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World War II Aces


Dave97

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Cap.Monti

Una Grande Rivincita

Marzo 1944: il colonnello Shore della R.A.F., alla fine della « buriana », chiama il capitano Monti, comandante del 10° Gruppo del 4° Stormo, e sbotta:

«Decollo perfetto, atterraggio perfetto, il resto l'ho dimenticato, se no vi dovrei punire tutti! ».

Rigido saluto militare di entrambi, mezzo giro sui tacchi e si allontanano. Monti sorride soddisfatto.

Il perchè di questo sorriso è presto spiegato:

Monti è riuscito a far ingoiare il rospo all'inglese, ed era un rospo che ballava da un po' di tempo nelle mani di noi piloti del Raggruppamento Caccia, ma andiamo con ordine.

Il Comando alleato due mesi fa circa disponeva che i reparti da caccia italiani si spostassero su di una base più a Nord per due motivi:

- uno dichiarato, e cioè che da Lecce i nostri Macchi non avevano più autonomia sufficiente per attaccare le colonne tedesche, ormai in spostamento verso il Nord in territorio balcanico;

- l'altro, meno manifesto ma da noi subito intuito, era che ci volevano vedere all'opera sotto la frusta di un cielo operativo intenso, svolto completamente e solo da reparti italiani, partendo da un aeroporto con servizi, infrastrutture e comando pure interamente sotto la responsabilità italiana.

Così il 12 gennaio scorso, all'inizio cioè del 1944, che per moltissimi di noi significa il quinto anno di guerra, i piloti del 4° Stormo e più precisamente del 9° Gruppo, iniziarono il trasferimento a Palata, una spianata erbosa tra Foggia ed il mare, ad una ventina di chilometri dalla città.

Per la precisione, il 12 gennaio, i primi nostri piloti a toccare terra su questo campo furono il tenente Salvi, il sergente maggiore Ceoletta e il sergente Molteni, con tre Macchi 202, seguiti il giorno dopo dal capitano Piccolomini, dai tenenti Clauser, Tommasi, Bertolaso e dal sottotenente Galbusera.

Gli specialisti arrivarono con i camion la sera stessa, poi via via tutti noi del 10°, mentre il 9° Gruppo rimase a Lecce di dove operava fornendo la scorta caccia ai nostri velivoli plurimotori che lanciavano rifornimenti ai partigiani jugoslavi ed ai nostri soldati che operavano contro i tedeschi nella zona Sud della Balcania.

Il perchè di questa temporanea scissione del 4° sta nel fatto che, giustamente, il nostro Comando, sapendo che questo cielo di Palata sarà per gli Alleati il termine di paragone per misurarci e decidere del nostro avvenire immediato ed anche di quello futuro, ha voluto che vi fossero presenti tutti i reparti del Raggruppamento Caccia.

Infatti il 28 gennaio ci raggiungeva il 102° Gruppo del 5° Stormo sui Re. 2002 e non molti giorni fa, esattamente l'8 ultimo scorso, sono giunti dodici Macchi 202 e 205 del 51°, così che i tre reparti da caccia italiani sono ora tutti presenti a Palata.

Il lavoro compiuto in questi primi tre mesi è stato duro: sul campo, al nostro arrivo, non vi era altro che erba e pecore che la brucavano.

I nostri specialisti si misero all'opera e lavorando nel vero senso della parola, giorno e notte, sistemarono la pista, rizzarono le tende, impiantarono i servizi; insomma crearono dal nulla un aeroporto che sinora ha funzionato egregiamente.

Certo, distrazioni per il personale non ve ne sono; quando piove l'acqua s'infiltra nelle tende; si lavora sempre allo scoperto.

In compenso, le azioni di guerra non mancano: una, due ogni giorno e sono azioni dure, in caccia libera od a scorta dei Re. del 102°, che vanno a mollare le loro bombe sulle colonne nemiche.

Gli Alleati ci stanno con gli occhi addosso, controllano la nostra efficienza a terra, il nostro spirito combattivo nelle continue azioni; in definitiva vogliono vedere se vale la pena di tenere in piedi l'Aviazione italiana, fornendole in un prossimo domani aiuti materiali e morali, o se, invece, constatatane l'inefficienza, occorra lasciarla lentamente morire.

Vogliono inoltre sapere se ci si Poò fidare di noi o se debbano invece tenerci per sempre in umiliante soggezione.

Noi sentiamo tutto questo ed ogni giorno andiamo in volo, sebbene con macchine sempre più logore, ed ogni giorno lottiamo contro la contraerea e la caccia tedesca e l'inefficienza dei nostri vecchi aeroplani, appunto per la rinascita dell' Arma, sperando solo di non cadere in territorio occupato dai tedeschi, perchè saresti fucilato subito quale sporco traditore badogliano, e di non cadere nell' Adriatico, perchè di mezzi di soccorso ne abbiamo pochissimi e con novanta probabilità su cento vai ai pesci.

Per tornare all'inizio della storia: oggi il capitano Monti ha voluto finalmente sfogarsi.

Qui a Palata, gli Alleati ci hanno messo alle costole quale « controllore» il colonnello pilota Shore della R.A.F., abilissimo e coraggioso pilota, il quale si è subito familiarizzato con i nostri 202 e 205, e molto spesso, a bordo di uno di questi caccia, si mette in formazione con noi e ci segue per tutta l'azione.

Ottimo combattente, durante il combattimento, si comporta come uno di noi, non risparmiandosi in nessun modo, ma quando si è a terra assume quell' aria di sufficienza che ci dà tremendamente fastidio ed agisce in modo negativo sui nostri nervi.

Oggi però ha fatto una mossa falsa ed il 4° Stormo, a nome anche del 5° e del 51°, si è così preso la grande rivincita.

Infatti stamane, mattinata di una certa tranquillità per il nostro reparto, erano appena decollati i Re 2002 del 5°, con scorta dei Macchi del 51°, quando, anche per rispettare la formale pignoleria anglosassone, l'ufficiale inglese chiama un nostro sottufficiale e gli comunica di avvisare il nostro comandante che vuol vedere decollare su allarme una nostra formazione, vedere qualche passaggio e l'atterraggio compatto in formazione stretta; il decollo deve avvenire entro quindici minuti.

Il sottufficiale corre da Monti e riferisce.

Monti in un primo momento si « incilindra »; va bene per gli ordini operativi, va bene per il controllo in volo, ma non può accettare che un ufficiale inglese gli rompa i santissimi per farci fare un volo dimostrativo e ciò soltanto per uno sfizio personale.

Poi Monti ci ripensa; chiama Mariotti, il1 suo vice, e lo mette al corrente:

è un parlottare conciso, sottovoce; Mariotti ogni tanto annuisce, poi in linea è un accorrere di specialisti.

Tutti i Macchi efficienti del 4° mettono in moto e scaldano i motori; i piloti, infilati paracadute e caschetto, saltano dentro gli abitacoli e dopo pochi minuti i caccia del 4°, una dozzina circa, rullano verso la pista, con in testa i velivoli di Monti e Mariotti.

Il colonnello Shore sul piazzale osserva con sufficiente compiacimento.

Monti chiude il tettuccio e da il « via »:.

Gli aeroplani, ala contro ala, si lanciano sulla pista e in un turbinio di polvere decollano.

I carrelli rientrano ad uno ad uno; i Macchi, con le estremità alari che si sfiorano, rimpiccioliscono verso il mare, il colonnello Shore, sul piazzale non sorride più ma osserva con evidente attenzione.

Improvvisamente, sull'aeroporto, e precisamente nella zona di cielo a perpendicolo sulla testa del colonnello inglese, scoppia il finimondo:

202 e 205 in affondata, altri che passano raso terra, cabrate in candela, poi di nuovo un avventarsi sul povero tapino che non sa più da che parte guardare, impietrito dallo sgomento. Agita le braccia, forse urla qualche cosa, ma quei pazzi di italiani continuano: looping, tonneau, frullini, affondate, sempre eseguiti a quota minima: è una sarabanda infernale che sembra non cessare mai e l'inglese che bestemmia in continuazione, maledicendo il momento in cui gli è venuta l'idea di scatenare una tale buriana.

I Macchi si allontanano.

Shore si aggiusta il berretto andato un po' di traverso, e sta riprendendo la padronanza di se stesso, quando deve di colpo buttarsi a terra:

un 205 sbucato chissà da dove a qualche metro di altezza lo punta deciso e lo sfiora.

Shore giurerebbe che il viso che si intravede nell'abitacolo sia quello del capitano Monti, ma il passaggio è troppo fulmineo.

Dopo pochi minuti la formazione del 4° atterra, ala contro ala, come al decollo.

I velivoli rullano e sul piazzale si sfilano, portandosi uno ad uno ordinatamente al parcheggio; i piloti tolgono contatto, le eliche si fermano.

Monti si presenta dinnanzi all'inglese, saluta ed attende.

Questi da vero gentleman incassa, tace per qualche attimo e poi appunto sbotta:

«Decollo perfetto, atterraggio perfetto, il resto l'ho dimenticato, altrimenti vi dovrei punire tutti! ».

Monti tira un gran sospiro, saluta e se ne va a « cicchettare» i suoi piloti:

va bene che aveva detto loro di fare un po' di acrobazia, ma non così perdio!

Che sono impazziti tutti?

Poi va in tenda pensando che forse da domani il famoso « duro» colonnello della R.A.F. sarà più malleabile.

 

Tratto da Ali Nella Tragedia

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IVAN NIKITAEVIC KOZEDUB

 

Con 62 vittorie al suo attivo, si aggiudicò il titolo di asso degli assi sovietici della WWII

 

 

I.K. all'inizio del 1940 entrò a far parte della VVS. Come tale diede prova di eccezionali qualità tanto che, nonostante il disperato bisogno di piloti al fronte, si ritenne più utile trattenerlo come istruttore alla scuola di pilotaggio, respingendo le sue frequenti domande di assegnazione alle unità di prima linea.

Solo dopo la vittoria di Stalingrado, nel 1943, fu assegnato alla Sedicesima Brigata Aerea equipaggiata su La-5. La sua prima vittoria aerea la ottenne il 6 Luglio 1943 (il giorno successivo all'assegnazione a un reparto da combattimento) a discapito di uno Stuka durante la famosa Battaglia di Kursk. Alla fine del mese si era già aggiudicato 8 vittorie avendo abbattuto 4 Ju-87 e un Bf 109.

Nel Settebre dello stesso anno fu promosso capitano e nominato comandante di una squadriglia operante al nord di Kiev. Partecipando alle battaglie aeree che portarono alla liberazione della città, Kozedub ottenne ben 11 vittorie in sole 20 missioni compiute nel lasso di 10 giorni.

Agli inizi del 1944 fu trasferito a un reggimento della Guardia e in Febbraio ottenne la Stella d'oro di eroe dell'Unione Sovietica.

A Maggio diventò Tenente Colonnello e nello stesso mese gli fu consegnato un La-5 FN acquistato con le sottoscrizioni di contadini ed operai russi col quale combattè sino a metà di luglio aggiudicandosi ulteriori 20 vittorie, compresi 5 FW 190.

Con 47 vittorie all'attivo, nel mese di luglio gli fu consegnato il La-7 contrassegnato con il famoso 27 che utilizzò sino alla fine delle ostilità.

 

Con questo aereo, fra il luglio 44 sino a fine guerra, ottenne ulteriori 15 vittorie che gli valsero una ulteriore medaglia d'oro, due ordini della Bandiera Rossa, un Ordine di Lenin, il grado di colonnello e il vice-comando del reggimento caccia che lo resero famoso.

Il 18 Agosto 1945 nel giorno della festa dell'Aviazione gli fu conferita una ulteriore medaglia d'Oro al merito per un totale di 3.

In 520 missioni operative abbattè 22 FW 190, 19 Bf 109, 18 Stuka, 2 He 111 e un Me 262.

 

kozhedub-la-7.jpg

 

 

 

Liberamente tratto da "Mach1"

Modificato da pablo
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Sadamu Komachi

 

Con una statura di più di un metro e ottanta, Sadamu Komachi era uno dei piloti più alti dell'aviazione navale giapponese, e le sue audaci imprese furono frequentemente citate nei giornali della sua regione, rendendolo famoso. Nacque nella Prefettura di Ishikawa nell'aprile del 1920, e si arruolò in marina quando compì 18 anni.

Komachi cominciò la sua carriera di pilota da caccia dopo aver conseguito il brevetto alla scuola di volo nel giugno 1940, ottenendo come primo incarico di prestare servizio sulla portaerei Shokaku.

Nel primo giorno delle ostilità effettuò una missione di copertura aerea sulla flotta d'attacco a Pearl Harbour.

