Nord, i magazzini qui al Sud quasi completamente vuoti per saccheggio dei tedeschi o a causa dei bombardamenti anglo-americani.

 

A chiunque sarebbero letteralmente cadute le braccia, ma per fortuna c'era « gente» che davanti a tanto sfacelo non si perse d'animo; anzi, dalla situazione disastrosa ricevette lo stimolo a ricostruire dal nulla, iniziando dal banco di lavoro, dal cavalletto prova motori, e così via; oggi il servizio tecnico è in grado di revisionare a nuovo velivoli e motori, cosa ritenuta pochi mesi fa assolutamente impossibile dai superiori comandi alleati.

 

Fra qualche anno, quando la nostra Aeronautica sarà completamente ricostruita, forse si ignorerà questo periodo; ci si dimenticherà con tutta probabilità del capitano Fiorio, di lacovazzi e Miglio, che in questi mesi hanno compiuto veramente miracoli.

 

Noi piloti li tocchiamo con mano questi miracoli; sappiamo che sono gli uomini del reparto tecnico che ci ridanno l'aereo efficiente dopo pochi giorni, lavorando ininterrottamente senza nessun riconoscimento economico, forse senza nemmeno quello morale; hanno fatto cose veramente incredibili.

 

Dopo pochi giorni dall'armistizio, noi del 4° Stormo non avevamo quasi più 205 efficienti; gli uomini di Fiorio, di lacovazzi, di Miglio pigliano dei 202 e te li trasformano in 205 sostituendo l'elica, il motore, l'impianto olio e benzina, senza quasi attrezzature adatte e lavorando allo scoperto, sotto il sole o la pioggia, di notte e di giorno, poichè di capannoni disponibili nemmeno a parlarne, sia a Galatina per le fusoliere, sia a Brindisi per i motori.

Poi anche i 205 così ricostruiti, circa una ventina, non poterono più essere impiegati poiche la loro autonomia era insufficiente a raggiungere le nuove posizioni tedesche nei Balcani ed allora via le due mitragliatrici in fusoliera ed al loro posto gli specialisti installano un serbatoio ausiliario costruito con lamiere varie, sagomate a mano e saldate.

Ad un dato punto, i pezzi di duralluminio finiscono ed allora si « frega» nottetempo il rivestimento del bar di Manduria e così via.

Gli uomini del Servizio tecnico barattano vestiario con pezzi di ricambio dai contadini del luogo, scatolame in cambio di tubi flessibili, polli con polvere da saldare, ecc. ecc.

Ai Macchi 205 vengono adattati mozzi ruota dei Re. 2002 o viceversa.

Ho visto raddrizzare eliche contorte con la sola mazza per mancanza dell'apposita attrezzatura, così come ho visto fondere l'ottone, il rame o l'alluminio in un forno costruito con un fusto di benzina rivestito con creta. In questi giorni stanno costruendo vari banchi prova per motori, per pompe ad iniezione, per provare i compressori d'avviamento.

Lavorano così, giorno e notte, per una paga da fame, senza riconoscimenti; lavorano così per passione del loro lavoro, e per amore, tanto amore per la nostra Arma, permettendo a noi piloti di volare e di combattere ed, in ultima analisi, alla nostra Aeronautica di sopravvivere.

Ora arriveranno le nuove macchine straniere e loro, i nostri specialisti, sono già qui a guardarsele con aria sorniona, a studiarsele con pochi colpi d'occhio, mentre si puliscono le mani sporche d'olio con uno straccio ancora più sporco e ti guardano in viso e sembrano dire:

«Stia tranquillo, signor tenente, che le mettiamo a posto per benino; sono macchine facilissime ... roba da niente! ».

Forse esagerano, ma tu hai subito un senso di fiducia.

Da questa notte poi passeranno ore ed ore sui manuali tecnici per capire come funziona questo o quel congegno, bestemmiando solo perchè le parole sono scritte in inglese e non in napoletano o in veneto.

Un rumore non familiare mi distoglie da questi penslerl: sono i P. 39 che hanno messo in moto; due aerei rullano in pista e decollano subito, poi eseguono passaggi a bassa quota sul campo.

Sono un po' infastidito:

« Che cosa credono gli americani, di insegnarci qualche cosa?

Ci diano il tempo per prendere alla mano i loro velivoli e poi vedranno cosa sanno fare quelli del 4° Stormo! ».

Gli aerei atterrano; i piloti scendono sicuri, ed io, come altri vicini a me, rimango allibito: in volo non erano andati gli americani, ma il nostro « Ele » Annoni e Gensini, così tanto per provare, e con buona pace degli amencani che dicevano essere il P. 39

« aeroplano molto, molto difficile ... prima imparare e poi... ».

Ma prima del «poi» sono andati su appunto Annoni e Gensini.

 

Tratto da Ali nella Tragedia

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La prua affilata del B-707 si affacciò sulla lunga pista del San Francisco International descrivendo un largo cerchio intorno al carrello destro.

L'aereo ondeggiò goffamente per effetto di una brusca frenata poi si arrestò con un lieve sussulto.

Dopo quindici minuti di attesa sotto il sole di giugno il volo Pan American 092 era stato finalmente autorizzato al decollo per Londra via New York.

Sull'altra testata confuso nella foschia pomeridiana un argenteo DC-8 della Flying Tiger Line virava a sinistra per liberare subito la rotta di allontanamento.

Il secondo lo segui per un attimo e misurò con lo sguardo i 5 chilometri di cemento che si stendevano davanti alla prua nera del radome poi a un cenno del comandante spinse a fondo le manette dei quattro JT3D-B che cominciarono ad emettere le note più alte del loro assordante concerto.

Il pesante quadrigetto si mosse come un ubbidiente pachiderma e prese a correre sempre più veloce lungo la striscia tratteggiata della « center line » mentre i piloti recitavano il loro salmo abituale:

« accelerazione Ok !

V1 … VR …..rotazione

distacco …carrello su….V2 ».

