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Tecnica del Volo


Dave97

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Ciao

In questo Topic cercherò di riportare alcuni articoli interessanti riguardanti la tecnica del volo.

Nessuna pretesa di sostituirsi al Manuale di Volo Jeppesen, ma una raccolta di fondamentali di volo che possono tornare utili a chi non è brevettato per farsi un’idea e a chi è già brevettato come utile Ripasso (me compreso)

Spero di aver scelto la sezione adatta, altrimenti demando allo staff l’onere di spostarla nella sezione più appropriata.

Dato che non aspetterò un’ora per postare il primo articolo, e che preferisco non sporcarlo con questa introduzione, mi appello alla clemenza dei moderatori per sfuggire all’avvertimento :whistling: .

 

 

Index

Atterraggio con il vento al traverso

Volo in Montagna

Gli ipersostentatori

Flaps

Riattaccata

Fisiologia del volo

La Virata Impossibile

Pianificazione di un volo VFR

L'aria calda al carburatore

Le Sensazioni Illusorie

Un' Aereo sconosciuto Vola Nell' ADIZ

Un Cessna sfida i Mig

L’ Intercettore e l’intercettato

Avvicinamento finale con una X incognita

Segnali a terra

Modificato da Dave97
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Atterraggio con il vento al traverso

Per molti piloti l'atterraggio con forte vento al traverso costituisce un incubo, perché nella loro carriera non hanno mai veramente imparato a contrastarlo.

La carenza forse più diffusa tra i piloti è l'uso della pedaliera, che per molti è come se non esistesse, perché sono abituati a "sterzare" con il volantino come se fossero in automobile; per atterrare in sicurezza con il vento al traverso l'uso della pedaliera è invece indispensabile.

Oltre a mancanza di addestramento e allenamento, l'incapacità di affrontare il vento al traverso deriva in buona parte dalla mancata comprensione della dinamica della manovra.

I punti salienti da tenere presente per atterrare in modo consapevole e sicuro con il vento al traverso sono i seguenti.

- Fin quando l'aereo ha le ruote staccate da terra, trovandosi immerso nell'aria, subisce uno scarroccio verso il lato sottovento della pista, scarroccio che, a parità di velocità del vento, aumenta al diminuire della velocità dell'aereo.

Poiché gli aerei dell'aviazione generale, date le loro caratteristiche aerodinamiche, eseguono l'avvicinamento a muso basso e per atterrare devono fare la richiamata e portare il muso al di sopra della linea dell'orizzonte (mentre gli aerei con propulsione a getto e con ala a freccia sono già a muso alto durante l'avvicinamento), la loro velocità deve inevitabilmente diminuire (se non diminuisse in concomitanza con l'aumento dell'angolo di incidenza l'aereo risalirebbe anziché atterrare), e subiscono quindi uno scarroccio che aumenta progressivamente dalla richiamata al contatto.

In questo lasso di tempo, i piloti devono apportare ai comandi correzioni proporzionalmente maggiori.

- Poiché gli ostacoli del terreno rendono continuamente variabili la velocità e la direzione del vento, cioè provocano sempre fenomeni più o meno intensi di windshear, durante la fase finale dell'avvicinamento e durante la richiamata l'aereo subisce oscillazioni indesiderate intorno a tutti e tre i suoi assi, e lo scarroccio è continuamente variabile. Perciò al pilota è nuovamente richiesto di agire sul volantino e sulla pedaliera (e nei casi estremi anche sulla potenza) con interventi da dosare di volta in volta in funzione delle sollecitazioni impresse all'aereo dai moti agitati dell'aria.

- In conseguenza di quanto detto nei due punti precedenti, il pilota deve essere pronto a intervenire sui comandi in funzione di come si comporta l'aereo istante per istante, e non con correzioni di ampiezza e direzione costanti.

L'errore che molti piloti commettono, quando devono atterrare con il vento al traverso, consiste nell'impostare le correzioni in funzione della direzione e velocità del vento comunicate per radio da terra in finale.

Avendo imparato meccanicamente la regola "volantino al vento e piede contrario", giunti in corto finale questi piloti abbassano l'ala sopravento e danno piede dalla parte opposta, continuando poi con i comandi in quella posizione senza più curarsi di apportare le ulteriori correzioni richieste dal mutare delle condizioni.

Il riferimento su cui basare le correzioni non è il vento comunicato dalla torre, bensì la mezzeria della pista, sulla quale e parallelamente alla quale l'aereo va mantenuto con la tecnica spiegata di seguito.

Partiamo dalla virata finale, al termine della quale l'aereo deve trovarsi esattamente sul prolungamento dell'asse della pista.

Il muso deve essere rivolto al vento per contrastare lo scarroccio con l'applicazione di un angolo di deriva , né più e né meno come si contrasta il vento laterale durante la navigazione in rotta.

Per mantenere l'aereo sull'asse della pista, il pilota deve apportare con il volantino le correzioni rese necessarie dal più o meno continuo variare della direzione e dell'intensità del vento, usando la pedaliera solo per il coordinamento dei comandi, cioè per neutralizzare l'imbardata inversa indotta dall'uso degli alettoni, e avere la pallina al centro.

L'aereo, però, non può essere portato fino in terra con l'asse longitudinale disassato rispetto alla pista, perché in queste condizioni le ruote non si troverebbero allineate con la direzione del moto; al momento del contatto il carrello subirebbe carichi laterali inaccettabili, mentre l'aereo tenderebbe a ribaltare lateralmente con il muso diretto verso il bordo della pista.

Pertanto, nel momento in cui il pilota reputa opportuno, in genere poco prima della richiamata, l'asse longitudinale dell'aereo deve essere portato a coincidere con l'asse della pista.

Se il pilota tenta di raggiungere questo obiettivo mantenendo l'ala dell'aereo livellata, il vento laterale lo porta fuori pista, e l'asse dell'aereo si mantiene parallelo, ma non coincidente, con l'asse della pista.

Per ottenere che l'aereo scenda con il muso allineato con la pista e che le ruote tocchino al centro, il pilota deve inclinare l'ala dalla parte del vento, in modo da inclinare la portanza facendole ammettere una componente orizzontale che appunto si opponga al vento.

 

Però, nel momento in cui l'ala viene inclinata con il volantino, l'aereo tende a spostare il muso e a virare dalla stessa parte: per impedire che ciò avvenga, il pilota deve far intervenire il timone dando tanto piede contrario quanto basta per tenere l'asse dell'aereo allineato con quello della pista

Il primo contatto dell'aereo con la pista deve quindi avvenire con la sola ruota sopravento.

Come abbiamo detto più sopra, tra l'inizio della richiamata e il contatto la velocità dell'aereo continua a diminuire, e lo scarroccio ad aumentare. Ciò richiede che il pilota, durante la fase di galleggiamento (che è bene sia tanto più breve quanto più forte è il vento al traverso), continui ad aumentare l'inclinazione dell'ala per aumentare la componente orizzontale della portanza che si oppone al vento, e che contemporaneamente aumenti la deflessione del timone verticale per impedire che l'aereo (e le ruote) perdano l'allineamento con la pista. In altre parole, durante la fase finale dell'atterraggio, l'aereo deve essere mantenuto sull'asse della pista usando il volantino, mentre il muso deve essere mantenuto puntato verso l'estremità della pista usando la pedaliera.

L'ampiezza degli interventi sui comandi deve essere continuamente variata al variare dei capricci del vento.

Dopo il primo contatto con la ruota sopravento l'aereo decelera e tocca anche con la seconda. Non appena le ruote principali sono entrambe al suolo, è bene abbassare subito il muso e far toccare anche la ruota anteriore, così da facilitare il controllo direzionale

Una volta al suolo, infatti, l'aereo si comporta come una banderuola e cerca di mettersi controvento.

 

L'uso dei flap

Come usare i flap durante gli atterraggi con il vento?

Se il vento ha una componente laterale poco rilevante, i flap vanno usati normalmente, cioè alla massima estensione, così da rendere minima la velocità di contatto e da ridurre al minimo il galleggiamento dell'aereo durante la richiamata.

Con il vento al traverso, invece, è consigliabile che l'estensione dei flap sia tanto minore quanto maggiore è la componente laterale.

Vediamo di spiegarne il perché.

Il manuale di volo di ogni aereo riporta la componente massima del vento al traverso che quell’aereo è in grado di contrastare.

Cos'è che limita la capacità di un aereo di atterrare con il vento al traverso?

Per gli aerei leggeri, la cui ala può essere inclinata lateralmente ad angoli molto elevati senza che l'estremità tocchi la pista, la limitazione deriva dall'escursione del timone;quando la pedaliera è a fondo corsa, se il vento spinge l'aereo verso il bordo sottovento della pista, il pilota può cercare di fermare lo scarroccio dando più volantino, ma non può più tenere l'aereo dritto e perciò è costretto a riattaccare.

L'efficacia del timone, però, oltre che dell'escursione è funzione della velocità.

Perciò, quanto più veloce è l'aereo in atterraggio, tanto maggiore è la componente laterale del vento che può essere contrastata con la pedaliera.

Eseguendo l'avvicinamento a zero flap con un aereo leggero, a parità di velocità il muso è molto più alto che non quando i flap sono estesi, e perciò può essere portato sulla pista in un assetto simile a quello tenuto dagli aeri a getto con ala a freccia.

In tal modo, l'atterraggio può essere compiuto senza bisogno di richiamare o con una richiamata solo accennata, permettendo all'aereo di arrivare in terra a una velocità molto maggiore di quella alla quale tocca dopo la richiamata normale, e permettendo così al timone, a parità di altre condizioni, di avere maggior efficacia.

Atterrando senza flap si può anche applicare la tecnica adottata per gli aerei di linea, le cui ali molto lunghe consentono inclinazioni laterali assai modeste.

Arrivando in pista con il muso già alto, cioè essendo pronti al contatto senza bisogno di richiamare, questi aerei contrastano lo scarroccio con la deriva fino a un istante prima del contatto.

Istante nel quale il pilota allinea l'asse longitudinale dell'aereo con quello della pista agendo opportunamente sulla pedaliera, mentre usa il volantino per contrastare il rollio indotto dall'imbardata e per tenere l'ala parallela al terreno.

Data la notevole velocità di questi aerei, e il tempo brevissimo in cui rimangono soggetti allo scarroccio con l'ala orizzontale prima del contatto, questa tecnica si presta egregiamente alle loro necessità.

 

Tratto da Volare del 9/1999

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Volo in Montagna

Chi si appresta a volare in montagna deve avere presenti gli effetti della quota, sia sull' organismo sia sulle prestazioni dell'aereo, dovuti alla diminuzione della pressione e della densità dell'aria.

Per conseguire la licenza di pilota, abbiamo tutti dovuto imparare che la diminuzione della pressione parziale dell' ossigeno nell'aria rarefatta provoca l'insorgere dell'anossia, vale a dire la carenza di ossigeno nel sangue.

Gli effetti dell'anossia sull' organismo sono molteplici, ma quello che più interessa il pilota che vola in montagna è la diminuzione della capacità di giudizio in un ambiente in cui deve continuamente valutare situazioni mutevoli e prendere le conseguenti decisioni.

Gli effetti negativi dell'anossia aumentano con l'aumentare sia della quota sia della durata dello stato anossico.

Indicativamente, si può affermare che non si avvertono sintomi negativi fino alla quota di 10.000 piedi.

La permanenza tra 10.000 e 13.000 piedi può essere in genere sopportata per periodi che non superino i 30-60 minuti, mentre permanenze più prolungate a queste quote o la salita a quote

maggiori richiedono la respirazione di ossigeno supplementare.

(anche se la legislazione italiana non fissa alcun limite né di tempo né di quota).

Sul motore a pistoni non sovralimentato, la diminuzione della pressione atmosferica ha come conseguenza la diminuzione della carica reale che entra nei cilindri a ogni fase di aspirazione, e ciò causa a sua volta una diminuzione della potenza erogata.

Tenuto conto che anche la trazione dell'elica diminuisce con il diminuire della densità dell'aria, andando in quota si ha un calo continuo della potenza disponibile, al quale si accompagna un continuo aumento della potenza necessaria per far volare l'aeroplano.

L'azione combinata delle variazioni di potenza ha come effetto principale, almeno nel volo in montagna, una graduale diminuzione del supero di potenza, e quindi della capacità dell'aereo di guadagnare quota.

La diminuzione della densità dell'aria provoca anche una diminuzione delle velocità indicate dall'anemometro.

Sappiamo che al fine di mantenere la velocità ai valori appropriati per il sostentamento, questo fatto non ha molta rilevanza perché l'aumento della TAS è pari all'errore dello strumento, ma quando si debbono effettuare manovre a velocità reale parecchio maggiore di quella indicata, anche gli spazi necessari sono maggiori.

Il pilota di montagna non deve pertanto farsi trarre in inganno dalle indicazioni dell' anemometro, e deve sapere, per esempio, che la velocità con cui si sta avvicinando a una parete, o che lo spazio necessario per effettuare un'inversione di marcia ad alta quota, sono maggiori dei loro corrispondenti alle altitudini modeste.

 

R.Trebbi

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Gli ipersostentatori

La prima funzione degli ipersostentatori, come dice il nome, è di aumentare il coefficiente di portanza (Cp) massimo dell' ala, in modo da abbassare la velocità di stallo e da ampliare verso il basso il campo di velocità entro cui far volare l'aereo.

La necessità di abbassare la velocità di stallo è particolarmente sentita sui grossi aerei commerciali, senza di essi, il decollo e l'atterraggio di questi aerei richiederebbe velocità proibitive e piste di lunghezza spropositata.

L'altra funzione degli ipersostentatori, indissolubilmente legata alla prima e spesso non meno importante, è aumentare il coefficiente di resistenza (Cr) dell' ala, così da permettere la discesa lungo traiettorie più ripide, funzione più sfruttata dagli aerei leggeri.

Gli aerei di linea scendono infatti lungo sentieri strumentali che hanno una pendenza di circa 3° e, qualora abbiano necessità di scendere rapidamente durante il volo in rotta, possono ricorrere ai diruttori e agli aerofreni.

Gli aerei leggeri, viceversa, vengono più sovente impiegati a vista su piste di natura e lunghezza le più disparate; per l'avvicinamento a certe piste e a certe aviosuperfici devono spesso seguire traiettorie ripidissime che consentano di superare gli ostacoli e contemporaneamente di prendere terra quanto più possibile vicino all'inizio della pista. Per gli aerei leggeri il necessario aumento di resistenza è ottenuto con l'estensione dei flap alla massima angolazione.

La maggiore importanza assunta dalla possibilità di aumentare il Cr piuttosto che il Cp di questi aerei è messa in evidenza dal fatto che la riduzione della velocità di stallo ottenuta con i flap alla massima angolazione è contenuta entro valori assai modesti (3+ 15 nodi).

I diversi tipi di Flap:

plain flap o fIap semplici. costituiti da porzioni del bordo d'uscita dell'ala incernierate in modo da potersi deflettere verso il basso con angolazioni massime comprese tra 40° e 50°.