Durante la Battaglia del Mar dei Coralli nel maggio 1942, Komachi registrò le prime vittorie, abbattendo due Wildcat F4F (uno dei quali in coppia) e un bombardiere.

Sempre un Wildcat fu a un passo dall'ucciderlo il 24 agosto, nel corso di uno scontro con gli F4F del VF-6 sopra Guadalcanal, durante la Battaglia delle Salomone Orientali.

Avendo individuato la sua preda sotto di lui, Komachi si era gettato in picchiata a caccia della sua vittoria.

Tuttavia, un secondo Wildcat pilotato dal tenente Albert Vorse gli si era portato in coda, aprendo il fuoco.

Colto di sorpresa, il pilota giapponese era scampato a morte certa effettuando col suo Zero un selvaggio e incontrollabile avvitamento per circa 1.800 metri. Talmente ingannato da quella manovra disperata , Vorse rivendicò la propria vittoria (la quinta di un probabile bottino di 11,5), permettendo cosi a Komachi di scampare al suo destino.

Durante quel combattimento Komachi aveva consumato molto prezioso carburante, e sulla strada del ritorno rimase a secco, per cui fu costretto a compiere un ammaraggio.

Il pilota si era ormai rassegnato a morte certa aggrappandosi a una tanica di benzina galleggiante, ma un cacciatorpediniere lo trasse in salvo nella notte individuandolo con i riflettori illuminanti.

Rabaul (nota come la "tomba dei piloti da caccia") fu il successivo incarico operativo di Komachi, che volò per breve tempo con il204° Gruppo aereo prima di trasferirsi al 253°, presso l'aeroporto di Tobera.

Mentre si trovava li divenne uno specialista nell'uso delle bombe a scoppio aereo (Ta-Dan) contro le formazioni di B-24.

La notte fra il 18 e 19 febbraio 1944, Rabaul e le zone circostanti vennero attaccate da cinque cacciatorpediniere americani (Farenholt, Buchanan, Landsdowne, Lardner e Woodworth) del 12° Destroyer Squadron.

Procedendo in linea di fila, le unità bombardarono numerosi obiettivi e lanciarono 15 siluri contro le navi ancorate nella baia di Keravia.

Le batterie costiere di Rabaul, concepite per sparare a corta distanza e prevenire eventuali tentativi di sbarco, rimasero mute, e cosi il sergente Komachi, livido di rabbia per l'incapacità di rispondere al fuoco, si offrì volontario per attaccare il nemico.

Uno Zero solitario si levò in volo nella notte, armato con due bombe da 60 kg. Luci rossastre allargo della costa segnalavano la posizione del convoglio americano, mentre i bagliori dei cannoni dei vascelli potevano essere visti dalla riva come dalle alture circostanti.

Al largo di Kotopo, l'audace pilota cominciò a mitragliare a volo radente, senza che le navi rispondessero al fuoco.

Fu soltanto quando Komachi sganciò le sue bombe (che mancarono il bersaglio) che le batterie contraeree dei cacciatorpediniere risposero rabbiosamente.

Komachi effettuò ripetuti passaggi a bassa quota, e poi ritornò alla base dopo aver esaurito la sua scorta di munizioni.

Ecco il suo rapporto: "Ho attaccato i cacciatorpediniere, investendo tre delle quattro unità con fuoco di piccolo e medio calibro.

Li ho inseguiti fin fuori la baia".

In realtà le navi avevano subito ben pochi danni, poichè le fiamme che aveva scorto sui cacciatorpediniere erano state causate dai teloni protettivi dei cannoni che si erano incendiati.

In pratica, nella fretta di rispondere al fuoco, gli artiglieri delle navi avevano semplicemente sparato attraverso i teloni!

Quando il grosso del 253° Gruppo aereo fu ritirato a nord verso Truk il 19 febbraio 1944, Komachi lo seguì e continuò da quella base la sua lotta personale contro i B-24 usando le bombe a scoppio aereo.

Fu allora che ricevette il raro onore di una menzione da parte dei suoi superiori per le sue qualità tecniche.

Il 19 giugno 1944 quindici Zero, al comando del capitano di corvetta Harutoshi Okamoto, lasciarono Truk per Guam, nelle Marianne.

All'insaputa dei piloti dei caccia, che si trovavano a corto di carburante, il campo d'aviazione di Orote aveva appena subito un'incursione da parte degli aerei delle portaerei americane.

La pattuglia di Zero in avvicinamento fu scorta dagli F6F, che invertirono la rotta e li attaccarono a bassa quota.

In un faccia a faccia con il guardiamarina Wendell Twelves del VF-15 a poco più di 60 metri di quota, Komachi fu colto di sorpresa e il motore del suo Zero venne colpito.

Dopo aver compiuto col suo apparecchio in fiamme un ammaraggio da manuale, il pilota riporto gravi ustioni al volto e al corpo, ma riuscì nell'impresa di nuotare verso riva, facendo poi ritorno in Giappone a bordo di un sommergibile.

Lo Zero di Komachi fu uno dei due abbattuti dal guardiamarina Twelves, le sue prime vittorie di guerra.

Il pilota di quell’ Hellcat ne avrebbe riportate altre 11.

Tornato in patria, Komachi prestò servizio col Gruppo aereo di Yokosuka fino al termine della guerra ... e anche qualche giorno dopo.

Il 18 agosto 1945 partecipò alla seconda missione di intercettazione di B-32 Dominator del 386° Bomber Squadron nei cieli di Tokyo, danneggiando il velivolo pilotato dal tenente John R. Anderson.

Anche se sotto l'aspetto del diritto internazionale l'attacco al B-32 era legale (il Giappone si trovò tecnicamente in guerra fino alla firma dei documenti ufficiali di resa, il 2 settembre 1945), Komachi temè la rappresaglia alleata, e si nascose finchè le forze d'occupazione americane non abbandonarono il suo paese.

Il sottocapo Sadamu Komachi aveva volato per circa 2.500 ore nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ingaggiando oltre 180 duelli, compiendo due atterraggi d'emergenza e venendo abbattuto una volta.

I suoi camerati gli attribuirono più di 40 vittorie, mentre secondo i suoi calcoli Komachi ne aveva riportate "la metà".

 

Tratto da Aerei Militari

Modificato da Dave97
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Takeo Okumura

Durante la Guerra del Pacifico furono ben pochi i piloti di caccia a divenire "due volte asso in un solo giorno", e di questa gruppo scelto fece parte anche Takeo Okumura, le cui dieci vittorie dichiarate lo classificavano a pari merito con il grande asso della marina statunitense, il capitano David McCampbell, che deteneva il primato americano di nove aerei distrutti e due danneggiati.

Questo straordinario asso dell'aviazione navale giapponese nacque nella Prefettura di Fukui nel febbraio 1920.

Si arruolò in marina a Kure nel giugno 1935, e avendo optato per la carriera di aviatore, fu selezionato per la scuola di volo nel febbraio 1938.

Okumura superò il corso nel settembre dello stesso anno.

Giunto in Cina giusto in tempo per partecipare alle ultime azioni aeree del conflitto, Okumura si comportò egregiamente fin dal principio.

Il 7 ottobre 1940 sette Zero A6M2 del 14° Gruppo aereo scortavano 27 bombardieri G3M "Nell" inviati a compiere un'incursione su Kunming.

Giunti nei pressi dell'obiettivo i caccia biplani CAF I-I5 tentarono di intercettare i "Nell", ma gli Zero si sbarazzarono in fretta di loro, abbattendone 13 nel giro di pochi minuti.

Okumura fu accreditato della distruzione di quattro di quei velivoli in quello che era stato il suo primo combattimento.

Come dimostrò chiaramente questa missione, il nuovo Zero era ampiamente superiore a qualunque cosa i cinesi potessero vantare nel loro arsenale, e l'opposizione dei loro caccia cessò quasi del tutto con l'introduzione degli A6M2 nell'agosto 1940.

Comunque le quattro vittorie di Okumura del 7 ottobre furono le sole del ventenne pilota nella Guerra di Cina.

Rientrato in Giappone, diede poi una mano ad addestrare i piloti fino al luglio 1942, quando venne assegnato alla portaerei Ryujo.

Fu nelle Salomone che Okumura divenne un maestro nell'arte del duello aereo. Il 24 agosto stava scortando degli aerosiluranti inviati ad attaccare le navi americane a Guadalcanal, quando la sua formazione fu intercettata dai Wildcat comandati dal leggendario asso, il capitano Marion Carl del VMF-223.

Ne scaturì un aspro scontro e Okumura rimase separato dalla sua formazione, che una volta rientrata sulla Ryujo lo diede per disperso, sebbene poi egli riuscì a ritornare sano e salvo; Carl riportò quattro vittorie (delle 18,5 complessive) durante quell' azione.

Quando terminò il primo turno operativo di Okumura nelle Salomone, questi aveva conseguito 14 vittorie ufficialmente riconosciute.

Ritornò in Giappone in dicembre, ma fu rispedito al fronte nel luglio 1943 in forza al 201 ° Gruppo aereo, dislocato presso la base di Buin.

L'impresa delle dieci vittorie di Okamura si verificò il 14 settembre durante un massiccio attacco alleato a Buin.

Per contrastarlo, i giapponesi schierarono più di 200 Zero del 201° e 204° Gruppo aereo, e nel corso di tre distinte missioni in quella giornata, Okumura abbatte un F4U, un B-24 (in coppia), due P-40, cinque Hellcat F6F e uno SBD. Dopo la battaglia, l'ammiraglio Jinichi Kusaka, comandante dell 'Undicesima Flotta Aerea di Rabaul, premiò l'asso con una spada cerimoniale per essersi distinto in azione.

Con sua somma frustrazione, le vittorie individuali non venivano più registrate in seguito a una direttiva della marina emanata nel giugno 1943, anche se la sua impresa fu considerata ufficiosamente il più alto risultato mai raggiunto in azione da un pilota dell'aviazione navale giapponese.

Otto giorni dopo Okumura non fece più ritorno da una missione di scorta a dei bombardieri inviati contro un convoglio avvistato nei pressi di Capo Cretin, nella Nuova Guinea.

I 35 Zero decollati furono attaccati dai P-38 (del 432° Fighter Squadron) e dai P-40 (del 35° Fighter Group).

Il secondo capo Takeo Okumura fu di conseguenza segnalato per una promozione di due gradi per il suo eccezionale primato personale, ma non se ne fece poi nulla.

 

Tratto da Aerei Militari

Modificato da Dave97
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Lidija Litvak

 

litvak_1.jpgraskov5.jpg

 

 

"....Scoppiata la seconda guerra mondiale, in molti paesi le aviazioni militari si servirono di aviatrici, ma soltanto nell'Unione Sovietica....donne con il brevetto di pilotaggio furono impiegate anche in attività di combattimento.

Nel ricco vivaio sovietico di aviatrici combattenti, Lidija Litvak fu l'asso della caccia femminile con il maggior numero di vittorie.

Entrata con il grado di sotto-tenente a far parte del 73esimo reggimento caccia della VVS nell'estate del 1942,vi rimase un anno, durante il quale vi effettuò 130 missioni pilotando il suo Yak-1, durante le grandi battaglie di Rostov e Stalingrado. In quel periodo la giovane aviatrice ingaggiò 66 combattimenti, nel corso dei quali conseguì le sue dodici vittorie, meritandosi il titolo di Eroina dell'Unione Sovietica.

Poi, il primo agosto 1943 la ventiduenne Litvak s'alzò in volo con l'aereo contraddistinto dal suo emblema personale (un giglio bianco dipinto a prua), unendosi ad altri 7 Yak mandati ad attaccare una formazione di bombardieri Junkers scortati da 6 FW 190.

Cosa sia realmente accaduto non è mai stato stabilito con sicurezza, ma sembra che a un certo momento i caccia sovietici fossero attaccati in picchiata da 10 Bf 109, che ne abbatterono due. Uno era era quello del colonnello Golijesev l'altro quello pilotato dalla Litvak."

 

Tratto da Mach 1

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babs-kudo-pose.jpgShigetoshi Kudo

Shigetoshi Kudo fu un pioniere dei piloti da caccia notturna dell'aviazione navale giapponese, che contribuì non poco a sviluppare delle efficaci tecniche per contrastare i bombardieri nel Pacifico meridionale.

Nato da una famiglia contadina della Prefettura di Oita nel febbraio 1920, entrò in Marina nel 1937.

Il modo in cui divenne uno dei più importanti piloti da caccia fu forse poco appariscente, dal momento che il suo primo incarico nell'aviazione di marina fu come meccanico.