Come al solito il freddo tono professionale tradiva a malapena quella sottile tensione che si avverte in ogni cabina durante il decollo e che dà a questa manovra un effetto sempre diverso.

« PA 092 decollato ai cinque , riportate 2000 ft ».

« Ok. ricevuto PA 092 ».

Charles Kimes il comandante dette un'occhiata di aggiornamento agli strumenti per prepararsi alla

riduzione di potenza per la salita.

Tullo regolare.

I Pratt & Whitney giravano come quattro orologi.

Le 140 tonnellate del B.707-321 salivano a 1.800 ft/min nel chiaro cielo della California.

Più in alto un volo Eastern entrava in holding, nell'interfono un pilota United Airlines litigava con l'Approach per l'ennesimo «delay».

Anche questo era regolare.

« 90 secondi, 800 ft, 150 nodi » avvisò il secondo.

Il messaggio si perse in un cupo boato.

Le luci si spensero per un lungo attimo.

L'aereo scosso da un tremito terribile inizio una picchiata in ala destra mentre il cruscotto turbinava di bagliori rossastri.

Il più intenso veniva dalla scritta luminosa sotto il quadrante ILS:

« FIRE »

« Il numero quattro è esploso, l'ala è in fiamme !

..... 1.500 EGT, RPM Off, sono saltate le turbine, ….estintore, via l'alimenlazione .. ».

L'abile secondo aveva già preceduto l'ordine e fissava ancora sorpreso la densa scia di fumo violaceo che si avvitava nell'aria a 280 Km/h.

Con tutto il piede sinistro e volantino a cabrare Kimes cercava di arrestare la lenta spirale del velivolo, ma i comandi erano « lunghi ».

Solo la pedaliera rispondeva bene.

L'altimetro scendeva inersorabile.

« Zero p.s.i .. » - il secondo indicava i muti quadranti del circuito idraulico .

« sistema principale Off, secondario? »,disse portando il dito sugli switch di esclusione.

Non restava altro da fare.

Senza pressione i servocomandi dei piani di coda e degli alettoni interni erano inerti, l'aereo sarebbe rimasto ingovernabile finchè non fossero passati al circuito ausiliario.

Così prescriveva anche il manuale di volo.

Ma le oltre quindicimila ore sul libretto dicevano a Kimes che una procedura così ovvia avrebbe messo fine a quel decollo tra le basse villette che sfrecciavano sotto le ali .

« negativo, va bene cosi ».

A queste parole il Boeing ebbe uno scarto pauroso e il variometro riprese a salire, quasi che avesse approvato la drammatica decisione del comandante, ma era solo il JT3D-8 che se n'era andato.

« Il motore si è staccato, non c’è più fumo » avverti il secondo fissando l'estremità annerita dell'ala che si torceva sempre di più sotto la pressione dinamica.

Kimes provò un certo sollievo, aveva anche ripreso un po' di alettone, in qualche modo l'aereo stava in volo e si trattava solo di riportarlo a terra; ma virare era troppo rischioso.

La torre venne in aiuto:

« PA 092, se inabili a rientrare dirigete Travis AFB, quaranta miglia, due sei zero »

 

Travis Air Force Base. 3.500 metri di solido cemento a 20 minuti di volo dritto davanti al naso.

Kimes però sentiva che l'assetto era al limite.

La spinta asimmetrica e la resistenza aggiuntiva dell'ala destra sventrata dal fuoco si sommavano in una paurosa imbardata che a stento riusciva a correggere con tutto il piede sinistro e con tutto ciò il vero pericolo era intorno all'asse di rollio.

Qui l'effetto squilibrante del piano verticale stava ormai per vincere la partita con gli alettoni di sinistra, gli unici rimasti, e inclinava sempre più a destra le ali verso una spirale senza ritorno.

Kimes pensò ai 135 passeggeri che siedevano ancora legati dalle cinture nei cinquanta metri di fusoliera dietro di lui: pochi secondi li separavano dall'eternità.

Come se volesse accelerare quella folle corsa il 707 cominciò a tremare freneticamente; ebbe un violento sobbalzo e s'inclinò dalla parte opposta.

« L 'ala si è spezzata ! » disse il secondo osservando il troncone che precipitava in mille pezzi.

Scivolavano verso il nodo autostradale di nord-est. Fuori controllo.

Kimes non tentò neppure una rimessa; nessun manuale diceva come pilotare un B.707 senza un motore e 8 metri di ala.

Fu qui che avvenne l'incredibile:

Il Boeing da solo corresse la scivolata d'ala e con un ultimo sobbalzo quelle 136 tonnellate livellarono a 1.000 ft.

Kimes. stupito, si accorse che gli bastava meno della meta del trim di pedaliera e di alettone per controllare l'assetto.

« Ok riprese impassibile - avverti Travis che stiamo arrivando ».

Tuttavia quei 3.500 metri sembrarono a entrambi pochi centimetri quando si trattò, venti minuti dopo, di posarvi quel bestione cosi malconcio.

Il carrello fu esteso manualmente, i flap rimasero sui set di decollo – 17° -, l'aereo toccò piatto a 300 km/h, rullò per 3 Km con due gomme scoppiate, poi si arrestò sulla testata con l'ala ancora rovente.

 

Come presidente di commissione Norman Halaby si rallegrò del compito insolito che la FAA gli aveva assegnato: una volta tanto l'inchiesta doveva stabilire perchè non era accaduto un disastro.

Eppure il lavoro fu ugualmente difficile, con la sua storia eccezionale il volo PA 092 sembrava la negazione completa di tutte le leggi della Meccanica del Volo.

La risposta venne dal calcolatore: gli eventi si erano concatenati nell'unica combinazione capace di garantire l'equilibrio sui tre assi.

L'esplosione del motore numero 4 aveva incendiato il serbatoio d'estremità dell'ala destra, il fuoco era avanzato rapidamente lungo i pannelli alari fino a lambire la linea di generatori di vortici sulla prima sezione flaps, poi si era estinto a causa del turbinoso flusso d'aria sull'ala squarciata.