Permettono aumenti di Cp del 50 per cento, ottenuti solo dall'aumento di curvatura del profilo.

slotted flap o flap a fessura. Quando vengono estesi, tra il bordo di uscita dell'ala e il bordo di entrata dei flap si apre una fessura di forma ben determinata, che consente a una parte del flusso ventrale a pressione maggiore di passare sul dorso, dove la pressione è decisamente minore.

La deviazione del flusso aumenta l'energia dello strato limite sul dorso dei flap.

L'aumento di Cp è dell'ordine del 70 per cento, ottenuto in parte per l'aumento di curvatura del profilo e in parte per l'aumento dell'energia dello strato limite.

split flap o flap di intradosso, costituiti da due superfici piane incernierate sotto il bordo delle semi ali, che possono essere deflesse verso il basso con angolazione simile a quella dei plain flap. L'aumento di Cp, ottenuto per aumento di curvatura del profilo, è tuttavia leggermente maggiore (circa il 60 per cento) di quello generato dai plain flap grazie al fatto che l'estensione degli split flap lascia intatta la superficie superiore dell'ala.

La sostanziale differenza aerodinamica tra i plain flap e gli split flap risiede nella maggiore resistenza generata da questi ultimi anche ai piccoli angoli di estensione. Infatti, quando si estendono dividendosi dal ventre dell'ala ("to split" significa dividere), provocano una separazione tra il flusso dorsale e il flusso ventrale, e creano perciò una scia turbolenta a valle del bordo d'uscita, che si traduce in un aumento di resistenza di forma.

Fowler flap (così chiamati dal nome del loro ideatore), quelli aerodinamicamente più efficaci, ma hanno lo svantaggio di essere complicati e costosi.

Durante la prima parte dell'estensione scorrono all'indietro, dando luogo a un aumento della superficie alare che genera un considerevole aumento di portanza a fronte di un trascurabile aumento di resistenza (assetto particolarmente adatto per il de

collo). Successivamente, oltre a continuare a scorrere all'indietro con conseguente ulteriore aumento della superficie alare, si deflettono anche verso il basso, dando luogo a un aumento della curvatura del profilo, e contemporaneamente aprono una fessura che consente il passaggio di un notevole flusso aerodinamico dal ventre al dorso.

Grazie all'effetto combinato degli aumenti di superficie, di curvatura del profilo, e di energia dello strato limite, i Fowler flap permettono incrementi del Cp di circa il 100 per cento.

Aumenti di Cp ancora maggiori si realizzano con Fowler flap a doppia o tripla fessura

 

Alette del bordo d'attacco

Gli ipersostentatori a controllo dello strato limite sono gli slat o alette del bordo d'attacco.

Quando sono retratti, gli slat restano a contatto con l'ala e ne formano il bordo d'attacco; al momento dell'estensione aprono una fessura opportunamente sagomata che costringe parte del flusso ventrale a passare sul dorso, così come succede durante l'azionamento degli slotted flap. Molto usati sugli aerei commerciali, nell'ambito degli aerei leggeri, gli slat furono impiegati sui Morane francesi, ma oggi sono praticamente scomparsi.

 

Consigli d'uso

Vediamo ora come e quando è conveniente usare i flap durante le varie fasi del volo con gli aerei leggeri.

Rullaggio.

Durante il rullaggio e la prova motore prima del decollo, specialmente con aerei ad ala bassa e su terreni a fondo naturale, i flap devono essere retratti, per evitare che possano essere danneggiati da sassi o altro materiale lanciato all'indietro dalle ruote o dall' elica.

Decollo.

Per i decolli normali da piste asfaltate e di lunghezza esuberante, l'impiego dei flap è generalmente superfluo.

Durante i decolli da campi corti e/o a superficie naturale, quando è auspicabile staccare le ruote al più presto per favorire l'accelerazione e superare gli eventuali ostacoli, i manuali di volo suggeriscono di solito di estendere i flap all'angolazione che consente il miglior compromesso tra l'aumento di portanza e l'aumento di resistenza.

Dopo il decollo, i flap vanno retratti non prima che l'aereo abbia accelerato alla velocità che consente il sicuro sostentamento anche con l'ala pulita.

Salita.

Durante la salita, i flap devono normalmente essere retratti, in quanto l'aumento di resistenza indotto dalla loro estensione fa sempre e comunque diminuire l'efficienza dell'ala, e perciò il rateo di salita.

Crociera. Durante la crociera normale, i flap devono essere retratti perché l'aumento di resistenza indotto dalla loro anche parziale estensione limiterebbe la velocità e aumenterebbe il consumo.

In certe condizioni, però, l'estensione parziale dei flap può diventare conveniente: per esempio, durante il volo a bassa quota con la visibilità vicina alle minime, quando è bene ridurre la velocità in modo da avere più tempo per individuare gli ostacoli e gli elementi che consentono di riconoscere il terreno.

La parziale estensione dei flap, oltre ad aumentare la protezione dallo stallo senza aumentare sensibilmente la resistenza, induce anche un abbassamento del muso che consente migliore visibilità anteriore.

Un altro caso è l'inversione di rotta da effettuare entro uno spazio angusto, per esempio una valle stretta, quando è necessario ridurre la velocità per ridurre il raggio di virata, e l'estensione dei flap diventa indispensabile per diminuire la velocità di stallo e mantenere su di essa il dovuto margine di sicurezza.

Discesa.

L'impiego dei flap in discesa risulta utile o controproducente a seconda di come si vuole scendere. Se si deve scendere sfruttando al meglio l'efficienza dell'ala, come quando accadesse di avere il motore in avaria, i flap non devono mai essere usati (in caso di planata con il motore piantato i flap vanno estesi quando si è certi di raggiungere il punto di contatto prescelto). Se invece si desidera scendere lungo una traiettoria più ripida senza acquistare eccessiva velocità, i flap diventano indispensabili.

Avvicinamento.

Durante i normali avvicinamenti, i flap vanno inizialmente estesi nella prima posizione circa a metà del braccio di sottovento, dopo il rallentamento dell'aereo alla velocità di avvicinamento. Va ricordato che il limite superiore dell'arco bianco dell'anemometro rappresenta la velocità massima permessa con i flap totalmente estesi, per cui la prima tacca può essere estesa anche a velocità maggiori, a volte dichiarate dal costruttore. Una volta iniziata l'estensione, però, la velocità va accuratamente mantenuta entro l'arco bianco, così da evitare indebite sollecitazioni delle strutture dei flap e dell'ala. La posizione in cui portare i flap prima del contatto è essenzialmente funzione della natura della pista e degli ostacoli antistanti. Se la pista è corta e/o ha il fondo poco buono e/o ha ostacoli prossimi alla testata, i flap devono senz'altro essere portati alla massima angolazione. Se invece la pista è di lunghezza esuberante e ha il fondo in buone condizioni, si può tranquillamente atterrare anche con i flap in una posizione intermedia, che però è bene sia di almeno 20°+25°.

Atterraggio.

L'atterraggio risulta tanto più breve quanto maggiore è l'estensione dei flap, in quanto l'aumento di Cp permette di toccare a bassa velocità, e l'aumento di Cr abbrevia il galleggiamento dopo la richiamata. Il cambio di assetto cui deve essere sottoposto il velivolo al momento della richiamata è tanto maggiore quanto maggiore è l'estensione dei flap. Nel caso in cui la richiamata venga eseguita dopo un avvicinamento con i flap alla massima estensione e con il motore al minimo, data la forte pendenza della traiettoria, la manovra di raccordo va eseguita con precisione perché, richiamando troppo tardi si rischia di non azzerare in tempo il rateo di discesa e di sbattere violentemente, mentre richiamando troppo presto, a causa della repentina diminuzione di velocità provocata dalla forte resistenza, si rischia di portare l'aereo in stallo quando è ancora alto sulla pista.

Riattaccata.

In riattaccata valgono le stesse considerazioni fatte per il decollo. Dopo aver dato la massima potenza e aver portato il muso sopra l'orizzonte per interrompere la discesa, i flap vanno retratti.

La retrazione, pur dovendo essere eseguita quanto più presto possibile per ridurre la resistenza e consentire all'aereo di accelerare e di salire, deve comunque sempre essere subordinata al raggiungimento dei valori di velocità che consentono il sostentamento anche senza flap. .

 

R.Trebbi

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La parziale estensione dei flap, oltre ad aumentare la protezione dallo stallo senza aumentare sensibilmente la resistenza, induce anche un abbassamento del muso che consente migliore visibilità anteriore.

 

Scusa Dave,non volevo "sporcarti" il topic (in quel caso chiedi a qualche moderatore di rimuovere il post) ma l'estensione dei flap e quindi l'aumento di portanza non provoca in generale una tendenza ad alzare il muso (e da compensare con il trim eventualemente) ?Vado a intuito naturalmente non essendo un esperto...

Modificato da Takumi_Fujiwara
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Scusa Dave,non volevo "sporcarti" il topic (in quel caso chiedi a qualche moderatore di rimuovere il post)

Credo che ci sia stato un piccolo malinteso :blink:

Quando ho scritto che non volevo sporcare l’articolo mi riferivo al fatto che non volevo allegare la mia introduzione e l’articolo in questione nello stesso post.

Non era mia intenzione monopolizzare l’intero Topic, e ci mancherebbe altro :blink:

quindi ben vengano interventi di curiosi, se posso.. :helpsmile:

in caso contrario ci sono esperti aerodinamici che se la caverebbere sicuramente meglio di me <_<

 

ma l'estensione dei flap e quindi l'aumento di portanza non provoca in generale una tendenza ad alzare il muso (e da compensare con il trim eventualemente) ?Vado a intuito naturalmente non essendo un esperto...

Io ti fornisco la risposta da pilota amatoriale.

Allora supponiamo che tu abbia una velocità di 80 kts, sei in arco bianco, in configurazione pulita, e ad un regime di giri ben determinato.

Estendi i flap sulla prima posizione (15°).

Aumentando la portanza a causa dell’aumento del cp, a pari velocità puoi diminuire l’angolo di incidenza, quindi abbassare il muso.

Ovvio che devi tener conto anche dell’aumento della resistenza

Quindi:

scendere mantenedo gli 80 kts: devi abbassare il muso

Livellato mantenendo 80 kts : abbassi il muso e aumenti la trazione fino a compensare l’aumento della resistenza rispetto alla configurazione pulita.

Salire mantenendo 80 kts : aumenti la trazione

Modificato da Dave97
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Scusate, ma a parte l'aumento di Cp, la variazione del profilo alare indotta dall'azionamento dei Flap, fa cambiare l'incidenza dell'ala dato che il bordo d'attacco è sempre nello stesso punto, mentre il bordo d'uscita si abbassa, essendo l'ala fissa nello stesso posto, il muso si abbassa.

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Scusate, ma a parte l'aumento di Cp, la variazione del profilo alare indotta dall'azionamento dei Flap, fa cambiare l'incidenza dell'ala dato che il bordo d'attacco è sempre nello stesso punto, mentre il bordo d'uscita si abbassa, essendo l'ala fissa nello stesso posto, il muso si abbassa.

Anche se la tua considerazione e’ corretta, Legolas, all’atto pratico non si considera che l’estrazione degli ipersostentatori vari l’incidenza dell’ala, perche' questa viene sempre riferita ai profili alari con tutti gli ipersostentatori non estesi (in realta' ci si riferisce un’opportuna media di essi visto che i profili sono calettati con un angolo variabile e l’ala di solito e’ svergolata).

 

Effettivamente il coefficiente di portanza Cp dipende dall’angolo d’incidenza e dalla forma dell’ala e dei suoi profili, quindi per incrementare il Cp si puo' aumentare l’incidenza (naturalmente entro i limiti di stallo...) oppure estendere gli ipersostentatori sul bordo d’uscita e in tal caso si potra' volare a un angolo d'incidenza inferiore.

Gli i ipersostentatori al bordo d’attacco invece, piu’ che aumentare il Cp a parita’ di angolo di incidenza, consentono invece di raggiungere incidenze (e quindi Cp) maggiori senza incorrere nello stallo (possono pero’ contribuire anche loro all’aumento della superficie alare a cui la portanza e’ proporzionale).

In soldoni estendere gli ipersostentatori al bordo d’uscita trasla verso l’alto la curva Cp-alfa, mentre l’estensione di quelli anteriori la “allunga”.

2ita.gif

 

Come si vede nel grafico sopra senza ipersostentatori si ha lo stallo intorno a un'incidenza di 15 gradi e con un Cp pari a 1.5, ma estraendo i flap si ha lo stesso Cp a un angolo inferiore (e quindi i flap consentono di volare con un assetto meno cabrato).

Ovviamente sia gli ipersostentatori al bordo d'attacco che a quello d'uscita causano un aumento del coefficiente di resistenza Cr, ma consentono di volare in condizioni in cui l'ala non ipersostentata e' gia' in stallo.

 

4ita.gif

L’estensione degli ipersostentatori al bordo d’uscita ha poi l’effetto di spostare la portanza all’indietro per cui l’aereo tenderebbe a picchiare. Il pilota deve quindi trimmare il velivolo per compensare questa tendenza.

Modificato da Flaggy
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L’estensione degli ipersostentatori al bordo d’uscita ha poi l’effetto di spostare la portanza all’indietro per cui l’aereo tenderebbe a picchiare. Il pilota deve quindi trimmare il velivolo per compensare questa tendenza.

Scusa Flaggy ma trattasi di errore di scrittura ? :P

Se c'è una cosa di cui sono sicurissimo è che subito dopo l'estensione dei flap sul borso d'uscita, l'aereo tende ad alzare il muso, quindi a cabrare.

PS: Se non ti fidi, possiamo sempre scommettere un volo. :rolleyes:

PS2: grazie per i diagrammi allegati..

Modificato da Dave97
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Scusa Flaggy ma trattasi di errore di scrittura ? :P

Se c'è una cosa di cui sono sicurissimo è che subito dopo l'estensione dei flap sul borso d'uscita, l'aereo tende ad alzare il muso, quindi a cabrare.

PS: Se non ti fidi, possiamo sempre scommettere un volo. :rolleyes:

PS2: grazie per i diagrammi allegati..

Nessun errore di scrittura Dave: incurvando verso il basso gli ipersostentatori sul bordo d'uscita e a maggior ragione estendendoli all'indietro (se sono a fessura), la portanza dell'ala arretra (d'altra parte aumento l'incidenza di una superficie al bordo d'uscita...) e questo induce un forte momento picchiante!

Poi in realtà il fenomeno è complesso anche perchè l'ala tende a deviare l'aria verso il basso (downwash) e questa investe anche il piano orizzontale di coda che può incrementare il suo l'effetto deportante e con esso la tendenza far sollevare il muso.

Alla fine della fiera, estraendo gli ipersostentatori al bordo d'uscita l'effetto sull'ala è a picchiare, ma quello sul velivolo complessivo varia da velivolo a velivolo e può tranquillamente essere di segno opposto, cioè a cabrare, come da te sperimentato...