Divenuto un aviatore, venne addestrato come pilota ricognitore e nell' ottobre 1941 fu assegnato al Gruppo aereo di Tainan, col quale prese parte ai combattimenti nelle Filippine e nelle Indie Orientali.

Alle prime luci dell' alba del 29 agosto 1942, dei B-17 partiti da Port Moresby compirono un'incursione su Rabaul, e in qualche modo Kudo riuscì a portarsi sulla formazione col suo velivolo da ricognizione C5M Tipo 98 "Babs" e a rivendicare l'abbattimento di un bombardiere, più un secondo velivolo "probabile", grazie all'uso di una bomba a scoppio aereo.

Queste incursioni notturne avevano lo scopo di togliere ai difensori giapponesi quel sonno di cui avevano cosi tanta necessità, più che di distruggere obiettivi importanti (la precisione dei bombardamenti era decisamente scarsa).

Gli equipaggi dei bombardieri alleati consideravano queste uscite come

missioni "di tutto riposo", dal momento che il fuoco antiaereo era poco preciso e in quella zona non c'erano caccia notturni.

Il primo efficace caccia notturno di stanza a Rabaul fu il ricognitore veloce a lungo raggio J1N1 Gekko ("Irving").

Era equipaggiato con due cannoncini da 20 mm, uno dorsale e l'altro ventrale, che furono inizialmente bollati come ridicoli dagli ufficiali del comando supremo della marina, i quali si opposero strenuamente a questa trovata.

Il contrammiraglio Yasuna Kozono, vicecomandante del Gruppo aereo di Tainan e sostenitore di quel tipo di armamento, persistette tuttavia nel tentativo, e quando il primo Gekko giunse a Rabaul il 10 maggio 1943, il secondo capo Shigetoshi Kudo ricevette l' ordine di collaudarlo in azione.

Undici giomi dopo, alle 3.20, Kudo riportò la prima vittoria di un caccia notturno Gekko sopra Rabaul, quando lui e il suo navigatore, il sottotenente di vascello Akira Sugawara, si imbatterono nel B-17E 41-9244 del 64° Bomber Squadron, pilotato dal maggiore Paul Williams.

Scivolando sotto la "Fortezza Volante" senza essere stato individuato, Kudo colpi la pancia del bombardiere con effetti devastanti.

"Udii una grossa deflagrazione, seguita da una serie di esplosioni minori. L'aereo s'inclinò a sinistra e vibrò ... ", ricordò in seguito il sergente maggiore Gordon Manuel, unico sopravvissuto a quell'evento.

Ma per Kudo e Sugawara la notte non era ancora finita, in quanto si imbatterono in un altro B-17 alle 4.08, non riuscendo però a mettersi in una buona posizione di tiro.

Venti minuti dopo, Kudo si portò col suo velivolo sotto un altro B-1 7 del 64° Bomber Squadron (il numero 41-9011) e lo mandò giù in fiamme.

Per abbattere i due B-17 il secondo capo Kudo aveva sparato 178 colpi.

Il "folle piano" elaborato dal contrammiraglio Kozono si era rivelato pienamente efficace.

Nel corso del mese di giugno, il secondo capo Kudo distrusse un totale di cinque B-1 7 in missioni notturne, tra cui una vittoria doppia ottenuta il 26 giugno; di tutti gli equipaggi l'unico sopravvissuto fu il sottotenente Jose Holguin del B-17 numero 41-2430 del 64° Bomber Squadron, che si paracadutò in territorio giapponese e venne fatto prigioniero.

L'ultima vittoria notturna riconosciuta di Kudo avvenne il 7 luglio 1943, quando abbattè un Hudson sopra l'aeroporto di Buin.

Il mese successivo il ventitreenne "falco della notte" fu premiato con una spada cerimoniale dall'ammiraglio Junichi Kusaka, comandante dell'Undicesima Flotta Aerea di Rabaul, a riconoscimento del suo eccellente stato di servizio.

 

In un primo momento gli americani crederono che le loro perdite notturne fossero dovute a ragioni operative, ma non ci volle molto per capire che la responsabilità era dei caccia notturni dell 'aviazione navale giapponese.

Di conseguenza l'USAAF passò dagli attacchi notturni a quelli diurni, spiazzando completamente i Gekko.

In seguito a questa cambiamento tattico Kudo fece ritorno in Giappone nel febbraio 1944, venendo assegnato al Gruppo aereo di Yokosuka.

Rimase gravemente ferito in un incidente d'atterraggio nel maggio 1945, quando era ancora in servizio con la sua unità; le ferite riportate posero per sempre fine alla sua carriera bellica, e nel 1960 Kudo morì in seguito alle complicazioni derivanti dal suo vecchio incidente.

Il guardiamarina Shigetoshi Kudo aveva riportato nove vittorie ufficialmente riconosciute, che gli erano valse il nomignolo di "Re della Notte" per la sua abilità al calar delle tenebre.

Tratto da Aerei Militari

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Cap.Monti

Una Grande Rivincita

...........

 

 

Sì Dave ho avuto modo di leggerlo solo ora, ed è davvero un bellissimo brano!

 

Colgo anche l'occasione per complimentarmi con te per il bellissimo lavoro di ricerca storica che stai facendo e ci stai proponendo!

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Toshiaki Honda

Oltre che il fedele gregario di Saburo Sakai, Toshiaki era anche un personaggio all'interno del Gruppo aereo di Tainan.

Quando non volava le sue stramberie rappresentavano per i suoi camerati una parentesi comica nelle miserabili condizioni di vita ai tropici.

Era nato nella Prefettura di Fukuoka nel 1919, e prima di arruolarsi in Marina aveva lavorato come bigliettaio su un tram cittadino.

Honda fu ammesso alla scuola di volo e conseguì il brevetto nel giugno 1940. Entrò a far parte del Gruppo aereo di Tainan e compì la sua prima missione operativa nel corso dell'attacco su Clark Field dell'8 dicembre 1941, in qualità di terzo pilota della pattuglia di Saburo Sakai e lchio Yokogawa.

Nello scontro ivi avvenuto con i P-40 del 21 ° Pursuit Squadron, Honda non ottenne nemmeno una vittoria.

Dopo l'assalto alle Filippine, il Gruppo aereo di Tainan toccò le Indie Orientali, per poi trasferirsi nella base avanzata di Rabaul.

Giunto sul posto, il Gruppo prese ad alternarsi tra Rabaul e Lae.

Durante il periodo trascorso in quest' ultimo campo il morale dei piloti peggiorò enormemente per via della pessima qualità dei pasti e delle discriminazioni tra ufficiali e sottufficiali.

Honda, che aveva fama di essere uno scroccone, fu debitamente istruito da Sakai a saccheggiare la cucina della mensa ufficiali, per portare del cibo ai suoi camerati.

Il successo dell'impresa fu presto seguito dalla solita disattenzione, e Honda fu colto sul fatto e picchiato da un adirato ufficiale, che si fermò soltanto quando Sakai gli sparò un colpo di pistola, un atto punibile con la corte marziale. Convocato dal contrammiraglio Yasuna Kozono, Sakai spiegò i motivi delle sue azioni e delle lamentele degli uomini:

l'incidente fu incredibilmente "dimenticato" e migliorò notevolmente la qualità della mensa!

Pur non essendo un pilota dotato di talento, Honda era piuttosto aggressivo, e il 17 aprile 1942 rivendico l' abbattimento di tre P-40 sopra Port Moresby.

Agli altri diceva sempre: "Finchè volerò con Sakai, non verrò mai abbattuto!"

Il 13 maggio il capo di seconda classe Watari Handa, appena arrivato all'unità, chiese a Sakai di "prestargli" Toshiaki Honda per effettuare un'incursione sull'aeroporto di Port Moresby.

Nonostante le proteste di quest'ultimo, Sakai ordinò al suo compagno di andare, e proprio sopra l'obiettivo la pattuglia degli Zero si imbattè in sette P-39 del 36° Fighter Squadron.

Il capitano Paul G. Brown e il tenente Elmer F. Ghram presero Honda in un fuoco incrociato e lo Zero esplose, uccidendo il pilota.

In onore al suo spirito combattivo, Toshiaki Honda ottenne il raro privilegio di una promozione postuma di due gradi fino a quello di sergente.

Nella sua citazione fu scritto che aveva preso parte a 47 missioni, con un bottino di cinque vittorie personali e 18 in coppia.

 

Tratto da Aerei Militari

Modificato da Dave97
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image002.jpg Junichi Sasai

Junichi Sasai si guadagnò l'appellativo di "Richthofen di Rabaul", e pur avendo preso parte ai combattimenti solo per un breve periodo di tempo, la sua fama di grande asso di caccia è giunta fino ai giorni nostri.

Nato il 13 febbraio 1918 a Tokyo da un capitano della marina, il giovane Junichi era stato da sempre destinato a intraprendere la carriera sui mare non appena avesse raggiunto la maggiore età.

La sua infanzia fu segnata da una cattiva salute, ma regime di duri esercizi fisici e di diete migliorò la sua salute giovanile, e quando entro alla scuola superiore, Junichi era ormai sufficientemente sano da ottenere la cintura nera di Judo; i suoi notevoli successi scolastici gli valsero l'accettazione nell'Accademia Navale di Etajima.

Sasai si diplomò nel 1939 e fu nominato guardiamarina.

Avviò il suo addestramento al volo e completò il corso nel novembre del 1941; il suo spirito tenace gli valse il soprannome di "galletto da combattimento". Quando il Giappone entrò in guerra, il mese dopo, Sasai era in forza al Gruppo aereo di Tainan.

Con quest'ultimo prese parte all'incursione su Luzon (nelle Filippine) il 10 dicembre, ma un guasto al motore lo costrinse a rinunciare.

Dopo la vittoria nelle Filippine, il Gruppo aereo di Tainan entrò spesso in azione nelle Indie Orientali, dove fornì supporto aereo alle truppe di terra. Sasai fece registrare la sua prima vittoria il 2 febbraio 1942 sopra Maospati, sull'isola di Giava, quando distrusse un Buffalo olandese.

Sedici giorni dopo abbattè un P-40E del 17° Fighter Squadron con soltanto 280 colpi di mitragliatrice.

Il Gruppo aereo di Tainan si spostò a Rabaul nell'aprile 1942, andando incontro a una riorganizzazione generale, con ufficiali, equipaggiamento e piloti nuovi. Il sottotenente di vascello Sasai ottenne meritatamente il comando della 2a Squadriglia, e i suoi piloti si alternarono tra Rabaul e la loro base avanzata di Lae.

Tra i ranghi della 2a Squadriglia c'erano molti sottufficiali piloti esperti, tra cui il sergente Saburo Sakai.

Questi rimase molto impressionato dal suo nuovo comandante, e dal fatto che a differenza degli altri ufficiali dimostrasse un vero attaccamento nei confronti dei suoi uomini.

Affinchè potesse vivere il più a lungo possibile, Sakai istrui personalmente il giovane sottotenente nell'arte del duello aereo, e quando Sasai prese confidenza con la mira, divenne un pilota di prima grandezza.

Il 4 maggio 1942 dimostrò la sua abilità affrontando una squadriglia di tre P-39 e li abbatte tutti in meno di 20 secondi.

Sasai continuò a riportare vittorie a ripetizione, ottenendo il suo primato personale di cinque in un solo giorno il 7 agosto 1942, sopra Guadalcanal.

La sua gioia fu temperata dalla grave ferita riportata dal suo mentore, Saburo Sakai, nel corso della stessa missione, e prima che quest' ultimo fosse rispedito in Giappone, Sasai gli diede un ricordo personale: una fibbia di cintura speciale, a forma di tigre, che lui diceva l'avrebbe protetto da ulteriori infortuni.

Il 26 agosto Sasai guidò una formazione di nove aerei con l'incarico di proteggere i bombardieri "Betty" inviati a colpire Henderson Field, a Guadalcanal.

Una volta sull'obiettivo la formazione subì l'attacco di dodici Wildcat del VMF-223, guidati dai maggiori John L. Smith e Rivers J. Morrell.

Sasai non fece più ritorno da quella missione.

In una lettera alla sua famiglia prima di morire, Sasai si attribuì 54 vittorie, e affermò che sperava di battere il primato dell'asso della Prima Guerra Mondiale, il Barone Manfred yon Richthofen (80).

Secondo quanto riportato nel "Proclama n° 36 a tutte le unità della Flotta", Sasai aveva effettuato 76 missioni con il Gruppo aereo di Tainan, ottenendo ufficialmente 27 vittorie.

Per essersi distinto in servizio fu promosso di due gradi, raggiungendo quello di capitano di corvetta.