La spinta asimmetrica era stata bilanciata dalla diminuzione di resistenza associata con la perdita del motore, del pilone e dell'intera sezione alare.

L'aereo, proprio perchè menomato, aveva trovato da solo l'equilibrio intorno all'asse di imbardata.

D'altra parte il distacco della sezione di estremità aveva risolto anche il problema del rollio:

le ali erano tornate a livellarsi perchè la riduzione di peso a destra compensava quasi esattamente la portanza che gli 8 metri di superficie perduta sviluppavano, cosi le due forze, uguali e contrarie, si erano cancellate insieme ripristinando l'assetto laterale.

Infine il ridotto angolo di flap aveva costretto ad atterrare 30 nodi sopra la normale velocità di avvicinamento a quel peso, proprio il giusto margine che garantiva il controllo di timone direzionale alle incidenze più elevate limitando la pericolosa interferenza provocata dall'ala più corta.

Ma il tocco risolutore fu attribuito a Kimes.

Si accertò, infatti, che il fluido del sistema idraulico principale si era riversato all'esterno attraverso i circuiti sventrati dall'esplosione.

Se i piloti avessero attivato l'impianto secondario il liquido di servocomando avrebbe subito uguale sorte, privando della necessaria pressione gli attuatori del timone verticale e dell'equilibratore.

L'intuito di Kimes aveva salvato i 140 occupanti del volo PA 092.

Un mese dopo l'equipaggio fu decorato dalla stessa commissione della F.A.A.

Kimes accettò di buon grado, ma nella successiva conferenza stampa disse che tutto il merito andava al « terzo pilota », era lui che aveva riportato a terra il B.707.

« Io » concluse « gli ho fatto solo da secondo ».

« Chi è questo pilota? », chiese un ingenuo cronista presente alla cerimonia.

Il comandante fisso per un attimo il suo primo ufficiale, che assenti prontamente, e poi, rivolto ai giornalisti, rispose:

« si chiama Destino ».

 

tratto da JP 4 , maggio 1979

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  • 1 mese dopo...

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AVIANO ANNI TRENTA

L' entusiasmo per la Scuola Caccia nei ricordi di un pilota

 

Nell’ aprile 1935 venni reclutato dall'Aeronautica Militare, per il mio periodo di leva, inviato al centro di Orvieto, e dopo quattro giorni rimandato a casa in licenza in attesa di destinazione.

Poi via ad Aviano, alla Scuola Caccia: il sogno cominciava a diventare realtà.

Il fatto di indossare un'uniforme, che a quel tempo si portava con orgoglio, non come ora che la portano come un abito da lavoro, dal quale ci si spoglia al termine dell' orario di servizio, e l'idea di andare alla Scuola Caccia, mi faceva sentire un poco privilegiato e dentro di me mi davo un po' di arie.

Alla scuola trovai naturalmente i compagni che erano ad Orvieto e con tutti fu facile legare, dato che la passione era la stessa e l' entusiasmo uguale per tutti, ed in ognuno c'era l'ansia di intraprendere i voli, avvenimento che si verificò il 15 luglio.

L' istruzione cominciò col Ba.25, col motore Linx a stella.

Era questo un bell'aeroplano, ma non suscita in me un grande entusiasmo perchè in fondo era solo un poco più importante del Ba.15.

Con questo velivolo volai circa tredici ore, delle quali cinque a doppio comando ed i resto per allenamento, con qualche doppio comando per acrobazia.

Poi venne finalmente il giorno del CR 20, e qui le cose cambiarono decisamente, perchè questo era l'aeroplano dei miei sogni, che si presentava con la grinta di un vero caccia.

E la sua personalità la dimostra subito ai primi voli, reagendo ai comandi nella giusta maniera (almeno cosi mi sembrava), solo quando sentiva che la cloche era tenuta da un pilota vero.

Ma col mio istruttore, il mar. Morelli che faceva da intermediario, il CR 20 a poco a poco accettò la mia presenza con tanta bonomia e cominciammo ad entrare in confidenza.

Certo era un aeroplano rustico, un po' scorbutico di carattere, anche in atterraggio con quel carrello molleggiato come una cassapanca di legno.

Ma in fondo era burbero per fare un poco di scena e soprattutto per insegnare che in volo non si deve andare alla leggera.

 

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Era talmente buono e comprensivo che perdonava tanti errori: troppo piede, bruschi movimenti sui comandi, controllo dei giri motore non sempre rispondenti alla manovra o all'assetto;

lui sapeva sempre cosa fare quando l'allievo era nel pallone.

Anche l'istruttore consigliava:

"Quando non sai più cosa fare, molla mani e piedi che lui (il CR 20) sa come riprendere il giusto assetto". Questa regola era il toccasana e quando nelle prime manovre acrobatiche da solo non tutto filava liscio, bastava lasciare fare a lui (sempre il CR 20), che si rimetteva in linea.

Qualche problema l'avevo con la vite, perchè io la cominciavo, ma lui la finiva a suo piacimento.

Però col tempo e l'allenamento le cose cambiarono e tutto cominciò a filare meglio, compresi gli atterraggi fatti ormai con il CR 20bis, che non aveva più quel brutto rampone che arava il campo ad ogni atterraggio, perchè era dotato di un ruotino di coda ed il carrello era di un tipo più molleggiato.

Però con il CR 20 diventai amico e quando lo misero da parte per volare col CR Asso, più elegante col suo motore in linea raffreddato ad aria, quasi quasi provavo nostalgia per quel testone di CR 20.

Certo che con il CR Asso cominciai un addestramento di maggior interesse, perchè l'acrobazia veniva meglio, e dopo aver eseguito i prestabiliti voli da solo, ebbero inizio i voli in pattuglia.