In sostanza quando si azionano i flap bisogna contrastare le variazioni di assetto longitudinale che si manifestano sempre, seppure con intensità e direzione diversa a seconda del tipo di aereo.

Modificato da Flaggy
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Grazie della spiegazione. <_<

e ne approfitto per ulteriori richieste di chiarimenti.. :P

perchè l'ala tende a deviare l'aria verso il basso (downwash) e questa investe anche il piano orizzontale di coda

Questo concetto lo intuisco se ci riferiamo ad un'ala alta tipo P66C, C172,C182, PA18

mi riesce già più difficile intuirlo su un PA28, Cap10 perchè sono ali basse e il piano orizzontale è leggermente più in alto dell'ala.

Mi sembra molto più difficile da capire su un Piper PA38 che è un'ala bassa con il timone di profondità a T(come il 104).

Ora trattandosi di aerei che ho avuto il piacere di piltare, posso garantire che tutti alzano il muso quando si estendono i flaps.

Se non chiedo troppo,sarebbe possibile avere qualche ragguaglio in più ?

Modificato da Dave97
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Ecco...siete sul nocciolo del mio dubbio.Ho sempre creduto che appena estendevi i flap si alzasse il muso.Può essere dovuto al repentino aumento di resistenza e quindi conseguente diminuzione della velocità?

La posizione del centro di massa dell'aereo rispetto all'ala centrerebbe qualcosa?Chessò su un aereo con ala dietro al centro di massa tendenza a picchiare e tendenza a cabrare se l'ala è davanti al centro di massa...

 

Mi chiedevo se su un canard l'effetto fosse lo stesso....

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Il downwash prodotto dall’ala e’ un fenomeno che va ben al di la’ della scia prodotta dall’ala stessa e quindi puo’ tranquillamente interessare anche un piano di coda che si trovi piu’ in alto dell’ala (in particolare ad angoli di incidenza piu’ elevati e alle basse velocita').

In effetti il velivolo, nell’attraversare l’aria, induce una perturbazione in tutto il campo di moto nel suo intorno.

Inoltre va considerato l’effetto prodotto dall’estrazione degli ipersostentatori sull’intero velivolo, fusoliera inclusa (la fusoliera non ha certo effetti trascurabili nell’equilibrio aerodinamico complessivo).

Quanto ad un velivolo con il baricentro dietro il centro di pressione dell’ala, l’effetto sull’ala degli ipersostentatori al bordo d’uscita e’ comunque a picchiare, visto che se la portanza arretra, si riduce il suo braccio rispetto al baricentro e di conseguenza si riduce il suo momento a cabrare, mentre il piano orizzontale (in questo caso portante) tenderebbe a far picchiare il velivolo.

Anche qui pero’, l’effetto complessivo dipende dal velivolo nella sua interezza a causa delle mutue interazioni e a priori non si puo’ dire se il velivolo cabra o picchia estendendo i flap.

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Riattaccata

 

ll pilota in corto finale ha due scelte alternative a sua disposizione: atterrare o riattaccare.

Purtroppo i piloti sono spesso impreparati ad affrontare la riattaccata, sia dal punto di vista tecnico, sia e soprattutto dal punto di vista psicologico.

In non pochi casi questa impreparazione, oltre ad aerei distrutti, causa morti e feriti gravi.

In base alle statistiche, gli incidenti di questo tipo che hanno le conseguenze più gravi sono quelli dovuti a riattaccate intraprese in ritardo, quando i piloti tentano di riportare in volo gli aerei, o di mantenerveli, dopo che ciò non è più aerodinamicamente possibile, per cui il conseguente impatto con il terreno o con gli ostacoli avviene a velocità elevate.

Quando invece i piloti non eseguono affatto l'indispensabile riattaccata, le conseguenze sono sovente meno gravi perché l'aereo riesce in qualche modo a essere rallentato prima di finire fuori pista o contro qualche ostacolo.

La decisione se riattaccare o atterrare deve essere presa tempestivamente e non oltre un certo punto dell'avvicinamento, punto la cui ubicazione è di volta in volta determinata da variabili come il tipo dell'aeromobile, la lunghezza della pista, lo stato della sua superficie, il vento, eccetera.

 

Quando si deve riattaccare

Ma per essere realmente in grado di prendere la decisione giusta al momento giusto bisogna essere psicologicamente pronti ad accettare il fatto che ogni avvicinamento può terminare non con un atterraggio, bensì con una riattaccata.

Ci sono alcune situazioni nelle quali la necessità di riattaccare si impone da sé, percui il prendere la decisione giusta non presenta difficoltà.

Ciò succede, per esempio, quando il pilota in corto finale (in genere su un aeroporto non controllato o su un'aviosuperficie) vede un altro aereo a terra che va a occupare la pista per decollare, oppure quando si trova davanti un altro aereo in procinto di atterrare sulla stessa pista.

Su un aeroporto controllato, la riattaccata può essere anche ordinata dalla Torre, a volte per motivi che non sono immediatamente evidenti al pilota in avvicinamento.

Ci sono altre situazioni in cui la scelta fra atterraggio e riattaccata è meno facile, come per esempio durante gli avvicinamenti con forte vento, la cui componente al traverso è prossima al valore massimo stabilito dal costruttore, o comunque tale da mettere a dura prova l'abilità del pilota nel contrastarla.

Oppure come durante gli avvicinamenti eseguiti in sequenza ad aerei di grandi dimensioni, dei quali va evitata la turbolenza di scia.

In queste situazioni, anche se la scelta è resa più ardua dalle valutazioni di ordine tecnico che il pilota è costretto a fare, la decisione di riattaccare risulta comunque agevolata dalla presenza di "cause esterne" che offrono la giustificazione per eseguire la manovra, a torto e troppo spesso considerata come qualcosa di poco dignitoso o disonorevole.

Ci sono infine le situazioni che più di frequente richiedono la riattaccata, e nelle quali i piloti sono purtroppo indotti a fare la scelta sbagliata: si tratta dei casi in cui la decisione di riattaccare è resa necessaria dall'errata pianificazione e/o esecuzione dell'avvicinamento.

Non avendo a disposizione "valide scuse" per giustificare il mancato atterraggio a se stessi, ai passeggeri, o a chi essi credono li stia osservando da terra, questi piloti si sentono feriti nell'orgoglio e tentano perciò in ogni modo di salvare l'atterraggio, con conseguenze a volte tragiche.

 

Le motivazioni psicologiche che rendono i piloti restii ad ammettere di aver impostato male l'avvicinamento, e quindi a riattaccare, spiegano perché gli incidenti di questo genere succedono non solo agli allievi e ai novellini ma anche, e forse soprattutto, a piloti di notevole esperienza, non di rado professionisti.

La situazione che più di frequente richiede la riattaccata è l'avvicinamento a una pista corta impostato alto e veloce, magari con un po' di vento in coda.

Il termine pista corta" è ovviamente relativo: la stessa pista può infatti essere di lunghezza esuberante per un certo tipo di aereo e assolutamente insufficiente per un altro

Prima di eseguire l'avvicinamento, perciò il pilota deve calcolare la lunghezza di pista necessaria per l'atterraggio, usando i dati di prestazione forniti dal manuale di volo e tenendo conto delle condizioni ambientali nelle quali avrà luogo la manovra (ostacoli,altitudine di densità, natura e condizioni del fondo della pista, vento, ecc.).

 

Come si deve riattaccare

Troppo spesso si vedono piloti che tentano di accorciare la traiettoria di avvicinamento spingendo avanti la barra per abbassare il muso dell'aereo.

Tale manovra è inutile e pericolosa perché induce un aumento di velocità anemometrica che deve poi essere smaltita prima del contatto.

Il risultato è che l'aereo, dopo la richiamata, galleggia molto più a lungo del solito, e perciò appoggia le ruote molto più avanti del punto in cui il pilota avrebbe desiderato atterrare.

L'unica manovra che consentirebbe di accorciare la traiettoria di avvicinamento senza aumentare la velocità anemometrica è la scivolata.

La cui esecuzione durante l'avvicinamento ad una pista corta è però in genere sconsigliabile, in quanto potrebbe rendere impossibile la corretta valutazione degli effetti della manovra stessa e costringere poi a riattaccare ugualmente, ma in condizioni più precarie e con margini di sicurezza ridotti.

Una volta presa la decisione di riattaccare, senza esitazione si deve far erogare al motore la massima potenza (manetta tutta avanti o al valore massimo di MAP se il motore è sovralimentato, elica al passo minimo, miscela ricca, ed eventuale aria al carburatore fredda), e contemporaneamente alzare il muso dell'aereo di poco sopra l'orizzonte, cioè nell'assetto che consente di azzerare il rateo di discesa.

Questa è la fase più delicata della manovra, in quanto l'aereo deve essere fatto transitare da una traiettoria in discesa percorsa in configurazione di elevata resistenza aerodinamica e con il motore al minimo o quasi, a una traiettoria prima orizzontale e poi in salita con il propulsore alla massima potenza.

La variazione di assetto deve perciò essere eseguita in modo graduale, sollevando il muso solo dopo che la velocità anemometrica lo consente senza rischio di stallo.

Non appena l'aereo ha raggiunto la velocità sufficiente, la configurazione dei flap va progressivamente ridotta per diminuire la resistenza e consentire all'aereo prima di accelerare ulteriormente, e poi di salire.

È fondamentale comprendere che, sebbene i flap vadano tolti quanto più presto possibile perché negli assetti elevati generano resistenze tali che potrebbero addirittura impedire all'aereo di salire, la loro retrazione non deve comunque essere iniziata prima che la velocità abbia superato il valore che consente all'ala di generare la sufficiente portanza senza raggiungere l'angolo di incidenza di stallo.

Diversi incidenti in riattaccata avvengono per la retrazione prematura dei flap.

Se il carrello è retrattile, la retrazione delle ruote va iniziata solo dopo che l'aereo abbia cominciato a salire stabilmente, così da non correre il rischio di toccare la pista con la pancia dell'aereo o con l'elica.

La retrazione del carrello deve seguire quella dei flap perché le ruote abbassate generano molta meno resistenza dei flap alla massima estensione.

Quando l'aereo è stato "pulito" e trimmato per l'assetto che consente la velocità più idonea per la salita (la velocità di salita ripida Vx se ci sono ostacoli da superare, e la velocità di salita rapida Vy in ogni altro caso), la riattaccata può essere considerata conclusa.

A questo punto, se la riattaccata si è resa necessaria per l'ingresso in pista di un aereo in decollo o per la presenza di un altro aereo in finale, è opportuno che il pilota che ha riattaccato accosti sulla propria destra, in modo da lasciarsi la pista a sinistra e poter tenere d'occhio il traffico "intruso".

Salvo situazioni particolari, l'uscita di pista va eseguita solo a riattaccata ultimata perché il manovrare a bassa quota con l'aereo in condizioni di sostentamento precario potrebbe provocare uno stallo dal quale sarebbe poi assai arduo uscire.

La riattaccata, specialmente con gli aerei leggeri, non è una manovra difficile, ma per essere eseguita senza problemi richiede che il pilota sia sempre pronto e deciso a effettuarla.

Per prepararsi psicologicamente, egli dovrebbe eseguire ogni avvicinamento come se l'esito normale dovesse essere la riattaccata, e alla fine decidere di atterrare solo quando tutto va bene.

Per prepararsi tecnicamente e mantenersi sempre in grado di eseguirla con sicurezza all'occorrenza, invece, così come avviene per ogni altra manovra che la normale attività di volo richiede solo saltuariamente, il pilota dovrebbe allenarsi a compierla in situazioni di necessità simulata.

È pertanto consigliabile che ogni pilota salga di tanto in tanto a bordo con un istruttore ed effettui qualche riattaccata, possibilmente cercando di ricreare le diverse situazioni in cui la manovra si può rendere necessaria nella realtà.

 

R.Trebbi

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Per chiudere il discorso legato ai flap cito un caso che secondo me un pò ha attinenza di un boeing giapponese che dopo aver perso la deriva si ritrovo con pressione idraulica zero di tutti i circuiti. In quell'occasione i piloti fecero miracoli facendo volare il boeing per diversi minuti attraverso l'uso differenziato delle manette,dei flap abbassati elettricamente e del carrello... Purtroppo non riuscirono nell'impresa di riportarlo a terra intatto....

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Fisiologia del volo

Le nozioni che vengono trattate in questo capitolo hanno lo scopo di mettere in guardia il pilota contro gli effetti provocati sull’organismo umano da determinate situazioni che si possono verificare durante certe condizioni di volo, e di consigliarlo circa le contromisure da adottare.

Anossia o Ipossia

E’ la condizione che si verifica quando i tessuti del corpo non trovano a loro disposizione la sufficiente quantità di ossigeno.

In aviazione questa condizione è generalmente provocata dal fatto che si respira l’aria meno densa che si trova alle alte quote.

Altre cause che possono provocare l'anossia sono le malattie che riducono la quantità dei globuli rossi nel sangue

Questi fattori si possono combinare, così da variare di volta in volta la capacità di uno stesso pilota di sopportare l’alta quota

 

La caratteristica più pericolosa dell'anossia è il modo insidioso in cui comincia a manifestarsi.Essa produce infatti generalmente un senso di benessere, che può anche giungere a rendere il pilota euforico, così da appannare le sue capacità di giudizio e di valutazione.

Poiché egli non è in grado di riconoscere il suo stato di anossia, il pilota è portato a credere che le cose stiano andando nel migliore dei modi, mentre invece il suo stato si avvicina alla totale incapacità mentale e fisica.

L’insorgere dello stato anossico non si manifesta per tutti nello stesso modo; comunque

si possono avere uno o più dei seguenti sintomi :~

- attenuata capacità di giudizio,

- aumento del ritmo respiratorio,

- sensazioni di leggerezza o capogiri,

- formicolio o sensazioni di calore,

- traspirazione,

- riduzione del senso della vista,

- cefalee (mal di testa),

- sonnolenza,

- cianosi (colorazione bluastra della pelle,delle unghie, delle labbra),

- mutevole umore.

Immaginando di poter osservare ciò che accade a una persona posta a bordo di un aereo non pressurizzato che continuasse salire, potremmo osservare il passaggio delle sue condizioni attraverso i seguenti stadi:

- Stadio della normalità fino a circa 7.000 piedi.

- Stadio della depressione dei riflessi, intorno ai 10.000 piedi. Quando l'organismo comincia a mettere in atto le reazioni a carattere compensatorio.

- Stadio della esaltazione dei riflessi. intorno ai 15.000 piedi.

- Stadio degli spasmi e delle convulsioni,intorno ai 20.000 piedi. che conduce alla incoordinazione dei riflessi. e. perdurando lo stato di anossia. porta rapidamente alla paralisi.

Molti piloti ritengono erroneamente che sia possibile avvertire i sintomi dell'insorgere dell'anossia, e quindi intraprendere le azioni correttive necessarie.