 

Tratto da Aerei Militari

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Luigi Caneppele

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Macchi della squadriglia "Gigi tre Osei"

 

Il distintivo del 150° Gruppo Caccia è di quelli che non possono essere compresi se non se ne conosce la storia. E la storia è questa:

"Gigi tre osei" era un ufficiale di complemento. Era precisamente il sottotenente pilota Luigi Caneppele, un aliantistica olimpionico che, dopo essersi laureato in ingegneria aeronautica, aveva deciso che l’allora Regia Aeronautica Militare poteva offrirgli qualcosa di più e di ben diverso dal comodo impiego di Ufficiale tecnico a cui il titolo di studio gli avrebbe dato diritto. Aveva dunque conseguito il brevetto di pilota militare ed era capitato al 150° Gruppo quando questi si trovava a Caselle Torinese.

 

S'era presentato al reparto portando sulla tuta il distintivo di aliantista in possesso del brevetto Con Tre aquile stilizzate, ma stilizzate al punto che avevano dovuto chiedergli che cosa diavolo fossero.

"Tre osei" aveva risposto Caneppele nel suo bel dialetto. E da quel giorno era diventato per tutti "Gigi tre osei".

 

Quando a un reparto un nomignolo sostituisce il cognome, vuol dire che il più è fatto. Gigi era trentino, era biondo, era alto, era sempre pronto al volo, al canto e all’amore come le creature felici. Gigi era tanto in gamba che, qualche tempo dopo, dovettero trasferirlo ad un Gruppo di nuova formazione perchè addestrasse i giovani piloti.

 

Col nuovo Gruppo partì per la guerra, combattè in Tunisia, prese la prima medaglia, poi fu trasferito in Africa col 2° Stormo, continuò a combattere e tornò infine a Caselle per un periodo di riposo.

 

Ma durante il riposo si lasciò un giorno prendere la mano dal cavallo rosso dell’entusiasmo e, salito su un biplano, si mise a fare a gara con le rondini. Le rondini, lo sapete, volano basse e si posano sui fili; Gigi cercò di posarsi sui fili a sua volta, ma era più pesante delle rondini e ne venne fuori una scassata, un rapporto incidente di volo, una busta gialla di arresti e un trasferimento ad un reparto di idrovolanti in cui bisogna volare piatti per forza.

 

In questi casi non si transige. Chi giudica e punisce, dimentica che ai suoi tempi ha fatto anche lui le puntate, o ricorda di averle fatte e di essere andato a finire dentro. Pensa che quelli erano bei tempi, si lascia per un momento prendere dalla nostalgia, poi si scuote, ridiventa burbero e prende "i provvedimenti del caso". Sotto sotto però sorride al pensiero che, se quell’altro non è un pollo, alla caccia ci tornerà lo stesso.

 

E Gigi ci tornò. Ci tornò qualche tempo dopo nella maniera meno ortodossa e più impensata, ma ci tornò.

 

Il suo vecchio Gruppo, il 150°, si trasferiva in Africa. Su uno dei campi tappa il comandante era sceso dall’apparecchio, era andato a far pipì, aveva dato disposizioni per il rifornimento e stava attendendo l’ordine di partenza, quando si vide arrivare davanti Gigi. Un Gigi irriconoscibile, demoralizzato e abbattuto che si dava pugni in testa e diceva che lì sarebbe morto d’inedia. "Comandante, mi porti con lei in Africa". "In Africa? Ma che sei matto?". "Comandante, sono matto. Mi porti con lei in Africa; rinsavirò". "Ma come vuoi che faccia?". "Faccia come vuole, comandante, ma non mi lasci qui". "No senti: adesso tu rimani qui. Vuol dire che ti richiederò e raggiungerai il Gruppo laggiù". "Comandante non chieda niente, mi porti via subito". "Subito? E’ una parola!". "Si comandante; è una parola, una sola, bellissima. Subito! Sente come è bella?". "Eh, lo sento! Ma poi chi li sente i signori superiori?". "Comandante, li sentiremo insieme, li sentiremo con tutto il Gruppo schierato, li sentiremo come vorrà lei, ma adesso mi porti in Africa!".

 

E così per ore intere, al circolo, a mensa, in cameretta, sul prato, al comando, dovunque il comandante andasse, l’altro gli stava dietro e continuava quella lagna.

 

A volte, lo sapete, ci si mette di mezzo il diavolo. Mentre il Gruppo è lì in attesa di spiccare l’ultimo balzo, si ammala uno degli ufficiali, il comandante lotta con se stesso, riflette, scuote la testa, vede che l’ufficiale non guarisce, ci ripensa, poi di colpo decide e dice a Gigi di tenersi pronto a partire. Gigi si schiaffa sull’attenti di fronte al comandante, lo abbraccia con gli occhi, lo bacia con il pensiero, schizza in cameretta, fa fagotto e l’indomani all’alba parte per l’Africa.

 

La bomba scoppia qualche mese dopo, mentre il 150° è in piena attività di guerra. Gigi, che porta sempre il suo vecchio distintivo di aliantista, è il più audace, il più instancabile, il più valoroso pilota del reparto. I "tre osei" sono sempre in volo con lui e attaccano, mitragliano, giostrano, s’impennano, picchiano, battono ormai qualsiasi tipo di rondine che sorvoli la gialla crosta del deserto.

 

Quando scoppia la bomba, Gigi è preoccupato per il comandante. Va a finire che se fanno tanto di impuntarsi, lo trasferiscono un’altra volta. In ogni modo non può far altro che continuare a fare la guerra, scrivere una dichiarazione giustificativa, attaccarsi a tutte le maniglie possibili. La guerra continua, il suo gruppo fa miracoli, ottiene una citazione sul bollettino e finalmente la burrasca si placa. Gigi rimarrà con loro.

 

Rimarrà con loro continuando a combattere con quell’entusiasmo che non può essere descritto a parole, perchè con certe cose non ci si può misurare a parole. Rimarrà con loro fino a quando, durante un volo di trasferimento su un campo avanzato, volo per il quale si era offerto volontario perchè era indispensabile trasportarvi subito gli specialisti del gruppo, cadrà nel tentativo di portare a termine a qualunque costo la missione che gli era stata affidata. Buona parte degli specialisti si salva grazie al suo sacrificio.

 

Dopo la sua scomparsa, il sottotenente Di Robilant, che era l’ufficiale sul cui apparecchio Gigi si era trasferito in Africa e sul quale aveva combattuto, volle ricordarlo facendo disegnare sull’apparecchio stesso i famosi "tre osei". Subito dopo, con l’aggiunta di un nome, di una palma e di qualche duna, nacque spontaneo e bellissimo il distintivo del 150° Gruppo, i cui piloti hanno voluto fare in modo che "Gigi tre osei" rimanesse sempre con loro, anche dopo l’ultimo, definitivo trasferimento.(Franco Pagliano)

 

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(Tratto dal Giornale "Le Vie dell'Aria" 21 Marzo 1943)

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Tenente pilota Felice Fox

19-9-1943

Volo d'avvicinamento normale: i tre Re. 2002 con le bombe da 100 Kg. agganciate sotto le ali volano tranquilli nel cielo.

Sotto di loro c’è l'Adriatico , l'obiettivo è la baia dell'isola di Corfù, dove naviglio tedesco tenta di sbarcare uomini e mezzi per sopraffare il nostro presidio che non vuole arrendersi.

I piloti nell'abitacolo, tra il controllo saltuario degli strumenti e qualche parola al microfono, osservano lo spettacolo del mare d'un color verde intenso con riflessi azzurri, interrotto in modo irregolare dalla schiuma bianca delle creste delle onde: eterna, stupenda novità di ogni volo!

Fa caldo e il corpo suda sotto i vari indumenti di volo.

Ci siamo: sotto i tre velivoli, nello specchio d'acqua della zona di Baia Plataria, si distinguono le sagome di una torpediniera e di alcune motozattere.

All'arrivo degli aerei, dai mezzi navali e dalla costa ha inizio il fuoco contraereo.

Batuffoli grigio-rossi si aprono sotto la fusoliera degli aeroplani.

Il capopattuglia da, per radio, gli ultimi ordini:

«Sfilarsi sulla destra, disimpegnarsi a pelo d'acqua, sganciare a 200 metri, ... giu! ».

Ogni pilota spinge la barra in avanti e lateralmente, e il muso dei Re si butta contro il mare e la costa; l'aria fischia nelle fessure del tettuccio, bisogna far forza sui comandi per tenere l'aeroplano.

Tutto in basso si ingrandisce, viene contro il pilota: 500 ... 400 ... 350 ... 300 metri, l'occhio è fisso al collimatore.

Le navi si sono fatte vicinissime, il fuoco contraereo è intenso e preciso;

il primo apparecchio ha sganciato, gli altri due lo seguono in rapida successione.

 

Dalle motozattere alcuni uomini si gettano in acqua, le mitragliere contraeree lanciano contro i nostri aerei fasci di proiettili; i 2002, bassi sul pelo dell'acqua, tentano di sfuggire a quel fuoco d'inferno, poi strappano su in candela.

Gli aerei si arrampicano ruggendo verso l'alto;

i piloti hanno la schiena schiacciata contro il sedile, non hanno nessuna possibilità di vedere cosa succede dietro di loro, ma sanno che centinaia di pallottole li stanno inseguendo.

Improvvisamente, l'ultimo aeroplano prende fuoco; è stato colpito dal tiro di una batteria piazzata sul molo.

Una lingua di fumo esce da sotto il motore; le spire di fumo, schiacciate dal vento della velocità, lambiscono la cabina e si perdono verso i piani di coda.

Gli altri due velivoli sono ormai in quota.

Il tenente Fox sta disperatamente tentando di sopravvivere, ma ormai le fiamme , ,hanno avvolto completamente il velivolo.

L' aereo va giù di muso, punta verso l' Adriatico, scompare nelle onde insieme al suo pilota.

Sullo sfondo, sottocosta, due motozattere, colpite in pieno dalle nostre bombe, Stanno anch'esse :bruciando.

I due aerei superstiti, rientrando sul campo, devono attendere poco prima di atterrare; tre altri Re. 2002 stanno rullando in pista; partono per la stessa missione.

Tratto da Ali Nella Tragedia

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Maggiore P. Spadaccini

Dal giorno dell'armistizio combattiamo contro i tedeschi in conseguenza di una nostra scelta di cui non ci pentiamo; dal giorno dell'armistizio combattiamo contro la diffidenza dei nuovi alleati, ex nemici, e contro la sfiducia se non contro la derisione di molti nostri fratelli, e queste sono conseguenze logiche degli avvenimenti, ma il dover lottare per avere degli aeroplani per teter combattere e per vincere diffidenza e sfiducia è la cosa che ci brucia di più, e forse il nostro dolore più amaro ed il più duro ostacolo.

13 febbraio 1944: oggi è nato il primo!

E’ nato, o meglio, è rinato da un rottame, da un mucchio di rottami vari, un Macchi 202; è il primo aeroplano ricostruito completamente dall'8 sttembre 1943, utilizzando pezzi sparsi un po' dovunque sugli aeroporti del Sud, ed il merito va agli specialisti del 51° Stormo;

anche se sono stati dei ladri.

In questi pochi mesi intercorsi fra l'8 settembre ed oggi, vari velivoli da caccia sono stati rimessi in efficienza, anche con grosse riparazioni, dalle SRAM dei tre stormi, 4°, 5°, 51°; ma l' aeroplano che fra poco andrà in volo è, e non credo di sbagliare, il primo ricostruito ex novo, prendendo cioè un pezzo di fusoliera giacente su un aeroporto, utilizzando un motore « fregato » elegantemente dal deposito di qualche altro reparto, raddrizzando un'elica gettata alle ortiche, adattando un carrello d'atterraggio rinvenuto in fondo ad un hangar, e così via, e di tutto questo va appunto dato merito a quelli del 51" Stormo.

Hanno messo in moto!

Primi giri lenti ed irregolari dell'elica, tensione di tutti noi, poi il rombo pieno del DB 601.

I visi si rilassano; uno specialista nell'abitacolo controlla gli strumenti, poi, muovendo la cloche, prova la libertà di movimento degli alettoni e dei piani di coda.

Attorno facce aperte al sorriso, qualcuno ha buttato in aria il berretto; un motorista piuttosto anziano e piuttosto grasso si è seduto su una cassa di legno, ha appoggiato le palme delle mani sporche d'olio sulle ginocchia, e fissa I'aeroplano, senza muoversi, senza parlare.