Prima pattuglia a due, e le prime volte dava una certa emozione avvicinarsi al capo pattuglia, che, col cenno della mano battuta sul parabrezza, indicava di avvicinarsi, fino a mantenere la distanza classica con la mia ala all'altezza dei timoni e lontano della larghezza dell'ala del capo.

Fin quando il volo era in linea retta non c'erano difficoltà, ma quando si comincia con le virate allora la faccenda fu più entusiasmante, perchè si doveva lavorare di comandi e di manetta, per mantenere la posizione stabilita.

Poi vennero le pattuglie a tre, ma quello che in seguito eccitò ancor più il mio entusiasmo fu quando cominciai le esercitazioni di finta caccia, prima puntando un palloncino che faceva di tutto per non farsi inquadrare e sempre sfuggiva all'impatto che lo doveva far scoppiare, e poi invece con un aereo pilotato da un istruttore e che si doveva inquadrare con la foto-mitragliatrice.

Era questa l' esercitazione più entusiasmante anche se era la più difficile perchè ovviamente l'istruttore faceva di tutto per non farsi inquadrare nel collimatore.

Per completare l'addestramento eseguii anche qualche ricognizione fotografica, poi atterraggi di precisione, quote ufficiali, ecc.

Alla fine del corso ero proprio al massimo della gioia ed avendo superato tutte le prove, mi sentivo già un pilota da caccia ed il mio entusiasmo era sempre alle stelle, anche perchè sul nostro campo, ad eccitarmi ancor di più, venivano sempre i piloti dello stormo da caccia di base a Campoformido a far le loro dimostrazioni, isolate o in pattuglia, alimentando sempre più i miei sogni di volare presto con il loro CR 30.

 

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Intanto, finito il corso, potevamo finalmente mettere sul petto quell'aquila d' oro con tanto di corona, propria dei piloti militari.

Non mi sentivo certo alla loro altezza, o un loro pari, ma ormai ero uno di loro e questa piccola superbia la scontai ,infatti al termine del corso, un 'influenza o qualcosa di simile mi butto a letto in infermeria per una decina di giorni, proprio nel momento in cui venivano fatte le destinazioni ai reparti di impiego;

cos’ addio stormo da caccia e fui assegnato al V Stormo d'Assalto di base a Ciampino Sud.

Non si era mai parlato di questo stormo, di questa specialità, in quanto tutti noi ritenevamo ovvio che quando un allievo avesse seguito il corso alla scuola caccia, andasse logicamente a uno stormo di questa specialità.

La mia delusione fu enorme: addio CR 30, addio pattuglie acrobatiche, addio a tutti i miei sogni, con questo animo partii per la nuova destinazione, con la coda fra le gambe ritenendomi punito per la mia superbia.

Chissà, pensavo, anche cosa sarebbero servite le esercitazioni in finta caccia col CR Asso e le pattuglie a tre tutte quelle cose tipiche della caccia, all' Assalto che cosa si faceva?

Ma!

Arrivai a Ciampino Sud e fui assegnato alla 86a Squadriglia, comandata dal capitano Cartoni, la cui nobiltà d'animo ed il suo entusiasmo mi fecero capire che anche fuori dalla caccia si era piloti.

Si raccontava, quando ero alla scuola Caccia di Aviano, mezzo secolo fa, che al comando dell'aeroporto di Campoformido arrivavano continui rapporti dei carabinieri, riguardanti le infrazioni commesse dai piloti dello stormo caccia di stanza su quella base.

Questo era lo stormo dei nostri sogni, alimentati sempre dalle visite di quei piloti sul campo scuola a dimostrazione delle loro capacità.

Era un'esaltazione continua e l'entusiasmo per la caccia diventava sempre più grande.

Forse per noi allievi l'aviazione era solo quella.

Ma per tornare ai fatti, i rapporti che pervenivano al comando erano soprattutto relativi ad una infrazione definita pericolosissima, che metteva a repentaglio la vita dei piloti e, peggio ancora, costituiva un rischio per il materiale dello stato: era quella eseguita dai piloti più spericolati (per gli estensori dei rapporti), che si divertivano a passare con l' aeroplano sotto le arcate del ponte sui fiume.

Visti con l'occhio del pilota i fatti non erano poi così gravi:

sì, un po' di ardimento ci voleva, ma nemmeno tanto, perchè le arcate del ponte non erano così basse e così strette, per cui l’aeroplano ci passava comodamente.

Bastava un po' d'occhio, ma per il pedone nato coi piedi per camminare e non con le ali per volare queste manovre apparivano molto pericolose.

Quando queste infrazioni divennero troppo frequenti, il comandante dello stormo fu costretto a prendere provvedimenti e, chiamati a rapporto tutti i piloti sul piazzale antistante l'hangar, impartì loro la dura ramanzina per renderli consapevoli del loro pessimo comportamento.

E, sia come sia, la ramanzina fu impartita ed alla conclusione il comandante invitò i piloti responsabili di questi misfatti a fare un passo avanti perchè fossero tutti ben individuati.

Tutti fecero un passo avanti, e dicendo tutti si intendeva dire che fra questi c'era il comandante dello stormo ...

Ma ci si può oggi domandare:

se non ci fossero stati questi ardimentosi, come sarebbero nate le famose pattuglie acrobatiche che fin da quei tempi entusiasmarono le folle di tutto il mondo, così come lo fanno oggi?

E questo non era solo esibizionismo, perchè questo addestramento diede i suoi frutti durante l'ultima guerra, nella quale i nostri piloti si trovarono pochissime volte in condizioni di superiorità per numero e per qualità di mezzi, per cui solo l'abilità conseguita con l'addestramento consentiva loro di portare a termine le missioni loro affidate, con esito favorevole.

 

A dire il vero di piloti squinternati qualcuno ce n'era;

anche questi hanno avuto i loro bravi rapporti e le loro meritate punizioni, perchè non avendo un fiume e relativo ponte un po' isolato a portata di mano, trovavano un surrogato di questa struttura nelle linee ad alta tensione, che coi loro tralicci molto lontani ed i cavi tesi alti dal suolo.