E', questa, una teoria estremamente pericolosa, proprio perché uno dei primi sintomi dell'anossia è la diminuita capacità di valutazione: e quindi, anche se si riesce ad avvertire un sintomo rivelatore, esso viene facilmente trascurato o sottovalutato.

Quando l'anossia è provocata dal volo ad alta quota. la si può combattere o scendendo a quota inferiore. o respirando ossigeno prelevato da altra fonte.

Gli aerei che hanno quote di tangenza elevate vengono in genere equipaggiati con impianti per la distribuzione e l'erogazione dell'ossigeno, i quali possono essere fissi e/o portatili.

Le quote al di sopra delle quali è sconsigliabile volare a lungo con aerei non pressurizzati e senza fare uso di ossigeno supplementare possono essere indicativamente fissate a 12.000 piedi se di giorno e a 10.000 piedi di notte.

 

Effetti delle variazioni di pressione

 

Come sappiamo, il volume di un gas varia in modo inversamente proporzionale alla pressione cui il gas è soggetto. Indicativamente, il volume di una certa quantità di gas al livello del mare, si raddoppia a 18 000 piedi e si triplica a 25.000.

Quando dei gas sono racchiusi nelle cavità, quali l'orecchio medio, i seni nasali,le variazioni di volume cui vanno soggetti con la quota possono provocare quella dolorosa condizione che va sotto il nome di DISBARISMO. Tale condizione può essere provocata sia da una variazione di quota in un velivolo non pressurizzato, che dalla decompressione di un aereo pressurizzato.

 

Orecchio Medio

L’orecchio medio una cavità occupata dall'aria, che è in comunicazione con l’esterno attraverso la Tromba di Eustacchio.Essa termina sulla parte posteriore

della gola, ed è assimilabile a una valvola che permette all'aria di defluire dall'orecchio molto più facilmente di quanto non le sia concesso di fare in senso inverso. Pertanto, durante le salite il timpano va soggetto a maggior pressione sulla sua superficie interna. e si gonfia verso l'esterno finché l'aria non defluisce attraverso la Tromba di Eustacchio ristabilendo la pressione. Per la sopracitata caratteristica della valvola, la pressione si ristabilisce sempre rapidamente. e quindi non si avvertono disturbi particolari.

 

Durante le discese la situazione si inverte,e il timpano si gonfia verso l'interno. I sintomi conseguenti che si avvertono sono la tensione del timpano stesso,una parziale perdita dell'udito e un senso di disagio che si può trasformare in una sensazione dolorosa se la valvola non permette all'aria di arrivare all'orecchio medio.

Per facilitare l'apertura della valvola si consiglia di masticare. deglutire. o sbadigliare in modo che si muovano i piccoli muscoli che comandano l'apertura della Tromba di Eustacchio. Se ciò non dà risultati, è consigliabile usare il metodo detto di Valsava, che consiste nel tapparsi le narici e soffiare nel naso in modo da far aumentare la pressione internamente per forzare l'aria nell'orecchio medio.

 

Quando si va in volo afflitti da raffreddore si è molto più soggetti a questo tipo di inconveniente.

Il pilota deve tenerne conto, oltre che per sé stesso, per i passeggeri.

 

 

R.Trebbi

Modificato da Dave97
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La Virata Impossibile

La regola è una sola:

in caso di piantata di motore in decollo non tentare assolutamente di rientrare in campo.

Questo mi diceva il mio vecchio istruttore, e lui se ne intendeva veramente; quando volava da giovane i motori piantavano un giorno sì e uno no.

Proseguire diritto anche se davanti ti trovi un muro.

L'evento, stando alle statistiche, oggi è molto raro e questo mi escludeva dal pensare che un giorno io stesso avrei contribuito a rovinare le statistiche.

Ho avuto una piantata di motore e sono qui a raccontarvi il fatto.

Ogni volta che decollo, provo una grande emozione e sotto sotto anche un po' di paura, ma credo che proprio questo dia sapore alla mia passione per il volo.

Era una giornata limpida con una leggera brezza dal mare.

Volevo fare un volo lungo la costa così, solo per il piacere di volare; vi confesso che quando non volo per qualche giorno, vado in crisi di astinenza.

Poi, da qualche mese, avevo un nuovo aeroplano; nuovo per me perché l'avevo comprato usato, ma in perfette condizioni.

lo e il mio aeroplano stavamo facendo conoscenza e come capita quando si fà un nuovo incontro, ci studiavamo a vicenda.

L'aeroplano nel suo insieme è qualcosa di vivo; ha i suoi umori, le sue impuntature.

All'inizio stava un po' sulle sue e io, dal canto mio, non gli davo troppa confidenza, ma negli ultimi giorni mi accorgevo che cominciava a sciogliersi.

Aveva visto che lo usavo con attenzione, non gli tiravo mai il collo e in crociera lo lasciavo respirare tenendolo sempre al 65 per cento della sua potenza.

Naturalmente gli davo olio e benzina a volontà.

Mi sembrava che piano piano, volo dopo volo, stessimo diventando amici, insomma imparavamo a fidarci l'un dell'altro.

La prova motore al punto attesa era stata perfetta; i due magneti non perdevano più di 80-90 giri, la miscela a posto, l'elica a passo variabile rispondeva prontamente.

Quella volta chissà perché (non lo faccio quasi mai) provai anche la massima potenza al freno. Tutto regolare.

Dissi alla torre che ero pronto a decollare e fui autorizzato ad allinearmi in pista e attendere. La temperatura esterna era di 32 gradi e l'attesa non faceva certo piacere al motore; le temperature continuavano a salire.

Richiamai e mi dissero di attendere ancora qualche secondo.

Ecco l'autorizzazione.

Un pilota che non avverte un blocco allo stomaco o insomma un aumento del battito cardiaco al momento che "dà manetta" non è un buon pilota, ve lo dico io.

Dopo migliaia e migliaia di decolli, ho sempre avvertito queste emozioni.

Ogni volta pensavo che quel decollo avrebbe potuto essere l'ultimo.

Lo facevo chiaramente per scaramanzia.

Potenza, ancora un'occhiata agli strumenti (lo faccio per antica abitudine) e via inizia la corsa che trasformerà quest'oggetto terrestre in aereo, cioè in strumento volante.

L'aereo va tenuto sulla pista fino a quando è pronto al volo; guai a imporgli un decollo anticipato. lo lo so e fino a quando non lo vedo veramente pronto, lo lascio correre.

Ora sono in volo; tiro dentro il carrello e sto per richiamare i flap quando... tra il rumore dei 280 cavalli avverto un borbottìo seguito un secondo dopo da un incredibile silenzio.

Ho avuto un blocco del motore, la classica piantata nel peggior momento del volo, nella prima parte del decollo.

Mi ricordai dell'istruttore: proseguire anche se davanti ci fosse stato un muro...

Un muro no !, ma c'era un campo pieno di piccoli alberi, se ci andavo sopra nel migliore dei casi addio aeroplano.

Istintivamente, piegai tutto a sinistra l'aeroplano, forse anche aiutandomi col piede.

Tutto questo che racconto avvenne in qualche decimo di secondo, non di più.

Appena piegato mi ritornò in mente l'istruttore, ma ormai era fatta.

Per fortuna l'aereo cadde (in vite?) non sulla strada di grande comunicazione che costeggiava l'aeroporto, ma appena passata la rete di recinzione.

Ricordo soltanto di aver visto la terra avvicinarsi velocemente e di non aver avuto coscienza di quello che stava accadendo.

Non ho avuto alcuna paura

Che cosa accadde dopo, non lo so.

Mi sono svegliato in una camera di ospedale e ho provato una piacevole sensazione di benessere.

Mi sono guardato intorno e mi sono chiesto che cosa ci stessi a fare in quel posto.

La stanza era vuota, il silenzio assoluto.

Non avevo il coraggio di chiedere che cosa fosse accaduto.

Avevo avuto un incidente aereo, mi disse una simpatica suora.

E l'aeroplano?, chiesi. Conciato peggio di lei, rispose la brava sorella.

Dopo due mesi di ospedale fui dimesso e prima di andare a casa mi portarono a vedere il mio aeroplano.

Rimasi sconvolto; non era altro che un ammasso di rottami dai quali ero stato estratto, mi dissero più morto che vivo.

Non credo che potrò più volare; Ma qualche speranza ce l'ho ancora.

Chissà se fossi andato diritto….

 

Il Training

I libri di testo – almeno quelli sulla cui copertina troneggiano i nomi di autori ed editori autorevoli - sono tutti concordi :

dopo una piantata in decollo, in genere, tentare di tornare verso l’aeroporto costituisce la ricetta migliore per cacciarsi nei guai.

Nel nome del pragmatismo, esperti e riviste americane hanno persino coniato a proposito un’espressione sintetica che chiarisce ogni dubbio : The impossible turn ovvero la virata impossibile.

Eppure la gente continua a rischiare , talvolta perdendo persino quando l’evento, di per sé, potrebbe risolversi il più delle volte con scarsi al velivolo, ferite leggere (o magari nessuna per gli occupanti) e un ritemprato amor proprio per aver eseguito un atterraggio d’emergenza secondo manuale.

Senza alcun dubbio esistono alcune situazioni durante le quali è possibile optare per un ritorno all’aeroporto di partenza, ma si tratta di circostanze che richiedono una capacità decisionale e niente indugi, senza tener conto di una padronanza del mezzo non comune, spesso al di sopra dell’abilità di un pilota medio.

Per non ritrovarsi nel dubbio qualora la piantata dovesse verificarsi davvero ( torno ? ci provo oppure no), è molto meglio esercitarsi in anticipo e padroneggiare una manovra, per poi eseguirla quasi in maniera automatica qualora se ne presenti la necessità. (è quesrto lo scopo dell’addestramento).

Ma perché non tornare indietro ?

La quota sufficiente

A parte il rischio di un’atterraggio (garantito con vento in coda) in direzione opposta rispetto al traffico in decollo, il punto chiave sta nella definizione di "quota sufficiente alla manovra".

Quando il motore pianta, tempo a disposizione e quota sono elementi chiave di ogni manovra.

In fase di salita (in genere Vy + 5 – 10 ktn, cioè miglior rateo di salita più o meno una manciata di nodi) l’assetto è tale che in acaso di piantata è necessario intervenire immediatamente per evitare un rapido decadimento della velocità. In genere si può considerare attendibile un tempo di reazione allo shock di circa 4 secondi. A quel punto, per evitare lo scenario stallo-vite, si puo tentare il 180° verso il campo:

con un rateo standard (3 gradi al secondo) diventa necessario un intero minuto (180°:3° = 60).

La virata, va tenuto presente, richiede anche uno spazio adeguato: maggiore la velocità, più ampio il raggio (a 70 nodi, una velocità tipo, a rateo costante ci si allontana di circa 2.200 piedi, quasi 700 metri, con la necessità di continuare la virata di almeno altri 45° gradi per puntare almeno nella direzione generale della pista).

Se la piantata è avvenuta a circa 300 piedi, una rapida addizione è in grado di dissipare tutti i dubbi: 4 secondi di tempo di reazione, un minuto per il 180, 15 secondi per gli altri 45° necessari a puntare verso il campo e già siamo a 1 minuto e 20 (79 secondi), calcolato il rateo di discesa medio di un addestratore (circa 700 piedi al minuto al miglior rateo di planata, ali livellate, elica windmilling, circa 1.000 in virata), 79 secondi si traducono in una perdita di quota di circa 1.300 piedi, "appena" 1.000 BGL (Below Ground Level) se la manovra ha avuto inizio, come supposto inizialmente, a 300 piedi AGL.

 

Il "mito" della virata stretta

Puntare, come verrebbe intuitivo, a una virata "stretta", comporta purtroppo altri rischi, prima di tutto l'incremento della velocità di stallo (pari alla radice quadrata del fattore di carico). Alcuni numeri: se la Vs - ali livellate - è di 49 nodi, con 35° di bank si passa a 53 (+8 per cento), con 45° si sale a 59 (+20 per cento), con 60° a 71 nodi (+43 per cento) e con 75° a 97 nodi (+97 per cento).

Logico quindi dedurre come un angolo di 45° costituisca una buona linea guida. Ma non è finita.

All'incremento del bank (supponiamo oltre i 20°) va associato anche un aumento della velocità di planata (da 70 a 80 nodi per i 45° max del nostro esempio), il che inciderà tuttavia anche sul raggio della manovra.

E il fattore tempo? A 80 nodi e con 45° di bank i 180° richiederanno circa 15 secondi: sommati ai 4 iniziali e al secondo aggiuntivo per i 10° necessari a puntare verso il campo, si arriva a un totale di 20, Ammesso che il rateo di discesa rimanga immutato (1.000 piedi al minuto), 20 secondi equivalgono a una perdita di quota di 333 piedi, 33 in più rispetto ai 300 di partenza.

E fin qui si tratta ancora di numeri.

Non abbiamo poi considerato l'effetto di un vento al traverso e il suo influsso sul raggio di virata (ampiezza, durata), sul lato più favorevole (destra? sinistra?) e sull'atterraggio stesso in condizione di crosswind.

In breve, sotto i 600 piedi, le probabilità sono contro il pilota.

Se in rullaggio o in fase di controlli/decollo non sono stati colti i segni premonitori di una piantata imminente, una volta in aria, la migliore decisione, di regola, è quella di scegliersi un punto in un arco spaziale di circa 120° (60 + 60) rispetto all'asse della pista.

Se va proprio male scasserete l'aereo e/o ferirete voi stessi e il vostro orgoglio.

Ma non correrete il rischio di una sfida (perdente) con la "virata impossibile"

 

Volare ottobre 1996

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  • 3 mesi dopo...
Ospite Folgore

Dave, :adorazione:

 

Come si fa a fare navigazione? ad impostare una rotta, quali carte ci vogliono, come si fa?

 

e la navigazione aereo è uguale (i metodi) a quella nautica? puoi darmi un mano? :adorazione: :adorazione:

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Una carta aeronautica è una particolare carta geografica che ha lo scopo di permettere al pilota, o al navigatore, di poter eseguire le OPERAZIONI DI CARTEGGIO prima di andare in volo e durante il volo, nonchè di permettergli di calcolare e riconoscere la sua posizione relativamente al terreno mentre il volo procede.

 

Le operazioni di carteggio sono essenzialmente quattro:

- dato un punto, trovarne le coordinate geografiche,

- date le coordinate geografiche di un punto, localizzarlo sulla carta,

- dati due punti, misurarne la distanza reciproca,

- una volta uniti con una linea che si chiama ROTTA il punto di partenza e il punto di arrivo relativi a un certo volo, misurare l’ "ANGOLO DI ROTTA, cioè l'angolo che la rotta forma con la direzione del nord.

 

Una carta aeronautica dovrà pertanto possedere tutti gli elementi per poter fare le suddette operazioni, e dovrà inoltre rappresentare la superficie della terra con tutti i suoi,elementi caratteristici, quali fiumi, laghi, coste, città, strade, ferrovie, aeroporti, ecc.