Ecco il pilota: è il maggiore Spadaccini, comandante del 20° Gruppo del 51° Stormo, uno di quegli uomini che hanno combattuto su tutti i fronti, uno dei pochi superstiti, uno del « Corso Orione » dell' Accademia che ha già dato alla Patria tanti e tanti caduti, un corso di leoni del volo.

Lo osservo mentre, seduto nell'abitacolo, si aggiusta le cinghie del paracadute, sistema la spina radio; ora controlla gli strumenti: giri motore, temperatura, pressione olio.

Nei suoi gesti calmi, misurati, non c'e nulla di speciale: gesti di sempre, abituali; ma in questo suo decollo, come in quello compiuto da molti altri piloti con velivoli revisionati in questo periodo, c'e qualche cosa di grande, di indicibile.

E’ un uomo che non ha chiesto come è stato riparato quel 202, con quali pezzi, non ha voluto vedere nessun cartellino di garanzia, del resto inesistente, non ha chiesto nessuna firma di un responsabile; sa che è una macchina rimessa in grado di volare più dalla passione dei suoi specialisti che da attrezzature idonee; sa che la sua serenità, mentre si accinge a portarlo in volo, è lo sprone, è il premio più ambito per i meccanici che hanno lavorato giorno e notte; sa che quel Macchi è il suggello di una rinascita, la continuità di una ripresa.

Spadaccini si è aggiustato il caschetto e gli occhialoni, da qualche spuntata di motore per saggiarne la rispondenza; ora guarda gli specialisti a terra e vi è in quello sguardo una fiducia reciproca.

Chiude il tettuccio e comincia a rullare.

Il caccia corre sulla pista, ... ha staccato!

Tutti urlano, parole, frasi incomprensibili, ma urlano; mi ritrovo con un nodo in gola.

Eccolo, ha retratto il carrello, ora tira a cabrare, vira, ed è un susseguirsi di manovre acrobatiche pulite e filanti; è uno sfrecciare di una nuova coccarda tricolore nata da una sofferta fede, da una umile ed eroica dedizione ad un ideale abbracciato tanti anni prima, il giorno in cui tutti noi presenti sul campo di Galatina vestimmo la divisa azzurra.

Osservo l' aeroplano che compie l'ultima virata in fondo al campo, ha già il carrello fuori, viene all'atterraggio.

Vorrei, come tutti gli altri, correre sulla pista: è un attimo di commozione vera e profonda; tutti sono immobili, rigidi, quasi sull'attenti, così, spontaneamente.

L' aereo rulla verso il piazzale.

Quelli del 51° sono in festa, sulla deriva verticale del Macchi c'e dipinto il piccolo gatto nero, ma ci starebbe bene anche il nostro cavallino del 4°; mi fisso in mente il numero di matricola: 6606.

In questa grande festa sarebbe cattivo dire certe cose, ma è sacrosantamente vero che quei « marpioni» del 51°, per vari giorni ed anche di notte, come ladri di polli, con mille sotterfugi e moine, sorprendendo la buona fede del nostro maresciallo Cipriani, responsabile del magazzino ricambi del mio Stormo, hanno fatto elegantemente sparire strumenti e pezzi vari, da usare per la loro creatura.

Noi del 4° vi perdoniamo, ma ci sapremo regolare, oppure faremo finta di nulla un'altra volta, pur di vedere un altro Macchi volare con le coccarde tricolori dipinte di fresco, e non ci importerà a quale stormo appartenga.

Il 202 è fermo ormai sul piazzale nell’ euforia generale.

Tratto da Ali nella tragedia

Modificato da Dave97
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Toshiaki Honda

Agli altri diceva sempre: "Finchè volerò con Sakai, non verrò mai abbattuto!"
Nonostante le proteste di quest'ultimo, Sakai ordinò al suo compagno di andare, e proprio sopra l'obiettivo la pattuglia degli Zero si imbattè in sette P-39 del 36° Fighter Squadron.

 

Junichi Sasai

La sua gioia fu temperata dalla grave ferita riportata dal suo mentore, Saburo Sakai, nel corso della stessa missione, e prima che quest' ultimo fosse rispedito in Giappone, Sasai gli diede un ricordo personale: una fibbia di cintura speciale, a forma di tigre, che lui diceva l'avrebbe protetto da ulteriori infortuni.
Sasai non fece più ritorno da quella missione.

 

Non vorrei dire...Ma Saburo Sakai portava sfiga??

A me veniva da immaginare la scenetta : Saburo: "vai Honda! "Honda:"no non ci vado" Saburo:"vai fidati"..e poco dopo dal paradiso Honda "lo sapevo che non dovevo fidarmi..."

Okay era una battutaccia considerate le condizioni terribili di addestramento e di inferiorità dei giapponesi,ma una battuta ci voleva no? :D

Modificato da Takumi_Fujiwara
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GIORGIO GRAFFER

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Giorgio Graffer (Trento, 14 maggio 1912 – Albania, 28 novembre 1940) è stato un aviatore italiano. Capitano della Regia Aeronautica, fu un asso della seconda guerra mondiale decorato con la medaglia d'oro al valore militare alla memoria.

Proveniente dal corso Leone della Accademia Aeronautica, venne assegnato al 53° Stormo caccia e nel 1940 era il capitano comandante della 365a Squadriglia del 150° Gruppo che utilizzava i Fiat C.R.42. Inizialmente di base sull'Aeroporto di Torino-Caselle iniziò ad operare dal 15 giugno 1940 nelle operazioni contro la Francia, contribuendo inizialmente ad abbattere 4 aerei Morane-Saulnier M.S.406. La notte tra il 13 e il 14 agosto 1940, nel corso di una missione notturna, tentò di abbattere un bombardiere Armstrong Whitworth AW.38 Whitley con il fuoco delle mitragliatrici, non riuscendovi, si lanciò con il suo aereo contro quello nemico, salvandosi con il paracadute e causando gravi danni all'aereo nemico che, dopo un lungo volo attraverso la Francia di ritorno verso l'Inghilterra, finì per precipitare in mare davanti alle coste del Kent. L'episodio è considerato il primo esempio di combattimento aereo notturno della Regia Aeronautica e fruttò la medaglia di bronzo al valor militare a Graffer

Il 23 ottobre 1940, il 150° Gruppo si rischierò in Albania come unità autonoma.

Il 2 novembre Graffer venne accreditato dell'abbattimento di 3 PZL P.24 portando così il suo totale a 5 aerei abbattuti più altri 4 condivisi

Il 28 novembre sei Gloster Gladiator si scontrarono con i dieci CR.42 della squadriglia comandata dal capitano Graffer sui cieli di Delvinakion. Nel combattimento che ne risultò, vennero abbattuti 3 CR.42 italiani e su uno di essi perse la vita Giorgio Graffer.[1]

Venne decorato con la massima onorificenza militare con la seguente motivazione:

Medaglia d'oro al valor militare

«Capitano Pilota, cacciatore audacissimo, Comandante di Squadriglia distintosi già in precedenti azioni di guerra, partiva volontariamente in voli, in piena notte, in caccia di velivoli nemici che stavano bombardando una nostra importante città. Avvistato un apparecchio lo attaccava decisamente, persistendo nella lotta fino a che, con il proprio apparecchio danneggiato e le armi inutilizzate dal fuoco avversario, deciso a vincere ad ogni costo, faceva della sua macchina e del suo corpo l'arma suprema per distruggere il nemico con l'urto. Con disperata volontà fallito il primo tentativo, ritentava la prova e mentre il suo apparecchio precipitava al suolo, trovava nel paracadute la salvezza che aveva superbamente disdegnato durante la lotta. Successivamente, nei cieli di Albania, in aspra lotta con nemici superiori, precipitava in combattimento alla testa della formazione che da lui guidata aveva abbattuti già tre velivoli nemici. Leggendario esempio di virtù guerriere.»

Cielo di Albania, 28 novembre 1940.(Wiki)

 

Biplane Fighter Aces (Contiene tabella abbattimenti!)

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botto_2.jpgGamba di ferro

Il tenente colonnello Ernesto Botto, decorato di medaglia d' oro al valor militare, meglio conosciuto in aviazione come «Gamba di ferro».

La sua vicenda, dalla quale nacque uno dei più significativi emblemi che l' aviazione abbia avuto, ebbe inizio in Spagna.

Alba del 12 ottobre 1937.

Dal campo di Saragozza partono per una crociera di vigilanza sull'Ebro la 31a e la 32a squadriglia del 6° gruppo, su diciotto apparecchi CR.32.

Il capitano Borgogno è in testa con cinque apparecchi; seguono il tenente Neri con una pattuglia di quattro, il capitano Botto con una di cinque e il tenente Molinari con una di quattro.

Fa un po' freddo.

L'Ebro è in piena, ma dall'alto l'impeto delle acque appare attenuato.

Sulla sponda destra la città, dominata dalle cupole della Virgen del Pilar, sembra ancora addormentata.

D'un tratto Borgogno batte le ali, tutti sussultano, aguzzano lo sguardo e avvistano in distanza otto bombardieri russi tipo Katiuska con una ventina di caccia Curtiss in scorta diretta e altrettanti Rata più alti.

Il primo impulso sarebbe quello di attaccare subito, ma la disciplina di volo impone di seguire compatti il comandante che manovra per portarsi in condizioni di vantaggio.

I piloti tolgono le sicure, si inumidiscono le labbra con la lingua e si assestano bene sui seggiolini.

Tra poco ci siamo.

All'improvviso, senza che si possa capirne la ragione, dalla pattuglia di Neri si stacca un apparecchio che si butta dritto sui bombardieri.

Addio!

Gli altri compagni gli si precipitano dietro quasi volessero agguantarlo e Borgogno, imprecando, è costretto a iniziare subito il combattimento contro i Curtiss e i Katiuska, sapendo di avere sulla testa venti Rata.

La sua squadriglia, la 31a, comincia la giostra in posizione sfavorevole: butta giù un Curtiss, nella foga due nostri si scontrano, un altro apparecchio avversario va giù, poi cadono ancora due nostri e poi ancora due rossi.

Le perdite fino a quel momento sono pari, dato che i bombardieri hanno già sganciato e invertito la rotta, ma Borgogno è rimasto con cinque apparecchi contro sedici; per fortuna si tratta di piloti di prim' ordine che, a furia di virate, rovesciamenti improvvisi, picchiate di disimpegno e arrampicate in candela, riescono ad evitare il peggio e ad ubriacare gli avversari fino a che questi, che non hanno molta autonomia, mettono la prua a levante e si allontanano.

Chi ha salvato la 31a dall' attacco dei Rata è stato Botto che li ha affrontati con la sua squadriglia, impedendo loro di interessarsi di quanto avveniva più in basso.

Ha portato la 32a in vantaggio di luce e ha impegnato i venti avversari a 4.500 metri di quota, abbattendo il loro capoformazione.

I suoi gregari non sono da meno, fanno precipitare altri due Rata un CR. va giù, ma arrivano in quota i cinque della 31a e allora altri otto avversari vanno a schiantarsi per terra: quindici a cinque.

Botto è esultante e prosegue la giostra con accanimento perchè gli altri questa volta non cedono e continuano ad attaccare.

All'improvviso sente a bordo un colpo secco, avverte un dolore acuto che non riesce a localizzare e l' apparecchio gli si mette in vite.

Notando che non riesce a riprenderlo, Botto da una rapida occhiata dentro e vede con raccapriccio che ha la gamba destra fracassata e che il piede è arrivato fino al seggiolino; senza capire in che modo, riesce a rimettere in assetto l' aeroplano, sente l' anima che se ne va col sangue, intravede il campo, lo punta, stringe i denti fino a farsi male, scivola d' ala e atterra quasi dissanguato.

All' ospedale gli tagliano la gamba, gli fanno dieci trasfusioni, lo tengono su come possono, tutti parlano di lui, qualcuno prega, e non c'e aviatore legionario che, andando a Saragozza, non trovi il tempo e il modo di raggiungere l'ospedale per vederlo o per chiedere di lui.

Quando, dopo un lungo periodo di degenza, egli ritorna al campo con le stampelle e con la gamba destra dei calzoni ripiegata sul moncherino e appuntata in alto, è difficile per i colleghi nascondere la commozione.

E’ difficile anche per lui quando vede che, sulla fusoliera degli apparecchi del reparto, spicca un nuovo distintivo:

una gamba di ferro completa di gambale, cosciale e ginocchiello.

Quando Botto rientrò in Italia, ebbe inizio la fase più difficile della sua vicenda: i festeggiamenti, la notorietà, la solenne consegna della medaglia d'oro sull'Altare della Patria erano tutte cose molto lusinghiere, ma un po' frastornanti.

Naturalmente gli facevano piacere; ma ciò che gli interessava di più era la ripresa dei voli e lui sapeva che nessun istituto medico-legale l' avrebbe autorizzato se non fosse arrivato un ordine dall' alto.