Sostituivano l'arcata del ponte, col vantaggio che erano più alti e più larghi.

Come giustificazione con c'e male, se non fosse che, data la facilità della manovra, pensavano di complicarla inventando di fare il looping attorno alla linea.

E tale manovra, debbo dirlo in tutta sincerità, era pura scemenza, e fatta una volta non si ripeteva più.

Poi altre cose si facevano senza pericolo alcuno;

sempre infrazioni erano ma, se non c'era nessuno a prendere il numero della carrozzella (così si diceva a quel tempo per indicare il numero scritto sulla fusoliera dell'aeroplano, tutto finiva bene senza danni per nessuno.

Il gioco consisteva nel mettere le ruote a terra su una strada qualsiasi che presentasse un buon rettilineo, senza pali che la fiancheggiassero.

Individuato il posta, il gioco veniva ripetuto da molti, fin quando, diffusa la calunnia, non si trovava appostata una pattuglia dei carabinieri, pronta a prendere ora e numero, per cui quello che ci capitava pagava per tutti.

Questo gioco si poteva fare perchè a quel tempo le macchine non erano poi tante sulle strade, ma quando capitava che in fondo al rettitineo si aveva la sfortuna di incontrare una macchina od un carretto, ecco che scoppiava la grana.

Per il pilota pericolo non c'era, perchè una tiratina di cloche sistemava tutto;

forse non era la stessa cosa per chi si vedeva un aeroplano venirgli incontro.

Queste erano le cose extra, le sperimentazioni individuali e personali che esulavano da ogni regolamento e da ogni addestramento, il quale invece era studiato in ogni manovra, sia da isolati che in pattuglia ed anche se ai non addetti ai lavori sembrava una pazzia, in effetti era solo una dimostrazione di capacità e di controllo delle nostre azioni.

Se così non fosse stato, come si poteva fare il fanalino di coda stando a meno di un metro dalla coda del compagno di pattuglia senza mangiargli i timoni?

E come avrebbero potuto i più bravi partire, manovrare ed atterrare legati l'uno all'altro?

Queste cose tanto strane non solo erano per che le eseguiva, perchè in ogni momento la calma e la sicurezza di mantenere il controllo del velivolo erano il frutto di un'intensa preparazione, di un addestramento meticoloso che non lasciava nulla alla fantasia, unita ad una innata capacità di pochi piloti dotati di manico, come si diceva allora per definire gli assi.

Erano davvero pochi ed io non ero di quelli…

 

Ezio Dell’Acqua

Aerofan, luglio 1990

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  • 5 settimane dopo...

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L' RF-84F era decollato dalla lunga pista di Villafranca in un brutto pomeriggio di ottobre, lasciandosi dietro una vorticosa scia di pioggia e il caratteristico sibilo cavernoso del J65-W-7.

Ai comandi un giovane tenente della 3a Aerobrigata era impegnato negli ultimi controlli post-decollo per una missione di addestramento alla ricognizione armata.

I Colli Euganei sfrecciarono veloci sotto le ali dell'aviogetto, poi fu la volta di Mestre e Latisana, al traverso di Cervignano il pilota iniziò l'ultimo tratto della rotta di avvicinamento all'obiettivo, che apparve pochi secondi dopo il sorvolo dell'lsonzo: i cantieri di Monfalcone.

La missione simulava una ricognizione armata sulla direttrice Venezia-Trieste, con incarico finale di riprendere la zona industriale marittima per la preparazione di un attacco di F-84F delia 6" Aerobrigata.

Il tenente riportò la sua posizione alla base, poi armeggiò a lungo con i selettori per predisporre lo scatto delle sei fotocamere;

era molto teso in questo volo perchè intendeva portare a termine nel modo migliore la sua "prima" crociera operativa ritornando a Villafranca con riprese indiscutibili, era stanco della sufficienza con cui lo trattavano i colleghi più anziani al reparto.

Cosi non si accorse del preoccupante valore indicato dai televel dei serbatoi alari.

Descrisse un largo giro sull'obiettivo e tirò la barra a se per riprendere la quota di ritorno alla base, ma mentre sorvolava la costa, due vivide luci cominciarono a lampeggiare mandando sinistri riflessi sui quadranti del pannello carburante.

Accidenti, sono partite le pompe delle Wings! ", pensò subito interrogando gli strumenti.

Una rapida occhiata gli rivelò la verità:

i serbatoi esterni non avevano travasato, erano ancora pieni di duemila litri di JP4, ma quel carburante ora non avrebbe più potuto riempire i serbatoi alari, doveva rientrare solo con quel poco che rimaneva nelle ali.

 

1108.jpg

Cosa era successo?

Mentre l'aereo saliva a più di 5000 piedi/minuto si ricordò che non aveva eseguito il travaso nelle manovre post-decollo e ora, con le pompe inefficienti, le taniche, diventavano inutili pesi morti sospesi agli attacchi sotto le prese d'aria.

Un rapido carteggio rivelò che poteva atterrare a Istrana, ma aveva appena impostato la prua per il ritorno che si accese anche la spia del "Forward", poi, al traverso di Palmanova, la luce dell'avvisatore di basso livello gli,ricordò, non senza qualche brivido, che gli rimaneva soltanto qualche minuto di volo.

Interruppe la salita, mentre con la radio chiamava la torre di Rivolto per dichiarare emergenza:

"Flash 12, basso livello ... dichiara emergenza e chiede diretto al campo._.",

"Autorizzato, Flash 12, avete priorità assoluta ... le condizioni a Rivolto danno 5/8 di stratocumoli a 6.000 piedi, pioggia a tratti, temperatura 9 gradi, vento 40 gradi 10 nodi ... ".

Ora l'RF-84F sorvolava le basse colline friulane puntando su Udine, il pilota si manteneva un po' alto, pronto a lanciarsi non- appena il J 65-W-7 avesse cominciato a scendere di giri, sapeva bene che dal Thunderflash a bassa quota si erano salvati in pochi ...