 

Le scale più comunemente usate per costruire carte aeronautiche adatte al vola a vista su brevi distanze sono

1: 1.000.000, e 1:500.000.

Esistono carte in scala 1: 10.000.000, 1 :5.000.000, 1 :2.000.000 adatte ai voli intercontinentali o a grande distanza,

oppure carte 1:100.000; 1 :50.000, 1:25.000 dette anche TOPOGRAFICHE, e vengono usate per rappresentare le zone aeroportuali o le loro adiacenze per le fasi di avvicinamento.

 

CARATTERISTICHE Di UNA CARTA

Quando una carta mantiene invariati gli angoli rispetto agli stessi angoli sulla sfera di proiezione si dice che la carta è ISOGONA.

Quando essa mantiene invariate le distanze, si dice che è EQUIDISTANTE.

Quando la carta mantiene invariate le aree,si dice che è EQUIVALENTE.

Nessuna carta geografica può mai possedere tutte e tre queste caratteristiche, in quanto, è impossibile rendere piana una superficie sferica senza deformarla.

Una carta aeronautica o nautica DEVE essere almeno ISOGONA, per permettere di rilevare la rotta.

 

La Carta di Lambert

La carta di Lambert è la carta ormai quasi universalmente usata per navigare fino alle latitudini di 80°.

E' ottenuta da una proiezione conica diretta secante o tangente centrografica modificata per ottenere l'isogonismo mediante le formule elaborate dal matematico francese Lambert.

Dato però che per le carte in scala 1: 1.000.000 e 1:500.000, i paralleli di secanza sono molto vicini l'errore di equidistanza e praticamente trascurabile.

Pertanto i fogli della carta di Lambert in uso per il volo a vista in scala 1: 1.000.000 e 1 :500.000 vanno considerati equidistanti.

 

Le carte in scala 1:1.000.000 e 1:500.000 sono prodotte dai paesi aeronauticamente più avanzati,con l’intento di svolgere le funzioni previste per le World Aeronautical Chart ICAO.

Nel nostro paese, la produzione di tali carte è demandata all’Istituto Geografico Militare.

Lo spazio aereo Italiano è suddiviso in 10 fogli, ciascuno dei quali porta almeno una linea isogona che consente di rilevare la declinazione magnetica.

Le tinte e le linee isometriche, di colore marrone variano di intensità con il crescere dell’altitudine che è espressa in metri.

Gli spazi aerei sono ben evidenziati.

Possono essere acquistate presso qualsiasi scuola di volo o presso la Bancarella Aeronautica.

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Come si pianifica un volo ?

Beh a parte che lo chiedi alla persona sbagliata, il 65% delle mie ore di volo , prossime a 450, le ho passate sulla verticale del campo a fare capriole….

Comunque, potrebbe essere un utile bel ripasso...

innanzi tutto si sceglie l’itinerario.

Esempio, supponiamo di voler pianificare un voletto semplice tipo R.E. --> Lugo ( così gioco in casa) <_<

Per iniziare dobbiamo avere a portata di mano tutti gli strumenti che possono consentirci lo svolgimento di questo compito:.

- Carta aeronautica 1:500.000 della zona interessata.

- Goniometro Jeppsen per rilevare angoli di rotta e distanza in NM (Nautical Miles)

- Righello graduato con al velocità di crociera del nostro aeromobile, che ci facilita il calcolo del tempo stimato di percorrenza delle varie tratte in cui suddivideremo la rotta.

4) Un modulo chiamato Pianetto di Volo, dove riportare tutte le info che potranno tornarci utili durante il volo, da fissare sul cosciale.

 

Dopo una prima rapida occhiata alla carta aeronautica, notiamo che la nostra rotta interesserà il CTR di Bologna e di Romagna.

Quindi dobbiamo procurarci le cartine topografiche Jeppsen relative a

- CTR di Bologna,

- CTR di Romagna,

- Aeroporto di Ravenna (eventuale alternato)

- Aeroporto di Lugo di Romagna.

Tali cartine, sono disponibili presso qualsiasi scuola di volo.

La tratta da pianificare comprenderà Aeroporto di Partenza, Aeroporto di Destinazione, Eventuale Aeroporto Alternato dove dirigersi se , per motivi a noi sconosciuti, dovesse risultare impossibile atterrare sull’aeroporto di destinazione.

Questi dati ci serviranno anche per stabilire l’autonomia necessaria al nostro volo.

Mettiamoci all’opera..

Il nostro aeroporto di partenza sarà Reggio Emilia.

Consultiamo la cartina relativa al CTR di Bologna e scopriamo che , per l’attraversamento in VFR dell’area è prevista su una rotta obbligata a 1000ft AGL che , movendosi da Ovest verso Est, prevede l’entry point sulla zona ad ovest di Modena, un secondo punto di riporto è localizzato su Spilamberto, il terzo su Casalecchio di Reno, l’exit point è su S.Lazzaro di Savena.

Usciti dal CTR di Bologna, entriamo in quello di Romagna.

Consultiamo la relativa cartina e scopriamo che per una rotta S.Lazzaro – Imola – Raccordo Autostrada per Ravenna – Lugo non vi sono particolari disposizioni e/o controindicazioni se si rimane sotto i 1500 ft..AGL

La scelta di una rotta leggermente più lunga come quella descritta sopra ,rispetto ad un diretto Imola-Lugo, è che offre molti riferimenti al suolo, quindi semplifica sia la pianificazione che i riporti di posizione.

Non dimentichiamo che stiamo volando a vista.

Infine consultiamo la cartina topografica dell’aeroporto di Lugo e apprendiamo che la pista ha un’orientamento 03- 21.

Il circuito di traffico per la pista 03 è a 1000ft AGL, standard a sinistra, mentre per la pista 21 è a destra.

Questo vuol dire che in entrambi i casi, l’aeromobile dovrà rimanere a ovest della pista, infatti a est è presente il box acro, quindi vietatissimo al traffico aereo. Da evitare assolutamente.

Ora, arrivando dal raccordo dell’autostrada per Ravenna, dobbiamo prevedere che

- se la pista in uso sarà la 03, avremo la possibilità di chiedere il lungo finale ed iniziare la procedura di atterraggio, in caso contrario dobbiamo portarci sul punto di ingresso al circuito di traffico per pista 03, che dobbiamo localizzare e segnare sulla carta.

- Se la pista in uso sarà la 21, possiamo entrare direttamente in sottovento destro 21.

A questo punto abbiamo tutti gli elementi per tracciare la rotta sulla cartina Aeronautica e compilare il pianetto di volo.

 

Prendiamo Nota di tutte le frequenze necessarie .

R.E = Twr 127.15

MODENA = Twr 119.55

BOA App = 120.10

BOA VOR-DME = 112.20

BOA NDB = 413

Romagna App = 118.15

Lugo Twr = 119.65

Ravenna Twr = 123.50

Chioggia VOR = 114.10

 

Supponiamo di utilizzare un PA28 Archer II e stabiliamo una velocità di crociera di 105 Kts

Iniziamo a tracciare la rotta:

1) R.E. --> Entry Point Modena ( che sulla cartina è indicato con un triangolo marrone)

Con il goniometro rileviamo la rotta : 105 , distanza 8 NM, E.time 5’ + 2’

( i due minuti vengono aggiunti empiricamente, tenendo presente decollo, salita a 1000ft ed uscita standard dal circuito di traffico di R.E.)

2) MO --> Spilamberto : Rotta 145 , distanza 11 NM , 7 min

3) Spilamberto --> Casalecchio di Reno : Rotta 110 , distanza 11 NM , 7 min

4) Casalecchio --> S.Lazzaro : Rotta 095 , distanza 6 NM , 3.5 min

5) S.Lazzaro --> Imola : Rotta 120 , distanza 15 NM , 9 min

6) Imola --> Lugo : Rotta 065 , distanza 6 NM , 3.5 min + 2 min

( aggiungiamo 2 min. in modo empirico per tener conto del circuito di traffico standard)

7) Lugo --> Alternato Ravenna : Rotta 095 , 18 NM , 10 min

Durata del volo da RE a Lugo = 5+2 + 7 + 7 +3.5 +9 +3.5 + 2 = 39 min

Autonomia minima da dichiarare 39 + 10 (per l’alternato) + 30 (riserva) = 79 min circa 1.5h

Qui termina la Pianificazione Teorica.

 

Adesso dobbiamo considerare che non tutti i punti di riporto, che abbiamo tracciato sulla rotta, potrebbero essere facilmente riconoscibili, soprattutto se è la prima volta.

Segue quindi un’attento esame delle cartine disponibili per rintracciare qualche particolare che possa consentirci di riconoscere in modo inequivocabile i punti di riporto.

Ad esempio, Spilamberto è caratterizzato da un’incrocio tra il fiume Panaro e la ferrovia che da Modena va verso Vignola.

Casalecchio di Reno è riconoscibile dallo svincolo autostradale che porta verso Firenze.

Etc.Etc.

Se a bordo abbiamo il VOR – DME, possiamo fare il Fix dei punti di riporto riferito al VOR –DME di Bologna e se lo riceviamo, con il VOR-DME di Chioggia.

Esempio : Spilamberto--> BOA 090 TO : 11 NM

CHIOGGIA 055 TO : 62 NM

A questo punto siamo pronti per mettere in pratica il Volo.

 

---------------------------- E Allora Proviamo a Farlo :rotfl:

 

Supponiamo di essere allineati con i 1400m della pista 11 di R.E.

Il nostro Velivolo è un PA 28 Archer II con marche I-IKIM

Decollo, continuiamo lungo asse pista fino a 500 ft.

Viriamo in controbase 11 e usciamo ( in modo poco ortodosso ) dal circuito di traffico di R.E.

A/V : Reggio, India – Mike lascia la zona

------

Predisponiamo

COM 1 = frequenza del BOA Radar

COM 2 = Frequenza di Modena ( passiamo accanto all’aeroporto di marzaglia, quindi meglio ascoltare eventuali traffici)

NAV 1 : BOA VOR-DME

NAV 2 : CHIOGGIA VOR-DME

Prua verso l’Entry Point di Modena

-----------

In prossimità di Modena , attendiamo il nostro turno, siamo già in ascolto di BOA Radar e facciamo la nostra chiamata.

A/V = Bologna Radar, Buon Giorno da India-India Kilo India Mike

BOA = India-India Mike, Buongiorno, Avanti

A/V = India-India Mike è un Papa Alpha due otto da Reggio Emila a Lugo di Romagna senza Piano di Volo.

Prossimi a Modena, 1000 piedi, Richiesta attraversamento Zona secondo Standard VFR

BOA=India-India Mike autorizzato, riporti spilamberto , QNH uno zero due uno (in mbar), sette zero zero uno su trasponder , squock ident.

Impostiamo 7001 sul Trasponder , spostiamo il selettore da Stand By a ALT, in questo modo il trasponder invia l’identificatico e la quota altimetrica e premiamo il pulsante IDENT che permette di intensificare il segnale trasponder sul radar, regoliamo un'altimetro sul QNH 1021.

BOA= India-India Mike, Ident OK, Ci conferma volo No Fly Plan

A/V = Affermativo

-------------

Rotta per Spilamberto e facciamo partire il cronometro (sono necessari 7 min)

Impostiamo la radiale di riferimento sul VOR BOA e selettore DME su NAV 1

Arriviamo su spilamberto, riconosciamo il fiume panaro e la ferrovia, i dati VOR-DME ci confermano l’esattezza del punto di riporto.

Impostiamo la rotta per casalecchio, azzeriamo il cronometro e informiamo il Radar

--------

A/V = Bologna Radar, India India Mike su spilamberto, inbound Casalecchio.

BOA: Ricevuto, Riporti Lasciando San Lazzaro per la chiusura.

( c’è poco traffico, siamo visibili sul radar, quindi ci lasciano tranquilli fino a San.Lazzaro)

Impostiamo la radiale To di Casalecchio di Reno sul NAV 1

Arriviamo su Casalecchio di Reno, lo riconosciamo, i dati VOR-DME corrispondono.

---------------

Impostiamo la prua per S.Lazzaro, e i relativi dati VOR-DME.; azzeriamo il cronometro.

Mentre procediamo verso S.Lazzaro, impostiamo su COM2 la frequenza di Romagna Radar.

(quella di Modena non ci serve più)

Dopo 3.5 minuti siamo su S.Lazzaro , lo riconoscerebbe anche un cieco e puntiamo verso Imola.

Qui i riferimenti non ci mancano. Autostrada , ferrovia, via emila.

A/V: Bologna Radar, India-India Mike su S.Lazzaro, inbound Imola.

Chiude con voi

BOA: India-India Mike chiusura alle 10.30, cambi con Romagna Radar sulla uno uno otto decimale uno cinque buon giorno-

A/V: uno uno otto decimale uno cinque , buon giorno e a risentirci

Verifichiamo di avere impostato correttamente la frequenza di romagna Radar sulla COM 2,

giriamo il selettore Com su COM 2 e ci mettiamo in contatto con il Radar

-----------

A/V : Romagna Radar , Buon Giorno da India-India Kilo India Mike

RMG: India-India Mike, Buon giorno Avanti.

A/V : India-India Mike è un Papa Alpha due otto da Reggio Emila a Lugo di Romagna senza Piano di Volo.

Lasciato S.Lazzaro, inbound Imola che stimiamo tra 15 minuti circa , 1000 piedi, sette zero zero uno sul trasponder.

RMG: Ricevuto, QNH uno zero due due, trasponder sette zero uno uno (c’è un’altro traffico a cui hanno gia assegnato il nostro precedente identificativo)

riporti in vista di Lugo per la chiusura.

Riportiamo il selettore trasponder su Stand By, selezioniamo il nuovo codice, e riportiamo il selettore su ALT.

A/V: Ricevuto, sette zero uno uno su trasponder, riporteremo in vista di Lugo.

Arriviamo su Imola, riconosciamo il circuito auto sulle colline del Santerno,ed impostiamo la rotta per Air field di Lugo.

Impostiamo la frequenza della TWR lugo sulla COM 1.

Azzeriamo il cronometro, e attenzione perchè ci vogliono solamente 3 ,5 minuti.

-----------

Dopo due minuti, vediamo davanti a noi la pista di Lugo.

A/V=Romagna Radar, India-India Mike in vista di Lugo, chiude con voi.

RMG= India-India mike, chiusura alle 51, Buon giorno

A/V= Buongiorno

---------------

Veloce Cambio del Selettore su Com su COM 1

Selettore trasponder su Stand By, non ci serve più.

A/V=Lugo Radio, Buon Giorno da India-India Kilo India Mike

- Nessuna Risposta

Dopo qualche secondo ripetiamo la chiamata

A/V= Lugo Radio, Buon Giorno da India-India Kilo India Mike

- Nessuna Risposta

-------------

Evidentemente alla radio non c’è nessuno.

Non è una torre, quindi le comunicazioni radio sono demandate a qualche volontario che si trova nei pressi della radio.