Questo tardò fino a quando a Roma non ebbero la certezza che l'ufficiale si era ormai abituato all' arto artificiale, ma alla fine arrivò e Botto potè tornare a Gorizia.

Comandava allora il4° stormo il colonnello Grandinetti, un pilota della Prima guerra mondiale che aveva dei vecchi aviatori l' esperienza e il buon senso. Considerato che l'idoneità al pilotaggio di «Gamba di ferro» era stata concessa soltanto «a doppio comando», cioè comportava la presenza di un altro pilota a bordo, mise a fianco del mutilato il tenente Pezzè, che era il miglior istruttore del reparto, e lasciò che i due se la sbrigassero da soli.

Difficoltà da superare anche senza colonnelli di mezzo, ce n'erano fin troppe, a cominciare da quella di mettersi al posto di pilotaggio.

Un aereo da caccia non è un'autovettura nella quale, bene o male, ci si riesce ad infilare anche con una gamba «gigia»; per raggiungere l' abitacolo, che è sempre angusto è complicato dalla presenza della cloche, delle cinghie e di altri imbrogli, bisogna arrampicarsi sul fianco della fusoliera servendosi di staffe fisse piuttosto scomode per chi ha una gamba sola.

Ma Botto aveva dalla sua la passione per il volo e la testardaggine piemontese e Pezzè aveva la vocazione dell'istruttore, che è fatta di esperienza, passione e pazienza.

A furia di tentativi, di prove, di adattamenti e di tenacia, il sistema per salire a bordo e per scendere fu trovato; una volta fatto questo, si trattò di trovare un altro sistema per poter agire sulla pedaliera, avendo un piede artificiale.

Tutto sommato non c' era nulla di meglio che fissare il piede buono con una cinghietta: quando c' era da spingere avanti il destro, che era inerte, si tirava indietro il sinistro e il risultato era lo stesso.

Per il resto, dato che Botto non aveva perduto la sua sensibilità e la sua prontezza di riflessi, non c' erano preoccupazioni; o meglio, ce n' era una riguardante quella benedetta limitazione del «doppio comando» che gli dava un' avvilente sensazione d'inferiorità.

E’ vero che la locuzione, nella sua genericità, si prestava ad interpretazioni di comodo, che gli consentivano di volare anche come istruttore dei piloti di nuova assegnazione, perchè sempre «doppio comando» era.

Ma questi sotterfugi interpretativi non risolvevano il problema principale: alla caccia, dove gli aerei sono monoposto, o si è autorizzati a volare da soli o ci si deve rassegnare a compiti addestrativi e di scuola.

E Botto non voleva rassegnarsi.

L'idea di chiedere ufficialmente l'autorizzazione a volare da solo fu presa in esame e discussa a lungo con Pezzè, ma dovettero scartarla perchè nessuno si sarebbe preso la responsabilità di accordare un permesso simile.

«Gamba di ferro» era ormai una bandiera ed esporlo a un rischio equivaleva ad esporsi a un rischio più grave.

Tanto valeva non esporre nessuno e mettere tutti di fronte al fatto compiuto.

Tutti meno uno: ancora oggi Botto dice di essere convinto che il colonnello Grandinetti aveva capito che qualcosa si stava preparando e fece finta di non accorgersene soltanto per non intralciare il tentativo.

Sapeva che, se fosse avvenuto un incidente, ci sarebbe andato di mezzo lui, perchè un comandante è sempre responsabile di quanto avviene al suo reparto. Ma i vecchi aviatori sono capaci di questi gesti generosi.

La carriera?

SI, la carriera è importante e a tutti fa piacere mettere le spalline d' oro e diventare un «signor generale».

Però è anche importante che un pilota valoroso come Botto possa riacquistare completa fiducia in se e dimostrare di essere ancora in grado di comandare un reparto senza limitazione alcuna.

Una sera, quando le aviorimesse vengono chiuse, un CR.32 rimane fuori col motore in moto; probabilmente devono provarlo, pensa Grandinetti, e non si meraviglia che Botto sia rimasto li per assistere alla prova.

 

 

La notizia che Botto aveva decollato da solo e che tutto era andato liscio provocò, come era prevedibile, un'apparente esplosione d'ira seguita da diverse reali esplosioni di bottiglie di spumante.

Poi ci fu l'inchiesta, la relazione e, infine, l' autorizzazione per il volo su monoposto:

l' aviazione italiana aveva riacquistato un pilota di classe, un comandante stimato da tutti.

Da allora Botto portò a Berlino una pattuglia acrobatica di nove apparecchi, assunse il comando del 9° gruppo, lo guidò in guerra su Malta e in Africa settentrionale, fu rimpatriato in volo con la testa rotta per un grave incidente d'auto, guarì ancora una volta, fu rimandato a Gorizia per dirigere la Scuola Caccia, assolse per due anni i compiti d'ispettore della specialità e, nella primavera 1943, riuscì ancora una volta a venir fuori da un altro grave incidente col minimo dei danni.

Si stava addestrando sui Macchi 202 perchè avrebbe dovuto assumere il comando del 1° stormo; un addestramento coscienzioso in quanto andavamo verso tempi brutti e, per comandare bene un reparto, era indispensabile conoscere a fondo le possibilità delle macchine con le quali si doveva operare.

Durante un volo in coppia con il maggiore Callieri, proprio al termine di una prova che comprendeva arrampicata veloce, evoluzioni in quota e un buon quarto d' ora di finta caccia, il motore dell' aereo di Botto piantò secco.

Ciampino non era distante, fu raggiunto con un bel planè, ma l' aereo arrivò corto e il pilota, atterrando col carrello rientrato, si ferì anche la gamba buona.

Quello sarebbe stato il momento adatto per smetterla di volare, sposarsi, accettare un incarico in un ufficio e non pretendere dal proprio fisico più di quanto potesse dare.

Ma Botto non si considerava un invalido; in precedenza aveva rifiutato l' offerta di andare in Spagna come addetto aeronautico, perchè sosteneva che in guerra quei posti dovevano essere riservati a chi non poteva più volare, mentre lui poteva ancora.

Se, dopo il nuovo incidente, ritenevano che sarebbe stato imprudente affidargli un reparto, sperava di essere rimandato di nuovo alla Scuola Caccia di Gorizia, dove qualcosa avrebbe ancora potuto fare.

Il generale Fougier ne era pienamente convinto e lo rimandò lassù, dove si preparavano i rincalzi da immettere a ritmo continuo nei reparti per compensare le perdite.

Fu lassù che lo colse l' armistizio e, dopo una quindicina di giorni, la notizia della sua nomina a sottosegretario di Stato per l' Aeronautica del nuovo governo costituito da Mussolini.

All'inizio non ci credette, sia perchè non era stato interpellato sia perchè nel comunicato ufficiale si parlava del «comandante Carlo Botto», mentre lui si chiamava Ernesto.

Poi senti che veniva diramata la biografia di «Gamba di ferro» e capì che ce l'avevano proprio con lui.

La sua reazione fu la più inattesa: visto che le cose si complicavano e minacciavano di compromettere tutto il suo avvenire, si sposò e porto la moglie in Piemonte per farla conoscere ai suoi genitori.

Dopo di che raggiunse Roma e si mise al lavoro, seguendo un sistema cosi personale che più volte mise in imbarazzo il governo, il maresciallo Graziani, i tedeschi e gli aviatori che, rompendo gli indugi, si erano messi a sua disposizione, attratti dal suo nome e dalla sua rettitudine.

Esordì passando alla radio e alla stampa un breve comunicato col quale informava gli aviatori che tutti i bandi precedenti, da chiunque emessi, non avevano alcun valore e che coloro che alla data dell'armistizio erano in servizio in aeronautica dovevano attendere le sue istruzioni.

Le autorità tedesche reagirono subito chiedendo che il comunicato, da esse considerato offensivo venisse annullato e Botto rispose che lui considerava offensiva la richiesta di annullamento.

Fece una raccolta di tutti i bandi contraddittori emessi in quel periodo e andò sul lago di Garda insieme al generale Tessari, per dimostrare al maresciallo von Richthofen che razza di confusione era stata eretta con tutti quegli ordini e contrordini e per iniziare le trattative per la costituzione dell' Aeronautica Repubblicana.

Furono ricevuti dal capo di stato maggiore, colonnello Krist, il quale confermò che il maresciallo aveva considerato il famoso comunicato come un' offesa alle forze armate germaniche, e che non avrebbe dato inizio ad alcuna trattativa se prima il comunicato non fosse stato annullato.

La risposta di Botto fu sconcertante nella sua semplicità:

«Dite al maresciallo che mi rincresce averlo offeso, ma che l'annullamento del comunicato non risolverebbe nulla perchè la prima cosa che io chiederei aprendo le trattative sarebbe proprio l' emanazione di un comunicato assolutamente identico a quello che voi volete annullare».

Il colonnello Krist, che conosceva bene la nostra lingua, capì di avere a che fare con un italiano di tipo prussiano, prima ancora che l'interprete avesse finito di tradurre.

Un inizio così brusco non era fatto per semplificare le cose e Botto rientrò a Roma senza aver risolto nulla, ma il suo sistema di contrapporre a un tedesco un tedesco e mezzo finì con l' assicurargli la stima e la simpatia della controparte e fu lo stesso von Richthofen che, in uno dei numerosi colloqui successivi, gli consigliò di andare in Germania per trattare direttamente con il capo di stato maggiore della luftwaffe, generale Korten, le questioni più delicate.

Korten, che doveva poi morire per le ferite riportate nell'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, fu i conquistato dalla personalità del colonnello Botto e aderì sia alla sue richieste di materiale sia alle sue pressioni per far cessare la deportazione di aviatori italiani e far rimpatriare tutti quelli che volevano entrare nell' Aeronautica Nazionale Repubblicana.

E’ superfluo sottolineare che un uomo in grado di tener testa ai tedeschi non aveva certo timori reverenziali nei confronti degli italiani.

Pur agendo e parlando sempre con la massima correttezza formale, metteva in imbarazzo gli interlocutori di qualunque calibro con osservazioni che toglievano la pelle.

Quando vide a Gargnano Vittorio Mussolini, che lui conosceva come maggiore d' aviazione, indossare un' altra divisa con i gradi di colonnello, disse al padre che non gli dispiaceva constatare che, dal disastro dell'8 settembre, qualcuno era riuscito a trarre vantaggio.

 

Anche col maresciallo Graziani, per il quale aveva molta deferenza e molta stima,le cose non andarono sempre lisce, soprattutto per la diversità di vedute nei rapporti con i tedeschi.

Per manifestare apertamente il suo punto di vista sull' argomento, preparò una nota che invano i suoi collaboratori tentarono di fargli modificare, perchè assumesse un tono meno aspro.

Essi sapevano che le precedenti asperità, se gli erano valse la stima degli aviatori tedeschi e la conseguente possibilità di costituire i primi reparti operanti, gli avevano inimicato altri ambienti che non tolleravano il suo irritante candore e la sua sconcertante franchezza.

Ma da lui si potè ottenere con difficoltà soltanto qualche insignificante attenuazione che lasciò sostanzialmente immutato il tono dello scritto: più che una manifestazione di fronda, sembrava un' espressione di sfida e di opposizione, due cose che in quel periodo non erano ammesse.

«Gamba di ferro» rimase in carica ancora qualche tempo, ma nel marzo del 1944 apprese dal sottosegretario alla Presidenza Barracu, come lui mutilato e come lui decorato di medaglia d' oro, che Mussolini aveva deciso di accettare le sue dimissioni.

Quando la notizia fu ufficialmente diffusa, si ebbe nei reparti d'impiego qualche reazione, perchè molti aviatori avevano tagliato i ponti con il passato e avevano accettato di continuare a combattere in condizioni assurde perchè a comandarli c' era lui, «Gamba di ferro», un pilota mutilato che aveva ripreso a volare e che aveva rifiutato un comodo posto di addetto aeronautico all' estero dicendo che, come già riferito, durante la guerra lui preferiva combattere.

Botto si ritirò a casa sua in Piemonte, protetto dalla sua fama di galantuomo che in quel tragico periodo fece sì che egli fosse rispettato da tutti, perchè perfino quelli che erano dalla parte opposta vegliavano su di lui.

Contro le noie dell' epurazione si protesse da solo e rimandò indietro il questionario ministeriale precisando che non riteneva necessario rispondere dato che tutto quanto lo riguardava poteva essere trovato nel suo libretto personale.