Con lo sguardo ansioso il tenente seguiva il rapido alternarsi di campi e colline sotto le ali, fissando con inquietudine l'orizzonte in attesa di vedere apparire da un momento all'altro davanti al blindovetro la lunga striscia animata della statale Pontebbana:

da quel punto la quota era sufficiente ad arrivare sull'aeroporto.

Eccola!

Sulla destra si profila il diritto nastro di asfalto che unisce Udine a Pordenone, era proprio la nazionale ... un'occhiata all'altimetro confermò che ce l'avrebbe fatta.

Leggera virata a sinistra ed ecco la pista di Rivolto, apertura, giù i flaps, sottovento, base, finale ...

tre miglia, due, uno, catenaria, testata pista, via i giri.

Il pilota richiama dolcemente, tutto sommato era quasi un atterraggio normale e "papà-motore" non lo aveva tradito, aspetta il lieve contatto delle ruote, ma non ci fu alcun sussulto, doveva essere un po' "lungo".

I provvisamente accadde tutto:

vide la luce filante di un razzo rosso perdersi dietro la torre di controllo, un violento strattone lo proietta in avanti tendendo con forza incredibile le cinghie del seggiolino, poi un terribile urlo soffocato salì da sotto il ventre del Thunderflash, che prese a sbandare di lato sussultando paurosamente.

Le ali vibravano con cadenza frenetica, la velocità era in rapidissima diminuzione.

Istintivamente azionò i freni, ma non ci fu alcuna frenata, solo quel maledetto rumore di ferraglia mentre la lucida pista correva veloce ai lati delle ali;

guardò gli strumenti di sfuggita, ma non c'era tempo di domandarsi cosa fosse successo:

chiuse i contatti e aprì il tettuccio.

L'aereo si fermò con un ultimo sobbalzo, slacciò le cinghie e scese dall'abitacolo mettendo le mani un po' dove capitava, scivolò e cadde sul cemento.

Si allontanò zoppicando dall'R F-84F ancora confuso e con una caviglia lussata, mentre i getti poderosi delle squadre antincendio inondavano il velivolo soffocando un brutto principio di incendio.

 

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Mezz'ora dopo ritornò con la "campagnola" al suo velivolo, era ancora là, in mezzo alla pista di Rivolto, al centro di una larga chiazza di schiumogeno.

Finalmente capì perchè tutti l'avevano guardato come un marziano:

l'RF-84F era atterrato senza carrello poggiando sui serbatoi esterni a 180 Km/h, e strisciando per 250 metri su duemila litri di infiammabilissimo cherosene!

La commissione di inchiesta accertò che il "Flash 12" non si era acceso come un gigantesco fiammifero solo per due motivi:

la pista bagnata e il contatto simmetrico.

Il velivolo aveva poggiato perfettamente sulle taniche suddividendo il suo peso sulla massima superficie ed evitando così fatali sforzi concentrati che avrebbero distrutto la struttura dei serbatoi.

Il carburante era ugualmente uscito da una grossa fessura, ma il getto di JP4 era stato disperso sulla pista dai vortici di scia, e subito si era raffreddato al contatto del velo di pioggia e degli spruzzi d'acqua sollevati dal velivolo.

Solo durante l'arresto il cherosene era riuscito ad accumularsi e a prendere fuoco, ma l'intervento del pompieri aveva scongiurato ogni pericolo.

Più tardi, al reparto, il giovane tenente disse ai colleghi più anziani che avrebbe smesso di fumare, non poteva più sopportare la vista dei fiammiferi, gli ricordavano troppo una mancata fine della sua avventura ...

 

Antonio Mancino

Jp4, ottobre 1978

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  • 2 settimane dopo...

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Un salto nel buio

I piloti si guardarono sorpresi:

il BAC 1-11 stava ancora ruotando per assumere l'assetto di salita dopo un distacco perfetto è già si infilava a 140 nodi IAS nella buia coltre nevosa che turbinava sulla pista di Linate.

Eppure c'era stata un’esplosione in coda.

Un sordo bang che aveva scosso l'aereo con un tremito sinistro,mentre le luci di cabina si abbassavano per un lungo attimo.

Number one failure, power off!

La voce del Flight Director risuonò improvvisa nell'interfono, mentre l'anziano pilota indicava il quadrante dell 'EGT: la lancetta era ormai nel limite delle cifre rosse.

Il comandanle chiuse la manetta seguendo il consiglio del terzo membro (a bordo per l'esame del secondo pilota) ed iniziò la procedura di emergenza per piantata motore in decollo:

assetto ridotto a 6°, velocità 140 nodi, 500 ft min, dentro il carrello, su i flap.

Il grosso bireattore continuò a salire nel vortice di fiocchi nevosi che disegnavano tracce evanescenti intorno al parabrezza, ma la velocità scendeva progressivamente.

I 140 nodi erano solo un ricordo.

Il pilota ridusse ancora l'assetto per riprendere la velocità di single engine (regime di salita can un solo motore;) e aspettò invano la ripresa dell'anemometro.

Qualcosa di strano stava accadendo.

Quella manovra era il tema classico dell'addestramento, i tre a bordo l'avevano provata almeno un centinaio di volte e sempre l'aereo era filato via liscio verso la quota di accelerazione, proprio come affermava il Manuale di Volo.

Ora, invece, il G-ASJJ sembrava incapace di stare in volo e a tratti le mani esperte di Hawkins già sentivano i segnali dello shaker sui comandi, presagio di uno stallo incipiente.

La regressione dello strumento sembrava inarrestabile, da 150 era sceso a 127 nodi, 8 nodi dalla velocità minima di sostentamento

... a 120 nodi il fremilo convulso dell'avvisatore si fece sentire altre volte, mentre la quota scendeva da 250 fl. a 180.

- Linate, United 352 dichiara emergenza, un motore in avaria .

115 nodi, 150 ft : atterraggio Forzato.