Dobbiamo quindi adottare la procedura relativa alla mancanza di assistenza radio

Cioè effettuare le chiamate all’aria, passare sulla verticale del campo a 1500ft per guardare la manica a vento e scegliere la pista di conseguenza..

A/V: Lugo Radio, India-India Mike, è un Papa Alpha due otto da Reggio Emila a Voi, lasciato Imola , in vista del campo, riporterà verticale a 1500 ft.

Raggiungiamo la verticale del campo a 1500ft, passiamo sulla manica a Vento, e vediamo che la T indica pista in uso 03.

A/V: Lugo, India-india Mike lascia verticale campo e si porta in sottovento sinistro 03.

A questo punto non ci rimane che completare il braccio di sottovento 03 , base , finale 03 ed atterrare.

 

Fine <_<

Modificato da Dave97
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L'aria calda al carburatore

Nei normali carburatori a galleggiante, del tipo di quelli che equipaggiano ancora la maggior parte dei monomotori e un buon numero di bimotori dell'aviazione generale, durante il funzionamento si verificano sempre due fenomeni fisici che inducono un raffreddamento dell'aria che li attraversa.

Quando il raffreddamento è sufficiente a portare la temperatura dell'aria contemporaneamente sotto al punto di rugiada e sotto allo zero termico, l'umidità contenuta nell'aria condensa e ghiaccia, e aderisce alle pareti del carburatore e della valvola a farfalla.

Se il fenomeno si protrae nel tempo, l'accumulo di ghiaccio restringe vieppiù la sezione del condotto di aspirazione.

Il motore comincia così a perdere progressivamente potenza, finchè, quando ai cilindri non arriva più miscela in quantità sufficiente, si ferma.

Vediamo quali sono i due fenomeni che si verificano all'interno del carburatore durante il suo funzionamento.

Nel punto in cui avviene la carburazione (cioè la miscelazione a livello molecolare dell'aria con la benzina), la sezione del condotto di aspirazione si restringe e forma quella parte del carburatore che è conosciuta come tubo di Venturi.

Il restringimento del tubo di Venturi ha lo scopo di far accelerare l’aria aspirata dai pistoni e quindi di farne diminuire la pressione (per il principio di Bernoulli).

La minor pressione dell'aria serve per aspirare la benzina dalla vaschetta e per favorirne l'evaporazione, necessaria affinchè la benzina e l'aria si mescolino uniformemente.

La depressione che si forma nel tubo di Venturi, fra le altre cose, costringe l'aria a espandersi.

L'espansione dell'aria, così come quella di ogni altro gas, provoca un raffreddamento adiabatico, che è tanto maggiore quanto maggiore è la diminuzione della pressione.

Contemporaneamente all 'espansione dell'aria, avviene l'evaporazione della benzina così, come per qualunque altra sostanza, anche l'evaporazione della benzina sottrae all'ambiente nel quale avviene una grande qauntità di calore, nota come calore latente di vaporizzazione.

Il raffreddamento provocato dall'insieme dei due fenomeni può far scendere la temperatura all’interno del carburatore anche di oltre 30° centigradi rispetto alla temperatura dell'aria esterna.

Fra i vari regimi ai quali può funzionare un motore, quello più pericoloso ai fini delle formazioni di ghiaccio al carburatore è il funzionamento al minimo, o comunque alle basse potenze.

Ciò è dovuto al fatto che, quanta meno potenza eroga il motore, tanto più chiusa deve essere la valvola a farfalla nel carburatore, e quindi, tanto più stretta diventa la luce attraverso la quale è costretta a passare l'aria diretta verso i cilindri.

Trovandosi a dover attraversare una sezione più piccola, l'aria è costretta ad accelerare maggiormente, per cui la sua pressione diminuisce ancora; l'espansione conseguente fa aumentare il raffreddamento e quindi le probabilità di formazioni di ghiaccio.

 

La formazione del ghiaccio

Abbiamo stabilito che in un carburatore si verifica sempre e comunque una diminuzione di temperatura.

I fattori esterni, che concorrono a creare le condizioni necessarie perchè nel carburatore si possa formare ghiaccio, sono la temperatura, il punta di rugiada e l'umidità relativa dell'aria esterna.

Le probabilità di formazioni di ghiaccio al carburatore, ai diversi regimi di funzionamento del motore in planata si possono incontrare anche quando la temperatura dell'aria esterna è superiore a 90°F (+ 32°C), e quando l'umidità relativa è anche solo del 40 per cento.

 

Ora che abbiamo visto come si generano le formazioni di ghiaccio al carburatore, vediamo come è possibile combatterle quando si è ai comandi di un aereo equipaggiato con un motore a carburatore.

(I motori a iniezione possono essere considerati praticamente immuni dal pericolo, dato che la benzina viene iniettata direttamente a monte delle valvole di aspirazione.)

Come sappiamo, i costruttori muniscono tutti gli aerei con motore a carburatore di un comando posto in cabina che immette aria calda nel carburatore e previene o elimina le eventuali formazioni di ghiaccio.

Azionando il comando dell'aria calda, si cambia la posizione di un'apposita valvola, che va così a chiudere il normale condotto di accesso dell'aria esterna e ne apre un altro attraverso il quale passa l'aria che è stata preventivamente riscaldata in uno scambiatore di calore montato sui condotti di scarico del motore.

Gli effetti collaterali che l'invio dell'aria calda al carburatore ha sul motore sono una diminuzione della potenza e un arricchimento della miscela, entrambi dovuti al fatto che l'aria calda è meno densa di quella fredda.

Prima di passare ad analizzare come e quando usare il comando dell'aria calda al carburatore, è bene richiamare alcune raccomandazioni date ai piloti dalla casa costruttrice di motori Avco-Lycoming, tramite la sua pubblicazione tecnica Flyer (la Avco-Lycoming spartisce con la Continental il monopolio mondiale dei motori aeronautici a pistoni).

- Azionando a fondo il comando dell'aria calda al carburatore, il motore perde circa il 15% della potenza e la miscela si arricchisce.

Il ripristino della potenza può essere ottenuto con un aumento di 2 pollici della pressione di alimentazione, o di 100 giri del motore.

Applicando l'aria calda in crociera, è sempre bene rifare la correzione della miscela.

- L'uso dell'aria calda al carburatore, quando il motore eroga il 75 per cento o meno della potenza massima, può essere prolungato indefinitamente senza danno per il motore.

- L'aria calda al carburatore non va mai usata quando la temperatura esterna è al di sotto dei -30°C.

A tali temperature, l'umidita dell'aria è infatti già allo stato solido e l'uso dell'aria calda potrebbe favorirne lo scioglimento e, quindi, il successivo ricongelamento all'interno del carburatore.

- Poichè nelle scuole di volo vengono impiegati svariati tipi di aeromobili equipaggiati con diversi motori, sarebbe utile e auspicabile standardizzare l'istruzione dell'uso dell'aria calda al carburatore durante la fase di avvicinamento e di atterraggio con tutti gli aerei che impiegano motori a carburatore a galleggiante.

La Avco-Lycoming non ha perciò alcuna obiezione alla più ampia diffusione di tale standardizzazione.

 

L'uso dell'aria calda

Passiamo quindi a considerare l'uso dell'aria calda al carburatore nelle varie fasi del volo.

- Crociera lenta e avvicinamento per l'atterraggio.

Poichè non è sempre facile determinare se le condizioni sono o meno favorevoli alle formazioni di ghiaccio; poichè il motore non soffre applicando l'aria calda anche per periodi prolungati; poiché durante l'avvicinamento la perdita di potenza causata dall'uso dell'aria calda al carburatore non ha alcuna rilevanza: prima di ridurre la manetta per eseguire il rallentamento alla velocità di avvicinamento, tirare sempre a fondo il comando dell' aria calda al carburatore, qualunque sia la stagione dell'anno. Dato che non ci sono controindicazioni, e infatti certamente preferibile dare l'aria calda anche quando non ce ne sarebbe bisogno, piuttosto che correre il rischio di non darla quando serve.

Qualora si preveda di rimanere a lungo in volo alla velocità di avvicinamento, come a esempio durante le attese, è conveniente smagrire la miscela, ricordando però di ri-arricchirla prima dell'atterraggio, in vista di una possibile riattaccata.

 

Crociera normale.

Durante la crociera normale in condizioni di volo VMC, le probabilità di fare ghiaccio al carburatore sono generalmente poche; esse aumentano invece notevolmente quando si vola in condizioni IMC, specialmente in nube o in presenza di precipitazioni, allorchè l'umidità relativa dell'aria e più alta.

Anche in crociera, il concetto informatore circa l'uso dell'aria calda al carburatore è fondamentalmente lo stesso: è meglio prevenire le formazioni di ghiaccio che non doverle eliminare, col rischio di rimanere senza motore.

Quando si ritiene prudente immettere aria calda nel carburatore, a meno che a bordo non si disponga del termometro della temperatura dell'aria nel carburatore, il comando dell'aria calda va tirato a fondo. Un riscaldamento dell'aria parziale e di intensità sconosciuta potrebbe infatti favorire lo scioglimento degli aghi di ghiaccio, presenti nell'atmosfera quando la temperatura esterna è sotto zero, ma contemporaneamente non consentire di alzare la temperatura nel carburatore al valore che permette di prevenire le formazioni di ghiaccio.

E’ consigliato l'uso continuo

Quando si vola in nube o sotto la pioggia, è sempre prudente lasciare in continuazione l'aria calda al carburatore e seguire i consigli dei costruttori di motori; ripristinare la potenza e correggere la miscela. Quando invece si vola in condizioni VMC, ma si ha il dubbio che si possa fare giaccio al carburatore, è consigliabile tirare il comando dell'aria calda per una decina di secondi a intervalli di alcuni minuti e osservare il comportamento del contagiri e/o del manometro della MAP.

Se, con "aria calda tirata, si nota il tradizionale calo di potenza, significa che nel carburatore non c'e ghiaccio; se, invece, dopo un iniziale calo della potenza, si nota che i giri o la MAP aumentano, vuol dire che nel carburatore si è formato del ghiaccio: in questo caso l'aria calda va lasciata in continuazione, oppure l'operazione va eseguita con maggiore frequenza.

A volte può succedere che, tirando l'aria calda al carburatore, il motore cominci a funzionare irregolarmente o a perdere colpi.

Ciò è in genere dovuto al ghiaccio formatosi nel carburatore, che, ingerito dal motore sottoforma di acqua, ne provoca il borbottamento finchè non è stato completamente eliminato.

In questi casi bisogna resistere alla tentazione di riportare il comando dell'aria in posizione fredda finche il motore non torna a funzionare regolarmente, perchè altrimenti si tornerebbe a riempire di ghiaccio il carburatore e si rischierebbe l'arresto del motore.

 

- Decollo.

In decollo l'aria calda non va mai usata.

L'uso dell'aria calda quando il motore eroga la potenza di decollo, o comunque una potenza elevata, potrebbe provocare la detonazione nei cilindri.

Inoltre, con la farfalla completamente aperta, le probabilità di fare ghiaccio sono minime.

 

- Riattaccata e touch-and-go.

Quando si deve dare piena potenza dopo una pla¬ata con l'aria calda tirata, onde evitare che il carburatore tardi a rispondere, e quindi che il motore manchi l'erogazione della potenza, è consigliabile dare prima la manetta e subito dopo portare l'aria in posizione fredda.

La manetta deve però essere sempre portata avanti gradualmente, anche se in modo deciso.

Naturalmente non bisogna dimenticare di portare il comando dell'aria in posizione fredda, perchè altrimenti il motore potrebbe subire dei danni da detonazione e potrebbe mancare la potenza necessaria per portare felicemente a termine la riattaccata.

 

- Rullaggio.

Durante le operazioni al suolo, il comando dell'aria al carburatore deve sempre rimanere in posizione fredda: in tal modo l'aria, prima di giungere al motore, è costretta a passare attraverso l'apposito filtro che ne trattiene le impurità, una delle cause principali dell'usura delle parti interne dei motori.

Quando il comando è in posizione calda, l'aria giunge invece al motore senza passare per il filtro e porta con se tutte le eventuali impurità, la cui quantità è sempre maggiore al suolo che non in quota.

Ciò ovviamente non implica che non si debba fare la prova dell'aria calda al carburatore prima di andare in volo, anzi!

Se durante la prova motore alla posizione di attesa, non si nota il tradizionale calo di giri nel momento in cui si tira il comando dell'aria calda al carburatore, si deve tornare al parcheggio e consegnare l'aereo agli addetti alla manutenzione.

 

R.Trebbi

Volare , marzo 1987

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Le Sensazioni Illusorie

Durante il volo strumentale, o durante il volo a vista condotto in determinate condizioni di scarsa visibilità, come per esempio di notte, si può andare soggetti a un certo numero di sensazioni illusorie, o di false impressioni, che in genere si manifestano quando le informazioni ricevute dai nostri organi sensoriali sono insufficienti o vengono male interpretate.

Alcune di queste sensazioni illusorie portano a valutare non correttamente la posizione o il moto dell'aereo rispetto alla superficie terrestre e, quindi, inducono a errori di manovra particolarmente pericolosi durante la fase di avvicinamento e di atterraggio.

Altre, molto più insidiose, portano invece al cosiddetto disorientamento spaziale, o alle vertigini e, quindi, alla perdita totale del controllo dell'aereo.

Come è stato ampiamente dimostrato dall'analisi delle statistiche relative a determinati incidenti di volo e da particolari esperimenti condotti con la cooperazione di piloti “cavia", le sensazioni illusorie colpiscono prevalentemente i piloti non addestrati al volo strumentale, o comunque quelli che mancano del necessario allenamento.

Inoltre, è stato dimostrato che i piloti adeguatamente addestrati e allenati, che vanno soggetti alle sensazioni illusorie, sono in grado di contrastarle e di neutralizzarne gli effetti, fidandosi completamente delle indicazioni degli strumenti, mentre i piloti inesperti o mancanti di allenamento vanno inevitabilmente incontro alla repentina perdita di controllo dell'aereo.

- Sensazioni illusorie

Le ragioni per cui chi vola in assenza di visibilità esterna senza avere la dovuta esperienza, pur con tutti gli strumenti necessari a bordo, perde irrimediabilmente il controllo dell'aereo nel giro di pochi minuti sono principalmente due, l'una conseguenza dell'altra.

La prima è che il pilota non sa osservare gli strumenti in modo appropriato e non sa interpretarne correttamente le indicazioni, per cui interviene sui comandi nel modo e nel tempo sbagliati.

La seconda è che, quando si accorge che l'aereo ha raggiunto assetti non desiderati, applica correzioni eccessive e scoordinate.

Sollecitati dalle accelerazioni indotte dalle manovre, gli organi dell'equilibrio mandano al cervello dei segnali che, non potendo essere integrati dai riferimenti visivi mancanti, creano sensazioni non aderenti alla realtà chiamate, appunto, sensazioni illusorie.

Il pilota inesperto asseconda queste sue sensazioni, aprendo cosi la porta al disorientamento spaziale e alla perdita di controllo dell'aereo.