 

Tratto da Aviatori Italiani

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erasiec0.pngMister Bridge

Maggiore Massimiliano Erasi

Nato a Bagni di Lusnizza (Udine) nel 1908, abbattuto a Zabice nei Balcani il 21 febbraio 1945, maggiore dell’Aeronautica, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Entrato nell’Aeronautica militare nel 1928 , aveva prestato servizio in numerosi aeroporti, partecipando durante il secondo conflitto mondiale a molte azioni belliche con gli aerosiluranti.

Nessuno sapeva volare come lui.

Massimiliano Erasi era "un pilota raffinato".

Prima che il reparto sperimentale di aerosiluranti si trasformasse in 278a squadriglia, cioè prima che il valoroso maggiore Dequal fosse sostituito dal capitano Erasi, le azioni ben condotte erano state diverse, anche se fino ad oggi l' avversario ha ammesso per quel periodo soltanto il siluro incassato nella notte del 17 settembre 1940 al largo di Bardia dall'incrociatore Kent.

Poichè Erasi aveva assunto il comando del reparto quando gli uomini che lo componevano avevano già ottenuto qualche successo, doveva dimostrare subito a tutti che non gli piaceva fare da comparsa.

L' occasione non si fece attendere: su segnalazione di un ricognitore che il14 ottobre aveva avvistato a sud di Creta l'intera squadra navale di Alessandria, Erasi partì da El Adem con un S.79 a bordo del quale vi erano il secondo pilota Robone, l'osservatore Marazio, il marconista De Luca e il motorista Comisso.

Dopo tre estenuanti ore di ricerca, quando già era scesa la notte, l'apparecchio riuscì a trovare le navi inglesi che rientravano alla base.

Per quanto ci fosse la luna, la presenza di nubi limitava la visibilità e rendeva difficile il puntamento.

Erasi aveva però individuato un incrociatore pesante ed aveva deciso di attaccarlo: si trattava del Liverpool.

L'unità, protetta dal fuoco di tutte le altre navi, manovrava continuamente per ostacolare il puntamento; gli inglesi erano abili e decisi, ma a bordo del nostro trimotore c' era un equipaggio non meno deciso e non meno abile.

Per due volte la cortina di fuoco fu affrontata e superata senza che lo sgancio potesse essere effettuato, perchè l'aeroplano si era sempre trovato troppo sotto all'unità nemica.

Ma al terzo attacco l'incrociatore si presentò in posizione buona e il siluro, sganciato da una settantina di metri di quota e da circa 700 di distanza, filò rapido contro la nave e la colpi sulla dritta, all' altezza della torre prodiera, come fu subito precisato dal bollettino di guerra n. 130.

Due giorni dopo il bollettino n. 132 dava anche il nome dell'unità colpita, cosa piuttosto rara quando non vi sono affondamenti e conseguenti recuperi di naufraghi.

A undici anni di distanza dall' azione, l' ammiraglio inglese Cunningham ha precisato che l'incendio seguito allo scoppio del siluro provocò una seconda esplosione che spezzò la prua del Liverpool.

Il rimorchio dell'unità, affidato all'incrociatore Orion, fu molto difficile perchè la parte spezzata era rimasta penzolante e faceva da remora e da timone.

La situazione era drammatica, i cavi di rimorchio cedettero e c' era anche il rischio che le paratie non tenessero, ma alla fine la parte danneggiata si staccò e gli inglesi riuscirono a riportare l'unita ad Alessandria, dove le applicarono una prua posticcia per poterla poi avviare ai lavori.

Dopo questo vittorioso attacco, Erasi e i suoi equipaggi, dei quali continuavano a far parte i tenenti di vascello osservatori Marazio e Sleiter, effettuarono numerose altre azioni in mare aperto, a Creta e ad Alessandria.

Ma l' attacco più bello fu quello compiuto il 3 dicemhre 1940 nella baia di Suda dagli equipaggi Erasi-Pipitone-Marazio-De Luca-Comisso-La Ragione (aereo n. 6 della 278a squadriglia) e Buscaglia-Sirolli-Rossi-Cianfarani-Beccaceci-Munari-Dall'Aglio (aereo n. 2 della 278a squadriglia) .

Già da più di un mese, cioè da quando erano cominciate le ostilità sul fronte greco, era stata segnalata la presenza nella baia di Suda di unità navali inglesi; queste erano state ripetutamente sottoposte ad attacchi di bomhardieri in quota, ma gli aerosiluranti non erano riusciti a portare a compimento alcuna azione a causa del maltempo che rendeva difficile un attacco a bassa quota in una baia chiusa da alture.

Anche nel pomeriggio del 3 dicembre l'isola di Creta era coperta di nubi; ma il comandante Erasi, favorito dall' affiatamento con l' osservatore, era deciso a raggiungere ugualmente l' obbiettivo.

Le cime dei monti emergenti dal mare di nubi consentirono agli equipaggi un esatto controllo della rotta e fu quindi possibile ad essi effettuare una manovra ardita.

Giunti inosservati sulla verticale della baia, i nostri, apparecchi si tuffarono nella nuvolaglia e piombarono sul bersaglio di sorpresa.

Prima ancora che la reazione contraerea entrasse in funzione, Erasi e Buscaglia avevano scelto il loro obbiettivo e avevano sganciato con precisione i siluri oltre le reti di sbarramento.

A breve distanza l'uno dall' altro i due ordigni esplosero nell' opera viva dell'incrociatore Glasgow danneggiandolo gravemente.

Anche questa volta è stato lo stesso comandante della flotta inglese del Mediterraneo a darcene conferma, scrivendo nel suo libro:

«Il 3 dicemhre il Glasgow fu colpito da due siluri lanciati da circa trecento metri di distanza da due aerei che si avvicinarono dall' entrata della baia.

Gli incrociatori furono colti di i sorpresa, sicchè non fu aperto il fuoco sul nemico prima che lanciasse i siluri.

Ma questo fatto non diminuisce il valore degli attaccanti e l' ottima qualità dei siluri italiani».

 

Dopo l’8 settembre 1943, Erasi prese parte alla Guerra di liberazione, nei ruoli della ricostituita Aeronautica militare italiana, al comando del 132° Gruppo da bombardamento.

Il velivolo fornito dagli alleati è uno dei peggiori dei loro aerei; fabbricato dalla Martin a Baltimora nel Maryland porta il nome di quella città.

Di difficile pilotaggio, imbarda facilmente al decollo e occorre un continuo controllo per non farsi prendere la mano.

Che differenza con il vecchio caro Gobbo.

La Balkan Air opera in una zona compresa tra la Bosnia, l'Erzegovina ed il Montenegro; un fronte secondario teatro di scontri tra i partigiani di Tito e le truppe tedesche.

Gli obiettivi non sono più la gloriosa corazzata Nelson o l'invincibile flotta d'invasione della Sicilia, si tratta di anonime motozattere, ponti ferroviari, nodi stradali.

Per combattere quelle oscure battaglie in luoghi sconosciuti, sicuri che un nuovo successo non influenzerà minimamente il corso ormai scontato degli eventi, ci vuole forse ancora più coraggio e determinazione.

Gli inglesi all'inizio inserivano nelle missioni un loro aereo con funzioni di controllo e spia, successivamente dopo i primi buoni risultati lo eliminarono.

Dopo la diffidenza incominciano a giungere dai comandi alleati le congratulazioni per gli attacchi.

Dopo aver fatto centro contro l'incrociatore LIVERPOOL ed il GLASGOW ancora una volta sbalordisce gli inglesi.

C'e un obiettivo, dopo i ripetuti e vani attacchi degli "squadron" angloamericani, considerato impossibile: il ponte di Konye.

E’ di grande importanza perchè se distrutto si interromperà il traffico ferroviario della zona; per la sua rilevanza e potentemente difeso dalla Flak, la stessa sua posizione tra le irte montagne lo rende imprendibile.

I fallimenti dei nuovi alleati stimolano ancora più Erasi

"in che modo far saltare quello che appare come un fuggevole trattino dalla quota di lancio e dar credito al valore dei piloti italiani?".

Erasi esamina accuratamente le foto della ricognizione; valuta errata la direzione di attacco tenuta dai colleghi angloamericani: arrivando sul ponte dalla parte opposta. il puntatore ha qualche secondo in più per collimare il bersaglio, inoltre rischiando la reazione della Flak ad una quota di sgancio inferiore si ottiene un altro vantaggio.

Il futuro "Mister Bridge" in testa alla squadriglia si getta deciso nella gola di Konje. arrivato sulla verticale del bersaglio con gli aerei stretti ala contro ala in modo da concentrare la pioggia delle potenti bombe da 500 libbre, senza disperderle, da ordine di sgancio simultaneo.

E' un bombardamento di precisione da manuale e ancora una volta l'impossibile diviene realizzabile.

Qualche giorno dopo altro obiettivo impossibile il ponte di Brioce.

Stessa precisione da chirurgo e quel ponte viene demolito.

E' proprio il "Signore del Ponte"! Grande !

Mentre otteneva questi prestigiosi successi, nel suo animo si dibatteva un atroce dubbio:

"e se con le bombe colpissi i miei fratelli?"

Un assurdo scherzo del destino aveva fatto si che nella sua famiglia altoatesina di Bagni di Lusizza i fratelli avessero scelto la divisa del Reich e militassero nella Flak proprio in quella zona!

Sono vittorie insperate in quella terra dimenticata da Dio, dove se costretti a paracadutarsi a terra corrono il rischio di essere fucilati dai tedeschi come "sporchi badogliani" o essere fatti sparire da quegli stessi infidi partigiani per i quali combattono in cielo.

Il 21 febbraio 1945 il maggiore Erasi, a bordo del suo aereo da bombardamento, decollò alla volta dei cieli della Jugoslavia.

La missione prevedeva un'incursione diurna sul bacino carbonifero istriano dell'Arsa, protetto da un'imponente rete di batterie contraeree.

In prossimità dell'obiettivo, si scatenò da terra la contraerea.

un colpo da 88 della contraerea tedesca lo aveva centrato tra la cabina ed il

motore sinistro.

Gli altri piloti videro «Mister Bridge» impennarsi nel cielo:, e precipitare schiantandosi nel greto del fiume Arsa.

Insieme al maggiore pilota Massimiliano Erasi, comandante del 132° gruppo caddero il sottotenente Di Stefano e i sergenti Sciamannini e Rossi.

Anche se è di moda sostenere che non c' è bisogno dei riconoscimenti dell'avversario per giudicare il valore dei propri combattenti, noi riteniamo che questi riconoscimenti abbiano il loro peso, tanto più quando vengono dai britannici, che in materia sono molto sobri.

Tutti gli aviatori italiani sanno che, per l' attività compiuta e i risultati ottenuti, Massimiliano Erasi può essere considerato uno tra i piloti più abili e più valorosi della Seconda guerra mondiale.

Questa la motivazione della MdO alla sua memoria:

"Abile pilota, valoroso combattente, esemplare comandante, dava continue luminose prove delle più elevate virtù militari, esponendosi sempre, oltre il dovere, nelle più audaci e rischiose azioni di siluramento.".

za_31.jpg

Tratto da :

Aviatori Italiani

I Ragazzi del gruppo Buscaglia

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Saieva_6.gifTen. Saieva

 

Il Lightning viene giù in picchiata, i suoi due Allison girano al massimo dei giri; dietro, un nostro 205 gli sta addosso come un falco fa con la sua preda: 5000, ... 4000, ... 2500 ... 2000 metri; i due aeroplani si avvicinano velocissimi alla terra.

Su in alto, sugli 8000 m., continua il gran « calderone» fra gli americani e gli italiani del 1° Gruppo Caccia.

Il P. 38 americano comincia a raddrizzare il muso, davanti al lui il delta del Po è ormai a pochissimi chilometri.

Il tenente Saieva, che lo insegue, tira dolcemente la cloche verso di se, il Macchi diminuisce l'angolo di incidenza, e si allinea di nuovo inesorabile dietro il velivolo nemico.

Il pilota americano lo vede o meglio, lo sente dietro le spalle; il suo apparecchio è già stato colpito e non è in grado di manovrare con agilità; attende la scarica fatale poichè nella posizione in cui si trova non può più far nulla: se raddrizza o vira per tentare di tirare in quota si presenterà comodo bersaglio ai cannoncini dell'italiano; se continua a picchiare si infila nelle valli di Comacchio.

Per lui è finita ... a meno che ...

Fuori il carre1lo, giù i flaps, motori al minimo, ed il P. 38 si inclina or su un lato or sull'altro; sta cercando un terreno adatto , per poter atterrare alla meno peggio, sempre che quell'altro gli dia sufficiente tempo per farlo.