La luce spettrale dei fari di bordo lasciava intravedere una fuga velocissima di ombre di campi e pioppetti sotto le ali dell' One-Eleven .

Il comandante allertò i passeggeri, richiamò il velivolo per appiattire la traiettoria di discesa e puntò dritto in avanti seguendo due linee parallele che segnavano il percorso di un tratturo, verso una grande zona buia che doveva essere una radura, il punto migliore per il contatto.

Non pensò neppure che quella macchia poteva nascondere ogni genere di ostacoli:

alberi, case, tralicci, cavi di alta tensione.

Agì solo d'istinto, nessuno gli aveva insegnato come e dove posare quelle 40 tonnellate a 230 Km/h in una campagna buia e sconosciuta.

I fari illuminarono le brutte cime di un filare di pioppi, troppo alti per essere superati, perchè; ormai restavano solo una trentina di piedi.

Hawkins continuò dritto aggrappandosi ai comandi, ci fu uno schiocco violento, l'aereo vibrò paurosamente piegando l'ala destra.

Passarono cinque eterni secondi, poi un sussulto e il silenzio della brughiera venne rotto da un forte ma soffice rumore di neve arata:

Avevano toccato.

Il BAC 1-11 strisciò per 500 metri saltando due tratturi e tre canali irrigui e si arrestò sull'ala sinistra can il muso rivolto ai pioppi che aveva reciso;

il cronometro indicava 88 secondi dal rilascio freni.

L 'evacuazione fu condotta in modo esemplare dall'equipaggio e dalle hostess.

Poi tutti i 32 protagonisti del volo B.U.A. 352 si sparpagliarono illesi su un'ampia radura innevata di San Donato Milanese, 9°16'55" Est, 45°24'12" Nord, 40 metri sul livello del mare, alle are 20,32 del 14 gennaio 1969.

I piloti vennero a lungo congratulati dai passeggeri e dal rappresentante di compagnia per la perizia dimostrata durante l'emergenza (avevano atterrato così bene che molti occupanti non si erano nemmeno accorti del contatto), ma non poterono sottrarsi alle domande incalzanti della commissione di inchiesta. chiamala a risolvere un caso che sembrava smentire la validità delle procedure di emergenza.

 

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Perchè il G-ASJJ non era riuscito a decollare con un solo motore?

Dall'esame della traiettoria appariva chiaramente che l'aereo aveva volato con una continua deficienza di spinta, al limite della velocità di stallo e nella costante impossibilità di mantenere la quota.

Eppure i calcoli dei progettisti, le prove di volo dei collaudatori e le avarie simulale condotte nell'addestramento dei piloti (proprio sui G-ASJJ della B.U.A. concordavano nell'affermare il contrario.

L 'attenzione degli inquirenti si concentrò sui motori e sui comandi di volo e il quadro che emerse assunse

ben presto tinte paradossali:

il cedimento di un segmento di sigillo della turbina HP del motore sinistro aveva innescato un effetto di esplosione / pompaggio nel compressore, subito estinto, data la lieve entità del surring:

le prove al banco portavano all'esclusione di difetti o avarie all'impianto carburante e ai comandi di volo.

il motore destro era in perfette condizioni di efficienza.

In altre parole il velivolo era precipitato perchè il comandante dopo aver chiuso completamente la manetta del motore n. 1 (destro) per errore (aveva accettato come un ordine il consiglio sbagliato del Flight Director) non si era reso conto di aver spento il motore buono e inoltre, non si era accorto che la spinla del motore n. 2 (sinistro) era stata parzialmente diminuita dal copilota, che intendeva chiudere l'altro motore.

La confusione era continuata durante tutta l'emergenza senza che nessuno dei tre piloti si accorgesse che il velivolo volava a potenza singola ridotta e che sarebbe bastato avanzare di cinque centimetri la manetta sinistra per scongiurare l'atterraggio forzato.

Tra le note della commissione d'inchiesta .si leggeva tra l'allro:

Il Flight Director ha avvertito per primo l'avaria, ma ha dato un consiglio sbagliato;

il comandante ha compiuto un magistrale atterraggio di emergenza, ma ha spento il motore efficiente;

il copilota è stato l'unico a individuare il motore guasto, ma ha agito senza autorizzazione.

L'equipaggio ha mostrato un'estrema confusione in una procedura più volte provata in addestramento e una eccellente coordinazione in una manovra mai eseguita.

Si raccomanda vivamente di tener ben separati in futuro questi tre piloti.

 

ANTONIO MANCINO

JP4, Giugno 1979

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Il T 33 atterrò sibilando davanti ai due "Y" fermi al punto attesa, i piloti della Missione 305 lo videro sparire dal blindovetro e dirigere verso i raccordi affollati del 102° Gruppo.

Verde sette ha liberato

Ricevuto ... break, Missione 305 siete autorizzati al decollo, il vento da 8 nodi in coda, confermate la pista 12 ?

Ok, la 305 va ... ".

Due occhi rossi si accesero con un sordo boato in coda al primo G.91, che scattò in avanti sotto l'impulso delle quattro tonnellate dei General Electric J85.

Il gregario attese cinque secondi, poi mollò i freni e controllò l'accelerazione, tenendosi sempre fuori scia, pronto a portarsi in posizione tattica dopo il ricongiungimento:

100% rpm ... 110 nodi ... rotazione .. variometro positivo, su il carrello ...

500 piedi ... via i flaps ... 300 nodi, 1.200 piedi ... fine accelerazione,

via l' A/B .

Le manette arretrarono rapidamente fino a "military", poi la familiare sensazione della riduzione spinta si accompagnò al moto progressivo delle lancette, che andarono ad occupare la loro brava posizione sugli strumenti motore.

Rpm, EGT, tutto Ok.

Il tenente corresse l'assetto del velivolo piegando a sinistra per seguire una rotta parallela a quella del numero uno, che un migliaio di metri più avanti già si confondeva nella foschia velata dell'orizzonte. D'improvviso un violento bang scosse il piccolo caccia e gli strumenti presero a oscillare freneticamente, subito seguiti da vibrazioni e rumori metallici.