La vista è l'organo principale che ci permette di mantenerci in equilibrio e seri casi di vertigine si hanno normalmente solo quando alla vista vengono a mancare i normali riferimenti.

L’organo vestibolare o dell'equilibrio è situato nell'orecchio interno ed è costituito da due parti: i canali semicircolari e l’organo statico.

I canali semicircolari sono tre, e sono pieni di liquido.

Mentre uno giace nel piano orizzontale, gli altri due sono situati verticalmente ortogonali fra loro.

All’interno dei canali, nella zona vicina alla loro confluenza, ci sono numerose cellule peduncolari , chiamate cilia , che sono attaccate alle pareti dei canali, e si trovano immerse nel fluido.

La seconda parte dell'organo 'vestibolare, l'organo statico. è quella che permette di percepire le accelerazioni.

Esso è costituito da minuti depositi di carbonato di calcio, detti otoliti, che sono immersi in una sostanza gelatinosa, entro la quale ci sono anche delle cellule peduncolari collegate al sistema nervoso.

I dati generati dall'organo vestibolare, così come le sensazioni di gravità raccolte dai nervi degli arti, dei muscoli e delle giunture,

vanno a integrare le informazioni raccolte dalla vista.

Alla fine, il cervello deve sintetizzare tutte queste informazioni, assegnare agli stimoli le dovute priorità a seconda della loro qualità e quindi effettuare le debite scelte cosi da permetterci di percepire nel modo corretto il mondo che ci circonda.

Dato, però, che l'uomo cammina sulla terra da millenni, ma vola solo da decenni, madre natura ha 'progettato' l’apparato vestibolare così da adattarlo alla prima attività e non alla seconda.

Ne deriva l’organo dell’equilibrio percepisce correttamente tutti i movimenti della persona, mentre non avverte, o avverte in modo non aderente alla realtà, i movimenti relativi alla spazio cui va soggetta la persona durante il volo.

 

Per esempio, si supponga di essere in volo nelle nubi e di iniziare una virata verso sinistra: il liquido si muove nei canali dell’apparato vestibolare e la virata viene avvertita correttamente; però, una volta che la virata è stabilizzata a un rateo costante, il fluido si ferma e genera perciò la sensazione errata di essere, anzichè in virata, in volo rettilineo.

Durante la rimessa dalla virata, avviene il contrario: il fluido torna a circolare e si avverte nuovamente la sensazione corretta del moto verso destra; quando pero si ferma il rollio con le ali orizzontali, il fluido continua a circolare per inerzia e fa sorgere la sensazione illusoria di proseguire la virata verso destra.

Pertanto è facile capire come il pilota non sufficientemente addestrato che cede alla sensazione illusoria e trascura le indicazioni degli strumenti, possa presto giungere alla perdita di controllo dell'aereo.

 

- Il disorientamento spaziale

Oltre alle due già descritte, ci sono diverse altre situazioni di volo senza visibilità esterna che inducono le sensazioni illusorie e che perciò possono portare al disorientamento spaziale.

Facciamo qui di seguito una rapida rassegna di quelle che si verificano più comunemente .

- L'aereo viene lentamente portato in virata con un'inclinazione laterale dell'ala scarsamente accentuata, per cui il liquido del canale "di rollio" non riesce a eccitare le proprie cellule peduncolari e il pilota non avverte di avere abbandonato il volo rettilineo.

D'un tratto, però, osservando gli strumenti, se ne rende conto e corregge bruscamente l'assetto, facendo entrare in circolazione il fluido dalla parte della correzione, e avvertendo cosi la sensazione di essere in virata dal lato opposto.

A questa punto, il pilota può commettere l'errore di riportare l'aereo nell'assetto precedente alla correzione, nel tentativo illusorio di livellarlo.

- L'aereo è in virata a rateo costante.

Per una ragione qualsiasi, il pilota fa un brusco movimento con la testa che porta il liquido a circolare in più di uno dei canali semicircolari.

Il risultato è la sensazione di essere in virata e di accelerare in direzioni completamente diverse da quella reale.

Nuovamente, il pilota che "ascolta" le sensazioni illusorie porta l'aereo in assetti da cui difficilmente lo potrà rimettere.

- L'aereo è lentamente, ma progressivamente entrato in virata fino a raggiungere una inclinazione laterale pronunciata e una notevole velocità di discesa senza che il liquido dei canali semicircolari si sia mosso, con la conseguenza che il pilota si sente in volo livellato. Quando, guardando l'altimetro, si accorge di essere in perdita di quota, non avendo la sensazione della virata, il pilota tira a se il volantino per fermare la discesa.

Però, cosi facendo, non fa che aumentare il rateo di discesa e stringere la paurosa spirale che lo porterà fino al suolo, se non riuscirà a capire di dover prima portare l'ala in assetto livellato.

- Il pilota riduce bruscamente la potenza, generando quindi una notevole decelerazione.

Gli otoliti si spostano in avanti, dandogli l'impressione di essere in una picchiata accentuata.

La reazione del pilota disorientato è quella di portare l'aereo in cabrata, nel tentativo di livellarlo.

- Un livellamento brusco dopo una salita può nuovamente far si che gli otoliti inducano la sensazione di essere in assetto forte mente cabrato, per cui il pilota può essere portato a spingere il volantino tutto avanti, mandando l'aereo in picchiata verticale

-La presenza di un falso orizzonte formato da un banco di nubi degradante o, di notte, dal confondersi delle stelle con luci al suolo, o da certe figure geometriche formate da luci al suolo, fornisce informazioni visive errate, basandosi sulle quali il pilota può portare l'aereo in assetti pericolosi.

La stessa cosa può succedere per il fenomeno cosiddetto di "autocinesi", che si manifesta quando di notte si fissa lo sguardo su un punto luminoso immobile (a esempio una stella o una luce al suolo), che dopo alcuni secondi sembra invece essere in movimento.

Tutte queste sensazioni illusorie sono reazioni fisiologiche naturali che non possono essere eliminate completamente e alle quali può andare soggetto chiunque.

Come abbiamo pero avuto modo di dire in apertura di capitolo, le sensazioni illusorie, e soprattutto il disorientamento spaziale che può seguire il loro verificarsi, colpiscono il pilota con frequenza e intensità tanto minore quanto maggiore e il suo allenamento a volare in condizioni IMC.

L'esperienza gli insegna infatti a manovrare l'aereo in modo dolce e progressivo, senza correggere in eccesso, e a evitare i bruschi movimenti del capo, specialmente durante le manovre.

E gli insegna inoltre a fidarsi completamente delle indicazioni degli strumenti, guardando i quali come se fossero riferimenti visivi esterni, le sensazioni illusorie spariscono rapidamente.

 

R. Trebbi

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Un' Aereo sconosciuto Vola Nell' ADIZ

 

Alcuni minuti dopo le quattro pomeridiane del 9 gennaio 1983, i radar del NORAD, North American Air Defense, avvistarono la traccia di un aeromobile, che si muoveva a velocità relativamente modesta, al largo della costa del Sud Carolina, all'interno della zona di identificazione della difesa aerea (ADIZ).

Poichè la traccia non potè in alcun modo essere messa in relazione con gli aerei presenti o previsti nella zona, essa fu attribuita a un "traffico sconosciuto".

Due Phantom furono immediatamente fatti decollare dalla base aerea di Seymour Johnson, nel Nord Carolina per intercettare e identificare l'intruso.

I militari contattarono subito la FAA per avere notizie in merito, ma risultò che né il Centro di controllo di Washington, nè quello di Jacksonville aveva con sè alcun traffico che potesse corrispondere alla traccia dell'aereo sconosciuto.

Sette minuti dopo il primo avvistamento, i due Phantom stavano salendo per livello 250, vettorati da terra verso la traccia da intercettare.

I piloti dovevano avvicinare l'aereo da dietro e mantenersi a non meno di 500 piedi da esso.

Il traffico sconosciuto era riportato a 9.500 piedi, su una rotta di 010°, e con una ground speed di 200 nodi.

Obiettivo dell'intercettamento era di scoprire quale tipo di aeromobile fosse.

Mentre attraversavano i 13.000 piedi in discesa, i due intercettori (JL25 e JL26) entrarono in uno spesso banco di nubi sottostante. Nessuno dei due navigatori di bordo, fu in grado di avvistare il bersaglio sui radar di bordo, per cui da terra ordinarono di virare e di riposizionarsi per un secondo tentativo di intercettamento.

Nel frattempo, il Centro di Washington aveva informato i militari di aver ricevuto il messaggio di un Beechcraft Baron che volava in VFR a 9.500 piedi, 56 miglia a sud-est di Wilmington.

Il Centro di controllo diede il nominativo del Baron e suggerì che probabilmente si trattava del traffico sconosciuto.

L'ufficiale superiore in servizio al NORAD considerò la situazione.

Durante l'anno precedente, i caccia intercettori erano stati lanciati in volo per identificare circa 160 traffici sconosciuti al largo della costa fra la Virginia e la Florida: dieci aerei erano risultati appartenere al blocco sovietico.

Poichè il Centro di Washington non aveva ancora identificato il Baron sui propri schermi radar, l'ufficiale non ritenne l'identificazione sufficientemente probante e comandò la continuazione dell'intercettamento.

In quel momento, i Phantom avevano livellato a 14.000 piedi in condizioni IMC.

Dopo aver avvistato la traccia del Baron sui radar di bordo, il JL26 cominciò la discesa per l'intercettamento.

Il pilota fu nuovamente istruito di non avvicinarsi a meno di 500 piedi.

Il JL25 rimase a 13.000 piedi, circa due miglia in coda al compagno.

Mentre il JL26 continuava l'avvicinamento, fra il pilota del Baron e il Centro di Washington si svolgeva il seguente dialogo:

A/V - "Ci avete in contatto radar?"

R - "Affermativo. Attualmente siete all'interno di una zona di allerta militare e due caccia sono stati mandati a intercettarvi.

State procedendo diretti verso Norfolk?"

A/V - "Stiamo risalendo la Rotta atlantica n° 3, ma abbiamo fatto alcune deviazioni per evitare delle cellule temporalesche".

R - "Ricevuto. Comunque vi informiamo che avete due Phantom in coda. Vi è possibile dirigere su Norfolk via New Bern?"

La richiesta lasciò il pilota del Baron alquanto confuso poichè gli veniva chiesto di deviare a sinistra di soli 5° dalla rotta seguita e non ne vedeva la ragione.

L'intento del controllore era quello di portarlo al più presto fuori dalla zona di allerta W-122.

Contemporaneamente, avuta conferma da Washington radar che il Baron corrispondeva alla traccia non identificata, l'ufficiale del NORAD ordinò l'interruzione dell'intercettamento.

Ma, mentre l'ordine veniva ritrasmesso ai Phantom, il JL26 entrava in collisione col Baron.

Il pilota del Phantom, più volte avvertito di non avvicinarsi a meno di 500 piedi, in considerazione del fatto che le condizioni di volo erano IMC, aveva fatto programmare dal navigatore il radar di bordo così da ottenere da esso il segnale di "disimpegno" a una distanza minima di 1.500 piedi.

Il pilota dell’ JL26 non aveva in vista il Baron.

Egli stava regolando la potenza per "chiudere" sul bersaglio con una velocità relativa di 50 nodi e stava seguendo le istruzioni del navigatore, che gli comunicava le correzioni di prua necessarie per mantenere il bersaglio 15° sulla destra.

Quando sui radar apparve il segnale di disimpegno, il navigatore ordinò al pilota di eseguire una virata accentuata sulla sinistra.

Il pilota diede tutta manetta e cominciò una virata in cabrata sulla sua sinistra.

Egli non poteva sapere che in quel momento anche il Baron aveva cominciato una virata a sinistra per seguire le istruzioni del Controllo di Washington e mettersi in rotta per New Bern.

Il pilota del Phantom disse poi che quando senti il "Tump", egli stava cercando di vedere il Baron guardando sulla sua destra.

Il Phantom stava volando a una velocità di 127 nodi superiore a quella del Baron; gli angoli di inclinazione laterale dei due aerei, al momento della collisione, erano pressochè uguali; il Phantom stava salendo, mentre il Baron era in volo livellato a 9.300 piedi.

L'ala sinistra del Phantom urtò il Baron prima nell'impennaggio verticale e quindi continuò a squarciarlo lungo la fusoliera e la cabina.

Sebbene danneggiato, il Phantom riuscì a tornare alla base coi due occupanti illesi.

Dopo lunghe ricerche, del Baron non furono trovate che tracce di rottami.

Per i sette occupanti fu dichiarata la morte presunta.

Nel rapporto sulla collisione, l'NTSB ha messo in evidenza come ci siano stati errori da parte di entrambi i piloti.

Quello del Phantom non mantenne la corretta velocità di avvicinamento e la distanza di sicurezza durante l'intercettamento, mentre quello del Baron mancò nell'osservanza delle regole riguardanti la penetrazione delle ADIZ.

Il pilota del Baron aveva presentato due piani di volo VFR.

Con il primo, aveva scelto la Rotta atlantica n° 3 fino a Wilmington e quindi la rotta diretta per Norfolk.

Quando però il piano non venne accettato perchè, secondo le regole statunitensi, chi proviene dalle Bahamas deve sbrigare le formalità doganali in uno dei cinque aeroporti della Florida allo scopo indicati, il pilota presentò il secondo piano di volo, che prevedeva lo scalo a Fort Pierce, Florida, e quindi il volo diretto a Norfolk.

Una volta decollato, però, il pilota non attivò il piano di volo e si mise in rotta come aveva originariamente deciso di fare.

Egli entro nell' ADIZ della costa atlantica senza comunicare a nessuno chi egli fosse, nè dove stesse andando.

Quando finalmente contattò il Centro di controllo di Washington, lo fece più per farsi dare dei vettoramenti che gli permettessero di evitare i temporali che non per farsi identificare.

 

R.Trebbi - Sicurezza del volo

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Un Cessna sfida i Mig

 

Sono passati i tempi in cui si verificavano, abbastanza frequentemente, casi di sconfinamento aereo.

La cronaca, in passato,si occupò di un evento, divenuto noto come la «beffa di Mosca»; un piccolo Cessna 172 con ai comandi il giovane pilota tedesco Rust, privo di qualsiasi piano di volo autorizzato e, incurante della minacciosa presenza dei vari MiG e Sukhoi, ha sfidato quella che, fino al giorno prima, era giudicata la più impenetrabile difesa missilistica atterrando in prossimita del Cremlino.

Prendiamo in esame un caso di cui, a suo tempo, si era parlato molto poco, e forse, sconosciuto per qualcuno di voi.

Riportiamo alla luce un caso verificatosi negli anni sessanta ad un Cessna 310, noleggiato da un gruppo di giornalisti televisivi partito dalla Germania Ovest ed in viaggio per Berlino.