Saieva ha visto la manovra, riduce a sua volta il motore e tallona vicinissimo l'aeroplano americano.

Ora potrebbe sparare tranquillamente: in quelle condizioni, sarebbe un gioco abbattere il Lightning, ma la sua mano non preme il pulsante delle armi.

Qualche chilometro dopo, il caccia statunitense striscia disordinatamente sul terreno molle, sobbalza in aria, rotea quasi su se stesso, striscia ancora, rallenta, sobbalza di nuovo, si inclina su di una semiala e finalmente si ferma con il muso un po' infosato nel fango e le due eliche contorte.

Il 205 come un fulmine ,passa a pochi metri dal tettuccio, poi tira in quota, « spara » una vitata a coltello e punta di nuovo sul caccia americano.

Il pilota sta ribaltando all'indietro il tettuccio, si butta fuori dell'abitacolo lasciandosi scivolare a corpo morto verso terra; i suoi occhi sono ipnotizzati da quel caccia che ingrandisce velocemente e che sta per arrivargli addosso.

Istintivamente si rannicchia su se stesso in un'illusoria speranza di sicurezza: e in attesa delle raffiche da 20 mm.

La sua vita è nelle mani dell'italiano; ma le raffiche non arrivano.

Il Macchi ripassa basso in virata; raddrizza, sbatte le ali in segno di saluto e si allontana.

Incredulità di ritrovarsi vivo!

Le mani slacciano la cerniera del giubbetto di pelle, annaspano, slegano, strappano il fazzolettone di seta stretto attorno al collo, ed è subito un agitarlo frenetico verso l'alto, verso quel pilota italiano che ora sta tirando su in quota, rimpicciolendo velocemente.

 

Tratto da Ali nella Tragedia

 

 

 

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PS: Ma il 205 non è un monoposto ?

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Le mani slacciano la cerniera del giubbetto di pelle, annaspano, slegano, strappano il fazzolettone di seta stretto attorno al collo, ed è subito un agitarlo frenetico verso l'alto, verso quel pilota italiano che ora sta tirando su in quota, rimpicciolendo velocemente.
:bye: :bye: :bye:

 

Grande Dave!!!

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ten. col.Aldo Quarantotto

tenente Carlo Seganti

 

Il 12 luglio 1942 il ten. col.Aldo Quarantotti, alla testa di tutto il suo Gruppo, rientrava alla base dopo uno snervante volo di scorta ai bombardieri che avevano effettuato un ennesimo bombardamento su Malta.

Le condizioni atmosferiche quel giorno erano molto cattive: forti raffiche di vento e fitti strati di nuvole, sia in quota, sia bassi sul mare.

Cumuli nembi sospinti dal vento si rompevano in più parti per riformarsi poi più neri e più minacciosi di prima.

Improvvisamente da una di queste formazioni nuvolose saettò fuori uno Spitfire inglese che si avventò su un nostro velivolo.

Il pilota italiano, ten. Francesco Vichi, sorpreso dall'attacco, fece comunque in tempo a buttarsi in picchiata nello strato di nuvole sottostanti tentando di seminare l'inseguitore che a sua volta lo seguì nelle nubi.

Con l' aereo colpito, il ten. Vichi fu poi visto dal Cap. Salvatore Teja dello stesso reparto lanciarsi con il paracadute, a circa 15 chilometri dalla costa siciliana.

Il ten.col. Quarantotti, al quale non era sfuggita la scena, cercò di calcolare la zona dove era avvenuto l'attacco e con tutto il Gruppo, ai limiti d'autonomia, proseguì verso la base.

La mancanza di carburante non aveva consentito al comandante di gettarsi a capofitto nelle nuvole per cercare di aiutare il suo pilota, come invece avrebbe voluto.

Ora procedeva verso il campo, certo di aver preso la decisione migliore anche se dolorosa.

Appena atterrato, Quarantotti fece immediatamente rifornire quattro aeroplani, parlò con gli altri piloti per avere un quadro il più possibile esatto del luogo dove era avvenuto l'attacco, poi salì al posto di pilotaggio di un Reggiane Re-2001 della 150a Squadriglia Caccia e seguito dagli altri tre velivoli pilotati rispettivamente dal ten. Seganti, ten. Gasperoni, M.llo Patriarca, tutti offertisi volontari per quell' azione, decollò e si allontanò verso il mare.

In volo i quattro aeroplani si disposero in due sezioni, l'una davanti all' altra.

Il tempo in tanto era peggiorato fino a diventare proibitivo: le nuvole formavano ormai una massa compatta molto bassa sul mare in tempesta che ogni tanto si intravedeva flagellato dal vento e dalla pioggia.

Il ten. col. Quarantotti, incurante delle condizioni atmosferiche, guidava la sua pattuglia a tutto motore verso il punto dove erano scomparsi nelle nuvole il Re-2001 italiano e lo Spitfire inglese.

Gli aeroplani volavano ormai in piena bufera, il mare non si scorgeva più neppure a tratti, il cielo si era oscurato, sembrava che le forze della natura congiurassero per rendere impossibile l'altruistica azione di soccorso.

Quando Quarantotti giunse nella zona dello scontro, fece distanziare la seconda sezione sia per aumentare il campo di ricerca che per evitare collisioni in volo, poi, seguito dal suo gregario, picchiando s'immerse nelle nubi per volare a pelo d'acqua sotto di esse nel tentativo di trovare qualche segno dell'aviatore mancante.

Gli altri due piloti rimasti in quota videro il Re-200 1 del ten. col. Quarantotti bucare le nuvole verso il mare tallonato dall' altro velivolo pilotato dal ten. Carlo Seganti, e poi dopo aver perlustrato per qualche tempo la zona, non vedendoli riapparire e pensando che fossero rientrati, fecero rotta verso la base.

Al campo il personale si affollò intorno ai due aeroplani per aver notizie: tutti insieme attesero lungamente il ritorno del Comandante e del suo gregario, ten. Carlo Seganti, ma non tornarono. Scomparvero così il ten. col. Aldo Quarantotti già decorato con quattro medaglie d'argento al valor militare e il suo gregario ten. Carlo Seganti

Da quell'ormai lontano 12 luglio 1942 nessuno ha mai avuto notizie della loro sorte.

Furono abbattuti da velivoli nemici, o dall' ostilità degli elementi atmosferici?

Si urtarono in volo a causa della poca visibilità e precipitarono?

Oppure, cosa probabile anche in considerazione del loro silenzio radio, nel forare le nubi che forse erano a pochi metri dalle onde, essi si infilarono in mare?

Nulla è mai stato ritrovato dei due aerei e dei loro piloti, la verità quindi non si saprà mai con certezza.

 

A quanto affermano invece Cristopher Shores e Brian Cull con la collaborazione di Nicola Malizia, alle pagine 405-409 del loro libro

Malta: the Spitfire year 1942, pubblicato nel 1991, il ten col. Quarantotti e il ten. Seganti sarebbero stati abbattuti dallo Spitfire BR565/U del serg. canadese George Beurling del 249° Squadron.

Beurling e il suo comandante, Flg. Off. Hetherington, stavano effettuando una perlustrazione alla ricerca del collega Berkeley-Hill che non era rientrato da una missione precedente, quando sotto di loro videro passare due aeroplani italiani che identificarono come Macchi.

In realtà, se si trattava di Quarantotti e Seganti, i due velivoli erano due Reggiane Re-2001.

Coperto da Hetherington che volava un po' più in alto, Beurling si portò alle spalle dei due velivoli italiani, i cui piloti, del tutto ignari, volavano a pochi metri dall'acqua ed erano palesemente impegnati a cercare un naufrago in mare.

A suo dire, fu un gioco abbatterli entrambi:

sparai una raffica di un secondo sull' aereo più arretrato che si incendiò e precipitò subito, poi mi avvicinai con un angolo di 15° al caccia di testa, fino a circa 30 metri.

Potevo vedere ogni dettaglio del viso del pilota, si voltò verso di me proprio mentre lo inquadravo e sparavo.

Cadde in mare come il suo collega.

Dal primo colpo sparato al primo aeroplano, erano trascorsi non più di sei o sette secondi».

Non sappiamo se tutto ciò corrisponda al vero e se questa fu effettivamente la fine del ten. Col. Quarantotti e del ten. Seganti.

Ma se questa è la verità, non possiamo non commentare che colpire alle spalle due piloti ignari, impegnati a cercare di localizzare un naufrago in mare, non richiedeva nè grande coraggio ne tanto meno eroismo.

Certo non era un'azione di cui vantarsi, due vittorie di cui gloriarsi.

 

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Alla memoria del ten. col. Aldo Quarantotti e a quella del ten. Carlo Seganti venne concessa la Medaglia D'Oro con le seguenti motivazioni:

ten. Col. Aldo Quarantotti:

Comandante di gruppo da caccia portava il suo reparto, ogni giorno, al combattimento sul mare e sul cielo di munita base nemica.

Sempre primo ad attaccare, conseguiva personalmente ed in collaborazione numerose vittorie.

Animatore instancabile, capo audace ed esperto, incurante del pericolo, destava l'ammirazione dei gregari e dei nemici, per l'impeto e la perizia dei suoi attacchi.

Appena rientrato da una vittoriosa azione di guerra, ripartiva in volo, in un supremo tentativo di salvare un gregario caduto in mare, e, con ammirevole spirito di abnegazione e di sacrificio, insisteva nelle ricerche, nonostante le proibitive condizioni atmosferiche.

Non faceva ritorno alla base, sopraffatto, non dal nemico, ma dall'avverso destino.

Espressione purissima di eroismo e di fede, riaffermava le sue altissime virtù militari lasciando un retaggio luminoso di sublime ardimento.

Maggio-Luglio 1942

 

ten. Carlo Seganti

Audacissimo ed eroico combattente dell' aria sempre cercava la lotta ed il combattimento lì dove il nemico era più numeroso ed aggressivo.

Benchè cacciatore, si offriva volontario per un reparto di bombardamento a tuffo nell'intento di colpire più duramente il nemico riuscendo, in ben cinquanta azioni in picchiata, a portare i suoi colpi micidiali su terra e sul mare.

Rientrato nella specialità caccia in immutato ardore combattivo e destinato sul più duro fronte aeromarittimo, sosteneva combattimenti nel corso dei quali abbatteva personal mente 5 avversari e molti altri in collaborazione.

Anima ad esempio dei compagni del suo Gruppo non desisteva dalla lotta nemmeno con l'apparecchio gravemente colpito.

Rientrato da un aspro combattimento, nel corso del quale un suo compagno era caduto in mare, partiva alla sua ricerca, nonostante le avverse condizioni del tempo, ma dal generoso tentativo non faceva ritorno.

Esempio fulgidissimo di eroismo cosciente, di inflessibile volontà di lotta e di sublime spirito di sacrificio.

Giugno 1940-Luglio 1942

 

36 storie scritte nel cielo - Giorgio Evangelisti

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Modificato da Dave97
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sparai una raffica di un secondo sull' aereo più arretrato che si incendiò e precipitò subito, poi mi avvicinai con un angolo di 15° al caccia di testa, fino a circa 30 metri.

Potevo vedere ogni dettaglio del viso del pilota, si voltò verso di me proprio mentre lo inquadravo e sparavo.

Cadde in mare come il suo collega.

Dal primo colpo sparato al primo aeroplano, erano trascorsi non più di sei o sette secondi».

Non sappiamo se tutto ciò corrisponda al vero e se questa fu effettivamente la fine del ten. Col. Quarantotti e del ten. Seganti.

Ma se questa è la verità, non possiamo non commentare che colpire alle spalle due piloti ignari, impegnati a cercare di localizzare un naufrago in mare, non richiedeva nè grande coraggio ne tanto meno eroismo.

Certo non era un'azione di cui vantarsi, due vittorie di cui gloriarsi.

:pianto: :pianto: :pianto:

 

Racconto veramente toccante!!!! :o

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Ospite Folgore

Sul libro la fortezza Malta che credo sia il libro indicato dai due piloti, alla fine quel bastardo di Beurling "screwball" scrive:

Potevo vedere ogni dettaglio del viso del pilota, si voltò verso di me proprio mentre lo inquadravo e sparavo, lo centrai in pieno viso con un colpo da 20mm e la testa gli sti stacco di netto schizzando sangue per tutto l'abitacolo. Il pilota, o meglio il moncherino del collo seguì la scia dell'aereo e finì in mare. Questo l'ha detto a fine guerra in un intervista... Più o a meno era così il racconto non ho il libro a portata di mano adesso :(

 

Quando alla fine narrano la storia dei piloti di Malta, alla fine Beurling morì in un incidente sul B24 per Israele.... :)

Modificato da Folgore
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