Il pilota portò istintivamente le manette su Idle e con una rapida occhiata interrogò sorpreso i quadranti:

l'EGT sinistro dava un valore incredibile, 1.000°C allo scarico!

L'altro motore viaggiava a 750°C e 80% rpm.

Avanzò la manetta destra, sperando di affidarsi a quello buono, ma vide con sgomento che anche nel secondo l'EGT saliva a 1.000-1.200°C.

I motori sembravano impazziti, la velocità scadeva velocemente

250 nodi, il variometro era prossimo a investirsi, la quota era di 1.300 piedi

Emergenza!

Il numero due dichiara emergenza,

ho i due motori piantati ... spinta motori ... 1.000°C, spengo ... ".

(leader): "dove sei adesso?”

(gregario): "7.400 piedi, 200 nodi, 300 piedi a scendere, motori 1.000°C, Idle, spengo ... "

(leader): "ritorna indietro, subito ! "

(gregario): "cosa?"

(leader): "sulla pista, torna sulla pista ... "

(gregario): "e come faccio? Ho i motori piantati ... mi lancio! "

(leader): "lanciati allora"

(torre): "confermate i motori piantati ?

…ricevuto . .rilasci lo starter, rilight, tutto A/B dentro! ..

Il pilota dette rabbiosamente il "full A/B", mentre l'aereo puntava verso terra e le cascine sottostanti si facevano sempre più grandi, ma l'effetto fu ancora più sconfortante:

1.000°C allo scarico e un botto tremendo dietro la schiena.

(torre): "che quota ha?"

(gregario): "7.000 piedi"

(torre): "si lanci! "

(gregario): "Ok, eseguo ... "

Trimmato l'aereo a 190-200 nodi, accostò a sinistra per evitare un paese vicinissimo, poi si attaccò alla maniglia del Martin Baker

(torre): "si è landato?"

(leader):… non lo vedo, è rimasto indietro ... cerco ... "

(torre): "faccia un centottanta e torni indietro .....

(leader):" ... mi sembra ... Ok, lo vedo! Vedo fumo ...il paracadute, si !, sta scendendo verso gli alberi, sembra tutto a posto".

La commissione d'inchiesta si mise subito al lavoro, dopo una rapida nomina, e gli inquirenti ascoltarono con attenzione il rapporto del pilota, ma nessuno riuscì a nascondere una sincera incredulità per la singolare dinamica dell'episodio: piantata doppia in decollo, fuori uso due motori su due!

A priori si sarebbe detta un'eventualità assai remota, di probabilità pari a quella di una collisione con una meteorite.

Tuttavia era successo, e pertanto si doveva risalire alla causa della duplice avaria.

A prima vista metà dell'incidente era facilmente spiegabile, se si considerava il complesso di effetti avvertiti dal pilota al motore sinistro: alta temperatura allo scarico, forti vibrazioni, rumori anomali, fluttuazione giri.

I classici sintomi di uno stallo al compressore.

Ma perchè questo aveva stallato e perchè poi, contemporaneamente, era andato in stallo anche il destro? una rimessa da uno stallo inoltre richiede una immediata riduzione dei giri, seguita da un graduale aumento di potenza.

L'azione del pilota dell'8° Stormo CBR era stata istintiva, ma corretta.

Perchè allora il motore, anzi i motori, non erano usciti dalle condizioni di stallo?

Queste erano le domande chiave dell'inchiesta sulla perdita del G.91Y del 102° Gruppo di Cervia, un episodio che rischiava di proiettare ombre diffuse sulla stessa operatività della linea Caccia Bombardieri Ricognitori.

La risposta venne dall'esame dei motori, recuperati integri nel troncone posteriore del velivolo:

molte palette del compressore erano in buona parte piegate o sradicate dall'urto, ma solo una rivelò, all'esame microfrattografico, i caratteristici segni di rottura a fatica.

Era quindi successo che questa paletta, del 2° stadio compressore motore sinistro, si era staccata dalla sua sede a causa di una cricca formatasi alla radice e aveva danneggiato gravemente tutti gli stadi successivi, provocando una distorsione del flusso d'aria, e quindi lo stallo del compressore.

Questo è un fenomeno che si verifica quando la corrente di fluido che attraversa il turbogetto si presenta con angoli di incidenza eccessivi rispetto alla giacitura delle palette, che essendo in pratica dei profili alari in scala ridotta, sono soggette a stallare proprio come l'ala di un normale velivolo.

Quando si innesca lo stallo la girante perde in gran parte la sua capacità di comprimere l'aria in ingresso e così il rapporto di compressione decade improvvisamente fino a portare all'inversione del gradiente manometrico.

Il fluido e allora spinto a rifluire indietro verso la presa d'aria.

Con ciò si verifica uno "svuotamento" del diffusore e la conseguente depressione a valle del compressore richiama nuovamente il flusso nella normale direzione di scorrimento.

Il fenomeno è rapidissimo e si ripete ciclicamente con violente fluttuazioni dei parametri di funzionamento, nonchè pericolose sollecitazioni meccaniche.

L 'effetto più vistoso è l'oscillazione di valori sugli strumenti motore e, soprattutto, l'aumento incontrollato della temperatura allo scarico (EGT) indotto dall'eccesso di carburante presente nella camera di combustione rispetto alla ridotta portata d'aria.

Tutto ciò era avvenuto nel motore sinistro del G.91Y dell'8°Stormo, ma in questa caso la contro pressione successiva al primo stallo aveva espulso molti frammenti metallici che, attraverso la comune presa d'aria, erano stati aspirati dall'altro motore, provocando lo stesso effetto anche nell'unita destra.

Qui stava la ragione della duplice piantata in decollo e della impossibilita di effettuare una "rimessa".

 

Antonio Mancino

JP4, Novembre 1978

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