La rotta aerea tra Germania Ovest e Berlino usufruisce di un corridoio aereo controllato per permettere il raggiungimento della ex-capitale ed è proprio qui, in questo corridoio, che si è svolto il fatto.

Terminate a terra le consuete pratiche che precedono un volo, comprese, in questa caso, le necessarie autorizzazioni diplomatiche, l'equipaggio del «Three-ten» iniziò il viaggio.

A 2.900 m di quota, direzione Francoforte, il comandante dava la sua posizione al centro di controllo di Francoforte che rispondeva:

«Roger . Qui Francoforte, riportate su Fulda».

«Roger, Francoforte. Riporteremo».

Con una virata per prua 055, il Cessna 310 G-AGOK si trovò di li a poco sulla citta di Fulda, dandone comunicazione all'ATC:

«Roger, Oscar Kilo. Raggiungete il corridoio di Mansbach, cambiate frequenza e chiamate Berlino Controllo. Buon viaggio».

Il volo che si sviluppava normalmente non faceva presagire i fatti che stavano per accadere.

Il pilota del Cessna riportò a Berlino Controllo di trovarsi a 8 km ad Ovest di Mansbach dove inizia il corridoio aereo e dato che esso è largo solo 32 km chiese a Berlino una posizione radar per evitare di sconfinare nello spazio aereo della Germania Orientale.

«Roger - rispose Berlino - siete sulla mezzeria del corridoio e vi diamo istruzioni di procedere per l'aeroporto di Gatow a 2.900 m di quota secondo il piano di volo».

«Roger, Berlino».

Di li a poco il Cessna richiese nuovamente il controllo radar della posizione:

«Roger, Oscar Kilo. Per vostra informazione abbiamo sullo schermo radar in rapido avvicinamento da ore cinque».

Il pilota si voltò all'indietro guardando leggermente a destra della coda dell'aereo ma non vide altro che, circa ad 1 km di distanza, cuscini di nuvole bianche.

Improvvisamente, però, uscì dalle nuvole un MiG-21 che, tagliando la strada al Cessna, battè le ali virando velocemente sulla destra.

La radio di bordo era aperta e Berlino Controllo ascoltò la conversazione in cabina intervenendo:

«Roger, Oscar Kilo: lo abbiamo sul nostro schermo radar, ma voi siete sempre al centro dell'aerovia ed autorizzati a procedere per Berlino a 2.900 m».

Intanto, mentre stava avvenendo questa comunicazione, il MiG battè nuovamente le ali per indicare nel codice ICAO,

«Seguitemi ed atterrate» mentre minacciosamente il caccia dell'Est arrivò molto più vicino al Cessna , sballottandolo con la sua turbolenza. Il MiG-21 F, con un 360•alla destra del Cessna, a velocita più moderata, si riavvicinò al piccolo bimotore che altro non poteva fare che tenere informato Berlino controllo.

Il tallonamento da parte del Fishbed, continuava con l'estrazione di carrello e aerofreni per un volo più lento e per sottolineare l'ordine di atterrare mentre il pilota, con la mano sinistra, faceva cenno di seguirlo a scendere.

Berlino, intanto, continuava con tono impersonale a ripetere:

«Siete sulla mezzeria del corridoio, autorizzati a procedere a 9.500 piedi».

Grazie alla «biancheria fuori» il MiG riuscì anche a farsi distanziare dal Cessna di circa 500 m ed il giornalista seduto davanti vide il muso del caccia arrossarsi per il fuoco del cannone da 30 mm e proiettili traccianti affiancarono pericolosamente il Cessna sorpassandolo. Intervenne a questo punto la torre di controllo di Berlino dicendo al piccolo aereo di passare sulla frequenza dell'ATC militare che rispose: «Si fa presente a Oscar Kilo che l'autorizzazione preliminare prevede che proceda per Berlino. Siete sempre al centro dell'aerovia».

Ma le cose già sufficientemente complicate andavano a complicarsi ancora.

«Oscar Kilo: abbiamo sul radar un altro aereo che si avvicina da ore 9 »

E l'aereo che apparve era più grosso, un intercettatore Yakovlev Yak-25 (Flashlight) che salì fino a 1.500 m circa sopra il Cessna per poi lasciarsi cadere in una decisa picchiata.

Un violento scossone investì il piccolo bimotore che sfuggì di mano al pilota rischiando di trovarsi in volo rovescio mentre, a causa dei g negativi incamerati e l'arresto del flusso della benzina, si spegneva anche un motore.

Grazie alla sua abilità, il pilota riprese l'aereo dopo aver perso però 600 m di quota.

Mentre il MiG era sempre «pronto al fuoco»

Berlin ATC parlò con il Cessna in questi termini;

«Oscar Kilo, siete autorizzati a procedere per Berlino alla quota attuale, ma agite a discrezione riguardo ai segnali degli aerei russi». Le disavventure del 310 non erano affatto terminate , anzi andò anche in stallo a causa di un'ulteriore raffica molto vicina sparata dallo Yak-25.

«Berlin ATC, Oscar Kilo ha deciso di seguire i russi fuori dal corridoio. Non possiamo combattere con due jets».

«Roger, Oscar Kilo, abbiamo capito. Vi abbiamo sui radar leggermente fuori dalla mezzeria».

Il pilota inglese, ormai esausto per tutte queste difficoltà, cercò di manifestare al caccia sovietico l'intenzione di seguirlo, uscendo dal corridoio con una leggera virata a destra.

«Per vostra informazione» disse Berlino «attualmente siete a soli 43 km da Berlino».

Dopo di che l'inglese, cambiando idea, virò a sinistra per riprendere la prua dando «tutta manetta»

Gli aerei russi intanto giravano in tondo a circa 2,5 km di distanza per segnalare il punto di inizio di discesa al Cessna il quale invece, giocando sulla sorpresa, abbassò il muso per sfruttare una maggiore velocità andando anche oltre i limiti consentiti mentre, a circa 15 km da Berlino, fu nuovamente circondato da raffiche di cannone. Sfruttando le nubi e rimanendovi «attaccato» per usufruire di una parziale protezione dai caccia sovietici, il 310 cominciò ad intravedere le luci di Berlino-Gatow:

«Oscar, Kilo effettua un atterraggio diretto a Gatow. Buona giornata e grazie».

«Buona fortuna Oscar Kilo. Avete fatto un buon lavoro. Berlino chiude con voi».

E con la chiusura del comunicato radio da Berlino si era anche conclusa questa avventura notevolmente drammatica ma con un risultato positivo fino all'ultimo insperato.

 

Tratto da Aerei, Novembre 1987

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L’ Intercettore e l’intercettato

 

Un'evenienza che per fortuna si verifica raramente, ma che ogni pilota deve mettere in conto di dover, prima o poi, fronteggiare, e l'intercettamento da parte di aeromobili militari.

E’ noto che ogni nazione riserva parte del proprio spazio aereo a impieghi particolari, in genere di natura militare e che l'attività aerea civile entro tali spazi aerei viene totalmente proibita, o assoggettata all'osservanza di regole particolari.

L'insieme di questi spazi aerei, chiamati appunto "spazi aerei riservati", deve essere presa in esame con particolare attenzione da tutti i piloti prima di intraprendere ogni volo, specialmente se condotto in zone poco conosciute, o sul territorio di Paesi retti da regimi poco inclini al fair play (faccia testa il caso limite del Jumbo sud-coreano abbattuto dai caccia sovietici).

Oltre agli spazi aerei riservati, molti Paesi, fra i quali il nostro, hanno istituito delle "Zone di identificazione della difesa aerea", indicate con la sigla ADIZ (dalle iniziali delle parole inglesi Air defense identification zone).

Tali zone vengono in genere istituite su quelle porzioni del territorio nazionale e delle acque comprese nelle FIR nazionali, la cui ubicazione geopolitica è ritenuta particolarmente delicata per la sicurezza nazionale.

Gli aeromobili che intendono entrare e sorvolare tali zone devono sempre essere in grado di fornire prontamente la loro identificazione e la loro posizione, cosi da poter essere tenuti costantemente sotto controllo.

Per esempio, l'obbligo di presentare un piano di volo, imposto a tutti gli aeromobili che intendono operare nella regione a est del fiume Tagliamento, che è probabilmente considerata la più "calda" entro l'ADIZ italiana, deriva dalla necessità delle autorità militari italiane di essere a conoscenza di tutti i voli programmati, cosi da ridurre al minimo le probabilità di dover effettuare intercettamenti di aerei sconosciuti.

E’ evidente che a qualunque pilota può succedere di entrare inavvertitamente in uno di questi spazi aerei per errore e/o per cause di forza maggiore: si pensi all'avaria degli apparati radio di bordo, alla perdita della posizione per motivi meteorologici o per avaria delle radioassistenze di bordo, alle infinite possibili situazioni di emergenza, o alla concomitanza di tanti piccoli errori di valutazione del pilota, che sommati fra di loro lo possono portare fuori rotta di svariate decine di miglia.

Il pilota che si trovasse in una di queste situazioni non si dovrebbe meravigliare al vedere un caccia militare prima comparire sulla sua sinistra a una certa distanza, poi avvicinarsi per leggere il nominativo dell'intruso e successivamente allontanarsi, oppure eseguire determinate manovre.

L'ICAO, nell'Annesso 2, pur raccomandando alle autorità aeronautiche dei Paesi membri di ricorrere all'intercettamento di aerei civili solo in casi estremi, prevede che l'operazione possa avere luogo e ne suggerisce le modalità di esecuzione così che l'intercettamento sia fatto nella massima sicurezza possibile.

E’ chiaro che, affinchè ciò possa avvenire, sia i piloti intercettori, sia i piloti intercettati, devono conoscere il codice di comportamento da seguire durante l'operazione.

Pensiamo che prima di descrivere il comportamento che devono tenere i piloti degli aerei intercettati, sia utile e interessante descrivere brevemente il comportamento che deve essere tenuto dal o dai piloti intercettori.

Ciò può infatti facilitare i piloti civili a comprendere ciò che viene loro richiesto dai piloti militari.

Gli intercettori devono innanzitutto evitare di creare qualunque situazione di pericolo per l'aereo intercettato, dalle collisioni alla turbolenza di scia, a tutte le manovre che possono anche solo spaventare il pilota o i passeggeri.

Il primo obiettivo degli intercettori è in genere quello di identificare l'aereo sconosciuto.

L'operazione deve essere eseguita nelle seguenti tre fasi:

1) L'intercettore deve avvicinare l'intercettato da dietro, portarsi sulla sua sinistra alla stessa quota e a una distanza non inferiore ai 300 metri allo scopo di farsi vedere dal pilota.

Eventuali altri aerei intercettori devono rimanere dietro e più in alto dell' aereo intercettato.

L'intercettore può procedere con la fase 2 solo dopo che si sia stabilizzato alla stessa quota e alla stessa velocità dell'aereo intercetato.

2) L'intercettore può cominciare ad avvicinarsi lentamente all'intercettato, mantenendo la stessa quota, fino alla distanza ritenuta la minima indispensabile per ottenere le informazioni necessarie.

L'intercettore deve evitare qualunque manovra brusca che possa spaventare gli occupanti dell'aereo intercettato, tenendo presente che la valutazione dell'accentuazione delle manovre può essere molto diversa da parte di un pilota militare e di un pilota civile.

Tutti gli eventuali altri intercettori devono continuare a rimanere ben distanti dall'intercettato.

A identificazione ultimata, l'intercettore si deve allontanare dall'intercettato nel modo descritto nella fase successiva.

3) L'intercettore deve allontanarsi lentamente dall'intercettato con una leggera affondata.

Nel caso in cui l'intercettore, a identificazione ultimata, ritenga di dover intervenire sulla navigazione dell'intercettato, deve riportarsi sulla sinistra di quest'ultimo, leggermente più avanti per consentire al pilota di vedere i segnali visivi.

(Se le condizioni meteorologiche o orografiche lo impongono, l'intercettore si può affiancare sulla destra dell'intercettato).

I segnali visivi da usare, e il loro significato, sono riportati a parte.

L'intercettore, oltre a eseguire correttamente i segnali, deve prestare molta attenzione agli eventuali segnali dell'intercettato, indicanti che l'aereo stesso si trova in situazioni di pericolo, emergenza, o urgenza.

A intercettamento avvenuto, l'ente che controlla l'operazione da terra (in genere militare), deve cercare di mettersi in comunicazione radio con l'aereo intercettato sulla frequenza di emergenza di 121.50 MHz, o su qualunque altra frequenza suggerita dagli enti ATS, in cooperazione con i quali l'operazione dovrebbe essere condotta.

I nominativi di chiamata da usare durante queste comunicazioni sono i seguenti:

"Controllo di intercettamento" per la stazione a terra,

"Intercettore + nominativo" e "Aeromobile intercettato" per le stazioni di aeromobile.

Qualora l'intercettore debba provvedere alla guida dell'intercettato verso una determinata destinazione, egli deve fare in modo da non condurlo verso condizioni meteorologiche pericolose e comunque non al di sotto delle minime VMC.

Se lo scopo della guida e di portare l'intercettato all'atterraggio, l'intercettore deve provvedere a scegliere un aeroporto che sia adatto alle caratteristiche dell'aereo intercettato.

L'intercettore deve tenere presente che quando si richiede a un aeromobile civile di atterrare su un aeroporto sconosciuto, è essenziale che al pilota venga concesso il tempo necessario per preparare la manovra.

L'intercettore non deve inoltre dimenticare che la valutazione dell'idoneità dell'aeroporto scelto per "atterraggio è interamente demandata al pilota dell'aereo intercettato.”

Vediamo ora quali sono i doveri del pilota intercettato.

Non appena si accorge di essere stato intercettato, egli deve:

a) Seguire le istruzioni dategli dall'intercettore, interpretando e rispondendo ai segnali visivi che sono riportati qui a parte;

b) Se possibile, notificare l'avvenuto intercettamento all'appropriato ente ATS;

c) Cercare di stabilire il contatto radio con l'aereo intercettore o con l'ente che controlla l’intercettamento da terra, eseguendo una chiamata generale sulla frequenza di emergenza di 121.50 MHz, durante la quale deve dare la propria identificazione e la natura del volo che sta conducendo;

d) Se dispone del transponder a bordo, selezionare il codice 7700 modo A, a meno che non sia stato diversamente istruito dall'appropriato ente ATS.

Qualora il pilota intercettato riesca a stabilire il contatto radio con l'aereo intercettore, ma le comunicazioni mediante una lingua comune non siano possibili, egli deve tentare di scambiare le informazioni essenziali e di dame il ricevuto usando le frasi convenzionali.

Infine, nel caso che qualche istruzione ricevuta via radio, da qualunque fonte provenga, sia in conflitto o in contraddizione con le istruzioni date dall'intercettore mediante segnali visivi o mediante comunicazioni radio, il pilota dell'aereo intercettato deve immediatamente chiedere i debiti chiarimenti e nel frattempo deve continuare a seguire le istruzioni che gli vengono impartite dall'intercettore.

 

R.Trebbi - Sicurezza del volo

Modificato da Dave97
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